Please stay with me

di Eneri_Mess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

 

Please stay with me

 

Ad Aredhel,
volata dall’altra parte del mondo,
ma i fusi orari non ci fermano.

A Yuki Delleran,
perché è una fantastica compagna
di shipping e chiacchiere.

A SpigaRose,
che oggi ha spento le mie intenzioni
da piromane.

 

.Capitolo 1

 

Il sapore che aveva in bocca sembrava moquette ammuffita. Lance la sentiva così impastata che a malapena riuscì ad aprila. Un po’ come gli occhi, con le palpebre pesanti e incollate. Un raggio di sole filtrava dritto sul suo viso dalle tendine della finestra; si fece schermo con una mano mentre inquadrava il circondario.

Era in corridoio. Era seduto contro la porta della stanza che condivideva con Hunk e gli scoppiava la testa.

« Uuuhhg » si lamentò, cercando comodità nella cornice dell’uscio che gli aveva lasciato un segno rosso sulla pelle e i muscoli rattrappiti.

Da quant’era lì?

E perché era fuori dalla camera e non dentro?

Tentò di riordinare i pensieri, mentre provava ad alzarsi ma desistette subito; il suo stomaco eseguì una capriola con avvitamento che gli fece passare qualsiasi voglia di ingerire cibo da lì alle successive dieci ore.

Fare mente locale non fu semplice, ma dalla nebbiolina riemerse qualche immagine di una festa. Il party di “Bentornato al Campus” che la confraternita ΣΚΛ organizzava aperta a tutti, indistintamente. Lo sfacelo alcolico era la parola d’ordine, oltre all’obiettivo di conquistarsi qualcuno per la notte da cui riceve poi un trofeo.

Lance giudicò che dallo stato del suo tratto esofageo e dalla poltiglia che doveva essere il suo apparato digerente, doveva aver seguito le direttive alla lettera, almeno per il primo punto.

Ma la domanda persistente era… come diavolo era arrivato fino al dormitorio?

L’ultima volta Hunk era dovuto andare a recuperarlo la mattina dopo i bagordi. Lo aveva trovato spiaggiato su uno dei divanetti intorno alla piscina della ΣΚΛ, con una mascherina sugli occhi bordata di pizzo, addosso il reggiseno di qualcuna (trofeo rimasto appeso al soffitto della sua vecchia camera - doveva decidersi a recuperarlo) e un lenzuolo avvolto dai fianchi in giù, stretto oltre i piedi. Sull’addome qualcuno gli aveva scritto con i colori fosforescenti “don’t need pAnTZ bc i’m a meRMAID”. E a tutti gli effetti non aveva neanche le mutande. Lo spettacolo era stato prontamente immortalato per l’annuario.

In quel momento, i pantaloni li aveva ancora addosso, allacciati e con la cintura intoccata. Da lì alla conclusione deludente che non fosse successo niente fu elementare, sottolineata dalla mancanza evidente di biancheria-trofeo di cui vantarsi per iniziare l’anno nuovo.

Si tastò le tasche, muovendo piano la testa per controllare la situazione del collo intorpidito. Cellulare e chiavi del dormitorio erano andati. Sospirò. In giornata gli sarebbe toccato andare allo sportello Lost&Found, o da Pidge per farsi localizzare il telefono.

Fu nel guardarsi le mani vuote che si accorse di quello che c’era di fuori posto in lui. Si levò a sedere più dritto, mentre con le dita tirava il bordo della maglia che aveva addosso.

Era una maglia nera con una stampa a sfumature bianche. Un UFO rapiva una sventurata figura umana e una scritta a caratteri cubitali torreggiava sul disegno: “I BELIEVE”.

Il suo naso colse di riflesso un odore inconfondibile. Un sentore spesso e corroborante che conosceva bene, che dalle narici gli attraversò il resto del corpo come una corrente calda.

Oh.

Quella era una delle magliette di Shiro.

Quello era l’odore di Shiro.

Addosso a lui. Lui nella sua maglietta.

« UOH! » strillò, spaventando qualcuno in fondo al corridoio e saltando in piedi e dimenticando per un attimo i sintomi post-sbornia. Un attimo perché quello successivo si premette un palmo sulla bocca per non rimettere Dio solo sapeva cosa. L’altra mano era aggrappata al lembo inferiore della t-shirt - t-shirt che gli stava immensa. Ma era di Shiro. Di Shiro.

Reclinando la testa indietro contro la porta chiusa e il cartello che aveva affisso il giorno prima (“Le ragazze entrano senza bussare”), Lance si sforzò di richiamare i pochi brandelli di ricordi che aveva alla ricerca di indizi su quello che poteva essere successo, gli angoli della bocca spinti oltre i margini di un sorriso che definire euforico era riduttivo.

Pensieroso, si torturò le labbra con le dita, con i neuroni che chiedevano a gran voce un’aspirina, ma dei pochi flash che gli passarono davanti intravide le pareti famigliari della confraternita, le luci colorate, il bancone degli alcolici, i bagliori della piscina… poi tornò l’odore di Shiro, di nuovo, e il rumore delle molle del suo letto, inconfondibile dopo un anno passato ad ascoltarlo. Lo sguardo di Lance si dilatò pian piano, mentre le dita rimasero sulla bocca, in stallo.

Rammentava di essere stato nella sua vecchia stanza. La stanza che per un anno aveva condiviso con Shiro e…

Oooh.

Si sprimacciò le labbra con i polpastrelli, perché… perché ricordò di aver baciato qualcuno.

Guardò di nuovo la maglia che indossava. Inspirò a pieni polmoni l’aria intorno a sé, risucchiando ogni scia di quel sentore intossicante che gli mandava il cervello in brodo.

La maglietta di Shiro più il suo odore più il ricordo di essere stato nella sua (ex loro) stanza.

Un gridolino poco virile e decisamente esaltato rimbombò per il corridoio, scatenando le imprecazioni dai vicini di stanza.

Erano solo le sette del mattino del primo giorno delle lezioni, dopo tutto. Un intero nuovo anno davanti.

Dalla premessa Lance già sapeva che sarebbe stato meraviglioso.

 

Hunk lo trovò raggomitolato per terra, con la maglietta arrotolata sulla testa, abbracciato a se stesso e intento a miagolare cose incomprensibili.



°°°



 Qui è la VLTRN Camp Radio! Siaaaaaamooooooo- tornati! Il vostro bellissimo e modesto Lancillotto vi è mancato, lo so che è così, non è vero? Sì? Risponderò alle mie fan tra un attimo, non strappatevi subito le magliette!

 

Il meme audio di un coro urlante di voci femminili interruppe la diretta, seguito dallo schiocco della lingua di Lance, che ammiccò attraverso il vetro della radio. Da fuori, sullo spiazzo antistante, le studentesse che passarono in quel momento rotearono gli occhi mentre un paio di matricole risero.

 

Le vacanze sono finite, le lezioni ricominciate… ma! Sono queste le cose a cui pensare? C’è da deprimersi perché la Willow domani ci presenterà il primo test “a sorpresa”? O perché non hanno ancora bandito i broccoli dalla mensa? Su, certo che no! La cosa più importante ora è ringraziare la ΣΚΛ per la festa di ieri! Ragazzi, come farei senza di voi e i vostri knock out? Verrei a baciarvi uno per uno! Ho qui con me il trofeo di quest’anno e sono un uomo tanto felice!

 

Lance non aveva smesso di sorridere e squittire da quella mattina. Non aveva smesso di indossare la maglietta di Shiro se non per il tempo di una doccia - contando i secondi in cui ne era rimasto separato. E non aveva smesso di riempire i buchi della sua memoria recente con (possibili, a sua detta) scenari in cui lui e il suo ex compagno di stanza erano coinvolti in attività molto ravvicinate e umide.

Anche quello che non era successo ormai nella sua mente aveva già acquisito contorni molto più definiti e prossimi dei sogni a occhi aperti che si era fatto per tutta l’estate. In più, alle sue visioni, si era aggiunto il dettaglio di lui con indosso solo la maglietta di Shiro e-

Ridacchiando, dimentico del pudore e del calore delle guance - e di essere nel suo acquario personale, per via della parete di vetro della radio - selezionò una canzone dalla lista che aveva preparato e l’inizio di Call Me Maybe si sovrappose al sottofondo impostato che andò sfumando.

 

Avete fatto progetti durante la pausa estiva? Perché il vostro Lancillotto sa perfettamente cosa farà ogni giorno dei prossimi due semestri. Anche se un Mullet-Head ha provato a rovinarmi i piani, il destino è dalla mia parte!

Vi lascio alle labbra di Carly Rae “ehi, tesoro, chiamami” Jepsen. Che i vostri cellulari squillino presto! … e spero non sia vostra madre ━

 

… I trade my soul for a wish
Pennies and dimes for a kiss
I wasn't looking for this
But now you're in my way


Your stare was holding
Ripped jeans
Skin was showing
Hot night
Wind was blowing
Where you think you're going baby?


Hey I just met you
And this is crazy
But here's my number
So call me maybe
It's hard to look right at you baby
But here's my number
So call me maybe...

 

°°°




La sera di quel nuovo primo giorno all’Altea College era prossima quando il patatrac di questa storia ebbe inizio.

E, per educazione, il destino prima bussò.

 

Al secondo tentativo di Keith di sbattergli la porta in faccia, Lance infilò il piede in mezzo - e si fece male.

« AUCH! » ululò, sbattendo il palmo sull’uscio. « Che diavolo ti prende!? Fammi entrare! »

Ma Keith gli lanciò appena un’occhiata prima di riabbassare lo sguardo. Processò velocemente la situazione per ribattere, ma il nodo in gola non aiutò, insieme alla mancanza di sonno e all’infestazione di pensieri che lo aveva torturato tutto il giorno.

Non si aspettava una visita di Lance, non così presto. E poi sarebbe dovuto essere lui a cercarlo per primo. A doversi spiegare e tentare di sistemare la situazione.

A dirgli Lance, mi sono innamorato di te.   

L’ammissione fu abbastanza scioccante da farlo tornare coi piedi per terra. Realizzò di aver spostato il peso completamente sulla porta nel tentativo di chiuderla e - piede di Lance in mezzo o meno - non aiutò. Come la mano aggrappata alla maniglia per evitare che il tremore si diffondesse. Cosa stava facendo? Era miserabilmente in tilt.

« Dacci un taglio McClain, non è più la tua camera » si ritrovò a dire, con notevole sforzo nella voce per non ritrovarsi a ululare isterico. Continuò sulla stessa linea, come un funambolo concentrato per non cadere. « Non puoi fare avanti e indietro da qui come ti pare »

Lance riuscì a infilarsi per metà nella fessura della porta. Col suo fisico allampanato Keith lo credeva più fragile. Il ricordo che facesse nuoto rispose per quella sua disperata speranza di riuscire a spingerlo indietro. Ma in quel momento, così ranicchiato contro la porta come se stesse cercando di chiudere la bocca dell’inferno, Keith si sentì anche molto più basso dei due centimetri che li dividevano.

« Ladro di stanze » sibilò Lance soffocato. « Ladro di compagni di stanze » sottolineò, guardandolo torvo con l’unico occhio che spuntava dal battente.

« Hai cominciato tu l’anno scorso! » fu la risposta in tralice che Keith sputò fuori dai denti, insieme a un’occhiataccia attraverso i ciuffi di capelli e il cappuccio della felpa non particolarmente collaborativo, visto come gli stava scivolando sulla fronte.

« È stato il destino a mettermi in questa stanza! … oltre all’errore della segreteria. Quella è stata la mano del fato »

Keith doveva smettere di ascoltarlo. Di lasciarsi rimbambire dalle sue chiacchiere, facendosi trascinare nel dubbio di quello che stava blaterando e finendo col deconcentrarsi. Appena cercava di capire se fosse stupido o serio, la spuntava.

Lance scivolò dentro la stanza ed evitò il troncamento di due dita per un soffio. Essendo l’unica forza rimasta a spingere la porta, Keith la chiuse di botto dandoci quasi una testata. Il suo sguardo fulminò in un attimo il sorrisetto imperioso di Lance e il suo spolverarsi una spalla con teatralità.

« Grazie dell’invito a entrare Emo Kitty! Pensavo di disturbare! »

Keith si scostò dall’uscio infilando le mani nel tascone della felpa con un brontolio intraducibile, ricordandosi quanto non fosse una buona idea guardarlo in faccio. O fissargli le spalle. La linea del torace e giù fino ai suoi maledetti fianchi capaci di riempire ogni spazio con innata nonchalance.

Grugnì ancora, andando nella sua metà di stanza - la ex metà di stanza di Lance - per fare qualcosa. Cosa, non lo sapeva. Forse un Che vuoi sarebbe dovuta essere la sua battuta, ma non si sentiva in grado di sostenere una conversazione. Non con Lance. Non in quel momento. Forse neanche di lì a un mese.

Al diavolo il pomeriggio passato a convincersi di dovergli parlare. E spiegare. Era folle. Tutto era follia.

« Dov’è Shiro? »

Le dita di Keith artigliarono la stoffa interna della felpa mentre voltava lentamente la testa da sopra la spalla.

« Non c’è »

« Questo lo vedo da me, capitan ovvio »

Il disappunto si palesò sul viso del cubano rimarcato dalle labbra sporgenti e la fronte corrugata. Kogane aveva sperato di vederlo andar via, ma con Lance la speranza prendeva due sonniferi di troppo e lo lasciava da solo alla sua mercé.

« E quando torn- »

« Non lo so » tagliò Keith, marciando di nuovo verso la porta. L’unica cosa che si sentiva in grado di fare era macinare chilometri nei metri quadrati della stanza. Che ci fosse Lance o meno. « Ha il cellulare spento, sarà in biblioteca o in laboratorio » quando ebbe la mano sulla maniglia gli venne il dubbio - un dubbio per cui a posteriori avrebbe picchiato la testa al muro pur di star zitto - e si azzardò a sbirciare l’espressione del compagno di college. « Perché cerchi Shiro? »

Fu come essere vittima di una serranda alzata all’improvviso, di mattina, senza alcun preavviso. Keith si rintanò nelle spalle davanti al sorriso di Lance, alle sue guance coloratesi di rosa, ai suoi denti così bianchi, scintillanti in contrasto con la pelle scura.

Questa volta fu Lance a distogliere lo sguardo per primo. Gli occhi gli caddero sul letto di Shiro, e così pure tutta la sua figura, un istante dopo, con un leggero pomf.

Lo stomaco di Keith fece un salto mortale all’indietro, atterrando male.

Non andava bene. Le cose gli stavano sfuggendo di mano. Di nuovo. Per la seconda volta in meno di ventiquattr’ore.

Si schiarì la voce con poco successo.

« McClain… - si odiò per i gesti con cui indicò l’uscio - te ne devi andare »

L’espressione dell’altro si fece perplessa, ma non colse il suggerimento.

« Perché ti ostini a chiamarmi McClain? »

Keith non capì lo scopo della domanda, non capì proprio la domanda perché stava fissando la mano di Lance accarezzare il copriletto di Shiro. Qualcosa nel suo cervello si mosse per lui.

« Lance? » provò, con un rospo incastrato in gola. « Te ne puoi andare, Lance? »

Un sopracciglio di Lance si curvò verso il basso, l’altro si arcuò verso l’alto. In due pennellate perfette. Come ci riusciva.

« Ti ho fatto qualcosa? O è una giornata no? Perché se fosse una giornata no - fece spallucce - sappi che il mondo va avanti lo stesso, Keithy. E perché stai con la felpa se fuori ci sono ancora trenta gradi? »

Keith ponderò sulla cosa giusta da fare in quel momento… tipo, massaggiarsi le tempie con espressione da martire? Afferrarlo e buttarlo fuori di peso prima che i nervi gli cedessero? Ignorarlo, infilarsi le cuffiette dell’MP3, ignorarlo, buttarsi a letto e poi ignorarlo ancora?

Nel dubbio, incrociò le braccia, moderò interiormente il tono per l’ennesima volta e cercò di prenderla dal verso giusto, con le buone. Più o meno.

« Non mi serve nessuna morale. Sono stanco - il che era vero - e devo ancora finire di sistemare la mia roba - cento punti per la sincerità - perciò… vorrei restare solo » sull’ultima affermazione una vocina nella sua testa ebbe da ridire, ma fu imbavagliata e buttata in un angolo.

Lo sguardo di Lance si spostò dal ragazzo alla zona della stanza che era stata sua. E che sembrava ancora sua.

Oltre la libreria a mo’ di separé, sui muri, sulle mensole, un po’ ovunque in giro, c’erano rimaste tracce del suo primo anno. Non si era disturbato a togliere niente, convinto che ci sarebbe tornato. Quindi poster, fumetti, fotografie, le lucine a forma di lanterne colorate, qualcuno dei suoi trofei (tra cui il reggiseno che spenzolava dal soffitto) erano lì, in mezzo a scatole con scritto sopra “Keith - College”, libri di testo e indumenti il cui colore più vivace sembrava un rosso “chiazza di sangue”.

Anche Lance incrociò le braccia e per un momento sembrò combattuto sul cosa dire. Se riconoscere a voce alta di dover raccattare quello che aveva lasciato per fare spazio al nuovo inquilino, o prendersela ancora col suddetto inquilino abusivo. Non ebbe molti dubbi a scegliere la seconda opzione e rivolgere uno sguardo graffiante a Keith.

« Sei stato subdolo a scavalcarmi così »

Gli occhi di Keith sbatterono un paio di volte di moto non intenzionale.

« Cosa!? »

« Certo, ora dirai di nuovo Ho solo scritto di voler stare con Shiro perché siamo amici di infanzia, gne gne gne » scimmiottò Lance con vocina irritante e una mano chiusa a becco per fargli il verso, mentre a ogni onomatopea molesta Keith sentì un tic nervoso montargli dentro.

« Ho presentato la stessa domanda dell’anno scorso » replicò, sentendo finalmente una parvenza di durezza venargli il tono. « Ma perché ne stiamo ancora discutendo!? Qual è il problema!? » si trovò a gesticolare senza volerlo e si tolse il cappuccio dalla testa, sentendo il collo riscaldarsi.

« Il problema, Keithy, sta che ho dei piani ben precisi e tu hai tentato di mandarmeli all’aria! » Lance gli si piazzò davanti, il dito indice come proprio metaforico ambasciatore, facendo sentire l’altro irragionevolmente troppo basso. « Stammi a sentire: ho passato l’estate a pianificare il mio rientro al college. Per iniziare, avrei tolto di mezzo questa inutile libreria ruba-visione - e nel profondersi in un gesto ampio delle braccia verso la metà di stanza di Shiro a Keith fece venire in mente la scena del Re Leone “un giorno tutto questo sarà tuo” - Poi ho comprato delle costosissime candele profumate e un olio per cui ho speso i guadagni di tre settimane di lavoro al bar di mio zio, pagato in mance - non prese nemmeno fiato per continuare - Per avere il duplicato delle chiavi della piscina ho promesso all’inserviente di coprire il suo turno del Mercoledì così che possa andare alle lezioni di tango con la moglie! Ho dovuto sottoscrivere un abbonamento a Conigliette Hot a nome mio per quei pervertiti dell’orchestra studentesca per farmi registrare la colonna sonora perfetta » nell’elencare quella sequela delirante Lance si era fatto sempre più vicino a Keith, fino a invadere completamente il suo spazio vitale, il dito indice che sottolineava ogni passaggio battendo al centro del suo petto.

Ma Kogane aveva smesso di respirare da almeno un minuto, gli occhi spalancati fissi nella sfumatura blu di quelli di Lance. Aveva registrato parole sparse dell’intero discorso - candele, piscina, tango e hot - perché il resto stava evaporando insieme al suo istinto di autoconservazione. Non aveva forse passato la giornata a convincersi di dover svuotare il sacco con Lance? Una qualche parte del suo cervello interpretò quella vicinanza come il segnale giusto. Gli afferrò la mano, interrompendolo.

« Senti Mc… Lance… » il calore al collo ora si era espanso ovunque, soprattutto nella zona delle orecchie. Ringraziò di avere i capelli scarmigliati a coprirgliele. « Io… »

« Risparmiati le scuse Keithy! » lo frenò Lance, svincolandosi e facendosi indietro per tornare al centro della stanza, mani sui fianchi.

Non sembrava più infervorato, ma Keith stava già facendo i conti con l’imbarazzo, e il dispiacere, di essere stato piantato lì con le parole sulle labbra. Lance non se ne accorse e non colse l’espressione smarrita e tentennante. O meglio, la equivocò del tutto.

« Quel che è stato è stato, sono una persona dal cuore grande e perdonerò questa tua cattiveria di inizio semestre. E poi, qualsiasi fosse il tuo intento… -proseguì col sorriso di chi si sveglia pensando a quanto sia meravigliosa la vita - … la Dea Ochùn veglia su di me »

Keith sapeva che sostenere una conversazione sensata con Lance non era umanamente possibile. O lui non ne era capace, ma in un anno di conoscenza, per quanto discontinua, sembrava essere l’altro a non riuscire a mettere insieme delle parole di senso compiuto.

Il disorientamento fu probabilmente la causa per cui Keith registrò un dettaglio grande quanto una torre.

Se credeva che la sua testa fosse in grado di elaborare pensieri ragionevoli, nonostante il subbuglio interiore, l’idea avvampò come metà del suo cervello. Al contrario, se fino a quel momento aveva sentito una specie di calore molestarlo durante la conversazione, un brivido molto simile a un cubetto di ghiaccio gli attraversò la schiena.

« Quella… - esalò, non certo di come si facesse a parlare - quella maglietta… »  

Le guance di Lance si imporporarono come quelle di una fanciulla al ballo delle debuttanti.

« Oh, l’hai notata? Mi sta un po’ grandina, ma considerando di chi è… » e nel dirlo, Lance si abbracciò. Le mani si strinsero intorno alle proprie spalle, l’espressione beata, e la scritta I BELIEVE sparì nelle pieghe della stoffa.

Anche Keith sarebbe sparito volentieri. O quello, o avrebbe colpito Lance dritto in faccia, in risposta a un istinto di sopravvivenza che gli stava urlando mayday da mesi.

Nonostante avesse il desiderio di evaporare al riemergere di alcuni ricordi poco utili in quel preciso momento, diverse lampadine si accesero, una dopo l’altra, come fosse stato Natale, anche se più simile a un'epifania.

Il modo in cui Lance stava coccolando la maglietta di Shiro, il discorso a raffica su candele, oli, favori chiesti in giro, i progetti per quell’anno… tutto lo sproloquio riguardo all’avergli fregato la stanza e il compagno di stanza…

Anche l’ultima lampadina si accese.

« Ti piace Shiro »

Lo pensò a voce molto alta. Così alta che sentì il proprio tono rimbombargli nelle orecchie prima di estinguersi miseramente nella distanza che lo separava da Lance.

Il rossore di quest’ultimo si diffuse un po’ ovunque, ma, cocciuto, mantenne la stessa espressione sfacciata.

« Dlin-dlon Keithy, hai vinto una bambolina » motteggiò, cercando di riacquistare un po’ di nonchalance. « Forse ora ti renderai conto del mio dram- »

« Ti piace Shiro » ripeté Keith, parlandogli sopra, il tono riecheggiante tra le pareti della stanza in un’enfasi troppo calzata.

La fronte di Lance si corrugò e le braccia incrociate ebbero un guizzo.

« Sì, mi piace Shiro - il suo sguardo si assottigliò riflettendo il formarsi di un nuovo pensiero - Ti crea qualche problema? »

Se Keith non fosse stato preda di un blackout interiore e di una bocca così asciutta da rendergli impossibile replicare, la risposta sarebbe stata . Quello era un problema. Un fottuto problema. Soprattutto quando al riavvio delle facoltà intellettive la cascata di pensieri riuscì solo a irrigidirlo con fantasie davvero poco utili di Lance e Shiro, di candele e oli, di piscine e tango…

« Ti piace Shiro…! »

In realtà, dentro di sé suonò più come non può piacerti Shiro. Anche seguito da una buona dose di argomentazioni (molto valide per lui) che cominciavano da “Shiro è come un fratello per me” a “Tu sei quello a cui io-”.

Le dita di Keith si irrigidirono lungo i fianchi e si chiusero a pugno. Dalla prospettiva di Lance fu una mossa mal interpretata, ma Keith stava cercando di scendere a patti con le proprie sensazioni ronzanti per registrare quello che aveva intorno. Per immaginare cosa stesse per succedere. Cosa avesse innescato.  

Lance era sempre più sulla difensiva, la schiena dritta e la punta del naso alta, arricciata, alla ricerca di puzza di bruciato.

« Ti si è impallato il disco? Vedi di essere chiaro, qual è il… tuo… - la sua espressione cedette a ogni sillaba, gli occhi si fecero tondi come palline da tennis. Sobbalzò - AH! »  

Keith trasalì di rimando, sbattendo contro la porta alle sue spalle. Il dito indice di Lance era un fucile puntato, la sua faccia una maschera di melodrammatica consapevolezza.

« ANCHE A TE PIACE SHIRO! »

« COSA!? »

Cadde un silenzio breve, premessa al disastro.  

« Lo sapevo! Non potevo fidarmi di te! » la sua voce era scioccata. Lance era scioccato.

Keith, al contrario, lo stava fissando come un alieno, mentre i collegamenti tra le sue sinapsi erano di nuovo interrotti. Aprì bocca, ma l’altro gli parlò sopra.

« Tutte quelle storie sul considerarlo un fratello! Il tuo migliore amico! E Shiro non sa nulla! »

« Cos- Non hai capito niente! »

Parole sbagliate. Sbagliatissime.

Lance gli fu addosso gesticolando con invadenza, gli occhi così contratti che il suo blu brillava.

« Oh, non me la fai! Ho capito benissimo! L’hai voluto tutto per te quest’anno, solo voi due, nella stessa stanza! Vuoi dirgli che non lo vedi più come un fratello? Che l’amicizia non ti basta più!? »

Keith, con le spalle all’angolo, stava cercando di trovare uno spiraglio nello sproloquio per intervenire, per zittirlo e magari ridare ossigeno ai muscoli tesi come pezzi di legno.

Aveva Lance addosso, ma non nel modo in cui avrebbe voluto.

« … se credi che mi tirerò indietro perché ho meno chance di te ti sbagli! »

« Vuoi stare zitto un secondo!? » sbottò Keith.

« No! Non ho passato tutta l’estate a progettare il momento perfetto per dire a Shiro quello che provo! Non ti lascerò soffiarmelo da sotto il naso! »

Il cuore di Keith perse un singolo quanto necessario battito nel realizzare quanto non detto ci fosse in quelle affermazioni. L’irritazione di volerlo far tacere sparì, soppiantata da qualcosa di freddo e familiare che gli irrigidì la mascella. Eccola, la sensazione di essere un’ombra di sfondo agli occhi di chi si vorrebbe ci notasse.

« Provi qualcosa per lui… dall’anno scorso? »

Lance lo studiò, ma era troppo furente per carpire qualcosa.

« Già »

Il pensiero di Lance e Shiro insieme ebbe un sapore molto amaro nell’immaginario di Keith. Per quanto più volte si fosse sentito recriminare per la propria mancanza di fantasia, riuscì a figurarseli insieme molto nitidamente, sorridenti l’uno per l’altro, senza niente e nessuno a distrarli.

Ma prima che la ragione avesse il tempo di elaborare, l’impulsività si mise in mezzo per tagliare di netto quella visione che non doveva realizzarsi.

« Non puoi avere Shiro » disse in quello che parve un mezzo ringhio così vibrante che l’altro ragazzo si tirò indietro. « Non ti lascerò Shiro » precisò.

La mascella di Lance si serrò per effetto della minaccia. Ma dargliela vinta non era un’opzione.

« Sei serio? È una sfida? »

« A chi lo conquista per primo »

 

°°°



Qui è Lancillotto per la buonanotte da VLTRN Camp Radio. Prima di mandarvi a sognare la vostra crush vi ricordo che l’anno è appena iniziato. Sarà lungo. Feroce. Sanguinario.

Vedrà un unico vincitore alla fine.

Perché questa è guerra.

 

… Hey, hey
You, you
I don't like your girlfriend
No way, no way
I think you need a new one
Hey, hey
You, you
I could be your girlfriend...


 

Mi hai sentito? Parlo con te, Mullet-head!

QUESTA

È

GUER-

 

… Hey, hey
You, you
I know that you like me
No way, no way
No, it's not a secret
Hey, hey
You, you
I want to be your girlfriend...

 

°°°

 

Erano quasi le dieci quando la porta della camera si aprì di nuovo.

Shiro se la chiuse alle spalle con un lungo sospiro estatico. Sorrideva a niente in particolare, come se avesse scoperto un nuovo sentimento, tra il toccare il cielo con un dito e-

Gasp. Trasalì contro l’uscio quando inquadrò Keith, immobile a fissarlo ad appena tre passi di distanza.

« K-Keith, amico, che cos’è quella faccia? »

Il ragazzo aveva lo sguardo spalancato, spiritato, sopra le occhiaie profonde e sotto i ciuffi della frangia. A tratti gli occhi si contraevano, riflettendo una sorta di lotta interiore. Il cappuccio della felpa era di nuovo sulla sua testa, conferendogli un’aria inquietante molto vicina a quella di un killer seriale. Il filo rosso di una cuffietta correva lungo il suo torace, sparendo nel tascone; contro la stoffa si intravedeva la sagoma del suo cellulare.

« Dove sei stato? »

Il tono rifletteva l’insieme della sua figura, a metà tra il cavernoso e una punta, minima, di isterismo. Come una ciliegina su una torta di glassa nera; una torta che a breve sarebbe esplosa.

Shiro si irrigidì alla domanda davvero troppo inquisitoria, soprattutto sapendo che avrebbe dovuto mentire.

« Mi sono attardato in laboratorio » replicò calmo e asciutto. Coordinò il tutto con una piccola smorfia stanca, ma non lasciò andare la presa sui libri. Anzi, la raddoppiò per la tensione.

Keith assottigliò lo sguardo, ma non sembrava stesse fissando lui davvero. O meglio, fissava il suo intero, lo metteva a fuoco un attimo ma poi dava l’impressione di distrarsi, in realtà concentrato su altro. Replicò dopo una lunga pausa.

« Sei rosso. In faccia »

Sangue freddo Shiro, sangue freddo, si ripeté il più grande. Farsi sgamare ad appena un giorno dall’inizio delle lezioni dal proprio migliore amico non era nei suoi progetti. Non dopo tutta la fatica degli ultimi mesi. Anche se mentirgli era l’ultima cosa che avrebbe mai voluto fare, per quanto non fosse questione di vita di morte, ma solo di tempo. Si sarebbe fatto perdonare. E sapeva che Keith avrebbe capito le sue ragioni, più in là.

« Ho visto l’ora e ho fatto una corsa » spiegò mettendo su la sua migliore espressione di scuse. Si mosse a sistemare borsa e libri sulla scrivania e cambiò discorso. « Non sono ancora andato a mangiare, tu hai fame? Facciamo una volata in mensa a vedere cos’è rimasto? »

Keith aprì la bocca.

La richiuse, pigiandosi l’auricolare meglio nell’orecchio.

La aprì di nuovo e a fatica sembrò comporre una frase.

« Non ho… non ho fame » e suonò quasi come una domanda, facendo alzare un sopracciglio interrogativo all’amico. La sua espressione smarrita altrove persisteva e Shiro lo osservò smanettare col cellulare nella tasca della felpa.

« Ti senti bene? » chiese, dimentico dei propri segreti. « Sei palli- »

« Sto bene! È colpa di quell’idiota! » sbottò Keith all’improvviso. Si tolse la cuffietta che aveva nell’orecchio e da cui provenne un sottofondo chiassoso pop-punk che attirò un secondo sguardo perplesso da Shiro.

« È Avril Lavigne? »

Ma Keith, con un gemito frustrato riassuntivo di quella giornata disastrosa, arrotolò le cuffie intorno al cellulare e buttò il tutto sul proprio letto sfatto. « Io- » sbuffò, o ringhiò, il confine fu minimo. « Andiamo a mangiare » e fu feroce nel dirlo.

Shiro sbatté le palpebre e annuì, ma non si azzardò a ribattere. Aprì la porta della stanza e lo fece passare per primo.

 

 

To be continued?

 

Se siete arrivati fino a qui, GRAZIE, grazie mille di aver letto.

Se volete tirarmi qualcosa, per favore oggetti utili.

Ad ogni modo, questa impresa. Questa college!AU che non è per niente il mio genere, ma è avviata e be’, l’intento di continuare a scriverla c’è. Mi ero fatta un elenco mentale di cosa volessi dire a riguardo, ma non mi ricordo più. Solo, ecco, non vi aspettate chissà cosa. Intanto ho un problema assurdo a far parlare i personaggi, soprattutto Lance (non lo so scrivere ç_ç), secondo il fluff non è che sia il mio pane quotidiano. Lo adoro, è dolcissimo (!), ma non lo so gestire. Però questa storia sarà parecchio hurt/comfort, perché Keith e Lance sono due cretini patentati.

Ah ecco. Questa storia sarà piena di canzoni e gente che canta (improvvisa?) cover. Passatemele, ci sarà un po’ di tutto, ma io ho dei gusti (?) musicali discutibili. Radio “VLTRN” è impronunciabile, ma graficamente non è male. Tanto lo scioglilingua lo lasciamo a Lance.

Ah. Forse una cosa importante c’è: se avete avuto la sensazione che mancasse qualcosa, tutto regolare.

Che altro aggiungere? Sì ecco, se scrivevo una ShKLance mi risparmiavo un sacco di problemi tbh.

 

Alla prossima!

Nefelibata ~

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Cow-t, seconda settimana, M1.
Prompt: Voce
Numero parole: 5528 (senza le parole delle canzoni ovv)
Note: qualcuno stava aspettando questo capitolo e mi dispiace deluderlo un sacco, perché è venuto fuori veramente meh. Rileggendolo cambierei troppe troppe cose, a cominciare da Keith (sorry micio).

Corretta alla come capitava, non sapevo più dove mettere le mani ~





 

.Capitolo 2


(8:46) - HUNK! Dov è la maglietta di Shiro!?

(8:46) - DOV E’!?

(8:47) - Nn la trovo! era nel letto con me!

 

(8:49) - Calmati amico, è a lavare

 

(8:49) - C O S A? xk????

 

(8:49) - non lo stai chiedendo sul serio, vero? Non te la sei tolta pER UNA SETTIMANA.

(8:50) - fuori ci sono ancora 30°

(8:50) - Chiedeva pietà

 

(8:51) - Hunk

(8:51) - HUUUUNK

(8:51) - xk tu fra tutti mi tradisci così…!

(8:51) - l odore di shiro…! Se ne andrà!!!!!!!!

 

(8:52) - l’odore di Shiro mi è riconoscente per la fine dignitosa in lavatrice

(8:54) - Io e Shay siamo da Hot&Sweet vuoi qualcosa?

 

(8:55) - sì un caffè di lacrime calde cn dose x2 di sforzi-inutili-tanto-nn-mi-nota

(8:56) - e sospiri allo shiroppo di mainagioia grazie

 

(8:57) - Caffè con doppia panna e pancake classici. Niente burro? Mirtilli?

 

(8:57) - mirtilli grazie sei un amico…

 

(8:59) - Il migliore ;)


°°°


« Shiro! »

« Ehi, ciao Lance »

Lance attraversò il quadrato di prato a margine del parco affollato per il pranzo, scavalcò il muretto e andò incontro a Shiro. Keith, seduto a gambe incrociate in mezzo ai loro convenevoli, si irrigidì e al suo sguardo contrito il ragazzo cubano rispose con una mezza linguaccia.

« Posso unirmi a voi? » cinguettò guardando solo il più grande con un esagerato sfarfallio di ciglia e ignorando completamente Keith, che sbuffò alla domanda inutile mentre il suddetto si sedeva ai piedi del muretto, sul fianco libero di Shiro, senza attendere assensi.

« Fa come ti pare » si lasciò sfuggire Kogane tra i denti, guardando il sandwich che teneva in mano come se si fosse ammuffito senza chiedere il permesso. Pretendere di far finta di fronte al sorriso smagliante di Lance fu dura, anche solo per capire come facesse ad allargarlo da orecchio a orecchio, mentre scartava il proprio pranzo dalla confezione take-away della mensa. L’aspetto del cibo servito dall’università era sempre una prova di coraggio.

Con la coda dell’occhio Keith però si accorse che gran parte dell’atteggiamento di Lance era simulato; la postura era rigida, la schiena troppo dritta, la mascella congelata e trafficava esageratamente con le dita, cercando di fingere disinvoltura.  

Shiro si girò solo dopo un altro paio di bocconi alla sua insalata salutare, come ci si poteva aspettare da un atleta; non accennò di essersi accorto dei tentennamenti di Lance. In realtà anche lui era parecchio strano negli ultimi tempi, ma Keith era così sovrappensiero a sua volta che quando se ne rendeva conto finiva poi col dimenticarsene, se si ritrovava poi Lance a gravitargli intorno.

« Sopravvissuto alla prima settimana? » domandò Takashi col suo tono cordiale e incoraggiante che Keith conosceva bene - Shiro era la quintessenza di cordialità e incoraggiamento - ma che per qualche motivo gli rimescolò lo stomaco.

Sull’altro versante, Lance dondolò le spalle, come se avesse voluto riempire più spazio di quello in cui si sentiva costretto. O sperando di dare più aria al cervello e fare fronte al vaghissimo rossore sulla punta delle orecchie.

« Sopravvissuto al cento per cento! Nuovi corsi: check. Nuovi compagni: check. Cibo della mensa - alzò il contenitore triste con una smorfia - … check. Ma cibo a parte, tutto noiosamente al solito. Anche se dal nostro dormitorio… perdonami, dal mio ex dormitorio, ci mettevo meno tempo a raggiungere le aule di mediazione » la frecciatina superò Shiro per beccare Keith, che roteò gli occhi e affondò di nuovo i denti nel sandwich. O quello, o una qualsiasi parte esposta della gola di Lance, con decisamente poca pietà e batticuore.

« Mmmh » Shiro, ignaro di essere seduto in mezzo a una guerra fredda, prese il suo tempo per fare mente locale. « In effetti Garnet Hall è a cinque minuti dal dipartimento di Lingue, mentre Sapphire Plaza è dall’altra parte, sbaglio? » concluse, portandosi la cannuccia del succo di frutta alle labbra.

Lance riuscì ad annuire nonostante lo sguardo si fosse incatenato a ogni centimetro del gesto, seguendolo con adorazione lampante - tranne che per l’interessato, seriamente rimuginante sulle distanze all’interno del campus.

Keith si trovò a pizzicarsi forte il ponte del naso con le dita, reprimendo uno Smettila! che premeva per essere urlato dal profondo della gola ora definitivamente chiusa al cibo. Finì col grugnire esasperato, attirando l’attenzione dell’amico.

« Ehi, tutto ok? Mal di testa? »

Keith sarebbe volentieri saltato fuori dalla propria pelle. L’ultima cosa che voleva era essere tirato in mezzo, ma non intendeva nemmeno lasciare i due da soli.

Chiedeva solo di godersi la pausa pranzo, ricaricare le batterie dopo una mattinata lenta e deprimente nella ripresa dei suoi corsi noiosi; da quando era tornato al campus dormiva poco e aveva sperato che Lance non prendesse sul serio la ridicola sfida sull’accaparrarsi per primo Shiro. Non era pronto al casino in cui si era cacciato, sapeva che sotto pressione avrebbe combinato qualcosa di cui si sarebbe pentito.

Ancora, adocchiò Lance come se fosse una calamita per lo sguardo, che lo stava scrutando a sua volta con le palpebre strette e indagatrici. Perché, tra tutti, lui? si chiede ancora demoralizzato.

« Sto bene » mugugnò, rigirandosi il panino tra le mani. « E tre minuti in più per arrivare a lezione non sono un motivo decente per lamentarsi »

« Cosa? Per tua informazione sono cinque minuti in più. Ho dovuto rivedere tutti gli orari di doccia e colazione! »

« Se ti fermi da Hot&Sweet ogni volta è matematico che arrivi tardi »

« Il mio metabolismo richiede energia sana per carburare »

« Sana!? Avrò visto quel santo di Hunk versare tre dosi di sciroppo più del normale su tutti i pancake che l’anno scorso gli hai chiesto di portarti! »

« Lo shiiiroppo d’acero fa bene alla salute! » e nel dirlo, ammiccò in direzione di Shiro, che corrugò la fronte senza cogliere l’allusione. Keith, con un verso strozzato, buttò la testa all’indietro, finendo col dare una capocciata al muretto ma senza sentire davvero dolore. Forse la soluzione era proprio fracassarsi la testa.

« Ci rinuncio! »

« Aha! » Lance saltellò sul posto trionfante, rovesciando parte del pranzo ancora intonso. « Ti arrendi? Dichiari la sconfitta!? » e nel dirlo, inclinò la testa verso la spalla di Shiro, anche se non sembrò spingersi a sfiorarla. Keith divenne un pezzo di legno all’istante, un pezzo di legno con lo sguardo lampeggiante che annunciava guerra.

« Voi due… » Shiro interruppe il loro contatto visivo, mettendosi in mezzo e spingendoli entrambi indietro con una mano ciascuno sulla spalla. Passò lo sguardo dall’uno all’altro cercando di capire quello che gli stava sfuggendo. « Che state combinando? Vi siete sfidati su qualcosa? »

« NO! »

Monosillabico e urlato all’unisono. Keith e Lance arrossirono incassando la testa tra le spalle. Il silenzio fu imbarazzante e totale, soprattutto lì in quel lato del parco del campus più isolato, lontano dai punti di aggregazione pieni di chiacchiere.

« Ok… o voi due nascondete qualcosa o davvero non andate d’accordo » convenne Shiro, un sorriso divertito nel dirlo, ignaro di essere l’oggetto della contesa.

« La seconda! »

Di nuovo, lo dissero insieme e Shiro scoppiò a ridere, facendoli sprofondare in un abisso di rossore.

« Shiro, piantala! Non c’è nulla di divertente » gemette Keith a braccia incrociate, serrate, intorno al petto, che, fedifrago, stava reagendo di più al colore assunto dalle guance di Lance.

A salvare la situazione fu lo squillo - Somewhere over the rainbow - di un cellulare.  

Keith aggrottò le sopracciglia verso la tasca di Shiro.  

« Hai cambiato suoneria? »

Ma Shiro era già balzato in piedi, la borsa a tracolla.

« No, no è… è la sveglia. Mi ero dimenticato che dovevo vedermi con Matt per un progetto » spiegò sbrigativo, grattandosi la nuca con le dita. « Scappo. Ci sentiamo più tardi, ok? E cercate di non scannarvi mentre non ci sono »

Neanche il tempo di una risposta e Lance e Keith rimasero a fissare la sua schiena sparire alla vista in appena tre falcate.

« Mi hai fatto passare l’appetito » si lamentò Lance, osservando la sua porzione di pasta alle polpette scivolata tristemente da una parte della vaschetta in plastica. Un ammonticchio di spaghetti collosi che avrebbe fatto passare la voglia di mangiare a prescindere.

« Io? Sei tu che sei piombato qui a disturbare »

Lance lo punzecchiò con la forchetta di plastica, ricavandoci solo di vederla spezzata nella presa ferrea del moretto. Lo guardò malissimo.

« Ti approfitti della vostra amicizia decennale per flirtarci! »

« Stavamo pranzando » se c’era una cosa che Keith odiava profondamente era l’effetto che Lance provocava alla sua voce, facendola risuonare scandalizzata anche sulle questioni serie.

« E vorresti negare che la situazione non ti faceva comodo!? Seduti vicini, lontano da sguardi indiscreti…! È un attimo che vi mettiate a imboccarvi a vicenda »

Lance si piegò in avanti, riempiendo la distanza che li separava per piantare gli occhi blu nei suoi e a Keith - che dovette ingoiare la rispostaccia - parve di tornare a una settimana prima, alla discussione più folle che avesse mai avuto.

Era ora che cominciasse a rispondere col fuoco o non sarebbe sopravvissuto ai continui attacchi di Lance.

« Punto numero uno, questo è il posto dove ci siamo sempre visti per mangiare, anche l’anno scorso! Secondo, Io non mi approfitto della mia amicizia con Shiro, quindi non tirarla in mezzo »

Lance si lasciò scappare una risatina. « Ne parli come se fosse qualcosa di solido » e mimò goffamente la presa su un oggetto. Gli servirono pochi attimi per interpretare l’espressione improvvisamente immobile di Keith e capire di aver fatto un’enorme gaffe.

« No, aspetta! Scusa, intendevo qualcosa, ecco, da- da toccare… nel senso- »

« Sei un idiota »

E Keith si alzò, piantando in asso Lance con due pranzi smangiucchiati.



 

°°°


- … e quindi ho combinato un piccolo casino. Non so mordermi la lingua quand’è il momento giusto, capite? Uff, mi dispiace, ok? Una canzone per rimediare, ok? Anche se sono sicuro che Mr Mullet acidoso non ascolti la radio del campus e questo è... va bene, basta, per oggi ho detto anche troppo! A voi la più bella canzone sull’amicizia!

 

… Some other folks might be
A little bit smarter than I am
Bigger and stronger too, maybe
But none of them will ever love you
The way I do, it's me and you, boy
And as the years go by
Our friendship will never die
You're gonna see it's our destiny
You've got a friend in me
You've got a friend in me
You've got a friend in me

 

°°°


(14:04) - La nostra canzone amico?

 

(14:06) - scusa hunk, ho combinato un piccolo casino con kitty boy

(14:06) - nn mi è venuto in mente nient’altro…

(14:06) - xò lui nn mi ha fatto spiegare!!

 

(14:06) - Nessun problema (Y)

(14:07) - Con Keith funzionano meglio le scuse di persona però

 

(14:07) - yep, tanto lo so che non la ascolta

(14:07) - la mia musica

 

(14:07) - Intendevo

(14:07) - Asp

(14:14) - È passata Pidge con una usb per te. Ti saluta

(14:14) - E dice che le devi due frappè e i biscotti di tua madre

 

(14:15) - OH! Vengo a prenderla appena finisco!

(14:15) - … i biscotti!!! IDEA!

(14:16) - Stasera via ai botti (e magari a una botta? *w*)

(14:16) - piano b per la conquista di Shiro!

(14:16) - e se non va, ho il piano c ora!

 

(14:17) - … Facciamo che non mi dici nulla, ok?

(14:17) - Ricordati di chiedere scusa a Keith, qualsiasi cosa sia successa

(14:21) - Lance!

 

(14:12) - yep, buddy


°°°

 

Nel frattempo Keith seppellì la testa tra le braccia, ignorando il lento e noioso discorso del docente.

Nell’orecchio, in cui era incastrata una cuffietta rossa, rimbombò prima la voce di Lance, con quel suo accento esotico per cui aveva sviluppato una dipendenza contro la propria volontà, e poi il motivetto di Toy Story.

Non riusciva più neanche a capire cosa gli stesse succedendo. Il collo gli si era scaldato, eppure allo stesso tempo in testa continuava a ripetere il nome di Lance seguito da epiteti molto poco carini.  

Perché i sentimenti non erano un organo fisico? Insomma, perché non poteva strapparseli di dosso come stava per fare con le sue orecchie?

Niente udito, niente voce di Lance e soprattutto niente scuse che sapevano così di… così…

 

… You're gonna see it's our destiny
You've got a friend in me...

 

Di friendzone. Che poi forse, ragionò dopo, la scelta della canzone era solo per parlare dell’amicizia che il cubano aveva insultato, non necessariamente un riferimento a loro due.

Anche perché loro non erano neanche amici
Se non era che aveva imparato a reprimere gli sbuffi sonori durante le lezioni - dopo essere stato cacciato dall’aula già due volte - Keith avrebbe esternato tutta quella situazione a modo suo.

Il supplizio della canzone fu interrotto sul finire dalla vibrazione di un whatsapp in entrata.

Dopo una rapida occhiata al professore voltato di spalle, Keith si chinò a leggere il messaggio.

 

Da: Marmora Club

Ciao Keith, sono Thace.

Sei rientrato al campus?

Se stasera sei libero ti aspetto.

Vieni un po’ prima.

 

La serata poteva ancora riservare sorprese.


°°°


« Hello, hello
Anybody out there? ‘Cause I don't hear a sound »

 

Lungo le pareti correvano in linee sottili tre gradazioni di luci led viola. Sui tavolini, i piccoli lumi erano schermati da vetrini dello stesso colore. Solo il bancone del bar era la zona con più illuminazione, con la scritta al neon No Guts No Glory sopra le file degli alcolici.

Tuttavia, quello che metteva a proprio agio Keith era la penombra, l’atmosfera sospesa, intima e privata. Le persone sedute ai divanetti, che a volte lo ascoltavano, altre lo ignoravano per il sottofondo che era, erano sagome con fisionomie delineate appena dalle strisce di luce, ma per il resto tutte uguali. Tutte con la pelle resa violacea dal riverbero.

 

« Alone, alone
I don't really know where the world is but I miss it now »

 

Si aggiustò sullo sgabello e tirò indietro le spalle. Le strofe lo carezzarono con un tocco non richiesto, avviluppandosi intorno alla bocca dello stomaco. Anche se conosceva le parole gli sembrava di cantarle per la prima volta. Si concentrò sul suono, sulla propria voce, chiuse le palpebre e le labbra fecero il resto.

 

« I'm out on the edge and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough

 

Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
Shadow, shadow
Is the only friend that I have »

 

Keith riaprì gli occhi, senza distrarsi dal ritmo del piano poco distante e dalla base nell’auricolare. Non guardò verso i tavolini, non guardò nessuno. Osservò il pavimento, di quel colore tendente al nero da confondere, e le strisce di luce che erano allo stesso tempo decorazioni e l’unica fonte per vedere all'interno del Marmora Club. A volte si perdeva a seguirle, come se lo potessero portare da qualche parte.

In due anni quel locale era cambiato fino a non essere più riconoscibile. Poteva misurarne il volume con gli occhi e trovarlo familiare, ricordare come su quello stesso palco si fosse consumato tutt’altro, come due anni prima la stessa oscurità in cui ora si trovava immerso piacevolmente lo avesse portato sull’orlo dell’autodistruzione.

L’equilibrio era più stabile, il margine di caduta era molto più distante di prima, un ricordo.

Ma non se ne era mai andato veramente.

Richiuse gli occhi.

 

« Listen, listen
I would take a whisper if that's all you had to give
But it isn't, is it?
You could come and save me and try to chase the crazy right out of my head

I'm out on the edge and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough

Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
Shadow, shadow
Is the only friend that I have »

 

Tenne l’ultima sillaba e la musica si gonfiò, come una bolla di ossigeno scampata al fondale per correre veloce verso la superficie. Inspirò profondamente nel breve stacco e sgomberò la mente con una volontà imparata nel tempo e nei giorni grigi. Allontanò ancora una volta quella vertigine serpeggiante che si legava a lui come un nastro di raso e lo tirava verso il ciglio. Aveva imparato a esternare tutto attraverso le note, la voce come mezzo con cui sfumare le emozioni negative e togliere loro peso.  

 

« I don't wanna be an island
I just wanna feel alive and
Get to see your face again

I don't wanna be an island
I just wanna feel alive and
Get to see your face again

 

But ‘til then… »

 

La base scese di nuovo. Colse le sagome, le ombre in un tutt’uno.

Ma stava bene. Davvero.

Continuava solo a osservare quel baratro da cui era stato tratto via. Si era allontanato, aveva ritrovato un posto suo, al sicuro. Quanti passi lo separavano però dal cadere di nuovo?

Abbastanza?

Perché continuava a fissare l’oscurità?

 

« Just my echo… my shadow »

 

Si umettò appena le labbra.


« You're my only friend and…

 

I'm out on the edge and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough

Cause my echo, echo
Oh my shadow, shadow »

 

Il suono del pianoforte si diradò, calando e scemando in punta di piedi.

Keith strinse il bordo dello sgabello con la sensazione di un vuoto intorno alle spalle, quella sensazione di un abbraccio finito che conosceva molto poco.

Riaprì gli occhi e i volti che quella sera costellavano il club erano privi di contorni definiti, e il palco era molto più largo del solito, tra loro, e così buio dove terminava.

Si aggrappò all’ultima nota.

 

« Hello, hello
Anybody out there? »

 

Ci furono applausi, molti più di quelli che ricordasse dall’ultima volta e che trassero Keith fuori da qualsiasi limbo in cui si era calato. La bolla d’aria scoppiò infrangendo la superficie e il respiro nei polmoni parve più fresco, rigenerante. Almeno per un po’.

Accennò un ringraziamento con la testa e un sorriso impacciato. Thace gli aveva suggerito in più occasioni di provare con un grazie pronunciato, ma la parola gli si incastravano in gola ogni volta.

Il pianista si complimentò con un assenso prima di riprendere a suonare un sottofondo per riempire il silenzio che seguì la fine dei complimenti. Keith lasciò il palco per infilarsi dietro la porta “Staff Only”, mentre la serata, frammentata di musica e chiacchiere, riprese.


« Ehi »

Thace lo accolse dietro il bancone del bar con uno dei suoi sorrisi che erano più occhi che angoli di bocca. Era uno sguardo che creava in Keith un misto indefinito, un tiepido calore avvolgente e l’idea nelle orecchie di un “ben fatto” pronunciato con quello che la prima volta gli aveva fatto pensare a come doveva essere detto da un padre vero.

Finendo di legarsi il grembiule, Keith rispose con un assenso del capo. Non era giusto dire che avesse la gola secca, ma più occlusa, come se le pareti della laringe fossero state tirate verso il basso dallo stesso nodo che sentiva al petto. Aveva ancora le note di Echo a rimbombargli nelle orecchie, eppure aveva anche l’idea di essere estraneo al proprio corpo, la mente proiettata ovunque ma non lì con lui.

« Questo lo offre la casa » e Thace spinse un bicchiere tumbler basso pieno un dito sotto l’orlo di un cocktail rosso, con un rametto di timo a spuntare dal bordo. I cubetti di ghiaccio cricchiarono nel movimento.

Keith lo guardò dubbioso.

« Io non bevo »

C’era qualcosa di divertito e paziente nell’espressione di Thace, che diceva Lo so, ti conosco.

« È analcolico »

Le gote del ragazzo si colorarono di rosa, ma il riverbero delle luci soffuse lo mitigarono nello stesso viola che pervadeva il resto del locale.

Il sapore dolciastro delle more e dei lamponi fu il primo a scivolarsi sulla lingua. La punta del limone arrivò come un retrogusto a chiudere la scena, una punta acidula attenuata dallo zucchero. Keith ne mandò giù un secondo sorso generoso, come un antidoto al groppo in gola. Il fresco del ghiaccio lo rilassò, ma si accorse che fu anche l’unica cosa rimasta nel bicchiere.

« Uhm… grazie » disse - e avrebbe voluto aggiungere un era molto buono.

Dall’espressione faceta con cui Thace distolse l’attenzione quando Keith si asciugò le labbra col dorso delle dita si capì che aveva colto il sottinteso senza problemi.

« Hai cantato con molta intensità. I clienti non avevano orecchie che per la tua voce » esordì di nuovo, occupato a preparare un’ordinazione.

Keith si perse a seguire i movimenti precisi con cui misurò e mescolò gli ingredienti del cocktail, piuttosto che elaborare l’osservazione. A Thace non sfuggì. « Un’estate lunga? O c’entra il ragazzo di cui mi hai confessato l’ultima volta che ci siamo visti? »

Colpito.

Lo sguardo di Keith saetò altrove, le labbra, gli zigomi e la fronte piegate in un’espressione combattuta tra un’infelicità generale e un marcato disappunto personale. Da quanto era diventato così sentimentale?

Quando arrivò a passarsi le mani sulla faccia, Thace capì di aver non solo colpito ma anche affondato. Ma prima di incalzare una seconda domanda attese che fosse il ragazzo a parlare.

« … riguardo quel mio… sfogo - e arrossì ancora, fissandosi le punte delle scarpe eleganti - non ero molto… in me »

L’ultima settimana della fine del primo anno era stata la più lunga e pesante (e calda) per Keith. Esami, impegni e un gomitolo di sentimenti intrecciati senza logica lo avevano portato all’ultimo giorno di lavoro al Marmora ad avere una crisi di nervi senza precedenti, a chiudersi nella stanza dello staff mezzo svestito e meditare con la faccia tra le dita su cosa avesse fatto di male nella vita per innamorarsi di Lance McClain.

La scena era così assurda che l’imbarazzo era scivolato da parte, tra un grugnito di Antok e la concisa esortazione di Kolivan, il proprietario del club, a parlarne con qualcuno. Che era suonato più come un imperativo categorico che un consiglio mirato.

E Thace era venuto a cercarlo al momento giusto. O sbagliato, a seconda dei punti di vista. Così ora era anche l’unica persona a conoscenza del suo problema - come si ostinava a definirlo Keith.

Nemmeno Shiro ne sapeva nulla, più per una questione di tempistiche e poi di strenua negazione dell’evidenza da parte di Keith. Meno ne parlava, meno ci pensava, più aveva idea che il problema si sarebbe prosciugato, rinsecchito fino in ultimo a sgretolarsi in polvere.

Sfogarsi con Thace era stato un incidente di percorso. E il fatto che ogni tanto un pensiero su Lance diventasse assillante quanto il soggetto stesso e lui sentisse il bisogno di buttarlo fuori con l’unica persona testimone del suo disagio, era solo un istinto da sopprimere come tutto il resto. L’unica cosa in cui fosse riuscito fino a quel momento era tenere segreto il nome di Lance. Pronunciarlo era un tabù. Pronunciarlo significava dare una nuova scossa di defibrillatore al sentimento che strenuamente cercava di soffocare.

Si era preso una sbandata per Lance, ma sarebbe tornato sui propri passi presto o tardi.

La sfida partita tra loro due sulla conquista di Shiro - e rabbrividì di nuovo al pensiero - era un altro maledetto incidente di percorso. Non c’entrava nulla con i suoi sentimenti o su come il petto diventasse di cemento ogni volta in cui li coglieva vicini - o li immaginava vicini. Si ripeteva che avevano passato un anno come compagni di stanza, che il loro modo di interagire fosse dettato da un’intesa dovuta alla convivenza. Shiro non ricambiava Lance. Non poteva ricambiare Lance.

« Ragazzo, ti fuma la testa »

La voce di Thace lo riportò coi piedi per terra. Si tolse le dita dai capelli come se avesse preso la scossa, e poi ce le ripassò per darsi una sistemata. Aveva finito con l’estraniarsi e farsi incastrare di nuovo dai fili dei suoi sentimenti. Guardò Thace e sentì addosso il suo sorriso incoraggiante. Parlò prima di realizzarlo.

« È un cretino. Continua a insistere su questa storia della stanza! Dice che gliel’ho fregata quando è lui il cretino che non scrive le preferenze sul compagno di dormitorio! Di una cosa importante come quello che è successo alla festa di inaugurazione del nuovo anno invece non ha detto… niente! Non ha detto niente. Neanche una sillaba. Credevo mi avrebbe… credevo fosse... arrabbiato, che volesse discuterne. Invece si è comportanto come se non gliene fregasse nulla. Forse è stata una cosa così ridicola per lui che l’avrà già dimenticata » il tono si era smorzato, infiacchito sulle sillabe. Un’espressione fugace, tormentata, gli strinse la linea degli occhi prima che riprendesse, preda di un secondo pensiero prepotente che ridiede verve alla sua voce. « Invece va in giro con la maglietta di Shiro e… - esalò, gli occhi spalancati e le mani scattarono di nuovo, gesticolando - e gli piace Shiro. A Lance piace Shiro. Non può succedere! Loro due non possono- loro non- »

La mano di Thace gli strinse la spalla. Per la seconda volta Keith tornò al presente, accorgendosi appena di aver farfugliato a ruota libera e gesticolato colpendo il bicchiere del cocktail, rovesciandolo ma senza fare danni.

Thace era accigliato, abituato a sentire i suoi clienti alticci incespicare nelle parole e profondersi in discorsi senza senso. Keith aveva la faccia di uno che si era rigirato nel grattacapo così tanto da rimanerne impigliato, sospeso e con le mani legate. Eppure la soluzione non era così lontana - o drammatica - come credeva. Iniziava con un nome.

« Quindi si chiama Lance »

Fu come accendere la luce in cucina e beccare un bambino con le mani nella biscottiera.

Keith raddrizzò la schiena e incassò la testa. Prima che potesse boccheggiare qualsiasi cosa, Thace riprese.

« Tra di voi è successo qualcosa? » era una domanda piana, ma suonò come un’affermazione che, se possibile, scosse ancora di più la corda precaria su cui il ragazzo cercava di camminare sospeso su una vasca di piranha con la faccia del cubano.

Le spalle di Keith si afflosciarono.

« Si… no » guardò un po’ ovunque, prima di tornare a fissare il barista. « Era ubriaco… »

La pazienza sembrava sconfinata nella figura di Thace, nonostante sospirò e lo ricambiasse con occhi che conoscevano bene i propri polli. « Gli hai chiesto cosa ricorda? »

Keith avampò tanto che per un attimo sembrò dovesse prendere fuoco in cima alla testa.

« Io e… - pronunciò Lance nella sua mente e fu abbastanza - lui non parliamo » le sue mani si mossero nell’aria come se avessero potuto mimare qualcosa che a parole non prese subito una forma concreta. « Non siamo… amici. Siamo… » e il fatto che non trovasse la definizione per concludere la frase lo sconfortò, facendolo riflettere su come in effetti lui e Lance non fossero un bel niente. « … al momento siamo rivali » disse infine con un prurito fastidioso tra le scapole.

Thace lasciò andare una risatina prima che Ulaz lo richiamasse al lavoro.  

« Rivali in cosa? » ripeté divertito, tornando alle ordinazioni. « Mi darai i dettagli più tardi. Tieni »

Keith fu grato del vassoio che gli fu messo tra le mani e della sollecitazione a portare le bevande dall’altra parte del locale.


°°°


Keith si fermò davanti la guardiola, esibendo il tesserino studentesco e beccandosi da parte del custode uno sbadiglio e un gesto che lo sollecitava a muoversi.

Era l’una e le uniche luci accese del dormitorio erano quelle di cortesia e dei segnali “uscita di emergenza”.

Salì i due piani per il corridoio della sua stanza accompagnato solo dal rumore dei suoi passi e dei portachiavi che sbatacchiavano a ritmo. Ogni tanto c’era qualche chiacchiera sommessa o un forte russare oltre le porte chiuse, ma nulla che minasse i suoi pensieri.

In testa aveva sprazzi di riflessioni, ma così a bassa frequenza, dato il sonno, che per quanto ne cogliesse qualcuna, il significato scivolata via al gradino successivo. Stava cercando di ricordarsi gli orari delle lezioni dell’indomani, e insieme le parole di alcune canzoni, ma la verità era che voleva affondare la faccia nel cuscino e lasciar perdere tutto. Soprattutto la voce di Lance nella testa. Gli sembrava di sentirla sempre e ovunque.

Fu davanti la porta della camera, mentre rovistava alla ricerca della chiave, che il suo istinto lo svegliò.

Crucciando la fronte davanti alla lavagna appesa sull’uscio - dove qualcuno aveva corretto la scritta “The boys are back, Shiro & Keith ← usurpatore!”, sicuro a opera di un insospettabile ragazzo cubano - l’udito colse dei mormorii e vaghi movimenti. Il cigolio di un letto e toni soffocati.

Stralunato dalla stanchezza, la chiave ferma a mezz’aria, Keith stette imbambolato a registrare le informazioni, quando un urletto troncato a metà lo fece scattare sul posto.

Lance.

Era davvero la voce di Lance. Non lo stava immaginando. Proveniente dalla camera sua e di Shiro.

Fu talmente rapido a spalancare la porta che neanche si rese conto di aver infilato la chiave. Qualsiasi mormorio tacque, ma la camera era completamente al buio, fatta eccezione per un barlume artificiale dal lato di Shiro. Dal letto di Shiro.

E due facce lo fissarono ricambiando la medesimo sorpresa sul suo viso.

Keith accese la luce, impietoso.

Lance, sempre il più rumoroso, imprecò strizzando gli occhi, mentre Shiro se li coprì con il dorso della mano.

Il Che state facendo!? si impigliò nelle corde vocali di Keith quando constatò che i vestiti erano al loro posto, addosso ai due. E che i due stessero sopra le coperte, apparentemente solo intenti a guardare qualcosa dal portatile. Già questo bastò a decelerare un poco il tumulto che aveva nel petto.

« È tornato l’unno! » borbottò Lance con ancora gli occhi strizzati per la troppa luce, le braccia incrociate e l’aria indignata di una dama. Il filo di una cuffietta partiva dal suo orecchio sinistro e si incontrava con quello che scendeva dal destro di Shiro. Quest’ultimo mise in pausa qualsiasi cosa stessero vedendo, risistemandosi più dritto sul letto.

« Che state facendo? » sbottò in fine Keith, incerto se fissare il compagno di stanza o chi lo accusava di essere un “usurpatore”. Era l’una di notte e quei due stavano vedendo un film? Seriamente? Perché stavano vedendo insieme un film?

« Stavamo continuando una serie che avevamo interrotto l’anno scorso » spiegò Shiro, rispondendo direttamente ai suoi silenziosi dubbi. « Mi sono dimenticato di avvertirti » aggiunse, togliendosi la cuffietta dall’orecchio, per poi guardarlo da capo a piedi, curioso. « Tu invece dove sei stato? »

Nonostante l’occhiataccia indispettita di Lance non lo abbandonasse, Keith sentì le gambe tornare a rispondergli  dopo il falso allarme; si mosse, chiudendosi la porta alle spalle e buttando lo zaino sul proprio letto. Improvvisamente si sentiva arrabbiato, messo da parte.

« Al Marmora » replicò con una nota rigida mentre si toglieva la felpa leggera, rimanendo con uno smanicato nero la cui stampa era così rovinata che si capiva a malapena il nome della band. « Mi sono… anch’io mi sono dimenticato di avvertirti » borbottò trafficando per liberare le lenzuola dai libri e dalle altre cose buttate a caso. Sentiva gli sguardi di entrambi sulla schiena ma l’ultima cosa che voleva era rivolgere loro lo sguardo e rischiare che capissero i pensieri che aveva per la testa. Tutti e due erano bravi in questo, Shiro perché lo conosceva da una vita, Lance perché era una delle persone più empatiche che conoscesse, quando non era un cretino.

Fu proprio quest’ultimo a schiarirsi la gola e rimarcare la propria presenza. Le spalle di Keith guizzarono involontariamente.

« Noi stavamo finendo di guardarci Doctor Who, prima che ci interrompessi »

« Chi? »

Lance scimmiottò il suo chi con una mano a mo’ di becco e come se fosse la risposta più ovvia si indicò la maglia con la scritta I’m just a Mad Man with a Box e il disegno di una vecchia cabina blu.

L’espressione disorientata di Keith parlò per lui e Shiro, spostandosi sul bordo del letto oltre Lance, sorrise un po’ imbarazzato. Anche lui aveva una maglietta a tema, nera, con scritto Bad Wolf in un carattere che colava imitando della vernice fresca su un muro.

« È una serie tv inglese sulla fantascienza. L’anno scorso l’abbiamo interrotta prima per gli esami e poi per via dell’estate, ma è… bella. Ti prende » sembrò non trovare il termine giusto con cui descriverla, le gote accennate di rosa acceso.

« E stavamo finendo un episodio piuttosto creepy prima che piombassi a disturbarci. Hai spezzato tutta la suspance! Gli angeli stavano per attaccare Amy! »

Keith lo ascoltò a metà, preferendo per una volta dare retta alle proprie priorità. Sentì le parole nascergli dal fondo dello stomaco prima che dalla testa.  

« Scusa tanto se sono tornato in camera mia »

Lo sguardo di Lance si assottigliò.

« Quindi lo ammetti! »

« Che è la mia stanza? Sì! E sono stanco, voglio andare a dormire. Conosci l’uscita »

« Sei un ladro di cam- »

« I toni » la voce di Shiro, più profonda, li ammonì e li quietò all’istante. Era pur sempre mezzanotte passata. « Lance, finiamo un’altra sera, va bene? Non avevo visto l’ora » e nel dirlo abbassò definitivamente lo schermo del portatile per poi alzarsi e sistemarlo sulla propria scrivania.

Lance fissò malissimo Keith, mimandogli con le labbra sei un guastafeste. Il moretto era ancora troppo sulle spine per la vicinanza tra loro due, per come si muovevano a pochi centimetri ma senza urtarsi, come se conoscessero bene lo spazio l’uno dell’altro. Con la testa così fissata non riuscì a elaborare una contro-risposta e finì solo con l’incrociare le braccia al petto e accennare di nuovo all’ospite la porta.

Lance terminò di risistemarsi, agguantò la propria borsa a tracolla e si accinse a uscire. Guardò solo Shiro, con un sorriso complice che non includeva neanche per sbaglio Keith.

« Devo sapere che cosa sta combinando River, non facciamo passare troppo tempo, ok? »

Shiro ricambiò l’attenzione con un’espressione che parve riflettere quella di Lance, come due amici e un qualcosa solo loro.

« Contaci. Buonanotte »

« ‘Notte! »

E la porta si chiuse mentre Keith veniva fulminato dalla consapevolezza di non aver mai tenuto conto del rapporto che poteva esserci tra Shiro e Lance dopo un anno passato a condividere la routine del dormitorio.

Erano stati compagni di stanza per un intero anno. Avevano dormito, studiato, mangiato insieme… non potevano essere semplici conoscenti.

Il sonno gli passò quasi del tutto, sostituito da vocine insistenti che per tutta la notte rimarcarono l’ovvio, ossia che se il cubano si era preso una cotta per il più grande, qualcosa poteva essere successo.

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