Hoginery di Soul Mancini (/viewuser.php?uid=855959)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You're gonna make me delirious ***
Capitolo 2: *** I have to meet you ***
Capitolo 3: *** Try her philosophy ***
Capitolo 4: *** They take me away ***
Capitolo 5: *** Try to fly ***
Capitolo 6: *** Borrowed Dreams ***
Capitolo 7: *** Such a lonely day ***
Capitolo 8: *** Pizza ***
Capitolo 9: *** It's party time! ***
Capitolo 10: *** Accidents happen... ***
Capitolo 11: *** Stay away from me ***
Capitolo 12: *** Shelter all our dreams ***
Capitolo 13: *** Pre-flight delight ***
Capitolo 14: *** Of fun and friendship ***
Capitolo 15: *** Mad! ***
Capitolo 16: *** Shooting on your world ***
Capitolo 17: *** The line I choose ***
Capitolo 18: *** If you want the answers ***
Capitolo 19: *** Can you break out ***
Capitolo 20: *** You can't tell me that I'm wrong ***
Capitolo 21: *** Living and born in Paradise ***
Capitolo 22: *** Looking for some help ***
Capitolo 23: *** Everybody dance ***
Capitolo 24: *** Darts screach ***
Capitolo 25: *** My crew is ready now! ***
Capitolo 26: *** Come close to me ***
Capitolo 27: *** Invitation to peace ***
Capitolo 28: *** Feeling scared ***
Capitolo 29: *** Shatter fears ***
Capitolo 30: *** Before you know ***
Capitolo 31: *** We need to laugh and sing and cry ***
Capitolo 32: *** Always changing ***
Capitolo 33: *** The road will be long ***
Capitolo 1 *** You're gonna make me delirious ***
ReggaeFamily
You're
gonna make me delirious
Scars
On Broadway - Serious
♫ Daron
♫
“Acqua”
farfugliai con la gola completamente secca. Ero talmente stanco e
stravolto che mi reggevo in piedi a fatica. Era sempre così
dopo un concerto: finché stavo sul palco non mi rendevo conto
del mio limite, mi pareva di non averne, ma quando mi ritrovavo nel
backstage all'improvviso la stanchezza mi piombava tutta addosso.
Serj,
sereno e quasi per niente affaticato, mi porse una bottiglietta
d'acqua e ne recuperò una anche per sé.
Dopo
aver tracannato quasi mezzo litro d'acqua in un solo colpo, mi voltai
verso il cantante e biascicai, ancora in preda al fiatone: “Com'è
che tu non sembri un reduce di guerra?”
“Eh?
Perché ti mangi le parole?” ribatté lui,
lanciandomi un'occhiata perplessa.
“Perché
ho fame!” Sbuffai dal naso, spazientito, e mi accinsi a
recuperare l'altra maglietta che avevo appresso per potermi cambiare;
di passaggio presi un tiro dalla canna che Shavo, senza perdere
tempo, aveva già preparato e acceso.
Ero
contento di aver suonato a Los Angeles con i System Of A Down;
avevamo ripreso da poco a esibirci insieme dopo il periodo di pausa e
la maggior parte delle date fino ad allora era stata in Europa. Poi
un noto locale della nostra città, il Troubadour, ci
aveva chiamato per un live in onore del nostro nuovo tour. Eravamo
stati i big della serata; infatti una serie di band emergenti o già
affermate nella scena musicale losangelina aveva aperto il nostro
live.
In
realtà non sapevo chi fossero e che genere suonassero gli
altri gruppi, dato che avevo passato tutto il tempo rintanato nel
backstage o nei camerini e non avevo fatto caso alla loro musica.
“Pronto
per i fans?” mi domandò Shavo con aria esausta.
Anche
il bassista, dopo qualche minuto, mi aveva raggiunto con un cambio in
mano.
“I
tizi della security hanno detto che non faranno passare nessuno”
tagliai corto, asciugandomi il viso e i capelli fradici di sudore.
“E
tu ci credi?” Shavo aveva accennato una risata mentre
pronunciava quelle parole.
“No,
l'ho detto giusto per tirarci un po' su di morale. Io non ne ho
voglia...” mi lamentai.
Ero
grato ai miei sostenitori per tutto il calore che regalavano a me e i
miei amici, ma l'ultima cosa che desideravo appena sceso dal palco
era essere sommerso di abbracci, foto e strilli; mi veniva un
terribile mal di testa solo al pensiero di sentire il mio nome
riecheggiare, passare per le voci di tutte le persone che mi
avrebbero circondato, e dover dare attenzione a tutti. In genere
questo fatto non mi creava grandi problemi, ci avevo fatto
l'abitudine, ma il momento appena dopo un'esibizione per me era
sacro: tendevo a chiudermi in me stesso e a essere intrattabile.
Così,
mentre il mio amico si dirigeva nuovamente dagli altri, io decisi di
trattenermi ancora qualche minuto nel camerino, costruendomi una
canna e cercando di rilassarmi il più possibile.
Quando
mi decisi a tornare nella grande sala appena dietro il palco, notai
subito qualcosa di strano: Serj e John stavano intrattenendo una
conversazione con una ragazza dai capelli castano chiaro legati in
una crocchia.
Un'altra,
quasi identica a lei ma leggermente più bassa e più
formosa, girovagava per la stanza come una trottola, aggirando i
divanetti disseminati sul pavimento con un vassoio di polistirolo in
mano.
Eravamo
soli con loro.
“Daron,
sei completamente pazzo!” mi apostrofò subito passandomi
accanto, come se la nostra conversazione fosse cominciata già
da qualche minuto e lei stesse commentando qualcosa che avevo detto o
fatto.
Trovai
strano che una fan mi si fosse rivolta in quel modo, non mi aveva
neanche salutato e non sembrava granché turbata dalla mia
presenza. Ero confuso.
Mi
strinsi nelle spalle. “Lo prendo come un complimento”,
poi rivolsi un'occhiata a Shavo: “Ma non avevi detto che non
avrebbero fatto entrare nessuno?”
“Ehi,
ti faccio notare che io sono un membro di una delle band che ha
suonato prima di voi, ho tutto il diritto di stare qui! Volete
qualcosa da mangiare?” esclamò la ragazza, piazzandosi
di fronte a me e al mio amico con un sorriso appena accennato e il
vassoio proteso verso di noi; dopo una breve occhiata notai che
conteneva vari dolcetti e stuzzichini salati alquanto invitanti.
In
quello stesso istante il mio stomaco brontolò e fui
immensamente grato a quella strana ragazzina. Tuttavia in quel
momento non ero dell'umore giusto per dimostrarglielo.
Aggrottai
le sopracciglia, sempre più sbalordito. “Ah. Cosa stiamo
festeggiando?” mi informai, afferrando distrattamente qualcosa
e mandandola giù senza neanche assaporarla.
“Mmh...
boh, stiamo festeggiando un concerto, nulla in particolare. O il
Natale in anticipo, vedi tu!”
“Ti
dispiace se accetto? Potrei mangiare anche il vassoio” commentò
Shavo esaminando con attenzione gli spuntini, indeciso su quale
scegliere.
“Se
mi dispiacesse, non te li avrei neanche offerti!” lo rimbeccò
prontamente lei in tono ovvio con una scrollata di spalle.
Esuberante
la ragazza! Cominciava a starmi simpatica e allo stesso tempo la
trovavo troppo simile a me.
Cominciai
a scrutare la mia interlocutrice con più attenzione: indossava
un maglione bordeaux leggermente largo, un paio di semplici jeans e
delle scarpe da tennis bianche; i capelli ondulati le ricadevano
sulle spalle e le scendevano fino alla vita.
Afferrai
un altro stuzzichino e presi a osservare l'altra ragazza, quella che
parlava con gli altri due membri della band. Sicuramente le due erano
sorelle perché si assomigliavano tantissimo: l'unica
differenza stava nella sfumatura dei capelli, che nella mia
interlocutrice tendevano leggermente al rosso, e la statura.
“Buona
questa roba! Dove l'avete presa?” commentò Shavo,
contemplando l'ennesimo cupcake in miniatura che stava per azzannare.
“Li
abbiamo preparati io e mia sorella! Ti piacciono? Non immagini il
casino per ottenere quella forma: non siamo riuscite a trovare degli
stampini così piccoli e ci siamo dovute ingegnare, infatti
sono orribili! Ma chi se ne frega, l'importante è il sapore,
no?”
“Io
non ho sentito nemmeno quello” ammisi.
Gradualmente
mi stavo aprendo alla conversazione e stavo cercando di mettere da
parte la mia riservatezza. O forse era solo uno dei miei soliti
sbalzi d'umore, chissà.
Lei
scosse la testa e mi mollò una pacca sul braccio.
“Avvicinatevi, così offro da mangiare anche a loro!”
ci invitò poi, avviandosi dagli altri e facendo cenno di
seguirla.
Io
e Shavo ci lanciammo un'occhiata perplessa e obbedimmo. Quando fui
accanto a Serj, mi lasciai cadere sul divanetto alle mie spalle e
allargai gambe e braccia in modo da occuparlo tutto.
Era
una situazione surreale: le due sorelle interagivano con noi come se
ci conoscessero da anni e non avessero fatto altro che parlare con
noi fino ad allora, eppure le avevamo conosciute solo quella sera.
Presi
a osservare Shavo e quella tizia. Mi sorpresi della differenza
d'altezza tra i due; lei forse non superava il metro e
sessantacinque, il bassista la sovrastava di almeno venti centimetri.
Mi ritrovai a ridacchiare da solo senza motivo... probabilmente per
effetto dell'erba.
“Buonanotte
Daron!” esclamò lei notando la mia posizione, mentre
John la ringraziava per essere stata così gentile da averci
portato uno spuntino.
“Come
ti chiami?” le domandò Shavo.
“Johanna.
E lei è la mia gemella Ellie. Ve la presenterei, ma ora mi sa
che ha preso a parlare di cose di musica e pianoforte con Serj e chi
la ferma più?” spiegò, abbandonando il
contenitore di polistirolo ancora mezzo pieno in una poltroncina poco
distante e occupando lo spazio ridotto rimasto accanto a me.
Notai
infatti che Ellie era completamente assorbita dalla conversazione e
le brillavano gli occhi, mentre Serj gesticolava e sproloquiava con
passione come al solito e John ascoltava con interesse, intervenendo
ogni tanto.
“E
avete suonato prima di noi... quindi siete un duo?” indagò
ancora Shavo. Il mio amico aveva la curiosità di un bambino e
tra tutti era quello che sapeva maggiormente come prendere i fans e
le persone che incontravamo in giro.
“In
realtà no, abbiamo altri due pazzi invasati come noi alla
chitarra e al basso, ma non sono voluti venire qui perché non
hanno le palle di rivendicare il diritto al backstage. Io suono la
batteria ed Ellie è la cantante; suona anche le tastiere e il
pianoforte, ma non nel gruppo.”
Johanna
parlava in tono allegro ed entusiasta e spolverava ogni frase con una
punta di ironia. La inquadrai come una dal carattere forte; sembrava
avere sempre la battuta pronta, glielo si leggeva negli occhi. Mi
colpì molto il fatto che fosse struccata, come se anche in
quel modo volesse mostrarsi per quello che era, senza veli, in
maniera diretta e schietta.
“Ciao
ragazzi, scusate se non vi ho salutato! Piacere, Ellie”
intervenne a quel punto l'altra, tendendo la mano prima a me e poi a
Shavo. Mi accorsi subito che lei, rispetto a sua sorella, aveva un
atteggiamento più dolce e contenuto, nonostante l'allegria e
l'energia che sprigionava.
“Ciao
cantante” la salutai con un sorriso. “John, qui c'è
materiale per te!” attirai poi l'attenzione del batterista,
accennando con il mento a Johanna.
“Il
cibo o la ragazza?” scherzò lui.
“Guarda
com'è serio quando fa le battute” commentò
Johanna, scambiando un'occhiata divertita con sua sorella.
“Because
you're too serious, you're gonna make me delirious”
canticchiai, allungando un piede per dare dei piccoli calcetti al
batterista.
Mi
ero preso quell'abitudine quando avevo composto Serious per il
cd con gli Scars On Broadway: quando qualcuno risultava troppo serio
per i miei gusti, lo apostrofavo con il ritornello di quella canzone.
John
mi ignorava deliberatamente, così gli tirai un calcio più
forte senza smettere di sghignazzare e dissi: “Parlavo della
ragazza che è una batterista come te!”
La
diretta interessata scoppiò a ridere di gusto. “Grazie
chitarrista, quel come te mi ha davvero onorato, ma non credo
proprio di essere all'altezza!”
Io
intanto ero entrato in una di quelle fasi in cui dovevo e volevo per
forza risultare irritante e disturbare qualcuno. La presenza di
quelle due tizie mi aveva irrimediabilmente portato sulla via del
vaneggio, non era colpa mia!
♫ Johanna
♫
Non
avrei mai creduto che i System fossero così simpatici e
disponibili; me li ero sempre immaginati un po' snob, forse perché
erano tanto famosi. O forse bisognava solo saperli prendere e
trattarli come delle semplici persone.
E
così, appollaiata su un divanetto accanto a Daron, avevo preso
a chiacchierare con John di ritmi e tecniche della batteria. Io lo
ammiravo tantissimo e di sicuro era incluso nella lista dei miei
batteristi preferiti, ma cercai di non far emergere troppo questa
cosa per non metterlo in soggezione.
“Ho
studiato anche percussione araba su vari strumenti: infatti
l'apertura del nostro live è un mio assolo con la darbuka”
stavo raccontando con passione, come mi capitava sempre quando la
finivo a parlare degli strumenti che suonavo.
Intanto
Daron stava blaterando e importunando Serj. Non sapevo quale strana
forza divina mi trattenesse dal rivoltarmi e buttarlo giù dal
divanetto.
“Davvero?
Anche io sono influenzato dai ritmi arabi, sai? Solo che io li suono
sulla batteria!” esclamò John entusiasta.
“Aspetta
un attimo.” Mi sollevai e corsi in un angolo, presi la mia
darbuka e feci appena in tempo a voltarmi per assistere a una scena
epica.
“Quei
due idioti che suonano con noi ci hanno chiesto di lasciare loro
qualcosa da mangiare, ma non se lo meritano, quindi aiutateci a
finire questa roba!” stava dicendo Ellie a Shavo.
Il
bassista si voltò verso Daron e gli chiese: “Ecco! Non è
che potresti allungare la tua manina per prendermi uno di quei
crostini con il pomodoro?”
“Ma
certo capo!” esclamò il chitarrista: afferrò ciò
che il suo amico gli aveva chiesto, poi gridò: “Odadjian,
al volo!” e glielo lanciò addosso.
Shavo
non fece in tempo ad accorgersi di ciò che stava capitando che
si ritrovò i tocchetti di pomodoro in faccia e il crostino ai
piedi.
Non
potei fare a meno di scoppiare a ridere, seguita da Daron e John.
“Daron
Vartan Malakian, considerati un uomo fottuto!” lo minacciò
il povero malcapitato, per poi avventarsi verso il chitarrista
pestifero. Ma Daron con uno scatto fu in piedi e riuscì a
sfuggire all'assalto; si appese poi a John e lo supplicò:
“Amico mio, ti prego: tu che sembri un armadio con i piedi,
proteggimi!”
John,
ancora in preda alle risate, se lo scrollò di dosso e ne
approfittò per occupare il divanetto.
“Brutto
stronzo, quello è il mio divano!” si lagnò allora
Daron, esibendosi in una serie di smorfie che fecero scoppiare a
ridere me e mia sorella.
“No,
è del locale, a meno che non decidano di vendertelo. E poi chi
alza il culo perde il posto!” replicò prontamente il
batterista.
Io
e Serj ci scambiammo un'occhiata esasperata e io mi avvicinai a lui.
“Ma cos'è che ti ha spinto a tornare con questi qui dopo
tutti quegli anni di pace?”
“Non
lo so, forse l'istinto paterno! Su bambini, tutti seduti composti con
le braccia conserte!” esclamò il cantante, battendo le
mani per attirare l'attenzione degli altri.
“Cos'è?”
mi domandò Daron curioso, indicando la custodia in similpelle
che stringevo tra le braccia.
“Una
darbuka!” Mi tuffai nel divano accanto a John e portai fuori il
mio strumento con cura. Daron occupò il bracciolo del divano
accanto a me mentre Ellie quello dalla parte del batterista.
Shavo
nel frattempo si puliva il viso con un fazzoletto.
“Cosa
suono?” chiesi, guardandomi attorno.
Il
fatto di essere al centro dell'attenzione e avere i membri dei System
Of A Down come pubblico mi metteva addosso un'agitazione mai provata
prima, ma cercai in tutti i modi di non darlo a vedere. Solo Ellie in
quel momento capiva come mi sentivo: io e lei condividevamo la
passione per la musica di quei quattro ragazzi e per noi quello era
un momento importantissimo.
“Perché
non suoni l'assolo di introduzione dei vostri concerti?” mi
suggerì John con un sorriso incoraggiante.
Avevo
uno strumento a percussione in mano e stavo per suonare di fronte a
John Dolmayan. Non ci dovevo pensare: puntai lo sguardo su mia
sorella.
Le
mie dita presero a muoversi sullo strumento senza che me rendessi
conto: avevano ormai imparato quel codice segreto che solo io e la
mia darbuka conoscevamo e lo rispettavano senza che io lo decidessi.
E
fu magia.
♪ ♪ ♪
Ciao
a tutti!!! ^^
Visto
che ultimamente bazzico spesso in questa categoria e l'ispirazione ha
deciso di bussare alla mia porta, eccomi a pubblicare il primo
capitolo della mia long sui System Of A Down! Sono davvero
contentissima di poter dare una mano per ripopolare questa sezione
che tanto amo! *-*
Allora,
che ne pensate di quest'inizio? Vi piacciono Johanna ed Ellie? ;)
Sono
qui anche per spiegare un paio di cose: la storia è
ambientata, almeno per il momento, a fine 2010; non so di preciso
quando i System abbiano ricominciato a suonare dopo la pausa, ma mi
pare di ricordare fosse in questo periodo.
Tutti
i riferimenti ai loro futuri concerti e spostamenti saranno
inventati, in quanto ho deciso di non seguire il loro vero tour per
questioni legate alla trama :)
Il
Troubadour esiste davvero, è un locale in cui si sono esibiti
molti artisti rock. Non so bene come sia e mi sono divertita a
immaginarmelo!
Poi...
la darbuka è uno strumento a percussione diffuso soprattutto
in Nord Africa e Medio Oriente; è un tamburo che si tiene
orizzontalmente sulla coscia sinistra e si suona con entrambe le mani
in modi diversi (per i mancini ovviamente è al contrario :D).
Non voglio annoiarvi con lunghe descrizioni, vi consiglio di cercare
qualche foto su Google per farvi un'idea più chiara :P
Ultima
cosa: per il momento penso che posterò un capitolo un
mercoledì sì e uno no, anche se non vi prometto di
essere regolarissima in questo primo periodo, ma spero di riuscire a
conciliare tutti gli aggiornamenti delle mie numerosissime storie!!!
Penso
di aver detto tutto!
Ringrazio
chiunque sia giunto fin qui, chi lascerà una recensione e chi
deciderà di seguire questo mio esperimento di fanfiction! :3
Soul
♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** I have to meet you ***
ReggaeFamily
I
have to meet you
System
Of A Down - Innervision
♫ Ellie
♫
Avevo
sentito tante volte mia sorella suonare, ma vederla così
concentrata sulla sua darbuka davanti a un pubblico d'eccezione mi
riempiva il cuore di gioia; potevo quasi affermare di essere più
emozionata di lei e dovevo trattenermi per non scoppiare a piangere.
Johanna
aveva posato lo sguardo su un punto indistinto davanti a sé e
aveva assunto un'espressione seria, interrotta sporadicamente da
qualche smorfia. Adoravo le espressioni buffe che metteva su
inconsapevolmente in certi momenti, la prendevo sempre in giro per
questo motivo.
Io
avevo le guance leggermente arrossate, anche se non riuscivo a capire
il motivo; sorridevo come un'ebete e incrociavo lo sguardo dei
ragazzi, che mi lanciavano a loro volta occhiate entusiaste e
raggianti.
Non
potei fare a meno di ridacchiare quando notai Daron muoversi
leggermente a tempo, in equilibrio precario sul bracciolo dalla parte
opposta del divano.
Quando
Johanna terminò la sua performance, si levò un grido di
approvazione generale e il chitarrista, in preda all'euforia, le
mollò all'incirca mezza dozzina di pacche sulle spalle e sulla
schiena.
“Ehi
ragazza, mica male!” commentò John, annuendo
ripetutamente come per confermare le sue stesse parole.
Lei
fece spallucce e ringraziò, tentando subito dopo di
sdrammatizzare; in realtà quando i nostri occhi si
incontrarono capii subito che si trovava in imbarazzo e allo stesso
tempo non riusciva a credere a ciò che le stava capitando.
“I
vostri live devono essere davvero pazzeschi!” esclamò
Shavo dalla sua postazione in un divanetto vicino.
Mi
avvicinai a lui con un sorriso. “Allora è un peccato che
non abbiate assistito a quello di oggi, penso che un'occasione del
genere non ricapiterà più.”
“Eh
sì, ora mi avete incuriosito... ma non è detto che non
ci ritroviamo di nuovo da qualche parte, no?”
Serj,
che fino a poco prima aveva occupato il posto accanto a lui, si era
alzato per raggiungere gli altri; così ne approfittai e mi
sedetti.
“Shavo,
Los Angeles è grande, questa è la prima e ultima volta
che ci incontriamo” dovetti ammettere a malincuore. Poi un
pensiero mi balenò in mente e mi illuminai: “A meno che
il prossimo mese, a fine gennaio, non decidiate di venire a vederci:
abbiamo una data per l'inaugurazione di un nuovo locale, ora però
non ricordo come si chiama...”
“Uh,
avete un'altra data! Non lo so, sia io che i ragazzi abbiamo tanti
impegni e non è facile metterci d'accordo per uscire tutti
insieme, senza contare che dobbiamo essere discreti al massimo per
non essere presi d'assalto dai fans... ma spero di esserci.”
Non
potei fare a meno di sorridere, ma del resto da circa dieci minuti
non facevo altro. Era surreale sentirsi dire quelle parole da Shavo,
una persona che tra l'altro avevo conosciuto solo un quarto d'ora
prima.
“Basta,
io sono offeso!”
Il
grido di Daron interruppe la nostra conversazione; il chitarrista si
stava infatti dirigendo a passo di marcia nella nostra direzione con
un broncio teatrale e decisamente poco credibile.
“Oh,
che paura, ho scatenato l'ira di Daron Malakian!” ribatté
Johanna ironica, indirizzandogli una linguaccia.
“Non
scherzare con il fuoco, Johanna!” la ammonì lui in finto
tono minaccioso, posizionandosi sul bracciolo accanto a me.
Sentivo
chiaramente la sua presenza e la cosa mi metteva un po' a disagio:
Daron mi era da subito parso strano, non avevo saputo bene come
prenderlo e avevo notato in lui degli improvvisi sbalzi d'umore che
lo rendevano inquietante. In genere non avevo nessun problema ad
avvicinarmi agli altri, mi era stato detto che in certe occasioni
risultavo perfino sfacciata, ma con lui non sapevo proprio come fare.
“Ti
ho detto di chiamarmi Jo, razza di nano da giardino iperattivo!”
si rivoltò Johanna trattenendo a stento una risata.
Shavo,
al mio fianco, scoppiò a ridere e le mostrò entrambi i
pollici su in segno di approvazione.
“Scommetto
che tua sorella non è così stronzetta” borbottò
Daron, scrutandomi con la coda dell'occhio.
Mi
schiarii la gola, a disagio. “Dipende dai momenti e da come si
comporta la gente intorno a me. Può sembrare strano, ma quando
mi incazzo divento una iena.”
“Facciamo
una foto tutti insieme?” propose Johanna, salvandomi da quella
situazione complicata.
“E
noi che pensavamo di essercela scampata per una volta” scherzò
John, saltando prontamente in piedi.
“E
chi ce la scatta?” si domandò il bassista aggrottando le
sopracciglia.
“Io!”
si propose Daron.
“Ma
no, tu devi apparire nella foto!” obiettai.
Notai
che Serj, senza perdersi in chiacchiere, aveva intercettato un tipo
della security. “Ho trovato il fotografo” annunciò
poi.
In
maniera del tutto inaspettata, Daron afferrò il mio polso e si
alzò di scatto, strattonandomi leggermente. “Tutti in
piedi, tutti qui!” gridò, afferrando Serj per un braccio
e trascinandolo alla sua destra.
Shavo
finì tra me e mia sorella, mentre John si ritrovò alla
sinistra di Johanna. Tutti circondammo le spalle dei nostri vicini
con le braccia e formammo così un'unica barriera umana, simile
a un grande abbraccio fraterno.
Daron,
probabilmente in vena di fare il cretino, inclinò il capo
nella mia direzione e cominciò a ridacchiare. Qualche secondo
prima dello scatto strillò: “Adesso sorridete e dite: my
cock is much bigger than yours!”
“Oddio,
ma che abbiamo fatto di male?” sentii bofonchiare a Shavo.
“Non
ci interessano le sue dimensioni” lo rimbeccò mia
sorella.
“Daron,
le mie povere orecchie! Ti saresti almeno potuto girare se proprio
dovevi gridare, no?” protestai, fulminandolo con lo sguardo.
“Scusami
dolcezza” biascicò lui in tono mellifluo, rafforzando la
stretta del suo braccio attorno alle mie spalle.
Ero
confusa, c'era qualcosa che mi sfuggiva. Quel ragazzo era davvero
strano. Improvvisamente cominciai a desiderare che quel tipo della
sicurezza scattasse la foto al più presto per sfuggire al
contatto con Daron.
E
pensare che mezzo mondo avrebbe dato la metà dei propri organi
per essere al mio posto e avere l'opportunità di passare tutto
quel tempo con il chitarrista dei System Of A Down. Ma io ero
abituata a giudicare le persone in quanto tali, e lui a primo impatto
non mi aveva fatto una bella impressione.
“La
voglio vedere!” strillò Johanna dopo qualche istante,
correndo a recuperare il suo cellulare.
Mi
accostai a lei e sbirciai nello schermo: sei
espressioni incredibilmente stupide e allucinate mi si
materializzarono di fronte agli occhi e mi venne spontaneo
ridacchiare.
“D'accordo ragazzi,
ora è il caso che torniamo dagli altri prima che ci diano per
disperse! È stato un piacere passare un po' di tempo con
voi... aspetta, ma il basso di Noah?” fece mia sorella,
guardandosi attentamente intorno alla ricerca della custodia nera del
nostro amico.
“Quel basso che era
abbandonato qui? L'ho messo da parte perché nessuno lo
prendesse, non sapevo di chi fosse” venne in nostro aiuto Serj,
recuperando lo strumento da un divanetto posto in un angolo più
appartato. “E dite al vostro amico di stare più attento,
non si può mai sapere” aggiunse in tono apprensivo.
“Okay, sicuramente
stanno per arrivare anche i nostri tecnici. È stato un piacere
anche per noi!” Shavo si avvicinò a entrambe con un
sorriso radioso e ci strinse la mano.
Il bassista mi aveva fatto
da subito un sacco di tenerezza, era sempre così disponibile e
dolce! Mi ero trovata da subito molto bene con lui e l'idea di
perderlo totalmente di vista mi dispiaceva.
“Ciao e grazie per il
cibo” si limitò a proferire Daron con una pacca sulla
spalla.
“Ciao pazzoide”
ribattei, cercando di afferrare la sua mano; ma lui si era già
allontanato e, senza rendersene conto, aveva ignorato il mio gesto.
In quel momento notai John
che aveva posato una mano sulla spalla di Johanna e parlava con un
sorrisetto appena accennato; sicuramente si stava complimentando. Lei
annuiva in silenzio e stringeva forte tra le braccia la sua darbuka,
simbolo che stava accogliendo un parere positivo con umiltà e
anche un pizzico di imbarazzo, come al solito.
“Ellie.”
La voce di Serj mi fece
sobbalzare e mi sorpresi che si fosse ricordato il mio nome. Mi
voltai nella sua direzione e me lo ritrovai accanto.
“È stato un
piacere conoscerti. Io ti ammiro molto, sotto tutti i punti di vista”
confessai sinceramente, sperando di non risultare sciocca o
inopportuna.
Lui scosse leggermente la
testa e strinse la mia mano destra nella sua. “Mi raccomando,
continua a esercitarti nella musica. Tu e tua sorella non dovete mai
abbandonare la vostra passione, si vede che vi piace ciò che
fate e avete tutto ciò che vi serve per realizzare il vostro
sogno.”
“Grazie, sei troppo
gentile, davvero! Spero che tu abbia ragione, noi comunque non
getteremo la spugna tanto facilmente!” gli assicurai,
pronunciando quelle parole più per me che per lui.
Salutai anche John, poi io e
mia sorella seguimmo le indicazioni che i ragazzi ci diedero per
l'uscita sul retro, in modo che i fans deliranti non ci vedessero
uscire dal backstage. Effettivamente quella gente mi spaventava
parecchio e non volevo avere problemi con loro, alcune pazze
avrebbero potuto anche aggredirci perché eravamo state in
compagnia dei ragazzi.
“Jo, non ci posso
credere!” sussurrai in preda all'euforia mentre giravamo
attorno al locale per tornare dai nostri amici.
Fuori faceva freddo, ma io e
mia sorella non ce ne accorgemmo nemmeno. Eravamo avvolte da una
bolla di entusiasmo tale da non accorgerci nemmeno di ciò che
ci capitava attorno.
“Visto? Sono stati
grandiosi, tutto il contrario di ciò che pensavamo noi!”
“Hai suonato di fronte
a John... e lui ti ha fatto i complimenti!” Era come se me ne
stessi rendendo conto allora per la prima volta e avevo una voglia
matta di gridare e stritolare Johanna in un abbraccio.
“John mi ha colpito
molto per la sua curiosità. Insomma, non pensavo che si
sarebbe interessato tanto a ciò che gli dicevo.”
“È vero, ma
comunque sono tutti delle splendide persone. L'unico che mi ha
lasciato un po' basita è stato Daron: è strano forte
quel ragazzo” ammisi, esternando finalmente ciò che mi
ronzava per la testa da più di mezz'ora.
“Daron, quel
birbante... effettivamente è particolare, bisogna saperlo
prendere. Ma io ti ho visto parlare con lui, cos'è che non ti
è piaciuto?”
“Non lo so, è
lunatico!”
Ridemmo e mia sorella si
trovò d'accordo con me.
Ormai
ci trovavamo nei pressi dell'entrata del Troubadour: un gruppo di
persone era riunito sul marciapiede per fumare. Cercammo i nostri
amici con lo sguardo, ma non li trovammo e decidemmo di entrare.
Fummo subito avvolte dalle note di Innervision;
nonostante li avessimo appena visti in live e la cosa fosse stata
abbastanza sconvolgente, io non ne avevo ancora abbastanza ed ero ben
contenta di canticchiare quella canzone stupenda.
“Oh, finalmente! Ma
che stavate facendo là dietro, ve li siete portati a letto?”
esclamò Jacob, il nostro chitarrista, non appena ci
intercettò.
Lui e Noah si trovavano
presso il bancone e stavano intrattenendo una conversazione con una
ragazza piuttosto magra dai capelli rossi.
“Non avete idea di
cosa ci è successo! Non sapete cosa vi siete persi!”
cantilenavamo io e Johanna, saltellandogli attorno come due bambine.
“Ah, meno male che vi
siete ricordate!” intervenne Noah prendendo il suo basso dalle
mani di Johanna.
“Serj ha detto di
stare più attento ai tuoi strumenti, non si sa mai cosa
potrebbe capitare. Non ha tutti i torti: li lasci sempre in giro!”
Lui strabuzzò gli
occhi come se avessi appena recitato chissà quale rito
satanico. “Serj ti ha detto questo? Ci avete parlato sul serio?
Non dire stronzate!”
Così ci lasciammo
trascinare da un appassionante racconto e mostrammo loro la foto.
Eravamo talmente contente che parlavamo l'una sull'altra e non
riuscivamo a stare ferme.
“Oddio, la faccia di
Daron! L'avete vista la sua smorfia?” fece notare Jacob tra le
risate.
“Guarda l'espressione
rassegnata di John! Perché Daron stava dicendo fesserie e
sicuramente lui non ne poteva più di sentirlo blaterare,
poverino!” aggiunsi.
Dopodiché il nostro
chitarrista si avvicinò nuovamente alla rossa che per tutto il
tempo era rimasta impalata a sorseggiare il suo drink, così io
e Johanna rimanemmo in compagnia di Noah.
“Cazzo, se l'avessi
saputo sarei venuto con voi! Io pensavo che non li avreste nemmeno
incontrati! Comunque avete avuto un culo pazzesco, li avete beccati
soli soletti e avete potuto parlarci!” commentò il moro
felice per noi, ma con una punta d'invidia.
“Voi che avete
combinato nel frattempo?” cambiai discorso, nonostante non ne
avessi minimamente voglia.
“Abbiamo conosciuto
Sarah, la tastierista di un altro gruppo che ha suonato stasera.
Nulla di che, solite cose.”
“Ve la portate a letto
entrambi?” s'informò Johanna.
“Non mi interessa, è
Jake quello che impazzisce per le rosse.”
“Ti faccio notare che
Jake impazzisce per qualsiasi essere umano respirante di genere
femminile!”
Io
nel frattempo continuavo a intonare piano le ultime parole di
Innervision
e ascoltavo solo in parte la loro conversazione. Nel frattempo
ripensavo a quando avevo detto a Shavo del nostro concerto. Che
stupida ero stata: non gli avevo comunicato né il giorno
preciso né il nome del locale! Non c'erano speranze che i
ragazzi potessero assistere al nostro concerto.
Pazienza, sapevo che in cuor
mio non ci sarebbe stata comunque nessuna possibilità.
Tuttavia decisi di non
raccontare l'accaduto a nessuno, nemmeno a Johanna, con cui non avevo
segreti. Mi sentivo una stupida ad aver agito in quel modo e non
reputavo rilevante quel breve scambio di battute con il bassista.
♪
♪ ♪
Ciao
a tutti!!!
Io
sono contentissima che sia finalmente giunto il momento di aggiornare
di nuovo, sono molto curiosa di sapere le vostre reazioni nel leggere
i miei capitoli! *-*
Cosa
ne pensate di Daron e il suo atteggiamento da cretino? Di Jacob e
Noah non si sa ancora molto, ma vedrete che man mano che la storia
procede li conosceremo meglio! :)
Ringrazio
lettori e recensori per il preziosissimo supporto, spero che anche
questo secondo capitolo vi sia piaciuto e... non vedo già
l'ora di riaggiornareeeee!!! :3
A
presto e un abbraccio a tutti ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Try her philosophy ***
ReggaeFamily
Try
her philosophy
System
Of A Down - Suite-Pee
♫ Johanna
♫
Forse
la gente non aveva tutti i torti: era un peccato che avessi deciso di
non frequentare l'università, una laurea mi avrebbe di certo
dato tante possibilità di lavoro.
Ma
nonostante tutto non mi pentivo della mia scelta. Non avevo un'idea
precisa su cosa volessi dal mio futuro e avrei finito per scegliere
una facoltà a caso. Mi ero voluta concentrare sulla musica,
cosa c'era di strano?
Era
a questo che pensavo mentre mi preparavo per andare da Lindsay.
Quella
mattina, mentre io e mia madre facevamo la spesa nel market vicino a
casa, avevamo incontrato una vecchia amica di famiglia; lei
ovviamente si era informata su cosa volessi fare da grande e
aveva storto il naso quando le avevo spiegato la mia situazione.
“Questi sogni a occhi aperti non ti porteranno da nessuna
parte, se non ti cerchi un buon lavoro finirai per morire di fame”
aveva detto. Io mi ero dovuta trattenere per non portare fuori
qualche pungente frecciatina sarcastica; odiavo la gente così,
che pensava solo ai soldi e non si accorgeva dell'importanza delle
passioni. La vita era la mia e ne facevo quel che volevo, per quanto
sbagliato potesse essere.
Mi
sentivo dell'umore giusto per indossare la mia adorata felpa con la
scritta I ♥ MY DRUM; era nera con la scritta bianca e il cuore
rosso, me l'aveva regalata Ellie un paio d'anni prima per Natale.
I
capelli, come al solito, li lasciai sciolti sulle spalle.
“Ellie,
dove hai messo le chiavi?” gridai, vagando per la casa e
gettando occhiate in ogni angolo.
“Nella
ciotola, sul mobile dell'ingresso!” rispose lei dalla sua
camera.
Afferrai
il portachiavi che stavo cercando e, controllando l'orario, mi
precipitai verso la Ford rossa che io e mia sorella condividevamo.
Le
decorazioni natalizie per le strade di Los Angeles erano pazzesche e
mi sarei volentieri incantata a osservarle se non fossi stata in
ritardo come al solito e se non avessi dovuto lottare con il traffico
denso e claustrofobico.
“Jo!
Sei puntualmente in ritardo!” cantilenò Lindsay non
appena mi vide entrare in casa, correndo ad abbracciarmi e
pretendendo di essere presa in braccio.
Ecco
perché, dopotutto, ero soddisfatta del mio lavoretto da baby
sitter: amavo quella bambina! In genere non avevo molta pazienza, ma
lei era speciale ed ero contentissima quando sua madre, la signora
Waits, ,mi chiamava per passare un po' di tempo con lei.
“Smettila
di copiare le frasi degli altri!” scherzai, scompigliandole i
capelli.
“Ellie
te lo dice sempre: puntualmente in ritardo! Lo sai che oggi all'asilo
abbiamo dipinto con le mani?” raccontò la bimba
orgogliosa.
“Ma
non mi dire! Si vede, hai ancora un po' di blu sul naso!”
“Johanna,
sei arrivata! Okay, allora io vado! Oggi ho il turno fino alle otto,
quindi alle otto e mezza sarò qui. Per cena ordinate una
pizza, va bene?” intervenne la signora Waits, comparendo dalla
porta del soggiorno e precipitandosi di tutta fretta verso
l'ingresso.
“Perfetto,
grazie Sarah. A dopo, buon lavoro!” la salutai, mentre Lindsay
correva ad abbracciare la madre.
Una
volta sole, chiesi alla bambina: “Cosa ti va di fare oggi?”
“Mi
insegni ancora a scrivere?”
Lindsay
aveva solo cinque anni, ma da quando le avevo insegnato a scrivere le
lettere che componevano il suo nome aveva mostrato una voglia di
apprendere sorprendente. E io mi divertivo un mondo a insegnare!
Corse
a prendere il quaderno riservato alla scrittura e la sua scatola di
pennarelli, poi ci accomodammo attorno al grande tavolo del
soggiorno.
“Guarda,
ho scritto il nome di mamma!” Lindsay sfogliò le pagine
piene di scritte e scarabocchi fino a trovare ciò che cercava,
poi me lo mostrò con un sorriso soddisfatto.
“Brava
Lindy, è giusto! Adesso vuoi imparare a scrivere il mio?”
“Sì!”
accettò entusiasta, gettando le braccia in aria e afferrando
il pennarello rosso, il suo preferito.
Ma
ben presto incontrò qualche difficoltà nel scrivere la
lettera J e, dopo aver riempito due righe con quel simbolo per
cercare di riprodurlo in maniera corretta, si spazientì e
saltò giù dalla sedia.
“Dove
vai?” le chiesi.
Lei
recuperò un vecchio cellulare che era abbandonato tra i
cuscini del divano, poi corse da me e mi chiese: “La metti Try
her philosophy?”
Scoppiai
a ridere. Quella bambina era una metallara incallita: le avevo fatto
conoscere la musica che ascoltavo io e lei se n'era innamorata, tanto
che sua madre le aveva dato un vecchio telefono senza scheda
telefonica e un paio di auricolari per poter ascoltare le sue canzoni
preferite, che io le avevo inviato. Tra queste ce n'era qualcuna dei
System Of A Down; in particolare in quel periodo Lindsay era in fissa
con Suite-Pee.
“Non
si chiama Try her philosophy” la corressi, tirando una
ciocca dei suoi capelli castani e avvicinandomi al tavolino nero di
fronte ai divani su cui troneggiava la tv. In genere utilizzavo
proprio le casse collegate al televisore per amplificare la musica.
Le
accesi, cercai Suite-Pee e alzai il volume.
Lindsay
prese a saltellare su e giù ed esultare come una matta, poi mi
trascinò a ballare e cominciò a cantare a squarciagola,
inventandosi la metà delle parole.
Mi
faceva morire dal ridere il suo modo di fare headbanging. Era così
piccoletta, eppure sembrava aver già capito tutto del mondo
del metal, e poi quella linea di basso la faceva impazzire!
“Ancora,
ancora!” strepitò Lindsay quando la canzone terminò.
Nel
frattempo le note di l Was Made For Loving You dei Kiss si
propagarono per la stanza e ci avvolsero. Corsi ad abbassare il
volume. “Lindy, i tuoi vicini ci cacciano di casa se teniamo
ancora la musica così alta!”
“Ma
io voglio Try her philosophy!” protestò, mettendo
su un broncio indignato.
“E
va bene!” mi arresi, guadagnandomi un abbraccio dalla bambina.
Proprio
in quel momento il mio cellulare, abbandonato sul tavolo, cominciò
a squillare, sparando a un volume pauroso They Say degli Scars
On Broadway. Quella era la mia suoneria da due anni; in quegli ultimi
giorni però, quando qualcuno mi chiamava, il mio cuore perdeva
un battito al pensiero di ciò che era accaduto al Troubadour.
Afferrai
il telefono: era Jacob.
“Jake,
che vuoi?” risposi, mettendo in pausa la canzone dei Kiss e
facendo cenno a Lindsay di aspettare un attimo.
“Dopodomani
prove, informa anche El” annunciò.
“Okay
chitarrista!”
“Così
ne approfittiamo per parlare della serata di venerdì e ci
raccontate tutto sui SOAD!”
Fui
tentata di fargli una linguaccia, ma non sarebbe servito a niente
perché non mi poteva vedere. “Tu e Noah non ve lo
meritate perché non siete venuti!”
“Ma...
ma... ma...” biascicò lui in tono teatralmente
disperato.
“Ciao
Jake, a presto!” tagliai corto con una risatina, interrompendo
la conversazione.
“Che
cos'è la tua suoneria?” mi domandò Lindsay
curiosa.
“Una
canzone di un gruppo che si chiama Scars On Broadway: ci sono il
chitarrista e il batterista dei System!”
“Davvero?
Me la fai sentire?”
Così
collegai il cavo delle casse al mio cellulare e selezionai il brano.
Lindsay
ascoltò con interesse le prime note, poi cominciò a
saltellare e girare attorno a me, strillando: “La voglio, la
voglio, la voglio!”
Sorrisi,
contenta di averle fatto conoscere un'altra canzone di suo
gradimento. Ma del resto quella piccoletta andava matta per i System
Of A Down e tutto ciò che li riguardava!
Le
avrei raccontato che avevo avuto l'onore di conoscerli e le avrei
mostrato quel comico scatto, ma prima c'era da ballare e cantare They
Say!
♫ Ellie
♫
Non
potei fare a meno di osservare l'abbigliamento di Noah: indossava una
camicia blu in velluto, un paio di jeans neri e delle scarpe sportive
dello stesso colore.
Quando
incrociai il suo sguardo non riuscii a sostenerlo.
“Mio
dio, in questo posto si gela!” esclamò Jacob,
armeggiando con una stufetta elettrica che fino a quel momento stava
a marcire in un angolo.
“Attento,
quella cosa potrebbe esploderti in faccia” lo avvisai,
osservando con circospezione l'oggetto e avvicinandomi maggiormente a
lui.
“Fate
come me: riscaldatevi in maniera alternativa!” esclamò
Johanna cominciando a suonare la batteria come una forsennata.
Non
eravamo per niente contenti di dover provare in quel buco, ma era
necessario. Proprio in quel periodo i genitori del nostro bassista
avevano deciso di imbiancare il garage, che fungeva da sala prove, e
avevamo dovuto trovare una soluzione.
“Jo,
piantala, non riusciamo a parlare! Ma dove diamine è finito il
mio plettro?” sbottò Noah, girando in tondo con il basso
in mano.
Sospirai.
“Serj ha proprio ragione: sei un casino che deambula! Ti ci eri
seduto sopra!” accorsi in suo aiuto, indicandogli la sedia che
aveva occupato fino a qualche istante prima.
“Ah...
sì, okay, adesso possiamo provare!”
“Jake,
spegni quell'affare, la stanza si sta riempiendo di fumo! Cazzo, ma
io cosa vi ho detto!” strillò mia sorella, saltando in
piedi con fare allarmato e lasciando cadere le bacchette della
batteria.
Mi
voltai di scatto e mi accorsi che effettivamente dalla stufetta si
stava levando una nuvola sospetta di fumo biancastro.
“Oddio,
staccatela!” gridai a mia volta, spaventata.
Il
chitarrista abbandonò il suo strumento tra le mie braccia e
corse a staccare la spina dalla corrente.
“Eheheh...
adesso si spiega perché era abbandonata da una parte!”
commentò Noah con un'alzata di spalle.
“Ma
sai che certe volte sembri il personaggio di un anime?”
commentai, cercando approvazione nello sguardo di Johanna.
Lei,
in tutta risposta, scoppiò a ridere e mostrò il pollice
in su.
“Di
un anime? Ma vi drogate prima di venire a fare le prove?”
ribatté lui confuso.
Quant'era
tenero! Avevo cercato in tutti i modi di reprimere i miei sentimenti
nei suoi confronti, ma era inutile: il suo atteggiamento, il suo tono
di voce, perfino il suo viso trasmettevano una dolcezza che mi
scaldava il cuore e mi faceva impazzire!
Ma
lui era stato abbastanza chiaro: non intendeva impegnarsi in una
relazione, non aveva voglia di avere una ragazza. Io convivevo con
questa consapevolezza da un anno e, nonostante me ne fossi fatta una
ragione, Noah non aveva smesso di occupare il mio cuore.
Scossi
la testa. Mi dovevo concentrare sulle prove, a breve ci saremmo
dovuti esibire!
“Spaccheremo
tutto al GrinPub!” proclamò Jacob, dopo
un'intensa ora e mezza in cui ripassammo tutta la scaletta del live.
“Datti
una calmata, Jimmy Page dei poveri, ti ricordo che i nostri fan non
superano il centinaio” lo smontò Johanna, inventando un
passaggio sul momento.
“Taci,
io ho suonato al Troubadour e quindi sono importante!”
Presi
coraggio. “Ragazzi, vi devo raccontare una cosa.”
“Che
cosa? Che cosa?” saltarono subito su gli altri tre, puntandomi
i loro sguardi impazienti addosso.
“Ehi,
calmi! Non è niente di che! Quando io e Jo eravamo con i
System, Shavo ha detto che gli dispiaceva non averci sentito
suonare... così l'ho invitato al concerto del GrinPub”
buttai lì, cercando di non dare troppo peso alle mie parole.
Mi
ero ripromessa di non dirlo a nessuno, ma ero la persona meno adatta
a nascondere qualcosa e alla fine non avevo resistito alla tentazione
di rivelarlo ai miei amici.
“Cooosa?!”
esplosero loro, sgranando gli occhi.
Noah,
ancora con il basso appeso addosso con la tracolla, mi si piazzò
di fronte con gli occhi che brillavano e mi afferrò le mani.
“Tu mi stai dicendo che hai invitato quel fottuto genio di
Shavo Odadjian a un nostro concerto?”
“Ragazzi,
datevi una calmata! Non gli ho detto il nome del locale, gli ho solo
spiegato che si trattava di un'inaugurazione, e poi anche se lo
dovesse trovare quante probabilità ci sono che venga a
vederci?” tentai di tranquillizzarli.
“Perché
non me l'hai detto? Oh cazzo, ve lo immaginate se invece ce lo
ritroviamo sotto il palco? Che figata!” esultò Johanna,
correndo ad abbracciarmi.
“El
ha ragione, è impossibile che ci trovi” affermò
Jacob senza scomporsi troppo.
Illusione
o no, quel giorno lasciammo la sala prove più allegri e
frizzanti del solito.
“Oh,
finalmente un po' di caldo!” disse Johanna quando fummo entrate
in macchina, mettendo il riscaldamento al massimo.
Dal
posto del passeggero, osservavo distrattamente le vie caotiche che mi
passavano accanto e nel frattempo la mia mente si perdeva. “Però
sai che ti dico? Shavo sembrava così entusiasta all'idea di
vederci!” Non potevo fare a meno di parlarne, mentre nella mia
testa rivivevo quella scena ancora e ancora.
“A
proposito di Shavo, devo assolutamente ascoltare Suite-Pee!
Per colpa di Lindy sono in fissa con quella canzone da giorni!”
raccontò, accendendo lo stereo all'interno del quale l'album
System Of A Down era infilato da quasi due settimane.
“Comunque, secondo me la faccenda si fa interessante. In ogni
caso penso che dobbiamo stare con i piedi per terra: come ha detto
Jake, ci sono pochissime probabilità che ci trovi. Vabbè,
non so nemmeno io cosa pensare!” ammise poi, dondolando la
testa avanti e indietro a ritmo con il brano.
Cantammo
e ci agitammo come due matte. Io e Johanna eravamo due casi persi.
“Comunque
tu hai sempre a che fare con i bassisti” commentò poi,
approfittando di un semaforo rosso per lanciarmi un'occhiata
maliziosa.
“Molte
volte ti invidio, almeno tu non vuoi nessuno e non corri il rischio
di cacciarti in queste situazioni di merda” sospirai, alludendo
alla mia cotta per Noah.
“Non
vale la pena buttarti giù per questa cosa. Noah ti vuole un
mondo di bene e questo è palese, ma non potrai mai obbligarlo
a ricambiare. Quante volte te l'ho detto?”
“Lo
so, ma ci ho a che fare quasi ogni giorno, non è facile! Ma
adesso basta parlarne, pensiamo a cose più allegre!”
Non
avevo voglia di pensare ai miei problemi quel giorno, mi sentivo
particolarmente euforica. Poco importava se dopo il concerto di fine
gennaio avrei dovuto dare un pesantissimo esame all'università,
poco importava se il ragazzo più dolce al mondo non ricambiava
i miei sentimenti. Volevo solo rallegrarmi, cantare e mangiare un
enorme panino con qualsiasi cosa in mezzo in compagnia della persona
più speciale che conoscessi: mia sorella.
♪ ♪ ♪
Ciao
a tutti!
Ooooh,
ma quanto sono contenta di aver aggiornato!!!
Lo
so, in questo capitolo i nostri quattro eroi non ci sono, ma questo
capitolo era necessario per presentare un po' le gemelle, la loro
vita e gli altri due componenti della band ^^
Che
ve ne pare di Lindsay? Ho deciso di inserire come sottofondo la
canzone con cui lei è fissata, mentre per They Say dovrete
aspettare ancora un po'!
Ultimo
avviso: in questo periodo, dato che ho già alcuni capitoli
pronti, aggiornerò ogni martedì! Poi tornerò ad
aggiornare a settimane alterne, ma per ora vi faccio questo
“regalo”... e poi sono troppo curiosa di sapere il vostro
parere! :D
Ringrazio
infinitamente le magnifiche lettrici che hanno deciso di seguirmi in
questa avventura, siete uniche! :3
Un
abbraccio a tutti e spero che questo capitolo, così come
quelli a seguire, vi piaccia ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** They take me away ***
ReggaeFamily
They
take me away
System
Of A Down - Radio/Video
♫ Shavo
♫
Trovai
incredibilmente confortevole il caldo all'interno del locale.
Quella
sera avrei preferito stare a casa, ma ormai John mi aveva convinto a
uscire e non mi piaceva disdire. Come spesso anche lui affermava,
avevo bisogno di un po' d'aria fresca ogni tanto.
E
poi avevo promesso a Dave che avrei fatto un salto da lui il giorno
dell'apertura del suo nuovo pub.
Fortunatamente
eravamo solo io e il batterista: se Daron ci avesse seguito,
probabilmente avremmo attirato troppo l'attenzione e tutti ci
avrebbero riconosciuto; noi due invece potevamo provare a passare
inosservati.
“Bel
posticino” commentò John guardandosi attorno con
attenzione.
Non
potei che dargli ragione: l'arredamento aveva uno stile fortemente
vintage, con mobili in legno chiaro e vinili appesi alle pareti. Mi
piaceva.
Avvistai
subito il mio ex compagno di scuola che si dava da fare dietro il
bancone e mi diressi in quella direzione, facendo cenno a John di
seguirmi.
“Ehi
Dave, come butta? Figo il locale!” lo salutai con un sorriso
amichevole.
“Shavo,
alla fine sei riuscito a passare!” esclamò lui,
distogliendo un attimo lo sguardo da noi per servire un altro
cliente. “Niente male, eh? Sono soddisfatto anch'io! Non posso
neanche stare troppo a parlare, hai visto tutta la gente che c'è?”
riprese poi.
“Ho
visto. Ora ti tocca lavorare duro, però è un buon
segno!”
Vedendo
che le persone dietro di noi si stavano moltiplicando, io e John
ordinammo in fretta il nostro drink e andammo alla ricerca di un
tavolo libero. Fortunatamente l'ambiente era grande e c'era spazio
per tutti; trovammo posto in un angolino in disparte, situato
lateralmente al piccolo palco su cui una band si stava esibendo
proprio in quel momento.
Dave
mi aveva accennato a tre o quattro gruppi emergenti che si sarebbero
esibiti quella sera, ma dai nomi non mi era parso di riconoscerne
nessuna.
Tuttavia
io e John, presi dalla nostra conversazione, non facemmo tanto caso
alla musica e ci accorgemmo a malapena quando la prima band terminò
il suo concerto.
“...e
quindi mi ha detto che probabilmente avremo una data anche lì.
John?” Mentre parlavo mi ero reso conto che il mio amico
scrutava insistentemente alle mie spalle, in direzione del palco, e
non ascoltava ciò che dicevo.
“Ma
quella non è...?” bofonchiò.
Incuriosito,
mi voltai e osservai i musicisti che si stavano posizionando sul
palco. Una ragazza dai capelli ondulati con una darbuka tra le
braccia attirò la mia attenzione. Non c'erano dubbi: era una
delle gemelle del Troubadour!
Improvvisamente
mi tornò in mente il loro invito e sgranai gli occhi. Era una
coincidenza assurda: ci eravamo ritrovati nello stesso posto senza
metterci prima d'accordo!
“Non
ci posso credere, è proprio lei! Come si chiamava? Ah sì,
Johanna. L'altra non ricordo... ma sai qual è la cosa più
assurda? Mi avevano parlato di questo loro concerto, mi avevano detto
che avrebbero suonato per l'apertura di un locale, anche se non mi
avevano saputo dire come si chiamava” raccontai, ancora
incredulo.
“Non
dire cazzate!” John era basito quanto me.
“Non
sono cazzate! E adesso stiamo a sentire come suonano le ragazze!”
affermai, osservando i quattro giovani che si preparavano a
cominciare.
Lo
spettacolo iniziò con un assolo di darbuka, lo stesso che
Johanna ci aveva proposto nel backstage del Troubadour, che
verso la fine venne accompagnato da una linea di basso; quest'ultima
proseguì, facendo vibrare tutto il locale, mentre la ragazza
si spostava velocemente alla batteria.
Non
sapevo proprio cosa aspettarmi, dal momento che le ragazze non ci
avevano rivelato il loro genere musicale o comunque non me lo
ricordavo. Rimasi sorpreso quando batterista, bassista e chitarrista
si lanciarono in un intro sospeso tra reggae e rock, con
sonorità di tanti altri generi. Era pazzesco, non si riusciva
bene a capire ciò che si stava ascoltando, ma qualsiasi cosa
fosse era meraviglioso.
E
quella chitarra in levare era davvero coinvolgente!
“Cazzo
John, questi ragazzini sono dei geni” commentai con un enorme
sorriso entusiasta.
Lui
si limitò ad annuire, continuando ad ascoltare e osservare con
la testa leggermente inclinata da un lato, profondamente interessato.
“Buonasera
a tutti, noi siamo i Souls! Allora, siete pronti a ballare un po' con
noi?” esordì la cantante al microfono sulle ultime note
del brano. Sprigionava energia allo stato puro, così come i
suoi compagni d'avventura.
Le
parole della ragazza furono seguite da uno scroscio di applausi e
alcune grida d'approvazione; la maggior parte del pubblico, già
elettrizzato dal live precedente, non perse tempo e si precipitò
sotto il palco.
Non
so bene come e perché, ma dopo qualche minuto anche io e John
ci ritrovammo in piedi, sempre da un lato, ma con una buona visuale e
una buona posizione in prima fila. Ero stato io, in preda
all'entusiasmo, a trascinare il batterista con me; lui in genere
preferiva assistere in disparte.
Era
impossibile stare fermi al suono di quella musica così
trascinante e orecchiabile, ricca di elementi contrastanti e armonici
allo stesso tempo. Non me lo sarei mai aspettato.
♫ Ellie
♫
Ero
emozionatissima: non ci era mai capitato di avere un pubblico così
vasto. Soprattutto non mi aspettavo che avrebbe partecipato con tutto
quell'entusiasmo, invece dopo qualche canzone i tavolini erano quasi
vuoti e un sacco di persone si divertivano sotto il palco al ritmo
delle nostre canzoni.
Era
uno spettacolo incredibile e una conquista preziosissima: eravamo
riusciti a coinvolgere tanta gente con i nostri pezzi inediti, questo
voleva dire che la nostra musica funzionava e piaceva.
Mentre
cantavo scrutai tra la folla in cerca di qualche viso conosciuto e fu
allora che li vidi: erano in un angolo in penombra, in posizione
laterale. Li riconobbi subito.
Shavo
e John erano davvero venuti al nostro concerto! Io e i miei amici ci
avevamo riso su per tutto quel tempo, ma alla fine si erano
presentati veramente!
Il
mio cuore perse un battito e dovetti compiere uno sforzo enorme per
non bloccarmi nel bel mezzo della seconda strofa. Ora mi sentivo
ancora più sotto esame e cercai di controllare l'ansia che
minacciava di impadronirsi di me.
Ma
che mi succedeva? In genere ero così disinvolta e sicura sul
palco!
Succedeva
che due bravissimi musicisti mi stavano fissando e ascoltando e
all'improvviso avevo paura di non fare abbastanza per poter essere
apprezzata da loro.
Mi
accorsi che Shavo dondolava leggermente con la testa e lo presi come
un buon segno.
Discretamente,
con la scusa di passeggiare per il palco, annunciai ai miei amici con
un gioco di sguardi che avevamo due ospiti speciali tra il pubblico.
Notai che Noah trasaliva leggermente quando vide i due componenti dei
System; dovetti distogliere lo sguardo per evitare che si accorgesse
dei miei occhi a cuoricino.
Improvvisamente
sentivo caldo.
♫ John
♫
Avevo
già capito che Johanna fosse una ragazza abbastanza
talentuosa, ma fui ancora più certo delle sue capacità
quando la vidi all'opera sulla sua batteria. Si vedeva che si era
esercitata tanto, ma più della tecnica mi colpì la sua
creatività nell'abbellire e improvvisare.
Era
sulla buona strada per migliorare sempre più.
Il
gruppo in generale mi piaceva, ognuno faceva la sua parte nel modo
migliore e la voce della cantante era forte e calda.
Presi
in esame il chitarrista dai capelli ricci e ramati che dondolava a
tempo e faceva fatica a stare fermo al suo posto. Provai a
paragonarlo a Daron e sorrisi nel notare che alcuni atteggiamenti dei
due erano abbastanza simili, ma probabilmente al mio amico non
sarebbe bastato un palco così piccolo.
“Sembra
un po' Daron quando si agita così, vero?” mi fece notare
appunto Shavo, facendo un cenno verso il chitarrista.
“Lo
stavo notando. Ma Daron sbaglia tutti gli accordi, questo qui almeno
suona bene” commentai con una risata.
Lui
scoppiò a ridere a sua volta. “Approfittiamone ora per
dirlo, se ci sente ci fa fuori!”
Il
concerto proseguì abbastanza tranquillamente; i ragazzi
suonarono in tutto poco più di una decina di pezzi, poi furono
costretti a lasciare il palco al gruppo successivo, che a quanto pare
consisteva in una band black metal.
Ovviamente
io e il mio amico non passammo inosservati e dovemmo metterci a
disposizione per alcune foto. Fortunatamente una volta tornati al
nostro tavolo nessuno ci rivolse più la parola.
Consumammo
un altro drink, poi mi accorsi che i Souls stavano uscendo dal
backstage, quindi ci sarebbero passati accanto.
“Ragazzi!”
attirò la loro attenzione il mio amico quando furono a pochi
passi da noi.
“Shavo,
John! Alla fine siete venuti!” gridarono le due gemelle,
venendoci incontro.
Shavo
le abbracciò entrambe come fossero amici di vecchia data,
mentre io mi limitai a sorridere e stringere loro la mano. Non ero
granché propenso a effusioni, specialmente quando non
conoscevo ancora bene qualcuno.
“Ma
sapete che è successo? Noi siamo venuti qui perché
Dave, il gestore del locale, è un mio vecchio compagno di
scuola e mi ha invitato... e abbiamo trovato voi, che coincidenza!”
spiegò lui.
“Dai,
non ci credo!” ribatté la cantante, sistemandosi la
crocchia ormai quasi distrutta che sosteneva i suoi capelli.
“Ehi,
vi sembra il modo di comportarvi? Presentateci agli ospiti,
stronzette!” esordì il ragazzo dai capelli rossi,
giungendo da dietro e battendo una pacca sulla spalla a entrambe.
“Hai
ventiquattro anni, presentati tu” sbuffò Johanna,
dandogli di gomito.
Intanto
il bassista, un ragazzo magro e bruno, aveva affiancato le ragazze e
ci osservava in silenzio, probabilmente in imbarazzo.
“Piacere
ragazzi, Shavo” si fece avanti allora il mio amico, tendendo la
mano a entrambi.
“Sì,
lo so! Jacob, il piacere è tutto mio! E gli altri due dove li
avete lasciati?” si presentò il chitarrista.
“Noah”
si limitò invece a proferire l'altro, tendendo la mano prima a
Shavo e poi a me.
Finito
il giro di presentazioni, ci ritrovammo a commentare l'esibizione dei
Souls.
“Diteci
sinceramente che ve ne pare” ci esortò la cantante –
che, come Jacob ci ricordò inconsapevolmente, si chiamava
Ellie.
“Spaccate.
Avete idee originali e siete bravi, avete tutto quello che vi serve”
presi la parola, accompagnando il mio complimento con un occhiolino.
“Davvero?
Grazie John, è un grande complimento!” si rallegrò
Johanna, tentando di nascondere il leggero rossore sulle guance.
Era
sorprendente che una tipa esplosiva come lei potesse arrossire.
“Grandi,
mi piace un sacco il vostro genere. Sapete chi mi ricordate? Lo stile
è quello dei Police più o meno, ma più...
metal!” aggiunse Shavo, spostando lo sguardo su ognuno dei
musicisti che aveva di fronte.
“Noah,
hai capito? Shavo ti sta paragonando a Sting!” cinguettò
Ellie, saltellando fino al suo amico.
“Shavo
non ha detto questo” borbottò lui, lanciando un'occhiata
al mio amico.
“Ehi,
sei un ottimo bassista, le tue linee di basso sono paurose!”
intervenne subito lui con fare incoraggiante.
In
certi momenti lo invidiavo: riusciva a essere così disinvolto
e a mettere tutti a proprio agio, mentre io non riuscivo mai ad
abbandonare il mio guscio. La riservatezza non era sempre un bene,
dopotutto.
“Allora
giovanotti, prendete qualcosa? Io oggi voglio ubriacarmi fino a
perdere la memoria! Ma prima vi offriamo qualcosa!” affermò
Jacob indicando il bancone.
“Non
se ne parla, offriamo noi agli artisti!” obiettai prontamente.
“John,
non rompere! Allora, cosa prendete?” intervenne subito Johanna,
posandomi una mano sul braccio.
“Non
esiste! Dobbiamo festeggiare il vostro concerto, no? Quindi paghiamo
noi!” ribatté Shavo aggrottando le sopracciglia.
Dopo
una breve lite in cui quei quattro ci costrinsero a offrirci da bere
perché loro erano la maggioranza, ci dirigemmo al
bancone. Io non presi niente: avevo già bevuto troppo e
qualcuno doveva pur guidare la macchina per tornare a casa.
“Tu
non prendi niente?” mi informai, notando che Johanna stringeva
tra le mani un bicchiere d'acqua.
“Senti
chi parla! E poi l'acqua ti sembra niente?”
“Devi
guidare?”
“Sì,
ma non è solo per quello. L'alcol non mi piace; ho assaggiato
di tutto, ma non riesco proprio a mandarlo giù. Strano, vero?”
spiegò con semplicità, sorseggiando la sua acqua.
“Ognuno
è fatto a modo suo. Quindi tu non ti sei mai presa una
sbronza?”
Lei
ridacchiò. “Pensi che sia necessario? Sono già
fusa così! Non ti dico ciò che divento dopo due tiri di
erba!”
“Mmh,
la faccenda si fa interessante. Sarei proprio curioso di vederti!”
commentai con un sorriso appena accennato.
Dopo
qualche secondo la sentii canticchiare il ritornello di Serious
e mi accorsi che mi fissava insistentemente.
“Non
ci posso credere, anche tu! Pensavo di essermi liberato di Daron per
una sera...” mi lamentai.
“Allora
ringrazia di non aver ancora avuto a che fare con Jake, perché
secondo me lui è peggio di tre Daron messi assieme!”
esclamò, indicando il suo amico.
Quest'ultimo
discorreva animatamente con Shavo e gli altri due, gesticolando e
mandando giù un superalcolico dietro l'altro.
“Beve
anche da parte tua” osservai.
Proprio
in quel momento il gruppo black metal, dopo alcuni problemi con la
chitarra, cominciò a suonare e per noi divenne impossibile
conversare.
“Ho
un'idea per allontanare quel birbante dal bancone!” gridò
la ragazza a pochi centimetri dal mio orecchio, poi si avvicinò
agli altri.
Due
minuti dopo ci ritrovammo all'esterno del locale, per la gioia di
Shavo che poté finalmente prepararsi una canna.
“Fratello,
quanto vuoi per un tiro?” lo intercettò subito Jacob con
un sorrisetto.
“Jacob!
Sei pessimo!” lo rimproverò Ellie, tirandogli una ciocca
di capelli.
Shavo
gliela passò. “L'importante è che me la rendi!”
scherzò.
“Oh
merda, sei proprio fuori oggi. Io mi rifiuto di accompagnarti a casa”
lo apostrofò Noah con una sigaretta tra le labbra.
“Non
accompagnarmi, troverò qualcuna con cui spassarmela! Tu non ti
sai divertire!”
Johanna,
che si trovava ancora al mio fianco, scosse la testa e si accese
anche lei una sigaretta. “Cosa ti avevo detto? Altro che
Daron!”
“Non
conosci Daron!” le assicurò Shavo. Lei ed Ellie si
avvicinarono a noi, lasciando i due ragazzi ai loro battibecchi.
“Come
mai oggi lui e Serj non ci sono?” s'informò Ellie.
Mi
strinsi nelle spalle. “Sarebbe impossibile uscire ogni volta
tutti e quattro insieme. Non ci sopportiamo più a vicenda!”
“Mi
dispiace per Serj...” commentò lei con un filo di voce,
rendendosi poi conto di cos'aveva detto e avvampando.
“Immaginavo”
commentai, posandole una mano sulla spalla. Quella ragazzina faceva
tenerezza.
“Che
coglione, non ho pensato di fare qualche video per portarglielo! Mmh,
come facciamo?” si domandò Shavo.
“Oddio,
ma come la sta suonando la batteria il tizio là dentro? Ci si
sta buttando sopra di peso?” borbottò Johanna indignata,
sbuffando il fumo fuori dalle narici.
Risi.
“Avete
altri concerti in programma?” chiese Shavo.
“No,
siamo ancora troppo sfigati” rispose Ellie, giocando con il
bordo della sua sciarpa color panna. Faceva davvero freddo là
fuori, ma lei non aveva rinunciato alla sua crocchia e indossava una
sciarpina per proteggersi dall'umidità della notte.
“Ho
un'idea! Ci volete un giorno in sala prove con noi?” si
illuminò all'improvviso il mio amico.
Tutti
strabuzzammo gli occhi contemporaneamente. Cominciai a domandarmi se
non avesse bevuto troppo.
“Beh,
che ho detto di strano? Siamo musicisti, siamo tutti colleghi, no?”
“Ma
la sala prove è fuori uso, suoniamo in un buco che non è
nemmeno insonorizzato!” gridò Jacob, raggiungendoci.
“Scusate
ragazzi, ma mi piace troppo l'idea di rivedervi! Un attimo, chiamo
Serj” affermò Shavo, portando fuori il suo monumentale
cellulare.
“Ehm...
è l'una e un quarto di notte” gli fece notare Johanna,
sempre più perplessa.
“Serj
dorme tre ore a notte, sicuramente è ancora sveglio. Serj,
ciao... no, Daron non è con noi, non lo so... senti, abbiamo
incontrato quelle ragazze del Troubadour dell'altra volta, le
abbiamo sentite suonare con il loro gruppo e sono una forza, devi
assolutamente sentirle...”
Io
scambiai un'occhiata stupita con gli altri cinque. Sapevo che Serj
avrebbe accettato senza esitazioni, andava in brodo di giuggiole per
queste cose ed era sempre curioso quando si trattava di scoprire
nuovi talenti.
In
fondo sapevo che il vero motivo di tutto quell'interesse da parte del
bassista non era solo rivolto alla musica: si era trovato bene con
quei quattro, come raramente capitava, ed era tremendamente curioso
di conoscerli meglio.
Certo,
poi era brillo e aveva fumato parecchio. Ma in fondo non dispiaceva
nemmeno a me ciò che stava architettando.
“Benissimo,
il 12 febbraio alle quattro tutti alle prove! Vi va bene? È
l'unico giorno libero per Serj” concluse, interrompendo la
conversazione con il cantante.
I
quattro lo osservavano con la bocca semiaperta. Me li immaginai con
degli enormi punti di domanda rossi in testa.
“Ellie,
così anche Serj potrà vederti!” aggiunse poi con
un'occhiata raggiante alla ragazza.
Lei,
quasi commossa, lo ringraziò e lo strinse in un abbraccio, poi
tornò a sorridere ancora più energica di prima.
“Scusate,
ma il mio corpo necessita di alcol. Ciao, a dopo!” esclamò
Jacob per spezzare definitivamente l'idillio, rientrando nel locale.
Io
e Shavo scoppiammo a ridere e gli altri tre scossero la testa,
sconsolati.
Pensavo
che la nostra conversazione sarebbe finita a breve, ma
inaspettatamente restammo a conversare per oltre un'ora. Si poteva
parlare davvero di tutto, non ci si stancava mai e scherzare veniva
naturale. Non mancavano mai le risate e presto ognuno cominciò
a fare battute nei confronti degli altri, proprio come se la
confidenza tra noi aumentasse minuto dopo minuto.
Ma
soprattutto io e Shavo non ci sentivamo parte dei System Of A Down,
per una volta eravamo solo John e Shavo.
Verso
le due e mezza Jacob era completamente andato, così i ragazzi
decisero che era arrivato il momento di tornare a casa.
Al
momento dei saluti Ellie mi disse: “Non te ne sei accorto,
John?”.
“Di
cosa?”
“Ti
sei aperto un sacco con noi! All'inizio parlavi a malapena.”
“Ma
io sono così, non lo faccio per male. Mi ci vuole un po' prima
di capire con chi sto avendo a che fare e...”
“Ehi
ehi, non ti devi giustificare! Guarda Noah” sussurrò,
facendo cenno verso il bassista. “Capisco la tua situazione
perché sono abituata ad avere a che fare con lui, che è
terribilmente timido. Eppure hai visto come si comporta con noi?”
Sorrisi.
“Ah, tu e tua sorella siete due pesti, però fate
miracoli!” ammisi, arruffandole i capelli.
Una
volta in macchina, mentre Shavo faceva headbanging sulla musica che
passavano nella mia stazione radio rock preferita, mi ritrovai a
ripensare a quell'incredibile serata e alla sensazione di benessere
che mi aveva lasciato.
Dopotutto
ero grato al mio amico per aver organizzato quel pomeriggio in sala
prove.
♪ ♪ ♪
Ciao
a tutti!!!
Sono
tornata con un capitolo “bomba”, in cui è successo
davvero di tutto!
Intanto
sto cercando di caratterizzare di più i personaggi, spero di
esserne all'altezza ^^
Per
questo capitolo ho scelto Radio/Video perché tra tutte le
canzoni dei System è quella che, nella mia mente, si avvicina
di più al genere dei Souls. E poi è così
allegra!!!
Ultima
nota, poi vi lascio in pace: chi mi conosce sa che amo scrivere
storie realistiche, ma da questo capitolo si evince che questa storia
fa eccezione; sì, stavolta voglio divertirmi, far accadere
tutto ciò che non potrebbe mai capitare a nessuno, trascurando
del tutto ciò che potrebbe sembrare verosimile!! A partire da
questa assurda coincidenza per la quale Shavo e John si sono trovati
nello stesso locale del live!
Quindi
preparatevi perché potrebbe davvero accadere di tutto! XD
Ringrazio
con tutto il mio cuore voi lettori, che mostrate sempre tantissimo
entusiasmo e che mi sostenete con le vostre recensioni! Grazie mille
davvero, senza di voi chissà se riuscirei a portare avanti
questa long! :3
Alla
settimana prossima!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Try to fly ***
ReggaeFamily
Try
to fly
System
Of A Down - Know
♫
Noah ♫
Ero
un po' in ansia per quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
E quando ero agitato mi dimenticavo la metà delle cose.
Fu
così che, dopo qualche minuto di tragitto in auto, mi ero reso
conto di aver scordato a casa il portafogli. Cazzo, avevo la macchina
quasi a secco e avevo assolutamente bisogno di fermarmi a fare
benzina, ma come potevo fare senza i soldi appresso?
Fu
così che, tra un'imprecazione e l'altra, fui costretto a
tornare a casa. Sarei arrivato in ritardo alle prove e questo mi dava
immensamente fastidio; non mi andava di arrivare dopo i componenti
dei System Of A Down.
Quando
finalmente riuscii a recuperare tutto ciò di cui avevo
bisogno, ricevetti una chiamata da Johanna.
“Noah,
si può sapere cosa diamine stai facendo? Sono le quattro e
cinque minuti, i ragazzi saranno qui a momenti, ci tieni così
tanto a fare una figura di merda?” mi aggredì la ragazza
quando risposi.
“Eh...
mi sono dovuto fermare a mettere benzina. In realtà sono
uscito di casa in orario, ma poi mi sono accorto di aver lasciato il
portafogli a casa e...”
Lei
sospirò. “Muoviti! Meno male che non abiti lontano dalla
saletta! Andava tutto molto meglio quando provavamo in casa tua,
almeno non ti dovevi spostare.”
Dopo
una folle corsa in auto degna di un film d'azione, giunsi davanti al
piccolo e triste edificio. Controllai l'orario: erano le quattro e
undici minuti. Non mi parve di scorgere macchine sconosciute
parcheggiate là vicino e tirai un sospiro di sollievo.
La
prima frase che sentii non appena misi piede nella stanza fu un
commento di Jacob in tono lugubre: “Probabilmente ci hanno
tirato un bel bidone, non si presenterà nessuno”.
“Ma
la vuoi smettere? Magari hanno trovato traffico e sono un po' in
ritardo, no? Vatti a deprimere da un'altra parte!” si rivoltò
Ellie con uno sbuffo contrariato.
“Ciao
a tutti, ce l'ho fatta! Qual è l'argomento? Avete bisogno di
un quarto litigante?” esordii, dirigendomi verso l'unica sedia
rimasta libera per poter poggiare il mio basso.
“Jacob
pensa che i System non si presenteranno all'appuntamento”
spiegò brevemente Johanna con le sopracciglia aggrottate.
Improvvisamente
questa paura si impossessò di me. Non l'avevo preso in
considerazione: magari i ragazzi si erano solo divertiti un po' a
prenderci in giro. Del resto cosa poteva volere uno come Shavo
Odadjian da quattro sfigati qualunque?
“Dai,
non ci credo! Ti stai deprimendo anche tu?” mi rimproverò
la batterista con aria esasperata.
“Forse
sarebbe stato meglio chiedere a uno dei due un numero di telefono,
almeno ci saremmo potuti tenere in contatto e se fosse capitato un
imprevisto avrebbero potuto avvisarci” osservai.
“Non
mi piaceva chiedere qualcosa di così personale, magari non si
fidano ancora di noi” ribatté Ellie, passeggiando
irrequieta per la stanza.
Qualche
secondo dopo qualcuno bussò alla porta. Sobbalzai sorpreso e
mi imposi di restare calmo; tuttavia il mio inconscio mi suggerì
di appiattirmi con la schiena contro il muro.
“Visto?”
esclamò Johanna con un sorriso trionfante, poi si avvicinò
alla porta senza esitazione.
“Ehi
batterista! Scusate il ritardo, ma Daron è anarchico e non
rispetta gli orari!” salutò subito Shavo, facendo
irruzione nella stanza e salutando tutti con strette di mano, sorrisi
e, nel caso delle ragazze, abbracci.
“Oh,
ci siete tutti! Ciao ragazzi, entrate pure!” li accolse
Johanna, restando sulla soglia finché tutti i membri della
band non furono entrati.
Non
sapevo bene cosa aspettarmi da Serj e Daron, così rimasi in
disparte per osservare come si comportavano con i miei amici prima di
farmi avanti e presentarmi.
“Quindi
tu sei il bassista, giusto? Piacere, Serj” si presentò
il cantante, raggiungendomi nell'angolino in cui mi ero rifugiato.
“Sì,
sono io. Noah” biascicai con un sorriso leggermente
imbarazzato, stringendogli la mano.
Decisi
che era arrivato il momento di smettere di comportarmi da idiota e mi
staccai dal muro, per poi dirigermi verso Daron. In genere ero
abbastanza solare ed estroverso, dovevo solo impormi di portare fuori
questo lato di me.
“Ehi!
Piacere, Noah” attirai l'attenzione del chitarrista, che era
intento a osservare le ragazze e John parlottare tra loro.
Lui
si voltò quasi sorpreso. “Ah. Daron, ma tanto già
lo sai” ribatté.
Accennai
un sorriso. “Sì, in effetti... grazie per aver accettato
di venire qui.”
“Mi
sono incuriosito, tutto qui” spiegò piegando leggermente
la testa da un lato.
“Noah,
non infastidire il mio collega!” si intromise Jacob, arrivando
alle mie spalle e battendomi una pacca sulla schiena.
“Collega...”
Inarcai un sopracciglio, scettico.
“Beh,
siamo entrambi chitarristi!”
“Oh
ragazzi, cosa avete intenzione di fare? Iniziamo o stiamo qui a
perdere tempo finché non albeggia?” gridò proprio
in quel momento Johanna; la sua voce rimbombò tra le pareti,
assordando la maggior parte dei presenti.
“C'è
un problema: abbiamo solo tre sedie per gli ospiti! Chi prende in
braccio chi?” fece notare Jacob con una risatina, appoggiando i
nostri strumenti a terra e sistemando le sedie lungo la parete
opposta a quella della batteria.
A
quel punto Daron si lasciò andare a terra con la schiena
contro il muro e le ginocchia al petto.
“Non
so quanto ti convenga, in questo posto non puliscono più o
meno dal '95” lo avvertii, recuperando il mio basso e
preparandomi mentalmente al momento epico che stavo per vivere.
“Più
che altro gli si congelerà il culo” aggiunse Jacob.
Quest'ultimo aveva già collegato la chitarra all'amplificatore
e stava cominciando ad abbozzare con disinvoltura qualche nota di una
canzone composta un paio di giorni prima.
Daron
si strinse nelle spalle con noncuranza mentre ascoltava con interesse
il mio amico.
Forse
l'unico che si sentiva agitato ero io. Gli altri si comportavano come
se nulla fosse, anche Johanna aveva preso a suonare la batteria come
se non avesse aspettato altro fino a quel momento.
Probabilmente
io sbagliavo da qualche parte, ma non capivo dove.
Ma
quando posai lo sguardo su Ellie mi accorsi che neanche lei era del
tutto tranquilla. Allora non ero l'unico, non ero pazzo.
Io
e la ragazza ci scambiammo un'occhiata incoraggiante e questo mi fece
stare un po' meglio.
♫
Ellie ♫
Finché
tutto si era svolto nella mia immaginazione non c'erano stati
problemi, ma adesso che mi trovavo di fronte a Serj con un microfono
in mano la situazione si complicava.
Mi
ero riscaldata la voce a casa prima di recarmi alle prove, come ogni
volta, ma se questa fosse per qualche ragione scappata al mio
controllo?
Dovevo
smetterla. Ero riuscita a superare l'ansia di cantare di fronte al
ragazzo che mi piaceva e potevo affrontare anche questa.
“Con
quale cominciamo?” domandai, voltandomi verso i miei compagni
di band. Quattro paia di occhi seguivano i miei movimenti.
“Perché
non facciamo la scaletta del concerto?” propose Jacob.
Il
nostro chitarrista era raggiante, talmente contento che non riusciva
a stare fermo. L'avevo visto un paio di volte sghignazzare dopo aver
scambiato qualche sguardo con Daron e questo mi fece capire che i due
cominciavano ad andare d'accordo.
La
cosa mi preoccupava non poco, ne avremmo viste delle belle!
Johanna
non se lo fece ripetere due volte e recuperò subito la sua
darbuka, per la gioia dei nostri quattro spettatori.
Durante
il primo pezzo, quello esclusivamente strumentale, cercai con tutte
le mie forze di non mangiarmi le unghie; evitai accuratamente di
posare lo sguardo su Serj, la persona il cui parere contava più
di tutti per me, e mi concentrai su quello che mi ispirava più
fiducia e tranquillità, ovvero John. Lui mi aveva già
sentito e aveva espresso il suo parere in precedenza; inoltre
assisteva del tutto rilassato, con le braccia incrociate e
un'espressione serena dipinta in viso.
Quando
i miei amici eseguirono le prime note di Run Away, la prima
canzone da noi composta, presi un profondo respiro e feci appello ai
sei anni di lezioni di canto che avevo alle spalle.
Alla
fine, dovetti ammettere, non era poi così male! Dopo qualche
canzone ci avevo preso gusto, come ogni volta, e avevo smesso di
guardare un punto indistinto davanti a me. Era divertente, dovevo
solo comportarmi come quando stavo sul palco.
Mancavano
solo due canzoni alla conclusione della nostra scaletta; mi
dispiaceva che la nostra esibizione stesse già per volgere al
termine. Anche i ragazzi si stavano divertendo: Daron e Shavo si
muovevano leggermente a tempo e tutti sfoggiavano degli enormi
sorrisi soddisfatti.
Non
avevo ancora posato lo sguardo su Serj. Lui doveva essersi accorto
del mio comportamento, perché quando finalmente ebbi il
coraggio di guardarlo negli occhi lui annuì con convinzione e
mi regalò un occhiolino.
Wow!
Ero contenta come una bambina la mattina di Natale!
Cantai
gli ultimi due pezzi ancora più carica di prima e alla fine
ero davvero euforica. Non vedevo l'ora di scambiare due parole con
Serj e ricevere il suo sincero parere.
“Okay,
abbiamo finito il repertorio!” annunciò Noah al termine
dell'ultima canzone.
“Come,
è già finito?” si lamentò Daron mettendosi
in piedi.
“Piccoletto,
abbiamo suonato per un'ora” gli fece notare Johanna,
affiancandomi con le bacchette ancora strette tra le mani. “Devo
anche lanciare le bacchette tra il pubblico?” scherzò
poi, agitandole in aria.
“Io,
io, le voglio io!” strillò Daron, piazzandosi di fronte
a lei con un sorrisetto furbo.
“Se
permetti, la precedenza va al batterista” si intromise John
divertito.
“Ecco,
bravo John! Tu vai da quegli sfigati che suonano quegli strumenti con
le corde!” prese la palla al balzo mia sorella.
“Ehi,
povero Shavo!” esclamai con una risata.
“Uffa,
non mi vuole nessuno, sono triste!” mugugnò Daron
incrociando le braccia al petto con un broncio poco credibile.
“Non
ti preoccupare fratello, ci sono qui io! Ti offro il mio plettro in
segno di pace” lo intercettò Jacob, raggiungendolo e
ficcandogli il triangolo di plastica in una mano.
Daron
esaminò l'oggetto con aria teatralmente sorpresa, come se si
fosse ritrovato chissà quale diamante prezioso tra le dita.
“Grazie collega, tu sì che mi capisci!” cinguettò
poi, sollevando una mano per mollargli una pacca sulla spalla.
E
dovette proprio sollevarla, dal momento che il mio amico lo superava
di almeno dieci centimetri in altezza.
Ero
talmente concentrata a osservare la comica scenetta tra chitarristi
che non mi accorsi della presenza di Serj al mio fianco; quando me ne
resi conto, quindi, quasi mi spaventai.
“Oh
Serj, scusa, non ti avevo visto.”
“Eri
preoccupata, vero?”
Quella
domanda mi lasciò un attimo perplessa. “In che senso? Se
intendi dire che ero agitata, te lo posso confermare, un po' sì...
perché non sapevo bene che parere aspettarmi” ammisi
arrossendo leggermente.
Lui
mi posò una mano sulla spalla e mi sorrise bonariamente. “Non
dovresti pensarla così. Sai che ogni parere è
soggettivo e ognuno di essi è importante a modo suo: quello di
una cantante lirica come quello di uno che passa per strada. Quindi
io chi sono per dare giudizi universali?”
Avrei
voluto rispondergli che per me contava molto in quanto lo stimavo
immensamente come cantante e musicista, ma rimossi subito quell'idea;
non volevo sembrare stupida.
Ma
il suo ragionamento mi aveva spiazzato e non sapevo come
rispondergli. Dopo qualche secondo di riflessione decisi che la
strategia migliore era cambiare argomento.
“Cosa
ne pensi sinceramente?” gli domandai.
“A
me siete piaciuti molto come gruppo, avete grinta e idee originali
oltre che talento. Tu mi hai colpito molto: ho notato che hai tecnica
e passione, poi hai una bella voce.”
Molto
probabilmente in quel momento mi brillarono gli occhi. Quelle parole
mi scaldarono il cuore e rappresentarono in qualche modo una piccola
grande vittoria.
♫
Shavo ♫
“In
questo posto si muore di freddo, ma come fate a suonare qui?”
commentai, infilando nella tasca del mio pesante giubbotto il plettro
di Noah. Visto che Daron aveva quello di Jacob e le bacchette di
Johanna erano state prese da Serj e John, avevo chiesto al ragazzo
quel piccolo oggettino come ricordo.
Nonostante
si fosse un po' sciolto nei nostri confronti, sapevo che non avrebbe
avuto il coraggio di regalarmelo come avevano fatto i suoi amici; si
mostrò comunque entusiasta quando glielo chiesi.
“Qui
c'è una stufetta elettrica, possiamo accendere questa!”
esclamò Daron dando un piccolo calcio all'ammasso di ferraglia
abbandonato in un angolo che di certo aveva visto tempi migliori.
Ellie
tossicchiò soffocando una risata. “Noi abbiamo da poco
scoperto la sorpresa che nasconde, non so se sia il caso di
riprovare.”
“Allora
ho bisogno di riscaldarmi fumando. Chi mi fa compagnia?”
Alla
fine accettammo tutti e ci recammo all'esterno, dove faceva quasi più
caldo che in quel buco.
Anche
i ragazzi infatti avevano suonato con i loro cappotti addosso.
Dopo
aver preparato e acceso sigarette varie, io e le ragazze ci trovammo
vicini e cominciammo a parlare, come sempre ormai.
“Comunque
sei un matto, Shavo” disse Johanna.
“Perché?”
“Per
aver organizzato tutto questo... a un certo punto abbiamo anche
pensato che non sareste venuti, invece...”
Sgranai
leggermente gli occhi. “Avevamo un appuntamento, no? Perché
non ci saremmo dovuti presentare?”
“È
che sei stato così dolce, insomma, non è da tutti
quello che hai fatto” intervenne Ellie, giocherellando con il
bordo del foulard che portava attorno al collo. Anche quella volta
aveva i capelli raccolti nella sua immancabile crocchia.
Mi
strinsi nelle spalle. “Ho solo fatto quello che una persona
normale farebbe quando entra in confidenza con altre persone. Forse
vi sembra un po' strano perché faccio parte di una band
famosa, è possibile?” indagai. Non volevo metterle in
difficoltà, ma ero una persona diretta e curiosa di natura.
Johanna
scosse la testa. “No, non credo sia questo. O forse sì,
nel nostro inconscio.”
“Però
c'è da dire che molta gente, famosa o meno, non farebbe mai
una cosa del genere” aggiunse Ellie.
“Parlo
a nome di tutti: ci siamo semplicemente trovati bene con voi, ci è
piaciuta la vostra musica e abbiamo fatto quel che abbiamo sentito di
fare. E la cosa a quanto pare continua; guardate!” spiegai,
facendo un cenno verso gli altri cinque che conversavano
amorevolmente.
Jacob
e Daron, in particolare, stavano combinando un casino assurdo
insieme. Per fortuna ci trovavamo in una stradina abbastanza
tranquilla e poco trafficata, altrimenti avrebbero dato spettacolo
per mezza città.
“Ma
come possiamo tenerci in contatto? Hai facebook?” mi domandò
la batterista.
A
quel punto decisi che era arrivato il momento di compiere un passo un
po' azzardato, ma mi fidavo abbastanza delle gemelle.
“Sentite,
è meglio se vi do il mio numero, okay?” buttai lì.
Loro
tentennarono per un attimo, poi Ellie portò fuori il suo
cellulare e annuì per comunicarmi che era pronta a segnare.
In
realtà avevo due numeri: uno, quello che davo più o
meno a tutti, utilizzato prevalentemente per lavoro e l'altro per la
vita privata, riservato a famigliari e amici. Decisi di dettare alla
ragazza il primo perché, nonostante fossi positivo al
riguardo, non sapevo con certezza se mi potessi fidare ciecamente.
“Ragazzi,
noi andiamo in un bar, qui fuori ci stiamo ibernando! Venite?”
ci richiamò Noah.
“Volentieri!
Noi abbiamo un debito con questi giovanotti che hanno insistito per
pagare l'altra volta!” accettai.
“Ah,
ma possibile che ti ricordi sempre tutto?” borbottò
Johanna.
“No,
in genere ha la memoria di un pesce rosso” fece Serj, unendosi
a noi.
“Mi
ricordo solo le cose importanti!”
La
nostra conversazione venne interrotta da Jacob e Daron che, in testa
alla fila, intonavano a squarciagola una canzone non meglio
specificata.
“Piantatela
o faccio finta di non conoscervi” li ammonì John
scuotendo il capo.
Mi
portai una mano alla fronte con fare esasperato. “Ma perché?
Cosa abbiamo fatto di male?”
“Dovevamo
evitare che si incontrassero” osservò Ellie.
Poi
scoppiammo tutti a ridere e seguimmo i due chitarristi all'interno di
un piccolo locale.
♪ ♪ ♪
Udite
udite, martedì è giunto! *-*
Per
me questo è diventato un giorno della settimana speciale. Non
so se si è capito, ma tengo molto a questa storia e sono
sempre curiosissima di leggere i vostri pareri ^^
Stavolta
non ho molto da dire, voglio lasciare a voi tutti i commenti! Spero
solo vi sia piaciuta la scena di scambi di bacchette, plettri e merce
varia :) e anche la decisione avventata di Shavo!
Grazie
con tutto il cuore ai lettori, anche quelli silenziosi, e i
recensori! Vi invito a farmi sempre sapere cosa ne pensate della
storia con sincerità, accetterò di buon grado ogni
consiglio :3
A
presto!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Borrowed Dreams ***
Borrowed
dreams
System
Of A Down - Marmalade
♫
Daron ♫
Non
ero mai stato in quel locale, ma lo trovai piuttosto carino e
accogliente: non era molto grande e lungo le pareti erano posizionati
dei tavolini circondati da divanetti a forma di semicerchio.
Noi
prendemmo posto su uno di essi; fortunatamente era abbastanza grande
da accoglierci tutti.
Johanna
fece di tutto perché io e Jacob ci sedessimo il più
lontano possibile l'uno dall'altro e un po' la capivo. Quel ragazzo
era a posto, mi ero trovato bene con lui perché era un folle e
mi stavo divertendo parecchio, a spese degli altri presenti.
Noah
sedeva alla mia sinistra, mentre Ellie stava alla mia destra e
accanto a lei John aveva occupato l'estremità del divanetto.
Decisi quindi di interagire con la ragazza, con cui a dire il vero
non avevo avuto tanto a che fare fino ad allora.
“Allora
cantante, che mi dici? Sei contenta di aver incontrato i System Of A
Down?” esordii con fare divertito, intenzionato a provocarla un
po'.
John
mi lanciò subito un'occhiata interrogativa e ammonitrice allo
stesso tempo. Ecco, il solito guastafeste!
“Siete
simpatici” ribatté Ellie con semplicità,
stringendosi nelle spalle.
“Scusa
se te lo dico, ma...” cominciai, assumendo un teatrale
atteggiamento cospiratorio e abbassando il tono della voce “Shavo
non è una preda facile, sai? Ho visto come ti ci avvicini, ti
piace, eh?”
Lei
inizialmente parve spiazzata, poi sollevò gli occhi al cielo.
“Oddio Daron, ma cosa stai dicendo? Ma ti pare che io ci provi
con Shavo?” replicò trattenendo una risata.
“Ora
non lo vuoi ammettere, ma io l'ho capito! Comunque se non riesci a
portartelo a letto ci sono sempre io qui, pronto per servirti!”
Non
pensavo neanche una parola di ciò che stavo dicendo, ma era
assai interessante e divertente osservare le reazioni della ragazza.
“Malakian,
vacci piano” sibilò John tra i denti, fulminandomi con
un'occhiataccia.
“Smettila
di dire fesserie, hai fumato troppo!” mi smontò subito
Ellie, le guance leggermente imporporate per l'imbarazzo.
Ridacchiai
e le circondai le spalle con un braccio, attirandola leggermente a
me. “Sei troppo carina, ti voglio bene in fondo!”
Lei,
evidentemente stordita, rimase immobile per qualche secondo, poi si
divincolò e cominciò a conversare con John, cercando di
non darmi troppa attenzione.
“Cosa
prendete?” chiese una cameriera sulla trentina d'anni con i
capelli arruffati e l'aria esausta.
“Birra!”
esclamai, poi diedi di gomito alla ragazza accanto a me. “Dolcezza,
tu cosa prendi?”
“Ti
stai prendendo il vizio di chiamarmi dolcezza?” mi
apostrofò. “Un bicchiere d'acqua, grazie” fece poi
in direzione della cameriera.
“Perché,
non ti piace?”
“E
mi hai fatto male con quella gomitata” aggiunse con una punta
di irritazione nella voce, massaggiandosi un fianco.
“Davvero?
Scusa, non l'ho fatto apposta! Mi perdoni?”
Ero
sinceramente dispiaciuto; la maggior parte delle volte agivo senza
riflettere e finivo per fare qualche stronzata, come in quel caso.
Lei
mi lanciò un'occhiata dubbiosa e riprese a parlare con John.
Solo allora mi accorsi che si era impercettibilmente allontanata da
me, lasciando un piccolo spazio vuoto sul divano che prima non c'era.
Non
avevo fatto altro che portare fuori una cazzata dietro l'altra da
quando avevamo messo piede nel locale, forse l'avevo spaventata.
Le
posai una mano sul braccio. “Ellie.”
“Che
c'è?” rispose, tentando di mantenere la calma.
“Scusami,
lo so che a volte faccio cose strane.”
Lei
mi regalò un timido sorriso appena accennato. “Non fa
niente.”
Afferrai
un lembo del suo foulard che le era ricaduto sulla spalla e presi a
giocarci, attorcigliandolo tra le mie dita. Lei non parve
accorgersene, presa com'era dalla conversazione con il batterista.
Dopo qualche secondo di ascolto mi resi conto che la ragazza stava
parlando dell'università e di un esame che aveva dato il
giorno dopo del famoso concerto in cui avevano incontrato Shavo e
John.
“Cosa
studi?” le domandai curioso.
“Psicologia”
disse lei con orgoglio.
“Oh
no” bofonchiai.
“Perché
oh no?”
“Perché
odio gli strizzacervelli!”
“Daron,
che caso perso...” sospirò John scuotendo la testa.
“Invece
è una figata scoprire com'è la mente umana e osservare
i suoi meccanismi. A me ha sempre affascinato e ora che lo sto
studiando ancora di più” spiegò Ellie con
passione.
“Uff,
l'idea di essere monitorato come una cavia da laboratorio mi mette
ansia, io mi capisco benissimo anche senza aiuto! Quindi dolcezza,
non provare a psicoanalizzarmi, altrimenti sono guai!”
John
scoppiò a ridere. “Tu, Daron Malakian, hai appena detto
che ti capisci benissimo anche senza aiuto! Guarda Ellie, ti assicuro
che pure Freud in persona non avrebbe saputo che fare di fronte a
lui!”
“Taci,
nessuno ha chiesto il tuo parere!” lo rimbeccai.
“Che
antipatico” commentò la ragazza. Il suo sguardo venne
catturato dalle mie dita che ancora tormentavano il lembo della sua
sciarpa, ma non disse niente in merito.
Decisi
di lasciarla in pace per un po' e intrattenni conversazioni con gli
altri, compreso Noah, che si rivelò più loquace e
simpatico di ciò che pensavo; ma ogni tanto tornavo alla
carica e mi divertivo a punzecchiare la cantante. Lei a volte si
trovava in difficoltà e mi accorsi che non le andava di
rispondermi in maniera sgarbata. Probabilmente la stavo terrorizzando
con i miei sbalzi d'umore, tanto che alla fine della serata si
ritrovò quasi addosso a John pur di starmi il più
lontano possibile.
Dopo
circa un'ora ci rendemmo conto che si era fatto tardi ed era ora di
rincasare. Salutai calorosamente Jacob, Noah e Johanna; quest'ultima
mi minacciò di morte nel caso avessi fatto qualcosa di
sbagliato a sua sorella.
Quando
arrivò il turno di Ellie, presi una delle sue mani tra le mie
e le dissi: “Ciao dolcezza, spero di non essere stato troppo
antipatico.”
“Eccome
se lo sei stato!” esclamò lei. Il suo lieve sorrisetto
non mi permise di capire se scherzasse o in quelle parole ci fosse un
fondo di verità.
“Cazzate
a parte, lasciami perdere. Certe volte esagero” ammisi,
pizzicandole affettuosamente una guancia. Mi faceva tenerezza
dopotutto, le si leggeva negli occhi che era una ragazza dolce e
gentile.
Lei
mi sorrise, poi si precipitò ad abbracciare Shavo per
salutarlo. Notai che le ragazze avevano stretto in un abbraccio anche
John e Serj, ma avevano evitato di fare lo stesso con me; questo,
anche se cercavo di negarlo, mi lasciava un po' l'amaro in bocca.
Scossi
la testa e lanciai un'ultima occhiata ai ragazzi che si dirigevano a
riprendere i loro strumenti nella saletta, mentre io seguivo Shavo
verso la sua macchina.
Abitavamo
nella stessa zona, così ci eravamo recati all'appuntamento
insieme.
Una
volta in auto mi trovai a osservare: “Chissà quando li
rivedremo, qui a Los Angeles sicuramente non abbiamo la possibilità
di beccarli in giro”.
“Ho
io la soluzione, tranquillo” affermò il mio amico con lo
sguardo fisso sulla strada.
“Cosa
vuol dire?”
“Ho
dato alle ragazze il mio numero” buttò lì.
All'improvviso
un bruttissimo presentimento mi piombò addosso, riscuotendomi
dalla bella favola di quel pomeriggio. “Cosa?! Oh cazzo, ma ti
rendi conto di cos'hai fatto?” sbottai.
“Che
problemi hai?” replicò il mio amico sempre in tono
rilassato.
“Hai
dato il tuo numero a due sconosciute, a due fan! Potrebbero
diffonderlo, potrebbero stalkerarci, ma non ci pensi mai a queste
cose? In fondo noi che sappiamo di loro? Potrebbero essere due fan
impazzite che sono riuscite ad avvicinarsi a noi con una scusa!
Merda, siamo fottuti!” proseguii sempre più esasperato.
“E
datti una calmata, porca puttana! Ho dato il numero di lavoro, e
comunque tu in tutto questo cosa c'entri? Non ti ho coinvolto: ho
dato il mio numero, non il tuo!” si inalberò allora
Shavo.
“Ah,
allora non ci arrivi! Ci siamo ficcati nei casini! Io non pensavo che
tu prendessi così sul serio la faccenda di questi ragazzi, sei
stato esagerato e ora ti prenderai le conseguenze! Ti fidi sempre di
tutti...”
“E
tu non ti fidi mai di nessuno. Il fatto di far parte dei System ci
vieta di conoscere gente nuova?”
“Ma
Shavo, Johanna ed Ellie sono due fan come le altre! Tu conosci una
persona, la incontri tre volte nella tua vita e ti stai già
facendo film mentali su chissà quali amicizie! Ma devi stare
attento, io te lo dico sempre, altrimenti rimani fregato! No, tu non
te ne rendi neanche conto” continuavo a sbraitare, prendendomi
la testa tra le mani.
Il
mio amico non riusciva a capire: aveva passato a due sconosciute
un'informazione molto personale e loro avrebbero potuto farne quello
che volevano. Le gemelle sembravano così adorabili, eppure io
non mi fidavo e non ero d'accordo con quello che Shavo aveva fatto.
Prima o poi avrebbe messo nei casini tutti noi, me lo sentivo!
Continuammo
a discuterne e a urlarci contro per un po', ma lui rimaneva fermo
sulle sue condizioni, non voleva aprire gli occhi e io mi innervosivo
sempre di più. Esisteva troppa gente come lui, che nonostante
il degrado del mondo sotto tutti i punti di vista aveva ancora il
coraggio di vivere nel mondo dei sogni.
Tornai
a casa in ansia e incazzato per la discussione.
Qualcuno
poteva pensare che fossi paranoico, ma ci tenevo a salvaguardare la
mia vita.
♫
Ellie ♫
Una
brutta sensazione mi accompagnava ormai da mezz'ora e non riuscivo a
liberarmene. Da quando avevamo salutato i ragazzi non avevo fatto
altro che rimuginare sul comportamento di Daron e non potevo negare
che mi indisponeva parecchio. Non potevo negare che era simpatico e
spiritoso, ma molti suoi atteggiamenti erano troppo fastidiosi e mi
inquietavano parecchio.
Per
fortuna durante quella serata avevo avuto John al mio fianco, che era
stato per me il porto sicuro su cui fare affidamento quando Daron
esagerava. Il batterista non aveva detto nulla al riguardo, ma mentre
conversavamo mi aveva lanciato occhiate rassicuranti e protettive;
era sempre pronto a distrarmi quando mi trovavo in imbarazzo con il
chitarrista.
“Ellie?”
mi richiamò mia sorella mentre, con lo sguardo perso fuori dal
finestrino, mi immergevo in quel fiume di pensieri durante il
tragitto verso casa.
“Dimmi”
biascicai in tono piatto.
“Sei
triste, cos'hai? È colpa di quel coglione di Daron, vero?”
Mia
sorella mi conosceva fin troppo bene e aveva subito fatto centro.
“È
che è troppo strano, mi inquieta! Lo sai che io non mi faccio
certo intimorire da uno come lui, ma certe volte non so proprio come
rispondergli, non voglio essere maleducata” mi giustificai
subito, sentendomi una stupida per quei pensieri. In effetti non era
da me comportarmi così.
“Sei
sempre la solita! Devi rispondergli quello che ti senti di dire! Ma
dai, ti pare che ti debba mettere problemi per Daron? Con lui devi
comportarti esattamente come con Jake!” mi consigliò.
“A
te non fa paura?” le chiesi.
“Non
tanta, però ti capisco! Dai, nel caso ci dovessimo incontrare
di nuovo farò in modo di tenerlo lontano da te o di non
lasciarti da sola. Non mi piace questa situazione.”
“Per
fortuna c'era John accanto a me. È mitico!”
“Oddio”
esclamò Johanna all'improvviso facendomi sobbalzare. “Abbiamo
il numero di Shavo! Che carino è stato, io sono in brodo di
giuggiole!”
Mi
illuminai a mia volta. “È vero! È stato troppo
tenero! Secondo te come mai lo fa? Pensi che tenga davvero a noi?”
“Sì,
non credo che ci mentirebbe. E poi il numero non è una cosa
che si dà a tutti!”
“Ora
gli mando un messaggio, così si può salvare il numero!”
affermai, poi presi il mio cellulare e digitai:
Ciao
Shavo, sono Ellie :) grazie ancora per la bella serata, un abbraccio
da me e Jo ♥
“L'hai
inviato? Cosa gli hai scritto?” continuava a ripetere mia
sorella in preda all'entusiasmo.
Le
lessi quelle poche parole ed entrambe sorridemmo contente,
continuando a commentare gli avvenimenti di quella serata finché
non giungemmo a casa.
Ma
quel senso di fastidio non diminuì col passare del tempo,
anzi, si accentuò sempre più quando constatai che Shavo
non aveva risposto al mio messaggio nemmeno il giorno dopo.
Il
tempo scorreva, ormai era passata quasi una settimana, e dei ragazzi
nessuna traccia. Un senso di sconforto mi teneva compagnia, mentre io
e mia sorella continuavamo a ripeterci quanto fossimo state stupide a
fidarci di quei quattro musicisti.
♪ ♪ ♪
Ciaoooo!
^^
Eccomi
qui, di nuovo ad aggiornare! Stavolta il capitolo è un po' più
breve, ma non mi piace avere una lunghezza prestabilita: dipende da
ciò che deve succedere!
Non
devo aggiungere niente di che, se non una piccola nota sulla canzone:
come la maggior parte delle volte il testo non ha nessuna attinenza
con il capitolo, ma la musica mi fa pensare a qualcosa di ironico e
inquietante allo stesso tempo... ho pensato fosse giusto inserirla
qui, in cui il brutto presentimenti e le sensazioni negative hanno la
meglio!
Ringrazio
con affetto i miei assidui lettori, siete speciali :3
A
martedì prossimo!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Such a lonely day ***
ReggaeFamily
Such
a lonely day
System
Of A Down - Lonely Day
♫
Johanna ♫
Era
trascorsa una decina di giorni dal giorno delle prove con i System e
di Shavo nessuna traccia.
Io
e mia sorella avevamo supposto che potesse non aver ricevuto il
messaggio e fui quasi tentata di mandargliene un altro da parte mia,
ma poi lasciammo perdere perché non ci sembrava il caso di
insistere.
In
realtà non davamo molto peso a quella faccenda: entrambe
avevamo delle vite piene di impegni e mille cose a cui pensare, ma la
verità, anche se non lo ammettevamo esplicitamente, era che
entrambe eravamo state deluse. Dal canto mio mi sentivo una
grandissima stupida per aver creduto a quella bella illusione, ma
cercavo di scacciare quei pensieri.
Mia
sorella per fortuna era assorbita dai suoi nuovi libri
dell'università da studiare per il prossimo esame, le serviva
proprio tenere la mente occupata dopo la notizia che aveva ricevuto
in quei giorni: Noah stava frequentando una ragazza. Sapevamo solo
che si chiamava Kate e aveva un paio d'anni in meno di noi.
“Ciò
che non capisco” mi aveva detto Ellie una sera, dopo aver speso
ore e ore sui libri, “è perché lui non sia stato
sincero con me. Voglio dire: poteva benissimo ammettere che non gli
interessavo in quel senso, senza accampare quella scusa. Non è
vero che non se la sente di avere una relazione... con questa tipa se
la sente!”
Io
avevo scosso la testa. “Maschi, tutti uguali: non hanno mai il
coraggio di dire le cose!”
“Non
mi va di arrabbiarmi con lui. Siamo amici, io gli voglio bene
nonostante tutto e sono sicura che lui vuole bene a me, ma questo suo
gesto non mi è piaciuto.”
Ero
delusa e vivevo quella situazione con molta intensità, come se
fossi stata io a subire tutto ciò. Tra me ed Ellie era sempre
andata così: eravamo unite e condividevamo le gioie e i
drammi. Quindi era inevitabile che gli ultimi fatti dessero da
pensare anche a me.
Ma
intanto continuavamo a vivere la nostra vita e divertirci nonostante
tutto; andavamo alle prove, suonavamo e cantavamo, ridevamo insieme
fino ad avere dolori ovunque e non perdevamo mai il sorriso. Contro
tutto e tutti, io ed Ellie saremmo sempre state insieme e saremmo
andate avanti grazie al nostro incrollabile entusiasmo.
Una
sera come un'altra decidemmo di uscire con la nostra amica Melanie.
Lei ci conosceva da sette anni ormai, dai tempi del liceo, ed era una
delle poche che ancora sopportava il nostro atteggiamento folle ed
eccentrico; era quasi una terza gemella e anche in casa la adoravano
tutti.
Il
problema era che vederci costantemente era diventato difficile:
Melanie lavorava quasi tutte le sere come cameriera in un ristorante,
mentre durante il giorno io ero spesso impegnata con Lindsay ed Ellie
seguiva le lezioni all'università. Melanie era dispiaciuta
soprattutto perché ogni volta si perdeva i nostri concerti.
Quel
giorno io e mia sorella proponemmo di recarci al GrinPub: quel
posto ci era piaciuto tanto e ci eravamo tornate già parecchie
volte, nonostante riportasse a galla ricordi dolci e dolorosi allo
stesso tempo.
“Ellie,
mi devi raccontare bene la storia di Noah con questa nuova tipa e poi
mi dovete spiegare meglio la storia di quei tipi Of A Down
perché per messaggi non l'ho capita tanto bene!” esclamò
la nostra amica mentre facevamo il nostro ingresso nel locale.
“Tranquilla,
ci aspetta una bella chiacchierata! Mettiamoci in un angolino
tranquillo, che ne dite?” esclamai, facendo un cenno verso un
tavolino vuoto.
Quel
giorno non era previsto nessun live, ma comunque un piacevole
sottofondo musicale inondava la stanza. Ci posizionammo al lato del
piccolo palco vuoto e io mi resi conto che ci trovavamo proprio nello
stesso punto occupato da Shavo e John il giorno del nostro concerto.
Ellie
spiegò ciò che era successo con Noah tentando di
rimanere il più distaccata e indifferente possibile. Nel
frattempo un cameriere aveva preso le nostre ordinazioni: Melanie
come al solito aveva optato per un cocktail alcolico, Ellie aveva
scelto una birra perché non amava particolarmente i
superalcolici e io un caffè al ginseng. Al Grin era
davvero ottimo, ne prendevo sempre uno quando mi ritrovavo là.
“Sai
che ti dico? Fregatene! Prima o poi doveva capitare, no? Un giorno
anche tu guarderai avanti! E poi non ci possiamo fare niente, Noah ha
una vita e ne fa quello che vuole” affermò Melanie dopo
aver ascoltato il racconto, portandosi una ciocca di capelli corvini
e mossi dietro l'orecchio.
Quel
gesto mi fece sorridere; era sempre in lotta con quei capelli
ribelli.
“Ma
Mel, è stato scorretto da parte sua dire a Ellie di non essere
pronto per una relazione seria e poi...” tentai di
contraddirla.
“C'è
da dire che tutto ciò è successo un anno fa. Quante
cose possono capitare in dodici mesi? Magari lui ha trovato una
ragazza che gli interessa davvero e ha cambiato idea” mi
interruppe.
“È
vero, hai ragione. È difficile, ma mi devo rassegnare: Noah
non ricambierà mai i miei sentimenti” disse Ellie con un
sospiro mesto. “Ma sapete cosa? Alla fine sono contenta per
lui: se lui è contento lo sono anch'io. Ci soffrirò
ancora, ma forzare le cose non servirebbe a niente, l'importante è
che lui sia libero di fare le sue scelte. Spero solo che questa Kate
sia una brava ragazza” concluse infine, illuminandosi
nuovamente.
Ah,
quanto era positiva! Non si abbatteva mai, era mitica!
“Oh,
adesso chiudiamo l'argomento, altrimenti finiamo per deprimerci tutte
e tre! Parlatemi dei cosi Of System!” cambiò
argomento la nostra amica, spostando lo sguardo da me a Ellie con
impazienza e curiosità.
“Sei
tremenda!” scherzai con una risata, dandole di gomito.
“Colpa
dell'alcol” si giustificò, ridendo a sua volta.
“Tutte
scuse!” la apostrofò mia sorella. “Comunque si
chiamano System Of A Down!”
“Ecco,
loro! Hai dato il numero a... Daron, giusto?”
“No,
a Shavo, il bassista” la corresse Ellie. “Quella sera che
sono venuti a fare le prove.”
Raccontammo
a Melanie la nostra serata con i ragazzi, tutti i complimenti
ricevuti e perfino la cattiva impressione che il chitarrista aveva
fatto su mia sorella.
“Mamma
mia, questo Daron deve essere una palla al piede... comunque: perché
non avete mandato a Shavo un altro messaggio? Potrebbe davvero non
averlo ricevuto!” commentò, terminando il suo cocktail e
richiamando l'attenzione di un cameriere per poterne ordinare un
altro.
“Vacci
piano” la ammonì Ellie con un'occhiataccia.
“Oddio,
che stupida che sono! Ellie, non ci abbiamo pensato!” sbottai
all'improvviso, dandomi una manata sulla fronte.
Non
ci potevo credere: avevamo una possibile soluzione a portata di mano
e solo in quel momento mi era venuta in mente!
“Che
cosa?” volle sapere subito Melanie, curiosa come sempre.
“Hai
presente il barista, che poi è anche il gestore del locale?
Dave, quello là.” Le indicai con un cenno il ragazzo
dietro il bancone. “Quando ci siamo incontrati qui, Shavo ha
detto che lui era un suo ex compagno di scuola e che l'aveva invitato
all'inaugurazione del locale. Questo vuol dire che si conoscono e
sono ancora in contatto: avremmo potuto chiedere a Dave informazioni,
magari possiamo dargli un messaggio da riferire a Shavo!”
spiegai raggiante, cercando approvazione negli sguardi delle altre
due.
“Oddio,
è vero! Sei un genio, sorella!” concordò subito
Ellie con entusiasmo.
“Uff,
ma il cameriere non arriva? L'ho chiamato secoli fa, che palle!”
si lamentò Melanie.
Mi
voltai per cercare di attirare l'attenzione di qualcuno e ne
approfittai per lanciare un'occhiata a Dave. C'era pochissima gente
di fronte al bancone, sarebbe stato il momento adatto per agire.
Ma
un grido stridulo di mia sorella interruppe il flusso dei miei
pensieri e mi costrinse a voltarmi di scatto.
♫
Shavo ♫
Non
mi andava di fare le prove di sera, dopo cena, ma Serj e Daron si
stavano prendendo quella brutta abitudine. Daron si svegliava sempre
nel primo pomeriggio e non aveva voglia di uscire subito di casa,
mentre il cantante aveva sempre una marea di impegni e quello per lui
era l'unico momento libero.
Ma
io e John a una certa ora cominciavamo a essere stanchi, soprattutto
il batterista che era abituato a svegliarsi molto presto, e non
riuscivamo a essere lucidi come avremmo voluto.
“Daron,
porca puttana, smettila di strillare o alla prima occasione ti butto
in freeway 101 nel mezzo del traffico!” sbottai spazientito.
Ci
voleva pazienza per sopportare quel coglione in sala prove, e io alle
nove di sera l'avevo terminata.
“Ma
non capite un cazzo! Se io faccio questo giro di chitarra, tu lì
non puoi entrare nel secondo quarto, suona male! Senti qui!”
strillò ancora lui ignorando la mia minaccia; poi prese a
suonare la sua chitarra senza nessuna delicatezza, sbagliando tutto
dalla prima all'ultima nota.
John,
che da quando Daron aveva preso a comportarsi da checca isterica
aveva abbandonato il suo posto dietro la batteria, ridacchiò
divertito dalla performance oscena del nostro amico e si lasciò
sfuggire uno sbadiglio.
“Io
non ne ho più voglia di sentire le tue stronzate, vai avanti
così da cinque minuti. Buona, io me la fumo” biascicai,
poi presi il mio giubbotto e mi diressi all'esterno della sala prove.
John mi seguì volentieri e raggiungemmo Serj, che già
da qualche minuto si trovava all'aria aperta.
Prima
di richiudere la porta udì il chitarrista che ancora
borbottava tra sé e riprovava ossessivamente gli stessi
accordi.
“Oggi
si è svegliato con la luna storta” commentò il
cantante, che con la schiena appoggiata al muro accanto alla porta
osservava il cielo. Ogni tanto la luna faceva capolino tra le nubi
nere che minacciavano di scaricarci addosso un bel temporale.
“È
uno di quei giorni in cui vuole decidere tutto lui, bisogna lasciarlo
perdere” affermai, cominciando a costruirmi una canna.
“È
un lonely day” convenne John, strappandoci una risata.
Da
quando Daron aveva composto Lonely Day, io e i miei colleghi
usavamo a sua insaputa il titolo di quella canzone per definire le
sue giornate no. Che, a dire il vero, capitavano abbastanza spesso.
“Shavo,
ma alla fine com'è andata con le gemelle? Ti hanno cercato?”
domandò all'improvviso Serj.
Sgranai
gli occhi mentre un flashback di giorni e giorni fa si faceva strada
nella mia mente.
Ero
seriamente incazzato con Daron, perché doveva sempre rovinare
la serata a tutti con le sue paranoie? Avevamo passato qualche ora
piacevole con Johanna, Ellie e i loro amici, le ragazze mi sembravano
a posto, cosa c'era di male se ci tenevamo in contatto? Non avevo
coinvolto lui e non credevo di aver rivelato chissà quale
informazione riservata a delle persone poco affidabili, quindi che
voleva?
Fui
davvero contento quando giungemmo di fronte a casa sua e fummo
costretti a interrompere la nostra discussione; lo vidi scendere
dall'auto e cercare le chiavi con movimenti nervosi.
Prima
di partire recuperai il mio cellulare dalla tasca del giubbotto per
controllare che ore fossero e trovai un messaggio da un numero
sconosciuto: lo aprii e appresi che si trattava di Ellie. Lo lessi
distrattamente continuando a chiedermi come una ragazza così
carina e ingenua potesse diffondere il mio numero, ma poi nella
fretta di tornare a casa riposi il telefono a posto e mi ripromisi di
risponderle più tardi.
Dovevo
immaginare che la mia memoria poco attendibile mi avrebbe giocato uno
dei suoi brutti scherzi.
“Oh
merda, il messaggio!” gridai, abbandonando tutto il materiale
per la canna tra le mani di John e precipitandomi all'interno per
recuperare il mio telefono.
“Che
problemi hai?” borbottò Daron sollevando un
sopracciglio.
“Non
ci posso credere, è ancora qui! Sono un coglione” feci,
scorrendo la lista dei messaggi ricevuti fino a trovare ciò
che mi serviva.
“Che
cosa?” Avevo suscitato la curiosità del mio amico, che
si era accostato a me e aveva tentato di sbirciare nel display.
Ma
se avesse scoperto quello che stavo facendo saremmo finiti a
discutere un'altra volta e per quel giorno ne avevo decisamente
abbastanza.
“Fatti
i cazzi tuoi” tagliai corto, tornando fuori dagli altri in
fretta.
John,
che intanto aveva finito e acceso la sigaretta, mi lanciò
un'occhiata interrogativa.
“Ellie
mi ha mandato un messaggio la sera stessa in cui le ho dato il
numero, ma mi sono dimenticato di risponderle” raccontai.
“Strano,
non ti capita mai” mi punzecchio Serj con uno dei suoi
sorrisetti che mi facevano sentire ancora di più un idiota.
“Odadjian!”
tuonò Daron un istante dopo, spalancando la porta e giungendo
come una furia nella piccola terrazza antistante alla sala in cui ci
trovavamo.
Non
lo degnai di uno sguardo e presi a digitare una risposta per la
ragazza.
Ciao
Ellie... scusa se rispondo solo ora ma avevo visto il tuo messaggio
in un momento di fretta e purtroppo la memoria non mi assiste... mi
dispiace davvero!!!!!! Ora salvo subito il tuo numero, grazie ☺
“Ancora
con questa storia?” stava sbraitando nel frattempo Daron. I
miei amici gli avevano rivelato ciò che era successo e
ovviamente lui aveva qualcosa da ridire.
“Ti
prego Serj, trova un modo per farlo stare zitto... io ho sonno e mi
sta venendo mal di testa” si lamentò John massaggiandosi
una tempia e socchiudendo gli occhi.
“Datti
una calmata. Shavo fa quello che vuole, tu sei libero di starne
fuori” gli disse allora Serj irremovibile con uno sguardo
severo.
Sollevai
lo sguardo su John e capii che forse non stava proprio bene quel
giorno: era più pallido del solito e si stringeva nel suo
pesante cappotto nonostante le temperature non fossero poi così
rigide. Non era da lui lamentarsi quando qualcosa non andava, doveva
essere proprio un brutto momento.
“Hai
la febbre?” mi preoccupai, accostandomi a lui.
“Non
lo so, spero di no. Io vado dentro, a dopo ragazzi” decise.
Lo
seguii, stanco di avere a che fare con Daron.
“Quel
bastardo di Malakian si meriterebbe una bella lezione” affermò,
prendendo posto nell'unico divanetto presente nella stanza.
Sì,
aveva la febbre, stava delirando. In condizioni normali il batterista
non avrebbe mai portato fuori qualcosa del genere.
Però
mi aveva incuriosito e volevo sapere cosa aveva in mente.
“In
che senso?” m'informai, gironzolando da una parte all'altra con
finto fare annoiato.
“Non
sopporta Ellie e Jo, giusto? Ecco, io farei in modo che ce le avesse
sempre tra i piedi, per infastidirlo un po'.”
“Non
credo che Daron le odi, più che altro è infastidito dal
fatto che abbiamo dato molta fiducia a due fan come le altre.
Però sai che la tua idea non è male? Cazzo Dolmayan,
stai diventando perfido!”
“Dev'essere
la febbre” scherzò.
“Quindi
hai la febbre?”
“Che
ne so, sono a pezzi e mi sto congelando... e ho mal di stomaco.”
La
cosa non mi piacque per niente, anche perché lo vedevo sempre
più pallido.
“Ehi
amico, sicuro che non hai bisogno di qualcosa?” insistetti
scettico.
“Macché,
è una cazzata, passa subito. Dicevo: dobbiamo fare in modo di
incontrare le ragazze quando siamo in compagnia di Daron. Ma ne
parliamo meglio in un altro momento.”
Annuii
mentre nella mia mente si formavano due pensieri: John era un grande
e dovevo pensare alla prossima occasione utile per attuare il nostro
piano.
Probabilmente
non lo facevamo per vendicarci davvero di Daron, sarebbe stato
stupido da parte nostra. Il punto è che io, John e Serj non
vedevamo l'ora di rivedere Johanna ed Ellie, ma eravamo troppo
orgogliosi per ammetterlo apertamente e così ricorrevamo a
delle scuse.
“Allora,
che si fa? Riprendiamo le prove?” ci spronò subito Serj
quando rientrò in sala, un paio di minuti dopo, seguito da
Daron che strascicava i piedi a terra senza fiatare.
In
tutta risposta, John fece appena in tempo a mettersi seduto che un
conato lo sorprese e ci rese ben presto partecipi di ciò che
aveva mangiato a cena.
Perfetto!
♪ ♪ ♪
Ciao
a tutti ^^
Avete
visto? In questo capitolo tutto si è risolto... a parte per il
povero John! Scusa John, mi dispiace, ma ti voglio bene lo stesso :3
(?)
E
a parte per Daron che si sveglia con la luna storta sei giorni su
sette -.-”
Bene,
nel frattempo che attendo il perdono di John, vi faccio sapere che
dalla prossima settimana la storia tornerà ai suoi normali
aggiornamenti: un martedì sì e uno no! Lo so, lo so, mi
dispiace farvi aspettare due settimane, ma ho tante idee in testa che
aspettano di essere messe su carta ^^
E...
Hanna, so che questa canzone ti piace particolarmente! Ammettilo che
hai aperto il link a inizio capitolo X'D
Ringrazio
di cuore gli stupendi lettori che ogni volta mi fanno sapere cosa ne
pensano, sono la mia forza! :3
Un
forte abbraccio!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Pizza ***
ReggaeFamily
Pizza
System
Of A Down - Chic 'N' Stu
♫
Daron ♫
“Cazzo,
abbiamo provato poco, come facciamo?” si lamentò Shavo
perennemente in ansia, mentre ci dirigevamo ognuno alla proprio auto.
Era
una serata di inizio marzo e avevamo appena finito in sala prove; i
miei amici mi avevano convinto a cenare insieme a loro in una
pizzeria italiana di cui avevano sentito parlare bene.
Avevano
presenziato alle prove anche alcuni dello staff, tra cui il nostro
produttore e il nostro manager, ma loro avevano deciso di non unirsi
a noi.
“Sei
troppo ansioso” gli fece notare Serj, che passeggiava
serenamente con le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni.
“Scusate,
è colpa mia che mi sono ammalato. Cazzo, non ci voleva proprio
due settimane prima delle prove” si scusò John
mortificato.
Il
batterista si era beccato un virus che l'aveva buttato giù per
una settimana, quindi avevamo dovuto rimandare le prove. Si era
ripreso da poco, ma sapevo che si sentiva in colpa e detestavo questa
cosa. Che ci poteva fare lui?
“Non
dire stronzate Dolmayan, meglio che tu sia rimasto a casa tua e non
abbia vomitato sulla batteria. Spaccheremo lo stesso in tour!”
tentai di rassicurarlo in tono allegro.
“Io
però sono preoccupato...” borbottò il bassista
con un sospiro.
Prima
di salire in macchina, i ragazzi mi spiegarono che ci saremmo recati
nella zona di Sunset Boulevard, in una piccola viottola secondaria
ricca di ristoranti e bar. Conoscevo più o meno quel luogo,
era piuttosto tranquillo.
Quel
giorno ero davvero di buonumore e l'idea della serata tra amici mi
rallegrava ancora di più.
Ma
il mio entusiasmo venne bruscamente troncato quando, una volta giunti
al parcheggio, mi ritrovai di fronte due ospiti inattesi.
“Ehi
ragazzi, pronti per la pizza più buona di Los Angeles?”
esordì Ellie con entusiasmo. Lei e sua sorella ci vennero
incontro con due enormi sorrisi stampati in faccia.
Loro?!
Oddio, ma erano ovunque! Come facevano a sapere dove ci trovavamo?
Un'ondata di terrore mi assalì al solo pensiero che potessero
averci in qualche modo rintracciato e seguito.
“Cosa
ci fate voi qui?” sbottai lanciando alle gemelle un'occhiata
torva e ai miei compagni uno sguardo interrogativo.
Ma
qualcosa non tornava: io ero agitatissimo, mentre gli altri tre non
sembravano affatto preoccupati e le salutarono come al solito.
“Che
accoglienza, Daron” commentò Johanna avvicinandosi a me.
“Vi abbiamo invitato a mangiare al Pizza Way!”
“Ti
abbiamo fatto una sorpresa, fratello!” aggiunse Shavo con un
sorrisetto.
Non
ci potevo credere: che bastardi! Mi avevano portato da quelle due con
l'inganno, non mi avevano consultato, eppure sapevano benissimo cosa
ne pensassi! Cominciai a tremare di rabbia e dovetti fare affidamento
al mio scarso autocontrollo per non saltare addosso al bassista e
spaccargli quella faccia da idiota che si ritrovava. Il sangue mi
ribolliva nelle vene e più vedevo le due sorelle interagire
tranquillamente con gli altri, più la mia voglia di salire in
macchina e sparire il più lontano possibile aumentava.
“Daron”
mi richiamò Serj preoccupato.
“Coglioni,
questa me la pagate” sibilai senza voltarmi a guardarlo.
“Smettila,
sono due persone...”
“Sono
due fan” tagliai corto mentre ci incamminavamo verso il locale
in cui, da quel che avevo capito, le ragazze avevano prenotato da
giorni d'accordo con Shavo e John.
Sarebbe
stata una serata di merda, anzi, già lo era.
Rimasi
in disparte, qualche passo indietro rispetto agli altri, senza
rivolgere la parola a nessuno. Era meglio stare zitto, perché
se avessi aperto bocca avrei combinato un casino.
Cercai
tra il gran numero di voci che riecheggiavano per la via di captare
quelle di John ed Ellie, che passeggiavano e chiacchieravano davanti
a me.
“Allora,
come stai? Ti sei ripreso del tutto dal virus?” sentii
domandare alla ragazza con fare apprensivo.
“Sì,
ma non ci voleva due settimane prima delle date americane.”
“Dai,
almeno l'hai passato prima e non durante!” tentò di
sdrammatizzare lei.
Perfetto,
sapevano tutto perfino della nostra vita privata! Certo, quel
grandissimo idiota di Shavo doveva obbligatoriamente raccontare i
fatti nostri! Eppure sapeva che se c'era una cosa che odiavo
profondamente erano le intromissioni altrui nella mia sfera privata.
Distratto
da quei pensieri e con una voglia crescente di fumare, mi accorsi
appena della mano che attraverso il giubbotto mi si era posata sul
braccio. Sobbalzai e mi voltai allarmato, trovandomi faccia a faccia
con Johanna.
“Chitarrista,
non mi convinci. Ho come l'impressione che la nostra presenza ti
infastidisca. Dimmi, che c'è?” esordì. Aveva
sempre quel suo atteggiamento scherzoso e ironico, ma la sua voce era
venata da un pizzico di preoccupazione e qualcosa simile alla
dolcezza. La cosa mi colpì: non l'avevo mai sentita così.
“Non
ho niente” tagliai corto in tono lugubre, cercando di liberarmi
dal contatto con lei con una scrollata di spalle.
Intanto
avevamo rallentato il passo e riuscivo appena a intravedere gli altri
tra i gruppetti di persone che affollavano il marciapiede.
“Non
sono qui per scherzare Daron, voglio parlare con te seriamente. Ho
una mia teoria: non ti fidi di noi, è per questo che non ci
sopporti tanto” proseguì lei imperterrita, concentrando
il suo sguardo su di me.
“Guarda
di fronte a te, altrimenti cadi o ti schianti” la avvertii.
“Non
cambiare discorso!”
“Non
mi fido di nessuno” ammisi.
“È
questo che mi spaventa di più. Quando si diventa famosi è
difficile capire chi ha buone intenzioni e chi invece punta solo alla
fama. Però mi dispiace che io ed Ellie ti abbiamo fatto questa
impressione, davvero: noi ci siamo affezionate a voi come persone, se
fossimo delle fan come le altre non avremmo certo puntato a
conoscervi così a fondo. Magari vi avremmo chiesto una foto e
basta. Cazzo, quanto è difficile parlare di queste cose! Non
sono estroversa come pensi quando c'è da portar fuori cose
serie.”
Il
suo monologo mi fece sorridere e riflettere allo stesso tempo. Io in
fondo non odiavo quelle ragazzine, mi stavano piuttosto simpatiche,
ma mi ero lasciato prendere dalle solite paranoie e le avevo viste
come delle nemiche.
Tuttavia
rimasi impassibile, chiuso nel mio orgoglio, ed evitai di ribattere.
“Per
favore piccolo e dolce Malakian, fai una bella risata e goditi la
serata insieme a noi! Non ti voglio vedere con il broncio, okay?”
insisté la ragazza con aria supplichevole, sporgendosi verso
di me e puntando gli occhi nei miei. Un sorriso appena accennato
tradiva la sua voglia di scherzare.
Johanna
mi aveva completamente spiazzato, pensavo che non avrebbe fatto caso
al mio stato d'animo o che mi avrebbe rivolto qualche battuta
sarcastica durante la cena, invece era venuta da me portando fuori
per una volta il suo lato tenero e aveva cercato di scoprire il
motivo del mio malessere.
Decisi
che anche per me era giunto il momento di mettere da parte le
inibizioni. Mi lasciai sfuggire una risatina e le circondai
amichevolmente le spalle con un braccio. “E va bene, ma solo
perché me lo chiedi con gli occhi da cagnolino abbandonato in
autostrada!” acconsentii, riprendendo a camminare più
rapidamente per raggiungere il resto del gruppo.
“Bel
paragone eh! Ti chiedo solo una cosa: lasciati andare, sii Daron e
basta quando stai con noi. Tanto io non sono una groupie e non andrei
a letto con te nemmeno per tutto l'oro del mondo!”
“Peccato,
cominciavo a sperarci!” scherzai.
“Eh
no, giù le mani, peste!” Johanna si liberò dalla
mia presa ridendo e per poco non andò a sbattere contro un
tizio che camminava in direzione opposta.
Scoppiai
a ridere. “Visto? Io ti avevo detto di guardare davanti a te!”
“Sono
ubriaca!” si giustificò, presto contagiata dalle mie
risate.
“Ma
tu non eri astemia?”
“Appunto!”
“Oh
mio dio, ma quello è Daron!” Uno strillo stridulo a
qualche metro da noi ci fece ammutolire all'improvviso e io sentii lo
stomaco torcersi: una ragazzina che camminava con i suoi amici verso
di noi mi osservava con gli occhi sgranati e la mascella a terra.
No,
ma perché anche quando camminavo in strada? Proprio io non mi
ero mai saputo adattare a quel genere di cose.
Io
e Johanna ci lanciammo uno sguardo preoccupato mentre la tizia
ordinava ai suoi amici di armarsi di cellulare per video, foto e
quant'altro. Poi si precipitò da me e io me la ritrovai
addosso, che mi stringeva in un abbraccio soffocante e strillava come
un delfino a pochi centimetri dalle mie orecchie.
“Ehm...
ciao” la salutai senza troppa convinzione, irrigidendomi.
“Daron,
non ci posso credere, sono fottutamente fortunata! Sto per svenire!
Mi fai un autografo?” continuò a blaterare lei portando
fuori una penna e un foglio spiegazzato dalla borsa.
Ma
si era portata l'occorrente nel caso mi avesse incontrato da qualche
parte? La cosa mi preoccupava parecchio.
Io
abbozzai un sorriso finto mentre scarabocchiavo il mio nome sulla
carta; al mio fianco Johanna si lasciò sfuggire una risata
divertita.
Avevo
un paio di videocamere e fotocamere puntate addosso e la cosa non mi
piaceva, quel momento doveva concludersi il più rapidamente
possibile.
“Grazie
mille” cinguettò la fan, avvicinandosi pericolosamente a
me e tentando di stamparmi un bacio sulla guancia.
“Grazie
a te” tagliai corto, fingendo di sistemarmi il cappello sulla
testa per evitare che lei riuscisse nel suo intento.
Tornò
dai suoi amici che ancora lanciava gridolini, tremava e mi fissava
come se fossi un incrocio tra una trota e un procione.
Il
gruppetto proseguì per la sua strada e la ragazzina non mi
salutò neanche quando andò via.
“Oddio,
ma tu sei Daron Malakian, non ci posso credere, sto per svenire!”
la scimmiottò Johanna dopo qualche secondo riprendendo a
camminare.
“Oh
merda, non ci posso credere, sono Daron Malakian! E io che speravo di
essere qualcun altro!” ironizzai divertito.
Io
e la ragazza scoppiammo a ridere insieme e continuammo a prendere per
il culo la fan.
Se
solo i miei seguaci si comportassero da persone normali io non avrei
avuto nessun problema, ma quando sentivo quelle ragazzine strillare
rischiavo di dare di matto. Non sapevo come comportarmi con loro, non
avevo idea di cosa dire, mi mettevano solamente in imbarazzo!
“Tornando
al discorso di prima: un altro motivo per cui non mi piacerebbe
essere una star!” osservò la batterista, poi fece cenno
verso una porta a vetri in legno chiaro e ci intrufolammo all'interno
del Pizza Way.
Quel
giorno ero davvero di buonumore, dopotutto.
♫
John ♫
“Questa
sì che è una pizza!” esclamai con soddisfazione,
impegnandomi per fare fuori anche l'ultimo quarto.
“In
America il cibo vero è quasi introvabile ormai” osservò
Serj con una punta di amarezza nella voce.
“Piccole,
grazie per averci portato in questo posto!” aggiunse Shavo.
Il
chitarrista intanto evitava di aprir bocca, preso com'era dalla sua
pizza gigante farcita con quasi tutti gli ingredienti disponibili
nella pizzeria. Si era impiastricciato le mani e il muso come un
bambino, ma era talmente contento che non se ne accorse.
“Ora
dovete rimangiarvi tutto quello che avete detto in Chic 'N' Stu!”
commentò Ellie che, seduta accanto a me, lottava con il
formaggio filante.
“Io
non c'entro niente, non so scrivere i testi!” mi discolpai
subito con un'alzata di spalle.
“Oh
pizza dolce pizza, mi dispiace averti offeso, che Dio ti abbia in
gloria!” se ne uscì a quel punto Daron con la bocca
ancora mezzo piena, rivolgendosi al piatto che aveva di fronte.
“Serj,
sei in band con uno che parla col cibo.” Ellie scoccò
un'occhiata divertita al cantante e gli diede di gomito.
“Io
con lui ho perso tutte le speranze nel '95.”
“Io
parlo con tutto, così gli oggetti non rischiano di sentirsi
soli e trascurati” spiegò allora il mio amico con una
tale convinzione da sembrare serio.
“E
quel tuo unico neurone superstite? Lui si sente solo e trascurato?”
lo punzecchiò Johanna.
“Quel
neurone ha già tentato tante volte il suicidio” le
assicurai.
La
serata passò abbastanza tranquillamente tra scherzi e
conversazioni varie. Stranamente eravamo tutti di buonumore, persino
Daron si era lasciato andare e apprezzava la presenza delle ragazze!
Non avevo idea di cosa fosse capitato, ma qualcosa mi diceva che
l'artefice di tutto fosse Johanna.
Dopo
cena, per evitare inutili litigi, finsi di andare in bagno e ne
approfittai per pagare il conto. Quando gli altri lo appresero, mi si
rivoltarono tutti contro perché non era giusto.
“Per
festeggiare la mia guarigione” spiegai.
“Restiamo
ancora in giro? Dai, andiamo in qualche locale carino, vi va?”
propose Daron una volta fuori dalla pizzeria. Era leggermente brillo
e di sicuro aveva intenzione di continuare il processo da qualche
altra parte.
Ma
noi eravamo tutti troppo stanchi e rifiutammo.
“Sentite
ragazzi: il 16 di questo mese è il compleanno di Noah, se ne
avete voglia e volete passare una serata diversa quella sera ci
trovate tutti al GrinPub, dopo cena” ci comunicò
Ellie speranzosa.
“Dolcezza,
noi quel giorno siamo in tour, abbiamo alcune date americane”
le comunicò Daron con dispiacere, piombando al suo fianco e
posandole una mano sulla spalla.
“Tour?
Ma davvero? Non ne sapevamo nulla!” esultò allora lei.
“Spaccate
tutto ragazzi!” aggiunse Johanna.
“Troveremo
qualche altra occasione per rivederci, promesso” affermò
Shavo.
All'improvviso
un'idea mi balenò in mente e mi illuminai. Non era da me
portare fuori certe proposte, ma quella volta non riuscii a
trattenermi. “Magari un giorno potete venire in sala prove da
noi, così ci facciamo una suonata tutti insieme!”
Gli
altri cinque mi guardarono con stupore, poi annuirono e accettarono
di buon grado.
“Ci
stavo pensando anch'io” ammise Serj.
Ellie
e Johanna sembravano contente della mia proposta ed entrambe, durante
il momento dei saluti, mi ringraziarono di cuore per l'invito. Nel
frattempo ci fu un disordinatissimo scambio di numeri telefonici
generale, ma a me non sfuggì un dettaglio: Daron non diffuse
il suo numero, sicuramente ancora non si fidava del tutto. Ma aveva
fatto qualche passo avanti, che per uno come lui non era affatto
scontato.
Il
metodo che io e Shavo avevamo escogitato aveva fatto miracoli: erano
state le ragazze stesse a farsi accettare da lui, con un po' di
perseveranza. Pensavamo solo di infastidire il chitarrista, invece
avevamo ottenuto un risultato non sperato, ma di gran lunga più
prezioso.
♪ ♪ ♪
SORPRESAAAAA!!!!!!!!!!
Eh ragazzi, lo so, avevo detto che da questa settimana gli
aggiornamenti sarebbero tornati come già deciso in precedenza,
ma... la verità è che non ho avuto tempo di dedicarmi
alla nuova long che devo aprire e, avendo già pronto questo
capitolo, ho deciso di fare questa specie di regalo a tutti voi!
Spero vi faccia piacere, ma questa è davvero l'ultima volta :P
Lo
so, lo so, questo capitolo non è un granché e non
succede niente di particolarmente interessante, però ho voluto
in qualche modo far emergere le insicurezze di Daron e il lato più
nascosto di Jo. Vi aspettavate il modo di agire della ragazza?
Alla
fine il chitarrista sta accettando le ragazze, ho voluto
evidenziarlo, e anche gli altri lo hanno notato! Adesso che tutto si
sta stabilizzando, come proseguiranno le cose???
Spero
che la storia vi piaccia e che i capitoli di transizione non vi
annoino, cerco sempre di inserire qualche scena simpatica per rendere
il tutto più piacevole e leggero ^^
Grazie
infinite a tutti, in particolare agli assidui quattro recensori che
mi supportano e mi tengono compagnia grazie ai loro commenti! Non me
lo aspettavo e non posso che ringraziarvi, ragazze! :3
A
martedì prossimo ancora... e stavolta davvero XD ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** It's party time! ***
ReggaeFamily
It's
party time!
System
Of A Down - B.Y.O.B.
♫
Ellie ♫
Ero
in ansia.
Pensavo
non mi sarebbe importato poi tanto di Kate, ero convinta di essermene
fatta una ragione, ma ora che avrei dovuto fare la sua conoscenza mi
rendevo conto che avevo paura.
Cercai
di placare almeno un po' la preoccupazione mentre aspettavo mia
sorella; aveva passato tutto il pomeriggio con Lindsay e non avrebbe
avuto nemmeno il tempo di staccare un attimo: sarebbe passata a
prendermi e insieme ci saremmo recate al GrinPub per il
compleanno di Noah.
Il
clacson della nostra macchina mi distolse dal mio tormento e,
afferrando frettolosamente il regalo per il bassista, mi precipitai
all'esterno.
“Non
hai idea di cosa ha fatto Lindy oggi! Dopo ti devo far vedere un
video che le ho fatto, se lo mostro ai System si sciolgono!”
esclamò Johanna con il suo consueto entusiasmo, quando aprii
la portiera.
“Quella
bambina è un amore, dobbiamo fare in modo che i ragazzi la
conoscano! Secondo te sua madre sarebbe d'accordo?” ribattei io
mettendo il riscaldamento al massimo.
Mia
sorella sembrava non avere mai freddo, lo lasciava sempre spento. Era
una cosa che odiavo!
“Sarah
si fida di me, non mi vieta mai di portarla in giro o di farla
conoscere ai miei amici, per lei penso non ci siano problemi.”
“Allora
lo dobbiamo assolutamente fare! Ma... dov'è il coniglietto?”
domandai, riferendomi al profumante per ambienti in cartone a forma
di coniglio che avevo appeso qualche giorno prima.
Johanna
storse il naso. “Lo sai che a me la vaniglia non piace. L'ho
buttato.”
“Cosa?!
Perché? Ma che problemi hai?” mi inalberai.
Di
certo in un momento qualsiasi della mia vita non me la sarei certo
presa per un pezzo di carta, tra le due non ero certo io la polemica,
ma ero davvero nervosa per l'imminente serata.
“Oh,
ma cosa vuoi? C'è bisogno di incazzarsi così per un
coniglio?”
E
Johanna ovviamente non rinunciava mai alle discussioni, rispondeva
sempre a tono.
“Potevi
almeno dirmelo, no? L'hai buttato a caso, era nuovo!”
“Ma
tu sai bene che la vaniglia non mi piace, eppure l'hai comprato lo
stesso!”
“Vabbè,
in quel momento non ci ho pensato! E quindi c'era bisogno di fare
così?”
Dopo
circa cinque minuti passati a gridarci contro per quel dannato
coniglio alla vaniglia, io, stanca di sentire mia sorella blaterare,
alzai bruscamente il volume dell'autoradio, sparando a palla una
canzone degli Incubus. Tra l'altro la frequenza radio era anche
disturbata, quindi non feci altro che uccidere i timpani di entrambe.
Lei
allora, profondamente irritata dal mio comportamento, girò
nuovamente la rotellina e sbraitò: “Cos'è che ti
turba? Oggi sei intrattabile, si può sapere cos'hai?”
“È
che sono preoccupata per la tipa di Noah” ammisi finalmente.
No,
decisamente non ero brava a tenermi le cose dentro; in realtà
non ero nemmeno abituata, dato che Johanna capiva subito quando
qualcosa non andava e mi tormentava finché non sputavo il
rospo.
“Cosa
ti preoccupa di preciso?”
“Che
non sia una brava ragazza. Io sono fiduciosa perché conosco i
suoi gusti, ma non bisogna dimenticare che comunque è un
ragazzo e si sa che spesso la sede delle decisioni emigra dal
cervello a un'altra parte del corpo un po' più in basso...
insomma, ho paura che si sia trovato una troietta che non lo merita.”
“Sai
che ti dico? Questa preoccupazione ce l'ho anch'io nonostante non mi
piaccia. È normale che abbiamo questi dubbi perché gli
vogliamo bene, ma comunque non stiamo parlando di Jacob che se ne fa
una al giorno, Noah è un ragazzo serio... e poi chi se ne
frega, la responsabilità è sua!” sentenziò
lei in tono serio, con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo fisso
sulla strada.
“Sembra
un discorso di Mel” commentai con una risatina.
“Oddio,
davvero?”
Entrambe
scoppiammo a ridere e capimmo in quel momento che l'argomento era
stato accantonato, così come ogni discussione stupida su
conigli e gusti dei profumanti per ambienti.
Una
volta di fronte al locale, trattenni il fiato prima di abbassare la
maniglia della porta d'ingresso.
“Dai,
mi sto congelando!” mi incitò Johanna dandomi dei
piccoli colpetti da dietro con la busta del regalo.
“Va
bene, va bene, ma smettila, altrimenti si rovina il pacchetto!”
Varcai la soglia a testa alta e venni avvolta dall'ormai familiare
atmosfera del pub. Quel luogo era talmente rassicurante che i
possibili eventi negativi della serata sembravano un miraggio.
“Oh,
il pacchetto che hai fatto con tanto amore e tante imprecazioni!”
cinguettò lei per prendermi in giro.
“Era
ora! Dai giovanotte, venite a salutare il festeggiato, si stava già
per offendere perché non vi vedeva arrivare!” esordì
Melanie, stritolandoci subito in un abbraccio.
“Festeggiato
offeso, dove sei?” strillai allora io, avvicinandomi a grandi
passi al tavolino stracolmo di carta regalo in cui si trovava Noah.
“Oh,
sono arrivate le star della serata!” mi salutò lui con
un sorriso raggiante.
“Tanti
auguri a te, tanti auguri a te...” intonarono Melanie e Johanna
dirigendosi nella nostra direzione; si circondavano le spalle con il
braccio a vicenda e rischiavano di inciampare a ogni passo.
Infine
io e mia sorella stringemmo Noah in un abbraccio continuando a
cantare sotto lo sguardo divertito dei presenti.
Ma
io non mi lasciai sfuggire la presenza femminile attorno al tavolo,
proprio accanto al mio amico: si trattava di una ragazza di media
statura, abbastanza esile, che sfoggiava una chioma di piccoli e
fitti boccoli castano chiaro e dei lineamenti delicati sulla
carnagione chiara.
Doveva
essere lei, Kate.
Noah
ce la presentò: sì, era proprio lei.
La
ragazza mi strinse la mano e mi sorrise debolmente; sembrava essere
molto timida e riservata. In quell'istante la studiai attentamente e
compresi che doveva essere una brava ragazza, molto semplice e per
niente desiderosa di esporsi.
Da
una parte il nodo di preoccupazione che mi aveva attanagliato fino a
quel momento si disciolse, ma proprio in quel momento avvertii una
stretta al cuore: Kate sembrava essere perfetta, riusciva a donare a
Noah ciò che io non ero mai stata in grado di donargli.
Cos'aveva lei più di me?
“Buh!”
Una
voce vicina e terribilmente familiare esplose nel mio orecchio
destro, facendomi sobbalzare e distogliendomi dai miei pensieri.
Lanciai
un grido, sorpresa, e mi voltai in quella direzione con aria
minacciosa. “Jacob, sei un coglione, stai rischiando grosso!”
Il
chitarrista ridacchiò. “Uh, che minaccia, aiuto! Mi
nasconderò in casa e non uscirò mai più!”
mi prese in giro lui.
“Sembri
Daron quando ti comporti così.”
“No
El, ti sbagli: è Daron che sembra me!”
“Dai
Ellie, Noah deve aprire il nostro regalo!” mi richiamò
Johanna.
“Ora
sono curioso anch'io!” affermò il ragazzo al mio fianco.
“Tu
cosa gli hai regalato?” gli chiesi.
“Questa!”
rispose Jacob sollevando da una sedia una felpa nera. “Dato che
rompeva sempre perché non aveva felpe abbastanza pesanti.”
Nonostante
fossimo solo una decina a festeggiare il compleanno di Noah, stavamo
facendo un gran baccano e tutti i presenti nel locale ci lanciavano
occhiate interrogative, ma a noi non importava niente: ci sentivamo i
padroni del mondo quella sera, avevamo voglia di divertirci e basta.
Noah
rimase davvero sorpreso quando scartò il pacchetto. Gli
avevamo preso un libro incentrato sul suo amato strumento, con la
storia del basso, le migliori tecniche per suonarlo e un'antologia
dei bassisti più importanti di tutti i generi musicali in
ordine cronologico.
“Oddio,
ma è una figata! Io vi adoro!” strepitò il
ragazzo in brodo di giuggiole, sfogliando le pagine patinate.
“Wow!”
commentò Kate avvicinandosi a lui e dando una sbirciata.
“Guarda
se c'è Shavo!” esclamammo io e Johanna saltellando.
“Come
se la staranno passando i ragazzi?” si chiese Jacob.
“Non
lo so, ma cosa ne dite di scattare una foto per far vedere loro come
ce la passiamo noi?” proposi con un sorriso.
“Ma
prima ordiniamo da bere, vi prego!” intervenne Melanie.
Tutti
furono d'accordo; io ordinai la mia solita birra, mentre la maggior
parte dei presenti non esitò a scegliere forti cocktail
alcolici.
“Adesso
facciamo la foto!” ordinò Johanna spazientita mentre
ancora tutti sorseggiavano il loro drink. Detto questo, mollò
il suo cellulare tra le mani di Melanie e trascinò me e Noah
accanto a sé.
Anche
Jacob si posizionò accanto a noi.
“Va
bene bella gente, ora voglio vedervi sorridere per i Down A
System!” fece la nostra fotografa.
“Daron,
amichetto mio, fuma tanta erba anche da parte mia, oggi il mio pusher
mi ha abbandonato!” piagnucolò Jacob.
“Guarda
che è una foto, non un video... non ti sente!” gli fece
notare mia sorella.
Intanto
tutti quanti avevamo preso a ridere e le espressioni immortalate
erano epiche: io ridevo senza ritegno abbandonata addosso a mia
sorella, Jacob sfoggiava un ghigno malefico, Noah aveva dipinta in
viso un'espressione allucinata e stringeva in mano con orgoglio il
suo nuovo libro e Johanna rideva con il volto in parte nascosto dal
bicchiere di Jacob.
“È
bellissima, devo assolutamente mandargliela!” decise Johanna
strappando il telefono dalle mani di Melanie.
“Cosa
gli stai scrivendo?” domandammo tutti con curiosità,
accalcandoci attorno alla ragazza.
Ma
proprio in quel momento le prime note di una canzone attirarono la
nostra attenzione, nonostante la musica fosse a un volume molto
basso.
“Oddio,
gli AC/DC!” strillammo io e mia sorella.
“You
Shook Me All Night Long, questa è tutta da ballare!”
concordò la nostra amica raggiante, cominciando a muoversi a
tempo.
“Dave,
alza il volume!” Johanna aveva intercettato il barista mentre
saltellava, carica come una bomba.
Lui
all'inizio parve riluttante per via degli altri clienti, ma poi
vedendoci pronti a esplodere decise di accontentarci.
“Questo
è il mio momento!” annunciò Jacob.
E
io sapevo che stava per combinare qualche follia delle sue.
Infatti
dopo qualche istante corse verso il palchetto vuoto evitando
magistralmente ogni ostacolo e con un agile balzo fu al di sopra di
esso, sotto gli sguardi divertiti e perplessi di tutti.
“Allora?
Mi lasciate da solo?”
Io
e le altre due ragazze ci scambiammo un'occhiata.
“'Fanculo
la dignità, io vado a divertirmi!” affermai,
raggiungendo il nostro amico sul palco con le altre due al seguito.
Cominciammo
quindi a ballare e cantare come matti e, incredibile ma vero,
riuscimmo a coinvolgere anche qualche altro cliente.
Dave
intanto, vedendo che ormai non c'era più niente da fare per
fermarci, si arrese e ci regalò una playlist piena di brani da
ballare.
Forse
era proprio quello che mi serviva per non badare troppo a Noah e
Kate, che erano sempre vicini e ballavano anche insieme.
Era
molto più divertente osservare Jacob che eseguiva delle mosse
da lui reputate sexy, ma che ogni volta ci facevano scoppiare a
ridere.
Ma
sì, avevamo ormai perso la dignità, tanto valeva
continuare di questo passo!
♫
Shavo ♫
Inutile:
qualche fan passava sempre, riusciva in un modo o nell'altro ad
aggirare la security. Non che mi desse particolarmente fastidio in
realtà, faceva parte del mio lavoro, ma gli atteggiamenti di
alcuni fan certe volte mi lasciavano proprio spiazzato.
Ero
accaldato dopo il live ed ero uscito un attimo dal backstage,
costituito da un gazebo in cui si era accumulata una tremenda afa.
Per prendere un po' d'aria; mi trovavo comunque nel retro, diviso dal
pubblico per mezzo delle transenne, ma qualcosa non aveva funzionato.
Subito un gruppetto di ragazzine mi aveva raggiunto, lanciando
urletti striduli e armandosi di cellulari e fotocamere varie.
“Oddio
Shavo... possiamo fare una foto?” chiese una di loro, una tipa
spaventosamente magra dai capelli biondo platino.
“Ciao!
Certo” risposi io gentilmente.
Fui
costretto a scattare cinque foto perché ognuna la voleva con
me e basta. Tra uno scatto e l'altro firmai cd e altra merce
della band.
“Shavo,
Shavo, mi puoi firmare il braccio?” chiese una di loro
sollevandosi la manica della maglietta.
“Ma
proprio sulla pelle?” Ero confuso.
“Sì!
Domani passo da un tatuatore per farmelo ripassare, così sarei
con me per tutta la mia vita!” cinguettò quella con gli
occhi che brillavano.
Le
altre intanto continuavano a fissarmi con gli occhi spalancati e
strillare, mettendomi sempre più in soggezione. Dovevo
ammetterlo: quelle tipe mi inquietavano.
Mentre
le quattro che avevano già posato per la foto parlottavano tra
loro, la più piccoletta del gruppo si avvicinò a me.
Era mora e portava il caschetto, era magra e indossava solo un abito
nonostante l'aria frizzante della notte. “Adesso è il
nostro turno” affermò in tono malizioso.
Mi
si incollò addosso e impostò la telecamera interna del
cellulare; sentivo chiaramente che si premeva contro di me e la cosa
mi metteva in imbarazzo, speravo solo che quel momento finisse
presto.
Ma
proprio un secondo dopo la foto lei abbassò la mano di scatto
e cercò di sfiorarmi tra le gambe. Io mi irrigidii allarmato e
indietreggiai istintivamente. “Ehi” la ammonì
stizzito.
La
ragazzina ridacchiò divertita, poi mi lanciò un'ultima
occhiata eloquente e tornò dalle sue amiche.
Aspettai
che loro se ne andassero e finalmente un uomo della security
intervenne per mandarle via.
Io
ero incredulo e sconvolto; tornai all'interno scuotendo il capo e
sperando di non incontrare altri fan per quel giorno.
Probabilmente
io ero troppo buono e tollerante nei confronti dei miei seguaci,
forse sbagliavo; sta di fatto che non sopportavo gesti del genere,
così avventati e spudorati. Insomma, ero il bassista dei
System Of A Down, ma ancora prima una persona che meritava di essere
trattata con il giusto rispetto, come una semplice persona appunto.
Il
comportamento di quella tipa mi aveva profondamente irritato e avevo
dovuto fare affidamento su tutto il mio autocontrollo per non
sbraitarle contro.
“Cosa
c'è?” mi chiese subito Serj quando rientrai, notando
subito la mia espressione turbata.
“Una
tizia ha cercato di allungare le mani dove non doveva” spiegai
brevemente, recuperando il mio cellulare per controllare che ore
fossero.
“All'ordine
del giorno” commentò Daron laconico accendendosi una
canna.
Notai
che avevo ricevuto un MMS da parte di Johanna, cosa assai insolita;
lo aprii e lessi il messaggio:
Ehi
VIPS, come va da voi? Oggi è il compleanno di Noah, guardate
un po'!!!
In
allegato c'era una foto dei quattro componenti dei Souls che ridevano
e festeggiavano con i bicchieri in mano. Noah stringeva tra le mani
un volume che non mi era nuovo, probabilmente un regalo.
“Guardate
cosa mi hanno mandato le ragazze” dissi, passando il cellulare
agli altri.
Nel
frattempo Daron mi cedette la canna per qualche tiro.
Quando
l'apparecchio fu tra le mani di John, lui ridacchiò e scattò
una foto a me, Serj e Daron che fumavamo stravaccati su delle sedie,
poi digitò velocemente e mi restituì il telefono.
Constatai
che aveva risposto:
Noi
ce la passiamo così
“Questa
foto è inguardabile, sei uno stronzo Dolmayan” commentai
con una smorfia.
Lui
continuò a sghignazzare. “Io?”
“Fammela
vedere!” intervenne subito il chitarrista, fiondandosi verso di
me.
“Dopo
il tour quindi li invitiamo in sala?” se ne uscì Serj a
sproposito.
“Ma
certo!” concordai entusiasta.
“Oh,
fammi vedere la foto!” insistette ancora Daron spazientito.
Gli
mollai il cellulare, almeno avrebbe smesso di rompere.
“Che
cosa dolce, verranno proprio nel luogo in cui ho vomitato!”
osservò John in tono serio.
“Hai
scattato una foto di merda, ti uccido!” sbottò Daron
brandendo l'oggetto in aria come fosse un'arma.
Il
batterista lo liquidò mostrandogli il dito medio.
“Scusa,
ma questo lo prendo io. Se vuoi distruggerne uno, prendi il tuo”
affermai impossessandomi nuovamente del cellulare.
Qualche
minuto dopo Johanna rispose:
Tutte
cazzate, sappiamo che siete circondati dai fan esaltati :D
Non
aveva tutti i torti! Le scrissi:
Auguri
a Noah da parte di tutti comunque! E comunque hai ragione...
Effettivamente
la nostra casetta ci mancava parecchio, quando eravamo in tour era
normale. Non che avessimo vera e propria nostalgia, viaggiare ci
piaceva, ma ogni tanto mancava quella tranquillità di cui ogni
tanto avevamo bisogno.
La
ragazza non rispose più per tutta la serata, sicuramente stava
festeggiando e si stava divertendo.
Ma
avevo talmente tanto sonno che quasi non me ne resi conto. Non so
nemmeno spiegare come io e gli altri riuscimmo ad arrivare all'hotel
in cui avremmo dormito, quella settimana di tour mi aveva davvero
distrutto.
♪ ♪ ♪
Ragazzi,
io... cioè... sono un attimo destabilizzata. Non ho ancora
realizzato del tutto di aver visto i nostri amati Sysytem del vivo
appena tre giorni fa, mi fa pure uno strano effetto pubblicare un
capitolo di questa storia dopo aver assistito davvero a un live dei
ragazzi!
Visto?
E io che pensavo che Ellie e Jo fossero incredibilmente fortunate :D
Ne
approfitto per dedicare questo aggiornamento a Kim e Stormy, le mie
due pazze adorate che hanno vissuto insieme a me mille emozioni sotto
il palco e mi sono state vicine in due modi diversi. Nei miei ricordi
di questo epico live sarete sempre impresse anche voi, a mio parere è
una cosa meravigliosa *-*
E
ringrazio tutti i sostenitori della storia, che oltre lasciarmi
pareri sempre positivi (troppo buoni) sono anche una fonte di
ispirazione per me :3
Alla
prossima e buona serata a tutti!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Accidents happen... ***
ReggaeFamily
Accidents
happen...
System
Of A Down - Kill Rock N' Roll
♫
Jacob ♫
“Dolcezza,
posso farti una domanda? Ma vai in giro con il foulard al collo pure
d'estate?!”
Non
appena Daron aprì la porta della sala prove e si ritrovò
di fronte Ellie, senza nemmeno preoccuparsi di salutare, se ne uscì
con quella domanda.
Scoppiai
a ridere. “Bravo fratello, è la stessa cosa che mi
chiedo anch'io!”
“Jake,
stai zitto. Daron, io e te oggi cominciamo proprio con il piede
sbagliato con quel dolcezza!” si difese subito lei con
ironia.
“Beh
chitarrista, che dobbiamo fare? Ci lasci entrare o dobbiamo stare qui
a prendere polvere?” intervenne Johanna, intrufolandosi nello
spazio tra Daron e lo stipite della porta.
Allora
lui indietreggiò di qualche passo e, accennando un piccolo
inchino, ci accolse: “Ladies and gentlemen, vi do il benvenuto
nel nostro modesto cantuccio!”
“Comunque:
ciao Daron, stiamo tutti molto bene, grazie per avercelo chiesto!”
lo punzecchiò ancora la batterista.
“Ellie,
non hai risposto alla domanda!” feci notare, mentre raggiungevo
Daron e gli mollavo una pacca sulla spalla in segno di saluto.
“Appunto,
io sono curioso!” aggiunse lui.
Mi
guardai attorno: dopo aver varcato la porta ci eravamo ritrovati in
un breve e stretto corridoio immerso nella penombra. A qualche metro
da noi si apriva l'ingresso in quella che doveva essere la vera e
propria sala prove, da dove proveniva un leggero vociare e una forte
luce.
“Malakian,
cosa stai combinando con i nostri ospiti?” gridò a un
certo punto Shavo.
Così
lanciai un'occhiata complice a Noah e, appiattendomi contro il muro
per superare il chitarrista, mi diressi verso gli altri tre,
infilando le mani nelle tasche dei jeans e fischiettando serenamente.
“Allora ragazzi, come butta? Vi siete ripresi dalle sbronze del
tour?” esordii con un sorriso.
Dovetti
trattenermi per non restare a bocca aperta a osservare la magnifica
stanza in cui mi trovavo: aveva le pareti scure, di una tonalità
porpora, probabilmente rivestite in velluto; la luce, diffusa da
numerose lampade sparse ovunque, era calda e dolce. Accanto alla
maestosa batteria, la Tama di John che conoscevo bene, giacevano
alcuni amplificatori; sulla parete opposta era addossato un grande e
capiente divano. A pochi metri dalla porta invece regnavano una
tastiera e un mixer, il tutto con talmente tanti bottoni e levette
che pareva provenire da un film di fantascienza.
All'improvviso
era come se fino a quel momento non avessi mai capito un cazzo di
musica e strumenti.
“Ciao
Jacob!” mi salutarono John, Serj e Shavo. Quest'ultimo era
comodamente stravaccato sul divano, mentre il batterista stava
rimestando in una sacca nera stracolma di bacchette. Serj, che invece
vagava per la stanza con fare inquieto, si avvicinò a me e mi
sorrise per poi intrufolarsi nel corridoio.
Noah
intanto aveva strabuzzato gli occhi da quando aveva messo piede nella
stanza e non era ancora riuscito a spiccicare parola.
Mi
avvicinai a lui e gli picchiettai sulla spalla. “Ragazzi, mi sa
che questo qui si sta per sentire male” annunciai poi.
Shavo
sollevò la testa di scatto, poi ridacchiò.
“Ma
è un impero! Questo posto è un cazzo di impero!”
sbottò allora lui all'improvviso, scuotendo la testa con fare
incredulo.
“Questo
è il nostro regalo di compleanno, mettiamola così. A
proposito: auguri!” tentò di sdrammatizzare John,
lasciando perdere la sacca e avvicinandosi a noi due per batterci il
cinque.
“Auguri
Noaaah!” presi a strillare, cominciando a girare attorno al mio
amico.
Sì,
mi piaceva troppo fare l'idiota, era assai divertente.
“Auguri!”
La voce di Daron riecheggiò dal piccolo andito, poi lo vidi
piombare all'improvviso nella stanza con un grido assordante e
gettarsi letteralmente addosso a Noah, abbracciandolo amichevolmente.
“Oddio
Daron, sto soffocando... levati!” protestò lui,
scrollandoselo di dosso e tuffandosi sul divano accanto a Shavo per
evitare altri attacchi.
Intanto
Shavo aveva preso a ridere senza controllo, e le risa aumentarono
quando Daron prese di mira John e gli si aggrappò al braccio.
“Allora,
cosa state combinando?” intervenne Serj, che era finalmente
tornato dall'ingresso con le ragazze.
Dopo
il solito giro di saluti, Johanna mi si avvicinò. “Jaky,
dolce Jaky, cosa ci fai qui impalato? Non la appoggi la tua
chit... oh merda, la Tama!” esclamò poi spalancando
occhi e bocca.
Si
avvicinò allo strumento lentamente, come se si trovasse
davanti a chissà quale reliquia egizia, e sfiorò con le
dita il bordo di quello che doveva essere un China, ma non ne ero
molto sicuro, non me ne intendevo di piatti. Io la affiancai e
osservai a mia volta il set che mi trovavo di fronte: le pelli dei
tamburi, bianche e pulite, erano solo leggermente consumate al
centro.
“È
strano” osservai.
“Cosa?”
domandò la mia amica curiosa.
“Io
pensavo che dopo una sola suonata le pelli di John fossero da
buttare, invece queste sono tenute benissimo.”
“Te
l'ho detto un sacco di volte: anche nel metal, se si suona in maniera
controllata, lo strumento non si rovina. Non è necessario
pestarci sopra come se si stesse piantando un chiodo” spiegò,
facendo scorrere le dita sul bordo di un tom.
“Già”
concordò una voce dietro di me.
Mi
voltai e solo allora mi resi conto che John era arrivato alle nostre
spalle; in una mano stringeva un paio di bacchette.
“John,
la tua Tama è... non lo so!” cinguettò lei con
gli occhi che brillavano.
“Tieni,
suonala” propose lui con semplicità, tendendole le
bacchette.
“Ma
stai scherzando? No, e se te la rovino?”
“Puoi
anche sfasciarla, ne ho altre. Dai Jo, siamo qui per suonare, no?”
Lei
allora non se lo fece ripetere due volte; si fiondò sul
seggiolino ed esaminò attentamente la posizione di ogni
singolo pezzo.
“No,
vabbè, ragazzi... devo assolutamente farle una foto!”
strillò Ellie, che probabilmente si era accorta solo in quel
momento di ciò che stava per accadere.
“Sì,
la foto con John!” concordò Shavo.
Così
il batterista si posizionò al suo fianco con un'espressione
seria ed Ellie si adoperò per scattare una foto.
“E
sorridi una volta nella vita!” lo prese in giro Johanna
dandogli leggermente di gomito.
“Una
rockstar non deve mai sorridere” fece notare Daron in tono
solenne.
“Ah
sì? Vogliamo fare una prova?” lo sfidò Serj
improvvisamente divertito.
“E
noi che facciamo? Non suoniamo?” intervenni allora, portando
fuori la mia chitarra dalla custodia che fino a quel momento avevo
tenuto su una spalla.
“Uh,
fai vedere!” esclamò Daron con entusiasmo, prendendo
delicatamente l'oggetto dalle mie mani.
“Non
è un granché... ma suona!”
“Adesso
vado a prendere la mia e piazziamo un casino! Dai, montiamo tutto!”
Ah,
quanto mi sentivo bene! Non sapevo se fosse normale o no, ma con i
System Of A Down mi sentivo a casa, si era da subito creato un legame
quasi di fratellanza. Per quanto mi riguardava, mi comportavo
esattamente come tra amici.
Mentre
collegavo la mia figlioletta all'amplificatore, sentii Johanna
che si lasciava andare e suonava qualcosa con la batteria. “Vai
Jo, facci sognare!” le gridai con un sorriso incoraggiante. “E
questa chi la conosce?” chiesi poi, prendendo a suonare il riff
iniziale di Kill Rock N' Roll.
Daron,
dopo aver ascoltato per qualche istante come lo stavo eseguendo –
abbastanza bene, perché mi piaceva e mi ci ero esercitato
parecchio – cominciò a dimenarsi ed esultare: “Sì,
mi sono svegliato con questa canzone in mente oggi! Spacchiamo
tutto!”. Detto ciò, cominciò a improvvisare e
strimpellarci sopra con la sua chitarra.
“Ma
io questa non la so suonare, non mi ricordo bene! John, mi
sostituisci?” si lamentò Johanna, battendo le bacchette
tra di loro.
“Non
ci penso nemmeno, ora voglio che suoni tu!”
In
quel momento il basso suonato da Shavo esplose nell'amplificatore,
cogliendoci alla sprovvista.
“Ma
come facciamo con due bassi?” domandò Noah perplesso.
“Ma
dai, e tu ti preoccupi di fare qualcosa di sensato?” lo
rassicurò Shavo con una risata.
“Basta,
ho detto di cambiare canzone!” ci fulminò con
un'occhiata la batterista, brandendo minacciosamente le bacchette
verso me e Daron. “Oh mio dio, ma qui c'è il doppio!
Come si usa quest'aggeggio? John, mi sa che snobberò il tuo
doppio pedale!” commentò poi, chinandosi per osservare
meglio la sua nuova scoperta.
Un
tonante e inaspettato grido di Serj al microfono ci fece sobbalzare e
lanciare grida di spavento; quando lo vidi ridacchiare divertito e
scambiare un'occhiata complice con Ellie mi rivoltai: “Che
bastardi, smettetela di allearvi!”.
“Allearci?
Ma sei visionario!” si difese la ragazza, anch'essa con un
microfono in mano.
“Voglio
anch'io un microfono!” si lagnò Daron girando in tondo
come una trottola.
“Oh,
ma vogliamo suonare? Non rompere le palle, sono stanca di stare
impalata!” si spazientì Johanna, cominciando a suonare
un ritmo incalzante e allegro.
“Ma
io volevo Kill Rock N'...” cercò di protestare
Daron, ma fu subito interrotto da uno sbuffo irritato di Shavo.
“Le
linee di basso diverse sono da paura!” commentai dopo circa un
minuto, notando che Shavo e Noah avevano inventato degli accordi sul
momento che non avevano nulla a che fare tra loro, ma la loro unione
era allucinante.
Preso
dall'entusiasmo, mi buttai a capofitto sul mio solito levare e Daron
iniziò a improvvisare improbabili assoli con effetti
altrettanto improbabili.
“E
noi qui cosa cantiamo?” sentii domandare a Ellie.
“Uhm...”
Serj adattò alla base il testo di una canzone dei System: non
ne ero sicuro, ma mi parve di riconoscere qualche parola di
Marmalade.
“No,
improvvisiamo! Facciamo freestyle!” esclamò la ragazza,
per poi prendere a blaterare frasi a caso che spesso non avevano un
senso compiuto e provocavano le risa di tutti.
Tu
non sai perché protesto,
questo
è un libro di testo,
Serj
non mi rende il resto!
Nel
frattempo il cantante si esibiva in un grido in scream, John rideva
come se non ci fosse un domani abbandonato sul divano, Johanna
suonava talmente concentrata che aveva messo su una smorfia
involontaria e Daron girava come una trottola e ballava mentre
vaneggiava con la sua chitarra. Lo imitai e mi esibii nelle mie
solite mosse provocanti che facevano sempre scoppiare a ridere
le ragazze.
“Cambio
di programma!” annunciò il mio collega, trasformando il
suo assolo improvvisato nel giro di chitarra di She's Like Heroin.
“La
canzone che non avete mai suonato dal vivo!” osservai,
dondolando da una parte all'altra con un sorriso radioso, felice come
un bambino.
Ellie
lanciò un grido di approvazione. “Sì, amo cantare
questa canzone!”
“Vai
dolcezza!” strillò Daron, saltellando fino alla cantante
e regalandole un sorrisetto ammiccante.
“Oh,
finalmente una canzone che so suonare! Cioè, almeno mi ricordo
la struttura... John, dopo questa orribile performance mi toglierai
il saluto!” affermò Johanna, per poi iniziare a suonare
la parte di batteria dell'intro.
John
parve illuminarsi; afferrò un paio di bacchette, si avvicinò
alla batteria e si posizionò in piedi esattamente di fronte
alla ragazza. “Stiamo facendo casino, e allora facciamolo bene!
Suoniamo la batteria in due!”
Tutti
scoppiammo a ridere e approvammo l'idea di quel genio di Dolmayan.
Ellie
cominciò a cantare, ma alla fine per la stanza si diffuse un
coro da stadio generale. Mi stavo divertendo un sacco e poco
importava se sbagliavo: nessuno stava facendo la cosa giusta; se
qualcuno ci avesse visto dall'esterno ci avrebbe scambiato per una
gabbia di matti, ma per noi, musicisti pazzi, quello era il paradiso!
Alla
fine tutti ridevamo e non riuscivamo quasi a suonare.
“Adesso
voglio Kill Rock N' Roll, vi prego!” ci supplicò
Daron dopo dieci minuti di puro vaneggio, saltellando e cercando la
mia complicità.
“Sì,
vi prego, è troppo divertente! Io e il mio amichetto Daron
vogliamo Kill Rock N' Roll! E poi la mia amata chitarra la
vuole suonare, vero figlioletta mia?” concordai,
stringendo amorevolmente il mio strumento tra le braccia e
accarezzandolo come fosse una bambina.
“Ma
io non so fare i passaggi, uff! Dai Johnny, sono stanca,
sostituiscimi!” si lamentò Johanna, alzandosi e
lasciando le bacchette sul timpano.
Ah,
lei e la sua mania di trovare nomignoli stupidi! Con Johnny aveva
toccato il fondo, o forse il peggiore era Jaky quando si rivolgeva a
me.
“E
va bene, ma poi tu cosa fai?” cedette lui preoccupato.
“Ti
osservo con ammirazione o canto insieme a Ellie come una pazza o
entrambe le cose contemporaneamente” lo rassicurò lei,
avvicinandosi all'altra ragazza e circondandole le spalle con un
braccio.
“Evviva,
adesso mi sento completo!” esultò Daron, che finalmente
era stato accontentato.
Dovetti
ammettere che le mie compagne di band e Serj se la cavavano davvero
bene con coretti, armoniche e doppie voci varie, ma venni distratto
dalle smorfie impossibili di Daron: non si limitava a storcere la
bocca, ma sgranava anche gli occhi e a volte risultava piuttosto
strabico.
Mi
veniva da ridere talmente tanto che fui tentato di smettere di
suonare.
Il
pezzo più bello fu quando tutti insieme cantammo:
Eat
all the grass that you want,
accidents
happen in the dark.
Eat
all the grass that you want,
accidents
happen in the dark.
Calò
il silenzio e Serj pronunciò accidents happen, ma un
istante dopo piombammo nella più totale oscurità.
Scoppiai
a ridere, seguito a ruota da tutti gli altri. “No ragazzi,
questa scena è stata fottutamente epica!”
“Oh
merda, ma è mancata la corrente?” borbottò Daron.
Lo sentii procedere a tentoni e sbattere contro qualcosa per poi
imprecare.
“Fermo
Malakian, per favore, stai fermo!” lo ammonì John, che
intanto non riusciva a riprendersi dalle risate e ogni tanto
percuoteva qualche parte del corpo non meglio definita contro qualche
pezzo della batteria. Se avesse riso un altro po', probabilmente ci
si sarebbe direttamente sdraiato sopra.
“Facciamo
una cosa: lasciamo tutto qui e usciamo, anche perché sto
morendo di caldo. Quando tornerà la corrente rimetteremo tutto
a posto” decise Serj, sempre con la situazione sotto controllo.
Riuscimmo
a uscire dalla stanza solo quando Shavo ci illuminò il
percorso con la torcia del suo cellulare. Io mi dovetti affidare a
Ellie, dato che al buio non sapevo come muovermi e avrei potuto
combinare qualche casino.
Così
ci ritrovammo sulla terrazza di fronte alla porta d'ingresso,
rialzata dalla strada per mezzo di una piccola gradinata e separata
da essa da uno spiazzo, in cui sia noi che i ragazzi avevamo
parcheggiato le nostre macchine.
“Oh,
adesso che siamo qua fuori ce la possiamo anche fumare!”
affermò Johanna, portando fuori il suo pacchetto di sigarette
e tendendolo anche a Noah. “Jake, tu?”
Scossi
il capo. “Non sono un grande fan delle sigarette, lo sai.”
“Se
vuoi abbiamo roba più pesante qui” annunciò Shavo
in tono complice.
“Shavo...”
lo ammonì Serj.
“Grazie
socio, ti voglio bene!” accettai, avvicinandomi a lui.
Mentre
fumavo in compagnia di Shavo, John e Serj, osservai gli altri quattro
che chiacchieravano allegramente.
Daron
si divertiva un mondo a provocare le due ragazze perché loro
gli rispondevano a tono, ma solo in quel momento mi accorsi dei suoi
quasi impercettibili tentativi di avvicinarsi a Ellie. Il chitarrista
ogni tanto la osservava da capo a piedi, soffermandosi ovviamente sui
punti più importanti.
La
verità è che sia lei che la sua gemella erano davvero
belle, avevano un fisico da paura e non si accorgevano di essere
assai attraenti; io le avevo lasciate subito perdere sotto quel punto
di vista perché sapevo che non avrebbero mai accettato e non
mi andava di rovinare un'amicizia, del resto potevo trovare tante
altre ragazze quando volevo, ma per chi le conosceva da poco doveva
essere difficile distogliere lo sguardo da loro.
Già,
peccato che Ellie fosse perdutamente innamorata di Noah e in ogni
caso non avrebbe mai voluto uno come Daron.
Ridacchiai
al pensiero che di lì a poco ne avremmo viste davvero delle
belle.
“Jake,
dai, vieni qui!” mi richiamò Johanna.
Mi
avvicinai a loro, dato che avevo finito di fumare e non ne avevo più
voglia.
“Poverino
Rock N' Roll” stava blaterando Daron, ancora in fissa con la
canzone che stavamo suonando poco prima.
“Ma
si può sapere cosa accidenti vuol dire quella canzone? È
completamente nonsense, ma quanto avevi fumato quando hai scritto
quel testo?” domandai all'improvviso, dando voce a un dubbio
che mi ronzava in mente da anni ormai.
“Allora,
adesso vi racconto la triste storia di Rock N' Roll” esordì
il chitarrista in tono solenne, e noi quattro ammutolimmo. “Tutto
cominciò una notte di tanti anni fa: stavo viaggiando in
macchina per una strada di periferia e all'improvviso... crack!
Avevo investito una povera bestiolina. Sono sceso dalla macchina in
preda ai sensi di colpa e mi sono accorto che si trattava di un
povero e piccolo coniglietto indifeso. Capite? Lui stava mangiando
tranquillamente l'erbetta sul ciglio della strada, poi sono arrivato
io e l'ho ucciso! A questo punto per sdebitarmi ho voluto almeno
cercare un nome figo per lui, così ho optato per Rock N' Roll.
Poi ho scritto la canzone su di lui e fine della storia.”
Dopo
qualche istante di silenzio in cui io e i miei amici ci scambiammo
occhiate perplesse, si diffuse una risata generale.
“Non
dire stronzate, ti sei inventato tutto sul momento!” lo accusò
Johanna incredula.
“Non
sto dicendo stronzate, se vuoi puoi chiedere conferma agli altri!”
“Oddio,
e io che pensavo ci fosse chissà quale significato allegorico
dietro!” commentò Noah tra le risate.
“Confermo
la mia tesi: quando l'hai scritta dovevi aver fumato molto”
conclusi in tono serio, incrociando le braccia al petto.
“Che
ne dite di andare a fare una passeggiata? Non ne posso più di
stare fermo in piedi” ci interruppe John. Shavo e Serj
sembravano intenzionati a seguirlo.
“No,
ma davvero ci dobbiamo muovere? Io non ne ho voglia” protestò
il chitarrista con uno sbuffo.
“Allora
tu rimani qui” tagliò corto Shavo, cercando i nostri
sguardi per capire le nostre intenzioni.
“No,
che palle, non voglio rimanere da solo! Voi dovete andare?”
Tutti
assentirono all'unisono.
“Su
Daron, camminare fa bene alla salute!” cercò di
incitarlo Ellie.
Scendemmo
le scale e ci dirigemmo verso la strada.
Ci
trovavamo in uno dei tanti quartieri periferici tra le colline
losangeline; si respirava un'atmosfera tranquilla e pacifica e le
piccole stradine erano quasi deserte, a eccezione di qualche pedone o
qualche auto di passaggio. L'isolato residenziale in cui ci trovavamo
era piuttosto carino, presentava delle semplici villette a schiera
dipinte in colori allegri e illuminate dalla luce gialla dei numerosi
lampioni.
“Secondo
voi ho fatto una figura di merda? Stavo suonando a caso”
mormorò Noah, che passeggiava vicino a me ed Ellie. Eravamo
gli ultimi della fila e davanti a noi trotterellavano Johanna, Shavo
e Daron.
“Ma
non ti rompi mai i coglioni delle tue stesse paranoie?” gli
domandai. Certo che si poneva una marea di problemi il mio amico.
“Ma
dai Noah, per caso qualcuno stava suonando bene?” gli fece
notare la ragazza.
“Ehi,
con questo cosa vorresti insinuare?” intervenne Johanna,
voltandosi verso di noi e continuando a camminare all'indietro.
“Che
hai suonato male!” la provocò sua sorella con una
linguaccia.
“Non
ti permettere” la minacciò scherzosamente l'altra,
avviandosi a passo di marcia verso di lei.
“No!
Jake, aiuto!” strillò Ellie con una risata, appendendosi
letteralmente a me.
Io
la strinsi in un abbraccio soffocante. “Non temere El, sarò
la tua guardia del corpo!”
“Staccatevi,
altrimenti non riuscite a camminare” osservò l'altra
ragazza.
“Ah,
cosa c'è, sei gelosa?” Detto questo, lasciai andare
Ellie e corsi ad abbracciare affettuosamente Johanna.
“No,
uffa!” protestò lei fintamente irritata. Erano rari i
momenti in cui si lasciava abbracciare a dir la verità:
tormentava sempre gli altri, ma non voleva essere tormentata.
“E
invece sì!” Continuai a stringerla, poi mi limitai a
circondarla poco sopra la vita con un braccio e continuammo a
camminare accanto a Daron e Shavo.
“Ellie
è cattiva, dice che suono male!” si lagnò.
“La
mia guardia del corpo mi ha già tradito!” sentii dire a
Ellie.
“Allora,
cosa vuoi che ti dica, piccola Jo Dolmayan?” la presi in giro,
trovando un nomignolo che in effetti era una figata.
“Sa
molto di matrimonio però” commentò Daron con una
smorfia.
“Eh?
Chi mi cerca?” chiese John a sproposito, sentendo nominare il
suo cognome.
Io
e la mia amica scoppiammo a ridere.
“Oh,
che figo ragazzi! Una casa abbandonata! Com'è che non l'avevo
mai notata?” esclamò all'improvviso Shavo, fermandosi di
botto. Ellie, colta alla sprovvista, andò a sbattergli contro,
ma lui nemmeno se ne accorse.
Ci
trovavamo davanti alla classica struttura da film horror: piccolo
giardino incolto, ma senza nessun cancello a separarlo dalla strada,
qualche finestra rotta, piante rampicanti sui muri e la porta
d'ingresso che andava in pezzi.
“Niente
di nuovo” sospirai con fare annoiato.
“Però
al buio mette un po' i brividi” obiettò Johanna. Sapevo
che era contenta di aver trovato quel posto: non credeva a nessuna
presenza paranormale, proprio come me, ma quei posti da brivido la
affascinavano un sacco.
“Beh?
Shavo, hai intenzione di contemplare questo posto per il resto della
serata?” domandò Serj, osservando con aria perplessa il
bassista che si era avvicinato al ciglio della strada con gli occhi
che brillavano, come se avesse trovato chissà quale tesoro.
Poi
si voltò e, con lo stesso entusiasmo di un bambino la mattina
di Natale, propose: “E se entrassimo a esplorarla?”
♪ ♪ ♪
Ciao
lettoriiiiii!
Stavolta
vi ho lasciato un capitolo davvero lungo, ma avevo un sacco di idee e
volevo inserirle tutte! Avevo paura di regalarvi un capitolo noioso,
così l'ho riempito per bene e nel frattempo sto mostrando un
po' di dinamiche tra i personaggi!
Certo
che sono proprio sfigati questi qui: per una volta che hanno deciso
di suonare tutti insieme, è mancata la corrente! :P
Sono
qui innanzitutto per dirvi che la canzone dei System citata e
suonata, She's Like Heroin,
sarà utilizzata per un altro capitolo. Qui era più
importante inserire Kill Rock N' Roll :)
Piccola
curiosità su She's Like Heroin: come ha detto Jake nel
capitolo, la canzone non è mai stata suonata dalla band in
live. Non da tutti almeno, solo da Daron nel 2016 in concerto con un
altro gruppo a caso :D
Piccola
curiosità su Kill Rock N' Roll: la storia che Daron ha
raccontato sulla canzone è vera, è stata davvero
ispirata dal fatto che aveva investito un coniglio! Adesso si spiega
il testo nonsense e indecifrabile XD
Per
il resto, spero abbiate apprezzato il capitolo interamente dal punto
di vista di Jacob; non gli avevo mai dato spazio, così ho
deciso di dedicargli un intero aggiornamento ;)
Sì,
ve lo confesso: mi sono perdutamente innamorata di Jake! L'ho creato
e ci ho perso la testa, so di non essere normale... però *___*
Grazie
ancora a tutti i lettori e recensori, vi adoro perché riuscite
sempre a strapparmi un sorriso e accrescere la mia voglia di
continuare questa storia! Spero non stia deludendo le vostre
aspettative e non le deluda mai :3
Ah,
e... preparatevi psicologicamente per il prossimo capitolo!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Stay away from me ***
ReggaeFamily
Stay
away from me
System
Of A Down - Dam
♫
Johanna ♫
“Shavo,
ma che problemi hai?” borbottò John perplesso.
“Non
dire cazzate!” si rivoltò anche Daron, osservando con
aria scettica la decadente e triste struttura che ci trovavamo di
fronte.
“Ti
prego, dimmi che stai scherzando!” aggiunsi io, allontanandomi
da Jacob per poi dare un colpetto sul braccio a Shavo.
“E
dai, che palle! Non avete voglia di fare un cazzo, è solo per
curiosità!” tentò ancora di convincerci il
bassista con gli occhi che brillavano.
“Sembri
un bambino davanti a un negozio di caramelle” commentò
Ellie con una risatina.
“Non
credo che questa casa sia finita, il piano di sopra è
costruito per metà. È troppo pericoloso”
sentenziò Serj.
“Sentite,
io entro, chi mi ama mi segua!” tagliò corto Shavo,
scendendo il piccolo gradino che separava la strada dal terreno e
allontanandosi tra l'erbaccia.
In
fondo la sua idea mi piaceva, anche io ero curiosa di sapere cosa
nascondevano al loro interno quelle mura abbandonate. Perché
non seguirlo?
“Aspettami,
non ti lascio mica andare da solo!” esclamai, trotterellando al
suo fianco.
“Vengo
anch'io!” affermò Jacob con entusiasmo. Non avevo alcun
dubbio su di lui.
Infine
tutti si unirono a noi, nonostante Serj e John continuassero a
protestare.
Io
e Shavo, che facevamo strada al resto del gruppo, ci fermammo di
fronte a una porta improvvisata, costituita da una grande tavola di
legno poggiata senza troppa cura contro il muro.
“Okay”
mormorò il ragazzo, poi sollevò leggermente la tavola
con entrambe le mani e la spostò di circa un metro; davanti a
noi si apriva un rettangolo a cui sarebbe stata destinata la porta
d'ingresso.
“Ma
davvero lo stiamo facendo?” si domandò John in tono
esasperato.
Io
mi precipitai subito all'interno: faceva perfino più freddo
che all'esterno, l'aria era impregnata di umidità e l'intera
stanza era avvolta dal buio quasi totale. Non appena i miei occhi
cominciarono ad abituarsi, mi resi conto che ci trovavamo in un
ambiente piuttosto piccolo simile a un ingresso, senza alcuna
finestra ma con un'apertura identica a quella d'ingresso che doveva
condurre a qualche altra stanza.
Ognuno
accese la torcia del proprio cellulare.
“Abbiamo
distrutto l'atmosfera horror” osservò Shavo.
“Io
ci tengo all'osso del collo, preferisco vedere dove sto mettendo i
piedi. Dai, che dobbiamo fare?” ci incitò Daron con
impazienza, varcando la soglia della prossima stanza.
Io
mi fiondai dietro di lui, curiosa. “Bimbo pestifero, vedo che
questa gita ti sta piacendo!”
“Non
è vero, voglio uscire di qui più in fretta possibile!”
negò lui. La sua voce rimbombava un sacco, il che mi fece
supporre di essere in un ambiente ampio e spoglio. Quando illuminai
le pareti e il pavimento con il cellulare, mi resi conto che erano
stati addirittura montati degli infissi provvisori – due
finestre malandate e qualche vecchia porta – sicuramente per
evitare l'entrata di qualche vagabondo notturno. Provvedimento ormai
inutile, dato che i lavori di quella casa erano ormai abbandonati da
chissà quanto tempo.
“Che
palle, in questo posto non c'è nulla di che” si lamentò
Ellie, raggiungendomi e poggiandosi alla mia spalla.
“Cosa
speravi di trovare? Il Paese delle Meraviglie?” la apostrofò
Jacob in tono ironico, esaminando con lo sguardo un'impalcatura
addossata al muro.
“Non
scherzarci tanto su, Jake” intervenne Shavo con un tono di voce
talmente serio che dovetti trattenermi dallo scoppiare a ridere senza
ritegno.
“Capito?
E questo qui dovrebbe avere trentasette anni” sentii
dire a John. Lui e Noah ci avevano appena raggiunto e si scambiavano
occhiate complici e perplesse.
“Dolmayan,
stai rischiando grosso!” lo minacciò Shavo.
Un
rumore proveniente quasi dall'altro capo della stanza ci fece
sobbalzare e ammutolire. Io non mi spaventai più di tanto e
puntai subito il fascio di luce in quella direzione, ma notai una
certa agitazione in alcuni dei presenti, in particolar modo Ellie,
Noah e Shavo.
“Ehi
sfigatelli!” La voce stridula di Daron riecheggiò
fastidiosamente per la stanza e poco dopo vidi la sua sagoma che
avanzava sopra l'asse di legno più in basso dell'impalcatura.
“Sei
un coglione!” gli gridò Shavo sghignazzando.
Io
ed Ellie ci precipitammo accanto alla struttura in metallo e lo
osservammo con preoccupazione. La tavola su cui il chitarrista
passeggiava avanti e indietro era all'altezza del mio collo: se
questa avesse ceduto, Daron sarebbe precipitato da un metro e mezzo.
“Daron,
smettila di fare lo spiritoso e scendi! Questa cosa non è
sicura, il legno è in putrefazione e potrebbe rompersi con il
tuo peso!” lo avvertì Ellie preoccupata.
“Macché.
Sembra di stare su un palco!”
“Daron...”
lo riprese anche Shavo, che si era fermato qualche metro indietro
rispetto a noi.
Lui
in tutta risposta cominciò a fischiettare; in quel momento si
trovava all'altra estremità dell'asse. Mentre tornava verso di
noi lo illuminai: non sembrava per niente turbato, ci guardava
dall'alto, il viso completamente disteso e gli occhi leggermente
nascosti dal cappello che portava sempre sul capo.
Ma
quando giunse esattamente di fronte a me e mia sorella, avvertii
subito lo scricchiolio del legno; la tavola si stava piegando. Prima
che potessi aprir bocca o compiere qualsiasi movimento, Daron perse
l'equilibrio e cadde in avanti.
“Oh
Gesù!” strillai.
Io
ed Ellie fummo subito pronte ad attutire la sua caduta;
fortunatamente atterrò sulle sue gambe, ma si aggrappò
a noi per non perdere l'equilibrio. Sentivo la sua mano stringere con
forza il tessuto del mio giubbotto sulla spalla, ma la maggior parte
del suo peso era concentrato su mia sorella: Daron infatti era quasi
completamente abbandonato su di lei.
“Daron,
io lo sapevo! Oddio!” esclamò mia sorella, stringendolo
con entrambe le braccia.
Le
sfilai il telefono dalle mani e, con la luce rivolta verso di noi, lo
posai sulla trave accanto al mio. Scorsi il suo viso pallido e i suoi
occhi sgranati, pieni di spavento e preoccupazione. Lei era così:
nonostante il suo rapporto con Daron non fosse cominciato nel
migliore dei modi, lei non riusciva a ignorarlo, era subito entrata
in ansia per lui.
Era
una ragazza cara e a volte troppo buona, glielo dicevo sempre.
“Cazzo,
non ci posso credere! La caviglia...” borbottò il
ragazzo, per poi lasciarsi andare a una marea di irripetibili
imprecazioni.
Shavo,
che fino a quel momento era rimasto pietrificato, corse verso di noi
e ci aiutò a trovare un punto d'appoggio per Daron. La stanza
era quasi completamente vuota, quindi si dovette momentaneamente
accontentare di poggiare la schiena al muro.
“Mio
dio, ma io lo sapevo! Cosa ti ho detto? Sempre a fare il coglione,
poi ti metti nei casini! Mi hai fatto perdere dieci anni di vita con
quella caduta, lo sai?” prese a sbraitare Shavo.
“Ti
sembra il caso di farmi la paternale? Fatti i cazzi tuoi una volta
tanto!” esplose Daron, nervoso e irritato.
Io
ed Ellie ci scambiammo un'occhiata. Avevamo capito che il bassista si
era spaventato un sacco e quello era solo il suo modo di reagire.
“Shavo,
stai calmo, non è il momento di urlarsi contro” cercò
di tranquillizzarlo Ellie in tono pacato, posandogli una mano sulla
spalla.
“Cos'è
questo casino?”
“Oh,
finalmente qualcuno! Daron è caduto e a quanto pare gli fa
male una caviglia!” esclamai, correndo nella direzione da cui
era provenuta la voce e trovandomi di fronte a Serj. Quest'ultimo era
appena comparso dall'ingresso, in effetti non era rimasto
unito al gruppo e non ci aveva seguito subito.
Solo
in quel momento mi resi conto che John, Noah e Jacob erano spariti,
probabilmente non avevano nemmeno assistito all'incidente.
Daron
sembrava piuttosto nervoso, ma disse che non era successo nulla di
grave e che sarebbe passato subito.
“Sei
sicuro che non vuoi andare via?” gli domandai.
“No,
ora cerco un posto in cui sedermi e tra un quarto d'ora sono come
nuovo!” mi rassicurò lui mentre si aggrappava al braccio
di Serj per poter camminare.
“Qui
dentro non c'è niente, andiamo a vedere lì. Mi pare di
aver visto una specie di cortile interno” decise il cantante
facendo un cenno verso una porta un po' più robusta delle
altre.
“Noi
che facciamo?” domandò Ellie.
“Andiamo
a cercare gli altri? Così finiamo anche il giro della casa!”
proposi. Lanciai un'occhiata complice a Shavo, incerto sul da farsi.
“E
va bene, finiamo il giro!” acconsentì infine.
Così
io ed Ellie recuperammo i nostri cellulari e ci posizionammo accanto
a lui, una da un lato e una dall'altro.
“Adesso
dove andiamo?” chiese lui con rinnovato entusiasmo.
“Quella
stanza a destra!” proposi, indicando il varco privo di porta
che si trovava in fondo.
Come
tre detective in cerca di indizi, camminammo con passo felpato,
puntando il fascio di luce in ogni angolo per non farci sfuggire
neanche un dettaglio.
Eravamo
consapevoli di essere tre grandissimi stupidi, ma ci stavamo
divertendo un sacco, ci sentivamo in un certo senso dei bambini
troppo cresciuti.
“Uh,
qui è pieno di roba!” esultò Ellie, osservando
con interesse la gran quantità di travi poggiate sulle pareti
o disseminate per il pavimento, qualche piccolo attrezzo da lavoro,
un secchio contenente un po' di impasto di cemento ormai solidificato
e l'immancabile ponteggio che ricopriva un muro intero.
“Che
palle, ma quando arrivano i fantasmi?” sbuffai, per poi
lasciarmi sfuggire una risata.
“Magari
appare il fantasma di un muratore!” suppose mia sorella,
saltando agilmente le travi sul pavimento per poi affacciarsi a una
finestra.
“Strano,
una porta aperta” osservò Shavo.
Io
ed Ellie lo affiancammo nuovamente: l'unica porta della stanza oltre
quella d'ingresso, che si affacciava sicuramente in un vecchio
sgabuzzino, era del tutto spalancata.
“Qualcuno
potrebbe essere stato qui prima di noi” riflettei mentre un
brivido mi correva lungo la schiena. Non avevamo pensato alle reali
presenze in cui ci saremmo potuti imbattere, tanto eravamo presi
dalle stronzate degli spiriti: quella zona era buia e quasi desolata,
quella struttura decadente poteva essere il covo di vagabondi e
malintenzionati.
“Non
so, ho qualche du...”
La
frase del bassista venne interrotta da un leggero scricchiolio.
Nonostante il suono avesse iniziato a rimbalzare tra le mura,
compresi subito che si trattava dei cardini di quella porta aperta.
Con
mia incredulità e terrore, quest'ultima ruotò su se
stessa e si schiantò con violenza sullo stipite.
Completamente
da sola.
♫
John ♫
Non
ce la facevamo più, stavamo letteralmente scoppiando dalle
risate.
Le
ragazze avevano appena lanciato un grido e Shavo si era lasciato
sfuggire un: “Ma porca puttana!”. Sapevo che sul mio
amico avrei ottenuto quest'effetto: anche se all'apparenza risultava
invincibile, sapevo che se la faceva sotto in queste situazioni
paranormali.
Io,
Jacob e Noah ci eravamo rintanati in un buio e stretto ripostiglio
stracolmo di attrezzi da lavoro di ogni genere: dopo aver trovato
quell'interessante posticino, avevamo deciso di giocare uno
scherzetto a Shavo e le ragazze, dato che li avevamo visti abbastanza
presi da quella casa diroccata.
Avevamo
quindi trovato una corda grigia che al buio non si sarebbe notata,
l'avevamo legata alla maniglia e avevamo lasciato la porta aperta.
Quando li avevamo sentiti arrivare, avevo tirato con forza
un'estremità della corda e avevo fatto prendere loro un bello
spavento.
“John,
tu sei un fottuto genio” bisbigliò Noah dandomi di
gomito.
Jacob
non riusciva più a riprendersi, stava soffocando dalle risate.
Indossai
l'espressione più seria che riuscii a portare fuori in quel
momento e, con nonchalance, afferrai la maniglia e aprii lentamente
la porta. Il primo ad affacciarsi fu Noah, che non appena vide le
facce dei nostri amici scoppiò a ridere senza più
riuscire a trattenersi.
Osservai
anche io le vittime del nostro scherzo: Shavo aveva il volto bianco e
sembrava sul punto di correre via, mentre Ellie si era letteralmente
appesa al suo braccio e Johanna si era immobilizzata con le mani in
avanti in posizione di difesa.
“Ciao
ragazzi, come va?” domandai in tono innocente. Non so come feci
a non spanciarmi dalle risate davanti a quella deliziosa scenetta.
L'ultimo
a uscire dal ripostiglio fu Jacob, ancora piegato in due e con le
lacrime agli occhi.
“Voi?
Ma siete dei bastardi!” esplose Johanna, scongelatasi
improvvisamente da quella sorta di paresi.
“Dolmayan,
io ti rispedisco in Libano a suon di calci in culo!” sbottò
anche Shavo.
Ellie
invece scoppiò a ridere.
Johanna
prese d'assalto il povero Jacob che fu costretto a scappare, in una
bizzarra corsa a ostacoli tra secchi, cacciaviti e legno.
Shavo
si avvicinò a me brandendo il suo cellulare come fosse un'arma
letale, ma io misi subito le mani avanti in segno di resa. “Non
ti conviene, sai che peso il doppio di te” lo ammonii con un
ghigno ironico.
“Io
ti ammazzo, sei un fottuto deficiente!” continuò a
insultarmi.
“John,
da te non me lo aspettavo!” intervenne Ellie.
“E
dovrebbe avere trentotto anni!” rincarò il bassista
incrociando le braccia al petto.
“Sappiate
che quest'uomo è un grande, la mia stima cresce sempre più
nei suoi confronti!” mi difese Noah. Io e lui battemmo il
cinque per sottolineare la nostra fratellanza.
“Uomo?
E tu lo chiami uomo? Attento, adesso arrivo da te!” mi minacciò
Johanna. In un secondo mi raggiunse e si schiantò contro di
me, ma io non feci una piega. Con un braccio la strinsi contro di me
e con l'altro cominciai a farle il solletico nel collo. Lei mi
insultò e tentò in tutti i modi di liberarsi, ma io non
la lasciai andare finché Shavo non accorse in suo aiuto.
Ellie
intanto aveva preso a inseguire Jacob con aria minacciosa, ma ben
presto lui si stancò di correre. “Che ne dite di andare
a vedere il piano di su?” propose.
“Prima
dovete farvi perdonare!” affermò Shavo.
“Perché
non andiamo a vedere come sta Daron?” suggerì invece
Johanna.
“Cos'è
successo a Daron?” s'informò subito Noah.
“Dai,
venite su, vi spieghiamo tutto nel frattempo! Mi pare di aver visto
le scale da qualche parte!” concluse Shavo avviandosi verso
l'uscita.
Lo
seguimmo tutti e ascoltammo il suo racconto, ma mi accorsi che
Johanna non si stava più divertendo come prima. Avrei voluto
chiederle il motivo di quell'espressione riluttante, ma non era
proprio da me.
♫
Daron ♫
La
pianta della casa aveva la forma di una grande L; il cortile interno
che Serj aveva avvistato non era altro che l'angolo, il quadrato
delimitato dai due lati delle mura esterne. Riuscii ad arrivarci
sostenendomi a Serj e saltellando sul piede destro, dato che
preferivo non sforzare troppo la caviglia lesa.
Lì
avevamo trovato delle macerie, alcuni blocchetti di cemento e dei
massi un po' più grandi, sicuramente facenti parte di qualche
muro ormai crollato. Avevo quindi trovato posto su uno di essi e
avevo acceso una sigaretta per calmarmi e scaricare la tensione.
Non
che fossi granché preoccupato per la mia caviglia, ma non mi
sarei mai aspettato di cadere e sicuramente farmi male non era tra i
miei programmi; inoltre non volevo rovinare la serata e il
divertimento a nessuno.
Davanti
a me si estendeva un terreno incolto e sconfinato; alla sinistra
della casa, in lontananza, si scorgevano le sagome delle abitazioni
dell'isolato in cui si trovava la nostra sala prove, per il resto ci
trovavamo immersi nella campagna.
L'aria
fredda e frizzante mi faceva stare bene. Era un momento rilassante e
non mi andava di parlare o fare niente di particolare. Anche Serj la
pensava come me, dato che non faceva che camminare avanti e indietro
a qualche metro da me e non aveva spiccicato parola.
Sembrava
di stare in un paradisiaco angolo di pace e tranquillità, cosa
assai rara a Los Angeles.
“Ciao,
siamo qui!” La voce squillante di Ellie mi colse alla
sprovvista; sollevai lo sguardo e scorsi tre sagome affacciate a una
finestra del piano superiore.
“Daron,
come va la caviglia?” sentii domandare a Noah.
“Bene!”
risposi automaticamente.
“Ci
mettete molto?” domandò Serj.
“No,
stiamo per scendere” lo rassicurò John.
I
tre sparirono dalla nostra vista, poi Jacob e Johanna si affacciarono
a loro volta.
“Figo
quel posticino” commentò Jacob.
“Poi
vi raccontiamo lo scherzo che ci hanno fatto questi tre idioti!”
esclamò Johanna, poi anche loro due si allontanarono dalla
finestra.
Stavo
riflettendo sul fatto che avrei voluto tanto assistere allo scherzo,
quando qualcosa incastrato tra l'erba secca attirò la mia
attenzione.
“Siringhe?!”
“Dove?”
domandò subito Serj accostandosi a me.
Gliene
indicai qualcuna: ce n'erano un sacco. “Siamo finiti nella tana
dei drogati” commentai.
“L'ho
detto io che non dovevamo entrare, ma quando mai Shavo mi ascolta?”
Quel
posto ai miei occhi era diventato molto triste da quando avevo
scoperto quegli oggetti per terra: lì la gente si recava per
rovinarsi, per continuare ogni giorno il suo lento suicidio.
Quei
pensieri mi mettevano addosso parecchia malinconia e non potevo fare
a meno di perdermi dentro di essi.
Dopo
qualche altro minuto di silenzio, in cui udii solo qualche voce
proveniente dall'interno della casa, sobbalzai nell'accorgermi che
una figura era sbucata da dietro la casa e si stava avvicinando
lentamente a noi. Sembrava affaticata e riusciva a malapena a
destreggiarsi tra erba alta e sterpaglie.
Serj
si immobilizzò accanto a me e tenne lo sguardo fisso su
quell'individuo.
“Ehi!”
esordì il nuovo arrivato con voce gracchiante, quando ormai si
trovava a pochi metri da noi. Si trattava di un ragazzo sui
venticinque anni, spaventosamente magro e smunto, che sfoggiava
capelli arruffati, pupille strette e vestiti eccessivamente larghi.
Ecco, avevamo appena trovato un eroinomane. Perfetto.
Il
tizio teneva una siringa utilizzata di recente tra le mani tremanti.
Si piazzò di fronte a me e disse: “Voi due, pezzi di
merda, cosa ci fate qui? Sparite, se non volete una puntura nel
collo, e comunque la roba è tutta mia!”
Non
potevo certo mostrarmi spaventato di fronte a lui, nonostante il suo
aspetto fosse parecchio inquietante.
“Tienitela
tutta” bofonchiai con indifferenza.
“Daron,
piantala” mi rimproverò subito il mio amico in tono
severo. “Va bene, ce ne andiamo subito. Stiamo solo aspettando
i nostri amici” aggiunse poi, guardando il tipo dritto negli
occhi.
“Non
vi conviene tornare mai più, e se provate a dire qualcosa agli
sbirri...” ci minacciò ancora lui, brandendo l'oggetto
che aveva in mano.
Sentivo
che era troppo vicino, quel maledetto ago mi spaventava un po'. Se
avessi avuto la piena funzione dei miei arti non me ne sarebbe
importato più di tanto, ma non ero nelle condizioni di correre
via in caso di pericolo e non sapevo cosa avesse intenzione di fare
la nostra nuova conoscenza.
“Ehi
amico, stai lontano, stiamo solo prendendo un po' di fresco!”
gli ordinai.
“Vuoi
litigare, stronzo?” mi sfidò, fissandomi
insistentemente. Emanava un pessimo odore e la sua voce era stridente
e fastidiosa.
“Fermo!”
Serj avanzò di un passo, senza mostrare alcun timore.
“Il
tuo amichetto col cappellino vuole fare tanto lo spiritoso”
continuò lui imperterrito. Si spostò di qualche
centimetro e fece un altro passo verso di me.
Sollevai
le mani come se queste potessero davvero proteggermi. Serj gli fu
subito accanto e lo bloccò fermamente per una spalla. Capivo
perfettamente che non poteva fare molto, non poteva bloccarlo per le
braccia in quanto aveva ancora la siringa stretta tra le mani.
“Non
ti muovere” gli intimò il mio amico.
Ma
lui non lo ascoltò e tentò di avvicinarsi ancora a me
nonostante Serj lo placasse, teneva l'ago rivolto verso di me.
Il
cuore mi batteva a mille: cercavo di non darlo a vedere, ma ero
terrorizzato. La punta luccicava nella penombra, era sporca di sangue
ed era troppo vicina.
Ero
stato un coglione a provocare quello sconosciuto e ora mi trovavo in
una situazione di merda. Ma dovevo fare di tutto per evitare che si
rivoltasse contro Serj, non l'avrei potuto sopportare. Il mio amico
era molto più vicino a lui rispetto a me, lo stava tenendo
fermo con tutta la sua forza.
Slittai
di lato e mi lasciai cadere sull'erba, creando distanza. Cercai
quindi di mettermi in piedi; in ogni caso sarei stato più
veloce di lui.
Quando
vidi i suoi movimenti fulminei per liberarsi dalla stretta di Serj e
il suo sguardo iniettato di sangue su di me il panico mi assalì.
“Stammi
lontano!” gridai.
Ma
lui all'improvviso si immobilizzò e tenne lo sguardo fisso su
un punto alle mie spalle. Mi voltai per un attimo e riconobbi sulla
porta l'imponente sagoma di John.
“E
tu chi cazzo sei?” sputò il nostro nemico.
John
fece lentamente qualche passo avanti e incrociò le braccia al
petto. “Senti, io non sono un tipo violento, ma come puoi
vedere tra me e te non c'è partita. Facciamo un patto: adesso
noi ce ne andiamo e non ci facciamo più vedere, ma tu devi
restare buono.”
Lui,
intimorito dalla stazza del batterista, smise di opporre resistenza e
si allontanò sibilando una serie di improperi tra i denti.
Il
mio cuore batteva ancora a mille e l'adrenalina mi scorreva nelle
vene, ma quando John ci raggiunse e mi aiutò a rimettermi in
piedi mi sentii finalmente al sicuro.
“John,
amico, sei stato grande! Ce la siamo vista brutta!” lo
ringraziai felice, stringendolo in un breve e fraterno abbraccio.
Nessuno dei due amava particolarmente le effusioni, ma in quel
momento non potei farne a meno.
“Grazie
John” aggiunse Serj con profonda riconoscenza. “Daron,
non azzardarti a fare un'altra volta una colossale stronzata del
genere. Non sto scherzando” mi si rivolse poi in un tono
talmente autoritario che non provai nemmeno a replicare.
“Andiamo
dentro, gli altri se la stanno facendo sotto per quel tizio. Ce la
fai a camminare?”
Provai
a fare qualche passo: faceva ancora un po' male, ma era sopportabile.
“Sì, certo.”
Ero
mortificato per tutti i casini che avevo combinato, avevo rovinato la
serata a tutti e mi sentivo in colpa per aver fatto preoccupare tanto
i miei amici.
Ero
un coglione senza rimedio.
♪ ♪ ♪
Ciaooo!!!
*-*
Lo
so a cosa state pensando: che capitolo luuuungo! È che... da
quando ho deciso di aggiornare una volta ogni due settimane mi sento
in colpa, mi dispiace farvi aspettare! Spero che la cosa non vi abbia
complicato la vita XD anzi, spero che vi abbia fatto piacere!
Ho
scelto Dam, una canzone piuttosto insolita, perché fa
un po' atmosfera horror secondo me. Ditemi se sono completamente
pazza :D
Inoltre
il verso che dà il nome al capitolo è stato pronunciato
da Daron nell'ultima scena ed esprime il suo intero concetto, mi
sembrava abbastanza azzeccata!
Per
il resto lascio a voi carta bianca, ditemi cosa ne pensate di questo
capitolo pieno d'azione! (?)
E
vi ringrazio per essere ancora qui dopo undici capitoli di tutto e
niente! Ho davvero tante cose in mente che introdurrò piano
piano, intanto mi auguro di non annoiarvi troppo :3
Alla
prossima!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Shelter all our dreams ***
ReggaeFamily
Shelter
all our dreams
Serj
Tankian - Fears
♫
Serj ♫
“Mio
dio Daron, ma cosa cazzo ti è venuto in mente?”
“Oh
merda, siamo nella tana dei bucamani!”
“Mi
avete fatto prendere un colpo!”
“Meno
male che è intervenuto John!”
Quando
io, Daron e John rientrammo in casa, i nostri amici esplosero tutti
insieme e presero a parlare uno sopra l'altro in preda all'agitazione
e alla preoccupazione.
“Ehi,
calmi! Non mi sembra questo il luogo adatto per parlarne, forse è
il caso che torniamo in sala prove” li ammonii io guardandomi
attorno con fare sospettoso.
Ci
mancava solo che attirassimo altri tossici con quel baccano. Ne avevo
abbastanza di quella fottuta casa abbandonata, la festa era finita.
Gli
altri mi diedero ragione, ma continuarono a battibeccare e urlarsi
contro mentre tornavamo all'aperto. Io ero in testa e facevo strada
al gruppo, così potei udire la discussione tra Daron e Shavo
che si trovavano appena dietro di me.
Non
sapevano fare altro quei due.
“Ecco,
questo è perché non sai tenere la bocca chiusa! Quando
uno è fuori di sé, per qualsiasi motivo, non lo devi
mai sfidare!” sbraitava il bassista con fervore.
“Ti
ricordo che sei stato tu a voler entrare in quel posto di merda; se
non avessi insistito così tanto, di certo ora non saremmo in
questa situazione!” lo accusò Daron in tono
profondamente irritato.
“Ormai
c'eravamo, è successo quel che è successo, ma questo
non vuol dire che devi fare di tutto per beccarti l'epatite! E dai,
cazzo, ma non ti accorgi mai quando esageri?”
“Cosa
avrei dovuto fare? Farmela addosso? Comprargli qualche grammo di
roba? Magari non mi accorgo di quando esagero, ma tu non ti rendi
conto di quando sbagli!”
“Non
eri obbligato a entrare nella casa con me, Malakian.”
Mi
scoppiava la testa a furia di sentirli blaterare. Stavo per voltarmi
e porre fine a quello scempio, ma fortunatamente qualcuno intervenne
prima di me. Non sapevo se sarei stato in grado di mantenere il
controllo, ne avevo abbastanza.
“Smettetela,
siete ridicoli” li interruppe Johanna in tono laconico.
“Stai
zoppicando fratello, hai bisogno d'aiuto?” domandò Jacob
con una premura che non pensavo possedesse.
“No”
borbottò Daron, armato del suo solito orgoglio.
Diedi
un'occhiata alle mie spalle e notai che effettivamente il chitarrista
non riusciva a compiere dei passi sicuri, evitava di caricare il peso
del corpo sul piede sinistro. Senza fiatare, afferrai una manica del
suo giubbotto e lo trascinai accanto a me, almeno avrebbe potuto
trovare sostegno nel caso ne avesse avuto bisogno.
Certe
volte mi chiedevo a cosa mi servisse diventare padre, dato che lo ero
già in un certo senso. Daron e Shavo andavano tenuti a bada.
“E
mollami” ringhiò lui, allontanandosi di qualche metro.
Ora
ce l'aveva col mondo intero, proprio come i bambini, e non voleva
parlare con nessuno.
Sospirai.
Jacob
ed Ellie intanto avevano iniziato una seduta psicologica improvvisata
con Shavo, visto che quest'ultimo aveva un evidente bisogno di
sfogarsi, scaricare la tensione e lamentarsi delle innumerevoli
stronzate che combinava Daron ogni giorno. Che ragazzi coraggiosi.
Così
decisi di raggiungere John, Johanna e Noah in fondo al gruppo per
stare un po' in loro compagnia.
“Ma
come diamine hai fatto? Lo ammetto, stavo morendo di paura, invece tu
sembravi avere la situazione sotto controllo!” si stava
complimentando la ragazza con il batterista. Lei l'aveva preso
sottobraccio e camminavano uno di fianco all'altra, mentre Noah stava
dalla parte opposta del mio amico.
“Non
serve a niente farsi prendere dal panico, e nemmeno dichiarare
guerra. La situazione era risolvibile pacificamente” spiegò
lui, leggermente in imbarazzo per il ruolo di eroe che gli era stato
affibbiato.
“In
realtà io mi sono spaventato un sacco quando ho visto Serj
così vicino a quel tizio: se avesse deciso di prenderlo di
mira...” confidò Noah.
“No,
ce l'aveva con Daron. Ma grazie per il pensiero” obiettai.
Il
ragazzo sobbalzò leggermente e si voltò nella mia
direzione, sorpreso di trovarmi proprio al suo fianco. “Ah
Serj, sei stato un grande!”
Scossi
la testa. “Non che potessi fare granché.”
Eravamo
finalmente giunti davanti alla sala prove. Era preoccupante pensare
che tante costosissime apparecchiature erano custodite in una zona
dove circolavano abitualmente tossici e altri individui di quel tipo,
ma come potevamo saperlo? Era un quartiere molto tranquillo, l'ideale
per recarci a provare e non dare nell'occhio – se i fans
avessero scoperto quel luogo si sarebbero appostati là per
giorni interi – e anche per questo motivo non mi sarei mai
aspettato un avvenimento del genere.
Una
volta sulla piccola terrazza d'ingresso, nessuno aveva voglia di
rintanarsi al caldo: l'adrenalina non era ancora scemata del tutto e
quasi tutti avevano una sigaretta alla bocca. Mi offrii di portare
una bottiglietta d'acqua per tutti e ne approfittai per stare un po'
da solo all'interno della struttura.
Nonostante
non lo dessi a vedere, il cuore mi batteva ancora a mille e non mi
ero del tutto ripreso. Avevo avuto paura per me, ma soprattutto per
Daron, e mi ero sentito un grandissimo idiota quando mi ero reso
conto di non poter fare niente per aiutarlo. Se John non fosse
intervenuto non sapevo come sarebbe andata a finire, in ogni caso mi
sentivo piuttosto in colpa.
“Ora
basta pensare a cose negative, dai! Siamo tutti insieme, tutti salvi,
il peggio è passato! Ora vi faccio vedere una cosa che vi
piacerà un sacco!” esclamò Johanna con ritrovato
entusiasmo quando mi vide apparire sulla soglia. Detto questo,
cominciò ad armeggiare con il suo cellulare con un sorrisetto
beffardo sulle labbra. Come facessero lei e i suoi amici a non
buttarsi mai giù era un mistero; cominciavo a pensare che quei
quattro ragazzini – ma soprattutto le gemelle – fossero
una sorta di medicina per noi dei System.
“Ah
sì, faglielo vedere! Ragazzi, preparatevi, ci sarà da
ridere!” concordò Ellie avvicinandosi a sua sorella.
“Premessa:
non so se lo sapevate, ma io lavoro come baby sitter per una bimba
prodigio di appena cinque anni. Ecco a voi, vi presento Lindsay!”
annunciò Johanna, per poi volgere lo schermo del suo cellulare
nella nostra direzione. Io, John, Shavo e Daron ci avvicinammo per
vedere meglio, sotto lo sguardo divertito degli altri. Jacob e Noah
sghignazzavano tra loro, sicuramente sapevano già di cosa si
trattava.
Dalle
casse dell'apparecchio provenivano le note di Suite-Pee, la
riconobbi subito nonostante il volume molto basso. Nel video una
bimba dai lineamenti dolci e i capelli lunghi e lisci sorrideva
raggiante all'obiettivo.
“Lindy,
saluta i System!” intervenne la voce squillante di Johanna.
“Ciao
System! Ma questo glielo fai vedere, a loro?” domandò
Lindsay, che intanto trotterellava verso due grandi casse da cui
sicuramente veniva mandata la canzone.
Io
e i miei amici non potemmo trattenere le risate. Non potevo crederci,
una fan di cinque anni! Quelle sì che erano soddisfazioni!
“Se
vuoi sì!”
“Ah,
allora gli dico una cosa! System, oggi Jo mi ha fatto vedere un video
dove fate un concerto, era lunghissimo... come si chiama quello col
naso grande?”
“Daron!”
“Ehi,
ma che cazzo!” sbottò Daron tra le risate, fintamente
offeso.
“Zitto,
voglio sentire” disse John, che tra noi era il più serio
e seguiva il filmato con profondo interesse.
“Ecco,
allora ciao Daron, ma io non lo capisco come fai a girare, girare,
girare e non cadere mai!”
Il
riferimento all'assolo di Psycho, in cui in passato il
chitarrista roteava su se stesso come una trottola nei live, fece
definitivamente piegare in due dalle risate anche John.
Dopodiché
Lindsay prese a cantare a memoria la canzone e a saltellare, poi
cominciò a fare headbanging nel breakdown.
Il
video si interruppe pochi secondi più tardi con una risatina
di Johanna.
“Io.
Amo. Questa. Bambina!” affermò Shavo con gli occhi a
cuoricino.
“È
un fottuto genio, soprattutto per il commento al naso di Daron!”
aggiunse John con un sorriso divertito.
“Non
è vero che ho il naso grande, che palle! Johanna, le metti in
testa un sacco di fesserie!” si rivoltò Daron,
asciugandosi le lacrime che erano scivolate sulle sue guance per le
troppe risa.
“Ricordati
che i bambini sono la voce della verità!” Diedi di
gomito al chitarrista e sghignazzai.
“Sapevo
che la mia Lindy vi sarebbe piaciuta!” esclamò Johanna
con fare soddisfatto.
“Ma
poi avete visto come faceva headbanging?” proseguì
Shavo.
“Sapeva
il testo della canzone meglio di me!” commentai incredulo.
La
verità è che sia io che Shavo andavamo matti per i
bambini e quando ne vedevamo uno andavamo irrimediabilmente in brodo
di giuggiole; trovare una piccola metallara che amava le nostre
canzoni era una gioia immensa.
“Ce
la dovete presentare” decise Shavo.
“Lo
faremo prima o poi, promesso! Lei ne sarebbe contentissima!” ci
assicurò Ellie.
“Ogni
volta che sento questa storia del naso muoio!” intervenne
Jacob, che ancora stava cercando di riprendersi dalle risate.
“Sentite,
il mio naso è favoloso!” si difese Daron in tono
lagnoso.
“È
arte moderna” concordò Noah.
“My
nose is much bigger than yours!” sbottò
all'improvviso Daron prendendo tutti alla sprovvista. “Ehi,
suona bene!” affermò poi.
“Ragazzi,
si è fatto tardi, non me n'ero reso conto! Magari avete
qualche impegno...” fece notare Shavo dopo aver dato
un'occhiata al display del suo cellulare.
Sbadigliai
e un brivido mi percorse la schiena. Faceva freddo, ma tra una
chiacchiera e l'altra non ci avevo fatto tanto caso fino a quel
momento. “Angela mi avrà dato per disperso” dissi.
Non
avevo pensato di avvisare la mia ragazza che avrei fatto tardi;
fortunatamente ci era abituata e non se la prendeva con me.
“Oddio,
è vero! Domani mattina devo studiare a tutti i costi, tra un
paio di settimane ho un esame!” fece Ellie con una nota di
disperazione.
“Okay,
andiamo a recuperare le nostre cose!” convenne Jacob avviandosi
all'interno.
“Jake,
hai da fare?” gli domandò Noah mentre lo raggiungeva.
“Stanotte
in giro, devo andare a caccia!” rispose il suo amico
euforico.
“Ti
pareva!” lo apostrofò Johanna. Lei ed Ellie corsero
nella sala per prendere le loro borse.
Dopo
che i ragazzi ebbero sistemato i loro strumenti in auto e si furono
accertati di non aver dimenticato nulla, giunse il momento dei
saluti.
“Grazie
ancora Serj, è stato... bello cantare con te. Cioè, non
bello, direi emozionante” mi ringraziò dolcemente Ellie
stringendomi una mano.
“Mi
ringrazi per cosa? Fattelo dire: sei più brava di me!”
“Ma
non dirlo nemmeno per scherzo, ho ancora tanto da imparare...”
si sminuì.
“Credimi:
si vede lontano un miglio che hai preso lezioni di canto, a
differenza mia. Sai come sfruttare la voce.”
Ero
sincero, le capacità di Ellie mi avevano colpito un sacco. Non
aveva nulla da invidiarmi; Serj Tankian era soltanto un nome, non un
modello da seguire. Quando incrociavo qualcuno degno di stima, più
o meno famoso, non avevo nessun problema ad ammetterlo.
Ellie
mi abbracciò di slancio e mormorò: “La tecnica
non è tutto. Io ti stimo per le emozioni che riesci a
trasmettere”.
Si
allontanò quasi subito da me, rapita da Shavo che aveva
stretto entrambe le ragazze in un affettuoso abbraccio.
Se
c'era una cosa che amavo di tutta quella faccenda era proprio il
rapporto tra le sorelle e il bassista: era come se lui fosse un terzo
fratello per loro, c'era tantissima confidenza tra loro, ma
altrettanta stima e rispetto.
“Tankian,
ci si becca presto” mi salutò allora Jacob, battendomi
il cinque.
“Continua
così che spacchi.”
“Sì,
spacca i coglioni!” sghignazzò Noah, giungendo accanto a
noi.
“Stronzetto,
nessuno ha chiesto il tuo parere!” lo rimbeccò l'altro.
Mi
ricordavano Daron e Shavo in certi momenti, e guarda caso erano
proprio chitarrista e bassista.
“Stammi
bene” salutai anche quest'ultimo con una pacca sulla spalla.
“...e
grazie per avermi dato l'opportunità di offendere la tua
Tama!” sentii dire a Johanna, che si trovava appena dietro di
me in compagnia di John.
“La
mia Tama è contenta di esser stata suonata da una batterista
con i controcazzi come te, va bene? Se non va bene, te lo fai andar
bene lo stesso! E se ti sento sottovalutarti un'altra volta ti
scateno contro l'ira del naso di Daron!”
Bene,
anche l'elemento più serio della band era andato.
“Smettila
di prendermi per il culo, non so suonare be...”
“Ciao
Jo, buona serata, io devo salutare Ellie!”
“Vi
giuro che ci avete migliorato la serata” bisbigliai a Johanna
mentre mi passava accanto per andare a salutare Daron.
Lei
scosse la testa, palesemente basita, poi si piazzò davanti al
chitarrista con le mani sui fianchi. Mi concentrai su quella scena e
tesi le orecchie per sentire lo scambio di battute.
“Daron,
piccolo e dolce Daron... no, forse dolce no, ma non ha importanza...
guai a te se mi fai prendere un altro infarto come quello di
stasera!” esordì la ragazza.
Lui
le afferrò teatralmente i polsi. “E va bene, ma tu non
ti preoccupare così tanto, questo bastardo ha sette vite come
i gatti.”
“Meno
male che sei un gatto e non un coniglio, altrimenti avresti fatto la
stessa fine di Rock N' Roll” osservò lei, poi
strinse Daron in un abbraccio. Lui, evidentemente sorpreso da quel
gesto, rimase impietrito per qualche istante; quando stava per
ricambiare il gesto con poca convinzione, Johanna sciolse
l'abbraccio. “Ma sì, in fondo ti voglio bene, e anche al
tuo naso.”
“Tanti
saluti a quella bambina stronzetta!” Conoscevo Daron, era il
suo modo per evitare di commentare quell'aperta manifestazione
d'affetto: in certe situazioni non sapeva proprio come comportarsi.
Ma
quel momento, già lo sapevo, era stato fondamentale. Daron
stava cominciando a fidarsi di Ellie e Johanna, vedere che loro si
erano già affezionate a lui non poteva che aiutarlo. Il mio
amico era molto sensibile anche se non lo dava a vedere, ma gli
effetti positivi di quelle magnifiche ore si manifestavano nel suo
umore e nel suo comportamento: quella sera era allegro nonostante
tutto, bendisposto nei confronti di tutti, e tornò a casa con
un sorrisetto ebete stampato sulle labbra di cui non si rendeva
nemmeno conto.
Ma
avevo notato qualcosa che non quadrava e che non mi aveva lasciato in
pace da quando avevamo lasciato la sala prove: Johanna si stava
avvicinando tanto a Daron, ci stava mettendo tanto impegno. Ma Ellie?
♫
John ♫
“Come
sarebbe a dire?... Lo so, tra poco partiremo per il tour... Per me
non c'è nessun problema, lo sai che non vedo l'ora di salire
nuovamente sul palco, ma ovviamente le decisioni non le prendo da
solo... Non mi interessa, posso fare anche quindici ore d'aereo se è
necessario, del resto ci hanno chiesto di suonare... Sì Beno,
l'ho capito, ma è inutile che ne parliamo solo noi due: ci
conviene fare una riunione tutti assieme... Lo so che non conviene,
ma conta che abbiamo ripreso a suonare dopo una pausa di cinque anni,
i fans vogliono un sacco di concerti, quindi se ci hanno chiamato non
vedo perché non dovremmo... Quindi Germania, Inghilterra,
Spagna... ah, anche Francia? Non me le ricorderò mai tutte
così! Senti, chiedi anche agli altri – anzi, io lo
riferisco a John dato che siamo insieme – e decidiamo un posto
e un giorno per parlarne con calma, okay?... Ciao fratello!”
Shavo
interruppe la chiamata e si fermò in mezzo alla stanza con il
cellulare in mano.
Quella
sera dovevamo vederci con alcuni nostri amici e io ero passato a
prenderlo a casa sua, ma l'avevo trovato che parlava al telefono con
il nostro manager. Per fortuna ero un po' in anticipo; lo conoscevo
abbastanza bene da sapere che ci metteva un secolo a prepararsi, così
gli comunicavo un orario diverso da quello stabilito: per esempio
quel giorno gli avevo detto che avremmo incontrato gli altri alle
sette, mentre invece avevamo fissato per le otto.
Peccato
che questo metodo non funzionasse anche con Daron.
“Cosa
dice Beno?” gli domandai curioso, dalla mia postazione sul
divano.
“A
quanto pare tra ottobre e novembre ci vogliono nuovamente in Europa
in tour; eppure ci saremo già a giugno!”
“Ma
noi a ottobre siamo in Sud America.”
“Lo
so, infatti il secondo tour europeo dovrebbe avere inizio a metà
di quel mese.”
“Quante
date sarebbero?”
“Una
decina, forse anche di meno. Scommetto che tu sei della mia stessa
idea e partiresti anche adesso!”
Annuii.
“Esatto, per me l'importante è suonare.”
“Ma
scommetto che Daron e Serj non saranno d'accordo perché non
conviene viaggiare così tanto per così poche date.
Anche Beno mi ha detto chiaro e tondo che dieci date sono poche,
tenendo in conto che quest'anno in Europa abbiamo già un altro
tour.”
“Cazzate.
Abbiamo ripreso a suonare da poco e adesso secondo me è
importante prendere tutte le date che ci offrono, altrimenti non
torneremo mai come eravamo prima. Comunque dopo quelle date dovremmo
comunque fermarci un periodo perché Serj parte... e io ho
voglia di viaggiare e di suonare, cazzo, con gli Scars non abbiamo
fatto tanta strada...”
“Ne
parleremo tutti insieme molto presto. Noi portiamo avanti le nostre
idee, okay? Li convinceremo.”
“Okay,
ma adesso vai a prepararti, io non ho voglia di fare figure di merda
per colpa tua.”
Ma
dove sarei andato a finire senza i miei amati System?
♪ ♪ ♪
Hey
guys!
Teoricamente
questo capitolo sarebbe dovuto essere più breve del solito, ma
alla fine la lunghezza è sempre quella lì, più o
meno XD
Sono
un caso perso, lo so: inizio a scrivere, ho mille idee in mente e chi
mi ferma più?
Non
so se avete notato, ma per la prima volta ho deciso di dar voce a
Serj: il capitolo è quasi interamente dal suo punto di vista!
Non
vorrei che pensaste che il suo personaggio mi piaccia meno degli
altri, niente affatto, semplicemente per motivi di trama fino a
questo momento non c'era stata l'occasione di renderlo protagonista.
Serj,
perdonami, non ce l'ho con te! Ti voglio bene, lo so che anche tu me
ne vuoi!
*fine
dialogo col vento*
Perché
Fears? Per due motivi:
il
capitolo è quasi tutto dal punto di vista di Serj, mi
sembrava carino che fosse proprio la sua voce a tenervi compagnia
durante la lettura;
Si
chiama, appunte, Paure, e mi pare che i ragazzi di paura ne
abbiano avuto abbastanza di paura! E poi mi ha colpito la frase che
dà il titolo al capitolo, perché nonostante tutto la
serata si è conclusa bene: i nostri Souls hanno realizzato un
loro grande sogno, mentre Shavo e John lo vogliono realizzare, ed è
quello dei System *-*
Piccola
nota informativa: sto prendendo spunto un minimo dal reale tour del
2011. In realtà le uniche date reali saranno quelle europee di
giugno e quelle sudamericane di ottobre, le altre sono fittizie: non
è vero che il tour è iniziato nel 2010 come ho invece
fatto accadere io, non è vero che hanno avuto delle date
americane a marzo (le hanno avute a maggio, ma non so se le citerò)
e non è vero che li volevano nuovamente in Europa a
ottobre-novembre!
Ora
penserete: perché allora stai modificando il tour?
Eheheheh...
Comunque
non so se queste informazioni vi possano interessare, comunque io le
scrivo perché mi piace far sapere ai miei lettori cosa è
reale e cosa invece è frutto della mia fantasia. Spero che
anche voi apprezziate la cosa ^^
Bene,
anche oggi mi sono dilungata abbastanza, spero che il capitolo vi sia
piaciuto! :3
Un
caloroso abbraccio a tutti i fantastici recensori e alla prossima!!!
♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Pre-flight delight ***
Pre-flight
delight
System
Of A Down - CUBErt
♫
Ellie ♫
“Quindi
tu ci stai dicendo che questa Roxanne sarebbe disposta a registrarci
un cd a un prezzo di favore?”
Ero
sinceramente senza parole per la grandiosa notizia che Jacob ci aveva
dato quel pomeriggio alle prove, ma allo stesso tempo non riuscivo a
crederci fino in fondo; mi pareva piuttosto strano che ci venisse
fatto uno sconto del genere e mi veniva spontaneo vedere con sospetto
la proposta.
“Andiamo,
la conosco da anni, siamo stati compagni di classe e ci frequentavamo
anche al di fuori della scuola. Inoltre lei è sempre stata
pazza di me, farebbe qualsiasi cosa pur di rendermi felice!”
assicurò il chitarrista con convinzione.
“Sentite
ragazze, secondo me dobbiamo dargli retta. Da mesi stiamo
programmando di registrare qualcosa, almeno un EP, ormai abbiamo un
bel po' di canzoni” intervenne Noah. “Avremmo comunque
dovuto cercare uno studio di registrazione.”
“Hai
ragione, ma sai che Jake frequenta gente poco raccomandabile”
feci notare con una nota di ironia. Lanciai un'occhiata al ragazzo
che avevo preso di mira in attesa di una sua reazione.
“El,
tesoro, ti faccio notare che tra la gente che frequento sei inclusa
anche tu” ribatté lui prontamente, sedendosi alla
batteria di Johanna e tentando invano di suonare qualcosa di decente.
“Io
prima di decidere qualsiasi cosa vorrei tanto vedere lo studio e
conoscere questa Roxanne. E soprattutto sentire alcuni dei suoi
lavori: non vale la pena di sprecare tempo per un audio pessimo, a
quel punto preferisco registrare con il mio cellulare!” proferì
Johanna, mentre fulminava il chitarrista con un'occhiata.
“Quando
potremmo incontrarla?” mi informai.
“Quando
vogliamo, anche domani! Segue vari gruppi e artisti, ma quasi tutti
hanno sfornato qualcosa di nuovo di recente e ora si ritrova con poco
lavoro.”
“Domani
sono con Lindy di pomeriggio!” annunciò mia sorella.
“Se
va bene a tutti, posso chiederle di accoglierci in mattinata, che ne
pensate? Le scrivo?”
“Oh
Jake, quanto mi dispiace, per te alzarti presto sarà una
fatica immane!” finse di preoccuparsi mia sorella, sollevandosi
dalla sedia in cui aveva preso posto per rivendicare la sua batteria.
“Scrivile,
anche per me va bene. Ma adesso che ne dite di provare? Tra un po' i
miei ci butteranno fuori a calci in culo!” propose Noah,
intento a provare il suono del suo basso.
Per
fortuna i genitori di Noah avevano finito i lavori nel garage da più
di un mese e noi eravamo tornati nella nostra cara vecchia sala
prove. La stanzetta provvisoria in cui avevamo accolto anche i System
era stata un incubo, motivo per il quale in quel periodo avevamo
provato meno rispetto al solito.
Ma
ora era giunto il momento di impegnarsi seriamente: i likes sulla
nostra pagina facebook aumentavano sempre più, ci stavano
giungendo delle proposte di live da parte di vari locali e noi non
potevamo permetterci di presentare concerti scadenti e deludenti.
Mi
ero accorta di ciò che ci stava capitando durante un concerto
– l'unico – che tenemmo a marzo, mentre i nostri amici
dei System erano in tour: un gruppetto di persone che ci aveva
sentito suonare ci aveva intercettato dopo lo show e ci aveva chiesto
una foto. I ragazzi e le ragazze avevano affermato di aver assistito
già a un paio di nostri live e che adoravano la nostra musica
e il nostro stile.
Io
e i miei amici eravamo rimasti esterrefatti da quell'episodio: non ci
aspettavamo assolutamente che potesse accadere una cosa del genere
proprio a noi, dei comuni ragazzi che semplicemente amavano suonare e
si divertivano a farlo.
Così
anche quel giorno ci mettemmo al lavoro e provammo l'intera scaletta
per due volte di seguito.
L'università
si stava facendo dura, la quantità di studio era sempre più
elevata, ma nonostante ciò partecipavo a ogni prova con il
gruppo. Ero stanca in quell'ultimo periodo, ma non mi importava:
avrei sacrificato qualche ora di sonno per i Souls, perché era
un progetto in cui tutti credevamo fino in fondo e che stava
cominciando a darci le prime soddisfazioni.
Almeno
i mille impegni che mi riempivano le giornate mi permettevano di non
pensare troppo a Noah. Tutto sembrava andar bene con lui, finché
non saltava fuori il nome di Kate.
Era
tutto inutile: nonostante sapessi che non esistevano colpevoli e che
il bassista era felice, la consapevolezza che ad averlo fosse
un'altra mi gettava nello sconforto.
“Oddio,
oggi sono completamente fusa, ci credi? Queste prove mi hanno ucciso!
Giuro che non toccherò più la batteria fino alle
prossime prove, quindi... tra tre giorni!” si lamentò
Johanna quando ci ritrovammo in macchina.
“Non
dirlo a me, la mia voce sta chiedendo pietà! Secondo me
possiamo provare la scaletta una volta sola, tanto in ogni caso
proviamo due volte alla settimana!” concordai.
“Tra
poco è il compleanno di Shavo, cosa facciamo?” se ne
uscì mia sorella all'improvviso, prendendomi alla sprovvista.
In
realtà lo sapevo benissimo e anche io, come lei, mi domandavo
da giorni cosa avremmo potuto fare, se era il caso di comprargli un
regalo o vederci per un caffè. Mi sarebbe dispiaciuto però
disturbarlo: a maggio sarebbero partiti per un'altra serie di date
americane e poi a giugno si sarebbero spostati in Europa, quindi
sicuramente erano tutti molto impegnati.
“Pensi
sia il caso di disturbarlo?” domandai titubante.
“Non
credo che lui si senta disturbato da noi, sai? Posso capire Daron, ma
ti ricordo che è stato proprio Shavo a proporre lo scambio di
numeri e tutto il resto” replicò lei, approfittando di
un semaforo rosso per voltarsi verso di me.
“Magari
ha tanto da fare e...”
“E
secondo te non festeggia il suo compleanno? Comunque noi possiamo
fargli un regalo, questo non comporta il doverlo disturbare!”
obiettò fermamente.
Un
assordante assembramento di clacson che si levò alle nostre
spalle ci comunicò che era scattato il verde ed era giunto il
momento di ripartire. Johanna ripartì sibilando tra i denti:
“Ma si può sapere perché in questo posto la gente
non si dà una calmata? Era appena scattato, e poi non ho
capito quand'è iniziata la gara di automobilismo cittadino, mi
sono persa le griglie di partenza”.
Mi
lasciai sfuggire una risatina e gettai un'occhiata fuori dal
finestrino: accanto a noi le altre auto sfrecciavano velocemente,
come se avessero paura di non raggiungere le altre o di essere
raggiunte da esse.
“Quindi...
cosa regaliamo a Shavo?” tornò alla carica mia sorella.
Ora era proprio andata in fissa con questo compleanno, quando ne
parlava le brillavano gli occhi.
“Non
lo so, ha già tutto!” Sbuffai. Non sapevo proprio cosa
potesse andar bene per un tipo come lui.
“Facciamo
così: un giorno di questi ce ne andiamo a spasso per la città
e sono sicura che ci verrà qualche idea, vedendo le vetrine
dei negozi!”
Sorrisi.
“Jo, tu sì che hai sempre le idee giuste! E va bene, ma
Mel viene con noi!”
“È
ovvio!”
♫
Jacob ♫
Non
avevo parlato molto di Roxanne ai miei amici, ma sapevo che a loro
sarebbe piaciuta un sacco.
La
conoscevo da una decina d'anni ormai e, dovevo ammetterlo, me l'ero
portata a letto qualche volta ai tempi della scuola; ma del resto lei
era pazza di me, come potevo non accontentarla?
In
ogni caso sapevo che aveva sempre nutrito grande interesse per la
musica e per la tecnologia, ma solo quando l'avevo ritrovata tramite
facebook avevo scoperto che aveva aperto uno studio di registrazione.
Non me lo sarei mai aspettato, però la stimavo perché
era riuscita a fare delle sue passioni un lavoro.
Quella
giornata di metà aprile era iniziata nel peggiore dei modi:
come Johanna aveva predetto, mi ero alzato troppo presto per i miei
gusti ed ero completamente rimbecillito e intontito. Affacciatomi
alla finestra, mi accorsi del cielo plumbeo e della pioggia che ogni
tanto si scatenava sulla città.
La
pioggia mi piaceva, ma non quando dovevo uscire di casa.
Nonostante
non avessi chissà quanta voglia di tuffarmi nel traffico di
Los Angeles, arrivai comunque puntuale all'appuntamento perché
non sopportavo di far aspettare il resto della band. Il ritardo era
una prerogativa di Noah, non mia.
Incontrai
le gemelle all'angolo della strada, dove ci eravamo dati
appuntamento, e come previsto dovemmo aspettare il bassista per circa
dieci minuti.
“Scusate,
ma il telefono era scarico e...” tentò di giustificarsi
quando scese dalla macchina e ci rivolse un'occhiata trafelata.
“Zitto,
attualmente non ci interessa. Andiamo, Roxy ci sta aspettando!”
lo interruppi con indifferenza per poi voltarmi e dirigermi di fretta
verso lo studio.
Quest'ultimo
si trovava al numero 154 di Lincoln Street e si presentava come una
struttura a un piano e dalla facciata in mattoni rossi. Lo immaginavo
come un luogo accogliente e caldo, a primo impatto mi aveva fatto una
buona impressione.
Bussai
alla pesante porta in legno scuro e attesi che Roxanne ci aprisse. I
miei amici fissavano la porta con mille aspettative che scorrevano
loro negli occhi.
Quando
questa si aprì, davanti a noi comparve una ragazzetta di media
statura e piuttosto esile. Proprio come le foto di facebook
mostravano, aveva uno stile molto particolare: i capelli, tinti di un
viola sgargiante, erano rasati da un lato e raccolti in una serie di
disordinate treccine; indossava una maglietta nera aderente con un
pentacolo dorato sul petto, un paio di jeans abbondantemente
strappati e dei pesanti anfibi. Non che quegli indumenti fossero
perfettamente abbinati, ma io non me ne intendevo, potevo anche
sbagliarmi.
“Ciao
ragazzi, ciao cari Souls! Piacere, io sono Roxanne, è una
gioia avervi qui! Venite dentro, così vi potete presentare, ma
vi informo che per me è un casino ricordare i nomi, quindi
sicuramente vi chiamerò in altri modi, tipo Candice, Ashley,
Mark... oh Jake, che gioia rivederti, stronzetto mio!” esordì
in tono allegro, stringendo calorosamente la mano a tutti e
invitandoci all'interno.
Aveva
la stessa interminabile parlantina di tanti anni prima, incredibile!
Notai che dal primo momento aveva cominciato a mangiarmi con gli
occhi, segno che tra noi non era proprio cambiato niente.
“Ciao
Roxanne, ma sai che il tuo nome mi piace un sacco? Mi fa pensare alla
canzone dei Police!” affermò Johanna.
Benissimo,
queste due pazze si erano trovate.
“Ma
no, quella era una puttana, però grazie lo stesso! Allora, tu
sei...?”
“Jo.”
“E
scommetto che voi due siete gemelle, vero? Siete praticamente uguali”
tirò a indovinare la mia ex compagna di classe, spostando lo
sguardo su Ellie.
“Esatto!
Io mi chiamo Ellie.”
“E
tu, ragazzino imbalsamato? Mi auguro che tu non sia il cantante,
altrimenti faresti scena muta ai concerti!” si rivolse infine a
Noah, che come al solito era rimasto buono in disparte ad aspettare
il suo turno.
“Sono
il bassista, e non oso immaginare come andrebbero le cose se
cantassi!” ribatté lui con un sorrisetto.
“Sì,
ma il nome? Anzi, non dirmelo: dato che ti sei presentato come
bassista, ti chiamerò per sempre bassista!”
Io
e il mio amico ci scambiammo un'occhiata perplessa e ridacchiammo.
“Comunque
mi chiamo Noah!”
“Uff,
mi hai rovinato la suspance, potevi essere un personaggio misterioso
e invece ti sei tradito! Comunque, ditemi tutto: non so nemmeno il
vostro genere musicale, questo piccolo e adorabile coglione non mi ha
voluto dire niente!” s'informò la ragazza. Nel frattempo
era giunta al mio fianco e mi aveva circondato le spalle con un
braccio, incollandosi letteralmente a me con quella scusa. Io allora
le strinsi un braccio intorno alla vita senza nessuna esitazione; mi
stavo già divertendo un sacco.
“Ehi,
smettetela di fare la cozza e lo scoglio, stiamo parlando!” si
rivoltò Johanna incenerendoci con lo sguardo.
“Wow,
che caratterino! Già mi piaci, lo sai?” Roxanne si
allontanò da me e si buttò su uno sgabello, davanti al
quale troneggiava un monumentale computer su una grande scrivania.
“Prima di parlare mi sembra giusto darvi alcune informazioni e
farvi sentire alcuni miei lavori. Lo so, sembro una buona a nulla e
una riserva infinita di cazzate, ma quando faccio il mio lavoro lo
faccio seriamente; tengo tantissimo agli artisti emergenti e voglio
il meglio per loro, sono dell'idea che pur non essendo famosi debbano
pubblicare dei cd registrati e mixati in maniera dignitosa. In molti
si rivolgono a me perché non chiedo molti soldi e ora vi
spiego anche il perché. Ci sono due motivi: il primo è
che io lo faccio per passione e non m'interessa guadagnarci chissà
quanto, il secondo è che le band emergenti, essendo appunto
emergenti, non possono certo permettersi di spendere un patrimonio.”
La
ragazza si era fatta improvvisamente seria e spostava lo sguardo da
noi al monitor; mi sconvolse l'abilità con cui usava il pc.
E
pensare che io sapevo a malapena accenderlo.
“Di
che generi musicali ti occupi?” domandò Noah
incuriosito.
“Di
tutto, davvero di tutto! Perché a me la musica piace in ogni
sua sfaccettatura: rock, punk, rap, reggae, blues, pop, house,
dubstep, metal. Non ho mai lavorato sul jazz perché nessuno me
l'ha mai chiesto, ma è un genere che non mi dispiace. Però
ammetto di andare fuori di testa per il folk e il viking metal, punk
e affini. Ora, ditemi: che musica vi piace? Che cosa suonate?”
“Un
misto tra reggae, rock, metal, con accenni ad altri generi a seconda
della canzone” spiegai con fierezza, sapendo di sorprenderla.
“Wow,
cazzo, adesso la mia stima nei vostri confronti cresce sempre più!
D'accordo, allora vi faccio sentire qualche lavoro su ciò che
mi avete nominato, così mi dite se vi potrebbe soddisfare.
Ovviamente possiamo parlare insieme di ciò che vi va bene e
non vi va bene per le vostre canzoni; io sono qui solo per servirvi e
realizzare ciò che avete in testa!”
Detto
questo fece scorrere velocemente il puntatore sullo schermo e dopo un
paio di click fummo avvolti dalle note di un brano reggae.
Sobbalzammo per lo spavento, in quanto la musica veniva diffusa da
delle casse situate appena sopra le nostre teste a un volume
abbastanza elevato, ma poi ci soffermammo ad ascoltare. Era davvero
un bel pezzo, molto potente e coinvolgente, ma soprattutto era
registrato in maniera divina: l'audio era pulito, i bassi belli
carichi, tutti gli strumenti si sentivano perfettamente e svolgevano
il loro ruolo. Era un equilibrio perfetto.
Quando
la canzone stava per terminare, Roxanne chiuse la finestra del
lettore multimediale e annunciò: “Con l'hard rock invece
ho fatto questo. Preparatevi: si tratta di un gruppo locale che
secondo me spacca!”.
Poi
selezionò una canzone di cui non ricordo il titolo, ma mi
colpì dalla prima all'ultima nota. Era una canzone davvero
folle: un misto di grunge, metal, rock e funky, con frequenti stop
and go e un virtuoso assolo di chitarra.
Ma
soprattutto aveva un audio semplicemente perfetto.
“Allora,
che ne pensate?” domandò la ragazza con un sorriso al
termine del nostro ascolto.
Io
e i miei amici scambiammo qualche occhiata e io compresi che tutti
avevamo avuto la stessa impressione.
“Affare
fatto, tu sei un fottuto genio!” esclamò infine Johanna
con ammirazione.
♫
Melanie ♫
Era
stata proprio una botta di culo! In genere nel fine settimana
lavoravo sempre, ma quella volta avevo dovuto sostituire una mia
collega il martedì e il mercoledì e avevo il weekend
tutto per me. Ottima occasione per trascorrere il tempo con le mie
due gemelle pazze.
Il
caso volle che quel sabato le mie amiche avessero organizzato un
incontro con Shavo, uno dei loro amici di quel gruppo strano, per il
suo compleanno, e mi avevano voluto coinvolgere nei festeggiamenti.
Ne ero davvero felice perché da tempo volevo conoscere questi
famosi musicisti di cui mi parlavano sempre e perché le avevo
aiutate nella scelta del regalo, quindi ero curiosa di vedere la
reazione di Shavo.
Saremmo
state solo noi tre: Noah a quanto pare era fuori città con
Kate – ragion per cui Ellie era parecchio in pensiero – e
Jacob aveva già in programma di partecipare a una festa con
dei suoi amici.
“Quindi
Shavo quando ha compiuto gli anni? Oggi?” domandai.
Probabilmente avevo posto quella domanda una decina di volte alle mie
amiche, ma la mia memoria faceva davvero schifo.
“Ho
detto almeno sei volte che il suo compleanno era ieri, ma ci ha dato
appuntamento oggi perché a quanto pare tutti quelli che lo
conoscono non vedono l'ora di festeggiare” rispose
pazientemente Ellie.
Mi
sporsi tra i due sedili anteriori. “E ci saranno anche degli
altri tizi, giusto?”
“Sì,
ci saranno anche John, un altro tizio di loro conoscenza che si
chiama Bako, Tako, Sako o qualcosa del genere, e un altro suo amico
di vecchia data. Ha dovuto accontentare un po' di gente. Va bene? Ora
è tutto chiaro? Te lo ripeto un'altra volta, così ti
fissi bene in testa il concetto?” ripeté Johanna con uno
sbuffo.
“Uff,
sapete come sono fatta!”
Qualche
minuto dopo trovammo parcheggio in un punto abbastanza lontano dal
GrinPub; del resto era sabato sera, la città pullulava
di vita.
“Avete
preso la busta del regalo?” domandò Ellie mentre si
assicurava di aver chiuso l'auto.
“Ce
l'ho io!” la rassicurai, sventolando la bustina verde che
tenevo in mano.
Ci
dirigemmo tra le chiacchiere verso l'entrata del locale; una volta
all'interno, salutammo Dave che si dava da fare al bancone.
“Ragazze,
volevo chiedervi: quando suonate di nuovo qui? Vi va bene a metà
maggio?”
“Sicuro!
Sai che abbiamo in progetto di registrare un cd?” buttò
lì Ellie.
“Figo,
allora quando ce l'avete pronto vi voglio qui per la presentazione!”
“Li
hai fatti gli auguri a Shavo?” domandò Johanna.
“Shavo?
L'ho visto entrare prima... ah cazzo, non sapevo fosse il suo
compleanno!”
“Bellezza,
una vodka panna e fragola?” domandai io con un sorriso
smagliante.
“Arriva
subito!”
“Ragazze!”
sentii esclamare da una voce a me ignota alle mie spalle. Diedi
un'occhiata e mi trovai di fronte un tizio robusto, alto all'incirca
un metro e ottanta, dall'aspetto piuttosto comune.
“John!”
lo salutarono subito le ragazze, stringendolo in un affettuoso
abbraccio.
“Shavo
vi sta aspettando. Oh... piacere, John” mi si rivolse,
stringendomi cordialmente la mano.
Mi
venne subito in mente che la sua voce stonava con il suo aspetto da
buttafuori, era troppo fine. Però, cazzo, avevo davanti il
famoso batterista di quella band famosa! O era il bassista...
“Piacere,
Melanie, l'amica fusa di queste due gemelline. Mi hanno parlato molto
di te e degli altri, sai?”
Lui
abbozzò un sorriso leggermente imbarazzato e io mi affrettai a
recuperare il mio drink, almeno avremmo potuto raggiungere gli altri.
John
ci condusse a un tavolo in fondo alla sala, quasi invisibile per via
della folla che si aggirava nel locale. Notai con sgomento che molti
fissavano in quella direzione con la bava alla bocca; dovevano essere
dei fans dei ragazzi.
Mi
presentai ai tre presenti: Shavo, l'amico di Ellie e Johanna senza
capelli e con il pizzetto penzoloni di cui mi innamorai subito, Sako,
un tipo dalla carnagione scura e il viso simpatico, e Sam, un biondo
dall'aria seria.
Ellie
e Johanna si buttarono letteralmente tra le braccia di Shavo e
cominciarono a stritolarlo in un abbraccio, riempiendolo di auguri.
Lui rideva e le stringeva a sua volta, ringraziandole per il pensiero
e per essere presenti.
“Ma
Shavy, da quando ti conosciamo non aspettavamo altro!” esclamò
Johanna con una risata.
“Come
mi hai chiamato?” si rivoltò scherzosamente lui,
incenerendola con lo sguardo.
Sako
scoppiò a ridere e ripeté Shavy una mezza
dozzina di volte, contento del fatto di poter dare fastidio al suo
amico.
“Mmh,
io ti ho già visto da qualche parte...” rifletté
Ellie, scrutando attentamente il volto di Sako e cercando di fare
memoria.
“Sono
il tecnico della batteria di John, può essere che...”
cominciò lui, ma venne subito interrotto da Johanna.
“Cosa?!
Tecnico della batteria? Ho davanti un tecnico della Tama? Oddio!”
“È
impazzita più per questo sfigato che per noi” osservò
John in tono serio ma con aria divertita.
“Tu
taci, non puoi commentare il grado di follia!” replicò
la ragazza incrociando le braccia al petto.
“Because
you're too serious... you're gonna make me delirious...”
intonò Ellie. Doveva essere la parte di una canzone, ma in
realtà ero piuttosto confusa.
“Esatto!
Perché, suoni la batteria?” si informò Sako,
attirando l'attenzione di Johanna con un colpetto sul braccio.
“Ehm,
a detta degli altri sì. Diciamo che la percuoto.”
“Scusate,
ma non dovete dare il regalo a Shavo?” intervenni.
“Ah,
certo!” si illuminarono le mie amiche.
“Regalo?
Mi avete preso un regalo? Ma siete pazze? Non ce n'era bisogno!”
esclamò Shavo sgranando gli occhi.
“E
invece ce n'era bisogno! Dai, aprilo!” lo incitarono Ellie e
Johanna, ficcandogli tra le mani la bustina verde.
Gli
spiegarono che il regalo era da parte di tutti i membri dei Souls, ma
che gli altri due non avevano potuto presenziare allo scarto del
pacchetto.
Shavo
sembrò particolarmente contento del libro sul basso che si
ritrovò tra le mani e del bracciale in pelle con il suo nome
inciso sopra.
“Ma...
è uguale a quello di Noah?” domandò mentre
sfogliava le pagine del volume con gli occhi che brillavano.
“Sì,
esatto!” confermò la cantante.
“Okay...
è ancora più bello allora! Io... ragazze... sono troppo
contento!”
Erano
davvero carini, mi facevano tenerezza! E mi piaceva il fatto che
anche un tipo famoso, sicuramente ricchissimo, apprezzasse dei regali
così semplici e comuni. Sì, avevano ragione: era
decisamente una persona d'oro.
“Sentite,
domani io e gli altri dobbiamo parlarvi di una cosa molto importante.
S'intende che dovete essere tutti presenti, tutti i Souls. Pensate di
potercela fare?” disse John qualche minuto più tardi,
quando fummo tutti sistemati attorno al tavolo.
“Sì,
certo! L'unico fuori città al momento è Noah, ma mi
pare che debba rientrare in mattinata. C'è solo un problema:
io sarò con Lindsay perché i suoi genitori non ci sono
tutto il giorno. È un problema?” rispose Johanna.
“No,
anzi, è un buon pretesto per conoscere la bimba!” fece
prontamente Shavo con entusiasmo.
Oddio,
quanto ero curiosa adesso! L'ansia mi stava divorando: cosa dovevano
dire ai Souls? Cos'era questa cosa importante per cui dovevano essere
tutti riuniti?
Capivo
che anche le mie amiche, nonostante avessimo cambiato argomento, non
riuscivano a liberarsi di quel pensiero e l'agitazione si stava
impossessando di loro.
La
finimmo a parlare del tour europeo che i ragazzi avrebbero tenuto a
ottobre di quell'anno.
“Dev'essere
davvero bello viaggiare e visitare tanti luoghi diversi, è
sempre stato il mio sogno!” ammisi con aria sognante.
“Non
abbiamo molto tempo per visitare le città e spesso è
stancante, ma per suonare ne vale la pena” raccontò
Shavo.
“C'è
una data di questo tour che mi piace particolarmente, scommetto che
piacerà anche a voi. È quella francese: in pratica
stanno cercando di organizzare un festival di qualche giorno dove
vogliono radunare band di ogni genere musicale, tutti quelli che
riescono a pescare. Noi saremo gli headliners di una giornata, ma
sono molto curioso di vedere cosa combineranno gli altri gruppi”
spiegò John con entusiasmo.
“Wow,
tutti i generi! Non ci credo, i francesi sono geniali! Non sapete
quanto vi invidio!” commentò Johanna.
“E
sapete già i nomi dei gruppi che suoneranno prima di voi? Sono
curiosa, magari li conosciamo!” domandò Ellie
curiosissima.
“Sono
parecchi gruppi, ora non li ricordo... anche perché la line up
è ancora in aggiornamento” bofonchiò Shavo.
“Io
mi ricordo un nome!” saltò su Sako. “Mi ricordo!
Mi pare sia una band francese, si chiamano Dub Inc!”
Il
sangue abbandonò il mio volto e il cuore prese a fare le
capriole nel mio petto. Stavo per avere un mancamento, me lo sentivo,
sarei morta d'infarto al GrinPub.
E
le gemelle? Le gemelle erano pallide come fantasmi, avevano gli occhi
sgranati e le mascelle che quasi toccavano il piano del tavolo.
Oh
merda!
♪ ♪ ♪
SORPRESAAAA!!!!
Non vi aspettavate quest'aggiornamento, vero???
E
invece eccomi qui, in via del tutto eccezionale per due settimane di
seguito! Ma non vorrei viziarvi: è stata solo una scelta
strategica perché in questi giorni sto poco e niente a casa e
questo capitolo era già pronto da tempo. Vi devo dare quindi
una brutta notizia: per dare spazio all'altra long che condivide il
martedì con Hoginery, salterò una settimana e il
prossimo capitolo arriverà nei primi di settembre! Lo so,
vorreste uccidermi, ma in compenso vi prometto che se troverò
uno spazietto libero aggiornerò prima! ^^
Comunque...
le mie promesse di scrivere dei capitoli più brevi ovviamente
non hanno nessun valore, come avrete notato! Io spero sempre che la
cosa non vi dispiaccia, ma... in questo capitolo era necessario
inserire quest'ultima scena e questa notizia dei Dub Inc! Esatto,
sono arrivati gli “ospiti” della mia storia, quelli che
teoricamente non c'entrano niente!
Dalla
reazione delle ragazze vi sembra di capire qualcosa? ;)
ho
deciso di usare CUBErt in questo capitolo perché mi
piaceva la prima frase della canzone, che dà appunto il titolo
al capitolo. Significa delizie del pre-volo e chissà
cosa intendevano i System, ma tanto io vado sempre controcorrente! Io
penso che i Souls stiano proprio spiccando il volo, e queste sono
proprio le delizie che lo precedono! No?
Quanto
sono fiera di loro *-*
E
chissà qual è questa cosa importante...
Fatemi
sapere come sempre cosa ne pensate e se vi è piaciuto il
capitolo e il nuovo personaggio! Vi ringrazio tantissimo per il
supporto e per le recensioni, con voi al mio fianco è tutto
più luminoso e divertente :3
Alla
prossima, vi voglio bene anche se sono stata cattiva a lasciarvi
sulle
spine!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Of fun and friendship ***
ReggaeFamily
Of
fun and friendship
System
Of A Down - Soil
♫
Johanna ♫
Ero
completamente in tilt, facevo fatica a respirare.
Magari
Sako si era sbagliato, non potevano essere loro, non poteva trattarsi
davvero dei Dub Inc!
“Ragazze?
State bene? Che ho detto?” domandò Sako con aria
preoccupata, spostando lo sguardo da me alle mie amiche.
“Oh
cazzo... i Dub Inc? Ma sei sicuro?” mormorò Ellie
scuotendo la testa. Era sconvolta quanto me, eravamo completamente
senza parole.
“Avete
bisogno d'acqua? Di qualcosa? No, perché siete pallide...
oddio, come mai siete così sconvolte? Li conoscete?”
cominciò a bombardarci di domande Shavo, entrando in
agitazione e tentando di attirare l'attenzione di Dave nonostante si
trovasse dal lato opposto del locale. “Sako, renditi utile una
buona volta, porca puttana!” sbottò poi, gesticolando
freneticamente.
“Ho
capito, vado a prendere acqua! Che palle, mica sono il tipo delle
commissioni” borbottò quello, mettendosi in piedi e
allontanandosi in fretta.
“Ma...
voi non avete la più pallida idea di quanto queste due ragazze
amino i Dub Inc!” si riscosse Melanie, saltando letteralmente
dalla sedia e dando una pacca sul braccio a John, tanto era preda
dell'entusiasmo.
“Li
conoscete?” domandò il batterista, sporgendosi verso di
noi con aria incuriosita.
“Bastardi,
i Dub Inc apriranno il vostro live e voi vedrete un loro concerto...
mentre noi ce ne staremo a casa a mangiarci le mani! Oddio, ma quanto
siete fottutamente fortunati? Non verranno mai a fare un tour in
America, noi non li vedremo mai!” esplosi. Non sapevo se farmi
prendere dall'invidia e dallo sconforto, essere contenta per i System
o essere contenta per i Dub Inc.
intanto
Melanie aveva preso a saltellare e lanciare gridolini di gioia,
canticchiando maldestramente una delle canzoni della band francese
che le avevamo fatto conoscere. La nostra amica non era certo
un'esperta o un'appassionata di musica: eravamo noi, spesso, a farle
conoscere nuova musica, e lei andava in fissa con qualche canzone.
Non
era una fan dei Dub Inc, ma alcuni brani la facevano impazzire e
divertire.
“Io
sono sconvolta” proferì mia sorella.
“Wow,
se vi piacciono così tanto allora dobbiamo farci una cultura!
Che genere suonano?” domando ancora John, cercando di
tranquillizzarci con un sorriso.
“Ecco
l'acqua! Oddio, in questo posto si fa la sauna... Sam, fratello, mi
accompagni fuori a fumare?” ci interruppe Sako, poggiando un
paio di bottigliette da mezzo litro sul tavolo e intercettando il
biondo che assisteva alla scena con le sopracciglia aggrottate.
Ero
consapevole della figura di merda che io e mia sorella stavamo
mettendo su, senza contare che come al solito avevamo attirato
l'attenzione di mezzo locale, ma non potevo proprio credere alle mie
orecchie!
In
vita mia non avevo mai incontrato qualcuno che conoscesse i Dub Inc;
non erano molto famosi e negli Stati Uniti avevano fatto decisamente
poco successo, ma da quando io e mia sorella li avevamo sentiti per
la prima volta ce ne eravamo innamorate, tanto che li includevamo nei
nostri gruppi preferiti insieme ai SOAD. Il nostro più grande
sogno era vedere un loro concerto, ma sapevamo che non sarebbero mai
venuti in tour negli States e quindi non sarebbe stato possibile.
Il
fatto che Shavo e gli altri li avrebbero conosciuti mi mandava in
bestia, ma ero anche felice per loro perché ero sicura che i
Dub Inc si sarebbero sentiti onorati di aprire una band del calibro
dei System Of A Down.
“Reggae,
diciamo che fanno reggae, ma hanno molte altre influenze”
spiegò Ellie, ancora frastornata.
Io
ero incapace di parlare; afferrai la mia bottiglietta di plastica e
tracannai metà del suo contenuto in un solo colpo, poi mi
schiarii la gola e dissi: “Mel, piantala di saltellare, stai
distruggendo il bar. Comunque, noi li adoriamo e siamo sicure che
piaceranno un sacco anche a voi!”.
“Ora
mi state mettendo curiosità! Ma ditemi: state meglio? Avete
bisogno di andare fuori a prendere una boccata d'aria?” ci
domandò Shavo, premuroso come sempre.
Sorrisi
intenerita e allungai una mano per dargli un colpetto sulla spalla.
“Sciocchino, ti preoccupi troppo! Sei un caso perso!”
“Stiamo
meglio” affermò Ellie, inspirando profondamente per
l'ennesima volta e rilassandosi completamente.
John
scoppiò a ridere. “Sciocchino!”
“Sciocchino
anche tu!” lo rimbeccai.
Non
avemmo l'occasione di entrare nello specifico, ma io avevo perso
quasi del tutto la voglia di parlare. Non vedevo l'ora di trovarmi da
sola con Ellie: già sapevamo che avremmo perso la testa,
avremmo cominciato a gridare come matte e cercare di immaginarci
quanto quei geni dei Dub Inc sarebbero stati contenti di aprire i
System. Sarebbe stato epico vedere due delle nostre band preferite
susseguirsi sul palco, era una sofferenza non poterci essere quel
giorno.
Ben
presto ci dovemmo salutare: l'indomani dovevo stare con Lindsay fin
dalla mattina ed Ellie doveva studiare per il prossimo esame almeno
un po', non potevamo permetterci di rincasare troppo tardi.
E
poi il giorno dopo avremmo rivisto tutti.
Mentre
cercavo di prendere sonno, mi tornò in mente la reazione di me
ed Ellie quando avevamo appreso di dover aprire il live dei System al
Trobadour: eravamo completamente impazzite, per giorni interi
avevamo faticato a dormire la notte ed eravamo in fibrillazione per
il fatto che molto probabilmente li avremmo conosciuti.
Era
stata una reazione normale, dal momento che da anni erano ormai i
nostri idoli; tuttavia quando li avevamo incontrati avevamo cercato
di non dare troppo a vedere l'emozione che provavamo, li avevamo
trattati come delle persone normali e avevamo addirittura preparato
uno spuntino per loro.
Il
nostro comportamento aveva portato a qualcosa che non ci aspettavamo:
eravamo diventati amici, ma ormai non li vedevano più come
delle star. Erano semplicemente John, Shavo. Serj e Daron.
Magari
anche con i Dub Inc c'erano i presupposti per creare un bel rapporto,
peccato che non l'avremmo mai potuto scoprire.
♫
Shavo ♫
Non
vedevo l'ora di dare la notizia ai ragazzi!
Intanto
io e John eravamo rimasti sconcertati dalla reazione delle gemelle:
non ci avevano detto molto su questi musicisti che stimavano, se non
che erano poco conosciuti, che non avevano mai trovato altri loro
fans negli Stati Uniti e che sicuramente loro sarebbero stati
contenti di aprire il nostro concerto.
Eppure
era strano pensare che un gruppo reggae, un genere completamente
diverso dal nostro, potesse essere onorato di suonare sul nostro
stesso palco. Effettivamente una situazione del genere era parecchio
insolita: spesso venivamo chiamati a suonare in festival
esclusivamente rock e metal, raramente avevamo potuto interagire con
altre realtà durante i tour.
“John,
muoviti! Perché cazzo vai a trenta? Non arriviamo più!”
si lamentò Daron, sporgendosi in avanti. Io e lui occupavamo i
sedili posteriori della macchina del batterista, mentre John stava al
posto del guidatore e Serj a quello del passeggero.
“Io
non ho fretta, non abbiamo nessuno dietro che ci rincorre”
affermò l'altro in tono pacato, fermandosi a un semaforo
rosso.
“Smettetela!”
intervenni con uno sbuffo.
“Echo
Park, giusto?” domandò Serj, che nel frattempo stava
riflettendo tra sé.
“Esatto,
e se questo qui giuda così tra due giorni non arriviamo
nemmeno al quartiere...”
“Daron,
stai zitto!” si spazientì John, non potendone
sicuramente più di sentire il chitarrista che gli urlava nelle
orecchie; infatti Daron si era sporto tra i sedili anteriori e non
faceva che controllare ogni singolo movimento del mio amico.
Fortunatamente
nel giro di pochi minuti giungemmo finalmente al parcheggio e potemmo
scendere dall'auto. Io e Daron ci accendemmo subito una sigaretta,
mentre John chiamava le ragazze per capire se erano già al
parco e dove si trovassero di preciso.
“Ci
sono quasi tutti, manca solo Noah. C'è anche la bambina”
annunciò mettendo via il telefono e facendo cenno di seguirlo.
Io
lo affiancai. “Pensi che ce l'abbiano con noi?” domandai.
“Chi?”
“Serj
e Daron. Perché li abbiamo convinti a fare queste date in
più...”
Non
che fossi realmente preoccupato: se i due avessero avuto qualcosa
contro di noi, gli sarebbe passata prima o poi. Non volevo che però
eventuali dibattiti tra noi mettessero a repentaglio tutto il resto.
“Secondo
me no. Sai che quando Daron non è d'accordo lo fa presente;
stavolta non ha obiettato per niente” mi fece notare il mio
amico.
“Speriamo
bene per il futuro del gruppo” borbottai.
“Adesso
pensa al presente” mi consigliò John con la sua solita
tranquillità.
Scorsi
subito le persone che cercavamo: si trovavano in una panchina, sotto
un albero.
“Ehi,
quanto tempo” ci salutò ironicamente Johanna con un
cenno.
“Che
spiritosa!” ribattei, accelerando il passo.
Non
mi sfuggì certo la bimba che giocava sul prato a pochi metri
dalla panchina. Sembrava concentrata su un filo d'erba, probabilmente
aveva adocchiato qualche insetto, ma non appena si accorse dei nuovi
arrivati sollevò subito lo sguardo.
Ellie
e Johanna salutarono brevemente me e John, poi la cantante prese
immancabilmente a conversare con Serj.
“Jake,
abbi almeno la decenza di salutare!” Johanna rimproverò
Jacob, che stazionava sulla panchina in uno stato di semi-coscienza.
Lui
allora sbadigliò, si posò una mano sulla tempia destra
e biascicò: “Ehilà fratello. Ieri mi sono preso
una sbronza fulminante, l'ho finita alle cinque e mezza del mattino.
Non mi sono ancora ripreso”.
Ridacchiai.
“Merda, non ti invidio!”
“Oh,
il mio amichetto si è ridotto proprio male!”
commentò Daron, prendendo posto accanto a Jacob sulla panchina
e battendogli una pacca sul ginocchio.
“Smettila
di fare il coglione, non ne ho voglia...” si rivoltò
l'altro con poca convinzione.
Li
lasciai perdere e osservai Johanna che richiamava l'attenzione della
piccola Lindsay: “Lindy, vieni qui! Non sei curiosa di
conoscere i System?”.
La
bimba si sollevò e corse subito al fianco della ragazza, poi
si guardò attorno con attenzione.
Era
davvero carina: indossava un giubbotto in similpelle nero su una
maglietta dello stesso colore con una stampa che non riuscii a
scorgere, un paio di jeans leggermente strappati e delle scarpe in
tela nere. Aveva cinque anni e già lo stile era quello giusto!
Mi
chinai in modo da essere al suo livello ed esordii: “Ciao
Lindsay, io sono Shavo!”.
“Sì,
io mi ricordo di te! Come si chiama lo strumento che suoni?”
Sorrisi:
mi stava già mandando in brodo di giuggiole. “Il basso,
è come una chitarra ma ha qualche corda in meno.”
“Ah.
Io voglio imparare a suonare la batteria!” raccontò la
bimba.
“Davvero?
Allora devi dirlo a John, magari lui ti può aiutare!”
Lei
posò lo sguardo su Serj, poi su John e infine disse: “Non
mi ricordo chi è John”.
“Vieni,
te lo presento!”
La
presi per mano sotto lo sguardo divertito e intenerito di Johanna e
la accompagnai dal mio amico. “John, qui abbiamo qualcuno che
ti cerca!”
Lui
abbassò lo sguardo e sorrise a Lindsay. “Sono tutto
orecchi!”
“Ciao
John, io voglio imparare a suonare la batteria! Quando ti ho visto
suonare nel concerto eri bravissimo perché muovevi le
bacchette velocissimo e quasi non si vedevano più! Me lo
insegni?”
“Certo
che te lo insegno, ma non è facile!” la avvertì
lui con un occhiolino. Nel frattempo cercava anche di seguire la
conversazione con Ellie e Serj dalla quale l'avevamo distratto.
“Ascolta
Shavo, io ti volevo dire una cosa: che nome strano Shavo, non l'avevo
mai sentito!” mi si rivolse ancora Lindsay, osservandomi
attentamente con un sorrisetto dipinto in viso.
Benissimo,
ero nel mio elemento. Avrei passato tutto il pomeriggio con quella
bambina e non mi sarei stancato, era troppo forte!
La
presi nuovamente per mano e mi sedetti sulla panchina: era difficile
parlare con quello scricciolo dal mio metro e ottantacinque.
Lei
si posizionò tra me e Jacob.
“In
realtà il mio nome intero è Shavarsh ed è un
nome armeno” spiegai.
“Shavash!
Cosa vuol dire che è un nome armeno?”
Scoppiai
a ridere per come mi aveva chiamato, omettendo la r. la amavo
sempre di più!
“Vuol
dire che è un nome dell'Armenia, che è un posto
lontanissimo!”
“E
come mai hai una treccina nel mento? Anche quella è
dell'Armenia?”
Non
ce la potevo fare, ormai ridevo senza ritegno. Davanti ai bambini
perdevo la dignità, non c'era niente da fare.
“Ma
no, questa l'ho fatta io perché mi piaceva!”
Lindsay
allora prese a giocare con il mio bizzarro pizzetto, profondamente
interessata.
“Uh,
ecco la colpevole! Ciao, io sono quello col naso grande!” la
interruppe Daron pochi secondi dopo; si era piazzato di fronte a noi
e sembrava intenzionata a disturbare perfino quella poveretta.
“Tu
ti chiami Daron, vero? Però è vero che hai il naso
grande” si ritrovò a osservare lei, scrutandolo
attentamente.
“Ehi,
non dirlo mai più!” finse di offendersi lui.
“Altrimenti
cosa fai?” lo sfidò Lindsay incrociando le braccia al
petto.
“Altrimenti
ti inseguo e ti acchiappo e ti faccio il solletico per un'ora
intera!”
La
bambina lanciò un piccolo grido e poi, tra le risate, scivolò
giù dalla panchina ed esclamò: “Allora prendimi
se ci riesci!”.
Così
i due iniziarono un inseguimento spietato e Lindsay non faceva che
ridere, mentre il mio amico si fingeva minaccioso.
Incredibile:
Daron aveva trovato una compagna di giochi che avesse esattamente il
suo livello mentale, il che era grave considerando l'età di
Lindsay.
“Bambini,
smettetela di fare casino! Attenti a non farvi male!” li sgridò
Johanna ridendo sotto i baffi, per poi prendere posto sulla panchina
tra me e Jacob. “Ho visto che stavi facendo già amicizia
con la mia piccola” osservò.
“È
magnifica!” Annuii con gli occhi che quasi sicuramente
brillavano.
“Guarda
Daron come si rotola nell'erba con Lindy! Non ti ricorda un po'
quando anni fa si buttava in terra con la chitarra durante i
concerti?” mi fece notare, indicando la scenetta che si stava
svolgendo a pochi passi da noi.
Daron
era scompostamente abbandonato sul prato, mentre la bambina gli
saltellava attorno e lo superava abilmente con dei saltelli; a volte
per cercare di acchiapparla si rotolava da una parte all'altra come
un pazzo.
“Devo
immortalare per forza questo momento, avrò qualcosa con cui
minacciarlo!” affermai, armandomi di cellulare.
“Ciao
a tutti!” Una voce familiare mi distolse dalla serie di foto
che stavo scattando. Noah era finalmente giunto da noi, ma non era
solo: al suo fianco trovai una ragazza snella, carina e dall'aspetto
semplice e timido. Non l'avevo mai vista prima e nemmeno loro me ne
avevano mai parlato.
Mi
alzai subito per salutarli e per presentarmi; appresi quindi che si
trattava di Kate, la ragazza di Noah, una tipa apparentemente
tranquilla e riservata proprio come lui.
Ma
mi accorsi subito che qualcosa non andava: Ellie era accanto a me e
la sentivo parecchio tesa. Cercava di non soffermarsi troppo con lo
sguardo sulla coppia e ogni tanto Johanna le lanciava occhiate
preoccupate.
Improvvisamente
un sospetto cominciò a prendere forma nella mia mente.
“Ellie,
tutto bene?” le domandai discretamente, senza farmi notare da
nessuno.
Lei
sospirò e si allontanò di qualche passo dal gruppo,
fingendo di dare un'occhiata a Daron e Lindsay che giocavano. La
raggiunsi e le posai una mano sulla spalla. “Ehi, che c'è?
Certo, se non ti va di parlarne non fa niente...”
“Sono
una scema perché ci sto ancora appresso” mormorò.
Non potevo vedere il suo viso poiché era di spalle, ma
avvertii una certa malinconia nella sua voce.
“A
chi stai appresso?” Girai attorno a lei fino a ritrovarmela di
fronte, poi le posai entrambe le mani sulle spalle.
“Noah.”
Ci
avevo azzeccato.
“Mi
dispiace Ellie” mi rabbuiai.
“Lui
pensa che ormai per me sia acqua passata, ma ancora non l'ho
dimenticato. Ma del resto come posso fargliene una colpa?”
La
abbracciai di slancio, profondamente dispiaciuto. La mia piccola
amica era proprio in una brutta situazione, ma nessuno ci poteva fare
niente. Quanto avrei voluto avere qualche potere per aiutarla!
“Bene,
ora che siamo tutti qui è arrivato il momento di parlare,
ragazzi!” annunciò Serj, ponendo immediatamente fine a
tutte le conversazioni.
“Okay,
ma nel mentre che parliamo che ne dite di mangiare un gelato? Io sto
morendo di fame e ho anche caldo!” propose Johanna,
raggiungendoci e pizzicando una guancia della sorella per cercare di
tirarla su. Ellie sorrise e anch'io con lei.
“Gelato!”
strillarono Daron e Lindsay, raggiungendoci di corsa.
“Affare
fatto!” accettò John, cercando con lo sguardo un
chiosco.
Così
alcuni andarono a ordinare i gelati, mentre io, Jacob e Lindsay
rimanemmo nella panchina per evitare che qualcuno ci rubasse il
posto.
La
bambina si avvicinò a me e prese a esaminare il bracciale in
pelle che portavo al polso, il regalo delle gemelle che avevo subito
indossato. “Che cosa c'è scritto?”
“Il
mio nome.”
“Ah,
Shavash?”
Sorrisi.
“No, Shavo.”
Lei,
inaspettatamente, si sedette sulle mie ginocchia e mi strinse in un
abbraccio. I bambini erano così: si affezionavano subito. Lo
sapevo, eppure non ci facevo mai l'abitudine, mi sorprendevo ogni
volta!
“Ehi
mostriciattolo, mi hai tradito!” si lamentò Jacob.
“Non
è vero, dopo abbraccio anche te!” promise lei.
Il
resto del gruppo tornò abbastanza in fretta e mi venne
consegnato il mio cono al cioccolato.
Lindsay
aveva preso lo stesso gusto, ma in una coppetta.
Tutti
si posizionarono, chi accanto a me e chi in terra.
“Lindy,
se vuoi puoi andare a giocare” fece Johanna, cercando un
pretesto per allontanarla.
Magari
pensava che fosse di disturbo per me, così obiettai: “No,
può stare anche qui, mi fa compagnia e mangia il gelato da
brava e tranquilla. Vero Lindy?”
Lei
annuì, totalmente assorbita dalla sua merenda.
“Okay
ragazzi, vi abbiamo voluti tutti qui perché vi dobbiamo
parlare in quanto Souls” cominciò John, prendendo come
sempre la parola per primo.
I
quattro componenti della band si scambiarono occhiate perplesse e io
potevo percepire l'agitazione crescere in loro.
“Non
vi vogliamo spaventare, è solo che si tratta di una cosa un
po' seria” cercai di tranquillizzarli.
“Il
fatto è che abbiamo deciso, in un certo senso, di premiarvi”
proseguì Serj.
I
ragazzi sgranarono gli occhi; ormai prestavano poca attenzione anche
al loro gelato, che rischiava sempre più di sciogliersi.
“Con
Jo ed Ellie ieri stavamo proprio parlando del nostro tour europeo che
si terrà in autunno: sarà composto da otto date e
toccherà i principali Paesi del continente. Come già vi
abbiamo detto, tra l'altro, ci sarà quella tappa particolare
in Francia” cominciò a spiegare il batterista. Io e gli
altri ci scambiammo un'occhiata e decidemmo di lasciar parlare lui:
sapeva sempre come esprimersi e cosa dire in situazioni delicate come
queste, aveva il potere di incutere serenità in chiunque lo
ascoltasse.
“Ecco:
in alcune di queste date, precisamente in tre, gli organizzatori
degli eventi ci hanno dato il via libera per scegliere la band che ci
aprirà il concerto; ovviamente noi, quando pensiamo a un
gruppo spalla, cerchiamo sempre qualcuno che si meriti questo ruolo,
che sia veramente bravo e si impegni in ciò che fa. Noi
quattro, mentre discutevamo del tour, ci siamo consultati e stavamo
pensando di chiederlo proprio a voi.”
“Cosa?!”
sbottò Johanna, strabuzzando gli occhi e agitando il gelato in
aria, tanto che la pallina di crema si staccò e cadde tra
l'erba.
“Ehi,
tranquilli, aspettate un attimo. Lo so che è una richiesta un
po' insolita, ma...” tentò di riportarla alla calma
John.
“In
ogni caso” intervenni, “avete un po' di tempo per
pensarci. Sappiate che se ve l'abbiamo chiesto è perché
ci fidiamo molto di voi, vi abbiamo visto suonare e abbiamo trovato
delle grandi capacità e del talento. Inoltre, come ci hanno
raccontato le ragazze ieri, avete intenzione di registrare qualcosa e
questo è un altro punto a vostro favore.”
“Shavo
e John ci hanno raccontato che voi, gemelline care, ieri siete
rimaste sconvolte dalla notizia dei Dub Inc” prese la parola
Daron, sotto lo sguardo stupefatto di tutti. “Dobbiamo
ammettere che questo ha rafforzato ancora di più la nostra
scelta: vogliamo aiutarvi a realizzare anche questo sogno, portarvi
da loro e farvi aprire un loro concerto. Eh sì: anche voi, nel
caso accettaste, dovreste suonare lo stesso giorno! Il festival sta
cercando artisti emergenti e noi abbiamo parlato bene di voi!”
Calò
il silenzio per qualche secondo, poi Ellie scoppiò a piangere
senza riuscire a contenersi.
♪ ♪ ♪
Lo
so, lo so, troppi colpi al cuore ultimamente... oddio, speriamo che
ai miei personaggi non venga un infarto XD Io non so che altro
dirvi, lascio a voi la parola! Solo: quanto è folle questa
richiesta da uno a dieci?
Questi
quattro System sono troppo dolciosi :3
Come
sempre, grazie mille a tutti voi che mi sostenete e alla prossima
(stay tuned perché potrei palesarmi prima del solito)!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Mad! ***
ReggaeFamily
Mad!
Dub
Inc – Get Mad
♫
John ♫
La
ragazza sedeva accanto a me sul prato ed era scossa dai singhiozzi;
aveva nascosto il viso tra le mani, sicuramente per tentare di
frenare le lacrime. Sapevo che si sarebbero scatenate reazioni del
genere attorno a me, ma rimasi comunque sorpreso da Ellie.
Tutti
ovviamente ci preoccupammo: io le posai una mano sulla spalla, anche
se non sapevo bene cosa dire, mentre Serj, che sedeva accanto a lei
dall'altro lato, le aveva chiesto se stesse bene.
Shavo
intanto aveva delicatamente fatto scendere Lindsay dalle sue
ginocchia e si era posizionato davanti a Ellie, cercando di prenderle
una mano. “Ellie, che c'è? Ehi, abbiamo detto qualcosa
di sbagliato? Stai piangendo per i Dub Inc?” le domandò
dolcemente.
Diedi
rapidamente un'occhiata attorno a me per constatare lo stato degli
altri ragazzi. Jacob, riscossosi in fretta dallo shock, aveva ben
pensato di distrarre Lindsay portandola lontano da noi e facendola
giocare; Johanna esprimeva a Daron la sua incredulità
attraverso una serie di imprecazioni, mentre Noah si era
immobilizzato sul posto, pallido come un lenzuolo, e la sua ragazza
tentava di riscuoterlo.
Ellie
regalò al bassista un sorriso tra le lacrime. “No, non è
per i Dub Inc! È che... io non me lo aspettavo, una richiesta
del genere... oddio, ma siete pazzi? Scommetto che è uno
scherzo.”
“No,
è tutto vero” le assicurai.
Allora
lei continuò a piangere ancora più forte di prima.
“Perché? Perché proprio noi? Ma vi rendete conto
di ciò che ci avete appena detto?”
“Certo
che ce ne rendiamo conto, e ci abbiamo pensato bene prima di riunirvi
qui. Semplice: ve lo meritate, avete le capacità, perché
non avremmo dovuto?” spiegò Serj, cercando il suo
sguardo.
“Ma
io sono sconvolta!”
“Ellie,
è normale, ma non devi vederla come una grande proposta.
Certo, sarà impegnativo perché c'è di mezzo un
viaggio, ma in fondo non abbiamo fatto altro che proporvi qualche
data!” tentò di sdrammatizzare Shavo in tono allegro.
“Grazie,
io non so che altro dire. Grazie, ed è poco, perché non
so che altre parole usare per farvi capire quanto vi sono grata”
mormorò mentre Shavo la stringeva in un abbraccio.
Io
e Serj ci scambiammo uno sguardo; sapevo che anche lui avrebbe voluto
fare una bella chiacchierata con la ragazza.
Così
mi alzai e raggiunsi Noah, che stringeva convulsamente il cono del
suo gelato con la mano destra e si passava l'altra, tremante, sulla
fronte.
“Dai
qui, altrimenti ti sporchi. Ti senti bene? Oddio, quanto sei
pallido...” si preoccupò Kate in preda all'agitazione,
prendendogli il gelato dalle mani e dandogli dei leggeri colpetti sul
braccio.
“Noah?”
lo chiamai. “Ehi, tranquillo, prendi un bel respiro” gli
suggerii poi, notando quanto fosse rigido e teso.
“Lui
è così: va nel pallone per ogni cosa” mi spiegò
la ragazza, continuando ad accarezzargli le spalle e le braccia.
Lui
inspirò profondamente, poi posò lo sguardo su di me e
biascicò: “Ma... s-sul serio ci volete nel vostro tour?”
Annuii.
“So che è una richiesta un po' strana e insolita, ma ora
non farti prendere dal panico, su: ricorda che noi siamo solo delle
persone normali che hanno chiesto a delle altre persone normali un
supporto per alcune date” cercai di tranquillizzarlo.
“Voi
avevate detto che il nostro modo di suonare vi piaceva, ma non
pensavo fino a questo punto!” esclamò, cercando di
controllare il tremore ormai diffuso in tutto il corpo.
Mi
strinsi nelle spalle. “Perché no? Siamo felici di dare
una mano a quattro talentuosi giovani!”
In
fondo non avevamo fatto nulla di che, avevamo solo deciso di
coinvolgerli nel tour e portarli in Europa. Tanti gruppi, che spesso
nemmeno lo meritavano, viaggiavano in lungo e in largo perché
avevano avuto la fortuna di farsi notare, quindi qual era il
problema?
“Ma
Daron, non ce ne possiamo approfittare, capisci?” sentii dire a
Johanna. Lei e il chitarrista avevano preso a conversare animatamente
sulla panchina e io avevo capito che qualcosa non andava.
“Mi
sa che lo accompagno in bagno, ha bisogno di darsi una rinfrescata”
decise Kate mettendosi in piedi.
“Sì,
mi sa che ne ho bisogno davvero. E anche di fare due passi”
concordò Noah, cercando di trovare l'equilibrio sulle gambe
tremanti.
Lasciai
Noah nelle mani della sua ragazza e mi avvicinai ai due; intanto
anche Jacob si era avvicinato a loro e assisteva alla discussione con
la mano poggiata sul tronco dell'albero.
“Non
ho capito il senso del tuo ragionamento: ve l'abbiamo chiesto noi,
non ve ne state approfittando!” le fece notare Daron.
La
ragazza sospirò. “No, non intendo in quel senso. Intendo
dire che, se accettassimo, finiremmo per farci notare solo perché
siamo il gruppo spalla di una band famosa, non sarebbe un successo
meritato e sudato come dovrebbe invece essere. Lo so che è un
discorso stupido e che sarebbe ancora più stupido lasciarsi
sfuggire quest'occasione, ma detesto l'idea di essere raccomandata.
Tanta gente senza talento ha finito per essere acclamata e adorata
dal pubblico solo perché supportata da gruppi maggiori, e
l'idea di fare lo stesso tipo di percorso non mi piace, sarebbe un
successo finto e immeritato” spiegò, attorcigliandosi
nervosamente una ciocca di capelli mossi attorno al dito.
“Stop,
aspetta un attimo!” la bloccò Daron con un'occhiata
stupita.
“Jo,
non lo devi nemmeno pensare” intervenni. “Non la devi
vedere così, perché non è affatto così.
Noi vi stiamo semplicemente dando la possibilità di farvi
conoscere anche in Europa, vi abbiamo in un certo senso fatto da
manager per alcune date, ma puoi star certa che non farete successo
soltanto perché viaggiate con noi. Il mondo non funziona
sempre così: il rispetto e l'approvazione del pubblico ve li
dovrete conquistare con la vostra musica e la vostra energia, non
basta aprire un gruppo importante per entrare nel cuore del pubblico
– che, ti posso assicurare, è molto critico ed esigente
e vede sempre con scetticismo le band emergenti.”
Lei
scosse la testa. “Non so, la cosa non mi convince.”
“È
inutile parlare di queste cazzate astratte, ci sono problemi molto
più grandi e seri per questa vostra proposta” prese la
parola Jacob.
Io
sollevai lo sguardo su di lui e anche Johanna e Daron si voltarono
per guardarlo. Si trovava proprio dietro la panchina e aveva messo su
un'espressione estremamente seria che non gli avevo mai visto prima.
“E
quali sarebbero?” volle sapere Daron, già determinato a
risolvere ogni cosa.
“Gli
organizzatori dei festival ci pagherebbero le date in cui dovremmo
suonare anche noi, che sono tre, ma per le restanti cinque? Dovremmo
pensarci noi. Se avessi la possibilità lo farei molto
volentieri, devo ammettere che amo viaggiare e partirei anche adesso,
ma la mia famiglia non naviga nell'oro e io non lavoro. So che può
sembrare strano detto da uno come me, ma non andrei mai a chiedere
tutti quei soldi ai miei genitori...”
“Un
attimo, fratello: tu ti stai davvero ponendo problemi per i soldi? E
secondo te noi qui che ci facciamo?” lo interruppe Daron
mettendosi in piedi per poterlo guardare bene in faccia.
“No,
per favore, non dire cazzate. Non accetto che mi venga pagato tutto
da voi.” Jacob aveva pronunciato quelle parole con fermezza e
non sembrava intenzionato a ritrattare.
“Daron
ha ragione: questo problema non doveva nemmeno sorgere, non esiste
proprio. Avevamo tenuto tutto in conto, sappiamo cosa significa
portare con noi quattro persone in più, ma se abbiamo deciso
di farlo è perché lo possiamo e lo vogliamo fare. In
ogni caso le date in cui suonerete vi verranno pagate e avrete i
soldi per ciò che vi serve in viaggio” accorsi in aiuto
del mio amico.
“No,
ma che state dicendo? Non potete pagarci tutto!” si rivoltò
Johanna aggrottando le sopracciglia.
Sospirai.
Cercare di far cambiare idea a questi ragazzi sarebbe stata
un'impresa estenuante.
♫
Ellie ♫
“Non
è tanto per il fatto che avremmo la possibilità di
partire per dei concerti così pazzeschi, e nemmeno perché
potremmo conoscere i Dub Inc. È che non mi aspettavo ci
venisse fatta una richiesta del genere, venisse riposta tanta fiducia
in noi” spiegai a Serj, mentre con un fazzoletto asciugavo gli
occhi dalle ultime lacrime solitarie.
Fortunatamente
ero riuscita a calmarmi in fretta grazie a Serj e Shavo; a mente
lucida riuscivo a riflettere in maniera più razionale e a
esprimere i mille pensieri che mi vorticavano in testa.
“MI
pare di avertelo detto anche un'altra volta: noi non puntiamo a
grandi nomi – che magari nemmeno ci piacciono – quando
pensiamo a collaborazioni di qualsiasi tipo. Chiediamo sempre e solo
a persone che stimiamo, anche se non hanno la nostra stessa fama e
sono meno conosciuti” ribadì lui con semplicità,
sorridendomi.
Io
ricambiai il gesto. “Sai, questo modo di ragionare mi fa
pensare davvero tanto ai Dub Inc e a ciò che hanno dichiarato
in alcune interviste. È per questo che penso che andreste
molto d'accordo.”
“Mi
sa che è giunto il momento di ascoltare questi Dub Inc,
allora!”
“Ellie!”
Una vocina squillante mi chiamò e qualche istante dopo Lindsay
si materializzò davanti a me. “Come mai stavi piangendo?
Ti sei fatta male?” mi domandò con spontaneità.
Ridacchiai.
“No tesoro, è solo che mi hanno detto una cosa
bellissima e mi sono emozionata” le spiegai, attirandola a me e
stringendola in un abbraccio.
Poco
dopo mi sollevai da terra, ma rischiai di essere nuovamente buttata
giù da Johanna, che mi si scaraventò addosso e mi
strinse in un abbraccio. “Ellie, oddio!” strillò
in preda alla gioia.
Ecco,
io e lei non potevamo stare lontane in momenti del genere. Le gioie,
così come i momenti più difficili, dovevamo affrontarli
insieme, perché solo noi eravamo in grado di capirci l'un
l'altra fino in fondo.
Solo
noi potevamo capire cosa significasse tutto ciò.
“Che
carine!” commentò Daron, correndo da noi per unirsi
all'abbraccio. In realtà lo stava facendo solo per
infastidirci, dato che cercava di farci perdere l'equilibrio.
“Daron,
che scemo!” gridai tra le risate, divincolandomi dalla stretta.
Quei due mi stavano soffocando, avevo bisogno d'aria.
“Scusate
un attimo!” attirò la nostra attenzione Shavo. “Ma
non sarà giunta l'ora di scoprire chi diamine sono questi Dub
Inc?”
Notai
che aveva preso Lindsay in braccio e lei non sembrava affatto
intenzionata a scendere. Quanto erano teneri!
“Hai
ragione!” concordò mia sorella, intenta a liberarsi di
Daron che continuava a ronzarle attorno. “Anche perché
secondo me John si innamorerà del batterista!”
“Dici?”
domandò il diretto interessato, sempre più curioso.
“Ne
sono sicura! Pensa che lui è un metallaro, anche se suona
reggae!” raccontò lei, prendendo posto sulla panchina
accanto al batterista.
Io
mi sistemai accanto a lei e subito Daron mi fu accanto, occupando
l'ultimo spazio vuoto all'estrema destra.
Stare
accanto a lui mi provocava sempre un certo senso di disagio, in
maniera negativa; era quello con cui avevo legato di meno, senza
contare che sembrava voler fare di tutto pur di mettermi in
soggezione. Infatti anche quella volta non si smentì: si
stravaccò nel poco spazio a sua disposizione e poggiò
con disinvoltura la testa sulla mia spalla.
Io
mi irrigidii e diedi di gomito a mia sorella, che armeggiava con il
suo cellulare in cerca di qualche canzone.
Come
se non bastasse, Noah e Kate stavano tornando da noi: lui le cingeva
la vita con un braccio e parlottavano tra loro con i volti
vicinissimi.
Posai
lo sguardo su Shavo, che si era seduto sul prato di fronte a noi, e
mi sentii subito meglio.
♫
Daron ♫
Stuzzicare
Ellie era divertente, proprio perché lei sembrava sempre
infastidita e non si ribellava come sua sorella.
“Dolcezza,
come va? Sei contenta che partirai in tour con me?”
esordii.
“Non
è detto che partiremo” rispose, cercando di sfuggire dal
contatto con me e rischiando di schiacciare Johanna.
Ridacchiai
e mi allontanai un po' da lei, lasciandole un attimo di tregua.
Nonostante
facessi finta di niente, il fatto che Ellie paresse intimorita da me
non mi faceva piacere; ma allo stesso tempo non sapevo come
comportarmi con lei, così continuavo a divertirmi in quel
modo.
“Ecco,
vi faccio sentire Get Mad, una canzone abbastanza recente...
sì, è uscita l'anno scorso, hanno sfornato nuova musica
da poco!” esclamò Johanna. “Così
accontenteremo un po' tutti! Qui Zigo, il batterista, è
semplicemente magnifico, e alla fine c'è un assolo di chitarra
super metal!”
“Però
poi dobbiamo farvi sentire qualche altra canzone perché qui
canta solo Komlan, uno dei due cantanti” aggiunse Ellie.
“Ah,
hanno due cantanti?” si informò Serj.
Johanna
fece partire la canzone e tutti ammutolimmo, interessati e attenti.
Quella
canzone si poteva definire in mille modi, ma non di certo reggae: era
quasi esclusivamente batteria e voce, tranne per un po' di basso e
tastiera. Quest'ultima aveva un'impronta decisamente orientale che mi
ricordava alcune canzoni che avevo composto per gli Scars On
Broadway, ma che ancora non avevo registrato e presentato live.
Il
cantante aveva una voce calda e graffiante, praticamente l'opposto
della mia e quella di Serj, e cantava in francese. Dovetti
riconoscere che aveva talento.
Lanciai
un'occhiata a John, concentrato sulla linea di batteria, e notai che
annuiva compiaciuto.
Infine
l'assolo di chitarra, che dava un tocco molto più metal a quel
pezzo energico.
“Ragazzi,
questi tipi spaccano!” esclamò Shavo al termine del
brano.
“Sono
curioso di sentire qualcos'altro” affermò John.
“Ti
piacciono?” gli domandò Johanna speranzosa.
“Molto,
sono interessanti!”
“Pensate
che, anche se non sono un loro grande fan, questa è una delle
mie canzoni preferite. Ma io sono la parte più metal dei
Souls!” spiegò Jacob, intento anche a giocare con
Lindsay.
“Devo
ammettere che sono fighi. Ma ho una domanda: si ispirano a musiche
orientali?” mi informai.
“Un
sacco! Sono influenzati da molti generi in realtà, ma
soprattutto da quelli dei loro Paesi d'origine. Pensa che l'altro
cantante, Bouchkour, è di origini algerine e molto spesso
canta in arabo” spiegò Ellie con gli occhi che
brillavano. Era palesemente felice di parlare di qualcosa che le
piaceva.
“Ora
vi faccio sentire qualcos'altro. Ellie, secondo te cosa propongo?
Crazy Island?” le si rivolse Johanna.
“Sì,
la adoro! E alla fine ci sarà una cosa che piacerà a
John!” concordò lei.
Mentre
ascoltavamo quella splendida canzone, le due sorelle cominciarono a
commentare Kolman, uno dei due cantanti, affermando che non sarebbero
sopravvissute se l'avessero incontrato.
“Come
mai?” chiesi.
“Il
motivo? È semplicemente stupendo, divino, bellissimo!”
rispose prontamente Johanna con sguardo sognante.
“Ha
quel visetto dolcissimo che... uh, fa impazzire!” aggiunse
Ellie.
Mi
strinsi nelle spalle. “Di certo non sarà meglio di me.”
Le
due scoppiarono a ridere.
Se
avessero accettato di partire con noi, ero sicuro che ne avremmo
visto delle belle!
♪ ♪ ♪
SORPRESA!!!!!!
*-*
Scommetto
che nessuno di voi si aspettava questo aggiornamento domenicale,
vero? Ma io ve l'avevo detto di tenervi pronti, nelle note dello
scorso capitolo! Spero che questa mia apparizione fuori programma vi
abbia fatto piacere! ^^
Eccoci
qui ragazzi, finalmente sono riuscita a darvi una specie di capitolo
di transizione, o quantomeno qualcosa di più tranquillo!
E
finalmente sono riuscita a farvi ascoltare questi famosi Dub Inc...
cioè, non so se avete ascoltato il brano, ma io ve l'ho
proposto perché l'ho trovato adatto alla situazione! E...
penso che ai System piacerebbe, perché è una delle
canzoni più “metallare” del loro repertorio!
Nel
caso abbiate cliccato nel link a inizio capitolo, fatemi sapere che
ne pensate e siate sinceri! ;)
Dunque,
riusciranno i System a trascinare i Souls in tour?
Daron
ha ragione: ne vedremo delle belle!
Dal
prossimo capitolo vedremo le conseguenze di questa proposta, ma
intanto fatemi sapere come va la storia e se vi piace questo
capitolo! Voglio solo precisare – o meglio ribadire – una
cosa: la mia long non ha nessuna pretesa di essere credibile, mi
rendo conto che tutto questo rasenta il fantasy (XD), ma del resto
tutto è nato per fantasticare un po' ^^
Okay,
quindi io vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo! Già
non vedo l'ora! :3
Grazie
a tutti voi per il supporto, un abbraccio!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Shooting on your world ***
ReggaeFamily
Shooting
on your world
Scars
On Broadway – 3005
♫ Noah
♫
“Ragazzi,
pensiamoci seriamente! Quando ricapiterà un'occasione del
genere?” ripetei in tono calmo, tentando di tenere a bada i
miei amici.
Era
davvero dura farli ragionare: Jacob portava avanti le sue motivazioni
in ambito economico, mentre le gemelle sostenevano che fosse ingiusto
partire per un tour caduto dal cielo e non meritato.
“Non
so se hai notato, ma io ci ho già pensato seriamente”
tagliò corto Jacob con uno sbuffo. Il chitarrista
giocherellava nervosamente con il suo plettro ed esibiva
un'espressione corrucciata.
“Mi
sorprendi, Noah: in genere sei tu quello che si fa prendere
dall'ansia e dai dubbi” osservò Ellie, scrutandomi con
aria sospettosa.
“Ma
io credo fermamente nella nostra musica, voglio un futuro per i
Souls! Vi rendete conto della proposta che ci hanno fatto?”
spiegai con fervore, sollevandomi dalla sedia in cui mi ero
accomodato.
Ci
trovavamo nel garage di casa mia; teoricamente avremmo dovuto fare le
prove, ma quel giorno non eravamo riusciti a concentrarci, ancora
tormentati dalla proposta che i nostri amici ci avevano fatto qualche
giorno prima.
“I
Souls avranno un futuro, ma non da raccomandati!” affermò
Johanna con determinazione.
“Raccomandati?
Forse non vi è chiaro che non stiamo partecipando a un talent,
ci hanno solo chiamato per delle date! Anche a me viene l'ansia solo
all'idea di salire su un palco di un grande festival, davanti a
migliaia di persone, ma se la pensiamo così non andremo da
nessuna parte!”
I
giorni precedenti erano stati terribili per me, mi ero crogiolato tra
mille paure e insicurezze, certo che non sarei mai stato all'altezza
di ciò che mi era stato chiesto; ma al mio fianco c'era stata
Kate, che aveva tentato in tutti i modi di incoraggiarmi. Secondo lei
dovevamo accettare senza nessuna esitazione, mi aveva fatto notare
che se i System lo avevano chiesto proprio a noi significava che
potevamo farlo, che ne eravamo in grado. Era davvero un angelo,
grazie a lei ero riuscita a superare ciò che mi bloccava e a
raggiungere quelle convinzioni.
Jacob
continuava a non essere convinto. Sospirò e incrociò le
braccia al petto. “Oh cazzo, certo che tu dal mondo delle
favole non riesci proprio a uscire! Sei sempre così: pensi
alle cose positive, ma non tieni conto di tutti i problemi che ci
sono di mezzo! Spiegami con quali soldi partiamo! Credi che il volo
per l'Europa te lo regalino in omaggio nel pacco di patatine?”
“Non
sarà poi così caro! Se vuoi ti anticipo io i soldi, e
nel frattempo possiamo trovarti un lavoro estivo per metterne da
parte un po'! Una soluzione si può trovare!” proposi,
pronto a tutto pur di fargli cambiare idea.
Ellie
sospirò e scosse la testa. “Scusate ragazzi, ma io devo
andare un attimo fuori a prendere aria! Jo, tu vieni?”
Nella
stanza calò il silenzio per un istante; mi voltai verso
Johanna e notai subito il suo sguardo assente e l'aria assorta.
“Jo?”
la richiamò nuovamente sua sorella.
“Eh?
No, resto qui.”
L'atteggiamento
della batterista mi pareva alquanto strano, non era da lei
estraniarsi in quel modo. Probabilmente qualcosa non andava, ma
decisi di far finta di niente per non metterla in imbarazzo.
Ellie
lasciò l'ambiente con il cellulare in mano e io mi accomodai
nuovamente sulla sedia, prendendomi la testa tra le mani e
spremendomi le meningi per trovare una soluzione ai nostri problemi.
Purtroppo
ognuno di noi la pensava in maniera diversa. Odiavo queste
discussioni interne alla band, soprattutto in quel periodo pieno di
novità: per le nuove date di maggio e la registrazione del cd
dovevamo stare uniti, invece non facevamo che discutere da giorni.
Jacob
imbracciò la sua chitarra e prese a suonare una melodia
malinconica, probabilmente in linea con il suo umore. Lo conoscevo
bene e sapevo che per lui la musica era tutto, avrebbe fatto
qualsiasi cosa per coltivare il suo sogno, ma purtroppo non era
affatto abile nella risoluzione dei problemi e si lasciava subito
prendere dallo sconforto.
Capii
subito quello che stava provando nonostante tenesse il capo chino e i
capelli di fronte al viso, lo sguardo fisso sulle corde del suo
strumento.
Io
decisi di mandare un messaggio a Kate per spiegarle in breve la
situazione: non che fosse cambiato qualcosa, eravamo nuovamente al
punto di partenza e nessuno aveva cambiato di un minimo la sua
posizione.
La
sua risposta mi strappò un sorriso:
Se
vuoi ci vediamo più tardi, così ne parliamo con più
calma :)
Accettai
subito la proposta, sicuro che la mia ragazza sarebbe stata in grado
di tirarmi su di morale.
“Forse
è meglio concludere qui le nostre prove per oggi” sentii
mormorare a Johanna, che torturava le sue bacchette e ascoltava il
triste sfogo di Jacob.
“Hai
ragione. Basta, mi sto deprimendo! Andiamo fuori a fumare?”
propose quest'ultimo, interrompendosi di botto e cercando la custodia
dello strumento con lo sguardo.
Raggiungemmo
Ellie all'esterno e anche mia madre, incuriosita da quel viavai, si
affacciò in giardino. “Che state combinando? Avete già
finito?” domandò con un sorriso.
“Per
oggi sì!” confermò Johanna con una sigaretta tra
le labbra e l'accendino in mano.
“Quando
finite, entrate pure! Vi posso offrire qualcosa!”
“Grazie
Linda, ma noi dobbiamo andare via. Sarà per un'altra volta!”
rifiutò l'offerta Ellie con un sorriso riconoscente.
“Anch'io
vado via, non rimango a cena!” le comunicai qualche istante
prima che lei tornasse all'interno.
“D'accordo!
Se esci con Kate, salutala tanto da parte mia!” concluse mia
madre.
Il
pomeriggio si concluse con il malumore generale: nemmeno Ellie e
Johanna, che generalmente erano sempre solari e allegre, avevano
tanta voglia di scherzare.
Quando
loro andarono via, mi infilai frettolosamente in macchina con un
broncio dipinto in faccia. Le casse diffondevano una canzone dietro
l'altra nell'abitacolo, ma io quasi non le sentivo.
Eccetto
quelle dei System che capitavano sporadicamente, e io puntualmente le
cambiavo.
Ma
quando mi fermai davanti alla casa di Kate e la vidi raggiungermi con
uno dei suoi soliti sorrisi, l'aria tutt'intorno a me parve
improvvisamente più calda e luminosa.
“Ciao
Noah! Cos'è quell'espressione da funerale?” esordì
quando si accomodò sul sedile del passeggero; richiuse piano
lo sportello e si voltò per stamparmi un bacio sulle labbra.
Allora
mi venne spontaneo sorridere e le fui immensamente grato solo per il
fatto che era lì, accanto a me.
“Oh,
così mi piaci di più! Dove andiamo?” chiese.
Prima
di ripartire la scrutai velocemente: indossava un cappottino viola
che accentuava le sue forme, un paio di semplici jeans e delle scarpe
in tela nere. Il trucco leggero era applicato in maniera impeccabile
e si adattava perfettamente al suo viso dolce.
Era
bellissima.
“Non
lo so, pensavo Sunset Boulevard o Third Street” dissi,
rivolgendo nuovamente l'attenzione sulla strada davanti a me.
“Io
voto per Third. È una bella serata, meglio vicino al mare!”
esclamò.
“E
Third sia!”
“Vorrei
tanto aiutarti a convincere i tuoi amici” sospirò Kate,
rinforzando la stretta sulla mia mano.
“Purtroppo
sono molto testardi, li hai conosciuti e te ne sarai resa conto.”
“Ma
i ragazzi dei System mi sono sembrati davvero tanto entusiasti nel
farvi questa proposta, sembravano aver pensato già a tutto.
Che delusione per loro se rifiutaste!” osservò,
fermandosi all'improvviso e scrutando le acque scure e calme davanti
a sé.
Avevamo
da poco finito di cenare e avevamo deciso di fare una passeggiata,
approfittando dell'aria non troppo fredda di quella sera.
Lasciai
che le nostre dita incrociate si sciogliessero, poi le cinsi la vita
con un braccio e la attirai più vicino a me, lasciandomi
sfuggire un sospiro. Sentivo il bisogno di averla accanto, di
lasciarmi coccolare dal suo splendido profumo e dal suo intenso
calore.
Era
bello abbandonarsi a quell'attimo di pace, quell'angolo di paradiso,
in compagnia del borbottio delle onde e della mia dolce metà.
In quell'idilliaco equilibrio, tutti i problemi svanivano.
♫ Ellie
♫
Ciao
Shavo... non ti vorrei disturbare, ma in questi giorni stiamo
discutendo parecchio della vostra proposta e io ho una gran
confusione in testa, ho bisogno di parlare con qualcuno e mi sei
venuto subito in mente tu...
Lessi
a mia sorella il messaggio che avevo inviato a Shavo quel pomeriggio,
quando mi trovavo da sola nel giardino di Noah. Avevo digitato quelle
parole in fretta, senza starci troppo a pensare, perché mi
erano venute dal cuore. Avrei tanto voluto chiacchierare un po' con
lui, trovava sempre il modo per rassicurarmi e distrarmi.
Nonostante
ci conoscessimo solo da qualche mese, ormai lo consideravo come una
specie di fratello maggiore.
“E
lui non ti ha risposto?” domandò Johanna curiosa.
“No,
ma non me ne preoccupo. Sai come è fatto Shavo!”
“Sicuramente
se l'avessi inviato a Daron ti avrebbe subito chiamato”
commentò mia sorella in tono ironico, alludendo a tutte le
volte che il chitarrista si era avvicinato a me nell'ultimo periodo.
Sbuffai.
“Non me lo ricordare! Certo che se avesse dei modi più
delicati di approcciarsi a me avrebbe anche qualche possibilità
di costruire un'amicizia decente, ma così proprio no! Non ne
posso più di lui che allunga le mani o mi usa come poltrona!”
“Ti
devi far rispettare!”
“Ma
io gli dico quando mi dà fastidio, peccato che non mi dia
ascolto!”
“Non
glielo devi soltanto dire! Io fossi in te gli mollerei una sberla
ogni volta che si avvicina troppo” consigliò Johanna
sghignazzando.
Quel
discorso mi irritava, così come il comportamento di Daron. Non
capivo cosa ci provasse a ronzarmi sempre attorno; io ero la persona
più aperta e socievole al mondo, ma lui sin dal primo momento
sembrava essersi posto l'obiettivo di darmi fastidio e indispormi.
Nonostante tutto io non mi arrabbiavo con lui, ma in certi momenti
pensavo di non poterlo sopportare.
“Cambiamo
argomento: secondo me è arrivato il momento di dire ai nostri
di questa proposta che ci hanno fatto.”
Sapevo
di aver toccato un tasto dolente: nostro padre ci avrebbe sicuramente
mostrato tutto il suo appoggio e ci avrebbe detto di partire senza
pensarci due volte, ma a nostra madre sarebbe preso un colpo.
“Eh
sì, hai ragione. Appena arriviamo diamo la notizia... ma
preparati a una battaglia persa. Questo è l'ennesimo problema
che ci impedirà di partire.”
“Dimentichi
che abbiamo ventun anni, siamo maggiorenni e possiamo decidere per
noi. Mamma può essere apprensiva quanto le pare, ma se
decidessimo di partire non ci potrebbe fare niente” obiettai.
Mi
dispiaceva parlare così, ma era la pura e semplice verità.
“In
Europa?!”
Ecco,
come previsto mamma era esplosa in una reazione esagerata: aveva
lasciato perdere la lavastoviglie con cui stava armeggiando e si era
voltata verso di noi con occhi e bocca spalancati.
“Aspetta,
non giungere a conclusioni affrettate: ancora non abbiamo accettato!”
tentai di tranquillizzarla, sapendo che non sarebbe comunque servito.
“Ed
è stato un gruppo famoso a proporvelo?” si informò
papà profondamente interessato, distogliendo lo sguardo dal
giornale che stava leggendo.
Io
e Johanna non avevamo preso niente da lui: era un uomo tranquillo,
per niente impulsivo, ma comunque in grado di farsi rispettare con
una sola occhiata.
“Oddio,
ma come fate? Io questi tizi non li conosco, possono essere anche dei
malintenzionati!” proseguì mamma come se nessuno di noi
avesse parlato nel frattempo.
Johanna
scoppiò a ridere all'idea che i System potessero in qualche
modo farci del male, ma io rimasi seria e avvertii un brivido che mi
scorreva lungo la schiena.
“Mamma,
con noi ci sarebbero anche Jake e Noah; loro li conosci, non
permetterebbero mai che ci capiti qualcosa! E poi saremmo sempre
separati per la notte, se è questo che ti interessa sapere!”
spiegò mia sorella cercando di mantenere la calma, ma sapevo
che se mamma avesse insistito si sarebbe alterata.
“No,
non se ne parla, io non mi fido!” si impose mia madre
portandosi le mani sui fianchi.
“Perché
no? È giusto che viaggino e facciano conoscere la loro musica
nel mondo” la contraddisse nostro padre.
“Mamma,
siamo maggiorenni e responsabili, possibile che ancora non ti fidi di
noi?” intervenni esasperata.
“Di
voi mi fido, ma faccio fatica a fidarmi degli altri!”
“Quindi,
fammi capire: secondo il tuo ragionamento non dovremmo fare concerti
fuori Los Angeles per il resto della nostra vita? Allora perché
abbiamo fondato il gruppo?” si infervorò Johanna.
“Certo
che potete, ma ora avete portato fuori questa storia dell'Europa di
punto in bianco! Poi sapete bene com'è la scena rock, come
potete affermare che questi tipi sono affidabili?”
“Se
facciamo questo ragionamento non dovremmo fidarci di nessuno”
feci notare.
“Non
stanno mica partendo per la guerra” aggiunse papà.
La
discussione andò avanti così per più di un'ora e
alla fine ne uscii devastata. Mamma non ammetteva repliche: non
voleva che accettassimo, si rifiutava di appoggiarci per questo
viaggio.
Io
e Johanna sentivamo la rabbia crescere in noi: più quel tour
ci veniva vietato, più eravamo intenzionate a partire.
Finché
eravamo state noi a porci dei limiti, non ci eravamo rese conto della
grande possibilità che avevamo tra le mani; ma grazie a quella
discussione e a tutte le riflessioni che ne vennero fuori, capimmo
l'importanza di ciò che avremmo potuto vivere.
E
soprattutto il vuoto che avremmo provato nel lasciarcela sfuggire.
La
mattina dopo mi svegliai di malumore. Il cielo fuori era grigio, pure
gli eventi atmosferici presagivano una tempesta in arrivo.
Ma
io i tuoni li sentivo dentro di me, ero nervosa e non mi andava di
parlare con nessuno.
Solo
Johanna poteva capirmi quel giorno, ma sarebbe stata impegnata con
Lindsay che si era presa l'influenza proprio la sera prima.
Decisi
di prendermi una pausa dai libri, non sarei riuscita a concentrarmi;
mi rifugiai nel piccolo studio, che ormai era diventata la nostra
saletta della musica, e mi posizionai davanti alla tastiera. Non
avevamo la possibilità di acquistare il pianoforte dei miei
sogni, ma era sicuramente tra i miei programmi e cercavo di mettere
da parte i soldi per questo progetto; per il momento mi dovevo
accontentare di uno strumento discreto, ma che almeno mi dava la
possibilità di suonare e liberare la mia creatività.
Non
appena udì le prime note, Misty, il nostro gatto, si precipitò
all'interno della stanza e si accoccolò su una mensola vuota
accanto a me. Io stravedevo per lui e amavo la sua compagnia, così
come lui stravedeva per la musica.
“Misty,
cosa ti suono?” mormorai, lanciandogli un'occhiata complice.
Lui
in tutta risposta chiuse gli occhi e si lasciò andare a delle
dolci fusa.
Le
mie dita presero a scorrere sui tasti neri e bianchi, così
come i miei pensieri.
Quando
suonavo al pianoforte mi veniva subito in mente la mia ispirazione,
ovvero Serj. Mi aveva guidato negli anni sia per il canto che per
quel magico strumento, ero subito rimasta incantata quando avevo
sentito per la prima volta Elect The Dead, il suo album
solista, e avevo cercato di imparare qualche sua canzone.
Il
fatto che ora potessi interagire con lui e addirittura ricevere i
suoi complimenti mi onorava, aveva dato un sapore del tutto diverso
alla mia passione per la musica. Non lo volevo deludere e ci tenevo
davvero tanto ad aprire i suoi concerti in Europa.
Ma
avrei dovuto rinunciare a quello. Era stata una bella illusione, ma
c'erano troppi problemi che non saremmo riusciti a superare:
l'avversione di nostra madre e i problemi economici che non
sfioravano solo Jacob, ma anche me, che guadagnavo solo tramite le
nostre poche serate e investivo tutto nell'università. Inoltre
l'idea di passare tanto tempo in stretto contatto con Daron mi
metteva un po' d'ansia, anche se mi ripetevo che non dovevo
preoccuparmene e che le mie decisioni non dovevano essere
condizionate da lui.
Avrei
dovuto rinunciare anche a quello, così come avevo rinunciato a
Noah.
Forse
chiedevo troppo dalla vita.
Le
mie dita si erano inceppate su una melodia che mi rimbalzava in mente
da quando mi ero svegliata, avevano cominciato a ripeterla in
automatico. Presa com'ero dai miei pensieri, inizialmente non la
associai alla canzone a cui apparteneva, ma poi mi resi conto che si
trattava di 3005 degli Scars On Broadway.
Smisi
subito di eseguirla, quasi infastidita da quelle note, e cercai di
concentrarmi su altro; ma le mie dita tornarono istintivamente su
quei tasti.
“Shooting
on your world” mi ritrovai a canticchiare sottovoce.
Già,
tutti sembravano voler sparare sul mio mondo, anche se
metaforicamente: prima ero stata bombardata da una scarica di eventi
positivi, poi all'improvviso una pioggia di dolorosi proiettili si
era abbattuta sulla mia anima.
Era
una pioggia di gocce tristi, come quelle che si rincorrevano sul
vetro della grande finestra accanto a me.
La
vibrazione del mio telefono mi fece sobbalzare, cogliendomi alla
sprovvista. Misty invece non fece una piega, mi fissava come a
volersi prendere gioco di me. Poi, vedendo che avevo smesso di
suonare, mi saltò in braccio e si accoccolò sulle mie
ginocchia.
Osservai
il display del mio cellulare: Shavo mi stava chiamando. La cosa mi
sorprese, mi aspettavo piuttosto una risposta via SMS, ma ero ancora
più felice all'idea di poterci parlare a voce.
“Pronto?”
risposi, cercando di non utilizzare un tono troppo malinconico. Nel
frattempo avevo preso ad accarezzare il mio gatto con la mano libera.
“Ellie,
buongiorno! Come stai? Ho visto il messaggio proprio adesso e ho
pensato che per parlare sarebbe stata meglio una chiamata, ma se
disturbo possiamo rimandare” esordì lui in tono allegro.
Fu
impossibile trattenere un sorriso; era proprio questo che intendevo,
Shavo sapevo trasmettere un'energia che in pochi possedevano.
“Buongiorno a te! No, non disturbi: stavo pasticciando con le
tastiere, ma nulla di che. Hai fatto bene a chiamarmi!”
“Le
tastiere? Wow! Ora che ci penso non ti ho mai visto suonare il
pianoforte!”
Ridacchiai.
“Non ti perdi niente! Tu invece che facevi?”
“In
realtà mi son svegliato da poco: ho fumato, ho fatto colazione
e ho tutta la mattinata a disposizione per poltrire!” raccontò,
palesemente felice delle sue ferie.
“Pigro!
Scusa la domanda indiscreta, ma... tu vivi da solo?”
Ero
contenta del fatto che attraverso il cellulare non potesse vedere il
mio leggero rossore sulle guance. Ponevo delle domande cretine a
volte, ma ero fatta così: portavo fuori tutto ciò che
mi saltava in mente.
“Sì,
per il momento. Avere la casa tutta per sé ha i suoi vantaggi,
ma a volte è noioso. Ma dimmi: che c'è? Quel messaggio
che mi hai mandato mi sembrava un po' triste...”
Sospirai
e presi a fare i grattini a Misty sotto il musetto, per la sua gioia.
“Ho solo bisogno di parlare con qualcuno. Ieri sera io e Jo
l'abbiamo spiegato ai nostri genitori: nostro padre è molto
felice per noi, ma mamma è iperprotettiva e farebbe di tutto
per evitare la nostra partenza. Abbiamo discusso a lungo ieri, e io e
mia sorella ci siamo rese conto che lo vogliamo fare, ma ora tutto
sembra impedircelo.”
“Vostra
madre non si fida di voi?”
Risi
appena. “Lo so che sembra assurdo, ma non si fida di voi.”
“Di
noi?” Shavo sembrava davvero perplesso.
“Ha
paura di lasciarci nelle mani di malintenzionati...”
“È
comprensibile” affermò. “Non dev'essere facile per
una madre mandare le proprie figlie in viaggio con degli sconosciuti.
Ora penso a una soluzione per farle cambiare idea, okay? Se davvero
decidete di partire, dovete essere in pace con il resto del mondo!”
Era
davvero dolcissimo, il suo modo di preoccuparsi era quasi
commuovente. “Grazie” fu tutto quello che riuscii a
proferire.
“Gli
altri del gruppo che dicono?”
“Noah
stranamente sembra non avere problemi di nessun tipo, mentre
Jacob...”
“Quello
di Jake non è un problema, gliel'ho già spiegato. Ora
dobbiamo solo pensare a voi” mi interruppe.
“Shavo,
non potete pagarci tutto.”
“Ma
lo vogliamo fare. E poi non sarà tutto, solo il
viaggio...”
“Shavo!”
lo rimproverai.
“Con
Noah come va? Ci soffri ancora?” cambiò abilmente
argomento lui.
Decisi
di assecondarlo, era stato carino a preoccuparsi per quello. “Come
al solito. Lui esce con Kate e io pian piano lo sto accettando.
Confesso che ultimamente ci penso di meno” ammisi,
sorprendendomi delle mie stesse parole.
“Ne
sono contento!”
Parlammo
per qualche altro minuto, poi ci salutammo e io restai per qualche
minuto assorta nei miei pensieri, con le fusa di Misty a riempirmi le
orecchie.
E
una nuova speranza a riempirmi il cuore.
♪ ♪ ♪
Ed
eccoci giunti al sedicesimo capitolo di questa long! Oddio, già
sedicesimo??? Non mi sembra quasi vero, non avrei mai creduto che
questa storia sarebbe “vissuta” fino a questo punto, fino
a ora! E invece sapete che vi dico? Più scrivo, più mi
viene voglia di scrivere! *-*
Allora,
vi è piaciuto questo capitolo? Cosa ne pensate? Lo so, è
abbastanza malinconico, ma era necessario perché i nostri
Souls cominciassero a capire... e poi dai, alla fine è
arrivata una ventata di allegria grazie a Shavo ^^
Avrete
sicuramente notato il momento tra Noah e Kate, per la prima volta li
vediamo insieme, da soli. La loro coppia non è molto shippata,
me ne rendo conto, ma è parte della storia e in quanto tale
meritava uno spazietto, anche se piccolino :P
Infine...
beh, spero vi sia piaciuta la scelta della canzone. 3005 è un
brano che adoro davvero tanto, in particolare trovo l'assolo molto
toccante e commovente. Qui ci stava, o almeno credo ;)
Grazie
davvero a tutti per il supporto, siete SUPER :3
Alla
prossima!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** The line I choose ***
ReggaeFamily
The
line I choose
Scars
On Broadway - They Say
♫
Serj ♫
Canticchiando,
aggiunsi un po' di sale nella padella e cominciai a muoverla in
maniera circolare.
Cucinare
mi piaceva, ma non avevo quasi mai il tempo per dedicarmi a
quell'attività. Quando ne avevo la possibilità, però,
non perdevo mai l'occasione di preparare il pranzo alla mia adorata
Angela.
“Serj,
che fai? Vuoi aiuto?” domandò improvvisamente lei,
facendo il suo ingresso in cucina e annusando l'aria con attenzione
per cercare di cogliere ogni ingrediente da me utilizzato.
“No
no, tranquilla! Mi fai sempre da cuoca, per una volta lascia fare a
me! Hai finito in giardino?” la tranquillizzai, dandole una
rapida occhiata.
I
suoi capelli erano leggermente scompigliati dal vento e il viso non
aveva traccia di trucco; indossava una leggera e consunta felpa
azzurra e dei pantaloni sportivi grigio scuro. Nella sua semplicità,
era talmente bella che mi veniva voglia di mollare i fornelli e
stringerla tra le mie braccia.
Angela
si sedette su una sedia, poggiò un gomito sul piano del tavolo
e cominciò a osservare con attenzione ogni mio movimento. “Ha
ricominciato a piovere. Non ho potuto finire nemmeno di sistemare le
rose!” spiegò.
“Proprio
oggi che avevamo una giornata libera c'è questo tempaccio”
commentai.
“Che
importa? Una casa ce l'abbiamo!” mi fece notare con il sorriso
nella voce.
Mi
voltai per sorriderle a mia volta, ma lei subito mi avvisò:
“Attento, l'olio sta schizzando! Ti bruci!”. Si mise
subito in piedi e mi raggiunse.
“Ah,
già! Potresti tagliare un'altra zucchina?” le chiesi,
rendendomi conto che forse quelle affettate da me non sarebbero
bastate.
Lei
sospirò e prima di mettersi all'opera mi diede leggermente di
gomito. “Gli uomini, tutti uguali: senza una donna non sanno
nemmeno scegliere le dosi per un pasto!”
“Angie,
se ti prendo...”
“Pensa
a cucinare, che senza pranzo non mi faccio prendere!” scherzò
con una risatina.
Il
cuore mi batteva a mille come se lei fosse con me per la prima volta,
come se non l'avessi mai avuta così vicina, come se ogni
attimo passato insieme fosse sempre nuovo.
Avevo
finito ciò che dovevo fare, avrei dovuto aspettare che lei
finisse con le zucchine. Spensi il fornello, misi un coperchio sulla
padella bollente e rimasi immobile, con gli occhi fissi su di lei.
Angela se ne accorse e, sentendosi osservata, sollevò lo
sguardo. “Che c'è?”
La
abbracciai delicatamente da dietro, in modo che avesse il tempo di
appoggiare il coltello che aveva in mano senza ferirsi. Lei poggiò
la testa sulla mia spalla e io, stanco di starle lontano, la attirai
ancora di più a me, lasciandole dei piccoli baci sui capelli.
“Tesoro,
ho le mani sporche...” protestò debolmente, cercando con
lo sguardo un canovaccio.
Sciolsi
la stretta e la feci roteare su se stessa, in modo da poterla
guardare negli occhi. “Visto che faccio se ti prendo?”
“Che
paura.” Avvicinò il viso al mio per un passionale bacio.
Io la strinsi nuovamente e ricambiai.
Fuori
la pioggia diventava più violenta e copiosa ogni secondo di
più, ma io lì avevo trovato il mio paradiso e non
m'importava di tutto ciò che accadeva intorno.
Ma
dopo qualche secondo, Angela si allontanò da me con una risata
e riprese in mano il coltello. “Dai, altrimenti non mangeremo
più! Dopo sarò tutta tua!”
Sospirai
e le passai le dita tra i capelli per l'ultima volta prima di
rimettermi al lavoro, mentre il desiderio si faceva strada in me; ma
in quel momento la vibrazione del mio cellulare, che avevo
abbandonato sul tavolo, mi distrasse.
Presi
in mano l'apparecchio e constatai che si trattava del mio bassista.
“Shavo,
ma anche durante le ferie?” risposi svogliatamente.
“Ehi
fratello, se stavi facendo qualcosa di importante avresti
potuto ignorarmi!” esordì lui in tono allegro e
malizioso.
“Coglione.”
“Comunque,
dato che mi hai risposto ne approfitto per comunicarti che ce la
stiamo facendo, praticamente i Souls sono quasi garantiti!”
“Cioè?”
“Oggi
ho parlato con Ellie; lei e Jo hanno capito che non possono perdersi
questa occasione, ma hanno due problemi. Il primo è la mamma
delle gemelle: a quanto pare è iperprotettiva e non si fida
tanto di noi. L'altro è Jacob, che non vuole partire se non
con i suoi soldi.”
Sbuffai.
“Daron gli ha già pagato tutto. A tutti in realtà,
non solo a lui.”
“Eh?
Ma che problemi ha? Non è nemmeno detto che riescano a
partire!” sbottò Shavo incredulo.
“Ha
detto che non gli interessa; almeno i ragazzi non si dovranno porre
quel problema.”
“Che
coglione! Poi lo chiamo! Comunque, rimane il problema della mamma:
che si fa?”
“Non
ne ho idea, ma noi non possiamo fare granché, non credi? Le
ragazze sono abbastanza grandi per vedersela da sole.”
“Però
mi dispiace che ci siano queste discussioni con i loro famigliari,
dovrebbe essere vista come una bella cosa...”
Sorrisi,
seppur consapevole che il mio interlocutore non mi potesse vedere.
“Sei sempre il solito! Parlo io con Ellie e cerco di
rassicurarla un po', tranquillo.”
“Perfetto!
Adesso chiamo Malakian, buon pranzo e buona Angela!”
“Buon
pranzo anche a te, sempre che tu abbia voglia di prepararlo!”
lo salutai.
“Ce
l'avete fatta? Porterete i Souls con voi?” volle subito sapere
la mia ragazza, che intanto si era messa ai fornelli al posto mio.
“Probabilmente
sì. Ehi, ma non è giusto, dovevo cucinare io!”
protestai.
“Va
bene, posso almeno apparecchiare la tavola? Comunque, sono
contentissima per voi! La prossima volta che hanno una data voglio
venire anch'io a sentirli!” affermò cedendomi il posto e
precipitandosi a cercare la tovaglia in un cassetto.
Rimasi
in silenzio, immerso nei miei pensieri.
Era
incredibile che una madre non riuscisse a lasciare le proprie figlie
libere nonostante la loro età, ma era anche comprensibile si
preoccupasse: noi eravamo comunque degli sconosciuti per lei.
Qualunque
sarebbe stato il risvolto di questo mini-tour, mi sarei assicurato
che tutti e quattro i Souls fossero sempre al sicuro. Per quanto
adulti e responsabili potessero essere, non avrei mai permesso che
capitasse loro qualcosa.
♫
Daron ♫
Ero
comodamente stravaccato sul mio divano nuovo, di pelle bianca. Non so
cosa mi avesse convinto a comprare i mobili nuovi e soprattutto di
colori chiari, ma all'improvviso mi era venuta voglia di una ventata
d'aria fresca e avevo buttato via quasi tutto il vecchio arredamento
– che, per intenderci, stava lentamente cadendo a pezzi.
Quel
giorno avevo voglia di guardare un po' di hockey, ma avevo trovato
solo una partita tra squadre poco più che principianti. Era
piuttosto noiosa in realtà e non avevo nessun motivo per fare
il tifo, gridando improperi irripetibili e lanciando ciabatte contro
il televisore come mio solito; ma non avevo voglia di cambiare canale
e probabilmente non avrei trovato nulla di mio gradimento.
Così
stavo semplicemente stravaccato, alternando la partita di hockey con
una a Snake sul cellulare.
All'improvviso
questo prese a squillare tra le mie mani, facendomi sobbalzare; avevo
una di quelle suonerie preimpostate della Samsung, e non potevo
impostare la vibrazione perché spesso e volentieri appoggiavo
l'apparecchio da qualche parte e non mi accorgevo delle chiamate.
Si
trattava di un numero sconosciuto. Generalmente non rispondevo, ma
quel giorno decisi di rischiare.
“Pronto?”
“Daron
Vartan Malakian, io ti uccido! Si può sapere perché
cazzo mi hai pagato il viaggio in Europa, quando sapevi benissimo che
non posso renderti i soldi?” tuonò una voce con fare
minaccioso.
Non
ebbi bisogno di delucidazioni per capire di chi si trattava. Eppure
ero sicuro che Jacob non avesse il mio numero; possibile che l'avesse
estrapolato a uno dei miei amici per potersi rivoltare contro di me?
“Fratello,
come stai? Che piacere sentirti!” lo salutai con estrema calma.
“E
che cazzo Daron, parliamone seriamente!” sbottò lui.
“Va
bene, parliamone: io non ho niente da dirti, se non che non
accetterei soldi da te in ogni caso” tagliai corto, stufo di
ribadire il solito concetto che da giorni cercavo di spiegare ai
Souls.
“Ma
ti sembra normale? Hai pagato per tutti! E non avevamo nemmeno dato
conferma!”
“Se
aspettassi voi, nel 2020 saremmo ancora qui.”
“E
se non riuscissimo a venire?”
Sbuffai
spazientito. “Ascoltami bene: io non vi sto obbligando a
venire, se non ce la farete pazienza, 'fanculo! Volevo solo eliminare
il limite economico, un limite che per noi non esisteva già
dall'inizio. Adesso avete l'opportunità tra le mani, fatene
ciò che volete!” spiegai, sperando di essere riuscito a
zittirlo una volta per tutte.
“Sono
sconvolto” fu la sua risposta.
“Io
no. Ah, a hockey stanno vincendo quelli con le magliette gialle.”
“Eh?”
“Niente,
devo farmi una canna.”
“Dobbiamo
parlare prima che voi partiate per il tour.”
“Sono
d'accordo. Domenica 8 maggio tutti a Echo Park alle dieci, pranziamo
insieme e di pomeriggio venite alle prove con noi” decisi.
“Hai
programmato la giornata a sette persone senza farglielo sapere”
commentò.
“A
sei, dato che tu sei il settimo e lo sai. In realtà ci saranno
anche tecnici, manager, fotografo e altra gente del tour alle prove,
almeno li conoscete.”
Dopo
averlo salutato mi alzai, mi preparai una magica sigaretta e dopo
aver fumato ripescai dalla dispensa un pacco gigante di patatine
piccanti.
Il
mio atto di generosità nell'offrire il viaggio ai componenti
dei Souls aveva sconvolto tutti, ma soprattutto i diretti
interessati. Chi non mi conosceva bene poteva vedermi come una
persona attaccata ai soldi, ma la verità era che non
m'importava. Quando mi andava di spendere per gli altri lo facevo e
non badavo a spese. Per me era una cosa normale, non capivo dove
stesse il problema.
♫
John ♫
Avevamo
espressamente chiesto che Lindsay fosse presente in sala prove quella
domenica. Sapevamo che adorava particolarmente alcune nostre canzoni
e che la mia batteria l'avrebbe fatta impazzire; volevamo farle
vivere un'esperienza pazzesca, anche se probabilmente in futuro
l'avrebbe ricordata a malapena.
Per
questo, quando vedemmo le gemelle raggiungerci al parco senza la
piccola, Daron domandò subito: “Ma come, non avete
portato il mostriciattolo?”
Johanna
ci spiegò che quel giorno non avrebbe dovuto farle da baby
sitter, ma in via del tutto eccezionale sarebbe andata a prenderla
direttamente nel pomeriggio. La trovai una mossa astuta: durante il
pranzo avremmo sicuramente parlato di argomenti seri, riguardanti il
tour, e Lindsay si sarebbe di sicuro annoiata.
“Vi
dobbiamo dare una gran bella notizia!” annunciò Ellie,
raggiante più che mai.
Quel
giorno le gemelle sembravano ancora più luminose del solito,
quasi non riuscivano a stare ferme tanto era il loro entusiasmo.
Io
ero sempre più curioso; lanciai un'occhiata a Jacob e Noah per
capire se loro già sapevano qualcosa, ma erano sorpresi quanto
me.
“Diteci!”
le incitai con un sorriso.
Tutti
puntarono lo sguardo su di loro. I loro sorrisi inondati dal sole del
mattino erano davvero dolci.
Io,
anche se non lo davo a vedere, ero parecchio emozionato. Supposi che
avessero una bella notizia da darci: poteva essere la loro risposta
definitiva?
Poteva
sembrare stupido, ma mi ero talmente affezionato a quei quattro
musicisti – in particolare a Ellie e Johanna – che l'idea
di averli al mio fianco durante quei concerti mi rendeva davvero
felice. Volevo che tutta Europa li vedesse e li amasse, volevo
stringerli in un abbraccio prima e dopo ogni live, volevo far provare
loro quel senso di vertigine che si impossessava di me quando
migliaia di persone mi osservavano suonare.
“Allora,
parlo io? Sì, dai parlo io!” iniziò Johanna,
posando lo sguardo su ognuno di noi. Quando arrivò a me, potei
leggere l'emozione e l'impazienza nei suoi occhi. “Ormai sono
passate due settimane da quando ci avete fatto la proposta e una
decina di giorni da quando noi due ne abbiamo parlato con i nostri
genitori. Come sapete, mamma è stata subito contraria. È
stato proprio quando lei ci è andata contro che ci siamo rese
conto di voler partire. In questo periodo non abbiamo discusso molto
con lei, ma sentivamo sempre una sorta di tensione in casa, come se
qualcosa non andasse; a volte ho sentito i miei parlare tra loro e mi
sono resa conto di quanto fosse difficile per lei. E in questi giorni
io e Ellie un po' di paura l'abbiamo avuta, non volevamo che tutto ci
crollasse addosso. Proprio quando per te tutto sta per cominciare,
gli altri cosa potrebbero dire? Che tutto sta per finire.”
Johanna fece una breve pausa e tenne lo sguardo fisso su Daron, dopo
aver citato una frase di They Say.
“Io
e Jo non ci siamo mai allontanate troppo di casa, non abbiamo mai
fatto lunghi viaggi da sole, o comunque lei conosceva i nostri
accompagnatori. Questa è una cosa nuova: le fa paura essere
così lontana da noi” aggiunse Ellie.
“Mamma
ha avuto tempo per pensare, per capire, per rendersi conto. E il
tempo leviga, si sa. Ieri ha parlato con noi: ci ha detto che non
siamo stupide, siamo perfettamente in grado di scegliere la compagnia
adatta a noi. Abbiamo ventun anni e non abbiamo bisogno di un baby
sitter, la sua ansia non può impedirci di vivere.”
“Inoltre
ha detto che con Noah e Jacob siamo in buone mani. Certo, sicuramente
l'ha detto perché non conosce bene Jacbb...” aggiunse la
sorella con ironia.
“Quindi?”
domandò Shavo, gli occhi che già brillavano.
“Il
nostro è un sì: se Jake e Noah vogliono, noi partiamo!”
concluse Ellie gettando le braccia al cielo con fare trionfante.
Il
mio cuore perse un battito. Ce l'avevamo fatta! I Souls avrebbero
aperto i nostri concerti come quel magico giorno al Troubadour,
avrebbero conosciuto i Dub Inc, sarebbero stati con noi!
Tutti
ci precipitammo ad abbracciarle e fu un tripudio di grida entusiaste,
risate e affetto. Serj sorrideva soddisfatto, Shavo era profondamente
commosso, Daron e Jacob cominciavano a immaginare cosa sarebbe potuto
accadere durante il viaggio e Noah non riusciva quasi a spiccicare
parola tanto era incredulo.
Io
pensavo che fosse assurdo: li avevamo conosciuti solo sei mesi prima
e a settembre avremmo avuto un tour insieme.
♫
Shavo ♫
I
piedini di Lindsay non arrivavano bene ai pedali della cassa e del
charleston, ma non importava.
John
le aveva insegnato come tenere le bacchette e lei le impugnava in
tutt'altro modo, ma non importava.
Da
quando aveva preso posto sul seggiolino non aveva fatto nulla di
sensato, ma non importava.
Una
cosa era certa: sarebbe stata un'impresa portarla via dalla batteria.
Non badava a coloro che la circondavano, non sapeva di star suonando
uno strumento di valore, non si rendeva conto di trovarsi davanti a
uno dei batteristi migliori che conoscessi. Se la stava spassando in
una maniera assoluta, aveva tra le mani il giocattolo più
bello mai visto.
“Jo,
ma non aveva mai provato neanche la tua?” s'informò John
mentre osservava con interesse la piccola.
“Non
la porto mai a casa mia” spiegò lei. “Lindy, non
pestare così forte, altrimenti si rovina!” la rimproverò
poi.
“Lasciale
fare ciò che vuole” ribatté il batterista con
un'alzata di spalle.
Io,
completamente in brodo di giuggiole, mi occupavo di scattare le foto
per immortalare quel momento stupendo.
“Piccoletta,
tra poco dovrai rendere la batteria a John: stiamo preparando una
sorpresa per te!” strillò Daron, accordando la sua
chitarra in un modo che solo lui riusciva a comprendere.
Lei
sollevò gli occhi dai tamburi. “Sorpresa?”
“Vedrai
un concerto molto speciale, fatto apposta per te!” confermò
lui.
Lei
non rispose e riprese come se niente fosse a suonare il rullante.
Dietro
di noi sentivo gli altri parlare tra loro.
“Shavo,
tu non prendi il basso?” mi apostrofò John.
Abbassai
il cellulare. “Ah già, devo suonare anch'io! Vado!”
Qualche
minuto dopo la sorpresa per Lindsay era pronta. Johanna la convinse a
cedere il posto a John.
La
bambina allora, in piedi tra le due sorelle, tese le orecchie per
cercare di carpire qualsiasi indizio della sua sorpresa. Bene, ero
proprio soddisfatto del mio pubblico.
E
la vidi letteralmente impazzire quando sentì il riff iniziale
di They Say. Cominciò a gridare, saltellare da tutte le
parti, avvicinarsi a noi e cantare tutta la canzone a memoria.
Johanna,
Ellie e gli altri non furono da meno: riuscirono addirittura a
trascinare Serj in mezzo al loro festoso casino, mentre cantavano e
gridavano.
“Questa
è per augurarvi buon tour e per festeggiare!” esclamò
Ellie mentre Jacob trascinava lei e Johanna in un folle girotondo.
“Grandi
Souls!” gridò il rosso.
“E
andremo anche dai Dub Inc!” si rese improvvisamente contro
Johanna, liberandosi dalla stretta del ragazzo e buttandosi quasi
addosso a Noah.
Concludemmo
la canzone, Lindsay saltò in braccio a Daron senza smettere di
strillare per la gioia e Beno, giungendo dall'angolino della stanza,
pose fine a quella raccapricciante ed epica scenetta: “Bene;
adesso, cari SOAD, vi ricordo che dopodomani avete la prima data
statunitense, quindi evitiamo una figura di merda e via alle prove
generali!”
♪ ♪ ♪
Ciaooooo
*-*
Vi
starete chiedendo: perché due canzoni di seguito degli Scars?
Semplice:
perché sì XD
Perché
ci stava bene, ma soprattutto avevo già in mente che i ragazzi
l'avrebbero suonata a Lindsay quando lei si sarebbe ritrovata in sala
prove con loro ^^ ecco, ho trovato il momento adatto in cui
inserirla!
Stavolta
con i pov ho voluto pasticciare: mi è saltato in mente che
sarebbe stato carino radunare tutti e quattro i componenti dei SOAD
in un capitolo, ed ecco il risultato! ;)
Altra
cosa: se finora la storia è stata incentrata sulla conoscenza,
la fiducia e questa grande novità del tour, dai prossimi
capitoli si cambia! Vedrete sviluppi tra i personaggi, li conosceremo
un po' meglio, ci saranno novità e... sì, racconterò
anche qualcosa del tour, perché mi piace vedere i System alle
prese con live, fans e quant'altro!!!
Allora,
che ne pensate? Vi è piaciuta la scena con Angela? Siete
contenti che i problemi siano stati superati? Io un sacco, chissà
come andrà questo viaggio :P
Sono
qui anche per raccontarvi una cosa curiosa e preoccupante che mi è
successa la scorsa settimana, che riguarda proprio questa storia!
Alloooora, in pratica mi è capitato di sognare i miei
personaggi: Jake, Jo, Ellie e Noah! Era come se stessi decidendo le
scene per un capitolo, ma allo stesso tempo ero all'interno delle
scene, mi immedesimavo nelle persone che in quel momento avevano il
pov. Sono stata Ellie e poi Jo (sono stata anche in compagnia del mio
adorato Jacob *-*)... e non so, la cosa mi inquieta un po'. Non mi
era mai capitato di sognare una delle mie storie, mi sento un po'
fuori di testa perché queste persone non esistono nella
realtà, è tutto frutto della mia fantasia! Ma questo
vuol dire che la storia mi prende tanto e ci penso spesso, e in
effetti è così *-*
Secondo
voi sono pazza???
Grazie
mille ancora a coloro che continuano a supportarmi con tanto affetto
e tanta costanza, siete pura forza :3
Alla
prossimaaaaa!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** If you want the answers ***
If
you want the answers
System
Of A Down - Suggestions
♫
Johanna ♫
“Aspetta
un attimo, fammi capire: cosa farai quest'estate?” sbottai,
palesemente scioccata da ciò che il mio amico mi aveva appena
riferito.
Ellie,
che si era posizionata sul mio letto, sollevò lo sguardo dal
suo libro, incuriosita dalla mia reazione.
“Non
sto scherzando. E non provare a prendermi per il culo, è
l'unica cosa che ho trovato!” confermò la voce di Jacob
dall'altro capo del telefono.
Ridacchiai.
“E tutto questo per rendere i soldi a Daron?”
“Esattamente.”
“Soldi
che lui non accetterà mai” precisò Ellie,
sfogliando distrattamente il volume universitario che teneva sulle
ginocchia.
“Però
Jaky, mi sorprendi! Finalmente dopo ventiquattro anni stai diventando
un uomo maturo!” scherzai; in realtà ero davvero fiera
del mio amico. Non aveva un lavoro fisso, ma io lo conoscevo e sapevo
che era una persona estremamente generosa; andava in bestia quando
qualcuno pagava al posto suo e non avrebbe accettato un prestito così
importante.
“Avevi
dei dubbi sulla mia maturità, piccola furfante?”
“Sì,
e continuo ad averli!”
“Stronzetta!
Bene, ti picchierò dopo quando andremo da Roxy!”
“Perfetto,
a questo pomeriggio!”
Sospirai,
poggiai il cellulare sulla scrivania e cominciai a roteare lentamente
sulla sedia girevole come una bambina annoiata.
“Jo?”
mi intercettò subito Ellie. “Che lavoro ha trovato
Jake?”
“Quest'estate
andrà a raccogliere ortaggi!” esclamai, per poi
scoppiare a ridere senza ritegno.
Mia
sorella strabuzzò gli occhi. “Farà il contadino?
Proprio lui? No, io voglio la foto, oddio!” strillò lei
tra le risate.
“A
chi lo dici! Però è stato carinissimo a cercare un
lavoro per rendere i soldi a Daron, non credi?” osservai con un
sorriso.
Ellie
annuì. “Ma lui è stato abbastanza chiaro
sull'argomento: questo è un suo regalo, nessuno si deve
sentire in colpa o in dovere di restituirgli la somma che ha speso.”
Feci
spallucce e smisi di girare in tondo, puntando nuovamente lo sguardo
sullo schermo del mio pc.
Quella
mattina mi ero data alla trascrizione di alcuni miei componimenti che
avevo annotato al computer; raccoglievo tutte le mie poesie in uno
spesso quadernino ad anelli, che custodivo come il più
prezioso cimelio.
Non
ero un'assidua scrittrice o un'appassionata di poesia, ma qualche
volta sentivo la necessità di esprimere in versi ciò
che provavo, le esperienze vissute, gli attimi che più mi
erano rimasti impressi. Ellie mi invidiava per le mie capacità
creative, diceva che avrei dovuto comporre io i testi dei Souls. Ma
io mi limitavo a darle una mano: non mi reputavo tanto brava in
quell'ambito.
Mia
sorella intanto si immerse nuovamente nello studio, continuando a
torturare le pagine del libro: segnava appunti ai margini, le
riempiva di orecchie e post-it, incastrava fogli con schemi e
riassunti tra di esse.
Ma
d'un tratto una mano, fulminea,
strinse
la mia. «Salvami», la mia supplica.
Occhi
ardenti rischiararono il mio abisso:
passione
la chiamasti, vita fu per me.
La
mia penna tracciava velocemente quelle parole sul foglio,
l'inchiostro rosso si imprimeva con precisione. Quella era la terza
strofa di una poesia composta qualche giorno prima; nemmeno io avevo
saputo spiegare le origini di quell'improvvisa ispirazione, non avevo
idea di quale fosse l'argomento o il soggetto descritto, ma il
risultato mi era parso decente e avevo deciso di non cestinarlo.
L'avviso
di una notifica su facebook mi distrasse: cliccai sull'icona di
internet e scoprii che si trattava di un messaggio alla pagina della
band da parte di un certo Miles The MusicPusher. Aggrottai le
sopracciglia, perplessa da quel singolare nome, e diedi velocemente
un'occhiata al testo del messaggio.
Ciao
:)
La
vostra pagina mi ha incuriosito, ho notato che avete un bel po' di
seguito e una serie di date in tutta la città! Non ho mai
avuto l'occasione di vedervi dal vivo, ma mi piacerebbe molto farvi
un'intervista per il mio sito, se la cosa vi potrebbe far piacere. Mi
occupo proprio di gruppi emergenti e cerco di dar loro un po' di
visibilità. Se volete dare un'occhiata, qui sotto vi linko il
sito e la pagina fb affiliata ;)
Fatemi
sapere cosa ne pensate, così posso preparare le domande!
Grazie
mille dell'attenzione,
MilesTheMusicPusher
“Ci
vogliono fare un'intervista!” affermai con incredulità,
sbilanciandomi sulla sedia e rischiando di cadere quando questa prese
a ruotare velocemente.
“Davvero?”
Ellie pareva entusiasta all'idea: scaraventò il libro tra le
coperte e si avvicinò allo schermo per sbirciare. “Ah, è
questo tizio Pusher? Apri il suo profilo, sono curiosa!”
Cliccai
sul nome del mittente e qualche secondo dopo mi ritrovai davanti un
viso spigoloso dalla carnagione chiara, contornato da capelli biondo
cenere abbastanza corti e ordinati. Miles aveva infatti impostato
come immagine del profilo un suo primo piano.
“Però,
mica male!” borbottò Ellie.
Le
diedi di gomito. “Ti ha già conquistato, eh?”
insinuai in tono malizioso.
Lei
scosse la testa. “No, non è il mio tipo. Quegli occhi
azzurri sono stupendi, ma sai che non vado pazza per i biondi!”
Cominciammo
a sghignazzare mentre rovistavo tra le informazioni del profilo.
Apprendemmo che aveva solo qualche anno in più di noi, abitava
a Los Angeles ed era single.
Verificai
poi la sua attività sul sito; quest'ultimo si chiamava
MusicPusher L.A. ed era pieno zeppo di articoli, interviste e
reportage di concerti riguardanti vari gruppi sconosciuti. Notai che
spaziava in tutti i generi musicali e che lo stile usato per gli
articoli era buono, corretto e coinvolgente.
Gli
risposi, a nome della pagina, che avremmo risposto volentieri alle
sue domande, firmandomi come Johanna.
“Perché
non gli chiedi l'amicizia?” propose Ellie con un occhiolino.
“Perché
dovrei?”
“Boh,
per fare qualcosa di diverso...”
Tacqui
per qualche secondo e presi ad attorcigliarmi una ciocca di capelli
attorno all'indice. “Beh sì, è un contatto che
potrebbe sempre servirmi” conclusi, riprendendo il controllo
del mouse.
Una
volta inviata la richiesta d'amicizia, mi voltai verso mia sorella e
diedi voce a un pensiero che mi ronzava in testa da quando avevo
aperto facebook quella mattina: “Chissà come si chiamano
i profili dei nostri amichetti famosi!”.
Lei
ci pensò un po' su. “Bella questa. Quando rientrano dal
tour glielo chiediamo!”
L'avviso
di una notifica mi riportò con lo sguardo nuovamente incollato
allo schermo: Miles aveva accettato la mia richiesta e mi aveva anche
scritto un messaggio.
Ciao,
grazie per avermi chiesto l'amicizia! Se preferisci posso inviarti le
domande qui :)
Tu
sei la batterista della band, se non sbaglio
“Oh
sorellina, ci sta già provando con te!” cinguettò
Ellie, cominciando ad agitarsi e piroettare da una parte all'altra
della stanza.
“Zitta,
mi ci manca solo un'altra grana! Sai bene che non ho la minima
intenzione di frequentare qualcuno!” troncai subito le sue
speranze in tono acido.
Poi
digitai velocemente:
Grazie
a te per averla accettata! Sì, sono io :) quando avrai le
domande pronte, potrai inviarmele anche qui, d'accordo!
“Okay,
allora, io stavo copiando la poesia...” mormorai tra me,
posando lo sguardo sul blocco ancora aperto e sulla penna rossa
abbandonata sulla pagina.
“Io
allora torno a studiare, fammi sapere se ci sono novità”
affermò Ellie lasciandosi cadere a peso morto sul letto e
riprendendo in mano il suo libro.
Decisi
di chiudere internet; copiai velocemente le altre strofe, poi spensi
il pc e lasciai la stanza. Quel pomeriggio avrei dovuto continuare le
registrazioni per il nostro cd e, per sentirmi del tutto sicura di me
stessa, optai per un paio di prove in solitaria. Non era tanto
divertente rivedere i brani senza il resto dei Souls, ma non potevo
permettermi di sbagliare in studio di registrazione.
Mia
sorella aveva preso la patente solo da un anno, ma a parer mio aveva
un grande talento per la guida.
Mentre
ci dirigevamo allo studio di Roxanne, io mi rilassavo sul sedile del
passeggero e rispondevo a qualche sms. Shavo aveva detto che il tour
procedeva bene, che faceva caldo e che Daron una volta si era preso
una sbronza allucinante che l'aveva steso quasi per un giorno intero.
Quando
aprii la schermata di facebook, trovai diverse notifiche e un
messaggio: la risposta di Miles, che a quanto pare si era messo
subito all'opera per la nostra intervista.
Tra
le notifiche notai che Melanie aveva taggato me ed Ellie in una foto,
che la pagina dei Souls aveva ricevuto dei nuovi likes.
E
che Miles aveva messo mi piace ad alcuni miei post recenti.
“È
entrato nel mio profilo” borbottai, indecisa se essere felice o
infastidita da quelle attenzioni.
“Chi?
Miles Pusher?” volle sapere Ellie.
“Esattamente.”
“Io
l'ho detto: ci sta provando con te.”
Sbuffai.
“Ti prego, no...”
Sperai
con tutto il mio cuore che quelli di Ellie fossero solo dei film
mentali.
♫
Jacob ♫
“Raga,
sta venendo fuori una figata assurda, ve lo assicuro! Ho già
mixato batteria e basso delle canzoni registrate l'altra volta e...
cazzo, spaccano! Sono fiera di voi!” esclamò Roxanne con
entusiasmo e passione, al termine delle registrazioni. Quel
pomeriggio tutti – ma soprattutto Johanna – ci eravamo
impegnati e avevamo lavorato sodo per realizzare le tracce che ancora
mancavano all'appello: le linee di batteria erano ormai pronte,
quelle erano la base su cui noialtri avremmo suonato la nostra parte.
Dal canto mio ero davvero carico e pronto, non vedevo l'ora di
stringere tra le mani una copia del nostro album di debutto.
“Siamo
grandi!” gridò Johanna, lanciando in aria le bacchette e
lasciando che si schiantassero al suolo.
“Ho
una domanda” esordì Noah rivolto a Roxanne.
“Dimmi
pure, bassista! E fai che la domanda sia molto lunga: è la
terza volta che ti sento parlare da quando ti conosco!”
Lui
scosse la testa. “Il cd sarà pronto entro settembre?”
“Assolutamente
sì! Stiamo correndo come un treno e, se lavoriamo con costanza
per i prossimi mesi, ad agosto potrete far uscire tutto!” lo
rassicurò lei.
“Così
possiamo portarlo in giro durante il nostro tour!” disse Ellie
con aria sognante.
“Mmh,
avete un tour? Non mi avevate detto niente!” si incuriosì
subito la mia ex compagna di classe.
“Non
è ancora ufficiale, quindi acqua in bocca. Probabilmente
partiremo per qualche data in Europa...” spiegai, ma venni
interrotto da un gridolino stridulo di Roxanne.
“Europa?
Cazzo, ma state scherzando?! Ma... quanto siete fottutamente
fortunati?”
La
ragazza mi saltò letteralmente al collo, tanto era presa dalla
gioia e dall'entusiasmo. Ma io sapevo che quella era soltanto una
scusa: da quando ci eravamo rivisti, circa un mese prima, non
facevamo che mangiarci a vicenda con gli occhi e cercare un contatto
fisico. L'attrazione che c'era sempre stata tra noi non si era
attenuata negli anni ed entrambi sapevamo bene che, una volta soli,
non avremmo più saputo resistere.
“Ehi
ragazzina, tanto non ti porteremo con noi!” Ricambiai la sua
stretta e i nostri corpi parlarono da soli, non c'era bisogno di
aggiungere altro.
La
allontanai da me con uno scatto, consapevole che non potevamo farci
prendere dalla foga del momento davanti ai miei amici. Comunque non
le staccai gli occhi di dosso: indossava i soliti anfibi neri, una
minigonna in pelle dello stesso colore e una striminzita maglietta
bordeaux che le lasciava la schiena scoperta. Lo faceva apposta per
provocarmi, piccola bastarda.
Ellie,
Johanna e Noah si erano comunque accorti di ciò che stava
accadendo tra noi; mentre il bassista si faceva semplicemente da
parte e si limitava a ignorarci, nello sguardo delle gemelle qualche
volta avevo scorto fastidio e disapprovazione.
“Okay,
grazie mille Roxy per l'ottimo lavoro e la disponibilità. Jo,
andiamo?” salutò Ellie dopo qualche minuto.
“Ma
come, andate via di già?” protestò Roxanne
delusa.
“Sì,
la nostra amica Mel ci sta aspettando” spiegò la
batterista.
“Anch'io
devo andare, stamattina un tizio mi ha portato un pc da aggiustare e
non sono ancora riuscito a cavarne piede” aggiunse Noah,
afferrando la custodia del suo basso e cercando con lo sguardo le
chiavi della macchina. Quel ragazzo era un casino.
“Almeno
tu, delinquente mio, resti a farmi compagnia?” mi supplicò
la ragazza posandomi una mano sul braccio.
Cercando
di reprimere l'istinto di saltarle addosso, mi limitai a proferire in
tono indifferente: “Si può fare, per oggi non ho altri
impegni”.
Quando
il resto dei Souls lasciò la stanza, non ebbi il tempo di
compiere un solo movimento che mi ritrovai schiacciato contro una
parete, con Roxanne incollata addosso e le sue labbra premute con
forza sulle mie. Il mio corpo ormai reagiva d'istinto: la stringevo
ancora più forte a me, come se potessi averla ancora più
vicina.
“Vedo
che la sbandata delle superiori non ti è ancora passata”
osservai affannosamente mentre Roxanne mi mordicchiava il lobo di un
orecchio.
“Mi
sono mancati i bei vecchi tempi” sibilò.
“Sai,
generalmente sono le rosse a farmi impazzire...” Sollevai con
foga il tessuto già di dimensioni irrisorie della minigonna,
“ma con te posso fare un'eccezione.”
Non
ce la facevamo più: ci lasciammo cadere sul pavimento e fu
tutto come rivivere i vecchi tempi, fu ancora meglio.
“Merda,
questo non è proprio un rapporto professionale” mormorò
la ragazza mentre, stesa a terra e premuta contro di me, tentava di
riprendersi e tornare a respirare regolarmente.
“Dovrebbe
esserlo?” Le circondai la vita con un braccio.
“Forse.
Ah, 'fanculo, è stato bellissimo!”
Socchiusi
gli occhi. “Ma sì, in fondo ti voglio bene.”
“Ti
voglio bene anch'io, delinquente.”
♫
John ♫
Cercavo
di non dare troppo peso a Daron che canticchiava senza sosta e non
faceva che agitarsi per tutto il tour bus. Pareva un'anima in pena e
solo a vederlo mi veniva il mal di mare.
Shavo,
a pochi metri da me, ronfava sonoramente con la bocca semiaperta e le
cuffie alle orecchie, mentre Serj e Sako conversavano serenamente con
Igor, il nostro autista.
Io
sfogliavo distrattamente un giornale che mi ero portato per ammazzare
il tempo. Avevamo lasciato Chula Vista da circa un'ora e mancava
ancora parecchio tempo per giungere a Paradise, accanto a Las Vegas,
dove si sarebbe tenuto il nostro prossimo concerto.
Posai
lo sguardo su una pagina a caso e cominciai a leggere ad alta voce:
“La figlia di Luke va a una festa in maschera; al rientro il
padre le domanda quante erano le ragazze presenti al party e lei
risponde con un rompicapo...”.
“No,
che palle, ancora con queste cazzate?” si lamentò il
chitarrista, lasciandosi cadere a peso morto in un sedile accanto a
me.
“Uh,
arrivo! Sono curioso!” esclamò Sako, piazzandosi davanti
a me con le mani sui fianchi e un sorriso a trentadue denti stampato
sulle labbra.
“Alla
festa c'erano nove ragazzi e ciascuno di loro ha ballato con quattro
ragazze diverse, mentre ciascuna ragazza ha ballato con tre diversi
ragazzi. Sapresti dire quante erano le ragazze?” conclusi,
chiudendo di scatto il giornale per evitare che qualcuno sbirciasse
la soluzione.
“E
come fai a saperlo? Non ci sono abbastanza dati” tagliò
corto Daron con uno sbadiglio.
“Quattro
ragazze? Allora, nove diviso tre... no, ma non è possibile.
John, ma cosa assumi ogni giorno per stare appresso a queste
stronzate?” Il tecnico della batteria si stava già
spremendo le meningi, come al solito, per cercare di risolvere il
gioco di matematica.
“Non
sono stronzate, è per allenare il cervello. Io l'ho già
risolto” dichiarai soddisfatto.
“Ma
che cazzo... non è vero, hai guardato la soluzione!”
protestò Sako.
“Non
avrebbe avuto senso leggerlo se avessi guardato la soluzione.”
“'Fanculo,
ora non mi darò pace finché non l'avrò risolto!”
affermò il mio amico, poi tornò accanto a Serj; qualche
secondo dopo li vidi parlare in maniera concitata, sicuramente
stavano tentando di risolvere insieme il rompicapo.
Mentre
cercavo un altro simpatico gioco, Sako tornò da me con aria
trionfante: “Ci sono! Alla festa c'erano quindici ragazze!”
“Perché?”
lo interrogai.
“Non
lo so, l'ha detto Serj.”
“Smettetela,
mi fate venire il mal di testa” intervenne Daron.
“No,
non sono quindici. Comunque Shavo si sta annientando i timpani col
volume della musica così alto” osservai con
preoccupazione.
“Lo
avviso io!” si offrì il chitarrista, mettendosi in piedi
e raggiungendo Shavo di soppiatto. Dopodiché gli si sdraiò
sopra come fosse un cuscino. “Comodo questo Shavo!”
L'altro
si risvegliò di colpo, si strappò le cuffie dalle
orecchie e si scansò malamente Daron di dosso. “Ma sei
rincoglionito? Giuro che ti scarico in superstrada!” bofonchiò,
mettendosi faticosamente a sedere e sbattendo le ciglia un paio di
volte, stralunato.
“E
tu, Shavo, sapresti dire quante ragazze erano presenti?” se ne
uscì Sako in un tono talmente serio che rischiai di cascarci
pure io.
“Dove,
a Chula Vista? Mah, saranno state...” cominciò a
riflettere il bassista, grattandosi la testa.
Allora
Daron e Sako scoppiarono a ridere sguaiatamente e Shavo, sentendosi
preso in giro, cominciò a inveire contro di loro.
Sospirai
e lanciai un'occhiata fuori dal finestrino. Ogni volta che eravamo in
viaggio si scatenava il delirio, durante il tour non c'era modo di
riposare. E dopotutto viaggiare con i miei amici continuava a
piacermi.
♪ ♪ ♪
Ed
eccomi qui, fan dei System e delle mie idee malsane :D
Sono
tornata anche con questa long, dopo quasi un mese di ritardo,
eccezionalmente di giovedì... e più carica che mai!
Ehi
Kim, oggi abbiamo aggiornato insieme, sei contenta? Ahahahahahah sono
sempre più scema, lo so!
E
voi, ragazzi, sapreste dirmi quante ragazze erano presenti alla
festa? Eheheheh, ora vi ho lasciato sulle spine... e sì,
purtroppo per voi dovrete aspettare al prossimo aggiornamento per
scoprire la soluzione dell'indovinello!
In
ogni caso vi invito a provarci, ma se arrivate al risultato non
scrivetelo nella recensione, altrimenti gli altri lettori
furbacchioni andranno a controllare e la suspance sarà
compromessa ;)
Se
qualcuno se lo sta chiedendo: sì, quei quattro versi della
poesia di Jo li ho scritti io, in quanto grande appassionata di
poesia ^^ So che alcuni eventi di questo capitolo possono avervi
sconvolto, ma non aggiungo altro e do a voi la parola: ditemi cosa ne
pensate!!!
Ultimo
annuncio, ma tenetevi forte! ;)
Dalla
prossima settimana istituirò nel mio profilo il WEDNESDAY OF A
DOWN!!!! Avete sentito bene: per qualche mese (si prevede quattro
mesi, ma non prendete per oro colato) il mercoledì sarà
interamente dedicato ai SOAD!!
Motivo?
Finalmente la prossima settimana comincerò quel famoso nuovo
progetto di cui ho parlato tanto, che si alternerà quindi con
questa long!
Vì
avviso già da ora: ci sarà da ridere, piangere e non so
cos'altro, quindi preparatevi al peggioooooo :D
Per
ora vi ringrazio e vi do appuntamento a mercoledì prossimo, se
avrete piacere e voglia di seguirmi anche nella nuova avventura :3
Buon
proseguimento di giornata a tutti!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Can you break out ***
ReggaeFamily
Can
you break out
System
Of A Down - 36
(mi
scuso con voi per la brevità della canzone: non credo che un
no0rmale essere umano riuscirebbe a leggere un capitolo così
lungo in soli quarantasei secondi... ma non ho resistito alla
tentazione di inserire questo brano, ci stava bene ^^)
♫
Shavo ♫
Indossai
il mio cappellino da baseball nero, trascinai il trolley fuori dalla
stanza e diedi un'ultima occhiata all'interno per assicurarmi di non
aver dimenticato niente.
“Non
vedo l'ora di tornare a casa” borbottai tra me mentre giravo la
chiave nella serratura, pronto per lasciare definitivamente la stanza
291 dell'alberghetto di Irvine dove avevamo alloggiato.
Daron
se ne stava appoggiato pesantemente alla sua valigia; teneva lo
sguardo basso e il suo solito cappello nero ombreggiava completamente
il suo viso. “La pace durerà per poco” ribatté
con uno sbadiglio.
Udii
un'altra porta richiudersi e individuai nella penombra dell'andito
una figura familiare: si trattava di Greg, il nostro fotografo. Si
avvicinò a noi con un sorriso. “E anche stavolta ce la
siamo cavata!”
“Ehi
fratello, la gente ha apprezzato la tua foto” gli comunicai.
Qualche ora prima avevo postato nella pagina facebook della band uno
scatto della sera prima, e ora il mio cellulare era intasato di
notifiche.
“Hanno
apprezzato i soggetti della foto” sghignazzò lui
lanciandomi un'occhiata divertita.
Mi
strinsi nelle spalle.
Qualche
secondo dopo vidi comparire Serj dall'imboccatura delle scale.
“Perfetto, possiamo andare. Gli altri sono già di
sotto... e dovremo affrontare un po' di fans radunati qua fuori. Un
momento: Sako e John?”
“Dovrebbero
essere ancora dentro...” A interrompermi fu un gran baccano
proveniente dalla stanza accanto alla mia. Sulla soglia comparve Sako
con indosso una camicia a quadri e un borsone nero in spalla.
“Vaffanculo John!” gridò, rendendosi poi conto che
la sua voce aveva rimbombato per tutto il secondo piano. A quel punto
si guardò attorno con fare circospetto e sospirò
appena.
“Senti,
io ero pronto un'ora fa, è colpa tua se stiamo uscendo in
ritardo. E sai che io odio profondamente arrivare per ultimo”
sibilò John irritato, comparendo dietro di lui in compagnia di
una grande valigia blu.
“Dobbiamo
stare qui a discutere o possiamo andare? Entro stanotte vorrei
tornare a casa mia, grazie” gracchiò Daron incenerendo i
due con lo sguardo.
“Come
facciamo con i fans?” intervenni.
Non
mi dispiaceva avere a che fare con i nostri seguaci, ma quel giorno
ero davvero stanco e non mi andava di dover lottare contro il mal di
testa. Quei giorni di tour mi avevano stremato: non mi ero ancora
riabituato ai ritmi dei live, dato che con i System avevamo
ricominciato a viaggiare da pochi mesi.
“No,
che palle! Giuro che resto a dormire qui un'altra notte, non ne ho
voglia...” protestò il chitarrista, torturando
nervosamente il manico del suo trolley.
“Non
vi preoccupate, ragazzi! Siate rilassati e gentili come al solito:
dirò loro che abbiamo dei tempi stretti e non vi potrete
trattenere più di tanto!” ci rassicurò Sako con
un sorriso.
“Grazie,
tu sì che ci capisci.” Gli mollai una pacca sulla spalla
e mi trascinai faticosamente in direzione dell'ascensore.
“Almeno
non sei ingrato come quello stronzo del tuo batterista!”
esclamò, raggiungendomi e infilandosi in fretta tra le ante
dell'ascensore per sfuggire a un possibile attacco di John.
Ma
quest'ultimo non fece una piega, si limitò a trasportare i
suoi bagagli con aria indifferente. “Io prendo le scale, vi
lascio la mia roba” sentenziò, allontanandosi in fretta.
Qualche
minuto più tardi mi ritrovai a osservare il mucchio di persone
radunate sul marciapiede, appena a qualche metro dall'uscita
dell'hotel.
“Vado
avanti io!” affermò coraggiosamente Sako. “Seguitemi!”
Gli
fui subito dietro, curioso di scoprire cosa aveva in mente.
Non
appena i fans ci videro comparire sulla soglia, si precipitarono
nella nostra direzione gridando come matti. Notai qualche ragazza che
squittiva i nostri nomi e tremava per l'emozione, parecchie persone
che sventolavano CD e pennarelli indelebili per attirare la nostra
attenzione e chiederci un autografo, qualcuno che invece si limitava
a puntarci addosso una telecamera come se stesse girando un servizio
per il telegiornale.
“Ciao
belli! Come state? Vi è piaciuto il concerto di ieri?”
esordì il tecnico della batteria con aria completamente
rilassata e cordiale.
“Vogliamo
una foto con loro! Shavo, oddio... Shavo! Ti ricordi di ieri? Ero in
prima fila!” strillò una tizia, avvicinandosi a lui e
cercando di scansarlo per potermi raggiungere.
“Sì,
mi ricordo” mentii. Ma come potevo aver presenti tutti i visi
che si erano susseguiti in quelle due settimane di concerti? Sarei
stato una specie di supereroe, ma la mia memoria era decisamente
troppo scadente.
“Mi
potete autografare questo?” domandò un ragazzino sui
sedici anni, ficcandomi in mano la sua copia di Toxicity.
“Shavo,
Shavo! Mi puoi regalare un plettro?” se ne uscì un altro
ragazzo.
“Bassista,
potresti chiedere a Daron di venire qui?” fece un'altra fan,
cercando di scrutare oltre la mia spalla nella speranza di
individuare gli altri membri.
“Ehm...
sì, aspettate, uno alla volta” tentai di calmarli con un
sorriso spaesato.
“Alt,
fermi tutti!” gridò Sako, sovrastando le voci dei
presenti. “I ragazzi hanno dei tempi molto rigidi da seguire,
non possono stare tutta la sera qui!”
In
pochi però lo ascoltarono.
Anche
John e Serj, vedendomi in difficoltà, vennero fuori e
cominciarono ad accontentare qualcuno.
Sapevo
che Daron, codardo com'era, non sarebbe uscito finché la folla
non si fosse dispersa. Peccato che tutti stessero chiedendo di lui e
non sembravano intenzionati ad andarsene senza averci avuto a che
fare.
“Daron
non è qui. È dovuto partire prima per via di un
impegno” improvvisò abilmente Serj quando tra la folla
si diffuse un coro che ripeteva il nome del chitarrista.
“Bene,
è stato un piacere passare un po' di tempo con voi”
intervenne nuovamente Sako dopo qualche minuto, “ma la
receptionist dell'albergo si sta parecchio incazzando e ha minacciato
di chiamare la polizia se il marciapiede non viene liberato nel giro
di cinque minuti!”
Non
sapevo se ciò che stava dicendo fosse vero, ma ormai avevo una
decina di persone appese addosso per foto e autografi e sfoggiavo un
sorriso talmente finto che credevo mi sarebbero presto cadute le
mascelle. Volevo solo una canna, un letto e un po' di sano relax.
“Quindi
niente Daron?” insistette qualcuno.
“Non
c'è” ribadì Serj, cercando di mantenere la calma.
“Gli porteremo i vostri saluti, promesso!”
Liquidammo
in fretta i nostri seguaci, che iniziavano a essere insistenti e
pesanti, e ci dirigemmo con tutta la squadra di tecnici verso il
nostro tour bus. Mancavano solo Daron e Beno all'appello; sicuramente
ci avrebbero raggiunto quando il nostro compagno di band si sarebbe
sentito abbastanza sicuro.
“C'è
una cosa che non capisco” cominciò John una volta seduto
in un posto vicino al finestrino. “Che senso ha gridare tutti
assieme e spintonarsi come pazzi? Io potrei dedicare tutta la serata
ai fans, se le cose si facessero civilmente e ordinatamente!”
“Ma
John, che carini, sono così contenti di vederci!” lo
contraddissi. In fondo tutte quelle persone mi facevano tenerezza,
sapevano regalare un affetto spiazzante.
“C'è
modo e modo per manifestarlo” fece notare lui.
“Siete
fottutamente coraggiosi” affermò Greg, sfogliando per
l'ennesima volta le foto scattate nei giorni precedenti.
Il
mio cellulare prese a trillare, avvisandomi di una chiamata in
arrivo. Era Johanna.
“Pronto,
Jo Dolmayan?” risposi con una risatina.
“Spiritoso!
Come va, turista in quel di Irvine? Disturbo?” domandò
lei in tono allegro.
“No,
stiamo aspettando Daron che si è rifiutato di uscire
dall'albergo per evitare una folla di fans esaltati, non siamo ancora
partiti. Meno male che siamo già in California e non ci vorrà
molto per arrivare a casa!”
La
ragazza sbuffò. “Che acido Daron, sempre il solito!
Comunque, ti ho chiamato per invitare personalmente te e i tuoi
amichetti a un party di bentornati!”
“Che
emozione, un invito ufficiale! Sarebbe?”
“Abbiamo
un concerto domani sera in un locale nella zona del molo. Ecco,
pensavo che sarebbe una bella occasione per incontrarci, così
ci raccontate com'è andata! Che ne dite?”
Setacciai
mentalmente la lista dei miei impegni e appresi che per la sera
successiva, ovvero venerdì 26, non avevo nulla di prefissato.
“Okay, io ci sto! Ora chiedo agli altri, dato che sono con
loro.” Mi voltai verso John e lo interrogai: “Domani c'è
un concerto dei Souls. Vieni a ubriacarti con me?”.
“Ovvio!”
“Tu,
Serj? Ci sei?”
“Non
lo so, vediamo se Angela mi lascia uscire” scherzò il
cantante con un'alzata di spalle.
“Ma
è una delle gemelle psicopatiche?” domandò Sako
curioso.
“Chi
era quello, Sako?” chiese Johanna palesemente divertita.
“Un
attimo, mi state confondendo le idee!” farfugliai.
“Siamo
arrivati!” L'urlo di Daron mi fece sobbalzare: aveva fatto il
suo ingresso nel bus in maniera poco delicata, aveva sbattuto la
portiera rischiando di colpire Beno in faccia e aveva scaraventato in
malo modo il suo trolley a terra, facendo tremare tutta la vettura.
“Perché
psicopatiche?” volle sapere Serj, aggrottando le sopracciglia e
fissando Sako.
“Malakian,
smettila di fare lo spiritoso o ti scarichiamo in autostrada!”
Beno rimproverò scherzosamente Daron, incrociando le braccia
al petto.
“Ehi,
cos'è tutto questo casino? Passami Sako, che gliene dico
quattro!” esclamò Johanna, sempre più presa da
quella situazione.
Tremendamente
confuso, lasciai il telefono nelle mani del tecnico della batteria e
mi presi la testa tra le mani. Avevo dormito troppo poco e come
previsto il mal di testa era in agguato, pronto a stendermi. Intanto
seguivo la conversazione tra Johanna e Sako – o almeno ci
provavo, immerso in quell'enorme caos.
“Vuoi
sapere perché?... No no piccola, io ti adoro e non vedo l'ora
di farti da tecnico della batteria, però quando eravamo al
Grin e voi avete cominciato a urlare per i Dub Inc avete attirato
l'attenzione di tutto il locale... esattamente, sembravate delle
pazze fuggite dal manicomio!... Sì, anche quel giorno in sala
prove parevate fuori di testa... Okay, quindi sono io che non capisco
niente... Vabbè, ti do una bella notizia: domani sera non ho
niente da fare, se vuoi vengo a vedervi e così mi potrai
picchiare... no, non ti conviene usarmi come rullante, non ho un buon
suono, e te lo dico perché John ci ha provato tante volte...”
“Because
you're too serious, you gonna make me delirious!” stava
intanto canticchiando Daron rivolto a John; quest'ultimo sembrava una
mummia, aveva messo su un'espressione estremamente seria e non faceva
che guardare fuori dal finestrino.
“Sai
che domani i Souls hanno un concerto?” se ne uscì
all'improvviso il batterista.
“Bene,
così rivedrò le mie dolcezze prima di partire in
Europa!” esclamò il chitarrista.
“Io
ti consiglio di andarci piano con Ellie...”
E
poi non sentii altro. Ero talmente stanco e assonnato che non avevo
saputo resistere. Il borbottio del motore poi era per me come una
dolce ninna nanna.
Forse
ero un caso perso, forse avevo il sonno molto pesante, ma riuscii a
riposare nonostante l'incessante accavallarsi di voci all'interno
dell'abitacolo.
♫
Ellie ♫
“Mi
ha messo mi piace anche stavolta” sbuffò Johanna
contrariata. “E mi ha scritto «buona fortuna» con
un cuoricino!” sbottò ancora, armeggiando con il suo
cellulare e contemporaneamente con le chiavi della macchina.
“Avevi
condiviso l'evento di stasera?” mi informai, stringendomi nella
mia leggera giacca turchese.
“Sì”
confermò. Buttò il telefono nella sua borsa e si guardò
attorno. “Rockin' Together, dovrebbe essere questo”
affermò poi, indicando un locale dalla facciata piuttosto
tetra e sinistra: le pareti erano grigie, l'entrata consisteva in una
pesante porta in metallo e sull'insegna, fregiata e provata dal
tempo, si leggeva a malapena il nome del bar.
“Ma
davvero dobbiamo suonare in questa bettola?” protestò
mia sorella storcendo il naso.
“Guarda
il lato positivo: ti hanno messo a disposizione una batteria e non
l'hai dovuta montare tu. Però, aspetta un momento!” Le
posai una mano sulla spalla prima che potesse allontanarsi da me ed
entrare nel locale. “Perché le attenzioni di Miles ti
danno così fastidio?”
Lei
si voltò verso di me e incrociò le braccia al petto.
“Che domande fai? Mi conosci, no? Da giorni non fa che mettermi
likes a ogni post! E poi ieri mi ha mandato il buongiorno, ma ti
rendi conto? È uno squilibrato, ci sta provando senza nemmeno
conoscermi!”
“Tu
te la prendi troppo per questa cosa! Che ti cambia un like in più?
Mica si apposta sotto casa nostra, in fondo non fa nulla di male”
tentai di rassicurarla. Non mi piaceva vedere Johanna così
nervosa, non era da lei; in genere quella che si agitava per tutto
ero io, ma sapevo che mia sorella non sopportava le insistenze, la
mandavano completamente fuori di testa.
“Come
mai lo difendi?” indagò lei aggrottando le sopracciglia.
“Non
lo difendo, penso solo che tu gli dia troppo peso.”
“Staremo
a vedere. Se continua di questo passo lo rimuoverò dagli
amici” concluse, posando la mano sulla maniglia e facendomi
strada all'interno del Rockin' Together.
“Questo
posto è uno schifo” brontolò Noah scuotendo la
testa.
“Ma
no, dai, hanno anche la mia birra preferita!” obiettò
Jacob con un sorriso, brandendo la bottiglia che aveva in mano.
“Smettila
di bere, altrimenti ci farai fare una figura di merda durante il
concerto” lo rimproverò Johanna.
“Che
palle, solo perché tu sei astemia! Sono più affidabile
del chitarrista dei Judas Priest!”
Scoppiai
a ridere sguaiatamente e diedi una pacca sul braccio del mio amico.
Noi
quattro eravamo appollaiati dietro il palco, dove potevamo tenere
d'occhio l'intero locale, in attesa che arrivasse il momento di
salirvici sopra. Durante un veloce soundcheck di un paio d'ore prima
ci eravamo resi conto che l'audio lasciava parecchio a desiderare, il
suono rimbalzava tra le pareti ed era tutto troppo confuso. Inoltre i
tavolini erano insufficienti e malmessi, l'ambiente era piccolo e i
clienti abituali non avevano fatto altro che squadrarci con
indignazione e lanciarci occhiatacce.
“Comunque
c'era da aspettarselo: prima o poi avremmo trovato un locale
scadente, è normale quando si gira per concerti” dissi
quando mi fui ripresa dalle risate.
“Mi
dispiace che i System debbano assistere al nostro peggiore concerto”
mormorò il bassista deluso.
“Ma
loro terranno in conto la nostra performance” lo rincuorò
Johanna.
“Ehi
piccolo Sting, dov'è la tua donna?” intervenne Jacob in
tono malizioso.
“Forse
oggi non riuscirà a venire.”
Mi
sorpresi della mia stessa reazione. Quella notizia avrebbe dovuto
rallegrarmi, invece non mi fece né caldo né freddo.
Anzi, sarei stata più contenta se Kate fosse stata presente:
era diventata una nostra fan assidua, ci avrebbe di sicuro
supportato.
Da
quando avevo iniziato a parlare con Shavo del mio problema, questo
aveva cominciato a dissolversi lentamente. Forse il mio amico era
stato davvero una cura per me, mi aveva aiutato a distrarmi e
superare quel momento difficile.
“A
proposito di System!” esclamò mia sorella
all'improvviso, balzando in piedi e puntando lo sguardo verso
l'ingresso.
Io,
Noah e Jacob volgemmo contemporaneamente la nostra attenzione in
quella direzione e constatammo che John, Shavo, Daron e Sako erano
giunti, puntuali e sorridenti, per assistere al nostro live.
Dalla
zona del bancone si levò una bestemmia che sovrastò le
chiacchiere dei clienti. Sgranai gli occhi quando la barista lasciò
la sua postazione come un fulmine e si precipitò praticamente
addosso ai nostri amici. “Oh merda, oh merda, oh merda! Ma voi
siete i System Of A Down, porca troia! Non potete nemmeno immaginare
quanto ci onora avervi qui!” strepitò ancora la tizia,
stringendo ognuno dei membri della band in un abbraccio, a eccezione
di Sako.
Vedendo
i poveri malcapitati in difficoltà, capimmo che era il caso di
intervenire e porre fine a quella patetica scenetta. Così ci
avvicinammo e feci giusto in tempo a sentire la barista che
sproloquiava: “Oh, quindi siete amici dei musicisti? Capisco...
beh, certo che sono fortunati, hanno un pubblico rinomato allora!
Comunque, accomodatevi pure, occupate pure tutti i tavolini e le
sedie che volete... e ovviamente, dato che siete i nostri ospiti
speciali, tutto quello che consumerete sarà gentilmente
offerto da noi!”.
“Ma
che cazzo... a noi, che saremmo gli artisti della serata, hanno messo
a disposizione quattro sedie e un tavolino di merda” borbottò
Johanna al mio orecchio, indignata.
Daron,
palesemente stanco di stare a sentire le fesserie dell'ennesima fan
esaltata, decise di usarci come espediente per sfuggire dalle sue
grinfie: si buttò praticamente addosso a me e mia sorella,
stringendoci in un abbraccio. “Ragazze, che piacere vedervi! Mi
siete mancate tanto! Allora, come va? Sono curioso di vedere il palco
in cui suonerete!”
Detto
questo, prese entrambe per un polso e ci trascinò il più
lontano possibile dall'ingresso.
“Daron,
dobbiamo andare a salvare e salutare gli altri!” sbottò
Johanna, divincolandosi dalla sua stretta e tornando indietro.
Probabilmente
non l'aveva fatto apposta, ma mi aveva lasciato da sola con Daron e
la cosa mi metteva in soggezione, soprattutto perché lui non
mi levava gli occhi di dosso nemmeno un secondo.
Pensai
a una scusa per seguire mia sorella, ma non mi venne in mente niente.
Così decisi di prenderla con filosofia e cercare di aprire una
conversazione con il chitarrista.
“Allora,
Daron, com'è andato questo tour? È stato stancante?”
“Alla
grande, ma preferisco sempre l'Europa, non so perché. E sì,
sono molto stanco, ma per la mia dolcezza preferita ho voluto fare un
sacrificio!”
Sorrisi,
cercando di non dare troppo peso a quel suo sguardo ammiccante che mi
metteva tanto in imbarazzo. “Che dolce, grazie!”
Improvvisamente,
a salvarmi dalla situazione bizzarra in cui mi trovavo, due braccia
mi circondarono e qualcuno mi attirò a sé con una
dolcezza e un trasporto che non avrei mai potuto confondere. “Non
mi scappi più!”
“Eh
Shavo, mi dispiace dirtelo, ma tra poco salirò sul palco e non
credo che potrai stare appeso a me per tutto il tempo.”
“E
chi lo dice?”
“Giù
le mani dal mio tesoro!” si rivoltò Daron,
impossessandosi come al solito del bordo del mio foulard.
“Dodici!
Dolmayan, vaffanculo, la soluzione è dodici!” strillò
Sako, facendomi sobbalzare. Non avevo ancora avuto modo di salutarlo,
ma lui e Johanna avevano subito preso a conversare e battibeccare.
“Ma
che diamine sta dicendo?” domandai confusa, mentre Shavo
scioglieva l'abbraccio.
“Un
rompicapo stupido che John ha portato fuori l'altro giorno...”
spiegò Daron con indifferenza.
“I
rompicapo non sono stupidi” obiettai.
“E
invece sì. Sono creati apposta per incasinarti e farti sentire
un deficiente, ma in realtà sono delle enormi cazzate.”
MI
avvicinai a Sako, John e Johanna per capire di cosa si trattava. La
matematica non era il mio forte, ma quei giochetti mi incuriosivano.
“Come
ci sei arrivato?” domandò John.
“L'ho
risolto insieme a Johanna!” cominciò a raccontare lui.
“Bene,
l'unione fa la forza!” se ne uscì Jacob a sproposito;
probabilmente non stava nemmeno seguendo la conversazione.
“Veramente
l'ho risolto io, lui ascoltava e basta!” precisò mia
sorella dando di gomito al tecnico della batteria.
“Ah,
allora chi fa da sé fa per tre!” intervenne ancora
Jacob, per poi allontanarsi e andare a importunare Daron.
Mi
strinsi nelle spalle, basita.
“Allora,
il primo passo era scoprire quanti balli sono stati fatti in tutto
durante la serata” spiegò Johanna. “Per farlo
bisogna moltiplicare il numero dei ragazzi per il numero dei balli
che ciascuno ha fatto, quindi nove per quattro, che dà
trentasei.”
John
annuì, mentre nella mia mente cominciò a rimbombare la
36 dei System. Non era una delle mie canzoni preferite –
anche perché, per la sua durata non poteva essere considerata
una canzone – ma quando sentivo nominare quel numero non potevo
non associarla a quella traccia di Steal This Album!.
“Per
capire quante ragazze erano presenti, non restava che dividere il
numero dei balli totali per il numero dei balli che ciascuna ragazza
ha fatto: quindi trentasei diviso tre uguale dodici. È una
fesseria! Non ci posso credere che questo tecnico della Tama non ci
sia arrivato!”
“Ma
Sako è stupido, è risaputo!” esclamò John.
“Ragazzi!
È ora di suonare!” annunciò Noah, interrompendo
tutte le nostre conversazioni.
“Evviva!”
esultò Shavo, preparando la fotocamera del cellulare per
qualche scatto.
Quel
giorno ero più agitata del solito, forse perché
conoscevo una parte del mio pubblico. O forse perché sapevo
che il risultato non sarebbe stato il massimo per una serie di
problemi indipendenti da me.
Ma
mi bastò stringere forte una mano a Johanna prima di entrare
in scena, e tutto mi sembrò più facile.
“Allora,
inizieremo dall'Italia: suoneremo a Milano” stava raccontando
Shavo.
Io
e i miei amici, dopo il live, ci eravamo riuniti tutti insieme
attorno a un tavolino. Dato che prima non ce n'era stato il tempo,
avevamo chiesto ai ragazzi dove si fosse cacciato Serj e loro avevano
spiegato che era rimasto imbottigliato in una cena assieme ad Angela
e alcuni loro amici.
Mi
dispiaceva non averlo potuto riabbracciare, ma in un certo senso ero
contenta che non avesse assistito a quello scempio che, purtroppo, si
era rivelato il nostro concerto.
Poi
avevamo chiesto loro informazioni sull'imminente tour europeo che li
avrebbe tenuti lontani da casa per circa tre settimane.
L'Europa
affascinava un po' tutti e volevamo saperne di più: inoltre i
SOAD avevano suonato già un sacco di volte in quel continente
e conoscevano già qualche posto.
“Milano?
Wow! Però ho sentito dire che ci sono città migliori in
Italia” commentò Noah.
“Serj
è in fissa con Firenze” raccontò Daron. “Io
sinceramente preferisco Paesi nordici come la Finlandia e la
Norvegia!”
“A
me piacerebbe la Spagna!” disse Jacob.
“Ci
suoneremo una volta quando saremo in tour tutti assieme” gli
ricordò John.
“Davvero?
Oh chicos, ci daremo alla pazza gioia!”
“Souls!”
Un
grido alle mie spalle mi fece prendere un enorme spavento. Non avevo
idea di chi potesse essere: la voce non mi era familiare.
Johanna,
seduta dalla parte opposta del tavolino, aveva già avuto modo
di riconoscere il proprietario di quella voce. La sua reazione non mi
piacque affatto: inizialmente era sbiancata e un secondo dopo il suo
viso era andato a fuoco, potevo quasi vedere il fumo che le usciva
dalle orecchie.
Mi
voltai di scatto e rimasi di sasso.
“Miles?”
mi lasciai sfuggire.
“In
carne e ossa!” rispose lui, battendosi una mano sul petto.
Subito
il mio istinto mi suggerì di correre da mia sorella, ma
chiaramente non potevo comportarmi ineducatamente con lui: mi misi in
piedi e gli tesi una mano, sorridendo appena. “Piacere, io sono
Ellie, la cantante. Credo che tu lo sappia già, se hai
assistito al concerto.”
“Il
piacere è tutto mio! Sì, alla fine sono riuscito a
venire: in genere quando decido di intervistare un gruppo faccio in
modo di assistere almeno a un suo concerto!”
“Oddio,
oggi non è andata proprio bene...”
“C'erano
parecchi problemi di audio in effetti, ma voi siete stati tutti
bravissimi! Ora, se permetti, vorrei presentarmi agli altri
componenti della band... okay?”
“Ma
certo! Sanno già chi sei, ma bassista e chitarrista non hanno
visto nessuna tua foto.”
Miles
cominciò a girare attorno al tavolo e presentarsi con
entusiasmo a tutti. Non diede segno di riconoscere i membri dei
System; forse non aveva dimestichezza con il loro genere musicale.
Johanna,
da brava attrice che era, lo salutò cordialmente e conversò
con lui senza mostrarsi infastidita. In effetti Miles pareva un
ragazzo a posto, molto meno invadente di come l'avevo immaginato, in
certi momenti perfino troppo discreto e riservato.
Nel
frattempo potei osservarlo senza dare nell'occhio: era alto più
o meno quanto me, indossava una leggera giacca in jeans blu scuro su
una camicia bianca, un paio di jeans neri e delle scarpe da
ginnastica bianche; i capelli biondi erano leggermente scompigliati.
Tutto
sommato non era male, anche se non lo trovavo adatto a me. Inoltre in
quel periodo non pensavo ai ragazzi, non me la sentivo ancora di
rivolgere le mie attenzioni a qualcuno.
“Ragazzi,
io devo scappare” annunciò Miles dispiaciuto dopo
qualche minuto. “Vorrei tanto trattenermi di più con voi
e conoscervi meglio, ma oggi sono di fretta. Mi ha fatto comunque
tanto piacere sentirvi dal vivo e incontrarvi, spero che ricapiti
presto un'occasione del genere!”
“Amico,
puoi aggiungerci su facebook!” Jacob l'aveva evidentemente
preso in simpatia, nonostante i due a primo impatto sembrassero così
diversi.
Miles
mi si avvicinò per salutarmi con due baci sulle guance. “Io
intanto preparo le domande, domani dovrei riuscire a mandarvele.”
“Grazie
mille, sei stato davvero gentilissimo a proporci questa intervista.
Spero di rivederti presto a qualche altro concerto!”
“Contaci!
Ciao, buona serata a tutti!” si congedò, dirigendosi
frettolosamente verso l'uscita.
Più
tardi, mentre io e Johanna rincasavamo, ripensai ai fatti accaduti
durante la giornata.
“Jo?”
“Dimmi.”
“Miles
non è poi così male, vero?”
“Devo
ammettere che mi ero sbagliata: sembra un tipo simpatico e
tranquillo” sentenziò con il sorriso nella voce. “Ma
se continua a insistere su facebook gli tolgo l'amicizia lo stesso!”
Scoppiai
a ridere. “Sei assurda!”
♫
Grégory ♫
Quella
sì che era un'annata di fuoco! Non avrei mai pensato che il
nuovo album dei miei amati Dub Inc potesse riscuotere tanto successo.
Era
davvero grandioso poter viaggiare per il mondo e portare la nostra
musica in tanti Paesi diversi, ma spostarsi senza sosta era anche
incredibilmente sfiancante.
“Zigo?”
mi richiamò la voce di Moritz, strappandomi dalla sorta di
dormiveglia in cui ero entrato, ancora seduto dietro la mia batteria.
“Eh?”
bofonchiai, sollevando lo sguardo sul bassista.
“Mi
sembri un po' stanco, ma giusto un pochino...” osservò
in tono ironico.
“Si
vede?”
“Ma
Jérémie?” sbuffò Idir, uno dei nostri due
tastieristi, profondamente infastidito.
In
effetti noi prendevamo molto sul serio le prove: quella mattina però
ci eravamo dovuti interrompere perché alle orecchie di Jérémie
erano giunte delle strane voci e aveva deciso di indagare meglio
attraverso qualche telefonata. Non aveva voluto anticiparci niente,
ma ormai tutti noi eravamo stanchi di aspettare, anche per via della
crescente curiosità.
“Hakim
dovrebbe essere con lui, ma non risponde” ci comunicò
Aurélien, che girava per la stanza con il cellulare
all'orecchio.
“E
se provassimo senza di loro?” propose Moritz, accennando una
linea di basso che in quel momento non riuscii ad associare a una
canzone.
“E
come facciamo senza il chitarrista e uno dei cantanti?” mormorò
l'altro, mettendo via il telefono dopo aver appreso che insistere non
sarebbe servito a niente.
“Ritz
ha ragione: possiamo provare le canzoni in cui canti solo tu, no?”
proposi, lanciando un'occhiata complice ad Aurélien. Lui
scosse la testa, facendo oscillare i suoi lunghi dreadlocks.
Calò
il silenzio per qualche istante.
Poi
all'improvviso la porta della sala prove si spalancò e un
grido del chitarrista ci colse alla sprovvista: “Porca puttana,
non avete idea di quello che ho scoperto!”
“Ma
che problemi hai?” si rivoltò Idir, abbandonando la sua
postazione dietro le tastiere.
Jérémie,
palesemente sconvolto, fece qualche passo avanti in modo che anche
Hakim potesse entrare nella stanza. Quest'ultimo scosse la testa.
“Ah, non chiedete a me, non mi ha voluto dire niente!”
“Sono
curioso!” esclamai, ora completamente sveglio e attento.
“Okay,
allora, con calma...” cominciò Jérémie,
afferrando la sua chitarra e cominciando a torturare nervosamente la
tracolla. “Avete presente il festival di Saint-Étienne,
il M(us)ix Festival, dove suoneremo anche noi?”
“Certo!”
confermammo tutti quasi in coro.
“Bene,
non immaginate che concerto apriremo...”
“Certo,
se non ce lo dici non lo possiamo immaginare” gli fece notare
Hakim con impazienza. Il cantante aveva una curiosità fuori
dal comune, odiava la suspance.
“Io
pensavo che saremmo stati noi i big della serata!” se ne uscì
ingenuamente Frédéric, l'altro tastierista, per poi
arrossire.
La
scena mi fece ridacchiare sotto i baffi.
“Apriremo
i System Of A Down! Okay, l'ho detto!” sbottò infine il
chitarrista tutto d'un fiato, per poi lasciarsi andare a un grido di
gioia.
Mi
caddero le bacchette dalle mani e rischiai di perdere l'equilibrio
perfino da seduto. Il cuore mi martellava nelle tempie, quasi
sovrastava il baccano generale che si era diffuso in tutta la stanza.
“Cosa?
No, questa è una cazzata, ti hanno raccontato una balla!”
esplosi, balzando in piedi e piazzandomi di fronte a Jéeémie.
“Ma
stai scherzando?” aggiunse Moritz portandosi una mano sulla
fronte.
“Oddio,
suonerò di fronte a John Dolmayan...” borbottavo,
incredulo. Non era la prima volta che mi trovavo a lavorare con
artisti importanti o che stimavo, ma quella notizia assurda mi aveva
completamente destabilizzato.
Il
che era strano, perché in genere ero una persona abbastanza
mite e temperata.
“Oh,
i SOAD! Sì, ho capito chi sono: le loro canzoni sono una
figata, hanno una palese influenza orientale!” commentò
Hakim con un sorriso rilassato. Come faceva a non fare mai una piega?
Intanto
Idir, preso dall'entusiasmo, si era impossessato della mia batteria e
la suonava a caso per festeggiare. Era uno scempio, ma non avevo le
forze per proteggere il mio povero strumento.
Per
la prima volta nella nostra vita, trascorremmo una mattinata del
tutto controproducente in sala prove. Non provammo nemmeno mezza
canzone; in compenso festeggiammo, fumammo, strimpellammo B.Y.O.B.
senza il minimo impegno e la minima serietà.
E
cercammo di non pensare troppo a ciò che ci attendeva.
♪ ♪ ♪
Bene,
signori e signore (?)
Il
WOAD continua indisturbato, ed ecco quindi un nuovo capitolo di
questa storia!
Come
già accennato all'inizio, mi rendo conto che una canzone come
36, della durata di neanche un minuto, non sarà mai un
sottofondo adeguato a un capitolo di millemila parole, ma avrete
sicuramente notato il riferimento al numero, importante indizio per
la risoluzione dell'indovinello XD
Sicuramente
alcuni di voi saranno confusi dall'ultimo pov: tutti chiamano il
batterista del Dub Inc “Zigo”, almeno quando gli si
rivolgono, mentre all'inizio del pov c'è scritto “Grégory”.
Questo semplicemente perché Zigo è il suo “nome
d'arte”, il suo soprannome, e i suoi amici lo chiamano così
^^
Mi
rendo conto che, per chi non conosce i Dub Inc, ora ricordare tutti
questi nomi sarà complicato. Non vi preoccupate: li rivedremo
con calma più avanti!
Nel
caso foste interessati, ho scritto da poco una one shot su di loro,
la mia prima fanfic sul gruppo francese... magari vi può
aiutare a memorizzarli e ad assegnare a ognuno una caratterizzazione
più precisa!
Odio
farmi pubblicità, ma ve la linko lo stesso, almeno potrete
raggiungerla con più facilità:
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3713820&i=1
Sapete,
fa un po' strano scrivere di loro, soprattutto di Moritz, che ho
avuto il piacere di incontrare di persona l'anno scorso... ma mi sta
piacendo un casino e non vedo l'ora che i ragazzi partano in Europa
per poter scrivere ancora di loro *-*
Grazie
mille ai seguaci e lettori della storia, siete dolcissimi e
fantastici! :3
A
mercoledì prossimo con il secondo capitolo della mia raccolta
systemosa delirante!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** You can't tell me that I'm wrong ***
You
can't tell me that I'm wrong
System
Of A Down - Pictures
♫
Johanna ♫
Souls:
quattro anime che si sono unite in una band dalle sonorità
allegre e cupe allo stesso tempo. Originari di Los Angeles, i quattro
musicisti hanno iniziato il loro percorso insieme nel 2008 e hanno
cominciato a esibirsi per i locali della città nella primavera
del 2009.
Con
un nuovo singolo in uscita a metà giugno e un imminente
minitour – annunciato solo un paio di giorni fa sulla pagina
facebook ufficiale –, si sono resi disponibili a un'intervista
esclusiva per spiegare tutte le importanti novità che li
vedranno protagonisti nei mesi a seguire.
Nello
specifico, è stata Johanna, la batterista, a rispondere alle
mie domande; andiamo, quindi, a conoscere questa fortissima band
emergente!
Ciao
Johanna, o forse dovrei chiamarti Jo, dato che nella formazione sei
stata registrata così. Direi che il primo passo sono le
presentazioni: parlaci dei Souls, spiegaci chi siete e da cosa è
nato il vostro progetto musicale.
Ehilà
Miles! Innanzitutto grazie mille per averci chiesto quest'intervista
e averci ospitato nel tuo sito, che è davvero una figata!
I
Souls sono semplicemente quattro persone (io alla batteria, mia
sorella gemella Ellie alla voce, Jacob alla chitarra e Noah al basso)
con una passione smisurata per la musica, ma soprattutto unite da una
profonda amicizia. È questa la base di tutto: l'amicizia, è
proprio lei che fa funzionare nel modo giusto ogni cosa!
L'idea
della band è nata quasi per caso: ci conoscevamo già da
qualche tempo, anche se inizialmente con bassista e chitarrista non
c'era chissà quale rapporto. Poi un giorno ci siamo ritrovati
a conversare in un bar, una sera, al compleanno di un conoscente
comune... e da lì BOOM, è stato “amore” a
prima vista!
Abbiamo
provato a suonare tutti assieme un giorno, e semplicemente ci siamo
trovati bene. Da lì non ci siamo più separati: è
come se fossimo sposati, non possiamo fare a meno di stare insieme,
sia nella vita che nella musica!
Molti
lettori di quest'articolo si staranno chiedendo: che genere musicale
suonano i Souls? Da chi prendono ispirazione?
Oh,
noi siamo un po' tutto, una specie di casino musicale! I principali
generi che influenzano le nostre canzoni sono il rock, il metal e il
reggae. Lo so, una fusione un po' strana, ma basti pensare ai The
Police per capire subito a cosa miriamo!
Ma
non finisce qui: mischiamo al tutto un po' di soul, funky, musica
popolare proveniente da diverse culture (per esempio io nell'intro
dei nostri concerti utilizzo una darbuka, tamburo di origine araba) e
chi più ne ha più ne metta!
I
gruppi a cui ci ispiriamo? System Of A Down, The Police, Dub Inc
(gruppo reggae francese, non credo che qualcuno li conosca), Rage
Against The Machine e un po' tutto il rock/metal, fino alle reggae
bands californiane come Tribal Seeds e Groundation. Lo so, per chi
non è appassionato del genere questi sono solo nomi, ma in
realtà sono la nostra ispirazione!
Sulla
vostra pagina facebook avete annunciato oggi stesso l'uscita del
vostro primo singolo – accompagnato da relativo video –
in uscita il 16 giugno. Parlaci di questa canzone!
Con
piacere! Il nostro primo singolo si chiama Eagles
e no, non è dedicato agli Eagles, anche se se lo
meriterebbero!!!
Bene,
dopo questa battutaccia posso tornare seria!
È
un brano composto l'anno scorso, nel 2010, e che abbiamo già
proposto varie volte dal vivo. Parla di libertà, e per questo
abbiamo pensato che lo dovesse accompagnare un video semplice,
genuino, senza troppi fronzoli. Libero, appunto.
Preferisco
però non aggiungere altro, per non rovinare la sorpresa!
Dato
che siete entrati in studio di registrazione, dobbiamo sperare in un
futuro primo album per i Souls?
Assolutamente
sì, stiamo lavorando per questo! Ci sentiamo carichi e pronti
per registrare i nostri brani inediti, e ti dirò di più:
siamo già a buon punto! Speriamo di riuscire a farvelo
ascoltare entro quest'estate!
Ora
arriva una domanda bomba: copierò qua sotto il post che è
comparso nella vostra pagina un paio di giorni fa e poi ti lascerò
la parola per spiegare meglio.
«NOTIZIE
ROVENTI DAL FRONTE SOULS!!!! PREGO, UN PO' D'ATTENZIONE!!!!
Siamo
lieti di annunciarvi tre date SPECIALI del nostro tour, che si
terranno a ottobre e novembre! Dove di preciso?
NEL
CONTINENTE EUROPEO!!!!!
Avete
capito bene! Ma... non è finita qui!
Con
grandissima emozione e commozione (perché mai ci saremmo
aspettati qualcosa del genere), vi comunichiamo che per queste tre
tappe saremo il gruppo spalla ufficiale dei mitici System Of A
Down!!!
No
no, non ci siamo inventati tutto! :D
PRONTI???
VIAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!
///
9
OTTOBRE – M(us)ix Festival (Saint-Étienne, Francia)
31
OTTOBRE – Hartwall Fest (Hartwall Arena, Helsinki, Finlandia)
4
NOVEMBRE – Rock In Dub (Dublino, Irlanda)»
Beh...
penso che il tutto si sia spiegato da solo!!!
Già:
ancora non ci possiamo credere, ma a ottobre partiremo per questo
minitour al fianco dei SOAD, una delle band che più di tutte
ci ispira per la nostra musica! È davvero una grandissima
emozione e un onore per noi.
Vuoi
sapere come è successo? Anche questo per caso in realtà:
semplicemente ce l'hanno domandato. Abbiamo avuto il piacere di
aprire un loro concerto, al Trobadour a dicembre 2010, e loro hanno
gradito molto la nostra performance. Ci hanno visto anche qualche
altra volta suonare e... ci hanno colto alla sprovvista, ma dopo
qualche attimo di titubanza iniziale abbiamo capito che non potevamo
lasciarci sfuggire quest'occasione d'oro!
Prima
di concludere, ti faccio una domanda che rivolgo a tutti gli artisti
che intervisto: hai qualche consiglio per i nuovi musicisti in cerca
di affermazione? Vuoi dire qualcosa in particolare a chi, come te,
sta affrontando la vita da emergente?
Avrei
tanto da dire agli artisti emergenti, ma la faccio breve: non
arrendetevi. Nella vita troverete gente che cercherà in tutti
i modi di ostacolarvi, che vi dirà “ma andate a lavorare
al posto di strimpellare”, che vi darà dei falliti, che
non vi pagherà le serate... ma voi, se ci credete davvero,
andate avanti a testa alta. E cercate il supporto dei vostri amici,
che sono quella nota dolce anche durante le giornate più
negative.
E,
mi raccomando, spaccate tutto!!!
Jo,
grazie davvero per il tuo fantastico intervento! Sei stata
gentilissima ed è stato un piacere porti qualche domanda!
E
complimenti ai Souls, che hanno avuto il coraggio di andare sempre
avanti a testa alta e infine stanno riuscendo a conquistare
importanti risultati!
Vi
lascio qua sotto tutti i link ai loro canali ufficiali, in modo che
possiate rimanere aggiornati su tutte le novità!
“Oh, è
carinissima!” commentai con entusiasmo, quando giunsi al
termine dell'articolo.
“Io però ti ho
dato un consiglio e non mi hai voluto ascoltare! La battuta sugli
Eagles fa cagare” ribadì Jacob accigliato.
“Non è vero, è
un'intervista strepitosa!” intervenne Melanie, prendendo le mie
difese.
“Lo penso anch'io”
convenne Noah.
“La condivido subito
anche nel mio profilo!” esclamò Ellie armeggiando col
suo cellulare.
Quella mattina noi cinque
avevamo preso un treno diretto verso San Diego: eravamo riusciti a
ottenere un concerto in quella splendida città tramite delle
amicizie di Jacob. Avevamo pazientemente atteso quella data e ora
finalmente era giunta.
Per l'occasione, anche
Melanie aveva deciso di partire con noi.
Eravamo tutti molto
emozionati.
Il caso volle che proprio
quella mattina Miles pubblicasse sul sito la nostra intervista. Mi
ero divertita a rispondere alle domande, dato che il resto dei Souls
mi aveva assegnato questo compito; comunque avevo fatto leggere a
tutti l'intervista prima di spedirla a Miles, mi sembrava giusto
chieder loro se si trovavano d'accordo con ciò che avevo
scritto.
“Ma tu pensa! Entro su
facebook e mi trovo un messaggio di Shavo!” commentò mia
sorella con un sorriso divertito.
“Ah, quindi sono
arrivati! La loro prima data era in Italia, giusto?” domandai.
“Sì, mi pare
fosse a Milano. Ecco, è una foto della loro cena!”
“Peccato che per il
nostro tour non approderemo in Italia, lì si mangia bene”
bofonchiò Jacob, sistemandosi meglio nei due sedili che aveva
occupato.
Mentre io, Ellie, Melanie e
Noah avevamo occupato uno scomparto da quattro posti, Jacob era
rimasto da solo e si era impossessato dei sedili accanto ai nostri,
in modo da poter comunicare con noi. Fortunatamente il vagone era
quasi vuoto.
“Però andremo
in Spagna, e anche lì si mangia bene!” tentò di
consolarlo Noah.
“Guardate! Questo si
che è un piatto di pasta!” Mia sorella ci mostrò
la foto che il bassista le aveva inviato e tutti rimanemmo stupefatti
da quanto quel piatto fosse pieno e incredibilmente invitante.
Mi capitava di mangiare la
pasta e anche di cucinarla in casa, ma ero consapevole che non avesse
nulla a che vedere con la vera pastasciutta italiana.
Poco prima che mia sorella
potesse sottrarre lo schermo alla mia vista, su di esso fece capolino
la notifica di un messaggio su facebook e riuscii a leggere
chiaramente il nome di Miles.
Per poco non persi il
controllo di me: strinsi i pugni e i denti, mentre cercavo di non
dare a vedere la mia irritazione. Avrei voluto inveire contro Ellie e
per me fu davvero difficile evitare una scenata in treno.
Quel tizio era diventata
un'ossessione, non ci lasciava più in pace e stava diventando
davvero pedante. Ma la cosa che mi faceva maggiormente alterare era
che mia sorella gli dava corda, gli rispondeva, ci parlava e me lo
nascondeva.
“Ora rispondo a Shavo.
Gli scrivo: non è giusto che voi siate lì a divorare
piatti di pasta, mentre noi ci ritroviamo su uno squallido treno a
morire di fame!” stava dicendo Ellie con entusiasmo, ignara
della mia reazione.
“Mel, mi accompagni in
bagno?” sbottai all'improvviso. I miei tentativi di non
risultare troppo brusca andarono miseramente in fumo, dato che Noah e
Jacob mi lanciarono occhiate interrogative e confuse.
“Perché ti devo
accompagnare? Non ci sai arrivare da sola?” borbottò
Melanie contrariata.
MI misi in piedi e la
afferrai per un polso, incitandola a fare lo stesso. “Dai,
muoviti, così ti assicuri che nessuno cerchi di aprire la
porta mentre sono dentro!”
Mentre trascinavo la mia
amica lungo il corridoio del vagone, lei mi fece notare: “Comunque
ti puoi chiudere dentro a chiave”.
Arrivata davanti alla
toilette, nel piccolo ambiente tra un vagone e l'altro, mi poggiai
con forza a una parete e sbuffai. “Non ci posso credere, Ellie
parla con quello lì e non me lo vuole dire! Che palle, ma
possibile che non riusciamo più a liberarcene? Avrei dovuto
rifiutare l'intervista, cazzo!”
“Ma si può
sapere cos'hai?” mi interruppe Melanie, piazzandosi di fronte a
me e aggrottando le sopracciglia. “Dai, respira, calmati...
raccontami tutto” aggiunse poi, posandomi una mano sulla
spalla.
Feci come mi aveva
consigliato, poi cominciai a giocare nervosamente con una ciocca dei
miei capelli. “Sai già di Miles e delle sue insistenze
che non mi stanno affatto bene, no? Ecco, fino a oggi avevo
sopportato, ma prima mi sono resa conto che Ellie aveva un suo
messaggio; questo significa che ci parla, gli dà retta...”
Melanie accennò un
sorriso e scosse la testa, facendo oscillare i suoi boccoli neri.
“Fammi capire: e a te che importa? Miles non sta parlando con
te, ma con lei; posso capire che ti stia antipatico, ma magari Ellie
non la pensa come te.”
“Non mi sta
antipatico, è che... non mi convince, ha degli strani modi di
fare. Perché Ellie gli sta dietro? Non lo sopporto!”
ribadii.
“Io non vedo tutti i
problemi che vedi tu. In fondo lui non sta facendo nulla di male, e
nemmeno Ellie: stanno solo parlando. Perché non inizi a
rilassarti e dare un po' più di fiducia al prossimo?” mi
consigliò Melanie con una leggerezza e una pacatezza
decisamente irritanti.
“Parla colei che si
fida di qualsiasi essere vivente sulla faccia della Terra, e
puntualmente le va tutto male” commentai acida. “E perché
mia sorella me lo dovrebbe nascondere? Ci diciamo sempre tutto, pure
le cose più banali, lo sai” sibilai.
“Magari te lo dirà
oggi stesso. Forse non voleva metterti addosso troppa agitazione,
dato che stasera vi aspetta un concerto piuttosto importante. O
magari non voleva farlo sapere a tutti noi e non ha trovato il
momento per parlarti in privato.”
Nonostante tutto non
riuscivo a convincermi, anzi, più ci pensavo e più la
rabbia e il nervosismo aumentavano.
“Jo, dai! Sei troppo
impulsiva e te la prendi per le sciocchezze, esagerata!” cercò
ancora di sdrammatizzare la mia amica.
“Uff, mi sono
stancata. Grazie dell'auto e della comprensione” conclusi con
sarcasmo, facendo per rientrare nel vagone.
“Non dovevi entrare in
bagno?”
“Ma scherzi? I bagni
dei treni mi fanno schifo, non ci ho mai messo piede e mai lo farò.”
Percorsi velocemente il
corridoio tra i sedili e tornai al mio posto senza degnare nessuno di
uno sguardo. Melanie ci raggiunse qualche secondo più tardi.
Ripescai il mio cellulare
dalla borsa e diedi un'occhiata a notifiche e messaggi vari. Troppe
applicazioni richiedevano di essere aggiornate.
Mi ritrovai un messaggio su
facebook e impallidii quando scoprii che si trattava di Miles.
“Ancora?” sbuffai tra me, lasciando cadere il telefono
sulle mie ginocchia.
Noah, che sedeva accanto a
me, mi lanciò un'occhiata preoccupata e sussurrò: “Che
c'è?”
“Niente” tagliai
corto, indecisa se leggere il messaggio o meno.
Alla fine cedetti alla
curiosità e lo aprii.
L'intervista sta
riscuotendo parecchio successo, un sacco di gente si è
incuriosita! Grandi!!! Che ne dici se per festeggiare questo
pomeriggio beviamo qualcosa insieme? Conosco dei locali in zona Santa
Monica davvero niente male! :) Che dici? Sei libera?
Scoppiai a ridere
sonoramente, attirando l'attenzione dei miei amici e degli altri
passeggeri presenti nei dintorni.
“Questa poi! Ci
mancava solo l'appuntamento galante! 'Fanculo, forse non ha capito
con chi ha a che fare!” esclamai senza preoccuparmi dalla
possibile figuraccia in cui mi stavo cacciando.
“Cos'è
successo?” volle sapere Ellie.
Per non dare a vedere che ce
l'avevo con lei, decisi di rispondere. “Miles mi ha chiesto un
appuntamento per questo pomeriggio, solo io e lui! Ma quanto è
patetico!”
“Perché non
accetti?” mi consigliò Jacob in tono malizioso.
“Ma sei pazzo? Io,
accettare un appuntamento con un tipo?! Andiamo, mi conosci da anni!”
“Però
poveretto, magari si è davvero invaghito di te. Non trattarlo
troppo duramente” si intromise Noah, sempre buono e sensibile.
Certe volte perfino troppo.
“Ehi, sono sfacciata e
impulsiva, ma non maleducata. Ma che non rompa troppo le palle,
altrimenti rischia di portare fuori il lato peggiore di me. Comunque
non è possibile, ma perché mi devo sempre cacciare in
queste situazioni?”
Cercai di convincermi delle
mie stesse parole, ma avevo una voglia matta di insultare quel
deficiente in tutti i modi che conoscevo, per poi cancellarlo dagli
amici e lanciare il telefono fuori dal treno.
In quel momento avrei voluto
i System accanto a me, loro che riuscivano sempre a farmi distrarre e
divertire, ma che avrebbero anche saputo ascoltarmi se mi fossi
voluta sfogare con loro.
♫
Daron ♫
Milano non mi faceva
impazzire, non era poi tanto diversa da certe zone di Los Angeles.
In realtà non sapevo
che pensare dell'Italia perché non l'avevo mai visitata. Serj
era in fissa con quel dannato Stato, ma io non riuscivo a spiegarmi
il perché.
Quella sera avremmo dovuto
suonare, così durante la mattinata avevamo deciso di andare a
fare un giro in centro per respirare un po' l'atmosfera di Milano e
cercare qualcosa di bello da vedere. Per fortuna l'infinito mare di
traffico e l'interminabile viavai di persone sui marciapiedi ci
consentiva di non dare troppo nell'occhio.
“Ma seriamente, perché
cazzo siamo usciti a piedi? Cosa ci facciamo qui?” mi lamentai
per l'ennesima volta con uno sbuffo, cercando con lo sguardo una
tabaccheria.
“Io voglio andare alla
Galleria di Arte Moderna!” cinguettò Shavo felice come
un bimbo, brandendo la cartina della città.
“Ma tu sei fuori. Io
non ho voglia di rinchiudermi in un cazzo di museo” obiettai
infastidito.
“Cosa c'è alla
Galleria?” s'informò invece John, curioso.
“Un sacco di opere di
artisti ottocenteschi e novecenteschi, tra cui Canova.”
“Chi sarebbe?”
biascicai.
“Uno dei più
importanti scultori di tutti i tempi! A quanto pare questa galleria
si trova all'interno di una villa, ma non ho ben capito dove sia”
continuò il bassista, tornando a esaminare il reticolo di
strade illustrato sull'enorme foglio azzurro.
“Fammi dare
un'occhiata” intervenne Serj, affiancando Shavo e seguendo con
il dito un tragitto. “Ho scoperto due cose fantastiche!”
affermò poi.
“Cosa?” volle
sapere subito Shavo.
“La prima è che
la Galleria si trova vicino ai giardini pubblici di Porta Venezia, e
noi distiamo circa un chilometro da lì.”
“Andiamo!”
esultò Shavo con gli occhi che brillavano.
“John, mi porti in
braccio?” implorai il batterista, che mi ignorò.
“La seconda buona
notizia è che in questi giardini pubblici c'è anche il
Museo Civico di Storia Naturale e io mi rinchiuderò lì
per tutta la mattina” concluse Serj con fare soddisfatto.
“Vedi? Io e te siamo
sempre d'accordo, fratello!” Shavo lo prese sottobraccio.
“Perché
dobbiamo fare i ragazzini in gita scolastica?” domandai.
“E dai Daron! Vieni
nella Galleria con me, ti piacerà un casino!” mi
assicurò il bassista, cercando di tirarmi su di morale.
Mugugnai qualcosa di
incomprensibile perfino a me stesso e mi preparai a una poco
allettante passeggiata all'insegna della noia.
Ma non appena giunsi davanti
all'entrata del Museo di Storia Naturale, rimasi sconvolto dalla
bellezza di quell'edificio: mi conquistarono soprattutto gli enormi
archi e i colori caldi e accesi della struttura che, illuminata dal
sole, pareva brillare di luce propria.
“Io entro con Serj.
Voi che fate?” ci domandò John.
“Io ho promesso a
Shavo che sarei andato con lui” risposi.
“Non fate disastri voi
due, e fatevi trovare all'entrata dei giardini per mezzogiorno”
ci intimò il cantante.
“Sì mamma”
lo prese in giro Shavo, poi si allontanò velocemente,
impaziente di trovare la sua attrazione preferita.
Lo seguii controvoglia;
tuttavia l'entusiasmo dei miei amici stava cominciando a contagiarmi.
“Vedi? Che ti avevo
detto? È una figata pazzesca.”
“Avevi ragione, ma
smettila di ripetermelo.”
Shavo aveva avuto ragione: i
dipinti che avevo visto mi avevano colpito tantissimo. Come mio
solito, ogni volta che mi ero soffermato su un quadro avevo
cominciato a fantasticare su ciò che tale immagine voleva
raccontare, sulle emozioni dei personaggi dei raffigurati e dei
pittori stessi mentre le creavano. Non riuscivo a osservare
superficialmente, ero per natura portato a entrare nell'opera, a
capirla, interpretarla e associarla a ciò che provavo ogni
giorno.
Forse era per questo che
avevo paura di entrare in quel museo: non volevo rispecchiarmi in ciò
che vedevo, non volevo tuffarmi all'interno di me stesso, non volevo
farmi prendere troppo dai dipinti. E invece ci ero cascato, come ogni
volta che stringevo la mia chitarra e mi perdevo all'interno della
musica.
Ero uscito stordito da quel
viaggio attraverso l'arte moderna.
“È che tu non
ti sei fermato a guardare bene le sculture, ma... cazzo, erano
bellissime! Stavo impazzendo!” raccontava Shavo concitato,
cominciando a snocciolare nomi di scultori di cui ignoravo
l'esistenza.
“Ehi, com'è
andata?” ci intercettò John quando giungemmo al punto di
incontro. Lui e Serj ci aspettavano e nel frattempo chiacchieravano
tra loro.
“Benissimo! Non avete
un'idea di cosa ho visto... bellissimo! È piaciuto anche a
Daron, l'ho dovuto trascinare via dalla zona dei dipinti! Voi?”
spiegò il mio amico con un sorriso.
“Carino, ma mi
aspettavo di meglio. Mi sono pentito di non essere venuto con voi”
ammise Serj.
“Io ho fatto un giro
veloce e sono uscito quasi subito, poi mi sono rintanato nella
biblioteca del museo e qualcuno mi ha pure riconosciuto”
raccontò John.
“Milano non è
poi così male!” affermò Shavo.
“Cerchiamo un posto in
cui mangiare? Sto morendo di fame!” propose il batterista.
“Se mi fate camminare
ancora tanto, consideratevi degli uomini morti!” li minacciai.
“No. Ho visto una
pizzeria mentre venivamo qua, direi che mangiare la pizza in Italia è
d'obbligo!”
Tutti diedero ragione al
cantante, così ci dirigemmo verso il locale da lui adocchiato.
Ma poco prima che
entrassimo, mi giunse alle orecchie qualcosa simile a un boato da
stadio.
Avevo creduto di essermela
scampata, invece un gruppo di una dozzina di ragazzi – la
maggior parte con una nostra maglietta addosso – ci raggiunse
gridando, esultando e schiamazzando.
Misi su il sorriso più
falso del mio repertorio e cominciai a firmare cd e posare per le
foto.
Ma, in mezzo a questi
fastidiosi compiti quotidiani, un fatto mi portò alle risate.
“Sergei, posso
fare una foto con te?” domandò un tizio a un certo punto
in un inglese piuttosto scadente.
Sergei?! Non potevo
crederci, erano riusciti a distorcere ancora una volta il nome di
Serj! Ne avevo sentito davvero di tutti i colori, ma quella volta non
riuscii a trattenere le risate.
Fu così che scoppiai
a ridere proprio mentre posavo con due ragazze, e loro mi
ringraziarono tanto per quello scatto così naturale e allegro.
Ma sì, Milano non era
poi così male!
♪
♪ ♪
Ragazzi
miei, finalmente la connessione mi ha assistito e sono potuta tornare
anche con questa storia!!! *-*
Innanzitutto
AUGURI DI BUON NATALE E BUONE FESTE A TUTTI ♥
Comunque...
lo so, teoricamente questo capitolo avrei dovuto pubblicarlo ieri per
il Wednesday Of A Down, ma queste feste mi hanno scombussolato e ieri
ero convinta fosse lunedì XD quindi per l'occasione passeremo
da WOAD a TOAD :P
Comincio
col dire che, se c'è qualcuno di Milano tra i miei lettori, mi
deve perdonare se non sono stata brava a rendere l'atmosfera della
città, ma non ci sono mai stata!
In
ogni caso tutti i luoghi citati esistono davvero, mi sono un po'
informata per dare un tocco di credibilità in più alla
storia!
Vi
sono piaciuti i System in versione turisti? Non potevo non ambientare
una scena nella nostra Italia, dato che nel 2011 ci sono stati ^^ Per
quanto riguarda invece le date dei Souls, come sapete me le sono
inventate, così come i festival citati. L'unica cosa che
esiste realmente è la Hartwall Arena di Helsinki, che può
ospitare fino a 15.000 persone per un concerto. Eh sì, pochi
posti, quindi affrettatevi perché sicuramente sarà sold
out dopo neanche un'ora dall'inizio della prevendita :'D
Che
dire dell'intervista? Mi sembrava carino farvela leggere perché
se n'era parlato tanto, e poi ci ha aiutato a conoscere meglio la
storia dei Souls!
Spendo
anche due parole per titolo e canzone scelti: questo verso di Pitures
mi sembrava adatto a descrivere le sensazioni di Jo quando si è
sentita dire da Mel che stava esagerando. Lei non si sente in torto,
ergo nessuno le deve dire che sta sbagliando. Bel caratterino la
nostra batterista, eh?
Inoltre
le “pictures” fanno riferimento ai quadri che Daron si è
soffermato a osservare all'interno del museo ^^
Grazie
come sempre a chi continua a seguirmi e recensirmi! Spero davvero di
non deludere le aspettative di nessuno :3
A
tra due settimane con il nuovo capitolo, e al prossimo mercoledì
con gli Psicopatici a Firenze (?) ♥
...e
tenete d'occhio la categoria dei System in questi giorni, potrebbe
arrivare un piccolo regalo natalizio ;)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Living and born in Paradise ***
ReggaeFamily
Living
and born in Paradise
Dub
Inc - Paradise
♫ Ellie
♫
Qualcosa
non andava. Johanna ultimamente era strana, sembrava di malumore. Non
potevo affermarlo con certezza perché in quei giorni, tra i
miei impegni all'università e i suoi con Lindsay, non avevamo
potuto passare tanto tempo assieme.
Ma
vedere mia sorella con il broncio mi faceva stare in pensiero. E se
ce l'avesse avuta con me? Dovevo scoprirlo al più presto.
Colsi
la palla al balzo quel sabato, mentre ci preparavamo per andare in
spiaggia. Non avremmo fatto il bagno e non ci saremmo messe in
costume, quello era solo lo scenario in cui avremmo girato il nostro
primo video.
Io
e Johanna ci trovavamo in bagno insieme, come spesso capitava: io
cercavo di dare un senso ai miei capelli disastrati, mentre lei,
appena uscita dalla doccia, si stringeva nel suo accappatoio viola.
“Jo?”
esordii.
“Mmh.”
“Cos'hai?”
“Cosa
dovrei avere?”
“Sei
strana in questi giorni...” Mi voltai nella sua direzione per
poter incrociare il suo sguardo e mi ritrovai davanti un'espressione
fiammeggiante. Sì, era arrabbiata con me, proprio come
immaginavo.
“Grazie
mille per avermi informato” sbottò.
Non
capivo. “Informato di cosa?”
“DI
te e quell'idiota di Miles che fate i piccioncini su facebook. La
mattina del concerto ho visto che ti ha mandato un messaggio. Quanti
giorni sono passati? Tre o quattro? Ancora non ti eri decisa a
dirmelo, sono stata io a doverlo scoprire per conto mio!”
Non
ci potevo credere! Davvero se l'era presa per un motivo così
stupido e insignificante? La conoscevo come le mie tasche e sapevo
che in quei giorni si era fatta una serie di film mentali sufficiente
per una nuova soap opera.
Ridacchiai.
“Jo, ma come puoi arrabbiarti se non sai come sono andate
davvero le cose? Quel giorno io e Miles abbiamo chiacchierato per
qualche ora, fino all'ora di pranzo all'incirca, poi l'ho dovuto
salutare e da allora scambiamo solo qualche messaggio ogni tanto! Era
un fatto talmente insignificante che mi sono perfino dimenticata di
dirtelo!”
Lei
sbuffò. “Peccato che lui nel frattempo mi abbia chiesto
di uscire... ma non te ne rendi conto? Ci prova con entrambe, e tu
continui a stargli appresso! Questo mi fa incazzare.”
“Guarda
che io non sto appresso a nessuno, solo perché scambio qualche
messaggio con una persona non vuol dire che mi ci devo sposare! Sai
bene che sono appena uscita da un periodo difficile e ci ho impiegato
mesi a dimenticare Noah, non vado in cerca di un ragazzo! E sai cosa?
Non capisco cosa ci trovi di male in Miles. È un tipo così
simpatico, dolce e carino! Mi fa piacere parlarci, tutto qui.”
Cominciavo
seriamente a irritarmi per l'atteggiamento di mia sorella. Va bene,
Miles non le andava a genio, ma non poteva certo pretendere di
decidere con chi dovevo avere a che fare.
“Simpatico,
dolce e carino... ma fammi il favore, è solo uno
stalker che non fa che metterci likes in tempo reale per tutto quello
che facciamo! Ah, ma con me ha chiuso: ieri mi ha scritto un
messaggio, io l'ho letto e non gli ho risposto!”
Scossi
la testa. Miles di certo ci era rimasto male.
Ma
del resto, se veramente ci stava provando con Johanna, aveva trovato
la ragazza più sbagliata. Lei non ne voleva sapere di
intraprendere una relazione di qualsiasi tipo e non sopportava chi
andava contro la sua decisione.
“Lo
so” proseguì mia sorella, infilandosi la maglietta dei
Korn che aveva scelto accuratamente per il video, “non posso
impedirti di parlarci. Continuerà a darmi fastidio, ma
cercherò di non darlo troppo a vedere. Mi auguro solo che tu
non decida di cedere alle sue avances.”
“Non
ci prova con me!” ribadii, uscendo dal bagno e dirigendomi
verso camera mia.
“Prima
o poi chiederà un appuntamento anche a te, vedrai. E tu
accetterai, e io mi incazzerò.”
Scossi
la testa mentre esaminavo due paia di scarpe. Cosa avrei potuto
indossare: ballerine azzurre o sandali bianchi? Forse era meglio
optare per un paio di scarpe chiuse...
Johanna
si affacciò alla porta della mia stanza. “Mi hai
sentito?”
Sollevai
lo sguardo e lo posai su di lei, mentre un leggero sorriso ironico mi
si dipingeva sulle labbra. “Sai quante probabilità ci
sono che io accetti un appuntamento romantico con Miles? Meno di
zero. Ti ho già detto un milione di volte che non mi piace,
non è il mio tipo e non è mia intenzione mettermici
assieme.”
Anche
solo l'idea di stare sola con Miles, di un suo tentativo di baciarmi,
mi disgustava. No, non sarei mai arrivata a tanto, Johanna poteva
dormire sonni tranquilli.
“Me
lo auguro. E comunque ti consiglio le ballerine, quei cosi bianchi
non mi piacciono e non sono abbinati con il resto” concluse
lei, per poi scomparire nuovamente in corridoio.
Dopo
qualche minuto, in cui curai gli ultimi dettagli del mio aspetto e
applicai un leggero velo di trucco, mi avvicinai alla porta della
camera di Johanna. “Sei ancora arrabbiata con me?”
“Macché!”
rispose lei mentre si legava le scarpe. Dopodiché si mise in
piedi, afferrò la sua borsa e mi lanciò un'occhiata
complice. “Andiamo?”
Sorrisi.
“Evviva, tutti al mare!”
Top
celeste, leggera gonna in jeans, ballerine azzurre.
Un
po' di mascara e un leggero ombretto blu.
Capelli
insolitamente sciolti. Il regista, ovvero un amico di Noah in
possesso di una videocamera di ottima qualità, mi aveva
obbligato a indossare una paglietta bianca che desse un maggiore
senso di libertà.
“Ma
c'è vento, questa cosa vola!” avevo protestato, ma non
era servito a niente.
Mia
sorella invece si era vestita completamente di nero: maglia dei Korn,
shorts e All Stars. Il suo abbigliamento faceva a pugni con l'estate.
Jacob
invece aveva sfoggiato una camicia bianca a maniche corte che non
sapevo si trovasse nel suo armadio, mentre Noah si era presentato con
una delle sue solite magliette a righe colorate.
La
spiaggia in cui ci eravamo recati, a circa una trentina di chilometri
da Los Angeles, era quasi completamente deserta. L'aria era ancora
troppo fredda per potersi tuffare in acqua, quindi molta gente ancora
non si avventurava per la sconfinata costa californiana.
“Da
cosa dovremmo partire?” mi informai, trattenendo il cappello
sulla mia testa in modo che non volasse via.
“Allora,
se non sbaglio nell'intro vorreste le vostre sagome in controluce e
il mare alle vostre spalle, vero?” chiese Logan, il nostro
cameraman. “Quindi tutti verso il bagnasciuga, possibilmente a
circa due metri di distanza l'uno dall'altro!”
Io
e i miei amici eseguimmo e cominciammo a provare la scena. Avremmo
dovuto camminare per qualche metro verso la telecamera, proprio come
se stessimo giungendo dal mare.
“Siete
pronti? Via!” gridò Logan.
Presi
a passeggiare sulla sabbia, allontanandomi sempre più dalla
riva. Tutto sembrava andare per il verso giusto, finché il mio
piede destro non affondò in una buca. Persi l'equilibrio e
ruzzolai a terra, accompagnando la mia caduta con un grido
spaventato.
“Cazzo,
El, ma che problemi hai?” mi apostrofò Jacob, scoppiando
a ridere.
Io
lo imitai e presto la mia risata contagiò tutti.
“Non
riesco ad alzarmi!” protestai, asciugandomi le lacrime per il
troppo ridere.
Intanto
il cappello era caduto da un lato e si era incastrato nella sabbia.
“Ti
aiuto io!” affermò Jacob, porgendomi una mano.
Io
la afferrai e feci leva per potermi rialzare, ma pure il mio amico
alla fine cedette e cadde sulla sabbia.
“È
finito col culo a terra, oddio, questo è troppo!”
esclamò Johanna, ricurva su se stessa per le troppe risate.
“Oddio,
sta volando il cappello!” si allarmò Noah.
Roteai
appena gli occhi e lo vidi che rincorreva quell'infernale paglietta
bianca, senza smettere comunque di ridere.
“Siete
da oscar, porca puttana! Questo video verrà una bomba!”
esultò Logan.
Solo
allora mi resi conto che ancora avevamo la telecamera puntata addosso
e il momento era stato immortalato.
“Ma
seriamente vuoi mettere questa roba nel nostro video?” domandò
Jacob, prendendo a sghignazzare. Intanto si era messo nuovamente in
piedi e cercava di ripulirsi dai granelli di sabbia che gli si erano
attaccati ai vestiti.
“Non
lo so, decidete voi! Secondo me sarebbe una figata: la vostra canzone
parla di libertà, e cosa c'è di più libero delle
risate? Proprio queste risate, quelle che non riesci a controllare e
che contagiano tutti!”
“Ce
l'ho fatta! Ellie, tieni il tuo cappello!” Noah ci raggiunse,
trafelato, e mi rese ciò che rimaneva dell'oggetto.
Nel
vedere quell'affare inutilizzabile e disseminato di macchie,
ridacchiai. “Grazie mille.” Mi misi seduta e mi sollevai
faticosamente da terra.
Johanna
si avvicinò a Logan con un'espressione seria e riflessiva. “Ma
sai che hai ragione? Dev'essere questo lo spirito del video: lo
prendiamo come viene! Non ha senso andare contro il significato del
video e racchiudere tutto in degli schemi predefiniti.”
“Ma
così è un casino!” obiettai, presagendo già
il più totale disastro.
“Oh,
sarà fottutamente divertente!” strillò Jacob
raggiante.
Oddio,
sarebbe stato un casino.
Ma
forse aveva ragione il nostro chitarrista: anche fottutamente
divertente!
♫ John
♫
Berlino
era grande e apocalittica. Per me, che amavo la pace e la
tranquillità, perfino troppo.
Osservavo
l'incessante viavai di auto che, come barche, sguazzavano
nell'immenso fiume che era la strada. Parevano così piccole
viste dalla finestra della mia stanza d'albergo, situata al sesto
piano.
Luci
lampeggiavano, motori rombavano, persone chiacchieravano e
procedevano sul marciapiede.
A
volte mi domandavo cosa mi avesse portato lì, come fosse
possibile che mi trovassi a Berlino, in Europa. Il giorno prima ero
salito su un palco enorme, davanti a un pubblico di migliaia di
persone, che acclamava me e i miei amici, cantava le nostre canzoni,
saltava, gridava, piangeva e rideva.
Stava
succedendo davvero a me? Era talmente irreale che, quando mi ci
soffermavo con la mente, stentavo a crederci.
“Ehilà
stronzo!”
La
porta della mia camera si era spalancata e un raggiante Shavo si
materializzò alle mie spalle.
Mi
voltai lentamente nella sua direzione. “Potresti bussare prima
di entrare nelle stanze altrui? Grazie.”
“Io
che ci posso fare se non chiudi a chiave? Ho trovato aperto e sono
entrato!”
Squadrai
il bassista. Era abbigliato con uno dei suoi soliti cappellini da
baseball, un'anonima maglietta nera piuttosto larga, un paio di
pantaloni della tuta Nike e delle scarpe da ginnastica bianche.
Era
incredibilmente energico nonostante fossero solo le otto e mezza del
mattino e avessimo dormito a malapena quattro ore.
“Chiudi
la finestra, Johnny, altrimenti ti ammali” mi rimproverò,
accostandosi a me e spingendo l'anta che avevo lasciato socchiusa.
L'infisso si sigillò con uno scatto.
“Come
mai questa allegria già di buon mattino?” domandai,
dirigendomi verso la mia valigia con l'intento di mettere un po'
d'ordine.
“Siamo
a Berlino, cazzo! E tra qualche ora ci recheremo in Svezia. Non
dovrei essere contento?”
“Non
sei un po' stanco per questo tour?”
Shavo
si gettò sul mio letto facendolo scricchiolare e si sdraiò
su un fianco in modo da potermi osservare. “Sono distrutto,
ma... dopo tanti anni siamo in Europa con i System, tutti insieme.
Sai cosa significa?”
“Certo
che lo so. È incredibile.”
L'avviso
di una notifica sul cellulare del bassista riempì l'aria.
Quella dannata suoneria al massimo del volume mi dava fastidio; io
tenevo sempre il telefono in silenzioso.
“Oh,
una notifica dei Souls” constatò, poi all'improvviso
scattò a sedere. “Il loro nuovo video! L'hanno
condiviso, è su YouTube!”
Lasciai
perdere le magliette che stavo ripiegando e affiancai il mio amico.
“Sono curioso.”
Shavo
mise in play il video e subito venni travolto da una ventata di
freschezza. L'intro, caratterizzato da un'incalzante chitarra in
levare, preannunciava un brano carico di energia, dalle sonorità
estive e positive.
Mi
colpirono molto le immagini che si susseguirono nei minuti
successivi. Il filmato era di una semplicità spiazzante: i
Souls, una spiaggia deserta, il mare alle spalle e niente più.
Quattro ragazzi che si divertivano, ridevano, rotolavano, correvano
uno dietro l'altro, sorridevano, lanciavano schizzi in aria.
Come
colonna sonora, una canzone prevalentemente reggae, che parlava di
libertà, spontaneità, risate, amicizia.
“Un
capolavoro” affermai al termine della visione.
“Non
vedo l'ora di tornare a Los Angeles e stritolarli in un abbraccio”
mormorò Shavo, il sorriso nella voce e gli occhi che
brillavano. “Anzi, sai che facciamo ora?”
Osservai
il mio amico con aria scettica mentre impostava la telecamera interna
del cellulare e la puntava verso di noi. “No, ti prego...”
“Manderemo
loro un video in cui ci complimentiamo!” esclamò, felice
come un bambino il giorno di Natale. Poi prese a sproloquiare:
“Ragazzi, il vostro video spacca di brutto, siete stati grandi!
Avete avuto un'idea fantastica, la canzone è fottutamente
perfetta, sono sicuro che farete più visualizzazioni della
nostra Chop Suey!”.
Io
intanto mi ero spostato dalla traiettoria della videocamera e me la
ridevo sotto i baffi.
“Io
e John...” Shavo si interruppe per un secondo e corrugò
la fronte. “Sei un coglione, tanto ti riprendo lo stesso! Dai,
Dolmayan, saluta i VIP!”
“Ciao
geniacci!” salutai con un lieve sorriso.
“Bene,
comunque... non appena mettiamo piede negli USA vi conciamo per le
feste, chiaro? Ciao campioni, un abbraccio da quel di Berlino!”
concluse il bassista, terminando la ripresa e inviando il messaggio.
“Sei
un idiota” affermai.
“Vado
a vedere se Daron è sveglio.”
Shavo
si mise in piedi e lasciò la stanza.
Tornare
a casa dopo tre settimane di tour fu fantastico e traumatico allo
stesso tempo. Ero davvero contento di poter rimettere piede a casa e
godermi il meritato riposo, ma ormai cominciavo ad abituarmi ai ritmi
frenetici del viaggio e tutto ciò mi sarebbe mancato, almeno
un minimo.
Non
appena mi ero ritrovato all'interno della mia casetta, avevo
spalancato tutte le finestre per permettere all'aria tiepida di
giugno di entrare; non avevo perso tempo e mi ero subito adoperato
per disfare le valigie, caricare la lavatrice e rimettere ogni cosa
al suo posto.
Era
bella quella quiete: i raggi del sole erano sospesi tra i mobili
della cucina e del soggiorno, il cinguettio degli uccelli radunati su
un albero sovrastava i lontani rombi dei motori.
Rovistai
in frigo e vi trovai una lattina di birra; la afferrai e mi
posizionai sul divano, intenzionato a poltrire per il resto della
serata. Per quel giorno avevo fatto abbastanza.
Ma
dopo qualche minuto la vibrazione del mio cellulare mi avvisò
dell'arrivo di una chiamata. Aggrottai le sopracciglia e sfilai
controvoglia l'apparecchio dalla tasca dei pantaloni.
Era
Johanna.
“Ehi”
risposi, schiarendomi appena la gola.
“Ehilà
Johnny! Come va? Com'è andato il viaggio?”
“Bene,
siamo arrivati questa mattina. È andata alla grande: siamo
stanchi, ma felici. Tu invece che stai combinando?”
“Io
ho appena finito con Lindsay: ultimamente lavorerò parecchio
con lei perché l'asilo sta per finire. Oggi però ho
finito abbastanza presto: sto per salire in macchina.”
“Oh,
perfetto. Gli altri della ciurma?”
“Solite
cose: Ellie studia per gli imminenti esami, Jake ha iniziato a
lavorare in campagna – e già non vede l'ora che arrivi
l'inverno – e Noah aggiusta pc. Stanno tutti bene”
raccontò. “Un giorno di questi dovremmo incontrarci per
chiacchierare un po', sono curiosa di sapere le vostre avventure! Che
ne pensi?”
Seguii
con lo sguardo una mosca che svolazzava attorno al televisore. “Se
non hai da fare, potresti venire a casa mia anche ora.”
Non
sapevo da dove avessi tirato fuori quella proposta, ma subito mi resi
conto dell'errore che avevo commesso. L'avevo invitata a passare un
po' di tempo da soli, questo poteva essere frainteso ed era proprio
ciò che volevo evitare. Avevo agito molto ingenuamente.
“Se
ti va... cioè...” tentai di rimediare quindi.
“Uhm...
non scherzare, Dolmayan, io ti raggiungerei volentieri!”
esclamò la ragazza. Forse non si era accorta di nulla.
“Ovviamente
se vuoi puoi portare anche qualcun altro...” Stavo annegando
nel mio stesso imbarazzo, questo non era da me.
“Non
credo ci sia qualcuno disposto ad accompagnarmi ora, sono tutti
impegnati. Dimmi pure l'indirizzo!”
Ci
riflettei su per un istante. In fondo cosa c'era di male nel passare
una serata tra amici? Il fatto che saremmo rimasti da soli non
avrebbe significato nulla, eravamo come fratello e sorella. Io questo
lo sapevo bene, così come lo sapeva Johanna.
Cominciai
a rilassarmi e le spiegai come raggiungere la mia abitazione.
Mentre
attendevo l'arrivo della mia amica, misi su un po' di musica con il
mio giradischi e mi accostai alla finestra per fumare una sigaretta.
Fu
così che avvistai la sua Ford rossa procedere con lentezza
sulla strada, per poi accostare nei pressi del mio cancelletto.
Non
appena Johanna scese dalla macchina, richiamai la sua attenzione con
un: “Buonasera”.
Lei,
sorpresa, sollevò lo sguardo e incrociò il mio. “Ah,
sei al primo piano. Anche la parte di giù è tua?”
“No,
lì abita una famigliola, ma gli ingressi sono separati: loro
hanno un portone che affaccia sulla strada parallela a questa. Lo so,
è un po' strano.”
“Oh,
e così tu ti sei preso questo simpatico e grazioso
giardinetto!” commentò, dando un'occhiata al minuscolo
vialetto che conduceva alla gradinata, contornato da poche e
striminzite piante. “Certo che potresti curarlo un po' di più.”
“Non
ho tempo per pensare a queste cose, se avessi delle piante
appassirebbero tutte. L'appassionato di vegetazione è Serj.”
Lei
ridacchiò e iniziò a salire i gradini bianchi.
Mi
diressi verso la porta per permetterle di entrare una volta arrivata
in cima.
“Din
don, c'è posta per te.” La voce divertita di Johanna
attraversò il legno della porta.
Aprii
e lei mi si parò davanti con un sorriso a trentadue denti, poi
mi stritolò in un abbraccio. “Mi sei mancato, batterista
vagabondo!”
Non
risposi, ma ricambiai l'abbraccio affettuosamente, sperando che lei
capisse che anche per me era lo stesso.
La
ragazza sciolse l'abbraccio e si addentrò in casa mia,
cominciando a guardarsi attorno con interesse. “Comunque quando
sarai vecchio quelle scale non ti permetteranno più di uscire
di casa.”
“Quando
sarò vecchio vivrò in Armenia.”
Lei
si voltò verso di me con le sopracciglia aggrottate. “Che
ci fai in Armenia?”
“Che
ci fa un pesce in acqua?” ribattei, superandola e facendole
strada verso la cucina.
“Wow,
quanta luce! E poi è tutto in stile moderno... i tavoli e le
sedie neri sono una figata!”
“Ti
devo confessare una cosa.” Cominciai a sghignazzare. “Mi
ha aiutato Shavo a scegliere i mobili.”
“No,
ma davvero? Ti ha fatto da agente immobiliare?”
“In
realtà voleva che prendessi roba molto più complicata,
ma io gli ho detto chiaro e tondo di non rompere i coglioni.”
johanna
mi sorrise con fare complice. “Approvo!”
La
ragazza, felice e curiosa, fece una rapida ispezione della stanza e
poi tornò in corridoio. Sicuramente si stava domandando da
dove arrivava la musica di sottofondo.
“Oh
merda!” la sentii esclamare dopo qualche secondo.
La
raggiunsi in soggiorno e la trovai china sul mio giradischi. “Carino,
vero?”
“Noah
darebbe un rene per un gioiellino come questo!”
“Non
sapevo che gli piacessero queste cose” ammisi sorpreso.
“Lui
è in fissa con i vinili, ne ha una collezione discreta. Solo
che ancora non li può ascoltare: ha avuto un modesto
giradischi per un periodo, di seconda mano, ma più che altro
pareva un macinino. Il suo sogno è un grammofono anni
Cinquanta, sai, quei pezzi da collezione dal valore inestimabile...”
“Non
me lo sarei mai aspettato da lui. Dai, accomodati, non vorrai mica
stare tutta la sera in piedi.”
La
mia amica prese posto sul divano in pelle nera che troneggiava
accanto alla finestra.
“Cosa
ti posso portare? Qualcosa da bere o sgranocchiare? Purtroppo non ho
molta scelta, essendo tornato solo oggi non ho avuto il tempo di
andare a comprare qualcosa...”
“Fregatene.
Mi va benissimo un bicchiere d'acqua.”
Dopo
aver servito la mia ospite, mi sedetti accanto a lei e la osservai
mentre armeggiava distrattamente col cellulare. “Scusa, Ellie
sta rompendo.”
“Ma
poverina!”
“Ti
saluta. Vorrebbe essere qui con noi. Mi odia. Chiede se sarò a
casa per cena. Vabbè, facciamo che dopo la chiamo! Allora
collega, com'è stato questo rocambolesco viaggio nel Vecchio
Continente?” domandò, scaraventando il cellulare tra i
cuscini del divano senza alcun riguardo.
“Potresti
dimenticarti di averlo lasciato lì.”
“Sicuramente
accadrà, dato che lo perdo ogni tre minuti. Comunque ti ho
fatto una domanda.” Johanna si volse verso di me e mi dedicò
tutta la sua attenzione.
“Bene.
È stato sfiancante, non abbiamo visitato quasi nessuna città,
ma tornare sul palchi davanti a tutta quella gente...”
“Oddio,
così mi farai salire l'ansia! Scherzo. E i fans com'erano?”
“Fuori
di testa. Però abbiamo incontrato anche tanta gente carina e
disponibile. Pensa che nel viaggio di ritorno, in aereo, Serj ha
cominciato a parlare con una ragazza madre di ventisei anni. Lei e il
bambino, di soli otto mesi, erano in fuga dall'Europa perché
il suo ex compagno li perseguitava in ogni dove; inoltre lei è
in cerca di fortuna, spera di poter trovare un lavoro stabile per
dare al suo bambino ciò di cui ha bisogno. Alla fine l'abbiamo
conosciuta anche noi e abbiamo preso un caffè insieme”
raccontai.
“Wow,
è una storia pazzesca!”
“Mi
è sembrata una ragazza molto ingenua, ma anche tanto buona.”
“Sono
contenta che sia stato un bel viaggio per voi.”
“Tu
invece? Che mi racconti? Com'è stato girare il vostro primo
video?”
“Fantastico!
Eravamo partiti con un'idea ben precisa, uno schema definito, ma poi
abbiamo cominciato a prenderci la mano e infine ci stavamo solo
divertendo un mondo. Siamo stati in tema con la canzone, ecco.”
“Penso
che vi siate riempiti di sabbia fin sopra i capelli.”
“Ci
puoi contare, ma ne è valsa la pena. Il video ha già
raggiunto le ventimila visualizzazioni, è un sogno!”
Sorrisi,
veramente felice per i mitici Souls.
“Però...”
Johanna si rabbuiò e io capii subito che mi voleva confidare
qualcosa. “C'è una cosa che mi preoccupa. Riguarda
Ellie.”
Mi
accigliai. “Cioè?”
“Hai
presente Miles, il tizio biondo che è venuto a salutarci il
giorno del nostro live?”
Rovistai
tra i ricordi in cerca di quel ragazzo. Nell'ultimo mese e mezzo mi
erano passati davanti agli occhi talmente tanti visi che mi scoppiava
la testa al solo pensiero. “Okay, penso di aver capito.”
La
ragazza allora mi raccontò di quanto Miles fosse pedante, di
tutte le volte che ci aveva provato con lei su facebook, e che
nonostante tutto Ellie continuava a chiacchierarci occasionalmente.
“Non
mi convince proprio, ha un atteggiamento un po'... falso, strano, è
come se la sua fosse una facciata da bravo ragazzo per poter mettere
le mani addosso a ogni ragazza che incontra. Magari mi sto facendo i
film mentali, ma l'idea di un eventuale appuntamento tra lui e mia
sorella, loro due da soli... mi fa venire i brividi.”
“È
una palla al piede” riassunsi.
“Poi
ho cercato un milione di volte di fargli capire che non sono
interessata a lui, ma non ci arriva.”
“Prima
o poi lo capirà.”
“Spero
più prima che poi.”
All'improvviso
uno strillo assurdamente acuto ci raggiunse e Johanna sobbalzò.
“E quello cos'era?”
“I
bambini di quelli che abitano sotto.”
“Come
fanno a strillare così? Mi auguro solo che la notte ti lascino
dormire...”
Feci
spallucce. “Camera mia è insonorizzata, perché è
lì che tengo la batteria.”
“Che
figata, la batteria è la prima cosa che vedi appena ti
svegli!” commentò, poi all'improvviso si illuminò.
“Ehi, un momento: ottima idea! Almeno puoi portarti a letto
quante tipe vuoi senza disturbare nessuno!”
Scoppiai
a ridere. “Osservazione arguta!”
“Senti
John, non vorrei essere indiscreta, ma siccome sono io e sono fatta
così, sarò indiscreta: non stai frequentando nessuna
ragazza attualmente?”
“Sei
una pettegola” la accusai, leggermente in imbarazzo.
“No,
sarà uno scambio equo, anche io ti darò il mio punto di
vista. Ci stai? Comincio io?”
Scossi
la testa. “Mi stai confondendo.”
“Va
bene, comincio io. Non frequento nessuno e mai lo frequenterò.”
“MI
sembri parecchio decisa.”
Lei
mi guardò dritto negli occhi e si fece estremamente seria.
“John, l'amore non esiste, è solo un'illusione.
All'inizio sembra tutto rose e fiori, poi tutto diventa abitudine. Ci
si usa, ci si cornifica, si vive insieme solo perché si deve,
perché ormai c'è di mezzo la famiglia. Nulla è
destinato a durare nel tempo. E poi stare con una persona significa
smettere di essere liberi, e io non voglio assolutamente arrivare a
quella condizione. Sto bene così, non mi manca niente.”
Annuii.
Mi aspettavo qualcosa del genere da Johanna, lei che era tanto
esuberante e di certo se la cavava benissimo anche senza un ragazzo
al suo fianco.
“Per
questo motivo le avances di Miles ti irritano tanto?”
“Anche
per questo. Voglio tenermi fuori da queste faccende da soap opera di
quart'ordine.”
Sospirai.
“Io e te non la pensiamo in maniera poi tanto diversa.”
Johanna
sgranò gli occhi. “Dici sul serio?”
“Penso
anch'io che una relazione amorosa in senso sia affettivo che fisico
non possa durare nel tempo: prima o poi uno dei due aspetti si
deteriora. Quando si ama veramente una persona, la si ama per quello
che è, senza il desiderio di raggiungere secondi fini. Il vero
amore è quello tra fratelli, tra genitori e figli, tra
amici... e poi c'è il sesso, che è tutta un'altra cosa.
Io non lo demonizzo, anzi, non lo disdegno. Ma lo tengo ben separato
dall'affetto: non mi sono mai affezionato alle ragazze con cui ho
fatto sesso, e non ci ho mai provato con le mie amiche e in generale
le donne a cui voglio veramente bene.”
Nella
stanza calò il silenzio.
“Non
me lo sarei mai aspettato da te. Ti facevo più romantico.”
Risi.
“No, non lo sono per niente!”
“Vedi?
Avevo ragione, la camera insonorizzata è utile!” se ne
uscì infine la mia amica con fare soddisfatto, incrociando le
braccia al petto.
Scoppiammo
a ridere e in questo modo riuscimmo a sdrammatizzare. Per quanto
potessero sembrare delle baggianate, quello era il nostro modo di
vedere il mondo e condividerlo era sempre importante, un momento di
confronto e di crescita.
Proprio
in quel momento il cellulare di Johanna prese a squillare.
Inizialmente non capimmo da dove arrivasse il suono, pareva lontano e
ovattato, poi mi ricordai che la ragazza aveva ficcato l'apparecchio
tra i cuscini del divano.
Ancora
tra le risate, lei affermò: “Questa è mamma,
vorrà sicuramente sapere dove mi sono cacciata e se deve
preparare la cena anche per me. Sarà meglio che vada, si è
fatto veramente tardi!”
“Okay,
non c'è problema!”
L'accompagnai
all'ingresso.
“Grazie
mille per la serata, John. È stato un vero piacere!”
“Grazie
a te per la compagnia. Ora mi butto a letto, quasi non mi reggo in
piedi” affermai con uno sbadiglio.
“Non
ceni?”
“Non
ho fame.”
Ci
stringemmo in un abbraccio.
“Saluta
gli altri” le raccomandai.
“Un
giorno di questi facciamo un raduno tutti insieme per festeggiare i
nostri e vostri vari successi, che ne pensi?” propose.
“Ci
sto!”
Allentai
la stretta. Johanna mi regalò un'occhiata carica d'affetto, mi
diede il cinque e concluse: “Buonanotte, dormi dodici ore di
seguito!”
Poi
corse via, giù dalle scale, come un fulmine.
“Attenta
a non ruzzolare giù!” la salutai, prima di chiudere la
porta.
Ora
sì che potevo dedicarmi interamente al poltrire. Ancora più
entusiasta di prima.
♪ ♪ ♪
Lettoriiiiiii,
ma quanto è dannatamente bella questa canzone???
Certo,
i gusti sono gusti, ma... *-*
Ho
deciso di inserire questo brano perché secondo me vi potrebbe
piacere. Poi non trovate che tutto ciò sia paradisiaco? Il
video dei Souls, il tour dei System, l'amicizia tra John e Johanna...
Questa
canzone mi trasmette libertà; a voi? ^^
Io
lo so, lo so... tra voi ci sono i soliti romanticoni che già
progettano il matrimonio tra John e Johanna, vero?
Ci
ho visto bene? XD
E
ora mi starete odiando perché, con le loro riflessioni sul
senso della vita e dell'amore, ho stroncato ogni vostra speranza!
Maledetta Soul, questo è un colpo basso :D
Che
dite, tifosi della coppia JoxJo? Siete delusi o continuate a
sperare???
Per
il resto lascio a voi la parola, sono curiosa di sapere cosa ne
pensate di questo capitolo!
Grazie
ancora per essere qui, sempre pronti a supportarmi in
quest'avventura! Spero di non deludere mai le vostre aspettative,
soprattutto ora che – FINALMENTE – si sta entrando nel
vivo della storia! :3
A
mercoledì prossimo con il WOAD ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Looking for some help ***
ReggaeFamily
Looking
for some help
System
Of A Down - She's Like Heroin
♫
Serj ♫
“Quindi?”
“Quindi?”
ripeté Shavo lanciandomi un'occhiata stranita.
“Abbiamo
il posto, abbiamo il dj. Ora ci vogliono gli invitati, no?”
dissi in tono ovvio con un'alzata di spalle.
“Certo.
Allora, prendi nota.” Il bassista afferrò un quadernino
e una penna da una mensola e me li porse. “Io, te, Sako, Beno,
Greg, i Souls, i Cypress, Tom, Tim e Brad, poi... chiediamo anche a
qualcuno dei Linkin Park, anche se credo siano impegnati. A quanti
siamo?”
Io
scrivevo più veloce che potevo, segnando i nomi che Shavo
stava elencando. “Un attimo, dammi il tempo di fare il conto!”
“A
te viene in mente qualche amico di John e Daron? Ho paura di
dimenticarmi qualcuno, abbiamo alcune amicizie non in comune.”
Ci
riflettei un attimo su, poi presi a scarabocchiare tra i quadretti
qualche nome di amici di John. “Daron non frequenta molta
gente, dopotutto” commentai.
“Ci
vuole tempo per coltivare delle amicizie. E ci vogliono anche le
persone giuste, lo sai anche tu. Bisogna distinguere tra quelli che
vogliono il tuo bene e quelli che vogliono i tuoi fottuti soldi”
constatò Shavo in tono vagamente sprezzante.
“Sarà
per questo che noi stringiamo amicizia sempre con gente già
affermata e benestante” aggiunsi con un triste sorriso ironico.
La
vita del musicista non era certo semplice. Probabilmente se fossi
tornato indietro avrei preferito rimanere maggiormente nell'ombra;
non avrei mai rinunciato alla musica, ma mi sarei tenuto alla larga
da un'eccessiva fama.
Ma
quello non era il momento adatto per questi rimpianti: io e Shavo
avevamo un compleanno da organizzare.
“Hai
segnato Angela?” mi domandò il mio amico, facendomi
leggermente sobbalzare.
“Certo,
è una delle prime persone che ho inserito nell'elenco. Ha
detto che vuole preparare dei dolcetti per quel giorno.”
Shavo
scosse la testa. “Dovrà cucinare per un sacco di
persone!”
“Non
le importa, lei ci tiene. Sai com'è fatta.”
Tornai
a fissare il foglio sul quale avevo annotato i nomi e feci un rapido
conto. “Circa una trentina, qualcosa in più. Secondo me
dobbiamo cominciare a invitare questa gente, poi in corso d'opera ci
verrà in mente qualcun altro.”
“Va
bene, ora chiamo Sako!” esclamò Shavo, armato di
cellulare.
Io
sospirai e mi guardai attorno. La casa del mio amico mi piaceva:
tutti gli ambienti erano luminosi, spaziosi e arredati con gusto. Il
bassista era da sempre in fissa con l'arte, un po' come me, e adorava
vasi e quadri colorati e dalla fantasia astratta.
Qualche
volta mi aveva commissionato dei dipinti, che poi aveva esposto in
salotto come un preziosissimo trofeo.
“Ehi
stronzetto!... Sì, io e Serj stiamo organizzando... il 23
luglio, confermo... Macché, il locale avrà una grande
zona all'aperto, altrimenti sarebbe da matti... Ma ti pare? Ovvio...
Infatti ti volevo dire: se ti viene in mente qualcuno faccelo sapere,
perché noi stiamo stilando la lista ma mi sa che ci stiamo
dimenticando la metà della gente... Adesso li chiamo... Dai
Sako, cazzo, non farmi perdere tempo!... Va bene, ciao, poi ti
aggiorno.” Shavo chiuse la comunicazione con Sako e io tracciai
un segno di spunta accanto al nome del tecnico.
“Ora
chiamo Tim e gli dico di diffondere la notizia tra gli altri”
annunciò, poi si portò nuovamente l'apparecchio
all'orecchio e prese a parlare quasi subito. “Timmy, fratello,
come butta?... Dai, cazzo, ti sei beccato il virus?... No, che palle!
Ascolta, ti ho chiamato per dirti una cosa... No, sono a casa e c'è
Serj...”
“Ciao
Tim!” salutai.
“Ricambia”
mi comunicò Shavo. “Comunque, ti ho chiamato per
invitarti a una festa... no, non ti preoccupare: stiamo organizzando
una festicciola in un locale per il compleanno di John e Daron, sarà
il 23 luglio... Allora, Daron il 18 e John il 15... Certo! Comunque
spargi la voce, dillo anche agli altri... Ecco, fammi sapere. Dai
Timmy, ci sentiamo poi!... Ciao, saluta tutti!”
“Che
dice?” mi informai.
“Cercherà
di esserci e di invitare più gente possibile per piazzare un
bel casino.”
Ridacchiai.
“Per Daron sarà un compleanno di merda, lui che odia
tanto la confusione.”
“Lo
farò ubriacare, così smetterà di rompere.”
Ripescai
il mio cellulare dalla tasca della giacca leggera che mi ero portato
appresso. “D'accordo, io chiamo una delle gemelle.”
Selezionai
il numero di Ellie dalla rubrica e feci partire la chiamata. Non mi
rispose subito e temetti di starla disturbando, ma poi la sua voce
esordì all'improvviso: “Ehi, Serj!”.
“Ellie!
Come stai? Non ci si sente da una vita!” la salutai con
entusiasmo.
“Hai
ragione, l'ultima volta che ci siamo visti è stata prima della
vostra partenza in Europa. Comunque non c'è male; stamattina
ho dato un esame all'università e sono finalmente riuscita a
liberare la mente” raccontò.
“E
com'è andata?” saltò su Shavo, che stava
origliando con attenzione la conversazione.
“Quello
era Shavo, vero? Mandagli un abbraccio da parte mia!” si
illuminò Ellie. Potevo immaginarmela perfettamente: occhi che
brillavano e sorriso sulle labbra.
Riferii
al mio amico, poi Ellie mi spiegò che l'esame era andato bene.
Si era preparata tantissimo nei mesi precedenti e aveva accumulato
tanta ansia.
“Mi
auguro che ora tu ti stia rilassando!” commentai con fare
apprensivo.
“Oh,
ci puoi contare! Anzi, oggi stavo proprio pensando a te perché
questo pomeriggio per festeggiare mi sono rintanata in camera mia e
ho guardato il DVD di Elect The Dead Symphony.”
Il
modo semplice e diretto di dire le cose che aveva quella ragazza mi
faceva sorridere e mi inteneriva sempre un sacco. Lei e Johanna non
avevano nessun segreto, erano abituate a dire tutto ciò che
passava loro per la mente.
“Oh,
non sapevo avessi quel DVD! Che ne dici se la prossima volta lo porti
con te, così lo posso autografare?” proposi.
Shavo
intanto si era allontanato. Lo sentii rovistare in dispensa,
sicuramente in cerca di qualche stuzzichino da potermi offrire.
“Serj,
ma stai scherzando?! Ne sarei contentissima, certo! Grazie!”
“Ma
figurati, questo e altro per la mia fan preferita!” scherzai.
“Comunque ho un invito per te e tutta la combriccola.”
“Ma
dici sul serio? Quanti colpi di scena oggi!” esclamò,
palesemente felice.
“Io
e Shavo stiamo organizzando una festa a sorpresa per il compleanno di
John e Daron. Sai, compiono gli anni a pochi giorni di distanza e
avevamo pensato a una festa unica in un locale con tutti i loro
amici. Ovviamente voi siete invitati.”
“Oddio,
ma è un'idea stupenda! Okay, certo che ci saremo! Quel fine
settimana avremo un concerto, ma per fortuna è il 24... certo,
non ce la perderemo! Comunque tu e Shavo siete proprio dei tesori!”
Risi.
“Ma che dici?”
Sperai
che Shavo, di ritorno dalla dispensa con un enorme pacco di patatine
alla paprika e dei bitter, non notasse il mio leggero imbarazzo. Non
ero abituato a tanta dolcezza così sfacciatamente esplicita.
“Certo,
siete degli amici stupendi” proseguì Ellie. “State
organizzando una sorpresa fantastica per John e Daron, vi
adoreranno!”
“Spero
che gli faccia piacere, dai!”
“Okay,
ora chiedo agli altri e poi ti faccio sapere se ci saremo tutti, ma
credo proprio di sì.”
“Invitate
anche Melanie!” gridò Shavo a un certo punto,
cogliendomi alla sprovvista.
“Ecco
quello scemo che strilla. Va bene, lo dirò anche a Mel!”
Intanto
io cercavo di associare quel nome a un volto noto, ma non mi venne in
mente nessuno. Chi era Melanie? Di sicuro l'avevo conosciuta, ma
l'avevo già dimenticata. Ero pessimo.
“Okay
ragazzi, ora devo correre a prepararmi, tra mezz'ora io e Jo usciamo.
Grazie ancora per l'invito, siete mitici!”
“Ciao
cara, stammi bene! Poi ti facciamo sapere tutti i dettagli”
conclusi.
Io
e Shavo ci scambiammo una lunga occhiata, poi lui fece spallucce e si
adoperò per aprire il pacco di patatine.
“Questa
ragazza è tutto un programma” commentai.
“Se
non esistesse bisognerebbe inventarla” concordò il
bassista, ficcandosi in bocca una manciata di patatine.
♫
Daron ♫
Era
una di quelle giornate in cui stare solo mi pesava troppo. Curioso:
durante il tour a un certo punto avevo cominciato a fare il conto
alla rovescia per ricongiungermi con la mia adorata casetta, e ora
che vi ero tornato non la sopportavo più. Dopo due settimane
di reclusione, avevo cominciato ad annoiarmi.
Peccato
che quella sera i miei amici erano impegnati. Non sapevo proprio che
pesci pigliare.
Erano
le cinque quando decisi di uscire: una passeggiata nei pressi della
spiaggia e un gelato non mi avrebbero fatto male.
Giunsi
in zona Santa Monica, la mia preferita, e parcheggiai la mia macchina
vicino al lungomare.
Quest'ultimo
era un immenso pullulare di vita: genitori che spingevano passeggini
o tenevano per mano marmocchi urlanti, turisti abbronzati con
giganteschi e colorati zaini in spalla, anime solitarie che vagavano
senza una meta, sciami di ragazzine che, di ritorno dalla spiaggia,
non perdevano occasione per esporre i loro corpi giovani e acerbi.
Mi
sentivo perso in mezzo a migliaia di persone.
Presi
posto nel tavolino di un bar e attesi che un cameriere mi si
avvicinasse. Intanto frugai nella tasca dei pantaloni in cerca del
mio cellulare; quel giorno non avevo ancora avuto voglia di darci
un'occhiata, magari qualcuno mi aveva chiamato.
Trovai
solo un sms di Johanna. Aggrottai le sopracciglia: non era da lei
inviarmi messaggi, tra l'altro conosceva bene la mia avversione per
la tecnologia.
Ciao
criminale, come te la passi? ;)
“Ha
già ordinato?” La voce di una cameriera mi distrasse.
“No.
Per il momento non prendo niente” bofonchiai, mentre un'idea mi
balenava in testa.
Lei
annuì e si allontanò.
Io
cominciai a scorrere la mia infinita rubrica e poco dopo avvistai uno
dei nomi che cercavo. Ellie.
Feci
partire la chiamata e mi portai il telefono all'orecchio, continuando
a osservare distrattamente il viavai di passanti che si incontravano
e si mescolavano sul marciapiede.
Gli
squilli si susseguivano, uno dopo l'altro. Fui quasi tentato di
mettere giù per non sembrare troppo insistente, ma qualcosa mi
trattenne.
“Pronto?”
rispose a un certo punto la voce di Ellie, incerta.
“Dolcezza,
che bello sentirti!” esclamai.
“Daron?
Non mi aspettavo una tua chiamata...”
“Nemmeno
io me lo aspettavo, lo devo ammettere.” Ridacchiai. “Che
combini di bello stasera?”
“Mah,
niente di speciale. Tra qualche minuto Jo tornerà a casa dal
lavoro e decideremo cosa fare; forse usciremo a fare una passeggiata.
Tu invece?”
Mi
accorsi che Ellie si stava pian piano rilassando. Quando mi aveva
risposto pareva parecchio tesa e diffidente, avevo quasi fatto fatica
a riconoscere la sua voce.
“Anche
io sono in giro, sai, avevo bisogno di prendere aria. Ehi, se
decidete di uscire fatemelo sapere, oggi ho voglia di offrire un
gelato a qualcuno!” buttai lì senza dare troppo peso a
quelle parole.
In
realtà speravo con tutto il mio cuore che Ellie accettasse.
Sentivo la necessità di scambiare due chiacchiere con qualcuno
e loro erano le persone più adatte.
Un
silenzio di qualche secondo seguì la mia proposta implicita.
Poi Ellie parve riscuotersi e disse: “Grazie Daron, sei davvero
molto carino. Ne parlo con Jo e ti faccio sapere, okay?”.
“Certo!
Ci conto eh.”
“Tranquillo,
non scomparirò!”
CI
salutammo e chiusi la chiamata. Non sapevo se essere felice o meno.
C'era qualcosa che non tornava.
Avevo
come l'impressione di non stare troppo simpatico a Ellie, lo potevo
intuire dagli sguardi straniti che mi lanciava qualche volta e dal
poco entusiasmo che dimostrava quando parlava con me. Stavolta
cos'avevo sbagliato? Ero riuscito a combinare l'ennesimo casino?
La
mia stridente suoneria mi avvisò dell'arrivo di un messaggio.
Inizialmente non capii di cosa si trattasse perché non ero
abituato ad avere il cellulare nei paraggi, poi notai che il display
si era illuminato.
Era
Ellie.
Dimmi
dove ti trovi. Io, Jo e Jake ti raggiungiamo :)
Forse
non ce l'aveva con me.
Li
avvistai mentre avanzavano sul marciapiede inondato dal sole.
Jacob
si trovava tra le due gemelle; indossava un paio di bermuda e una
maglia nera con una stampa.
Johanna
era diversa dal solito: quest'impressione dipendeva dai suoi capelli
insolitamente raccolti in una coda di cavallo. I suoi lineamenti
dolci e il suo viso leggermente arrotondato in questo modo
risaltavano e la facevano somigliare maggiormente a sua sorella.
Ellie
aveva preso Jacob sottobraccio e sorrideva radiosa. Il suo corpo
slanciato e i suoi movimenti inconsapevolmente aggraziati mi
colpirono per l'ennesima volta. Non potei fare a meno di notare il
suo abbigliamento: dei leggeri shorts in jeans e una maglietta rossa
che lasciava una spalla scoperta. Quegli indumenti mettevano in
evidenza le sue forme e il suo fisico perfetto.
Mi
lasciai sfuggire un sorriso divertito. Che ci potevo fare se le
ragazze carine attiravano il mio sguardo? Ero pur sempre un uomo e
non c'era nulla di male nel rifarsi gli occhi. Ellie era decisamente
uno schianto; inoltre mi divertivo un sacco a ronzarle attorno,
provocarla e vedere come reagiva.
“Beato
tra le donne!” commentai con un occhiolino in direzione di
Jacob, quando il trio mi raggiunse.
“Razza
di teppista, ti constava molto rispondere al mio messaggio?” mi
aggredì scherzosamente Johanna. La ragazza mi pizzicò
una guancia e si stravaccò sulla sedia accanto alla mia.
“Ci
metto troppo tempo a digitare con questo schifo di touch. Che belli i
tempi in cui i cellulari avevano i tasti!” commentai con aria
nostalgica.
“Guarda
che i telefoni con i tasti esistono ancora!” intervenne Jacob,
sedendosi accanto a Johanna e lanciandole un'occhiata.
“Che
hai tu da guardare?” si rivoltò subito lei.
“Niente,
pensavo solo che i capelli raccolti ti donano” ribatté
lui semplicemente.
La
batterista fece spallucce.
Scossi
la testa e concentrai la mia attenzione su Ellie. La ragazza non
aveva proferito parola, si era limitata a prendere posto nell'ultima
sedia vuota attorno al tavolo, alla mia sinistra.
“Ehi
Ellie, tutto bene?”
“Oh...
sì, scusa, ero sovrappensiero” si riscosse lei
arrossendo leggermente.
Mi
feci più vicino a lei e poggiai il braccio sullo schienale
della sua sedia. “A che pensavi?”
“Impiccione”
mi accusò scherzosamente. “Nulla di che comunque, mi
facevo un quadro mentale degli impegni per le prossime settimane.”
“Oh
davvero? Mi hai deluso, credevo stessi decidendo il gusto del gelato
che prenderai.”
Ellie
ridacchiò. “Io prendo sempre lo stesso gusto da anni,
non ho bisogno di pensarci su.”
“Qual
è il tuo gusto preferito?” volli sapere, curioso.
“Cocco.”
“Ma
quanto sei dolce! Il cocco...”
Il
battibeccare di Jacob e Johanna mi distrasse. Non potei fare a meno
di osservarli mentre lui le si appiccicava con l'unico intento di
darle fastidio e lei quasi cadeva dalla sedia nel tentativo di
evitarlo e mandarlo via.
“Basta,
hai rotto le palle! Ditemi che gelato volete: vado a ordinarli, così
mi libero anche di questa palla al piede!” saltò su a un
certo punto lei, mettendosi in piedi e muovendo qualche passo verso
l'ingresso del locale.
“Io
il solito” disse Ellie.
“Mmh...
menta e fragola. Che carino, avrò il gelato verde e rosa!”
esclamai invece io. Le gemelle ridacchiarono.
“E
invece io vengo con te!” si intestardì Jacob,
piazzandosi accanto alla batterista e stringendola in un abbraccio
per nulla affettuoso.
“Oddio,
soffoco... sto morendo di caldo... brutto bastardo, lasciami in
pace!” strillò lei, divincolandosi velocemente e
correndo dentro il bar.
Jacob
la seguì e le risate dei due si persero nell'aria.
Alzai
gli occhi al cielo. “E poi sarei io il cretino”
commentai.
“Sono
terribili! Poi Jo non sopporta che qualcuno le stia addosso, tanto
meno un ragazzo” aggiunse Ellie.
“Ma
dai, è così acida? Jake è un bel ragazzo,
potrebbe farci un pensierino!” insinuai in tono malizioso.
Ellie
scoppiò a ridere. “Jake è un ragazzo davvero poco
serio, non è il caso! Credo abbia anche una groupie, sai?”
raccontò in tono complice.
“Una
groupie? Uh, qui la faccenda si fa intrigante! Chi sarebbe questa
donzella?”
Lei
puntò gli occhi sull'uscio del locale per essere certa che i
nostri amici non fossero di ritorno. “Roxanne, la ragazza da
cui andiamo a registrare” svelò.
“Oh
cazzo, quindi vi fa lo sconto?” scherzai.
“Non
saprei, in effetti sarebbe un buon compromesso.”
Mi
resi conto solo in quel momento che io mi ero fatto sempre più
vicino a Ellie e lei si stava ritraendo sempre più in un
angolino.
La
squadrai nuovamente con profondo interesse e lei probabilmente
avvertì il mio sguardo addosso. “Daron, scusa, avrei
bisogno del mio spazio vitale...” bofonchiò lei in
imbarazzo. Teneva lo sguardo basso, simbolo del profondo disagio che
stava provando.
Già,
forse avevo esagerato. A volte non mi rendevo conto di quel che
facevo, o non volevo rendermene conto.
Sorrisi
e le diedi un affettuoso buffetto sulla guancia. “Non si
trattano così gli amici, Ellie. Sei cattiva con me”
finsi di offendermi, tornando a poggiare la schiena sulla spalliera
della mia sedia e incrociando le braccia al petto.
Lei
avvampò e rimase in silenzio.
Mi
aveva per caso preso sul serio? Non era certo mia intenzione farla
sentire in colpa: aveva fatto bene a rimproverarmi, mi ero comportato
da idiota e non avevo fatto che metterla a disagio.
Ero
un disastro, un fottuto disastro. Non riuscivo in nessun modo ad
andare d'accordo con Ellie, non sapevo come prenderla e finivo sempre
per combinare qualche stronzata.
Proprio
mentre mi ero deciso a rompere il silenzio e rassicurarla, Jacob e
Johanna tornarono al nostro tavolo e ci ficcarono due enormi coni
stracolmi di gelato in mano.
“Fate
in fretta, questo coso si squaglia troppo in fretta!” ci
avvertì Johanna con il muso già impiastricciato di
crema e cioccolato.
“Questa
è un'opera d'arte: guardate che carino!” esultai,
cominciando a leccare la mia meravigliosa merenda. Ormai potevo
considerarla una cena, visto l'orario.
“Jake,
qual è stato il tuo esperimento stavolta?” domandò
Ellie mentre scrutava con curiosità il cono del suo amico.
“Limone
e tiramisù. Fa schifo, però è buonissimo!”
ribatté lui.
Li
fissai con aria confusa.
“Devi
sapere che questo qua sta facendo uno studio scientifico sui gusti
del gelato: vuole trovare i due gusti che facciano più a pugni
tra di loro” spiegò prontamente Johanna.
“Ah.
Che genio!”
Dopodiché
calò uno strano silenzio che si prolungò per circa un
minuto. Eravamo tutti troppo presi dai nostri gelati e troppo
impegnati a evitare che qualche goccia colasse.
“Tra
poco è il mio compleanno. E ci sarà anche quello di
John” me ne uscii io all'improvviso. Mi era venuta in mente
un'idea.
“Ah
già!” borbottò Johanna, che si stava
destreggiando tra una dozzina di fazzoletti e salviette umidificate.
Sembrava una bambina pasticciona.
“Jo,
ti serve aiuto?” le domandò Jacob perplesso.
“No,
lasciate perdere, sono un caso perso...”
“Comunque...”
ripresi a parlare, “domenica 17 tutti a pranzo a casa mia,
d'accordo?”
I
tre strabuzzarono gli occhi.
“L'hai
deciso in questo momento, vero?” indagò Johanna
aggrottando le sopracciglia.
“Esatto,
mi è venuto in mente trenta secondi fa. Niente regali, niente
feste e niente grandi eventi: prepariamo un pranzetto, ci abbuffiamo
come bestie, ci scoliamo un po' di buon vino e siamo a posto. Solo
noi dei System e voi dei Souls. Ci state?” chiarii.
“Vino!”
strillò Jacob entusiasta.
“Tu
sì che mi capisci, fratello.” Gli scoccai un'occhiata
complice.
“Solo
se mi promettete che non vi ubriacherete troppo. Non ho nessuna
voglia di starvi appresso e tenervi i capelli mentre vomitate
l'anima” ci ammonì Ellie.
“Questo
non te lo possiamo garantire” sghignazzai.
In
realtà di solito non festeggiavo il mio compleanno, preferivo
stare per i fatti miei e vedere il 18 luglio come una normalissima
giornata estiva. Ma, forse per via della vecchiaia, ultimamente stare
sempre solo non mi andava tanto.
Trascorremmo
un'altra ora a chiacchierare del più e del meno. Più
che altro ascoltai i ragazzi mentre mi raccontavano dei vari aneddoti
che capitavano loro durante i live. A quanto pareva i Souls stavano
cominciando a farsi un seguito: sotto il palco cominciava a radunarsi
un bel gruppetto di assidui seguaci e qualcuno addirittura chiedeva
loro delle foto ed era desideroso di conoscerli e far loro i
complimenti.
Anche
se non lo facevo esplicitamente presente, li ammiravo ed ero un loro
grande fan. Ero sempre più convinto che avessimo fatto bene a
sceglierli come gruppo spalla per il nostro tour europeo: erano dei
ragazzi grintosi e determinati, mettevano tanta passione in tutto ciò
che facevano e lottavano ogni giorno per potersi affermare in campo
musicale.
“Sapete”
cominciai a raccontare a un certo punto, “per me non è
stato così. Ecco perché penso che voi meritiate il
vostro successo; ve lo state guadagnando giorno dopo giorno.”
“Ma
che dici, Daron? Vuoi farmi credere che tu non te lo sei meritato?”
mi interruppe Jacob indignato.
“In
parte, ma ho avuto anche fortuna. Ero entrato a far parte dei System
– che allora si chiamavano Soil – per divertimento,
perché andavo d'accordo con i ragazzi e suonare la chitarra mi
piaceva un casino. Poi un giorno il nostro produttore, Rick Rubin, ci
sentì suonare in un locale e da lì fu una passeggiata
per noi, se così si può dire. Mi sono ritrovato per
puro caso a passare dalle peggiori bettole di Los Angeles al palco
dell'Ozzfest.”
“Ma
se Rick vi ha notato, evidentemente avevate del potenziale”
obiettò Ellie.
“Su,
diciamoci la verità: noi abbiamo avuto un angelo custode.
Emergere dal sottosuolo losangelino non è semplice, e voi che
ci state passando lo sapete bene.”
“Che
importa in che modo è avvenuto? Ciò che conta è
il talento di una band!” si infervorò Johanna.
Che
carini. Il modo in cui prendevano le mie difese era adorabile, mi
faceva tenerezza.
Ci
rendemmo conto che si stava facendo tardi solo quando il sole
cominciò a calare e tingere tutto di un intenso arancione.
“Cazzo,
io domani ho da lavorare!” sbottò Jacob consultando
l'orario sul suo cellulare.
“Io
prima di andare faccio una capatina al bagno” affermò
Ellie alzandosi e afferrando la sua borsa.
“Eh
no, qui qualcuno vuole fare la furba! Il gelato lo offro io, non ti
azzardare ad avvicinarti al bancone!” Saltai in piedi anche io,
pronto a seguirla all'interno.
Lei
sospirò rassegnata. “E va bene. Che palle però!”
Entrammo
nel bar e la ragazza si diresse verso la porta dei servizi; io invece
mi accostai al bancone e cominciai a giocherellare con le bustine
dello zucchero poste dentro una ciotola di plastica, mentre una
signora sulla settantina contava una manciata di monetine in maniera
estremamente lenta.
“Trentasei,
trentotto...” le sentii dire.
Sollevai
gli occhi al cielo. Me ne sarei andato a mezzanotte.
Nel
frattempo avvistai Ellie che si avviava nuovamente verso l'uscita e
le feci cenno di avvicinarsi. Lei cambiò traiettoria e mi
affiancò, poggiando i gomiti sul bancone.
“Fammi
compagnia, qui stiamo andando per le lunghe.” Le indicai
furtivamente la signora che ancora stazionava di fronte alla cassa.
“Mio
dio, ma non poteva portar fuori direttamente una banconota?”
commentò lei con una risatina.
“Ellie...”
“Dimmi.”
“Tu
non hai notato niente di strano?”
Lei
aggrottò le sopracciglia. “In che senso?”
“Tra
Jo e Jake.”
“Ma
che dici?”
Fissai
i miei occhi sui suoi. “Sai... tua sorella evita in tutti i
modi i contatti con lui. Non ti sei accorta prima, quando lui le ha
passato l'accendino? Jo ha subito ritratto la mano come se si fosse
scottata.”
Ellie
scosse la testa. “Qualsiasi cosa tu stia pensando, ti sbagli.
Ti ho già spiegato come la pensa.”
“Non
so, io ho notato dei cambiamenti ultimamente. All'inizio, quando li
ho conosciuti, non erano così.”
La
ragazza mi regalò un sorriso rassicurante. “Sono solo
film mentali, Daron. Stai tranquillo, okay?”
Arricciai
il naso e non risposi. Comunque c'era qualcosa che non mi convinceva.
In
quel momento arrivò il mio turno di pagare.
Dopodiché
io ed Ellie ci dirigemmo verso l'uscita. Lei allungò una mano
per afferrare la maniglia e proprio in quel momento io la abbracciai
da dietro. La ragazza subito sobbalzò e si irrigidì.
“Daron Malakian, che cavolo stai facendo?”
“Grazie
per la bellissima serata. Mi sentivo un po' solo oggi” ammisi.
Poi la costrinsi a voltarsi verso di me per poterla guardare negli
occhi. “E... oggi sei uno schianto, sai?”
Lei
avvampò per l'ennesima volta durante la serata, mentre dai
suoi occhi trasudavano agitazione e voglia di fuggire. “Che
scemo. Andiamo, gli altri ci daranno per dispersi.”
Detto
questo, aprì la porta di scatto e raggiunse il nostro tavolo
velocemente, quasi di corsa.
Salutai
calorosamente Jacob e Johanna e ricordai loro il nostro appuntamento
del 17.
Li
osservai allontanarsi, ma non mi decisi ad alzarmi e abbandonare a
mia volta la mia postazione.
Se
prima potevo avere un qualche dubbio, ora ne ero certo: Ellie ce
l'aveva con me, non mi sopportava.
Come
biasimarla? Non era colpa sua se ero una grandissima testa di cazzo.
Prendere o lasciare: questo ero io, questo era Daron.
♪ ♪ ♪
Ciao
ragazzi miei, eccomi qui!!!
Capitolo
lungo (come al solito) e pieno di avvenimenti scoppiettanti!
C'è
odore di festa nell'aria *-*
Che
dite? Il caldo sta dando alla testa a Daron, o le supposizioni del
nostro chitarrista saranno corrette? Cosa ne pensate del suo
comportamento nei confronti di Ellie?
Grazie
a tutti per essere ancora qui, spero di non annoiarvi con questi
capitoli così lunghi :3
Al
prossimo mercoledì, ho già l'aggiornamento
prontooooo!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Everybody dance ***
ReggaeFamily
Everybody
dance
Daron
Malakian And Scars On Broadway - Lives
♫
Jacob ♫
Rivoli
di sudore mi colavano lungo la schiena e inzuppavano la mia t-shirt,
mentre mi concentravo per eseguire al meglio uno dei miei tanti
assoli. Sul palco mi dimenavo come un pazzo, cercavo di divertire il
mio pubblico, ma non per questo non prestavo attenzione al mio
strumento: la precisione per me era tutto, l'ingrediente principale
per uno show degno di essere chiamato tale.
Fortunatamente
i miei compagni di band la pensavano allo stesso modo, nessuno si
concedeva di sbagliare.
Il
brano si concluse e io venni travolto da un caloroso applauso del mio
pubblico. Per ringraziarli mi esibii in qualche goffo inchino,
lasciandomi sfuggire un sorriso colmo di gratitudine.
Lasciai
poi scorrere lo sguardo tra la piccola folla che si era radunata
sotto il palco: la nostra musica aveva attirato un po' di gente che
passeggiava per il lungomare, così qualche volto nuovo si era
aggiunto ai nostri abituali seguaci. Non potei fare a meno di
soffermarmi sul piccolo gruppo di ragazze radunate in prima fila:
Melanie, già completamente ubriaca, non faceva che ronzare
attorno a Roxanne, probabilmente ancora più ubriaca di lei;
Kate invece scattava qualche foto, in compagnia di una sua amica che
non conoscevo e della sorella maggiore di Noah, Lilith. Quest'ultima
non abitava più a Los Angeles da un pezzo, ma aveva
approfittato delle ferie estive per tornare nella sua città
natale e supportare suo fratello durante i live.
“Ehi
ragazzi!” esclamò Ellie al microfono.
Il
pubblico esultò.
“Sentite
la brezza che proviene dal mare? Sentite anche voi l'aria fresca e
pulita, il profumo d'estate?” proseguì la cantante con
disinvoltura, facendo cenno verso la distesa salata alla nostra
destra.
Istintivamente
anche io condussi lo sguardo in quella direzione: lo spettacolo della
luna che si specchiava sull'acqua era magnifico. Ecco perché
amavo tanto suonare nei chioschi sulla spiaggia.
Il
pubblico rispose positivamente.
“Bene,
allora lasciatevi trasportare da essa: vogliamo vedervi ballare!
Anzi, libratevi in cielo, proprio come delle aquile!”
concluse Ellie con entusiasmo, accentuando maggiormente l'ultima
parola; era sempre così quando introducevamo Eagles, il
nostro primo singolo: era stata Johanna a ideare quella frase, in cui
si incitavano i nostri fan a danzare come aquile in volo, e il resto
della band aveva approvato.
Così
fummo investiti da un boato colmo d'entusiasmo, mentre Johanna dava
il via al brano con un passaggio sul rullante dalle sonorità
profondamente reggae. Con la coda dell'occhio la vidi sorridere,
soddisfatta del successo che il suo discorso introduttivo stava
riscuotendo.
Ricambiai
il suo sorriso e mi lanciai in un allegro levare, inserendo qualche
piccola variazione e improvvisazione laddove era possibile. Nel
frattempo mi dimenavo come un matto, scuotevo la testa, dondolavo,
ballavo e passeggiavo. La linea di basso che Noah stava eseguendo mi
si imprimeva fin dentro le ossa, la voce di Ellie si modellava ed
esplodeva nell'aria con tutta la sua energia.
Non
ne avevo mai abbastanza di stare su un palco a suonare la nostra
musica, era il mio habitat naturale.
Quasi
rischiai di scoppiare a ridere quando avvistai Melanie che si agitava
come una pazza, gridando ogni singola parola del testo, e l'amica di
Kate che mi osservava come fossi un alieno. Già, non tutti
erano abituati ai miei buffi balli.
Roxanne
invece rideva come una matta e si muoveva sensualmente a ritmo di
musica. Dovetti distogliere lo sguardo, altrimenti avrei piantato in
asso i Souls e sarei corso giù dal palco per avventarmi su di
lei. Quella ragazza era tremendamente sexy, mi faceva impazzire e
cercava in tutte le circostanze di mettermi in difficoltà.
Anche quando ci trovavamo in sala di registrazione tutti insieme, lei
flirtava spudoratamente con me e io dovevo ingegnarmi per nascondere
le reazioni del mio corpo.
Dopo
mesi che ci frequentavamo regolarmente, il sesso tra noi era ancora
favoloso.
Mi
sorpresi nel constatare che, subito dietro le ragazze, nuovi e vecchi
fans ballavano contenti e intonavano il ritornello del brano a gran
voce: qualcuno canticchiava pure le strofe, segno che aveva ascoltato
Eagles già parecchie volte.
Ero
davvero emozionato. Ogni volta il pubblico ci dimostrava grande
approvazione, e io non mi ci abituavo mai.
Alla
fine del brano mi lasciai andare a un assolo improvvisato, mandando
in delirio tutti quanti. Avrei potuto anche ruotare su me stesso o
rotolare sul palco come faceva Daron nei suoi anni d'oro, ma forse
era meglio lasciar perdere: avevo ingurgitato già troppo alcol
e mi girava un minimo la testa, meglio non rischiare la vita.
Lanciai
un'occhiata alle mie spalle e mi resi subito conto che qualcosa non
andava. Il viso di Johanna era deformato da una smorfia di
disapprovazione; teneva gli occhi puntati sul pubblico. Seguii il suo
sguardo e mi ritrovai faccia a faccia con Miles che, sorridente,
stazionava in prima fila tra Melanie e Lilith.
Ecco,
ora si spiegava tutto. La batterista detestava quel tipo, me n'ero
reso conto, anche se non ero ancora riuscito a scoprire come mai.
Miles mi sembrava un ragazzo a posto, eravamo amici su facebook e
ogni tanto ci scambiavamo qualche like; lui condivideva spesso i
nostri aggiornamenti e commentava spesso i nostri post, gli piaceva
la nostra musica, cosa c'era di male in questo?
Decisi
di non badarci troppo, ma sperai comunque che la comparsa del ragazzo
non rovinasse troppo l'umore della mia amica.
“Dai,
calmati! Cosa cambia se c'è lui?”
“Ecco
qua, come al solito non capisci nulla. Senti Noah, meglio se eviti di
commentare e mi lasci in pace.”
“Mi
dispiace vederti così agitata per un motivo futile. Questo è
il nostro concerto, il nostro mondo, perché te lo devi far
rovinare da una persona innocua?”
Noah
e Johanna non facevano che battibeccare da quando eravamo scesi dal
palco, qualche minuto prima. Ellie era subito dovuta correre in
bagno, così ero rimasto da solo a sorbire le discussioni di
quei due. Mi ero astenuto dal dare un qualsiasi parere e avevo
trovato conforto in una bottiglia di birra che un cameriere si era
premurato di servirmi subito dopo il concerto.
Sinceramente
non ne potevo più, tutta questa faccenda stava diventando
pesante: Noah ed Ellie potevano anche non condividere il punto di
vista della batterista, ma se Miles non le andava a genio era inutile
cercare di convincerla del contrario. Se non voleva avere nulla a che
fare con quel ragazzo era libera di farlo, io non mi sarei mai
permesso di insistere tanto.
Ma
Noah non era come me, lui si interessava sempre agli altri e tentava
in tutti i modi di riportare la pace, ovunque andasse. Così
insisteva, non perdeva mai le speranze, e certe volte arrivava a
diventare perfino fastidioso.
“Ehi,
come mai state discutendo? Che succede?” intervenne Ellie, di
ritorno dal bagno. Aveva le sopracciglia aggrottate e i suoi occhi
trasmettevano preoccupazione.
No,
non potevo accettare che un'altra persona venisse contagiata dal
malumore di Johanna.
Mi
accostai a lei prima che i due litiganti potessero proferire parola e
le avvolsi le spalle con un braccio. “Ellie, mia adorata Ellie,
oggi eri veramente in forma e hai cantato splendidamente! Abbiamo una
frontwoman eccezionale!”.
Lei
rise e mi mollò un leggero pugno sul petto. “Ma
smettila, sei ubriaco!” mi punzecchiò.
“Io,
ubriaco? Ricorda: posso bere come una spugna, ma non vado mai fuori
di testa, io all'alcol ci ho fatto l'abitudine!” mi
pavoneggiai, gonfiando teatralmente il petto. “Dai, vieni, ti
offro qualcosa al bar per festeggiare... e così ne
approfittiamo per chiedere un feedback al nostro pubblico, sono
sicuro che confermeranno ciò che ti ho detto io!”
E
così, tra una risata e l'altra, riuscii a trascinarla lontano
dal resto della band. Noah mi ringraziò con un'occhiata
furtiva.
“Oddio
ragazzi, siete stati strepitosi!” squittì Melanie non
appena ci intercettò, gettandosi poi addosso a noi e
stringendoci in un abbraccio soffocante.
La
osservai: indossava un top verde semaforo e degli shorts a fantasia
floreale, che risaltavano eccessivamente sulla sua pelle bruna. Era
sempre particolare, in tutto ciò che faceva.
“Suvvia,
che sono tutti questi complimenti? Siamo qui per servirvi!”
affermai solennemente, esibendomi in un fallimentare baciamano.
Le
due ragazze risero, poi Ellie abbracciò nuovamente la sua
amica e la ringraziò per i complimenti.
“Cazzo,
la migliore band di Los Angeles registra da me, mi sento fottutamente
fortunata!” esordì Roxanne, saltandomi letteralmente
addosso e tempestando il mio viso di baci. Inizialmente rimasi
impalato perché il suo arrivo improvviso mi aveva colto alla
sprovvista, poi me la scrollai di dosso. Non era il caso di mettere
su certe scenette in pubblico, la gente avrebbe potuto pensare che
eravamo una coppia e non volevo che circolassero notizie false sul
mio conto.
La
ragazza sbatté le ciglia appesantite da un'abbondante dose di
mascara, implorandomi di non comportarmi in quel modo. Ricambiai
brevemente, poi mi soffermai sulla sua nuova tinta: blu con alcune
ciocche fucsia.
Non
dovevo farmi prendere dall'eccitazione in quel momento, volevo prima
festeggiare un po' con i miei amici. Per lei ci sarebbe stato tempo
più tardi. Tuttavia mi ero reso conto che quel giorno aveva
particolarmente voglia di ronzarmi attorno e provocarmi.
“Sei
il chitarrista più sexy della storia. Amo come ti muovi, sei
un animale da palcoscenico” miagolò, sistemandosi
sensualmente i capelli dietro l'orecchio.
Mi
chinai sul suo orecchio e mormorai: “Dopo ti dimostrerò
che fottuto animale da letto sono”.
Tanto
ero preso da quella conversazione che quasi mi spaventai nel
ritrovarmi di fronte Miles. Aveva subito intercettato Ellie e l'aveva
salutata in un abbraccio, ora cercava di attirare la mia attenzione.
“Jacob,
che piacere rivederti! Complimenti, davvero un ottimo spettacolo!
Come dicevo a Ellie, secondo me non fate che migliorare!” mi
salutò, allungando una mano affinché io la stringessi.
Invece
io gli mollai un'amichevole pacca sulla spalla che sembrò
destabilizzarlo un attimo. “Fratello, grazie per essere
venuto!”
Dopo
aver ricevuto qualche altro complimento, fummo raggiunti anche da
Noah e Johanna. Quest'ultima pareva più rilassata, anche se si
teneva a debita distanza dal bassista.
Subito
cercai di trascinare tutti al bancone per prendere un drink. Qualcuno
non aveva intenzione di consumare nulla, ma mi seguì lo
stesso.
Mentre
sorseggiavo un cocktail di cui non sapevo neanche il nome e
chiacchieravo allegramente con i miei amici, mi guardai attorno; il
chiosco in legno in cui ci trovavamo era gremito di gente: un gran
numero di persone faceva la coda per il bagno, qualcuno stazionava
nei tavolini stipati negli angoli più in disparte, alcuni
gruppi di ragazzi fumavano sull'ampia terrazza a pochi passi dal mare
e alcuni si scatenavano in pista a ritmo della musica che veniva
diffusa dalle casse. Nulla di pertinente al nostro genere in realtà:
gli ultimi tormentoni dell'estate, le classiche canzoni dance da
discoteca e reggaeton.
“Bene!”
esplose a un certo punto Melanie, sovrastando il chiacchiericcio
generale e l'assordante hit di Rihanna che inondava l'intera
struttura. “Non so voi, ma oggi voglio ballare! Chi mi ama mi
segua, adios!” affermò, poi si fiondò al
centro della pista e iniziò a dimenarsi senza alcuna vergogna
ed esitazione. Le altre ballerine la fulminarono con lo sguardo,
invidiose del suo fisico perfetto e della sua bravura nel ballo.
Sbattei
il mio bicchiere vuoto sul bancone. “Mel, io ti amo, quindi ti
seguo!” esclamai, procedendo a grandi falcate in sua direzione.
Certo,
le canzoni che passavano non mi piacevano e di certo quello non era
il mio ambiente, ma quando c'era da divertirsi ero sempre pronto. Mi
era capitato di finire in discoteca con i miei amici e me l'ero
cavata sempre alla grande, avevo rimorchiato tutte le volte e me
l'ero spassata.
Mi
lanciai nelle mie solite danze stupide, scatenando l'ilarità
generale.
“Dai,
chi ci vuole raggiungere?” gridai a un certo punto. “Mel,
aiutami a trascinarli in pista!”
Io
e Melanie ci demmo da fare: uno dopo l'altro, spingemmo i nostri
amici al centro della piattaforma di legno e cercammo di coinvolgerli
tentando di formare delle coppie o chiedendo loro di concederci un
ballo.
Tra
prese in giro scherzose, coreografie improvvisate e testi delle
canzoni rivisitati in chiave oscena e volgare, la finimmo a ridere
tutti insieme senza riuscire a contenerci.
Ma
nonostante tutto non mi sfuggirono Miles ed Ellie che spesso
chiacchieravano e scherzavano tra loro.
E
Johanna che li trucidava con lo sguardo.
♫
Shavo ♫
Suonai
il campanello con la mano sinistra e ciò mi venne abbastanza
difficile. Con la destra stringevo una bottiglia del vino migliore
che conoscevo.
“Non
portate niente di pronto, prepareremo il cibo tutti assieme”
aveva detto Daron quando ci aveva annunciato che avrebbe organizzato
un pranzo di compleanno a casa sua.
Io
ero rimasto basito: non era da lui invitare esplicitamente un gruppo
di persone a invadere i suoi spazi personali, soprattutto in
occasione di una ricorrenza del genere. Poi però mi ero detto
che probabilmente si trattava di una scusa per trascorrere una
giornata diversa dal solito, in compagnia di amici vecchi e nuovi.
Dopo
qualche istante di attesa, la porta si spalancò e mi ritrovai
di fonte John, completamente vestito di nero e con la sua solita
espressione seria dipinta in viso. “Ehi” mi salutò.
Gli
anni passavano, ma lui non cambiava di una virgola.
Lo
strinsi di slancio in un abbraccio fraterno. “Vecchio mio,
trentotto anni e non sentirli! Tanti auguri, amico!”
Lui,
prontamente, mi sfilò la bottiglia di vino dalle mani prima
che succedesse l'irrimediabile e la posò su una mensola
dell'ingresso, poi ricambiò con una frettolosa stretta e una
pacca sulla schiena. “Parli come se avessimo trent'anni di
differenza! Comunque grazie.”
Feci
scivolare gli occhiali da sole verso l'alto, sistemandoli poco sopra
la fronte, poi mi impossessai nuovamente della bottiglia e avanzai di
qualche passo nell'ingresso. “Il padrone di casa dov'è?
I ragazzi non sono ancora arrivati?”
Proprio
in quel momento riconobbi il familiare suono di una chitarra acustica
provenire dal soggiorno e d'istinto lo seguii.
Qualche
istante dopo, nel grande salone inondato dalla luce mattutina,
avvistai Daron stravaccato sul tappeto di fronte al divano, la
chitarra tra le braccia e una miriade di taccuini, fogli, quaderni e
spartiti sparpagliati tutt'intorno a lui.
“Niente
auguri, non è ancora il mio compleanno!” si affrettò
a chiarire non appena mi intercettò, come se avesse paura che
gli potessi saltare addosso da un momento all'altro.
Lo
raggiunsi e mi stravaccai sul divano. “Che casino, Malakian!
Tra poco arriveranno gli ospiti, ti sembra questo il modo giusto di
accoglierli? Questo tappeto sembra un'edicola” lo rimproverai
scherzosamente.
“Vaffanculo.
Comunque, sto componendo una canzone e mi serve un aiuto”
sentenziò, afferrando un piccolo bloc notes ad anelli che
teneva aperto davanti a sé.
“Questo
sarebbe il testo?” Afferrai l'oggetto e cominciai a leggere la
disordinata grafia del chitarrista che si srotolava tra i quadretti.
“Un
abbozzo di testo, ma è molto breve e vorrei aggiungerci
qualcosa. Alcuni punti non mi convincono, ma stavo cercando di
mettere insieme almeno la melodia per l'inizio” spiegò.
“Io
non sono riuscito ad aiutarlo, ma del resto non sono molto ferrato
nel comporre. Non linee vocali, almeno.” John mi affiancò
sul divano, posò i gomiti sulle ginocchia e poggiò il
mento sui palmi delle mani.
Finii
di leggere, poi resi il taccuino a Daron. Gli chiesi di farmi sentire
ciò che era riuscito a combinare fino a quel momento.
“Allora,
secondo me potresti fare così: da everybody dance fino
al secondo when you wanna dance potresti utilizzare la stessa
formula o comunque molto simile in tutti e quattro i versi, mentre in
you will get in a trance la dovresti cambiare” gli
consigliai.
Lui
strimpellò distrattamente una corda. “Grazie, fin qui
c'ero arrivato anch'io. Il punto è che non riesco a trovare
qualcosa che mi convinca.”
“Daron...
è per un nuovo disco dei System?” buttai lì,
sorprendendo perfino me stesso. In realtà quella domanda mi
frullava per la mente da quando avevo visto che Daron si era messo
all'opera per comporre. Certo, dedicarsi alla sua musica non era
insolito per lui, ma da quando ci eravamo riuniti cominciavo a
sperare davvero in un nuovo album.
Calò
il silenzio per qualche secondo, in cui John mi lanciò una
fugace occhiata ammonitrice.
Il
chitarrista si mise in piedi, scalciando qualche foglio. “Shavo,
io non compongo per qualcosa o qualcuno in particolare. Compongo
perché non ne posso fare a meno.” Saltellò tra il
disordine che lui aveva creato fino all'angolo vicino alla tv, poggiò
la chitarra e ci lanciò il telecomando.
Così,
mentre lui riordinava, io facevo allegramente zapping tra i canali
sportivi in cerca di qualche partita interessante da guardare.
“Mi
pare ci sia una finale di tennis oggi, ma non ricordo il nome del
torneo...” commentai.
“Uff,
io volevo l'hockey!” protestò Daron.
“Che
palle, tanto oggi non ci sono partite!”
“Veramente
dovevo controllare, forse ce n'era una a mezzogiorno!”
Cominciammo
a battibeccare e andammo avanti finché John, esausto, mi sfilò
il telecomando dalle mani e con uno sbuffo sintonizzo il televisore
su un canale di musica rock. “Che dite, cominciamo a preparare
qualcosa?” propose, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la
cucina.
Non
sapeva proprio stare con le mani in mano.
“Rilassati,
è ancora presto. E poi Serj si è preso l'incarico di
fare la spesa prima di venire” lo rassicurò Daron,
ancheggiato come un idiota su China Girl di David Bowie. Era
inguardabile, non potei fare a meno di ridacchiare.
“Immagino
che tu non abbia nulla in dispensa” commentai poi.
“No,
solo qualcosa in freezer” ammise.
Il
trillo acuto del campanello mi fece sobbalzare.
Daron
lasciò cadere la pila di appunti che aveva raccolto con tanta
cura e questi si sparsero nuovamente ai miei piedi; corse
all'ingresso e lo sentii rispondere al citofono.
“Daron,
sei un coglione, adesso devi raccogliere di nuovo tutto!”
gridai. Decisi di dargli una mano e radunai tutto in un angolo.
“Guarda
un po' chi si vede” commentò John facendo un cenno verso
il televisore, proprio sull'inizio di The Trooper degli Iron
Maiden.
“Uhuh!”
esultai, alzando il volume.
“Ehilà
ragazzi! Caspita, che accoglienza!” esplose la voce di Jacob.
Mi
voltai verso la porta d'ingresso del soggiorno: il chitarrista e le
gemelle sorridevano raggianti, affiancati da Daron.
Feci
per avvicinarmi ai nuovi arrivati e salutarli, ma loro si
scaraventarono addosso a John e lo strinsero in un abbraccio. Lui,
colto alla sprovvista, rischiò di ruzzolare a terra, ma subito
si ricompose e ricambiò la stretta.
“Tanti
auguri a te!” strillarono Ellie, Johanna e Jacob in coro,
mentre le ragazze stampavano un affettuoso bacio sulla guancia del
batterista.
“Grazie,
grazie...” bofonchiò lui in leggero imbarazzo.
Li
salutai anch'io e chiesi loro che ne era stato di Noah.
“In
ritardo, come sempre. Figurati, è talmente patologico che
sarebbe in grado di perdere un aereo” spiegò prontamente
Johanna.
“Allora,
che c'è da fare? Cosa dobbiamo preparare per pranzo?”
domandò Ellie, guardandosi attorno come alla ricerca di una
qualsiasi attività utile da svolgere. “Non mi aspettavo
che la casa di Daron fosse così carina” aggiunse poi,
rivolgendo un'occhiata a me e John.
Scossi
il capo. “Non hai visto la sua camera da letto.”
“Dobbiamo
aspettare che Serj arrivi con la spesa” chiarì poi John.
Intanto
Daron, Jacob e Johanna discutevano animatamente di Bruce Springsteen
per capire se potesse definirsi artista di talento o meno. Infatti,
proprio in quel momento, nella stanza si diffondevano le note di
Dancing In The Dark.
“Oh,
Serj fa la spesa per Daron?” si sorprese la nostra
interlocutrice.
Mi
strinsi nelle spalle. “Solo per quest'occasione.”
“Normalmente
Daron muore di fame perché non ha voglia di andare al
supermercato” aggiunse John ridacchiando.
Presi
posto nel divano ad angolo e invitai la ragazza a seguirmi. Lei fece
per accomodarsi, poi notò la pila di fogli ancora accatastata
sul pavimento e si chinò a esaminarla. “Cos'è
questa roba?”
Daron,
come punto da un insetto, scattò verso di lei lasciando
perdere la conversazione a cui aveva preso parte. “No, giù
le mani, sono cose che non ti riguardano!” strillò,
afferrando gli appunti e correndo fuori dalla stanza.
Ellie
si sedette accanto a me e sbatté le ciglia, confusa. “Vabbè,
scusa...” mormorò, rivolta a nessuno in particolare.
Le
avvolsi un braccio intorno alle spalle e tentai di rassicurarla:
“Lascialo perdere. È in fase di composizione e non
sopporta che qualcuno veda il suo operato, a meno che noi sia lui ad
acconsentire”.
“Certo...
io non l'ho fatto con cattive intenzioni, ma forse ha ragione lui:
avrei dovuto farmi gli affari miei” ammise, torcendosi le mani.
Risi.
“Non fa nulla, è già acqua passata! Allora, com'è
andato il concerto di venerdì?” domandai curioso. Il 15
i Souls avevano tenuto un concerto in un chiosco sulla spiaggia a cui
tenevano particolarmente, l'avevano pubblicizzato tanto anche sui
social.
La
cantante sorrise, ma poi si rabbuiò e abbassò lo
sguardo. “Il concerto è andato bene...”
“Ma?”
indagai. Immaginavo ci fosse dell'altro.
“Poi
è successo un casino.”
Mi
irrigidì leggermente. “Un casino?”
“Tra
Jo e Miles. Hai presente Miles, no? Quello che ci ha fatto
l'intervista, te ne avevo parlato...”
Sì,
ricordavo perfettamente: lo avevamo perfino incontrato a un loro
concerto, qualche mese prima.
Mi
agitai sul divano, leggermente in ansia. “Che è
successo?”
Lei
si guardò intorno, circospetta: per quanto le nostre voci si
confondessero nel baccano generale, aveva paura che qualcuno potesse
origliare. “Dopo, te lo racconto dopo” mi disse.
Avevo
paura che quella faccenda potesse rovinare il buonumore generale: del
resto quella era la nostra personale festa, non solo perché
c'erano di mezzo due compleanni, e dovevamo godercela fino in fondo.
“Oddio!”
Il grido di Daron rimbalzò ovunque, mentre lui alzava il
volume fino a fare tremare i vetri e metteva a dura prova le casse
collegate al televisore.
“Malakian,
ma sei rincoglionito? Che problemi hai?” si rivoltò
Johanna, ma anche lei lanciò un gridolino di gioia quando si
accorse che in tv era appena iniziata One Way Ticket To Hell
dei The Darkness.
“Uh,
che bomba!” esultò Ellie, balzando in piedi. Dal suo
viso era sparita ogni traccia di agitazione e vi si era dipinto un
sorriso raggiante. Mi tese la mano. “Mr Odadjian, mi
concederebbe questo ballo?”
Risi
e la assecondai. “Non sono affatto un bravo ballerino” la
informai. Non appena cominciai a muovermi, mi accorsi subito di
quanto i miei gesti fossero rigidi. Forse potevo ricorrere ancora al
mio caro vecchio headbanging.
“Neanche
loro lo sono” mi fece notare lei, indicando Daron e Jacob. I
due ballavano insieme una sorta di lento – ballo che non aveva
alcuna attinenza con la canzone.
Ridemmo
mentre Ellie mi prendeva una mano e accennava una buffa piroetta. Nel
frattempo cantava sulla voce di Justin Hawkins.
“Li
conosci anche di persona?” mi chiese.
“Ci
ho avuto a che fare a qualche festival.”
Intanto
Johanna si era lanciata nell'impresa impossibile di far ballare John.
“Dai, quando fai l'orso in questo modo mi sembri Daron! Sempre
il solito serio! Ho bisogno di un cavaliere!” lo implorava.
“Lascia
stare, Jo, non cederà mai!” Le scoccai un'occhiata
complice.
“Ah
sì? Dici? Io non ci giurerei!” esclamò Ellie
illuminandosi. Si allontanò da me e si diresse a passo di
marcia verso Daron e Jacob. “Ragazzi, io e Jo abbiamo bisogno
d'aiuto!”
“Agli
ordini, capo!” ribatté prontamente Jacob eseguendo il
saluto militare.
Mi
gustai, piegato in due dalle risate, la scenetta comica dei quattro
che cercavano di coinvolgere John in improbabili balletti di gruppo,
prendendogli i polsi e trascinandolo per tutto il tappeto. Lui si
divincolava e correva via, ma le troppe risate lo rallentavano.
Alla
fine anch'io mi gettai nella mischia e le danze proseguirono anche su
Message In A Bottle dei The Police. La festa aveva avuto
ufficialmente inizio: tutti ballavano, nessuno escluso.
Come
nel primo verso della nuova canzone di Daron.
♪ ♪ ♪
Ragazzi
miei!!!!! Quanto tempo, oddio o.o
Lo
so, sono imperdonabile: non solo vi ho fatto aspettare mesi per un
aggiornamento, ma ho anche portato fuori questo mediocre capitolo di
transizione! Sono pessima T.T
Beh,
dai, non potevo proprio evitare di utilizzare la nuovissima uscita
discografica dei miei adorati Scars! Mi sono innamorata
IMMEDIATAMENTE di Lives appena l'ho sentita, adesso sono a
livelli di fissa tale che la ascolto una dozzina di volte al
giorno... ^^”
E
anche se il suo significato non c'entra praticamente niente con il
capitolo, quell'everybody dance mi ha dato subito uno spunto!
Ho anche voluto immaginare il momento in cui Daron la compone, spero
abbiate apprezzato *-*
Grazie
a chiunque leggerà e recensirà nonostante il mio
immenso ritardo nell'aggiornare :3
Non
vi prometto niente, ma spero di tornare presto!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Darts screach ***
ReggaeFamily
Darts
screach
System
Of A Down - Darts
♫
Serj ♫
Con
mano esperta, picchiettai per la terza volta un uovo sul bordo della
ciotola in vetro; il guscio si frantumò, così potei
riversare tuorlo e albume nel recipiente.
Davanti
a me, nel grande piano da cucina, erano disposti zucchero, farina, un
sacchetto di gocce di cioccolato e un panetto di burro.
Ovviamente,
quando avevo detto a Daron che mi sarei occupato del dolce, avevo già
in mente la ricetta perfetta per una torta coi fiocchi. Di certo non
avrei mai acquistato una torta pronta e confezionata, anche perché
impastare e sperimentare mi piaceva.
Dalla
stanza accanto giungevano le voci e le risate dei ragazzi,
accompagnate dalla musica in sottofondo.
“Ehi,
Serj!” Ellie irruppe in cucina con un gran sorriso e mi si
avvicinò. “Sei arrivato da neanche un quarto d'ora e ti
sei già messo all'opera!”
“Casa
di Daron è un po' anche casa mia, capita spesso di recarmi qui
e cucinare. Anche perché altrimenti questa stanza farebbe la
muffa: Daron non ama mettersi ai fornelli” spiegai mentre
adoperavo il frustino e cominciavo a rimestare le uova.
“A
te invece piace?”
“Non
sono un grande chef, ma certe volte mi vengono delle idee per qualche
ricetta e le devo provare. Angela non mi dà quasi mai il via
libera, ha paura che combini qualche disastro!”
Ellie
ridacchiò. “A me piace molto preparare i primi, invece.
Pasta, risotti, brodi... non sono tipicamente dei piatti americani,
ma mi fanno impazzire!”
Le
lanciai un'occhiata e notai che si guardava attorno, come se cercasse
di memorizzare ogni singolo angolo della stanza. “Non ti vorrai
mica mettere a cucinare!”
“Ma
certo che sì!”
“Se
tu ti occupi del dolce, qualcun altro dovrà occuparsi del
resto, no?”
Due
voci esplosero alle mie spalle, facendomi sobbalzare. Mi voltai:
Shavo, Noah e Johanna avevano invaso la cucina e ora si
sparpagliavano tra pentole, credenza, frigo, fornelli e forchettoni.
Ero
allibito.
“Allora,
io direi che potremmo fare un bel fritto misto... anche se ho paura
che l'odore della frittura ci si attacchi addosso” rifletté
Johanna.
“E
se invece tagliassimo queste patate e le ficcassimo in forno?”
propose Shavo, indicando una busta piena di patate.
“Oppure
le potremmo fare lesse e aggiungerle all'insalata!” esclamò
invece Noah, che già armeggiava con un coltello e dei
pomodori.
“Per
la pasta stavo pensando di usare questo salmone, ma Serj è
vegetariano!” aggiunse la batterista.
“Che
casinisti! Mi sa che io vado a impastare da un'altra parte”
scherzai, fingendomi infastidito.
“Serj,
vieni qui, davvero!” sentii gridare a Daron dall'altra stanza.
“In
soggiorno?!” esclamò Ellie di rimando.
“Perché
no? Siete in troppi, ora arriva anche John!”
Un
tonfo assordante si propagò nella stanza, rimbombando
sonoramente. Il rumore fu talmente forte che per qualche istante
temetti di aver perso l'udito all'orecchio destro.
“Shavo!”
esplose Johanna.
“Non
è mica colpa mia se quel coglione di Daron costruisce trappole
per casa sua!” si difese il bassista.
Quest'ultimo
aveva aperto l'anta di un mobile alla ricerca di qualche padella, e
non solo le aveva trovate, ma ci aveva reso partecipi del contenuto
di quell'armadietto; mentre un piccolo tegame e due coperchi ancora
rotolavano sul pavimento, Shavo cercava di impedire che l'intera pila
pericolante di stoviglie rovinasse a terra.
“Le
mie povere orecchie!” si lamentò Noah.
“Questo
mobile era troppo pieno!” Accigliata, Johanna si precipitò
ad aiutare il bassista.
Io
ed Ellie ci scambiammo uno sguardo complice, poi senza una parola
afferrai la ciotola di vetro con le uova e lo zucchero, mentre la
ragazza raccattava gli ingredienti che ancora non avevo usato.
Ci
fiondammo in soggiorno ridendo; John, Daron e Jacob ci lanciarono
un'occhiata interrogativa.
“Mi
stanno distruggendo la casa?” chiese Daron preoccupato.
“Probabile,
ma tanto tu in quella stanza non ci metti mai piede” gli feci
notare.
“Non
è vero! Ci sono tante cose belle e utili, come il frigo, il
microonde...”
Ellie
scosse la testa.
Mi
posizionai sul tavolo, al centro della stanza, e ricominciai il mio
lavoro come se niente fosse.
“E
noi che facciamo?” chiese Jacob con fare annoiato, lanciando
l'ennesima occhiata al padrone di casa.
Quest'ultimo
si alzò dal tappeto ai piedi del divano, si avviò a
passo di marcia verso il televisore ed esclamò: “Adesso
vedrai!”.
“Dare
una mano sarebbe un'idea troppo cattiva, vero Malakian?” lo
punzecchiai.
“C'è
un mucchio di gente in cucina, cosa ci faccio? Io sono qui per
intrattenervi!” si difese il chitarrista.
“Io
mi sono già prenotato per apparecchiare la tavola, sarà
un'opera artistica!” esclamò Jacob gonfiandosi tutto.
“Guitar Hero 5”
commentò poi, avvicinandosi a Daron.
“Esatto,
sfida da chitarrista a chitarrista!”
“Daron
perde di sicuro” commentò John, prima di sparire in
cucina.
“Ehi,
bastardo, come ti permetti? È da quasi vent'anni che suono con
te e...” si rivoltò il diretto interessato, ma ormai il
batterista non lo sentiva più.
Distolsi
lo sguardo dalla scena. “Ellie, potresti versare un altro po'
di farina?”
“Certo!”
rispose prontamente la ragazza al mio fianco. “Mi sa che questa
dose non basterà, l'impasto è ancora molto liquido. Hai
usato qualche uovo in più, vero?”
“Sì,
ho raddoppiato la dose in modo che uscisse un po' più grande.
Ma non seguire la ricetta per filo e per segno, faremo a intuito.”
“Va
bene, capo!”
“Children
Of Bodom!” strillò Jacob, rallegrandosi tutto e
attirando nuovamente la nostra attenzione.
“No,
dai, che palle! Qualcosa anni '80, tipo i Dire Straits: qui c'è
Sultans Of Swing! Anzi, se facessimo i Garbage?” obiettò
Daron con uno sbuffo.
I
due scorrevano i titoli delle canzoni che era possibile suonare.
Ormai le conoscevo a memoria, sia Daron che John possedevano il gioco
perché conteneva una canzone degli Scars On Broadway.
“Ma
i Garbage fanno cagare! Almeno gli Iron Maiden me li concedi?”
“E
se invece facessimo gli Smashing Pumpkins?”
“Basta!”
intervenne Ellie. “Smettetela di urlare e fate Superstition!”
Ridacchiai
tra me.
“E
tu nel frattempo la canti?” le si rivolse Jacob.
La
ragazza arrossì, mi lanciò una breve occhiata e io le
strizzai l'occhio. “Va bene, tutto purché la smettiate!”
acconsentì.
Il
primo a esibirsi sul brano fu Jacob, ovviamente impostando la massima
difficoltà. Il celebre brano di Stevie Wonder venne lanciato a
tutto volume dalle casse del televisore, coprendo anche i
preoccupanti schiamazzi provenienti dalla cucina.
Amavo
sempre più quella gabbia di matti.
Ellie
prese a cantare e io rimasi colpito, come sempre quando la sentivo.
Non si era scaldata la voce, eppure aveva una padronanza e una
tecnica da fare invidia a qualsiasi cantante famoso. I Souls potevano
ritenersi fortunati ad avere una frontwoman così talentuosa,
energica e passionale.
Proprio
a metà del pezzo, Shavo comparve in soggiorno con il cellulare
all'orecchio. Lo sentii gridare: “Cosa? Non ti sento, aspetta
un attimo che esco!”.
Si
diresse verso la portafinestra che conduceva a un piccolo terrazzo,
situato a poca distanza dal televisore, ma prima di lasciare la
stanza fece un cenno a Ellie. Lei annuì e, quando finì
di cantare, lo raggiunse discretamente all'esterno.
Feci
spallucce.
Jacob
e Daron erano troppo impegnati a battibeccare per rendersi conto che
la loro cantante era scomparsa.
Intanto
io procedevo indisturbato con la preparazione della mia torta. Stavo
per versare il lievito, e quindi completare l'opera, quando sentii
una mano che mi picchiettava sulla spalla.
Mi
voltai di scatto, leggermente spaventato, e mi ritrovai faccia a
faccia con Johanna.
“Ellie
si è portata appresso questo, voleva fartelo firmare. Le
facciamo una sorpresa?” domandò porgendomi una penna e
la custodia di un album, che riconobbi subito come Elect The Dead
Symphony.
Mi
tornò subito in mente la telefonata con Ellie in cui mi diceva
di aver guardato quel DVD. Con un sorriso, corsi in cucina a
sciacquarmi le mani e poi impugnai la penna, intenzionato a
inventarmi qualche dedica per la mia piccola amica.
A
Ellie, dolce amica e strepitosa cantante. Che anche tu, un giorno,
possa dare alle stampe un live come questo, se non migliore.
Tuo
Serj Tankian
Non
appena ebbi finito, Johanna mi rubò subito l'oggetto di mano,
curiosissima di leggere.
“Attenta,
che l'inchiostro si sbava!” la avvertii.
“Oddio,
ma è bellissimo! A Ellie verrà un infarto! Glielo
posiziono accanto al piatto quando apparecchiamo la tavola!”
esultò la ragazza, poi corse a rimproverare Jacob e Daron che
ancora strillavano.
♫
Ellie ♫
Fuori
faceva un caldo pauroso. Subito mi andai a rifugiare in un angolo in
ombra della terrazza, lo stesso punto in cui si era posizionato
Shavo.
Ancora
il bassista stava parlando al telefono.
“No,
non credo... ah, dici che si è liberato anche lui?... certo,
non abbiamo fatto la lista proprio per quello, è aperta a
tutti... ah-ah... digli di venire, saranno felicissimi... va bene,
fai pure... ciao, ci vediamo il 23!”
Shavo
interruppe la conversazione e mi osservò con curiosità.
“Con
chi stavi parlando?” gli domandai.
“Gente
della festa” bisbigliò. Non che ci fosse il rischio di
essere ascoltati: in soggiorno rimbombava nuovamente la canzone di
Stevie Wonder.
“Oh,
okay.”
“Allora?”
Inarcai
un sopracciglio. “Allora cosa?”
“Tra
Jo e Miles...”
Ecco,
lo sapevo, voleva andare a parare proprio lì. L'avevo capito
da quando mi aveva fatto cenno di raggiungerlo là fuori, ma
non sarei stata certo io ad affrontare l'argomento per prima.
“Ah,
ecco! Okay, ti racconto!”
La
musica reggaeton, che tanto andava di moda ultimamente, rimbombava e
vibrava per il legno del chiosco. Johanna, dopo l'ennesimo ballo in
pista, si era un attimo allontanata per fumare.
Jacob
le aveva offerto un tiro dalla canna che aveva preparato, pochi
minuti prima, e lei aveva accettato. Avvertiva già quella
strana sensazione di leggerezza e allo stesso tempo strabiliante
lucidità, ormai divenuta familiare per lei.
“Oddio,
Jo, io mi sa che sono brilla...” Melanie si era trascinata a
sua volta giù dagli scalini in legno, biascicando le parole e
tenendosi in equilibrio a stento.
La
sua amica subito l'aveva sostenuta con una mano. “Brilla? Mi sa
che sei completamente andata, tesoro mio!”
“Spero
solo di non vomitare” borbottò la mora, poi scoppiò
a ridere sguaiatamente, attirando l'attenzione del gruppetto di
ragazzi che stazionava a qualche metro da loro.
“Ehi,
ragazze, serve aiuto?”
Una
voce familiare quanto irritante sorprese Johanna; le bastò
un'occhiata alle sue spalle per capire che Miles aveva sceso due dei
tre gradini che univano la piattaforma del chiosco al marciapiede, e
le osservava con fare curioso.
La
batterista trattenne uno sbuffo. “No Miles, tranquillo, non ci
serve niente.” Detto questo, trascinò Melanie su una
panchina poco distante e le fece posare la testa sulla sua spalla.
“Se
vi va posso farvi compagnia! Qua fuori non mi piace, è buio,
non vorrei vi succedesse qualcosa” si offrì timidamente
il ragazzo, muovendo qualche passo verso di loro.
Johanna
non rispose e non lo degnò di uno sguardo, Melanie continuava
a blaterare.
“Jo,
scusa se stasera non ho passato tanto tempo con te...” proseguì
Miles, a disagio. Era giunto accanto alla panchina, ma non vi aveva
preso posto per non risultare invadente.
Johanna
cominciava a stufarsi davvero. Per tutta la serata l'aveva
sopportato, aveva lasciato che chiacchierasse con Ellie e tutti i
suoi amici, ci aveva scambiato due parole, ma non sopportava di
essere importunata in quel modo.
“Hai
passato la serata con tutti noi, no?” ribatté, cercando
di attingere a quel poco di pazienza che ancora risiedeva in lei.
“Beh,
sì... però sono stato a lungo con Ellie, non vorrei che
la cosa ti desse fastidio, ecco.”
La
ragazza, spazientita, sbuffò. Si scrollò delicatamente
Melanie di dosso e si mise in piedi. “Senti Miles, io non so
che idea tu ti sia fatto di me ed Ellie, non so come vedi il mondo e
a che gioco stai giocando, però ora basta. Non volevo arrivare
a questo punto, ma mi ci hai portato tu. Sappi che io e mia sorella
siamo, appunto, gemelle, ma non siamo la stessa persona né
sostituibili a tuo piacimento. Prima ci hai provato con me, mi hai
chiesto di uscire, poi sei passato all'attacco con lei e le dedichi
una valanga di attenzioni... ora hai anche il coraggio di venire
nuovamente da me e fissarmi con quello sguardo pieno di aspettative?
Questo non mi pare un comportamento da ragazzo per bene, o almeno,
questo è ciò che vorresti sembrare.”
Miles
era palesemente scioccato: le mani sospese a mezz'aria, il volto
pallido, gli occhi sgranati, le labbra appena schiuse. Gli ci volle
qualche secondo per formulare una risposta. “Johanna, ma che
dici? Forse sono stato poco chiaro, forse hai interpretato in modo
sbagliato il mio comportamento, ma...”
Lei
si era accorta di aver esagerato, ma non aveva nessuna intenzione di
retrocedere. “Bene, quindi ora abbiamo messo in chiaro le cose”
sbottò, incrociando le braccia al petto.
“Jo,
senti... io non ci sto provando né con te né con Ellie,
ma scherzi? Non sono così stupido da fare delle avances a due
amiche o due sorelle, ma in generale a due persone
contemporaneamente! Questo è il mio modo di fare, io sono
così, credo che tu abbia frainteso!” Miles pareva
davvero allibito e ferito, ma nonostante ciò manteneva la
calma ed esponeva il suo punto di vista senza alcuna traccia di
rabbia nella voce.
“Ah,
davvero? E allora come mai mi hai chiesto di uscire qualche mese fa?
Prima mi importunavi, mi mandavi messaggi ogni giorno, mettevi likes
a ogni mio post... poi come ti ho rifiutato, hai preso di mira mia
sorella!”
“Mi
sono reso conto che ti infastidivo e ho smesso, non volevo sembrare
insistente. Ma volevo soltanto esserti amico!”
“Jo,
Miles!” La voce di Ellie interruppe la loro conversazione, e
qualche istante dopo la nuova arrivata posò una mano sulla
spalla della sorella. “Basta, ragazzi. Jo, andiamo a recuperare
le nostre cose e torniamo a casa. Penso che Mel abbia bisogno di
rientrare, non sta molto bene.”
Melanie,
non appena sentì il suo nome, intervenne: “Non
preoccupatevi per me, sto alla grande!”.
Ellie
si avvicinò alla sua amica che ancora vegetava sulla panchina,
la aiutò ad alzarsi, poi prese Johanna sottobraccio e si avviò
nuovamente verso l'entrata del chiosco.
Shavo
si batté una mano sulla fronte. “Oh mio dio, non ci
posso credere! Okay, conosco Jo e so che è molto impulsiva, ma
non mi aspettavo sbottasse così!”
Feci
spallucce. “Mi ha raccontato tutto con rabbia, quando eravamo
in macchina, di ritorno dal concerto... ma io ho capito che un minimo
si è pentita. Forse è stato l'effetto della marijuana
che le ha fatto perdere il controllo più del solito...”
“Miles
come l'ha presa?”
“A
lei non ha scritto niente. Io ci sto parlando su facebook e non fa
che scusarsi, è mortificato! Non è un cattivo ragazzo,
ha solo dei modi di fare molto aperti; allo stesso tempo ha sempre
paura di sbagliare qualcosa, di dare fastidio.”
“Cazzo,
questo sì che è un casino!” commentò.
“Sai,
non è mai capitato che io e Jo frequentassimo gente diversa,”
raccontai, “io e lei abbiamo gli stessi amici, e quando non era
così abbiamo sempre approvato l'una le conoscenze dell'altra.
Non ci siamo mai trovate in contrasto, ecco, e tutta questa
situazione comincia a diventare pesante. Per quanto possa trovarmi
bene a chiacchierare con Miles, non voglio che l'amicizia tra me e Jo
si sfaldi.”
Shavo
sorrise intenerito e mi pizzicò una guancia. “Siete
troppo carine, voi due. Però non potete neanche vivere in
simbiosi, siete due persone diverse, avete il diritto di fare le
vostre esperienze. Questo non deve scalfire il vostro rapporto, non
avrebbe senso! Anche io ho un fratello, io e lui andiamo d'amore e
d'accordo, abbiamo anche degli amici in comune, mentre non
condividiamo altre conoscenze. È normale: non è
possibile che tutti siano amici di tutti!”
Mentre
mi parlava aveva puntato i suoi occhi scuri nei miei, e io vi potevo
leggere un profondo affetto. Non voleva che io e Johanna stessimo
male.
Di
slancio lo abbracciai. “Grazie Shavo, ma dove lo trovo un altro
amico come te?”
Lui
rise. “Non lo so, magari esiste un mio clone da qualche parte
nel mondo!”
Gli
mollai una leggera pacca sulla spalla. “Ma smettila! Dai,
rientriamo, gli altri si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto!”
Decisi
di tenere per me il mio sospetto riguardo Miles, era ancora troppo
sbiadito e poco definito. Se fosse stato corretto, prima o poi
sarebbe venuto a galla.
Non
appena misi piede in soggiorno, mi ritrovai davanti la seguente
scena: Noah che suonava Du Hast dei Rammstein con il Guitar
Hero, Jacob che faceva headbanging mentre disponeva i piatti sul
tavolo e Daron che, cercando di imitare la voce di Till Lindemann,
faceva la spola tra soggiorno e cucina con piatti, bicchieri e posate
tra le mani.
Scoppiai
a ridere.
“Oh,
e questo cos'è?” borbottai, notando un oggetto sospetto
e piatto avvolto in un tovagliolo, all'interno del mio piatto.
Ero
finita tra Johanna e Serj e ne ero più che contenta. Davanti a
me invece si trovava Jacob.
“È
un regalo di compleanno in anticipo” scherzò mia
sorella.
Non
appena lo presi tra le mani, lo riconobbi subito: la mia copia di
Elect The Dead Symphony. L'avevo ficcata in borsa prima di
uscire, intenzionata a farla autografare a Serj, e poi me n'ero
completamente dimenticata.
“Ah-ah,
divertente. Perché me l'avete incartato in un tovagliolo?”
Ma quando sollevai la copertina, capii subito il motivo.
C'era
una dedica, in una grafia piccola e ordinata, accompagnata da una
firma piuttosto elegante.
Quando
lessi quelle poche parole, per poco non mi venne un colpo. Sentii le
orecchie andare a fuoco e contemporaneamente il sangue defluire dal
viso, e non sapevo se una cosa del genere fosse possibile.
“Oh
mio dio, Serj, ma... wow, che parole dolci! Grazie, grazie, grazie!”
esclamai, abbandonando l'album sul tavolo e gettando le braccia al
collo del cantante. Lui aveva assistito alla scena in silenzio, con
un sorriso appena accennato sulle labbra. Subito ricambiò la
stretta con affetto.
Per
quanto ormai lo conoscessi e fosse diventato un mio caro amico, era
pur sempre Serj, cantante e musicista che stimavo da anni e anni.
♫
John ♫
“Oddio,
sto per scoppiare...” biascicai, posando la forchetta accanto
al piatto come se scottasse.
“Non
ci posso credere, John, che rammollito!” commentò
Johanna con il boccone pieno. Lei non faceva che abbuffarsi senza
ritegno, era come se il suo stomaco non conoscesse un limite.
Io
ero seduto a capotavola, alla mia sinistra c'era lei, mentre alla
destra Daron era stravaccato sulla sedia e ruminava.
Guardai
la ragazza confuso. “Ma tu mangi sempre così?”
Lei
si strinse nelle spalle mentre si puliva il muso col tovagliolo.
“Mmh, diciamo che in altre occasioni ho fatto di peggio.”
“Eppure
hai un fisico da urlo” commentò Daron con un sorrisetto
sghembo.
Lei
lo fulminò con lo sguardo. “Un altro commento del genere
e l'urlo te lo faccio fare davvero.”
Ridacchiai.
“Bisogna
fare un brindisi per John!” se ne uscì Shavo, seduto
all'altra estremità del tavolo. Mi sembrava un po' brillo;
c'era da immaginarselo, dato che non reggeva l'alcol come me e Serj.
“No,
vi prego, queste stronzate no...” borbottai, portandomi le mani
sulla testa con fare disperato.
“Ottima
idea!” lo assecondò subito Jacob.
Ecco,
ero fottuto.
Tutti
si riempirono il bicchiere di vino – tranne Johanna che non
beveva, e rimediò con l'acqua – e sollevarono i
bicchieri in aria.
“Vi
faccio notare che al Giorno del Ringraziamento mancano parecchi mesi”
tentai di dissuaderli, ma non ci fu verso.
Stare
al centro dell'attenzione non mi piaceva.
“E
dai, smettila di fare l'orso per una volta, e brinda con noi!”
Johanna mi fece l'occhiolino.
Sbuffai
e portai anch'io il mio bicchiere in alto.
“Al
batterista migliore di Los Angeles, degli States, del mondo intero e
di tutti gli universi conosciuti!” cominciò Daron.
“Che
è diventato maggiorenne più venti, e che questi anni si
possano triplicare!” continuò Jacob.
“A
una delle star più umili e umane che esistano!” proruppe
Noah.
“Al
migliore amico che si possa trovare, un vero e proprio fratello!”
intervenne Shavo con passione.
“Collega
paziente e ragionevole, compagno di mille avventure e uomo
fottutamente buono” ribatté prontamente Serj col suo
solito tono pacato.
“Un
confidente dolce, con cui si può parlare di tutto, che riesce
a infondere sicurezza e protezione con la sola presenza!”
soggiunse Ellie.
“Fonte
di ispirazione e di ammirazione per tutti. Semplicemente, una delle
persone migliori che si possa incontrare. Cin cin!” concluse
Johanna.
“Cin
cin!” risposero gli altri in coro.
Tutti
i bicchieri tintinnavano, mentre Jacob già si scolava il
contenuto del suo.
Stavano
mettendo a dura prova il mio povero cuoricino, l'avevano fatto
apposta per farmi commuovere. Erano i bastardi più adorabili
al mondo.
Non
potei fare a meno di sciogliermi in un sorriso, poi mi alzai e girai
intorno al tavolo per scambiare abbracci e pacche con i miei amici.
Mi
avevano elogiato, elencando una serie di pregi che secondo loro
possedevo, ma ero io a dover elogiare loro. Quanto mi sentivo
fortunato ad avere degli amici del genere!
Una
volta terminato il pranzo, qualcuno era brillo e qualcuno era sazio.
Ellie
si offrì per fare il caffè.
“Mmh...
mi posso fidare? Non è che mi fai esplodere la cucina?”
la punzecchiò Daron.
“Ma
va'! Ho un'amica che lavora in bar e ristoranti, mi ha insegnato i
trucchetti per il miglior espresso d'America!” ribatté
lei.
“Come
a Napoli, tesoro!” blaterò Jacob, che da più di
un'ora non faceva altro. Da solo, aveva consumato la stessa quantità
di vino che noialtri avevamo bevuto tutti assieme.
“C'è
anche la torta di Serj!” ricordò Noah con gli occhi che
brillavano.
“Oddio,
anche quella!” farfugliai, portandomi una mano allo stomaco.
“Stai
bene?” mi chiese Johanna in tono apprensivo.
“Sì,
certo, non ti preoccupare. Solo... non so se riuscirò a
mangiare anche il dolce. Spero che Serj non me ne voglia.”
“Uh,
scherzi?! Sicuramente Serj si incazzerà talmente tanto che ti
butterà fuori dal gruppo, cancellerà il tuo numero e ti
bloccherà su tutti i social!” commentò in tono
ironico.
“Ma
il caffè di Ellie lo voglio assaggiare, sono curioso. Detesto
quella brodaglia che danno in molti bar, un buon caffè deve
essere ristretto, forte e denso.”
“Anche
in questo la pensiamo allo stesso modo, batterista mio!”
Dopodiché
Johanna si alzò e si diresse da Shavo col solo intento di
importunarlo.
Qualche
minuto più tardi, dopo aver bevuto il caffè – per
cui Ellie ricevette una valanga di complimenti – Daron si alzò
e cominciò a vagare per la stanza come un'anima in pena,
evidentemente annoiato. Il televisore era sintonizzato sul solito
canale di musica rock, così lui aveva rinunciato anche a fare
zapping per non rovinare l'atmosfera.
Mentre
chiacchieravo con Serj e Noah, notai con la coda dell'occhio che il
chitarrista aveva afferrato delle freccette e le lanciava contro un
piccolo cartellone del tiro a segno, situato alla destra del
televisore.
Quel
disco di cartone decorato a cerchi concentrici colorati era sempre
stato lì, da anni e anni sempre nello stesso posto. Un
giocattolino da pochi dollari, che però a Daron piaceva
troppo.
Mi
aiuta a sfogarmi quando sono incazzato, diceva, e poi
assomiglia a un vinile, non trovi?
Noah notò ciò
che stava facendo il chitarrista e lanciò a me e Serj
un'occhiata interrogativa.
“Non chiedere a noi”
lo liquidai, perplesso quanto lui.
“Noah, vieni a
sfidarmi!” strillò allora Daron.
“Teoricamente avere le
freccette in casa non è una scelta molto furba: con uno di
quegli aggeggi potresti bucherellare il muro, rompere un vetro,
colpire il televisore...” gli disse il bassista,
avvicinandoglisi.
“Ed è proprio
questo che mi porta ad avere una mira migliore!”
“Ehi Daron, come mai
non hai chiesto a me di sfidarti?” intervenni io in tono
ironico, nonostante conoscessi già la risposta.
“Perché è
giusto che coinvolga gli ospiti” inventò lui, passando
una manciata di freccette colorate a Noah.
Scoppiai a ridere.
“Non lo sfidi perché
sai benissimo che non c'è partita” lo corresse Ellie,
appena giunta al mio fianco.
Aveva già capito
tutto.
“Macché”
bofonchiò lui.
“Dammi un cinque”
dissi alla ragazza, ancora tra le risate.
“Daron!” strillò
Johanna da un angolo un po' più buio della stanza. “Come
accidenti si usa questo coso? È pieno di tastini, pomelli,
manopole...”
“Fatti aiutare da
Shavo! Quell'impianto me l'ha consigliato lui!”
“Grazie, troppo
gentile e disponibile. Bel padrone di casa!”
“Chi mi ha cercato?”
saltò subito su il bassista dirigendosi verso Johanna, la
quale stazionava davanti al monumentale impianto stereo di Daron.
I due presero a confabulare
tra loro e non riuscii più a udire niente, così mi
concentrai sulla partita al tiro a segno.
Noah perse, totalizzando
punteggi abbastanza bassi, per la gioia di Daron. Allora giocai una
partita contro il chitarrista, per prendermi una rivincita da parte
di Noah. Feci centro due volte su sei, mentre Daron ci andò
soltanto vicino.
Shavo si spanciava dalle
risate osservando la faccia delusa del chitarrista.
“Basta, siete
antipatici!” si finse offeso Daron, gettando le sue munizioni a
terra e incrociando le braccia.
Proprio mentre io e Shavo
eravamo in procinto di iniziare una partita, dalle casse
dell'impianto si diffusero le note di una canzone fin troppo nota
alle mie orecchie.
Darts.
Mi voltai e scorsi Johanna
che sorrideva; aveva collegato il suo cellulare alle casse con un
cavo. Ci si accostò. “Come potevo evitare di mettere
questa canzone mentre voi giocate a freccette?”
“Era da un sacco di
tempo che non sentivo questa canzone” commentai con un velo di
nostalgia.
“Ho tantissime canzoni
nel telefono, vedrai! E ora giocate, voglio vedere se Shavo da
ubriaco manda le sue frecce in un'altra stanza.”
“Ehi, non sono
ubriaco!”
Lanciai la prima munizione.
“Quasi centro!”
Ma ben presto ci ritrovammo
tutti a cantare e ballare Darts. Fummo costretti a
interrompere la partita perché rischiavamo di far male a
qualcuno.
“Shavo, forse è
il caso che prendi un taxi per tornare a casa. Se ti fermano così,
sei fottuto” consigliai al mio amico, una volta fuori da casa
di Daron.
Il crepuscolo ormai stava
incombendo su Los Angeles, eliminando ogni traccia di luce del
giorno, ma lasciandoci quell'afa asfissiante tipica di luglio.
“Dici? Penso di poter
guidare!” obiettò il bassista, scuotendo la testa.
“Lo so, adesso mi
sembri abbastanza lucido, ma se ti becca la polizia e ti fa il
test...”
“Hai ragione, mi sa
che chiamo un taxi.”
Rimasi a fargli compagnia,
fumammo e chiacchierammo della giornata appena trascorsa.
“Pensi che riusciremo
ad andare d'accordo durante il tour europeo? Tra noi e con i Souls?”
mi chiese Shavo.
Mi ritrovai a notare che le
nostre conversazioni andavano sempre allo stesso modo: lui mi
esponeva i suoi mille dubbi e io rispondevo a tutti.
“Certo, e le ore
appena trascorse ne sono la prova.”
“Spero non si
stanchino troppo. Insomma, è il loro primo tour, non sono
abituati...”
“Macché,
abbiamo pochissime date. Si divertiranno un mondo! E poi sono più
giovani di noi, hanno molta resistenza.”
Trascorsero alcuni secondi
in silenzio, in cui Shavo prese una boccata di fumo.
“Sai Shavo, qualche
giorno fa ascoltavo i Dub Inc su Spotify...” buttai lì.
“Mmh, davvero?”
“Sì. Hanno
talento. Hanno fatto un album live e sembra davvero una bomba. Sono
curioso di sentirli suonare dal vivo.”
“Spaccano. Fanno un
genere davvero incredibile! Penso che ci sarà da ballare.”
La nostra conversazione
venne interrotta dal rombo di un motore: qualche istante dopo un taxi
ci si fermò davanti. “Odadjian?” chiese il
tassista.
“Sono io!” Il
mio amico mi diede una pacca sulla spalla, mi mollò la sua
sigaretta tra le dita e salì a bordo. Prima di chiudere lo
sportello, disse: “Ci vediamo il 23!”.
Mentre osservavo la vettura
andare via, cercai all'interno della mia mente qualche evento che si
associasse al 23 luglio. Perché il mio amico aveva portato
fuori quella data?
Forse non aveva ancora
smaltito per bene l'alcol.
O forse...
Schiacciai il mozzicone
sotto la suola della scarpa, scossi la testa e mi avviai verso la mia
auto.
♪
♪ ♪
SONO
TORNATAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!
Ragazzi,
non mi sembra vero che finalmente riesco di nuovo ad aggiornare
questa storia *-*
Non
vorrei fare promesse a vuoto, ma può essere che nei prossimi
mesi riesca ad aggiornare un po' più spesso... sono troppo
ispirata e sfornerei tre capitoli al giorno!!!
Comunque
non credo ci sia bisogno di spigare il titolo: dardi stridono. Oltre
al riferimento ovvio alle freccette e il tiro a segno, quanti dardi
sono volati in questo capitolo? Tra litigi, sorprese, Shavo che non
si sta zitto, Ellie e i suoi sospetti...
Bene,
ora finalmente si avvicina la festa!!! Cosa succederà? Non
vedo l'ora di raccontarla :3
Grazie
a tutti voi che siete ancora qui e che avete avuto la pazienza di
aspettare! Ci si vede presto (anche perché questo mercoledì
metterò l'ultimo capitolo degli Psicopatici) ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** My crew is ready now! ***
ReggaeFamily
My
crew is ready now!
Dub
Inc - Bang Bang
♫
Johanna ♫
“Certo,
sì... penso consista solo in quello, poi chiedo meglio ai
ragazzi... sì, penso abbiano un'idea ben definita anche per
quello... ah, non lo so, poi passo loro il tuo numero e vi accordate
tra voi... però a questa domanda ti ho già risposto...”
Me
ne stavo stravaccata sul sedile del passeggero nella macchina di
Serj; dietro di me, Melanie intratteneva una conversazione telefonica
con l'attore del nostro prossimo video. Per il secondo singolo dei
Souls avevamo pensato in grande: volevamo delle immagini con un filo
logico, che si collegasse al significato della canzone.
“La
canzone? Mi pare Leave And Go... ah, i nomi dei ragazzi!
Ellie, Johanna, Noah e Jacob... sinceramente non lo so, dipende: sai
che devo partire in vacanza... senti, ora non ho tempo di parlarne,
sto andando a una festa di compleanno... va bene, grazie! E sì,
darò gli auguri ai festeggiati... sì, sono in due, ma
non li conosci, sono vecchi... Dan, devo andare dai! Ci sentiamo poi
o ci becchiamo al lavoro!... anche a te, ciao!”
Non
appena la mia amica interruppe la conversazione, mi allungai in
avanti per alzare nuovamente il volume della radio. Serj aveva messo
su un CD alquanto strano di un gruppo di suoi amici; non che mi
convincesse del tutto, ma era sempre meglio del silenzio.
“Che
dice Daniel?” s'informò mia sorella, che aveva preso
posto nel sedile posteriore accanto a Melanie.
“Sta
prendendo la cosa molto seriamente, mi fa domande su domande ma io
non so cosa rispondergli. Gli ho spiegato un miliardo di volte che il
video è vostro, non mio” spiegò Melanie con un
sospiro.
“Video?”
si incuriosì subito Serj.
Gli
lanciai un'occhiata: nonostante ascoltasse attentamente la nostra
conversazione, era ben attento e concentrato sulla guida.
“Non
te ne avevamo ancora parlato?” mi stupii, cercando di fare
mente locale. In effetti non c'era stata occasione di parlare con i
System delle nostre nuove idee.
“Ti
spiego” si entusiasmò subito Ellie. “Abbiamo
intenzione di far uscire un nuovo singolo, accompagnato da un video,
che anticipi il nostro album. Quest'ultimo uscirà a fine
settembre, suppongo, invece il singolo intorno al primo di quel
mese... se tutto va bene, ovviamente.”
“Si
tratta di una canzone dal testo abbastanza forte e impegnato: parla
del tema della guerra e nello specifico dei soldati... insomma, un
argomento usato e strausato nel mondo della musica. Ma noi abbiamo
deciso di affrontarlo in una maniera piuttosto particolare”
proseguii. “Il testo, scritto da me ed Ellie a quattro mani, è
dal punto di vista di un cadavere.”
“Un
cadavere?” si sorprese Serj aggrottando le sopracciglia.
“Esatto,
il cadavere di un soldato deceduto in guerra. Mentre lo portano via
dal campo di battaglia, lui ricorda con disperazione ciò che
ha dovuto lasciare per partire al fronte: sette fratelli più
piccoli, due genitori bisognosi d'aiuto e una fidanzata che, ahimè,
è rimasta incinta di lui poco prima che lui lasciasse il
villaggio. Il brano si conclude con lo sconforto del protagonista
perché non potrà partecipare alla nascita e alla
crescita di suo figlio” raccontai.
“Anche
il video è molto ambizioso,” aggiunse mia sorella, “in
quanto vuole mischiare presente e passato, fantasia e realtà.
Il presente, che sarà indicato dalle scene a colori, raffigura
il soldato che viene portato via dal campo di battaglia e gli viene
fatto un povero e veloce funerale a cui non partecipa quasi nessuno;
il passato, caratterizzato da scene in bianco e nero, sarà una
serie di ricordi del soldato, quindi la partenza dal suo villaggio
eccetera... il tutto punteggiato di immagini vere, realmente scattate
durante le guerre più famose, con annessa didascalia.”
“Oddio
ragazze, ma è una figata pazzesca! Avete avuto un'idea
strepitosa, complimenti!” sbottò subito il cantante,
raggiante.
“Speriamo
solo di essere in grado di svilupparla al meglio” commentò
mia sorella.
“Ehi,
se avete bisogno d'aiuto non esitate a chiedere! Anche a Shavo
piacerebbe molto, ne sono certo: lui ha fatto il regista per molti
dei nostri video, ma forse già lo sapete!”
“Oh
Serj, devi sapere che i tuoi folli amici hanno già organizzato
tutto! Mi hanno addirittura supplicato di chiedere a un mio collega
del ristorante, che frequenta un'accademia di recitazione, di
interpretare il ruolo del protagonista! Poco fa infatti stavo
parlando con lui!” soggiunse Melanie.
Sbadigliai
sonoramente, quel giorno ero piuttosto stanca perché avevo
trascorso tutta la giornata insieme a Lindsay, ma mai e poi mai mi
sarei persa la festa di compleanno di John e Daron. Ci stavamo
recando proprio a casa del chitarrista per costringerlo a uscire di
casa con noi, senza però rivelargli le nostre vere intenzioni;
sarebbe stata un'impresa.
“A
proposito!” me ne uscii all'improvviso, interrompendo Ellie,
Melanie e Serj che ancora conversavano. “Com'è
strutturata questa festa? Quanti sono gli invitati?”
“Ehm...
diciamo che non lo so” ribatté il cantante ridacchiando.
Lo
guardai storto. “Come sarebbe a dire?”
“Ecco,
la situazione è un po' sfuggita di mano a Shavo e quindi non
abbiamo idea di chi è venuto a conoscenza di questa festa e
chi no.”
“Ma
non dovrebbe essere una festa privata? Cioè, non avete fatto
una lista e posizionato dei buttafuori che non facciano entrare dei
perfetti estranei?” fece notare Ellie, il volto corrucciato in
un'espressione scettica e perplessa.
“Shavo
non ha voluto fare una lista perché aveva paura di
dimenticarsi qualcuno e tagliarlo fuori. Ho cercato di convincerlo in
tutti i modi, ma è più testardo di un mulo!”
spiegò Serj in tono rassegnato.
“Non
ci posso credere!” esclamai scoppiando a ridere.
Qualche
secondo dopo Serj spense il motore e solo allora mi resi conto che
eravamo giunti di fronte a casa di Daron.
Era
incredibile: stavo per entrare nella dimora del chitarrista dei
System Of A Down per la seconda volta nel giro di cinque giorni.
Mi
liberai dalla cintura di sicurezza e aprii lo sportello. “Coraggio,
ragazzi: ficchiamo questo ragazzaccio in doccia e agghindiamolo per
bene!” proclamai.
Trovai
il cancelletto d'ingresso semiaperto e lo spinsi con decisione; in
qualche secondo fui di fronte alla porta d'ingresso e cominciai a
torturare il pulsante del campanello.
Quando
il padrone di casa si decise finalmente ad aprire, venni travolta da
un'occhiata talmente truce che quasi mi spaventò.
Quasi,
perché non persi tempo e stritolai Daron in un abbraccio,
ignorando le sue proteste e i suoi insulti.
“Si
può sapere che cazzo ci fate voi qui? E tu, Johanna, se provi
a suonare di nuovo il campanello in quel modo ti stacco tutte e dieci
le dita!” brontolava.
“Zitto
e corri a prepararti, stasera si esce! Su, vuoi un consiglio
sull'abbigliamento?” lo liquidai in fretta, spingendolo verso
l'interno dell'abitazione per potermici intrufolare a mia volta.
“Uscire?
No, non se ne parla, ho già adocchiato un film che mi
interessa! E poi non ci eravamo messi d'accordo!” si lagnò.
Aveva gli occhi sgranati e un'espressione a dir poco confusa in
faccia, spostava lo sguardo su ognuno di noi e ci squadrava come se
temesse che fossimo delle allucinazioni.
“Che
antiquato che sei! Non vorrai veramente fare come quei vecchietti che
alle dieci sono già a letto! Dai Daron, siamo venuti apposta
per portarti a vivere!” accorse in mio aiuto Ellie regalandogli
un occhiolino.
“Dai
Malakian, corri a farti una doccia, io tengo a bada queste tre
fanciulle!” intervenne Serj.
“Sei
un coglione! La doccia me la sono già fatta, ma io non vado da
nessuna parte se non mi dite prima cosa avete intenzione di fare”
obiettò ancora Daron incrociando le braccia al petto.
L'avrei
sollevato di peso e portato in macchina, se fosse stato già
pronto per la festa. Peccato che indossasse una riprovevole
canottiera bianca con la stampa di un cane, dei bermuda rossi con le
righe bianche ai lati e fosse scalzo.
“Senti,
fammi il favore: vai a cambiarti, conciato così sei osceno”
commentai cercando invano di trattenere una risata.
Lui
fulminò tutti e quattro e poi, leggendo sui nostri visi la
determinazione, si arrese con un sospiro. “E va bene, tanto non
mi lascerete in pace in ogni caso. Io vado a cambiarmi, ma se scopro
che avete in mente qualche cazzata vi affogo!”
Detto
questo, scomparve nelle profondità di quella grande casa in
cui, ne ero sicura, io mi sarei persa.
Io,
Ellie, Serj e Melanie ci scambiammo un'occhiata complice e prendemmo
a sghignazzare, pregustando il momento in cui Daron sarebbe arrivato
al cospetto della sua sorpresa.
La
prima cosa che notai fu una gran confusione fuori dal locale che Serj
e Shavo avevano affittato per l'occasione. C'erano macchine
parcheggiate ovunque, gruppi di persone sul marciapiede, taxi che si
fermavano al margine della strada e scaricavano invitati.
“Che
roba è? Non ditemi che mi volevate portare qui! Ma io vi
ammazzo, vi affogo, ve l'ho detto!” si agitava Daron dal sedile
del passeggero accanto a Serj.
Io,
stretta tra Melanie ed Ellie, me la ridevo beatamente.
“Cazzo,
che casino... spero di trovare un posticino almeno nel parcheggio”
borbottò Serj tra sé, suonando il clacson per far
notare a un tizio che aveva frenato in mezzo alla strada e, di
conseguenza, bloccato il traffico. Quando l'idiota in questione si
decise ad avanzare, percorremmo ancora qualche metro fino
all'ingresso di un grande parcheggio stracolmo di vetture.
“Mi
sembra di vedere un angolino libero da quella parte” suggerì
Ellie, indicando un punto al di fuori del finestrino.
“Okay.
Speriamo che qualcuno non lo freghi nel frattempo” disse Serj,
guidando in quella direzione.
Una
volta sistemata l'auto, spinsi letteralmente Ellie giù dal
sedile nella fretta di uscire. Non ne potevo più di stare
rinchiusa là dentro, avevo caldo nonostante l'aria
condizionata.
Ne
approfittai subito per accendermi una sigaretta. Daron, ovviamente,
mi fece compagnia.
“Si
può sapere che razza di inferno è questo? E dove
dovremmo andare, scusate?” ricominciò a protestare il
chitarrista.
“Seguici
e non rompere” lo zittii, prendendolo sottobraccio e
passeggiando tranquillamente verso la nostra meta.
“Carino
l'abito di Melanie, le sta bene” bisbigliò Daron al mio
orecchio, osservando con malizia la mia amica che camminava davanti a
noi con Ellie e Serj.
Melanie
indossava un vestito arancione che risaltava meravigliosamente sulla
sua pelle bruna, e anch'io non potei fare a meno di pensare che le
donasse.
Ma
com'è che Daron faceva complimenti a Melanie, quando in genere
non staccava gli occhi da mia sorella? Che si stesse già
stancando di lei?
“Una
alla volta, giovanotto” gli intimai, prima di allontanarmi da
lui e avviarmi verso Ellie.
Percorremmo
circa un centinaio di metri prima di giungere all'ingresso del
locale. Si trattava di un semplice pub che veniva spesso affittato
per organizzare feste ed eventi; Serj e Shavo ci avevano spiegato che
il bancone del bar – dietro il quale quella sera ci sarebbe
stato un barman d'eccezione, che preparava i cocktail migliori della
città – si trovava all'interno del grande salone, mentre
i tavolini e la pista da ballo erano stati posizionati sul retro, in
un enorme piazzale pensato apposta per i mesi più caldi.
In
effetti quel giorno l'aria era afosa e umida, l'idea di rinchiudermi
in un locale mi faceva venire la nausea.
“Ragazzi!”
saltò su Shavo non appena ci vide arrivare. Si era appostato
di fronte all'ingresso con un enorme sorriso sulle labbra.
Non
vedeva l'ora di svelare tutto a Daron, glielo si leggeva in faccia.
“Shavo?
Ma che cazzo sta succedendo?” farfugliò Daron, sempre
più confuso.
Il
bassista gli circondò le spalle con un braccio e lo trascinò
dentro. Tutti noi li seguimmo, curiosi di scoprire la sua reazione.
“Fratello,
benvenuto alla festa di compleanno dedicata interamente a te e John!”
annunciò Shavo in tono solenne, tentando di sovrastare la
musica che già inondava il grande ambiente.
Daron
strabuzzò gli occhi e si coprì il viso con le mani. “Lo
sapevo, lo sospettavo! Ma siete dei pezzi di merda, io vi detesto, vi
ammazzo di botte! Non dovevate, siete completamente pazzi!”
strillava, a metà tra l'entusiasta e l'incazzato.
Non
potei fare a meno di ridere e stringerlo in un abbraccio. Certo, lui
non era un grande amante delle feste, ma ero certa che
quell'iniziativa lo avesse reso felice.
E
infatti notai subito i suoi occhi lucidi, prima che Shavo lo
trascinasse in mezzo a una folla desiderosa di sommergerlo di auguri.
Io,
Ellie e Melanie ci ritrovammo nuovamente vicine, ci guardavamo
attorno spaesate. Per fortuna fummo quasi subito raggiunte da Noah e
Jacob, entrambi con un sorriso sulle labbra e un drink in mano.
“Ragazzi!
Che ne dite di uscire?” propose Ellie, passandosi una mano sul
collo per tentare di asciugare il sudore che le scorreva sulla pelle.
“Sì!
Venite nello spiazzo sul retro, è una figata!”
acconsentì Noah, facendoci cenno di seguirlo.
Io
ero completamente confusa: venivo sballottata da una parte all'altra,
avevo la vista annebbiata dalle luci stroboscopiche che saettavano
per la stanza e l'udito inondato dalla musica forte e incessante. Mi
aggrappai al polso di Melanie e la seguii, finché finalmente
non giungemmo all'aria aperta e potei di nuovo respirare.
“Che
casino, si sono tutti accalcati là dentro per accogliere i
festeggiati! Roba da matti, stavo per soffocare” brontolai
mentre lisciavo la mia maglietta con una mano.
“Voi
siete arrivati da molto? È stato difficile convincere John?”
volle sapere Ellie rivolta ai ragazzi.
Loro
si erano occupati di John, piombando a casa sua in compagnia di Sako
con l'intento di trascinarlo alla festa.
“Guarda,
siamo qui da neanche dieci minuti. John non ha opposto resistenza e,
una volta giunto qui, ci ha confessato che aveva già capito
tutto per colpa di Shavo” raccontò Noah.
“Shavo?”
domandammo noi tre all'unisono.
Jacob
prese a sghignazzare. “Quell'idiota si è lasciato
sfuggire informazioni riservate! Di certo se volessi organizzare una
sorpresa non chiederei aiuto a lui!”
Per
la prima volta da quando ero arrivata alla festa, ebbi modo di
guardarmi attorno: ci trovavamo in un enorme piazzale di cemento
contornato da delle graziose aiuole. In un angolo era disposto un
gran numero di tavolini e, addossati alla parete del pub, dei
monumentali tavoli con un buffet degno dei più lussuosi
matrimoni.
Vicino
alla porta d'ingresso della zona interna, invece, si trovava la
postazione del dj, composta da una consolle, un pc e delle enormi
casse che sparavano la musica a palla. Anche là fuori erano
state montate delle luci stroboscopiche.
Il
volume era comunque forte, ma almeno il suono si perdeva nell'aria e
non incontrava degli ostacoli imponenti su cui rimbalzare.
Non
feci troppo caso alle figure che stavano sparpagliate ovunque, erano
immerse nella penombra e non riuscivo a distinguerle.
“Che
dite: aspettiamo i ragazzi o ci fiondiamo direttamente sul cibo?”
domandai ai miei amici.
“Io
veramente volevo salutare John, ancora non l'abbiamo beccato”
fece presente Ellie.
Quasi
come se ci avesse sentito, il batterista apparve sull'uscio del
locale in compagnia di alcuni suoi amici. Io e mia sorella non
perdemmo tempo e ci fiondammo ad abbracciarlo.
“Ellie,
Jo!” esclamò lui, stringendo entrambe in un forte
abbraccio.
“Caro
collega, ero impaziente che arrivasse questo momento!” ammisi
con un sorriso.
Subito
mi voltai in direzione dei tre accompagnatori di John, osservandoli
in viso uno per uno. Riconobbi Sam, il biondino che Shavo si era
portato appresso quando avevamo festeggiato il suo compleanno al Grin
Pub, e lo salutai cordialmente con una stretta di mano. Poi mi
concentrai sul secondo.
“Non
ti conosco” affermai dopo averlo studiato per qualche secondo.
Lui
mi tese la mano e mi sorrise. “Piacere, James, un caro amico di
John.”
Gliela
strinsi. “Jo. Lei è mia sorella Ellie e lei la nostra
amica Melanie.” MI voltai e feci un cenno verso le due ragazze
mentre le nominavo, ma loro nemmeno se ne accorsero, concentrate
com'erano a chiacchierare con John.
“Io
invece sono Rodney, piacere” si intromise il terzo con un
sorriso sghembo e allucinato.
Mi
mordicchiai un'unghia con fare pensoso. “Il tuo volto mi è
familiare, sai? Dove ti ho visto?”
Cercavo
nella mia memoria, ma proprio non riuscivo a collegare.
Lui
scoppiò a ridere. “Ti rivelo un segreto: sono il
chitarrista degli Sugar Ray” bisbigliò in finto tono
cospiratorio.
Sentii
il sangue defluire dalle mie guance. Oh merda, ma come avevo fatto a
non arrivarci prima?
Davvero
mi trovavo davanti a un chitarrista famoso?
E
quante altre star erano disseminate attorno a me?
Fu
un istante, poi mi ricomposi subito. Non era da me farmi prendere dal
panico. In fondo Rodney, così come tutti gli altri e i System
stessi, era solo una persona e in quanto tale doveva essere trattata.
“Oh,
già, cavolo! E dire che vi ascolto pure! Ma vedi... io sono
una batterista, non me ne intendo” buttai lì con
disinvoltura.
Poi
mi avvicinai a Jacob e lo trascinai accanto a me.
“Ecco,
lui è un chitarrista, materiale per te!” esclamai in
tono soddisfatto.
I
due si osservarono confusi, poi il mio amico parve illuminarsi. “Ma
tu sei Rodney!”
Mentre
ridevo sotto i baffi e li osservavo che conversavano come amici di
vecchia data, tornai al fianco di John e gli circondai le spalle con
un braccio.
Chitarristi
con chitarristi, batteristi con batteristi.
♫
Noah ♫
“A
me sta venendo un infarto” biascicai. Avevo afferrato un lembo
della mia maglietta a righe e lo stavo stringendo così forte
che probabilmente il cotone si assottigliava sotto le mie dita.
“Noah,
non ti ho mai visto così pallido in vita mia” constatò
Melanie in tono preoccupato, posandomi una mano sulla spalla.
“Mel,
io non so se tu te ne rendi conto. È come se fossimo finiti
nel backstage di un festival popolare: è pieno di artisti
famosi, io non so... non so come comportarmi! Mi sento male!”
sibilai, poi ripresi a mordermi il labbro inferiore. Anche quello,
come la maglietta, si stava probabilmente consumando.
“Per
questo Rodney dei Sugar quelli lì?” se ne uscì
lei con indifferenza, sistemandosi i capelli mossi che le ricadevano
sciolti sulle spalle.
“Alla
consolle... guarda! Il dj della serata è Dj Lord dei Public
Enemy!” le feci notare.
“Ah,
ma quei tipi rap?”
Sospirai.
Lei non capiva, come al solito. Avevo bisogno del supporto di Jacob,
il mio più caro amico, ma in quel momento sia lui che le
gemelle stavano conversando con i presenti.
“Noah,
ascoltami” tentò di attirare la mia attenzione Melanie.
“Ti devi dare una calmata. Non devi vedere tutta questa gente
come grandi star, ma come persone. Le gemelle fanno così, lo
sai? In fondo tu sei qui per festeggiare John e Daron e per
divertirti, quindi che ne dici se ora io e te andiamo al bar e ti
prendi un bel cocktail rinfrescante?”
Annuii
e la seguii all'interno. Forse avevo bisogno di bere un sorso per
stare un po' meglio e tranquillizzarmi. E poi non ne potevo più
di stare lì, fermo, a guardarmi attorno e scoprire altri
componenti di band che mi piacevano.
Una
volta giunti al bancone, Melanie ordinò per entrambi senza
consultarmi. Tipico di lei.
“Oddio!”
Uno strillo alla mia sinistra mi fece trasalire: Daron si era appena
scaraventato con i gomiti sul piano di legno e aveva l'aria esausta.
“Beh?”
gli domandai curioso.
“Non
ne posso più di ricevere auguri e avere gente addosso! Non
sono abituato... anche se dovrei, per via dei fans esaltati” si
lamentò.
“Io
non ne posso più di essere circondato da gente importante,
siamo pari” scherzai, ma in ciò che dicevo c'era un
fondo di verità.
Sorseggiai
dal bicchiere che mi era stato posto davanti senza fare domande. La
bevanda che mi bruciò la gola era forte e dal sapore
estremamente dolce. Forse era vodka? Non me ne intendevo, preferivo
di gran lunga una semplice birra.
“Noah,
la pianti? Io sono il chitarrista dei System eppure siamo entrati in
confidenza e abbiamo stretto amicizia. Qual è la differenza?
Quelli che vedi qua sono solo miei amici. Persone. Esseri umani”
mi rimproverò Daron, quasi offeso.
“Lo
so, me lo dicono tutti, ma le emozioni non si possono...”
Quattro
nuovi arrivati saltarono praticamente addosso al mio interlocutore e
io mi interruppi per evitare di parlare da solo.
“Stronzetto,
mi hai raggiunto!” gridò qualcuno. Inizialmente non lo
riconobbi perché era di spalle e stringeva Daron in un
abbraccio.
Presi
nuovamente a sorseggiare il mio drink mentre osservavo la comica
scenetta, ma il liquido mi andò di traverso quando mi resi
conto di chi avevo davanti.
Chester.
Proprio lui, Chester Bennington, il cantante del Linkin Park.
In
compagnia di Rob, il suo batterista.
Sbiancai
e strabuzzai gli occhi, poi cominciai a tossire e dovetti fare uno
sforzo per non sputacchiare sul bancone il cocktail.
“Noah?”
mi richiamò Melanie, poi si accorse di ciò che stava
accadendo e si illuminò. “Ma guarda chi si vede, i
Linkin Park!”
Così
la ragazza mi mollò lì, a marcire nel mio stupore, e si
lanciò in una conversazione con i membri della famosa band,
come se si fossero visti anche il giorno prima.
Grazie
mille per il supporto, pensai
sarcasticamente.
Dovevo uscire di lì.
Mi stavo seriamente sentendo male.
Abbandonai il bicchiere
semipieno sul bancone e mossi qualche passo verso l'uscio.
“Stai bene?”
A porre quella domanda era
stato uno dei quattro amici di Daron che erano appena piombati
accanto a noi. Prima di voltarmi nella sua direzione, presi un
profondo respiro.
Sollevai lo sguardo e mi
ritrovai faccia a faccia con Justin Chancellor, il bassista dei Tool.
Io amavo quell'uomo, era un bassista pauroso.
Se possibile, sbiancai
ancora di più. Un capogiro mi colse alla sprovvista e persi
l'equilibrio per un secondo; forse era per via del drink alcolico che
avevo bevuto.
“Non hai una bella
cera, forse ti conviene uscire all'aria aperta” mi consigliò
ancora Justin.
“Io... forse hai
ragione...”
“Ti accompagno!”
affermò.
Rimasi di sasso.
Justin avvisò i suoi
amici che si sarebbe allontanato un attimo e un secondo dopo mi stava
trascinando verso la porta.
Mentre ci facevamo largo tra
la folla mi ritrovai a pochi centimetri da Head, il chitarrista dei
Korn.
Ma davvero tutto questo
stava accadendo a me?
♪
♪ ♪
Ciao
ragazzi! Finalmente sono riuscita ad aggiornare di nuovo senza farvi
aspettare mesi e mesi!
Questo
capitolo, per quanto lungo, non è un granché, me ne
rendo conto. Non che sia brutto, ma non succede nulla di che ai fini
della trama... ma era necessario un capitolo introduttivo alla festa
– la vera festa
– per farvi capire in che assurda situazione si sono ritrovati
i Souls!
Io,
circondata da tutti quei VIP, sarei morta! Voi?
Un
piccolo appunto: la maggior parte della gente che ho nominato è
stata spiegata nel corso della storia, ma ho detto chi era James! Non
è un personaggio a caso, anzi, è un amico realmente
esistente di John: si tratta del co-fondatore dei These Grey Men
(progetto parallelo del nostro batterista che non ha ancora preso
forma). Non l'ho scritto nel testo perché la loro
collaborazione è nata nel 2014, ma immagino che nel 2011
(quando è ambientata la storia) fossero già amici e
James non potesse mancare alla festa ^^
Il
motivo della canzone che ho scelto come colonna sonora: è
energica, fa venir voglia di ballare, il verso che ho scelto
rispecchia il capitolo e il titolo è azzeccato, bang
bang. Il brano
perfetto per una festa e per dei continui colpi di scena, non
trovate?
Amo
questi ragazzi *-*
Spero
di non avervi deluso con questo aggiornamento, e vedrete che al
prossimo capitolo ci sarà da divertirsi XD
Ne
approfitto per fare ancora una volta (nonostante l'abbia già
fatto a tempo debito) tanti auguri a John e Daron! È una
coincidenza strana, però il racconto di questa festa è
saltato fuori proprio... nel periodo della festa :P
E
grazie a voi, pazienti lettori, che dopo venticinque capitoli ancora
non vi siete stancati di me (oh mio dio, ma davvero siamo già
a venticinque?) :3
Alla
prossima col WOAD, nello specifico con la Jarohn!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Come close to me ***
ReggaeFamily
Come
close to me
System
Of A Down - Mind
♫
Ellie ♫
Mi
guardavo attorno spaesata e cercavo di capire se tutto ciò
stesse accadendo davvero. Io e i miei amici avevano incontrato solo
un musicista famoso, ma ero sicura che non fosse l'unico presente
alla festa.
Dovevo
cercare di mantenere la calma, per quanto potesse sembrare
impossibile in quel momento; la presenza di Johanna, Jacob e John mi
rassicurava, erano il mio porto sicuro in mezzo a tanti sconosciuti.
Noah
e Melanie, invece, erano spariti da un pezzo.
Chiacchieravo
con John, Johanna, James, Rodney e Jacob, quando a un certo punto due
nuovi arrivati ci interruppero; entrambi riempirono John e Rodney di
pacche sulle spalle.
Mi
bastò una fugace occhiata per riconoscerli.
Diedi
di gomito a mia sorella che stazionava accanto a me. “Jo,
oddio, quello è Dj Lethal, è lui!” bisbigliai.
“E
l'altro è Dj Homicide degli Sugar Ray!” ribatté
lei sottovoce, scrutando i due.
Le
strinsi la mano in cerca di conforto. Non ero la tipa che si agitava
facilmente, ma accidenti, quelli erano i dj di due band che adoravo!
Chi avrebbe mai pensato di trovarseli davanti così,
all'improvviso?
“Queste
due donzelle mi stanno osservando! Che c'è signorine, sono
sexy?” ci si rivolse Dj Lethal ammiccando e sorridendo.
Io
istintivamente risi. “Sai che abbiamo almeno vent'anni in meno
di te?” gli feci notare con un sorriso divertito.
“E
allora?”
“Smettila
di blaterare, Lethal” intervenne Johanna con la sua solita
disinvoltura, poi gli tese la mano. “Piacere, Johanna, cara
amica dei festeggiati e colei che percuote tamburi e piatti nei
Souls. No comunque, non sei sexy per niente.”
“Bel
caratterino, complimenti. Senti un po', piccoletta, sai con chi stai
avendo a che fare?” rispose lui, sempre con quel suo
atteggiamento impertinente e allo stesso tempo giocoso.
“Il
dj dei Limp Bizkit” affermò Johanna con sicurezza.
“Scusate,
ma io mi posso presentare?” mi intromisi. Dovevo ammetterlo, ci
stavo prendendo gusto.
“Ah
già, quest'altro schianto! Piacere, Leor! Tu come ti chiami?
Siete gemelle?”
Ecco
qual era il suo nome di battesimo: Leor.
Gli
tesi la mano. “Ellie. Sì, ci hai scoperto... ci
assomigliamo un sacco, io e lei.”
“Ehi
Lethal, smettila di fare lo stronzo con le amiche di John!”
L'altro dj giunse alle spalle di Leor e gli mollò un pugno
sulle spalle.
“Homie,
queste qui le devi conoscere!”
“Queste
qui?!” finse di offendersi Johanna.
Leor
prese a sghignazzare, allora Dj Homicide ne approfittò per
avvicinarsi a noi e tenderci la mano. “Ragazze, io sono Craig
a.k.a Dj Homicide!”
“Degli
Sugar Ray, giusto? Sei collega di Rodney?” chiesi conferma,
facendo cenno verso il chitarrista che ancora cianciava con Jacob.
Quest'ultimo aveva il potere di stringere subito amicizia con tutti,
dopo qualche minuto si ritrovava a ridere e scambiarsi pacche con
chiunque.
“Esatto,
vengo dagli Sugar.”
“Veramente
anche io sono stato negli Sugar Ray!” puntualizzò Leor
gonfiando il petto.
Aggrottai
le sopracciglia; quell'informazione mi era nuova.
“Non
ci credi? Ho registrato un album con loro, prima che questo idiota
giungesse!” proseguì lui, dando di gomito a Craig.
“Prima
che gli LB ti raccogliessero dalla strada” aggiunse lui con un
sorriso beffardo.
“Meno
male che non fate parte della stessa band, altrimenti poveri
compagni!” commentai ridacchiando.
“Io
e lui facciamo lo stesso mestiere, siamo incompatibili”
piagnucolò Leor, circondando fraternamente le spalle del suo
amico con un braccio.
“Ho
una proposta” se ne uscì a un certo punto John,
attirando la nostra attenzione.
Drizzai
le orecchie e gli rivolsi un'occhiata curiosa.
“E
se ci fiondassimo sul cibo come dei morti di fame?”
Tutti
scoppiammo a ridere e io sollevai entrambi i pollici in aria.
Così
ci dirigemmo verso il buffet, che si trovava dal lato opposto dello
spiazzo.
Ma
ovviamente la nostra passeggiata verso il cibo venne interrotta.
Infatti, mentre passavamo di fronte alla consolle del dj, i ragazzi
furono intercettati dalle due figure che vi stazionavano dietro. Come
già mi aveva fatto notare Johanna, si trattava di apl.de.ap e
Taboo dei Black Eyed Peas. Non erano esattamente i miei idoli, ma
alcune loro vecchie canzoni mi piacevano.
Ora
si spiegava la musica hip-hop che veniva pompata senza tregua da
quando avevamo messo piede alla festa.
Mentre
John, Craig e Leor si intrattenevano con i due rapper, io intercettai
Serj che conversava con due suoi amici; questi ultimi mi davano le
spalle e non mi parve di riconoscerli, ma ormai l'avevo capito: da
quella serata potevo aspettarmi di tutto.
“Andiamo
da Serj” affermò mia sorella, come se mi avesse letto
nel pensiero.
Era
incredibile quanto riuscissimo a capirci senza bisogno di parole e
sguardi.
Così
ci incamminammo verso il cantante; nel frattempo mi domandai
pigramente se ci fossero altri membri dei Limp Bizkit a zonzo per il
piazzale. Magari Serj stava parlando con uno di loro.
“Oh
mio dio!” strillò mia sorella all'improvviso, poi
accelerò il passo e la vidi piazzarsi davanti ai due
interlocutori di Serj.
Perplessa,
le corsi praticamente dietro.
“Jo
ha trovato un collega” affermò Serj divertito, facendo
cenno verso la ragazza che straparlava e già stringeva
amicizia con un tipo dai capelli a spazzola e i lineamenti affilati.
Impallidii.
“Quello è Mike Luce? Cioè, proprio lui, il
batterista dei Drowning Pool?”
Serj
annuì. “I Drowning Pool sono dei tipi simpatici, li
conosciamo da una vita: capitavamo spesso negli stessi festival,
quando sia la loro band che la nostra erano all'apice del successo”
raccontò, poi si voltò verso l'altro suo amico e disse:
“Tom, questa è Ellie, la cantante di quel gruppo che ti
dicevo!”.
Non
avevo prestato particolare attenzione a questo Tom, ma ovviamente lo
riconobbi subito: era Tom Morello. Non mi sorprendeva affatto la sua
presenza, dal momento che lui e Serj erano cari amici da anni.
“Ah,
Ellie! Ecco, mi pareva di averti già visto!” esclamò
Tom stringendomi una mano.
Per
l'ennesima volta nell'arco di mezz'ora, mi trovavo di fronte a una
leggenda della musica.
Ebbi
appena il coraggio di sorridergli timidamente e lanciargli
un'occhiata; cominciavo ad andare nel panico, ma il volto simpatico e
l'enorme sorriso da pubblicità del dentifricio di Tom mi
comunicarono un senso di sicurezza.
Ma
sì, dovevo piantarla una volta per tutte di pormi problemi.
Del resto se mia sorella era finita a discorrere di batterie e
batteristi con Mike Luce, perché io non potevo intrattenere
una conversazione con il chitarrista dei Rage Against The Machine?
Un
momento...
“Ehi!
Cosa significa la cantante di quel gruppo che ti dicevo?”
esclamai mentre le mie guance andavano in fiamme. Rivolsi un'occhiata
in tralice a Serj, che ridacchiò e mi posò una mano
sulla spalla.
Fu
Tom a prendere la parola: “Tengo d'occhio questi ragazzacci, mi
devo assicurare che partano in tour con delle persone raccomandabili!
No, dai... cazzate a parte: Serj mi ha parlato del tuo gruppo perché
dovete aprire alcune loro date, allora io mi sono incuriosito e ho
dato un'occhiata al vostro video”.
“Hai
sentito la nostra canzone?!” sbottai, sempre più
incredula.
Oh
mio dio, stavamo diventando famosi pure tra i famosi! Avevo una gran
voglia di sotterrarmi.
Tom
annuì e mi sorrise. “Una gran figata, secondo me farete
strada!”
“Oddio,
grazie! Ora ti faccio un mega spoiler: a inizio settembre uscirà
un nuovo singolo con video!” gli rivelai, curiosa di scoprire
la sua reazione.
“Sappi
che la prima visualizzazione sarà la mia!” affermò,
e mi strizzò l'occhio.
Okay,
Tom era decisamente adorabile. Mi aveva sempre ispirato tenerezza e,
dopo averlo conosciuto di persona, quest'impressione aveva trovato
ancora più conferma.
Improvvisamente
mi venne in mente che Jacob sarebbe stato felicissimo di conoscere
Tom Morello, uno dei suoi più grandi idoli. Mi guardai attorno
in cerca della sua chioma di capelli rossi, ma non lo trovai. Lui e
Rodney erano spariti.
“Oh,
ma guarda chi si vede! Tom Morello!”
La
voce di Johanna alle mie spalle mi fece trasalire. Qualche istante
dopo apparve nel mio campo visivo: si precipitò da Tom e gli
strinse vigorosamente la mano.
“Tu
sei la batterista dei Souls, vero?” chiese lui.
Mia
sorella si accigliò. “E tu come fai a saperlo?”
“Sono
un vostro fan! A proposito, un giorno o l'altro voglio un vostro
autografo!”
“Anche
adesso!” intervenni.
“A
una condizione: lo devi attaccare alla tua chitarra!” aggiunse
Johanna, riferendosi ai mille adesivi che decoravano lo strumento di
Tom durante i suoi concerti.
Lui
scoppiò a ridere.
“Ragazzi!
Avete visto Jake e Rod?” domandò John, materializzandosi
accanto a noi.
“Penso
che siano andati al buffet senza aspettarci” supposi.
“Hanno
fatto bene. Raggiungiamoli, il mio stomaco si sta auto-digerendo”
commentò Johanna, poi si voltò verso Serj, Tom e Mike.
“Ragazzi, vi unite a noi per l'abbuffata?”
Tutti
e tre accettarono.
Così
il nostro numeroso gruppo poté finalmente incamminarsi verso i
grandi tavoli stracolmi di cibo – che, per inciso, era già
stato dimezzato.
Fu
allora che avvistai nuovamente Melanie, Jacob e Noah, decisamente in
buona compagnia: avevano unito e occupato diversi tavolini insieme a
Shavo, Daron, Rodney, Justin Chancellor dei Tool e Chester e Rob dei
Linkin Park.
Mi
bloccai di botto e Tom, che camminava subito dietro di me, rischiò
di schiantarmisi addosso. “Che succede?” mi domandò
preoccupato.
“Io
stravedo per i Linkin Park!” squittii. Forse non mi sarei
dovuta lasciar andare così di fronte a lui, infatti me ne
vergognai e mi tappai la bocca con una mano, in imbarazzo.
Lui
mi prese la mano e mi trascinò con sé. “Sono
sicuro che Chez e Rob saranno contentissimi di conoscerti!”
“Ma
sei impazzito? Oddio!” cercai di protestare, ma ormai era
troppo tardi: eravamo ormai quasi giunti al tavolo dei nostri amici.
Tom
Morello era completamente pazzo. Per colpa sua mi sarebbe venuto un
infarto, ma dopotutto lo adoravo già.
Avevamo
attaccato tra loro talmente tanti tavolini che ormai sedevamo tutti
intorno a un'enorme tavolata. Era prevedibile che andasse a finire
così.
Io
sedevo tra Shavo e Chester e non riuscivo a spiegarmi come mai non
fossi ancora morta.
Io
avrei tanto voluto stare accanto a mia sorella, ma Tom mi aveva
praticamente obbligato a prendere posto accanto al cantante dei
Linkin Park dopo avermi presentato sia lui che Rob. Fortunatamente
Shavo aveva capito la criticità della situazione ed era venuto
in mio soccorso.
Chester
non aveva perso tempo e mi aveva subito posto un sacco di domande,
curioso di conoscermi. Trasmetteva un'allegria davvero incredibile:
quando si accorgeva che qualcuno era un po' giù di morale,
doveva assolutamente alzarsi e andare a rompergli le scatole finché
la persona in questione non tornava a sorridere. Non mi sorpresi nel
vederlo dirigersi più volte da Daron, che ogni tanto metteva
il broncio senza motivo.
Non
c'erano parole per descrivere quanto adorassi quel ragazzo: oltre che
un cantante incredibile, si stava rivelando anche una persona d'oro.
“Allora,
dimmi un po': a che concerti hai assistito nella tua vita?” mi
domandò Chester, dato che eravamo finiti a parlare di musica e
esibizioni live.
Ci
riflettei un attimo mentre sorseggiavo la mia birra. “Mmh...
ovviamente al concerto dei System, quando abbiamo suonato prima di
loro al Troubadour. Poi tempo fa ho visto anche i Tribal
Seeds, una band reggae di San Diego che adoro. Sono stata a molti
concerti reggae, sai? Ah, e ovviamente a quello dei Muse quando avevo
sedici anni, è stato qualcosa di pazzesco!” raccontai.
“I
Muse spaccano! E non hai mai visto noi LP?”
“Purtroppo
no, finora non sono mai riuscita a organizzarmi. Ho sempre dovuto
suddividere i miei risparmi per pagare l'università e le altre
piccole spese, ma ora che i miei Souls stanno prendendo avvio mi
potrò concedere qualche lusso in più!”
Lui
mi sorrise. “Parli dei Souls con una passione... un po' come
quando io parlo dei Linkin Park, sai? Quando uscirà il vostro
primo CD, lo voglio!”
Sentii
le guance andare in fiamme; non me l'aspettavo proprio. “Te lo
regalerò con tanto di autografo!” gli promisi.
“Macché
regalare, io lo pagherei pure il doppio del suo prezzo!”
“Bennington,
vacci piano, tanto non ve li prestiamo come gruppo spalla per i
vostri tour!” intervenne Shavo. Non mi ero accorta che stava
origliando la nostra conversazione.
“Non
mi tieni al guinzaglio, mio caro, potrei sempre decidere di tradirvi”
scherzai, dando di gomito al bassista.
“Non
lo faresti mai!” affermò, poi all'improvviso afferrò
il suo cellulare che era abbandonato sul tavolo e lo puntò
verso me e Chester.
“Che
diamine stai facendo?” gli chiesi.
“Vi
scatto una foto! Non la volete come ricordo?” rispose con
ovvietà.
Scoppiai
a ridere: Shavo aveva un modo di fare unico.
Senza
aggiungere una parola, Chester mi circondò le spalle con un
braccio e mi fece posare la testa sulla sua spalla. Una posizione non
troppo comoda, visto e considerato che eravamo seduti e io sarei
potuta cadere dalla sedia da un momento all'altro.
“Scatta,
idiota, scatta! Altrimenti cado all'indietro!” esclamò
Chester fulminando il bassista con un'occhiata.
“Sto
scattando! Ehi, Ellie, però io e te non abbiamo nessuna foto
insieme!”
Ancora
tra le risate, mi staccai da Chester e di slancio abbracciai Shavo.
“Possiamo rimediare ora, qual è il problema?”
L'altro
ne approfittò subito per strappare il telefono dalle mani di
Shavo e scattarci una marea di foto.
“Noi
ora siamo gelose!” sentii gridare a Johanna. Infatti, non
appena mi voltai, la trovai in piedi vicino a noi; subito dietro di
lei Melanie cercava di trascinare Rob vicino a noi, in modo che anche
lui potesse apparire nello scatto.
“Dai
Rob, smettila di fare l'orso!” lo apostrofò Shavo.
“Assomigli
a Daron quando fai così!” aggiunse Johanna.
Rob
ci si avvicinò e scosse la testa. “Cos'era, un
complimento o un'offesa?”
“Assomigliare
a Daron non è mai un complimento, ricordalo sempre, batterista
mio!” chiarì mia sorella dandogli di gomito.
Chester
scoppiò a ridere, Shavo si impossessò nuovamente del
suo cellulare e ricominciò a scattare come se non ci fosse un
domani.
Alla
fine la maggior parte dei presenti passò dalle nostre parti
per partecipare al nostro servizio fotografico improvvisato e in un
quarto d'ora riempimmo la memoria del cellulare di Shavo.
Posai
insieme a un sacco di gente: i miei amici dei Souls e dei System, Tom
Morello e gli altri dei Rage Against The Machine, B-Real dei Cypress
Hill, Justin Chancellor, Mike Luce e C.J. Pierce dei Drowning Pool,
Sako, Chino Moreno dei Deftones, Head il chitarrista dei Korn e
addirittura con il bassista dei Black Label Society: John DeServio.
Quest'ultimo
non riusciva a staccarsi Jacob di dosso, dato che il mio amico
stravedeva per Zakk Wylde e tempestò il povero bassista di
domande riguardanti il suo compagno di band.
“Io
ho voglia di andare a ballare!” esclamò Melanie a un
certo punto, balzando in piedi.
“Io
ti seguo!” affermai.
“Conta
su di me!” accettò anche Johanna.
“Io
non posso mancare!” aggiunse Jacob, mettendo su quella faccia
da schiaffi tipica di quando era intenzionato a fare l'idiota.
“Veniamo
anche noi!” esclamarono B-Real e Timmy C, il bassista dei Rage
Against The Machine.
Non
potei fare a meno di notare che quei due si muovevano in simbiosi,
erano rimasti insieme per tutta la serata.
“Allora
mi sa che ci trasferiamo tutti!” affermò Chester,
afferrando Rob per un polso con l'intenzione di trascinarlo.
Io
e Johanna costringemmo John e Serj ad avvicinarsi almeno al bordo
della pista. Certo, farli ballare sarebbe stata un'impresa, ma ciò
non significava che avessero il diritto di rimanere in disparte.
Quando
a una festa c'eravamo noi, nessuno poteva e doveva rimanere fuori dai
giochi.
Mentre
io e Johanna ci avviavamo verso la zona illuminata dalle luci
stroboscopiche, notammo apl.de.ap e Taboo passeggiare a qualche metro
da noi.
Mia
sorella non perse tempo e fece loro cenno di avvicinarsi. “Scusate,
ma voi non eravate i dj? Chi sta mettendo la musica?”
“Ci
hanno dato il cambio Dj Lethal e Dj Homicide,” rispose Taboo,
“ce li avete presente?”
Io
e mia sorella ci scambiammo un'occhiata divertita.
“Eccome
se li conosciamo! Quei due sono cane e gatto, non hanno fatto che
battibeccare per tutta la sera!” commentai.
“Ah,
comunque piacere, io sono Jo” si fece avanti mia sorella,
notando le espressioni confuse dei due componenti dei Black Eyed
Peas.
“Piacere,
Allan!” esclamò apl.de.ap tendendo una mano verso di
noi.
“Jaime”
si presentò l'altro.
Ricambiai
le loro strette di mano. “Io sono Ellie. Che dovete fare ora,
ragazzi? Ci raggiungete in pista?”
“Prima
andiamo a mangiare e bere! Poveri noi, siamo a digiuno” si
lamentò scherzosamente Allan.
“Poi
certo che vi raggiungiamo, anche perché io ho un conto in
sospeso con Shavo!” aggiunse Jaime.
“Rissa?”
s'informò mia sorella.
“Più
o meno” concluse lui, prima di allontanarsi assieme al suo
amico.
Oltre
al loro modo singolare di vestire, notai che Allan aveva preso
sottobraccio il suo amico prima di ricominciare a camminare e la cosa
mi parve parecchio strana. Esposi il mio dubbio a mia sorella.
“Mmh,
hai ragione. Ho notato anche che vagava con lo sguardo, come se fosse
perso nel vuoto, e non lo teneva su di noi” convenne lei.
“Allan
ha un problema agli occhi” intervenne Timmy C, che camminava
accanto a noi.
Sobbalzai
leggermente, un po' per la notizia inaspettata, un po' perché
non credevo che lui intervenisse nella nostra conversazione.
“Come
sarebbe a dire?” volle sapere Johanna sorpresa.
“Una
roba degenerativa che gli toglie sempre più la vista. Insomma,
una di quelle stronzate che non dovrebbero esistere nel mondo”
spiegò il bassista in tono malinconico.
“Però
se la passa bene. Nel senso che è sorridente, fa tutto quello
che farebbe se non avesse questo problema, o almeno mi ha dato
quest'impressione” osservai.
Timmy
C sorrise. “Merito degli amici. Quando hai delle persone che
non ti fanno pesare il tuo problema, improvvisamente smette di
gravare anche su di te.”
Riflettei
su quella frase e mi ritrovai a dargli ragione: dei buoni amici,
disposti ad accettarti per quello che sei e supportarti in tutti i
momenti, potevano davvero cambiarti la vita.
Comunque
apprezzai molto la forza d'animo di Allan, che aveva continuato a
fare la vita di sempre nonostante tutto.
Quando
giunsi sulla pista da ballo, notai che la musica era cambiata
rispetto a qualche tempo prima: ora passava molto più nu metal
e rock. I dj erano cambiati, e con loro anche la selezione musicale.
In
quel momento dalle casse si sprigionava la potente My Generation
dei Limp Bizkit.
“Non
ci posso credere, Lethal è un fottuto egocentrico!”
esclamò Johanna divertita, prima di gettarsi a capofitto nel
ballo.
Io
risi e la seguii, cantando tutta la canzone a memoria. Non ero molto
brava a rappare, ma a furia di ascoltare quel brano l'avevo imparato
come fosse una preghiera.
Subito
mi sentii osservata.
Sollevai
lo sguardo e rimasi di sasso.
A
bordo pista, vicino a Rob e Mike, stazionava John Otto, il batterista
dei Limp Bizkit.
“Jo,
hai visto chi c'è?” gridai a mia sorella.
Lei
seguì il mio sguardo e individuò John. Lanciò a
sua volta un grido, sorpresa di trovarsi davanti un altro dei suoi
batteristi preferiti.
I
colpi di scena quella sera sembravano destinati a non finire mai.
“Devo
andare a conoscerlo!” affermò Johanna.
Io
scossi la testa per farle capire che non l'avrei seguita. Magari più
tardi avrei avuto l'occasione di scambiarci due parole, ma in quel
momento mi andava solo di ballare e chiacchierare con le persone che
già conoscevo.
Comunque
non la persi d'occhio e notai che parlava tranquillamente con lui,
Rob e Mike. Non c'era da sorprendersi: era una batterista tra tre
batteristi.
Intanto
io mi scatenavo tra le note di Guns N' Roses, Kiss, Beastie Boys,
Metallica e, ovviamente, Rage Against The Machine.
Quando
udii le prime note di Killing In The Name iniziai a ridere
senza contegno e mi precipitai da Tom Morello, che nel frattempo
fingeva di suonare la chitarra come se si trovasse sul palco.
Era
surreale sentire i brani di una band e avere i suoi componenti a
qualche metro di distanza da sé.
A
un certo punto mi venne un'idea e mi fiondai dai dj, trascinando
Melanie con me.
“Cosa
c'è, dolcezza? Sei una bomba quando ti muovi!” esclamò
Leor non appena gli fui di fronte. Era sbronzo.
Il
suo modo di chiamarmi dolcezza mi ricordò Daron, che
l'aveva preso come vizio.
Ignorai
i suoi apprezzamenti. “Senti Lethal, avrei bisogno di un
favore!”
“Farei
di tutto per te!”
“Sei
un coglione!” commentò Craig.
“Potreste
mettere una canzone dei System?” chiesi.
I
due si scambiarono un'occhiata perplessa.
“Una
canzone che si possa ballare, scegliete voi quale. Mi sembra giusto,
dato che i due festeggiati ne fanno parte!”
Detto
questo, girai i tacchi e me ne andai. Non volevo che mi svelassero la
canzone che avrebbero passato, doveva essere una sorpresa anche per
me.
Rimasi
immensamente sorpresa quando le mie orecchie vennero raggiunte dalle
prime note di Mind.
Shavo
lanciò un grido d'entusiasmo quando riconobbe la sua linea di
basso.
Craig
e Leor avevano fatto un gran bel lavoro.
Mi
voltai a guardare Johanna e la vidi salutare velocemente i suoi
interlocutori per poi correre in mezzo alla pista.
I
quattro componenti dei System ebbero reazioni diverse: Shavo si
rallegrò subito e iniziò a ciondolare la testa come suo
solito, Daron si finse infastidito ma in realtà tratteneva un
sorriso, Serj ridacchiava e canticchiava, John si era stretto nelle
spalle ed era rimasto impassibile.
Quando
iniziò la parte più potente della canzone, presi a
ballare senza preoccuparmi di risultare aggraziata o carina. Mi stavo
divertendo un mondo a muovermi a ritmo e cantare a squarciagola il
testo della canzone con Johanna.
Subito
mi resi conto di uno sguardo fisso su di me: si trattava di Daron,
che mi stava spudoratamente divorando con gli occhi. Cercai di
ignorarlo e non farci troppo caso, ma poi cominciai a provare un
certo fastidio. Eppure non mi ero agghindata troppo quella sera: mi
ero legata i capelli in una crocchia come al solito, indossavo dei
sandali comodi, degli shorts non troppo corti e una canottiera dalle
spalline sottili.
Cominciai
a vagare per la pista e trascinare chi mi capitava nella mia danza.
Alla fine mi ritrovai a girare attorno a Chester e ridere con lui.
E
Daron mi osservava, non mi mollava un attimo. Era come se si volesse
avvicinare a me, ma allo stesso tempo fosse infastidito dalla
presenza di Chester.
Infastidito?!
Ma che voleva?
Oscillando
e cantando, mi allontanai dal cantante dei Linkin Park e mi avviai
verso Serj.
“Ehi!
Sei contenta?” mi domandò in tono premuroso.
“Molto,
questa canzone l'ho richiesta io! Ma...”
Ero
indecisa se rivelargli che sentivo lo sguardo di Daron addosso; in
fondo Serj era amico sia mio che del chitarrista, non mi piaceva
coinvolgerlo.
Del
resto questo era solo uno dei tanti aspetti di Daron che non avevo
gradito da quando lo conoscevo.
“Ma...?”
volle sapere Serj.
Ecco.
Forse non avrei dovuto sganciare la bomba.
“Ho
uno strano presentimento, è come se...”
Delle
urla vicino all'ingresso della struttura del pub attirarono la mia
attenzione. Scrutai in quella direzione e individuai due sagome
all'interno del locale, ma non riuscii a riconoscerle.
Un
secondo dopo un trafelato John era piombato accanto a noi e incitava
Serj a seguirlo.
“Cosa
sta succedendo?” domandai preoccupata.
Ma
i due non mi risposero e si avviarono a passo di marcia verso la
porta.
Decisa
a capire cosa stesse succedendo, li seguii. Probabilmente la mia
presenza era d'intralcio, ma il mio lato curioso ebbe come sempre la
meglio.
Facemmo
irruzione nella zona interna del pub, seguiti da qualche altra
persona, e le prime parole che udii al di sopra della musica furono:
“Venduto dillo a tua madre, figlio di puttana!”.
♪ ♪ ♪
Scusate
cari lettori, ma non potevo evitare di raccontare la festa nel
dettaglio :P infatti un capitolo (il precedente) non è
bastato, due capitoli non sono bastati... e così anche il
prossimo sarà sempre incentrato sulla festa!
Spero
che questa cosa non vi annoi e non vi disturbi, ma vedete, questo
evento è tanto speciale e mi sembra giusto raccontarlo per
bene! Anche perché, come avrete potuto notare, i colpi di
scena non sono ancora finiti!
Conoscevate
tutta la gente che ho inserito nel capitolo? Ho inconsapevolmente
menzionato i componenti di una band che vi piace molto? Io ho cercato
di selezionare la gente che nella realtà sta vicina ai System,
con cui hanno davvero a che fare o con cui hanno collaborato!
Un
piccolo appunto: Il problema agli occhi di Allan alias apl.de.ap dei
Black Eyed Peas è vero, lo avevo letto in giro da qualche
parte, ma non sono entrata nei dettagli perché non so tanto
sull'argomento.
Povero
Allan, è il mio BEP preferito T.T
Prima
di darvi appuntamento al prossimo capitolo, spendo due parole su
Chester. Ho deciso di inserirlo perché sì, perché
era importante che ci fosse, anche se scrivere di persone che non ci
sono più mi viene davvero difficile. Ho combattuto contro me
stessa e alla fine mi sono convinta che lo potevo fare.
Io
lo immagino proprio così: allegro, sempre attento nei
confronti di tutti, curioso... un po' l'anima della festa, insomma.
Certo, è stato divorato dai suoi demoni interiori, ma tutti i
suoi amici lo dipingono come un ragazzo sorridente e sempre pronto a
scherzare.
È
anche per questo che il capitolo è molto importante per me.
Ringrazio
coloro che ancora sono qui, fatemi sapere cosa ne pensate :3
Alla
prossima!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Invitation to peace ***
ReggaeFamily
Invitation
to peace
System
Of A Down - Deer Dance
♫
John ♫
Era
un casino. Da quando quella festa era iniziata, avevo subito capito
che qualcosa sarebbe andato storto.
Avevo
cercato di fare in modo che meno persone possibile si accorgessero di
ciò che stava succedendo, ma alla fine io e Serj eravamo stati
seguiti da Daron, Ellie, Sako e Arto. Quest'ultimo era arrivato da
poco e io ero dovuto scappare da lui proprio mentre mi dava gli
auguri di compleanno.
Scott,
il barman, ci sbirciava di sottecchi mentre preparava un cocktail.
“Senti
un po', fottuto rifiuto della scena musicale, ti ho già detto
tante volte cosa penso di te e di quei coglioni dei tuoi amici, non
mi sembra il caso di fare tutto il ripasso ora!” sbraitava
Timmy C paonazzo in volto.
“Ma
che cazzo di problemi hai? Se hai qualcosa contro Fred, sappi che io
e lui non siamo la stessa persona e non sono nemmeno il suo avvocato,
quindi vai direttamente da lui e lasciami in pace” sibilò
John Otto incrociando le braccia al petto.
Ecco:
come al solito litigavano per disaccordi e antipatie vecchi come il
mondo. Poi conoscevo bene Timmy C e sapevo che, quando beveva
parecchio, perdeva facilmente il controllo.
“John,
che succede?” mi domandò Ellie discretamente.
“RATM
e Limp sono in lotta da anni, se così si può dire;
Timmy in particolare ce l'ha con Fred Durst” le spiegai in
breve.
“E
John Otto cosa c'entra?”
Mi
strinsi nelle spalle, poi mi avvicinai ai due litiganti per evitare
che scoppiasse una rissa. “Non mi sembra il caso di litigare
per questioni che ormai sono cadute nel dimenticatoio” cercai
di calmarli.
“Dimenticate?
Allora com'è che quel coglione di Durst si diverte ancora a
provocarmi?” ringhiò Timmy stringendo i pugni.
“Amico,
guarda, io contro di lui non ho niente, non è mica colpa mia
se questo qua si rivolta a caso e mi dice che sono un venduto!”
mi si rivolse John sulla difensiva.
“Si
può sapere che cazzo è successo?” tuonò
Daron infastidito. Come me, anche lui sarebbe voluto essere ovunque
tranne che lì, a risolvere i problemi di quei due.
“Che
il tuo amico ha seri problemi” rispose John con indifferenza.
“Vacci
piano” lo ammonii, sapendo che Timmy C sarebbe potuto saltargli
addosso da un momento all'altro.
“Ah,
'fanculo, me ne fotto di quello che è successo. Non ho nessuna
intenzione di vedere gente che litiga in questo posto!” sbraitò
ancora Daron, fulminando John con uno sguardo.
Sapevo
che il mio amico non sarebbe mai riuscito a essere imparziale,
avrebbe preso le parti di Timmy perché era un amico più
stretto.
“Perché
cazzo mi guardi così, Daron? Ti giuro: stavamo parlando
tranquillamente, proprio perché io contro di lui non ho niente
e immaginavo che anche per lui fosse tutto a posto... e poi ha
sbottato a caso, non so cosa gli sia preso!” cominciò a
innervosirsi il batterista.
“Ho
detto che non mi interessa, e non mi gridare contro” ribatté
Daron.
“Cos'è,
quando il tuo capo ti lascia libero esplodi così? Quello
stronzo di Durst è un dittatore, eh?” aggiunse Timmy.
In
genere non era da lui comportarsi così, quella sera doveva
aver bevuto parecchio; infatti strascicava le parole e sembrava un
po' spaesato.
John
cominciava a perdere la pazienza e faceva fatica a stare fermo.
“La
volete piantare? Daron, non ti ci mettere in mezzo anche tu!”
intervenni spazientito.
“Scusate,
ragazzi, ma non sarebbe meglio lasciar cadere così la cosa?
Siamo a una festa di compleanno, abbiamo bevuto un bel po' e forse
siamo stanchi, questa discussione non doveva nemmeno nascere... pace
per tutti, che ne dite? Per oggi Tim e John possono evitare di
passare del tempo assieme, così non rischiamo che succeda di
nuovo un episodio del genere” intervenne Ellie con calma.
Adoravo
quando cercava di riportare la pace, sempre con il sorriso sulle
labbra e le idee ben chiare.
“Io
sono d'accordo, non volevo nemmeno che tutto questo iniziasse”
accettò subito John, lanciando alla ragazza uno sguardo
riconoscente.
“Un
cazzo, qui decido io! Ellie, tu stanne fuori” sbottò
Daron con arroganza.
Oh
no, era proprio quello che volevo evitare.
Ma
la ragazza non si scompose nemmeno per un momento, anzi, affrontò
Daron a testa alta. “Beh, io cercavo solo di rendermi utile.
Forse in situazioni del genere sarebbe più logico cercare un
accordo che alimentare la discussione come hai fatto tu.”
La
ragazza stava portando fuori il lato più forte del suo
carattere. Ma del resto già sapevo che né lei né
Johanna avevano peli sulla lingua.
“Da
quando in qua devo rendere conto a te di quello che faccio?” si
rivoltò ancora Daron.
“Basta!”
gridai. Dovevo fermare tutto questo: Timmy C e John Otto si fissavano
ancora in cagnesco e non era il caso che scoppiasse una lite anche
tra Ellie e Daron.
“Sentite,
mi sono stancato, me ne vado. Nemmeno quando sono andato a
disintossicarmi ho visto tanta gente che cambiava umore senza motivo.
Sono venuto qui per passare una serata tra amici, ma evidentemente la
mia presenza non era gradita. Tolgo il disturbo” affermò
John con uno sbuffo, allontanandosi di qualche passo.
Subito
mi affrettai a seguirlo. “Sei sicuro? Non sei obbligato ad
andare via” tentai di farlo ragionare.
Il
batterista dei Limp Bizkit mi lanciò uno sguardo mortificato e
mi mollò una pacca sul braccio. “Fratello, scusa se ti
ho rovinato il compleanno. Meglio che vada, davvero, non voglio
creare altri problemi.”
Anche
Ellie ci raggiunse, mentre gridava a Daron: “Attento, che con
il tuo atteggiamento di merda non farai tanta strada. Fatti un esame
di coscienza; è un consiglio, ma tanto so che non lo
seguirai!”.
“Come
ti chiami?” le domandò John.
“Ellie”
rispose lei, visibilmente scossa. “Mi dispiace che sia andata
così.”
“Figurati,
dovevo immaginare che sarebbe andata così. Per colpa dei miei
compagni di band mi sono inimicato mezza Los Angeles.”
Detto
questo, ci salutò e lasciò il locale.
L'immagine
di lui che usciva e si allontanava per la strada mi lasciò
l'amaro in bocca.
Spesso
noi della scena rock e metal affermavamo di essere una famiglia, ma
quanti rapporti falsi e complicati nascondeva quel mondo? Io lo
sapevo bene: c'erano continue liti anche all'interno delle band, la
maggior parte dei musicisti si faceva inebriare dal successo e per
esso metteva da parte amicizia, ragione e dignità. Il
successo rende cattivi, Serj me l'aveva sempre ripetuto, da
quando ero entrato nei System più di dieci anni prima.
Immerso
nei miei pensieri, mi ero accorto appena che Ellie, accanto a me,
cercava di trattenere le lacrime.
La
attirai a me e la abbracciai con fare protettivo. “Che c'è?”
le chiesi preoccupato.
“Niente,
è che non mi aspettavo tutto questo. Forse ho sbagliato a
lasciarmi andare e discutere con Daron” ammise con un sospiro.
“Sei
arrabbiata con lui?”
“Un
po'. Il suo comportamento non mi è piaciuto per niente, ma è
già da un po' che noto degli atteggiamenti strani o sbagliati
in lui. Non che io sia nella posizione per giudicarlo, ma certe volte
riesce a rendersi davvero insopportabile.”
Proprio
come sospettavo. Daron si era attaccato molto a Ellie in questi mesi,
mentre lei era rimasta sconcertata dal carattere del chitarrista.
Un
vero casino.
“Dai,
andiamo a festeggiare e mettiamo da parte quello che è
successo, come hai cercato di suggerire all'inizio. Là fuori è
pieno di gente allegra e di canzoni da ballare: la serata deve andare
avanti!” cercai di tirarle su il morale. Le circondai le spalle
con un braccio e la condussi nuovamente fuori.
Quando
passai accanto a Serj, Sako e Arto che tentavano di far ragionare
Daron e Timmy, li ignorai. Non ci volevo più pensare, la scena
a cui avevo appena assistito mi aveva disgustato.
Quando
fummo nuovamente all'aria aperta, Ellie si rallegrò subito.
“Ma sono gli Offspring! Pretty Fly (For A White Guy)!
Adoro questa canzone! John, vieni a ballarla con me?”
Scoppiai
a ridere. “Lo sai che io non ballo... però potresti
sempre trovarti un cavaliere degno di questo nome! Ehi, ho visto che
hai stretto amicizia con Chester.”
“Sì,
Chez è un ragazzo eccezionale. Non avrei mai pensato di
andarci così d'accordo” raccontò con un sorriso.
Poi mi guardò preoccupata. “Ti offendi se ti lascio qui
e vado a ballare?”
“Per
una cosa del genere potrei toglierti il saluto” scherzai.
Così
Ellie mi strinse velocemente in un abbraccio e corse nuovamente in
pista, affiancando Johanna e Melanie.
Non
erano le uniche ragazze presenti alla festa, ma di certo erano le più
allegre e scatenate.
All'improvviso
mi sentii tirare per un polso.
“Dai
John, vieni a fare il discorso!” esclamò B-Real.
“Da
quando sono diventato il presidente degli Stati Uniti?”
protestai, cercando di sfuggire alla sua stretta.
“Andiamo,
Shavo non vede l'ora di fare il video!”
Scossi
la testa. Ma che gente frequentavo?
♫
Shavo ♫
“Cosa
dovrei dire?” esordì John al microfono. Il solito
imbranato.
“Discorso,
discorso!” cantilenai io. Con la mano destra stringevo il
telefono e lo puntavo addosso al mio amico, nella sinistra invece
tenevo un'imponente canna che avevo da poco preparato.
“Tu
stai zitto, razza di idiota. Se non fosse per te me ne starei
tranquillo in un angolo!” rispose lui rivolgendomi un'occhiata
omicida.
“Parla,
dai, che quando scendi ti offro un tiro!”
“Allora,
ehm... sono sincero, non so cosa dire, ma vi voglio solo ringraziare
per questa festa a sorpresa. Non me l'aspettavo, o meglio... vabbè,
lasciamo stare, ho iniziato a sospettare per colpa di Shavo.”
Tutti
scoppiarono a ridere, me compreso.
“Ehi!
Stai forse insinuando che non so organizzare le sorprese?” mi
rivoltai poi.
John
mi ignorò. “Comunque vorrei semplicemente dirvi che vi
adoro, perché se sto festeggiando il mio compleanno in questo
modo pazzesco è solo grazie a voi, che siete degli amici
fantastici. Un ringraziamento speciale va a Shavo e Serj, i miei
fratelli, che hanno organizzato tutto questo. Tanto loro sanno che un
giorno o l'altro li picchierò per tutto questo.”
Non
potei fare a meno di sorridere commosso. John aveva usato un tono
scherzoso, ma allo stesso tempo venato di sentimento, e sapevo che le
sue parole erano sincere e sentite. A me bastavano anche quelle poche
frasi, perché il mio amico non era tanto bravo a parlare, i
sentimenti preferiva dimostrarli con i fatti.
Uno
scroscio di applausi accompagnò John mentre restituiva il
microfono ai dj e si allontanava dalla consolle.
“E
adesso,” annunciò Lethal completamente ubriaco, “si
apre ufficialmente la gara di freestyle!”
Esultai
mentre riponevo il cellulare in tasca e mi concentravo sulla mia
stecca di erba. Anche quella gara era stata una mia idea e avevo
anche intenzione di parteciparvi.
“Oddio,
freestyle, che bello!” strillò Johanna accanto a me.
“Shavo, dici che posso iscrivermi anch'io? Cosa si vince?”
“Uno
di questi” improvvisai brandendo l'oggetto che avevo in mano.
“Perfetto,
allora mi hai convinto.”
La
prima coppia che decise di mettersi in gioco era costituita da Allan
e B-Real, entrambi dei veri professionisti nel settore. Un capannello
di gente, me compreso, si strinse attorno alla consolle per assistere
al match.
“Mandala,
Lethal” esordì Allan al microfono con la sua solita
disinvoltura. Non appena il dj fece partire il beat, il primo
sfidante prese a muoversi a tempo, come se questo lo aiutasse a
concentrarsi.
Poi
attaccò:
“Yo,
lo sai che vengo dal ghetto?
Di
sparare rime, bro, non la smetto!
Arrivano
dritte come pallottole, alle tempie,
il
mio flow è unico, lo senti come riempie?
L.A.
original, dei poser non mi curo
e
tu brancoli nel buio come in un antro oscuro!
Questo
sono io e loro la mia famiglia,
e
guardati le spalle: presto mi farò tua figlia!”
Esultai e applaudii al mio
amico, poi fissai il mio sguardo su B-Real, già pronto a
ribattere.
“Amico,
del rap io sono un attore;
a
te consiglio di cambiare spacciatore!
Vaneggi,
non connetti... ma dico, sei serio?
Le
tue rime fanno in me effetto refrigerio!
Appena
la gente mi vede subito mi rispetta:
siedo
sul trono tipo Regina Elisabetta!
Rimetto
i mocciosi a posto e non si discute;
io
viaggio in Ferrari, chiaro?, non in scooter!”
Altri applausi e grida di
incoraggiamento.
I due sfidanti si
scambiarono qualche altra battuta in rima, poi Craig intervenne:
“Okay, adesso è il momento delle votazioni che, come in
tutti i più banali show televisivi, avverranno attraverso un
applausometro! Un momento... dove cazzo sarebbe l'applausometro?”.
Si guardò attorno spaesato, tra le risate generali.
Jacob subito si avvicinò
a lui. “Piacere, sono l'applausometro, al suo servizio!”
si propose.
Iniziai a ridere senza
contegno. Quel ragazzo era assurdo, ancora di più quando aveva
in circolo un'abbondante dose di alcol.
“Non vale, non è
imparziale, imbroglia!” protestò Johanna, anche lei tra
le risate.
“Siccome non abbiamo
una soluzione migliore, mi sa che ci dovremo accontentare!”
concluse il dj.
Ci venne chiesto un applauso
prima per la performance di Allan, poi per quella di B-Real;
quest'ultimo fu decisamente più forte rispetto al primo, così
nessuno si sorprese quando Jacob decretò il vincitore.
I due sfidanti si strinsero
in un abbraccio fraterno, Allan si complimentò con l'altro per
la vittoria e insieme si allontanarono dalla consolle.
“Coraggio, i
prossimi!” incitò Lethal.
Ero indeciso se propormi in
quel momento, ma mentre ci riflettevo, altre due figure si erano già
posizionate davanti a noi con il microfono in mano.
“Non ci posso credere:
Chino e Chester!” strillò Johanna.
“Questa sarà
una sfida epica!” sentenziò Noah.
I due cantanti si esibirono
in una sfida mozzafiato. Non mi aspettavo fossero così abili;
tuttavia notai che Chester aveva una padronanza maggiore delle rime e
faceva degli incastri pazzeschi. Infatti il pubblico lo osannò
e la sua vittoria non fu certo inaspettata.
“Oh, 'fanculo, Shinoda
sarebbe fiero di me! Ehi Chino, ti offro da bere!” strillò
Chester al microfono, contento come se avesse vinto un diamante.
“Mi prendo il cocktail
più costoso, vecchio bastardo!” affermò Chino con
un sorriso, prendendolo sottobraccio e trascinandolo verso il bar.
“Adesso ci sono io!”
annunciai, fiondandomi verso la postazione dei dj.
Tutti andarono in delirio
quando mi videro afferrare il microfono, addirittura si diffuse un
coro che ripeteva: “Shavo, Shavo, Shavo!”
“E lo sfidante?”
gridò Jacob facendo scorrere lo sguardo tra il pubblico.
Mi voltai un attimo verso i
dj e contemporaneamente un boato esplose alle mie spalle. Quando
lanciai un'occhiata in quella direzione, non mi sorpresi affatto di
vedere Johanna che avanzava verso di me con un sorriso beffardo sulle
labbra.
“Shavo, se vinci fatti
fare un pompino da lei!” tuonò Rodney completamente
ubriaco.
“Ehi!” strillai,
senza però riuscire a trattenere una risata.
“Io e Shavo abbiamo
già preso accordi” gli gridò la ragazza, per
niente turbata dall'insinuazione del mio amico. Poi mi si avvicinò
e mormorò in tono complice: “La sigaretta speciale,
ricordi?”.
“Sei una piccola
bastarda” commentai.
Lei scosse la testa, si
precipitò a recuperare un microfono, poi si rivolse ai dj:
“Beh, Lethal, cosa stai aspettando? Mandala, parto io!”.
“Ai tuoi ordini,
bellezza!” biascicò lui.
Mentre la base partiva,
Johanna iniziò ad agitarsi e muoversi a tempo. Nonostante
indossasse una semplice maglia color porpora dei Deep Purple, un paio
di shorts neri e delle scarpe in tela in jeans, tanti sguardi erano
posati su di lei e sulle sue forme generose. E lei non se ne curava.
Johanna mi rivolse un
occhiolino, poi iniziò a rappare con grande disinvoltura:
“Ehi,
amici, cos'avete da guardare?
Questa
è una sfida, ma non voglio litigare!
Voglio
bene al mio sfidante, per me è un fratello...
ma
per essere un sex symbol non è abbastanza bello!
Sul
palco si agita, forte e pieno di coraggio
e
poi si commuove per i fiorellini a inizio maggio!
Ops,
alla fine son caduta nel facile umorismo,
ma
per tenere il tempo, perfetto è il mio tempismo!
Okay,
non so cantare, non mi atteggio a gangster;
suono
la batteria come Rob, mica sono Chester!
Devo
vincere anche da rapper acerba
perché
Shavo mi ha promesso una stecca di erba!”
Io nel frattempo mi
spanciavo dalle risate. Johanna era grande: forse, come aveva detto
lei stessa, non aveva l'atteggiamento giusto per fare rap, ma le sue
rime erano ingegnose e ciò che diceva era tremendamente vero.
Tra il pubblico, Chester
gridava qualcosa di incomprensibile, inorgoglito per il fatto di
essere stato nominato.
Cercai di farmi serio perché
era arrivato il mio turno e dovevo controbattere a dovere.
Mi schiarii la gola e
cominciai a blaterare, senza prima riordinare le idee:
“Yo,
l'erba è mia, non la do di certo a te,
me
la fumo da solo, anche se ce n'è per tre!
Da
Los Angeles ti parlo, ma ho le radici a Yerevan;
se
andassi in Giappone, mi chiamerei Shavo San!
Pensi
che io...”
Ma proprio quando tutto
sembrava andare per il meglio, davanti ai miei occhi si svolse una
scena talmente esilarante che scoppiai a ridere e il microfono mi
scivolò dalle mani, ancora acceso. Dalle casse si propagò
un fastidioso tonfo preceduto da un fischio infernale e la maggior
parte dei presenti si portò le mani alle orecchie.
Mentre io mi esibivo, Sako
aveva offerto a Rodney un bicchiere, sicuramente pieno di qualche
cocktail alcolico; il chitarrista l'aveva tracannato come fosse
acqua, ma nel giro di pochi secondi il suo viso era divenuto bianco
come un cencio e aveva nuovamente riempito il bicchiere con il
contenuto del suo stomaco. Ora Rodney, completamente stordito,
osservava il bicchiere pieno indeciso sul da farsi, mentre Sako
rideva talmente tanto che aveva perso l'equilibrio e si era
accasciato sul povero Tom Morello.
“Cazzo, che mira
perfetta!” commentò Jacob, anche lui divertito dalla
scena. “E dire che io quando vomito mi impiastriccio sempre
tutti i vestiti!”
Mentre ancora il beat
procedeva indisturbato, Johanna fece spallucce e disse al microfono:
“Beh Signor Applausometro, con o senza voto del pubblico mi
pare di capire che quella canna infine l'ho vinta!”.
“Non vale!”
protestai tra una risata e l'altra.
“Certo che vale! Sei
un fallito, fai schifo come MC!” mi prese in giro lei,
avvicinandomisi e tirandomi scherzosamente il pizzetto.
Mi stavo divertendo un sacco
a quella festa.
“Ehi, ma qualcuno ha
visto Daron e Serj? Sono spariti da un pezzo” commentai,
guardandomi attorno.
“Veramente è
sparito anche John Otto” fece notare Johanna.
Nessuno rispose, ma non mi
sfuggì lo sguardo che John e Sako si scambiarono.
Decisi comunque di non dire
niente: se era successo qualcosa, sarebbe venuto fuori più
tardi.
Un sostanzioso gruppetto di
persone si era radunato vicino a me e disposto in cerchio; avevamo
preparato e acceso tre spinelli e ce li passavamo tra noi, così
che ognuno potesse fare qualche tiro. L'effetto della marijuana
cominciava a palesarsi, soprattutto in chi non la reggeva troppo bene
o era già compromesso dall'alcol.
“Shavo!” strillò
a un certo punto Jaime. “Io e te abbiamo ancora quel conto in
sospeso!”
Lo guardai negli occhi: era
strafatto.
Sorrisi. “Beer
Dance?” chiesi conferma.
“Beer Dance!”
Jacob ci guardò
confuso. “Ma la canzone dei System non si chiama Deer
Dance?”
Risi. “Non parlavamo
di quella! È una sfida che ci siamo inventati io e Taboo”
spiegai, battendo una mano sulla spalla di Jaime.
“Oddio, ma quella del
bicchiere sulla spalla? Voglio partecipare anch'io!” esclamò
Sako illuminandosi.
“Vi prego, spiegatemi
in cosa consiste, perché io adoro le sfide!” intervenne
Chester saltellando come un bambino.
“Allora, in pratica i
partecipanti hanno un bicchiere di plastica con della birra ciascuno,
riempito in egual modo; la sfida consiste nel ballare un'intera
canzone con il bicchiere pieno incastrato tra la spalla e l'orecchio,
cercando di rovesciarne il meno possibile. Alla fine chi ha il
bicchiere più pieno vince e ha il diritto di bere la birra del
suo e quello degli altri” spiegai.
“Oh mio dio, ma è
bellissimo! Io partecipo, tu che dici Chez?” affermò
Jacob.
“Io non mi tiro mai
indietro quando c'è una sfida di mezzo!” acconsentì
anche il cantante dei Linkin Park.
Feci un breve giro per la
pista da ballo in cerca di partecipanti, poi corsi a recuperare dei
bicchieri. Ero entusiasta di quella sfida, una delle stronzate più
divertenti che conoscessi. Non ero bravo a ballare né a tenere
il bicchiere in equilibrio e ogni volta mi inondavo di birra, ma le
risate che ci facevamo io e i miei amici erano impagabili.
I partecipanti infine furono
sette: io, Jaime, Jacob, Chester, Sako, Mike Luce e B-Real.
“Jo, tu non
partecipi?” domandai alla ragazza che ci aiutava a incastrare i
bicchieri nel modo giusto.
“Io sono astemia. Però
mi occuperò di proporre la canzone giusta per voi!”
Qualche minuto dopo,
qualcuno annunciò al microfono l'inizio della sfida e subito
dopo fummo inondati dalle note di Deer Dance. Scoppiai
a ridere e mi rovesciai addosso il primo fiotto di birra ghiacciata.
Avevo cominciato nel modo
sbagliato.
Noi sette partecipanti
prendemmo a muoverci a tempo e, come c'era da aspettarsi, non eravamo
un bello spettacolo. Il migliore tra tutti era Jaime, ballerino
professionista, che conosceva tutti i metodi per muoversi e allo
stesso tempo non muoversi troppo.
Al primo ritornello Jacob e
Chester avevano iniziato a pogare e il risultato fu disastroso: si
schizzarono di birra fredda, presero a gridare e calpestare i
bicchieri vuoti che avevano lasciato cadere a terra.
“Siete degli idioti!”
gridai divertito.
Non che le mie condizioni
fossero migliori: sentivo il petto ghiacciato e il bicchiere molto
più leggero rispetto a poco prima.
“Ehi ragazzi, guardate
Taboo quant'è bravo” sbottò Sako accigliato.
In effetti il bicchiere di
Jaime era ancora pieno e lui ammiccava verso di noi con un ghigno
soddisfatto in faccia.
“Lui parte
avvantaggiato!” protestai.
Sako sorrise furbescamente.
“Ora gliela faccio sparire io, quella faccia da schiaffi che si
ritrova!”
Detto questo, il tecnico
della batteria attese la fine del secondo ritornello; all'inizio del
bridge, corse verso Jaime e gli si scaraventò addosso con un
grido animalesco.
L'altro strillò a sua
volta; riuscì a non perdere l'equilibrio, ma il suo bicchiere
volò a qualche metro di distanza.
“Bastardo, questo non
vale! Ti gonfio di botte, Karaian!” sbraitò Jaime,
partendo all'inseguimento di Sako.
Così i due
cominciarono a rincorrersi come due perfetti idioti.
Ormai la sfida era
ufficialmente andata a farsi benedire, così sia noi che gli
altri invitati alla festa ci godemmo la fine di Deer Dance,
cantando a squarciagola il ritornello in versione coro da stadio.
Quando infine controllammo
il contenuto dei restanti bicchieri, scoprimmo che il vincitore era
B-Real. Era stato l'unico a stare veramente attento, mentre il mio e
quello di Mike erano quasi del tutto vuoti.
“Complimenti
fratello... peccato che il tuo premio sia molto povero” dissi
al mio amico, porgendogli il mio bicchiere.
“Shavo!” mi
sentii chiamare. Mi voltai e intravidi un Sako sconvolto correre
verso di me. Un'occhiata più attenta mi rivelò che era
completamente zuppo; a giudicare dall'odore, supposi che si trattasse
di birra.
“Che cazzo è
successo?” gli chiesi perplesso.
“Non è che hai
dei vestiti di ricambio? Quel coglione di Jaime Luis Gómez mi
ha versato una mezza in testa per vendicarsi!”
Quanto amavo quella gabbia
di matti che erano i miei amici!
♫
Daron ♫
Da quando Timmy C e John
Otto si erano scontrati, non avevo toccato un goccio d'alcol; avevo
fumato e basta, convinto che mi avrebbe aiutato ad alleviare il
nervosismo, ma anche quello non era servito.
Mi ero rintanato in un
angolo buio, sul gradino di un'aiuola più in fondo dell'area
buffet, insieme al mio amico Orbel. Dopo aver discusso con Ellie,
Sako, Arto e Serj, me l'ero svignata e lui era stato l'unico a
intercettarmi e seguirmi.
Aveva provato in tutti i
modi a convincermi ad abbandonare quell'angolino e tornare alla
festa, ma io non avevo ceduto. Non mi andava di festeggiare e
sentirmi dire nuovamente che ero un idiota e che avevo sbagliato.
Forse era vero, ma nessuno aveva il diritto di farmelo pesare.
“Daron, dai, sono le
tre del mattino, i tuoi amici sicuramente ti stano cercando per
andare via” mi disse Orbel con uno sbadiglio. Era stanchissimo,
si stava per addormentare seduto, ma non si era voluto allontanare da
me.
“No. Se tu vuoi
andare, vai” borbottai in tono piatto.
Orbel sbuffò e si
mise in piedi. “Senti, io vedo che i tuoi amici stanno
smontando tutto e di sicuro sono preoccupati per te; intanto noi
siamo qui, in un cimitero di mozziconi spenti, con le zanzare che ci
stanno mangiando vivi. Ora vado e li avviso che sei qui.”
“Grazie mille per il
supporto” sibilai in tono ironico.
“Daron, fidati di me:
il vero supporto te lo do se vado a chiamare i tuoi amici. Non puoi
rimanere a dormire qui.” Detto questo, si allontanò.
Io non feci nulla per
fermarlo. Sospirai pesantemente e mi presi la testa tra le mani.
Avevo da poco compiuto
trentasei anni ed ero un disastro ambulante. Che compleanno di merda.
Rimasi immobile finché
non udii dei passi avvicinarsi. Sollevai il capo e mi trovai davanti
due imponenti figure che si stagliavano contro le luci colorate della
festa: Rob e John.
Quest'ultimo si accovacciò
di fronte a me. “Daron. Hai delle punture di zanzara talmente
grandi che spiccano anche al buio.”
“Fottiti”
mugugnai.
“Ce l'hai con me”
affermò.
Non risposi.
“Daron, se ne vanno
tutti. Dai, se vuoi ti accompagnamo a casa io e Chez”
intervenne Rob in tono pacato.
Quei due si assomigliavano
un sacco negli atteggiamenti.
“Non lo so, non mi
interessa. Posso anche tornare a piedi.”
Stavo vaneggiando.
Mi alzai a fatica e sentii i
muscoli protestare, intorpiditi per la lunga inattività. Presi
Rob sottobraccio e lui mi trascinò verso i pochi invitati
rimasti.
Ignorai John, ignorai tutti.
Non volevo incrociare nessuno sguardo e soprattutto volevo evitare le
domande.
Avevo bisogno solo di una
tisana rilassante e del mio letto.
Rob e Chester mi
accompagnarono a casa, come promesso. Non li ringraziai
esplicitamente, ma erano stati davvero gentili ad arrivare fino a
Glendale e quindi fare il doppio della strada.
Chester, sul sedile del
passeggero, sproloquiava come sempre con l'intenzione di rallegrare
l'atmosfera. Ma io non ero in vena di starlo a sentire, mi ero chiuso
in me stesso e non riuscivo a prestare attenzione a niente.
Ero stanchissimo.
Dopo un tempo indefinito,
Rob e Chester mi scaricarono a casa insieme a una busta stracolma di
pacchetti. Erano i regali che i miei amici mi avevano fatto e che
avrei dovuto aprire durante la festa insieme a loro.
Una volta in camera mia,
rovistai tra quelle confezioni colorate e lessi alcune dediche
stupide che vi erano appese sopra.
A quell'adorabile stronzetto di
Malakian, ti vogliamo bene
LP family ♥
Per Daron e la sua
imminente crisi di mezza età dal suo tecnico preferito ☺
S.
Per Daron da John, e fai
il bravo
Tim, Tom e Brad augurano a Malakian
Jr. una felice carriera musicale (però Morello l'altro giorno
ha detto che lui la chitarra la suona meglio)... BUON COMPLEANNO!!!
Sorrisi, poi mi rabbuiai
subito. Mi sentivo in colpa per essere scappato così da tutti
loro, che erano intenzionati a festeggiarmi. Loro avevano fatto di
tutto per farmi felice e passare una serata con me, invece io avevo
combinato uno dei miei soliti casini e avevo piantato tutti in asso.
La maggior parte dei miei amici se n'era andata senza nemmeno
salutarmi proprio perché non sapeva dove mi fossi cacciato.
Ero intenzionato a rimandare
lo scarto dei regali alla mattina successiva, quando un pacchetto
arancione con le stelline verdi attirò la mia attenzione. Era
rettangolare e, a primo impatto, sembrava contenere una scatola di
cartone.
Un bigliettino ripiegato
pendeva dal nastrino verde.
A Daron, il nostro
chitarrista preferito, amico divertente... a volte un po' troppo
impulsivo, ma dal grande cuore. Non dimenticare: elimina i brutti
ricordi e cattura i momenti migliori; se davanti allo schermo
stai male tu stacci dietro, ma tieni sempre a mente i tuoi
obbiettivi.
E quando ti senti
triste e solo, chiamaci e veniamo a rompere le palle XD
E, J, N, J. Souls ♥
Distolsi lo sguardo da
quella scritta e scossi la testa. Mi avrebbero fatto commuovere.
Stracciai la carta e rimasi
sbigottito davanti alla scatola che mi ritrovai tra le mani.
Era una carinissima macchina
fotografica.
Le frasi sottolineate erano
chiaramente degli indizi sul contenuto della confezione.
“Oddio”
mormorai, rompendo il silenzio che impregnava la stanza.
Non mi piaceva essere il
protagonista delle foto, ma spesso rimanevo incantato da alcuni
paesaggi o da alcune scene e mi veniva voglia di immortalarlo:
consideravo arte anche la fotografia.
Avevo solo accennato a
questo fatto in presenza dei ragazzi, ma loro se l'erano ricordato.
Ero un fottuto stronzo, non
meritavo tutto quello.
Abbandonai l'oggetto sul
tappeto e mi alzai. Sentivo un nodo in gola e il senso di colpa non
faceva che aumentare.
Il sonno era passato.
Osservai l'alba sorgere
affacciato alla finestra della mia camera, inspirando l'aria fresca
del primo mattino.
E pensando alla discussione
con Ellie. A ciò che le avevo detto, a come mi aveva risposto.
Aveva ragione sul mio atteggiamento, ma io non sarei mai riuscito a
dargliela.
Avevo un carattere di merda
e mi facevo odiare sempre più da tutti, soprattutto da lei.
Perché ero così
stupido?
Quando intravidi il riflesso
del mio volto sul vetro della finestra, mi venne voglia di vomitare.
♪
♪ ♪
Ciao
ragazzi!
Eccomi
qui con un capitolo da poco meno di cinquemila parole o.o abbiate
pazienza, ma non potevo dilatare di più questa diamine di
festa, tre capitoli sono già abbastanza XD
Spero
che sia stata una lettura piacevole ^^
Capitolo
divertente racchiuso tra due scene non tanto allegra: all'inizio e
alla fine.
Insomma,
fate un po' un bilancio di questa festa: com'è andata secondo
voi? Tra alti e bassi cosa prevale? ;)
Mi
sono divertita un sacco a coniare e raccontare la sfida di Beer
Dance, e mi sembrava quindi abbastanza logico usare Deer Dance
come colonna sonora (anche se sostituire letteralmente deer
ovvero cervo con beer ovvero birra è abbastanza
blasfemo) XD
Attendo,
se vi va, i vostri pareri e vi do appuntamento alla prossima (ovvero
il 112 settembre, pubblico l'ultimo capitolo della Jarohn)...
sperando che Daron riesca a risolvere i mille problemi che si è
creato, razza di sciocchino :3
Alla
prossima e buon WOAD a tutti!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Feeling scared ***
ReggaeFamily
Feeling
scared
Scars
On Broadway - Chemicals
♫
Ellie ♫
Io
e Jacob non facevamo che lanciarci occhiate perplesse e scuotere il
capo. Qualcosa non andava e ce n'eravamo accorti entrambi.
Ci
trovavamo in un enorme piazzale sul retro di una chiesetta, ai piedi
di una delle tante colline losangeline. Avevamo deciso di ambientare
il video di Leave And Go in quel luogo perché aveva
tutti gli elementi necessari: uno spazio aperto e sgombro per il
campo di battaglia, una chiesa rustica e quasi abbandonata per il
funerale, alcuni alberi sul limitare del campo per le scene dei
flashback.
Sulle
nostre teste si stagliava una cortina di nubi grigie, perfettamente
intonate agli scenari del nostro video. E, a quanto pareva, anche
all'umore generale dei miei amici.
Da
quando eravamo arrivati sul luogo e avevamo iniziato a girare il
video, Noah e Johanna erano stati intrattabili: il primo sembrava
perso nei suoi pensieri e teneva sempre lo sguardo basso, l'altra
pareva piuttosto irritata e cercava tutti gli espedienti per stare
lontana da noi.
Ero
preoccupata per entrambi, ma soprattutto per mia sorella: fino a
qualche ora prima mi era sembrata allegra e tranquilla come al
solito, perché aveva cambiato umore così
repentinamente?
Comunque
io e il chitarrista cercavamo di creare un'atmosfera piacevole e
rilassata per lavorare, chiacchierando con Daniel – il collega
di Melanie che sarebbe stato l'attore principale – e il mucchio
di amici e colleghi di università che si era portato dietro
nel caso fossero servite delle comparse.
“Ehi,
ragazzi, non mi sembrate molto concentrati. Se volete facciamo una
pausa!” affermò Logan, il cameraman che già aveva
curato il video di Eagles. Avevamo chiesto una mano a lui
anche stavolta, visto che collaborare con lui ci era piaciuto
parecchio.
“Sì,
forse è il caso” concordai precipitosamente, prima che
qualcuno potesse ribattere.
Daniel
sollevò entrambi i pollici e poi venne verso di me. “Grazie.
Ti assicuro che recitare la parte del cadavere non è facile.”
Ridacchiai.
“Dai, resisti: tra poco inizieremo a girare le scene dei
flashback e a quel punto sarai ancora vivo.”
“Non
vedo l'ora! Tu interpreterai il ruolo della fidanzata del defunto,
vero?”
Annuii
senza troppo entusiasmo. Avevo accettato quel ruolo nel video perché
mi sembrava una cosa carina, ma ora non ne ero del tutto convinta;
fingermi la ragazza di Daniel non era proprio nei miei programmi,
sebbene si trattasse solo di finzione.
“Sei
agitata?” si informò il ragazzo preoccupato.
“Mmh,
un po'. Non è un ruolo semplice: devo girare la scena in cui
mi dispero per la brutta notizia e poi quella in cui ti comunico di
essere incinta... sai, non ho mai fatto recitazione, anche se mi
sarebbe piaciuto.”
“Rilassati
e andrà tutto bene, questo è il mio consiglio. Non ti
devi mai irrigidire, la spontaneità è la cosa più
importante nel teatro.”
Lo
ringraziai con un sorriso mentre si allontanava da me, richiamato da
una sua amica.
Mi
guardai attorno e intercettai subito Noah che bighellonava con il suo
cellulare, in disparte.
Lo
raggiunsi, intenzionata a capire cosa lo affliggesse. “Ehi.”
“Ehi”
mormorò lui, per poi sospirare. Non alzò lo sguardo dal
suo telefono.
“Cosa
c'è?” gli domandai.
Lui
bloccò lo schermo dello smartphone e lo mise via, ma non
incrociò comunque i miei occhi. “Niente.”
“Smettila
di raccontare balle, Noah. Sai che se c'è qualche problema me
ne puoi parlare. È successo qualcosa con Kate?” indagai.
“Con
Kate va tutto splendidamente.”
Aggrottai
la fronte. “Allora che succede? Non farmi preoccupare, dai!”
insistetti.
“Ve
ne parlerò in un altro momento. Ora pensiamo al video e basta,
okay?”
“No
che non è okay! Sei triste e non riesco a capire perché!”
protestai, indecisa se arrabbiarmi col mio amico o disperarmi. Poteva
anche trattarsi di qualcosa di grave.
Noah,
con mia grande sorpresa, mi abbracciò. “Grazie. Perché
ti preoccupi sempre.”
Ecco,
adesso ne avevo la certezza: c'era da avere paura. Noah non era una
persona particolarmente affettuosa e, in normali circostanze, non si
sarebbe mai lasciato andare a un gesto del genere.
Comunque
ricambiai l'abbraccio senza aggiungere una parola, mentre il cuore mi
batteva a mille nel petto. Avevo la gola secca per l'ansia e avrei
voluto prendere Noah a schiaffi perché non mi diceva niente.
Ma non lo feci e non lo avrei mai fatto, dovevo rispettare i suoi
tempi.
Qualsiasi
cosa fosse, sarebbe venuta fuori a tempo debito.
Con
un nodo in gola, mi allontanai da lui e andai a cercare mia sorella.
Per fortuna Jacob si stava già avviando verso il bassista,
quindi ero certa che non sarebbe rimasto da solo.
Johanna
parlottava con Logan e qualche altro ragazzo, più rilassata
rispetto a prima.
Decisi
quindi di lasciarla in pace: magari chiacchierare con qualcuno che
non fosse uno del gruppo le avrebbe fatto bene, anche se non riuscivo
a spiegarmi il motivo.
Mi
avvicinai a un albero e mi poggiai contro il tronco, esausta. Non
stavo vivendo la creazione di quel video con il giusto spirito:
tutt'attorno a me l'aria era pesante, non riuscivo a rilassarmi del
tutto vedendo i miei compagni di band così di malumore.
Perché
i problemi venivano fuori tutti assieme e nei momenti meno opportuni?
“Dai,
riprendiamo! Si sta facendo tardi!” annunciò Jacob a
gran voce. “Anzi, se qui abbiamo finito ci possiamo spostare
davanti alla chiesa: se non vi dispiace, ho un funerale da celebrare!
E Gesù mi deve ancora un bicchiere di vino!” affermò,
lisciandosi con orgoglio il suo vestito da sacerdote.
Il
ruolo da povero prete, con i piedi scalzi e la tunica sgualcita, gli
stava piacendo un sacco. Era ateo e si divertiva a inventare sermoni
e passi del Vangelo poco seri per farci ridere.
“Sì,
qua dovremmo aver finito” comunicò Logan, smontando la
telecamera dal cavalletto.
Sospirai
e seguii gli altri, aggirando la chiesetta.
“Complimenti,
sei davvero portata per il teatro! Non hai mai pensato di seguire un
corso o entrare in una compagnia?” ripeté per l'ennesima
volta Amy, una ragazza minuta dai capelli castano chiaro,
squadrandomi da capo a piedi.
Eppure
non mi pareva di aver dato vita a chissà quale capolavoro. Non
riuscivo a capire come mai tutti i colleghi di Daniel mi stessero
sommergendo di complimenti, con tanto di occhi colmi di ammirazione.
“Oddio,
no, non lo potrei mai fare... non rientra tra le mie passioni. Ma
grazie per i complimenti, sono onorata!” bofonchiai in
imbarazzo.
Cercavo
di avviarmi alla macchina insieme a mia sorella, ma ogni tanto venivo
intercettata da qualcuno che mi trattava come una grande star.
Avevo
imparato una lezione: mai più recitare in uno dei nostri
video. Troppi sguardi addosso, troppo al centro dell'attenzione; non
ero fatta per affrontare qualcosa del genere, non al di fuori del
palco almeno.
Avremmo
sempre potuto prendere degli attori a parte.
Una
volta raggiunta la nostra auto, mi ci tuffai velocemente dentro come
se fosse la mia ancora di salvezza. Mia sorella mi affiancò
sul sedile del passeggero.
“Ragazze!”
ci intercettò Jacob, avvicinandosi all'abitacolo.
Misi
in moto e abbassai il finestrino per poterci comunicare.
“Che
ne dite di uscire a bere qualcosa stasera? Volevo festeggiare la fine
delle riprese del video!” ci propose col suo solito tono
allegro.
“Noah?”
s'informò Johanna.
“Ha
da fare con Kate. Che palle, io volevo ci fossimo tutti e quattro!
Vabbè, pazienza... voi ci siete?”
Ci
riflettei su un attimo. Avrei tanto voluto accettare e mettere da
parte lo studio per l'ennesima volta, ma ormai era quasi tempo di
esami e dovevo sfruttare ogni attimo libero per mettermi sui libri.
“Meglio
di no, Jake: ho tantissimo da studiare. Mi dispiace, sarà per
la prossima volta!” rifiutai a malincuore.
“Che
palle... Jo, tu? Seratina solo io e te dal nostro pusher di fiducia?”
domandò allora il ragazzo, facendo scattare l'accendino che
teneva in mano con un sorriso beffardo sulle labbra.
Mi
aspettavo da mia sorella un gridolino di approvazione o un'esplosione
di entusiasmo, come sempre quando si presentavano occasioni del
genere.
Ma
non accadde nulla di tutto ciò. Johanna taceva.
Mi
voltai verso di lei per poterla osservare: i lineamenti del viso
erano contratti e gli occhi persi nel vuoto di fronte a sé.
“No,
dai, oggi non mi va di uscire” disse infine.
“Uffa,
ma perché? Ti prego, Jo!” la supplicò Jacob
mettendo il broncio.
“Non
ne ho voglia! Ho bisogno di una bella dormita: dividermi tra Souls e
Lindsay è sfiancante, non me la sento di passare un'altra
serata a saltare da un locale all'altro” ribadì lei
incrociando le braccia al petto.
Ecco,
ora era lei a preoccuparmi. Si stava comportando in maniera piuttosto
strana; cosa le prendeva?
E
soprattutto: perché ultimamente tutti sembravano avere
qualcosa da nascondere?
“E
va bene, mi arrendo! Vuol dire che me ne andrò a caccia
per i fatti miei!” si arrese allora il nostro amico. Non aveva
perso il suo atteggiamento scherzoso, ma quando incrociai il suo
sguardo capii che era preoccupato e perfino deluso.
Lo
salutai prima di partire e mi appuntai mentalmente di scrivergli un
messaggio una volta a casa.
Johanna
si lasciò sfuggire uno sbadiglio e cominciò ad
armeggiare col suo cellulare.
Lasciai
scorrere qualche minuto di silenzio, riempito soltanto da Somebpdy
To Love dei Queen che passava alla radio; ero indecisa se cercare
di parlare con mia sorella o aspettare che fosse lei a fare la prima
mossa. La conoscevo abbastanza per sapere che prima o poi, qualsiasi
cosa le stesse succedendo, sarebbe venuta fuori.
“Jo?”
ruppi il ghiaccio infine, troppo curiosa e in pensiero.
“Sì?”
“Che
succede?”
“In
che senso?”
Sospirai.
Dovevo trovare le giuste parole per non farla innervosire. “Oggi
sei un po' strana.”
“Tu
dici?”
Per
il momento sembrava tranquilla.
“Sì,
un po' nervosa... è successo qualcosa? Hai discusso con
qualcuno mentre io ero distratta?”
“No,
non è niente. Come ho detto a Jake, forse sono solo un po'
stanca: passare le mie giornate con Lindsay è sfiancante, se
poi aggiungiamo studio di registrazione, prove, concerti e vita
sociale... lo sai: quando non dormo abbastanza divento un mostro!”
Stava
mentendo, lo capivo dal tono della sua voce: fin troppo tranquillo e
allegro.
“Sei
sicura che è solo per questo?” indagai ancora, poco
convinta.
“Penso
di sì. Magari ero in ansia per il video, sai, è un'idea
molto importante e studiata nei minimi dettagli... sì, ero
nervosa anche per quello!”
Oh,
eccome se mentiva! Ma perché? La conoscevo meglio delle mie
tasche, era ovvio che me ne sarei accorta.
“Come
mai non sei uscita con Jake?”
Forse
stavo esagerando con le domande.
“È
un'interrogazione?” sbottò.
Ecco,
appunto.
“Semplice
curiosità. In genere non vedi l'ora...” buttai lì
con indifferenza.
“Per
il motivo che ho detto a lui. E penso che anche Jake dovrebbe darsi
una calmata: va in giro tutta la notte, poi di mattina quando va al
lavoro è distrutto. Va bene, raccogliere pomodori non sarà
l'occupazione della sua vita, ma dovrebbe comunque prenderla con
serietà!”
Benissimo,
aveva cambiato argomento. Per quel giorno era tutto, non avrei
scoperto altro.
Continuammo
a chiacchierare finché dalle casse non si diffusero le prime
note di Burn It Down dei Linkin Park ed entrambe lanciammo un
gridolino.
Il
mio cuore perse un battito al ricordo di quella magnifica festa,
delle piacevoli ore trascorse con Chester, delle foto scattate
assieme – lo scatto migliore era inevitabilmente finito sullo
sfondo del mio cellulare. Avevo avuto l'opportunità di
conoscere uno dei miei idoli e addirittura stringerci amicizia; ogni
volta che ci pensavo o sentivo la sua voce sorridevo come un'ebete,
completamente in brodo di giuggiole.
Ma
non eravamo rimasti in contatto e non sapevo se si sarebbe mai
ripresentata un'occasione del genere. Inoltre ero certa che Chester
si fosse già dimenticato di me; chissà quante nuove
persone aveva incontrato e abbandonato da quel famoso 23 luglio,
nonostante fossero passate poco più di due settimane.
“Oddio,
ma cosa vuole adesso questo?” esplose mia sorella,
interrompendo il flusso dei miei pensieri e sovrastando la voce del
povero Mike che cantava la sua parte.
“Questo
chi?” domandai.
Possibile
che ci fossero dei nuovi casini in arrivo?
“Il
tuo amichetto Miles mi ha mandato un messaggio su facebook! Ancora?
Non sono stata abbastanza chiara quel giorno?”
Oh
no. Avevo chiesto a Miles, una delle poche volte in cui avevamo
scambiato dei messaggi, di sparire dalla portata di mia sorella
perché lei non ne voleva sapere. Cosa gli era preso adesso?
Cominciavo a pensare che Johanna avesse ragione: era un po' troppo
appiccicoso e invadente.
“Cosa
ti ha scritto?”
“Ciao
Jo, come va? Jo? Ma chi ti
conosce, vaffanculo! Comunque: scusa per il disturbo –
e sì, ti garantisco che disturbi – ma non mi è
proprio andata giù la nostra discussione al chiosco. Mi rendo
conto che il mio atteggiamento potrebbe risultare ambiguo e
fraintendibile, perciò vorrei solo spiegarti come stanno
davvero le cose. Okay, forse io e te non avremo mai un gran bel
rapporto, ma vorrei chiudere la questione in pace. Se ti va ci
possiamo incontrare quando sei libera; potresti venire anche con
Ellie, perché sento di dover dare delle spiegazioni anche a
lei. Intanto mi scuso per l'ennesima volta se sono risultato
invadente e inopportuno. Grazie anche solo per aver letto, spero
davvero che deciderai di rispondermi. Oh
mio dio, questo è il colmo!” Johanna si batté una
mano sulla fronte e scoppiò in una fragorosa risata.
“Ehm... Jo, ti
assicuro che io non c'entro niente!” fu la prima cosa che mi
venne in mente da dire.
“Oddio Ellie... se
potessi, per Natale gli regalerei un cervello!”
D'un tratto però
venni investita da una domanda: cos'aveva di così misterioso
da doverci rivelare? Di nuovo quel sospetto si fece presente nella
mia mente, dopo settimane durante le quali l'avevo quasi rimosso.
Dopo cena mi rintanai in
camera: libro, musica in sottofondo, finestra spalancata.
Tra una pagina e l'altra,
scambiavo dei messaggi con Jacob.
Io:
Ehi Jake, alla fine che combini stasera? Jake:
Mah, nulla. Non sono uscito alla fine, erano tutti impegnati e da
solo mi annoio.
Io:
Quindi niente caccia :D
Jake:
Esatto LOL ma oggi Jo non ti è sembrata un po' strana?
Io:
Sì, a voglia! Ho cercato di capire cos'avesse, ma mi ha
rifilato una balla...
Jake:
Non so, è già da un po' che ho notato degli strani
atteggiamenti. Forse è solo una mia impressione, ma è
come se mi evitasse :/
Io:
Davvero? A questo non ho fatto caso! In che senso?
Jake:
Quando io arrivo lei si allontana. Prima eravamo sempre insieme,
quando andavamo da qualche parte ci sedevamo vicini, facevamo
fesserie... ora non ci riesco più, lei si allontana, come se
le desse fastidio.
Io:
In effetti ultimamente siete un po' più distanti. Chissà
che caspita le prende... non la capisco più, mi preoccupa!
Jake:
Non vorrei ce l'avesse con me per qualche motivo che non so.
Io:
Cercherò di indagare, per quanto sia possibile.
Misi via il cellulare perché
mi stava distraendo troppo dallo studio, ma non riuscii a mettere da
parte anche la questione.
Mi trovavo nel bel mezzo di
una giornata assurda, e a quel punto mi domandai cos'altro potesse
capitare. L'ascesa degli alieni?
Ci pensai e ripensai,
cercando una risposta perfino tra le pagine del libro. Come mai
Johanna si stava allontanando così da Jacob?
La conoscevo e sapevo che
non agiva mai a caso, c'era per forza un motivo sotto. Ma quale? Loro
due erano sempre stati amici per la pelle, ne avevano combinate tante
insieme e tra loro scorreva un affetto che forse nemmeno io ero mai
stata in grado di comprendere appieno. Mia sorella era sempre stata
consapevole dei difetti del ragazzo e li aveva accettati, ci aveva
scherzato su, li aveva ignorati; dubitavo che le cose potessero
essere cambiate di punto in bianco.
Jacob non aveva fatto nulla
di insolito ultimamente, o almeno io non ne avevo saputo niente.
Mi sfuggiva qualcosa.
L'arrivo di un SMS attirò
nuovamente la mia attenzione. Avrei dovuto lasciare il cellulare al
suo posto, ma la mia solita curiosità mi portò a
sbirciare il display.
Il nome che vi lessi mi
lasciò a bocca aperta.
Daron.
Sentii il sangue defluire
dal viso e il cuore accelerare i suoi battiti. Non me l'aspettavo.
Già, c'era anche
quella questione aperta. L'avevo messa da parte, ma non di certo
dimenticata. Dopotutto ce l'avevo ancora con Daron per come si era
comportato e sinceramente non mi andava di chiarire con lui. Il suo
atteggiamento non aveva fatto che infastidirmi nel corso dei mesi e
la nostra ultima discussione era stata la goccia che aveva fatto
traboccare il vaso.
Probabilmente non era quello
il modo giusto di affrontare la questione: tra qualche mese saremmo
partiti in tour insieme e dovevamo cercare di andare d'accordo
durante il viaggio. Ma perché avrei dovuto fare io il primo
passo, se era stato lui a sbagliare?
Aprii il messaggio senza
pensarci due volte. Il bello degli SMS era che il mittente non poteva
sapere se il destinatario avesse visualizzato o meno, quindi potevo
anche decidere di non rispondergli.
Ciao :)
Aggrottai la fronte.
Mi aveva spiazzato anche
quella volta.
Che fare? Rispondere o non
rispondere?
Avrei voluto chiedere
consiglio a Johanna, ma forse per quel giorno ne aveva abbastanza:
voleva solo stare sul divano e fare zapping in tv. Gliene avrei
parlato il giorno dopo.
Avrei potuto chiamare
Melanie, ma lei era tornata quella mattina dalla sua vacanza in
Messico e sicuramente stava dormendo come un ghiro per recuperare le
energie perse.
Decisi di lasciar perdere
per quella sera: avrei potuto rispondergli anche il giorno dopo.
O forse non lo avrei mai
fatto. Daron non lo meritava.
O forse sì. Non mi
piaceva sapermi in guerra con lui, volevo solo chiarire.
Quanto ero confusa!
Jake: Grazie
sorella ♥
Io: Jake, perché
è tutto così complicato?
Jake: Di qualsiasi
cosa tu stia parlando, sappi che basta un po' di balsamo per
districare tutti i nodi! LOL
Io: Ti voglio bene
nonostante le tue solite freddure :3
♫
Shavo ♫
“Si può sapere
perché cazzo mi hai costretto a mandarle questo messaggio?”
abbaiava Daron, vagando per il mio soggiorno come una trottola.
“Io veramente non ti
ho costretto a fare niente, ti ho solo convinto”
precisai, continuando imperterrito a fare zapping in tv. Me ne stavo
comodo sul divano con i piedi poggiati sul tavolino basso di fronte a
me, accanto ai cartoni vuoti della pizza.
“Vabbè, quello!
Sei uno stronzo, adesso te ne freghi!”
Mi voltai a guardarlo
attentamente, facendomi serio. “Si può sapere qual è
il tuo problema? Ti ho solo spinto a combattere il tuo orgoglio, il
resto l'hai fatto tu. Sai bene che hai sbagliato con Ellie, quindi
fare il primo passo verso di lei era il minimo indispensabile!”
Finché non mi trovavo
al centro delle situazioni, riuscivo anche a portare fuori dei buoni
consigli.
Daron si lasciò
cadere a terra di fronte al divano e si prese la testa dalle mani.
“Secondo te quanto sono testa di cazzo in una scala da uno a
dieci?”
Mollai il telecomando e
scivolai sul tappeto, accanto al mio amico. “Daron, parliamo
seriamente, da uomo a uomo. Cosa provi per questa ragazza?”
“Attrazione. Cioè,
è bella. È una bella ragazza” rispose
prontamente, incrociando le braccia al petto. Quando si rannicchiava
così su se stesso, voleva dire che eravamo entrati in un campo
minato. Dovevo stare attento alle parole che utilizzavo.
“Mmh. Attrazione e
basta?” chiesi ancora.
“Sì, certo.
Perché, cos'altro dovrei provare?” Daron cominciava a
irritarsi.
“È che mi
sembri un po' troppo preso” ammisi, cercando di utilizzare un
tono leggero e distaccato. Non volevo che quelle parole assumessero
troppo peso.
“Tu sei fuori di
testa. Sai che non sono il tipo e non ho il tempo... e non sono in
vena. E poi non sono così stupido da invaghirmi di una ragazza
a cui non importa niente.”
Si stava pian piano tradendo
da solo. Era cotto di Ellie, lo capivo dal modo in cui si preoccupava
del pensiero della ragazza.
“Però se tu
modificassi un pochino il tuo comportamento verso di lei, potresti
avere delle speranze...” osservai.
“Ma io non voglio una
chance con lei, ti pare? Forse non mi sono spiegato...”
La suoneria del mio
cellulare interruppe la nostra conversazione. Afferrai l'apparecchio
e mi sorpresi nel leggere il nome di Sako. Che voleva a
quell'ora? “Ehi, fratello!” risposi.
“Aprimi, sono qua
fuori.”
E il mio amico mi chiuse il
telefono in faccia.
Oddio, ma che stava
succedendo? Quel bastardo di Sako mi stava giocando un brutto
scherzo.
“Una conversazione
lunga e articolata” commentò Daron sghignazzando.
“Sako dice che è
qua fuori, mi ha chiesto di aprirgli la porta” gli comunicai,
mettendomi in piedi a fatica.
“È uno scherzo,
lascialo perdere.”
Comunque mi diressi verso
l'ingresso: magari il tecnico si trovava davvero sotto casa mia, non
lo potevo lasciare fuori.
Quando Sako irruppe in casa
e si fiondò in soggiorno, pallido come un fantasma e divorato
dal nervosismo, cominciai seriamente a preoccuparmi.
“Ehi, amico, che ti
prende?” gli domandai, seguendolo.
Sako si lasciò cadere
per terra accanto a Daron, poi cambiò idea: balzò in
piedi e cominciò a camminare in tondo.
“Chiamate un
esorcista” commentò Daron, allibito quanto me.
Mi ero già stufato di
quella situazione, detestavo tutto ciò perché mi
metteva ansia. Mi avviai verso il tecnico e lo costrinsi a fermarsi
prendendolo per le spalle. Puntai i miei occhi nei suoi e scandii:
“Calmati, respira, su. Si può sapere cosa cazzo è
successo?”.
“Un casino, Shavo, un
casino!” sbottò lui, quasi sull'orlo delle lacrime.
“Per favore, dimmelo.
Come posso aiutarti se non so cos'hai?” lo supplicai, sempre
più in ansia.
“Alla festa di Daron e
John...” cominciò.
Daron si sollevò dal
tappeto e ci raggiunse, anche lui curioso e perplesso.
“Eh. Cosa è
successo?” lo incitai a continuare.
“In pratica io... sono
andato a letto con una ragazza, un'invitata...”
“Chi?” esplose
subito il chitarrista, serrando i pugni.
“Non era una delle
gemelle, vero?” aggiunsi.
“No, no, macché!
Era Melanie, la loro amica!” ci rassicurò.
Sentii il cuore battere a
mille e le mani sudaticce. Cosa diamine poteva aver combinato con
quella ragazza?
“Andiamo. Sputa il
rospo!”
“Oh, vaffanculo! È
incinta, Shavo, è incinta di me!”
♪
♪ ♪
ODDIO
O___O
Ragazzi,
questo è un colpo di scena troppo grosso anche per me!
Ehm...
ciao a tutti ^^”
Pensavo
di non riuscire ad aggiornare oggi per via di problemi del sito,
invece ci sono riuscita! È quasi mezzanotte ma sono qui, WOAD
rispettato!!! *-*
Allora,
che ne pensate degli ultimi sviluppi? Cosa sta succedendo a Noah? E
perché Johanna evita Jacob?
Cosa
dovrà confessare Miles?
Ellie
risponderà a Daron?
Ma
soprattutto: e adesso tra Sako e Mel che si fa? o.o
Stavolta
vi ho lasciato con un bel po' di interrogativi! Scommetto che mi
odierete per questo XD ma ormai vi sarete resi conto che amo
complicare le cose...
Non
so voi, ma io mi sento scared come dice il titolo di questo
capitolo!
E
non avete ancora visto niente!
Ok,
lascio a voi i commenti, sono davvero curiosa di sapere cosa ne
pensate a questo giro! Intanto grazie di cuore per essere ancora qui
:3
Alla
prossima!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** Shatter fears ***
ReggaeFamily
Shatter
fears
Serj
Tankian - Falling Stars
♫
Melanie ♫
Piangere:
solo questo riuscivo a fare. Abbandonata sul divano, singhiozzavo
senza ritegno e tentavo invano di asciugare le lacrime, ma quelle
subito scivolavano nuovamente sulle mie guance.
La
valigia giaceva ancora ai miei piedi e non avevo alcuna intenzione di
disfarla.
Non
mi ero nemmeno preoccupata di sollevare la tapparella o di accendere
la luce: stavo là, nell'oscurità, e mi domandavo
disperatamente cosa fare.
Ero
riuscita a ottenere il numero di Sako tramite Noah, che era stato
discreto come al solito e non mi aveva chiesto spiegazioni. Avevo
telefonato il ragazzo per comunicargli la notizia; lui era stato
sorpreso di ricevere una mia chiamata, ma quando era venuto a
conoscenza del motivo per cui l'avevo contattato si era disperato.
Nel
sentire la sua voce avevo cominciato a piangere ancora più
forte.
Che
situazione surreale: ero incinta di una persona che conoscevo poco e
niente. Io e Sako ci eravamo visti in varie occasioni ed eravamo
andati subito d'accordo, ci eravamo trovati a chiacchierare e
scherzare, ma in fondo nessuno dei due sapeva niente dell'altro.
Perché
quella sera avevo bevuto così tanto? Perché mi ero
lasciata andare con lui? Quello di andare a letto con chi capitava
era un brutto vizio, me lo dicevano sempre anche Ellie e Johanna.
Sako
mi stava simpatico, cominciavo a volergli bene, e invece l'avevo
messo nei casini.
La
vibrazione del mio cellulare mi avvertì dell'arrivo di una
chiamata. Sicuramente si trattava di Sako; solo lui mi avrebbe potuto
telefonare a mezzanotte e un quarto.
Con
mano tremante, mi portai il telefono all'orecchio e tirai su col
naso. “Sako...”
“Melanie,
ciao, sono Shavo. Ti ho chiamato dal numero di Sako e...”
Ricominciai
a piangere, scossa da profondi singhiozzi. “Shavo, ti prego,
non dirlo a nessuno! Non dirlo a Ellie e Jo!” lo supplicai.
“Ehi,
tesoro, non ti preoccupare, vi voglio solo aiutare. Non lo dirò
a nessuno, okay? Ti avrebbe dovuto chiamare Sako, ma lui è
davvero sconvolto.”
“È
lì con te?” chiesi.
Mi
resi conto che avevo istintivamente posato la mano sul mio ventre,
laddove risiedeva il bambino, e subito la ritrassi. Non dovevo, non
potevo!
“Sì,
è a casa mia. Senti, io credo che la cosa migliore per voi due
sarebbe incontrarvi e decidere cosa fare. Ora non voglio entrare in
merito e non ti chiederò quali sono le tue intenzioni, ma tu e
Sako avete bisogno di vedervi e parlare faccia a faccia. Che ne
pensi?” propose lui in tono calmo.
Mi
si mozzò il respiro in gola e cominciai a sudare freddo.
“Io... no, non so se ce la faccio... mi viene il panico solo
all'idea!”
Non
mi sentivo pronta a incontrarlo. Come avrei reagito se l'avessi
rivisto? Ma sapevo che l'avrei dovuto fare, non potevo lasciare che
il tempo scorresse e decidesse per noi.
“No,
Mel, cerca di stare calma. Sako è molto preoccupato per te,
vuole sapere come stai, e soprattutto dovete parlare della
situazione... tranquilla, non vi lasceremo da soli. Uno di noi
accompagnerà Sako, se vuoi anche tu puoi portare qualcuno con
te.”
Shavo
parlava con dolcezza, cercava in tutti i modi di rassicurarmi. Gliene
fui immensamente grata perché il suo supporto mi stava davvero
aiutando.
Le
gemelle mi avevano raccontato che era un amico fantastico,
comprensivo e sensibile; avevano ragione da vendere.
Mi
passai una mano sulla fronte umida di sudore e tirai indietro i
capelli. “Va bene, forse... forse lo dirò a Ellie e Jo e
una di loro verrà con me. Lo devo fare, lo so, non si può
rimandare all'infinito. Okay... dopodomani può andar bene?”
“Sì,
credo di sì. Domani ci mettiamo d'accordo sull'ora e il luogo,
ora è tardi e abbiamo tutti bisogno di riposare.”
Lo
ringraziai di cuore e ci salutammo.
Avrei
voluto chiedergli qualcosa in più su Sako: come stava? Mi
sarebbe piaciuto sentire nuovamente la sua voce, scambiare due parole
con lui, ma allo stesso tempo la sola idea mi metteva addosso
un'ansia pazzesca. E magari lui non aveva voglia di avere a che fare
con me.
Che
casino.
Lasciai
ricadere la mia mano sulla pancia, nonostante sapessi che era
tremendamente sbagliato. Tra i singhiozzi, cominciai a parlare: “Ehi,
piccolo. Lo so, non ha tanto senso parlare con un ammasso di cellule
ancora informe, però... tu sei il mio bambino, cazzo. Sei il
bambino di Melanie e Sako. E io so che non ti potrò tenere,
dovrò andare ad abortire; non sarebbe giusto farti nascere e
crescere in una situazione così complicata. Questa
consapevolezza mi fa male, bambino mio, perché da quando ho
scoperto che eri dentro di me ti ho amato. Non ti voglio uccidere,
amore mio!”.
Mi
addormentai sul divano, con un fiume di lacrime che ancora mi
scorreva sul viso, mentre accarezzavo con delicatezza il punto in cui
il mio bambino si stava formando.
Ellie
e Johanna erano rimaste sconvolte. Era comprensibile: in primis non
avevo ancora rivelata loro che avevo fatto sesso con Sako. Il figlio,
poi, era l'ultima cosa che si sarebbero aspettate.
Ma
non se la presero con me, non mi rimproverarono. Più di una
volta mi avevano avvertito che la mia incostanza con i ragazzi
avrebbe potuto portare a delle conseguenze indesiderate, ma entrambe
sapevano che quello non era il momento adatto per infierire.
“Ma
sei sicura che è suo?” mi aveva chiesto Johanna.
“Certo,
il test parla chiaro: sono incinta da due settimane, e Sako è
l'unica persona con cui sono stata nell'ultimo mese.”
“Ma...
non avete usato nessuna precauzione?” aveva voluto sapere
invece Ellie.
“Forse
sì, ma il preservativo si è rotto e... o forse no. Ah,
non ricordo, ero completamente ubriaca!”
Comunque
il giorno dell'appuntamento era arrivato e nelle mie vene scorreva
l'ansia al posto del sangue.
Avevo
deciso di chiedere a Ellie di accompagnarmi. Mi sarebbe piaciuto che
ci fossero entrambe, ma non mi sembrava il caso di portare troppa
gente con me; inoltre Johanna doveva lavorare e non volevo che
disdicesse con la madre di Lindsay per colpa mia. Lei aveva cercato
in tutti i modi di protestare, ma non le avevo dato retta.
Verso
le sei del pomeriggio Ellie passò a prendermi. Salii in
macchina con movimenti rigidi e meccanici.
“Come
stai?” mi domandò la mia amica, stringendomi in un
rapido abbraccio.
“C'è
una domanda di riserva?”
“Dai
Mel, stai tranquilla, ne usciremo presto. Sako è un tesoro,
sarà sicuramente comprensivo... e con noi ci sarà anche
John!”
Cominciai
ad agitarmi. “Come sarebbe a dire? E Shavo?”
“Sako
ha preferito chiedere a John. Non ti preoccupare, lui è così
dolce e calmo! La sua presenza ti aiuterà, te lo assicuro!”
Non
ero del tutto convinta. Le cose andavano di male in peggio: Shavo mi
aveva lasciato al mio destino, proprio quando pensavo di poter
contare su di lui!
Trascorsi
il viaggio in silenzio. Ellie mi parlava, cercava di distrarmi, ma io
non la stavo a sentire.
Quando
giungemmo di fronte al bar in cui io e Sako ci eravamo dati
appuntamento, mi irrigidii sul sedile e presi veramente in
considerazione l'idea di non scendere. Il cuore mi batteva a mille,
sentivo rimbombare i battiti pure nelle orecchie.
Ellie
scese dall'auto in silenzio, la aggirò e venne ad aprirmi lo
sportello. Mi lanciò un'occhiata incoraggiante.
“Non
ce la faccio” farfugliai, cercando di trattenere le lacrime.
Non ero abituata a piangere così tanto e non ne potevo più,
mi facevo schifo da sola.
Ellie
si protese verso di me per abbracciarmi. “Dai, Mel. In fondo
cos'hai da perdere?”
Slacciai
la cintura di sicurezza e presi un profondo respiro. Basta, dovevo
smetterla di piangermi addosso e affrontare anche quella situazione.
Ne avevo passate tante nella mia vita e me l'ero sempre cavata,
sarebbe andata così anche quella volta.
Scesi
dalla macchina e richiusi lo sportello. Le gambe mi tremavano.
Ellie
mi prese sottobraccio e ci avviammo lentamente verso la terrazza in
legno antistante il bar.
Mi
guardai fugacemente attorno e avvistai Sako e John: non avevano preso
posto in un tavolino, stavano poggiati sulla balaustra in legno e
fumavano. Spostai subito lo sguardo da loro, sperando che fossero
solo una mia allucinazione.
Ma
qualche secondo dopo io ed Ellie giungemmo di fronte a loro. La mia
amica salutò entrambi con un abbraccio, mentre io fissavo un
punto indefinito dietro di loro.
“Ciao
Melanie. Come stai?” John attirò la mia attenzione e mi
tese la mano.
Gliela
strinsi con forza e incrociai il suo sguardo: lo trovai calmo,
sereno, rassicurante. Le poche volte in cui lo avevo incontrato, mi
ero resa conto di quanto quel ragazzo fosse tranquillo e dell'effetto
positivo che aveva sugli altri.
Gli
sorrisi debolmente. “Potrebbe andare meglio. Grazie per essere
qui.”
“Andrà
tutto bene” cercò di rassicurarmi rafforzando la stretta
sulla mia mano.
Non
trovavo le parole per ringraziarlo, ma sperai che il mio sguardo
parlasse per me.
Quando
mi ritrovai faccia a faccia con Sako, mi cadde il mondo addosso.
Era
completamente vestito di nero. Aveva la mascella serrata e si torceva
le mani per il nervosismo: gli occhi erano sgranati e colmi di una
tristezza e una disperazione immense.
Non
riuscivo a vederlo così, non potevo credere che stesse così
male per colpa mia.
“Ciao”
mormorai, immobile. Quasi non mi accorsi della lacrima che aveva
cominciato a scorrermi lungo la guancia destra, silenziosa e
solitaria, senza il mio permesso.
“Se
volete vi lasciamo da soli, ci sediamo a un tavolino e ci teniamo a
vostra disposizione” propose Ellie, scambiando un'occhiata
complice con John.
“Va
bene. Forse è meglio se noi facciamo una passeggiata”
affermò Sako, facendo un cenno col capo verso di me.
Annuii
in silenzio. Prima di seguire il ragazzo giù dalla piattaforma
in legno, strinsi forte Ellie in un abbraccio. Lei mi accarezzò
dolcemente la schiena e mi ripeté di farmi coraggio, che
sarebbe andato tutto bene.
Una
volta sullo stretto viottolo quasi deserto, io e Sako camminammo in
silenzio per qualche metro, attenti a non sfiorarci. Nessuno dei due
sapeva cosa dire.
Che
situazione surreale. Chi avrebbe immaginato che in realtà a
passeggiare non eravamo in due, ma in tre?
Mi
lasciai sfuggire un singhiozzo e mi maledissi mentalmente. Piangere
era un'attività futile e sfiancante, lo odiavo!
Sako
si fermò di botto. “Melanie.”
Mi
immobilizzai a mia volta, senza avere il coraggio di voltarmi nella
sua direzione. Mi guardai attorno: ci trovavamo nei pressi di una
minuscola piazza in cemento, larga solo pochi metri e con due
panchine sbilenche disposte un po' a caso.
Non
mi andava di sedermi.
Sako
girò attorno a me fino a posizionarmisi di fronte. Cercava le
parole giuste da dire, era in difficoltà.
“Mi
dispiace, è tutta colpa mia” disse infine.
Finalmente
ebbi il coraggio di sollevare lo sguardo e incrociare il suo. Faceva
male, ma glielo dovevo. “Che cosa stai dicendo? Perché
colpa tua? Eravamo entrambi ubriachi e sarebbe andato tutto bene se
non fosse per... questo.” Posai la mano destra sul mio ventre.
Lui
osservò il mio gesto con occhi lucidi.
Dovevo
fare qualcosa.
Allungai
una mano e presi la sua, poi la portai all'altezza della mia pancia.
Non c'era ancora niente da sentire, ma volevo che lo facesse.
Lui
rimase in silenzio per qualche secondo, le dita poggiate con
delicatezza sulla mia maglietta e le sopracciglia aggrottate. “Tu
cosa vuoi fare?” mi chiese poi.
“Voglio
prima sapere il tuo punto di vista.”
Lui
sospirò. “Io voglio fare tutto ciò che vuoi fare
tu. Se deciderai di tenerlo okay, farò il padre e me ne
prenderò cura. Se invece non lo vuoi, mi adatterò.
Voglio che tu sia felice.”
Scossi
la testa e gli strinsi la mano tra le mie. “Stai scherzando,
vero? Tu hai il diritto di decidere proprio come me!”
“Non
è vero. Ho combinato un casino e non voglio influenzare la tua
decisione: il bambino è dentro di te, sta a te scegliere. Ho
sempre pensato che una madre abbia un rapporto molto più forte
col figlio rispetto al padre, perché lo custodisce dentro di
sé prima che nasca. E io... mi sento una merda. Non volevo
metterti in questa situazione!”
Era
disperato. E più lui si disperava, meno riuscivo a sostenere
il suo sguardo.
“Potrei
dire lo stesso. Sento di volerti bene, Sako, e vederti così
distrutto mi fa soffrire. Non riesco a pensare che stai così
per colpa mia, capisci?” ammisi.
Sako
mi attirò a sé e mi strinse in un abbraccio colmo di
affetto. Rimasi sinceramente spiazzata dal suo gesto: l'avevo da
subito inquadrato come un ragazzo allegro ed espansivo, sicuramente
era una brava persona, ma non l'avrei mai creduto capace di tanta
dolcezza. Ma in fondo che ne sapevo? Non avevo mai avuto l'occasione
di conoscerlo a fondo.
Mi
aggrappai a lui e piansi per l'ennesima volta, mentre lui mi
accarezzava i capelli con dolcezza. Quando lo sentii tirare su col
naso, capii che stava piangendo.
Rimanemmo
abbracciati per un tempo indefinito, forse qualche minuto. Riuscivo
solo a essere confusa, ma una cosa era certa: ora che mi trovavo tra
le sue braccia, mi sentivo meglio e riuscivo a credere che tutto
sarebbe andato bene.
Non
mi era mai capitato qualcosa del genere con un ragazzo. Ma lui non
era uno qualsiasi: era il padre di mio figlio.
Ad
un tratto Sako sciolse quella stretta, mi avvolse le spalle con un
braccio e mi condusse verso una panchina. Ci accomodammo e io posai
la testa sulla sua spalla senza pensarci due volte. Mi veniva così
spontaneo stargli vicino! Avevamo bisogno del conforto reciproco.
“Allora,
che vuoi fare?” mi domandò nuovamente.
Riordinai
le idee per un secondo, poi cominciai a spiegare: “Ci ho
pensato tanto in questi giorni, mi sono scervellata per capire cosa
dovessi fare. Il mio cuore parla chiaro: mi suggerisce di tenere il
bambino. È una cosa stranissima, ma ti assicuro che ho
cominciato ad amarlo da quando ho scoperto che stava nel mio grembo.
In genere io riesco a essere distaccata in tutte le situazioni, non
perdo mai il controllo sulle mie emozioni, ma stavolta non è
stato così. Ma mi rendo anche conto che non posso – non
possiamo – fare questo a una vita innocente. Io sono giovane,
vivo in un buco di appartamento, ho un lavoro che mi permette a
malapena di mantenermi e non mi sento pronta; inoltre ci conosciamo a
malapena e non stiamo insieme. Non posso accettare il fatto di
crescere il frutto di un errore. I figli devono nascere da un amore,
devono poter crescere in una vera famiglia: io la penso così”.
Sako
osservava le sue stesse dita che giocavano e si intrecciavano con una
ciocca dei miei capelli. “Penso che tu abbia ragione: non
dobbiamo pensare solo a noi, ma anche a lui. Il nostro cuore ci
suggerisce di farlo nascere, ma noi due non ce la potremmo fare e
sarebbe il bambino a risentirne. Ma quello che mi preoccupa sei tu:
affrontare un... aborto... dev'essere doloroso, ecco. Io non voglio
che tu stia male.”
Mi
lasciai sfuggire un sorriso. Perché avevo avuto tanta ansia
nel rivederlo? Era un ragazzo così tenero e premuroso.
“Guardami”
gli ordinai.
Lui
puntò i suoi occhi nei miei.
“Arriverà
un giorno in cui troverò la persona giusta e allora avrò
un figlio da poter veramente amare. Ma ora non è il momento. È
vero: soffrirò, piangerò, ci starò male, forse
me ne pentirò... ma so che questa è la scelta giusta.
Preferisco pensare alla tua felicità piuttosto che a un
esserino non ancora formato, che ancora non si può definire
una persona. Starò male, è vero, ma lo supererò.
L'unica cosa che ti chiedo è di starmi vicino, ho bisogno di
te per riuscire ad affrontare tutto ciò.”
Oh,
finalmente stavo tornando a essere me stessa: coraggiosa, positiva e
spigliata. O forse lo ero per la prima volta, perché in realtà
non ero affatto sicura di me e tendevo a nascondere le mie debolezze.
Sako
mi attirò nuovamente a sé. “E c'è bisogno
di chiederlo? Potrai sempre contare su di me, in ogni momento.”
Un
brivido mi corse lungo la schiena. Oddio.
Non
risposi, mi lasciai semplicemente abbracciare.
“Sai,
Mel” ruppe il silenzio a un certo punto, poi ammutolì
per qualche secondo, indeciso se parlare o no. “Quando arriverà
il momento giusto, penso che sarai una madre fantastica.”
“Non
mi conosci, come fai a dirlo?”
“Me
lo sento. Sei quel tipo di persona che, quando ama, lo fa
incondizionatamente.”
Presi
un profondo respiro. Ci provava forse gusto a farmi commuovere?
Ora
che avevo il suo appoggio, ne ero certa: sarebbe andato tutto bene.
♫
Johanna ♫
“E
niente, pensavo di fare questa piccola festicciola! Mi sarebbe
piaciuto festeggiare più in grande, ma non fa niente,
l'importante è stare insieme e divertirsi!” stava
sproloquiando Jacob con entusiasmo.
Era
sempre così quando si avvicinava il giorno del suo compleanno:
ci teneva troppo a festeggiare con i suoi amici e nemmeno la fine del
mondo gliel'avrebbe impedito.
“Inviterai
anche i System?” domandò Ellie con interesse.
“Ma
certo, ci puoi scommettere! Inviterò tutti, e non accetto un
rifiuto!”
Le
prove in casa di Noah erano appena finite e io sinceramente non
vedevo l'ora di andarmene. Ero nervosa e non mi sapevo spiegare il
motivo. O forse lo sapevo fin troppo bene...
“Il
21 è anche il compleanno di Serj, giusto?” domandò
il padrone di casa senza troppo entusiasmo.
“Certo!
Infatti festeggeremo anche lui, se è d'accordo! Ma ci pensate?
Lui il 21, io il 27!”
Ellie
mi lanciò un'occhiata eloquente e io capii cosa la tormentava:
avrebbe rivisto Daron. Aveva deciso di non rispondere al suo
messaggio, ma in quell'occasione avrebbe dovuto affrontarlo per
forza.
Tra
i tanti c'era anche quel nodo da risolvere.
Distolsi
lo sguardo da lei e lo fissai su Noah. Sapevo che il ragazzo aveva
qualcosa da dirci, ultimamente si comportava in modo troppo strana.
Mia sorella me lo aveva confermato.
Il
ragazzo mi notò, poi prese un profondo respiro e si schiarì
la gola. “Ragazzi, ho... ho qualcosa da dirvi.”
Tutti
ci voltammo a osservarlo, in attesa. Stava in piedi e teneva in
braccio la custodia con il suo basso.
Io
mi sistemai meglio sulla sedia, Jacob si poggiò alla parete
accanto a lui ed Ellie rimase immobile e tesa al centro della stanza.
“Dai,
non guardatemi così!” esclamò il bassista,
palesemente in imbarazzo.
“Dai,
amico, sputa il rospo! È da giorni che ci scervelliamo per
capire cos'hai!” lo esortò Jacob.
Cominciavo
a sentire una punta d'ansia. Noah mi preoccupava parecchio e
l'atmosfera pesante che si era formata nella stanza non mi piaceva
affatto.
“Ecco,
il fatto è che... in questi giorni mi è stato offerto
un lavoro: si tratta di un impiego molto importante, in un'azienda
informatica abbastanza nota. È praticamente un'esperienza
imperdibile per me: sapete quanto amo l'informatica.”
“Oddio,
ma è fantastico! Questa è una bellissima notizia!”
esclamai io, saltando in piedi. Non capivo proprio dove stesse il
problema.
“Grandioso,
il nostro adorato hacker farà strada! Hai accettato, vero?”
chiese Jacob con un enorme sorriso.
“Sì,
ovviamente ho accettato! È stato un colpo di fortuna
incredibile, non avrei mai pensato di lavorare in un luogo del
genere!”
“E
allora dove sta il problema? Come mai sei così triste?”
volle sapere Ellie, ancora dubbiosa.
Noah
guardò ognuno di noi negli occhi per alcuni secondi. La
tristezza che gli impregnava lo sguardo smorzò immediatamente
il mio entusiasmo.
“Mi
dovrò trasferire a New York, lasciare tutti voi, lasciare la
band. Partirò a gennaio.”
Per
l'ennesima volta nel giro di pochi giorni, sentii il mondo venir giù
e schiacciarmi senza pietà.
“No”
sentii mormorare a Ellie. Dopodiché mia sorella scoppiò
a piangere senza contegno e si fiondò tra le braccia di Noah.
“Oddio...
è uno scherzo, fratello, vero?” sbottò Jacob
incredulo. Aveva gli occhi sgranati e scuoteva la testa, sperando di
risvegliarsi da quell'incubo.
Io
non dissi una parola. Mi alzai e lasciai la stanza, totalmente
sconvolta. Avevo bisogno d'aria pulita e di una sigaretta.
Avevo
bisogno anche di riavvolgere il nastro e fingere che non fosse
accaduto nulla.
New
York era tremendamente lontana. Noah sarebbe stato tremendamente
lontano. Per me passare il tempo con lui era sempre stato così
logico: mi bastava chiamarlo e chiedergli di incontrarci al bar,
oppure andare a casa sua.
Non
riuscivo a pensare che presto uno dei miei amici più cari, una
delle persone a cui volevo più bene, una delle presenze più
costanti nella mia vira, sarebbe volato a chilometri da noi. Senza di
lui non sarebbe più stato lo stesso.
Adoravo
quando si faceva prendere dall'ansia per qualsiasi cosa e toccava a
me tirarlo su di morale e tranquillizzarlo.
Adoravo
quando arrivava in ritardo e portava fuori l'ennesima scusa; noi gli
gridavamo contro, ma dopo qualche minuto era già tutto
dimenticato.
Adoravo
quando ci trovavamo in sala prove e lui creava delle linee di basso
dal niente, sorprendendo tutti e scatenando la nostra euforia.
Adoravo
quando parlava delle sue passioni per ore, riuscendo a far
appassionare anche me, mentre gli occhi gli brillavano.
Lo
adoravo come fosse mio fratello, gli avevo perdonato ogni singolo
sbaglio ed ero passata sopra a ogni suo difetto.
Per
la sua felicità sapevo che l'avrei dovuto lasciar andare,
meritava quel posto di lavoro. Ma ci soffrivo lo stesso, non ci
potevo far niente.
Il
fumo della sigaretta mi bruciava gli occhi. Mi convinsi che era solo
quella la causa di quel sospetto pizzicore.
Non
potevo piangere, non in quel momento.
“Jo.”
Mi
voltai di scatto: Noah mi osservava con negli occhi una malinconia
che non gli avevo mai visto prima.
“I
Souls rimarranno senza un bassista” mormorai in tono piatto.
Ma
cosa stavo dicendo? Quella era l'ultima cosa che mi importava in quel
momento.
“Troverete
un altro bravo musicista, ne sono sicuro!”
“Nessuno
è come te. Il nuovo bassista sarà solo un sostituto,
noi ti aspetteremo per sempre!” esclamai con passione.
Spensi
la sigaretta con calma, poi mi avvicinai al mio amico senza
distogliere lo sguardo dal suo. “Tu sai bene che siamo
felicissimi per te, vero? E sai anche che ci mancherai fottutamente?”
Lui
scosse la testa. “Anche voi mi mancherete. Ci ho pensato tanto
prima di accettare, sai?”
Sospirai
e lo abbracciai di slancio. “Diventerai il miglior tecnico
informatico del mondo. A New York formerai una nuova band e
diventerai famosissimo, e allora noi saremo gli ospiti d'onore
durante tutti i tuoi tour!”
Lui
rise. “Semmai il contrario!”
Sciogliemmo
l'abbraccio.
“Noah,
lo sai che non sono fatta per esprimermi a parole e a volte non te lo
dimostro nemmeno con i fatti: forse sono difettosa, ma purtroppo non
ci posso fare niente. Però sai che ti voglio un mondo di bene,
vero?” buttai fuori tutto d'un fiato.
“E
io sono ancora più riservato di te e non parlo mai di ciò
che provo, però sai che anche io ti voglio un mondo di bene,
vero?”
Ci
scambiammo un sorriso.
“Sarai
sempre uno dei Souls, fratello” dissi, mollandogli una pacca
sul braccio.
“Sempre
uno di voi, a prescindere dai chilometri che ci separano”
rispose lui con gli occhi lucidi.
Noah.
Melanie.
Noah.
Melanie.
Nel
mio cervello si alternavano questi due dilemmi mentre, sul sedile del
passeggero, fissavo la città che mi scorreva accanto senza
nemmeno vederla.
Mia
sorella intanto guidava verso casa di Melanie. In quel momento aveva
bisogno della nostra vicinanza e noi eravamo pronte a starle accanto.
La nostra amica era distrutta in quei giorni.
“Domani
lei e Sako andranno a...?” chiesi conferma a mia sorella.
“Sì,
domani.”
“Mi
dispiace anche per quel ragazzo. Povera Mel e povero Sako.” Mi
lasciai sfuggire un sospiro.
“Si
fanno forza a vicenda, sai? Quando si sono incontrati, qualche giorno
fa, mi sono parsi molto uniti e affiatati. È incredibile, ma
ho come l'impressione che questo enorme inconveniente li stia facendo
avvicinare parecchio” mi raccontò lei.
Mi
illuminai. “Davvero? Oddio, ti immagini se finissero per stare
insieme?”
“Mmh,
tu dici? La nostra Mel in una relazione fissa? Nah, non credo, non è
la tipa! Tutte le volte che ha detto di essere presa per un ragazzo,
non è mai durata più di un mese. Ha un carattere troppo
indipendente!” mi fece notare Ellie.
“Però
non sarebbero male, li shippo!” ammisi con una risata.
Mia
sorella mi imitò.
Dopo
qualche secondo di silenzio, decisi di condividere con lei un'idea
che mi frullava in testa da un paio di giorni: “Sai Ellie, ho
pensato a una cosa”.
“Cosa?”
si incuriosì subito.
“Jacob
ha un bel rapporto con Miles, quindi non sarò certo io a
impedirgli di invitarlo per il suo compleanno. Anzi, spero proprio
che lo inviti!”
Lei
si accigliò. “Perché? Oddio, cos'hai in mente?”
“Niente.
Davvero, stavolta niente! Sono solo curiosa: voglio sapere cos'ha
quell'idiota da dirmi. Di certo non accetterei di uscire con lui
apposta per questo, ma se capita l'occasione...”
Lei
ridacchiò. “Devo ammettere che anche io sono curiosa!”
“Lo
sapevo! Noi due siamo telepatiche, inutile negarlo!”
Ellie
si fece nuovamente seria. “Però promettimi una cosa:
stavolta non farai casino e non ti incazzerai a caso.”
“Promesso!
Stavolta vado in pace, voglio solo spassarmela un po' e capire in
cosa consistono queste grandi spiegazioni.”
Ed
ero sincera: mi ero seriamente stufata di litigare e innervosirmi per
questioni così poco importanti.
In
quel momento giungemmo di fronte a casa di Melanie e cercai di
concentrarmi su ciò che mi attendeva.
Misi
su un enorme sorriso, pronta a infondere coraggio alla mia amica.
♪ ♪ ♪
Eheheheheh
ragaaazzi... che ve ne pare? Io sono depressa T.T
Come
sarebbe a dire che Noah se ne va??? E adesso??? E i Souls???
DISPERIAMOCI INSIEMEEEEE!!!!!!!
A
parte questo, stavolta non ho tanto da dire; sono però molto
molto curiosa di sapere cosa ne pensate soprattutto della prima parte
del capitolo, quella tra Mel e Sako ^^
Ok,
vi lascio il tempo per metabolizzare e mi defilo, sperando che il
capitolo vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me scriverlo :3
E
grazie ancora a tutti voi che siete qui e continuate ad apprezzare le
mie folli idee!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** Before you know ***
ReggaeFamily
Before
you know
System
Of A Down - Spiders
♫
Sako ♫
Vedere
Melanie in quelle condizioni mi faceva male. Cercavo di restare
concentrato sulla strada che si srotolava davanti a me; se l'occhio
mi fosse caduto sulla ragazza accanto a me, sui suoi occhi gonfi e
cerchiati di rosso, sulla sua espressione sofferente, avrei potuto
frenare in mezzo al niente solo per stringerla a me e rassicurarla.
Non
piangeva più e io non sapevo se interpretarlo come un segno
positivo o negativo.
Quel
pomeriggio l'avevo accompagnata alla clinica e le ero stato accanto
mentre, in sala d'attesa, versava fiumi di lacrime e si accarezzava
il ventre, dando l'addio al suo bambino; io avevo provato il forte
desiderio di scappare, di rifugiarmi in un bar e bere fino a
dimenticare tutta quella faccenda, ma non potevo e non volevo
abbandonare Melanie.
L'avevano
chiamata e lei non si voleva alzare. Io la rassicuravo, le dicevo che
sarebbe andato tutto bene, le accarezzavo i capelli. Dopo circa un
minuto, Melanie si era asciugata le lacrime con il dorso della mano e
aveva detto: “Vado, tu aspettami qui. Non muoverti, ti prego”.
Ero
rimasto su quella sedia per un tempo interminabile, senza guardare né
il cellulare né l'orologio. Attendevo e basta. E fantasticavo:
mi immaginavo come sarebbe stato avere un figlio, cos'avrei potuto
fare insieme a lui, i regali che gli avrei potuto comprare per
Natale. Nel mio cervello cominciò a comporsi un film, talmente
preciso da sembrare reale: avrei fatto lunghe passeggiate con il
passeggino e avrei spiegato al piccolo ciò che lo circondava,
gli avrei fatto conoscere il mio lavoro e fatto provare vari
strumenti musicali, l'avrei portato in tour con me, l'avrei aiutato a
fare i compiti una volta cominciata la scuola, lo avrei aiutato a
capire le sue inclinazioni...
E
Melanie ci sarebbe stata? Certo, ci sarebbe stata eccome. Sarebbe
stata una madre fantastica, bella e dolce.
Forse
non mi rendevo conto di quanto stessi soffrendo.
Quando
la ragazza mi aveva raggiunto nuovamente in sala d'attesa, non
piangeva più. Era debole e stanca, ma si reggeva in piedi e
camminava con un coraggio e una dignità spiazzanti.
Da
allora aveva pronunciato solo tre parole: “Mi sento vuota”.
Ora
la stavo accompagnando a casa sua; la musica veniva sparata dalle
casse dell'auto perché Melanie aveva deciso così. Non
le piaceva il silenzio.
Una
volta giunti sotto il suo condominio, spensi il motore e mi
precipitai giù dalla macchina per aiutare Melanie a fare lo
stesso.
“Ehi,
non ti preoccupare, ce la faccio” mi rassicurò lei con
un mesto sorriso.
“Sei
molto debole” commentai preoccupato.
“Macché,
sto bene.”
“Ti
accompagno fino a su” decisi.
Lei
non rispose.
Il
palazzo in cui abitava si trovava in un quartiere modesto e
tranquillo; si trattava di una palazzina dalle pareti giallo
sbiadito, composta da appartamenti piccoli e anonimi.
Oltrepassammo
un portone grigio e ci trovammo in un minuscolo ingresso, sul quale
si affacciava soltanto una porta e una ripida rampa di scale. Ci misi
un po' ad abituarmi alla penombra; nel frattempo constatai che l'aria
là dentro era fredda e umida, e tutti i suoni rimbalzavano
sinistramente tra le pareti spoglie.
“Ovviamente
non si può sperare in un ascensore” borbottai alzando
gli occhi al cielo.
Melanie
ridacchiò. “Per l'affitto che pago, è già
tanto che ci sia il tetto.”
Quando
giungemmo al secondo piano, dove si trovava l'appartamento di
Melanie, notai che la ragazza era piuttosto affaticata e barcollava
leggermente. La sorressi mentre inseriva la chiave nella serratura e
apriva la porta d'ingresso.
“Vieni,
dai, ti offro qualcosa” mi invitò, facendomi strada nel
minuscolo ingresso – in realtà si trattava di un angolo
del piccolo soggiorno.
“Non
è il caso che ti lasci riposare?”
“Se
ti sto invitando, è perché mi fa piacere” ribatté
con un'alzata di spalle.
Nella
stanza faceva caldo, ma dalla finestra socchiusa filtrava un leggero
vento tiepido.
Melanie
mi fece accomodare sul piccolo divano in tessuto verde e mi domandò:
“Cosa ti porto? Acqua, birra, coca-cola, succo di frutta, tè
freddo...? Sono più fornita di un bar”.
Battei
sul cuscino morbido accanto a me. “Siediti.”
“Ma
non sono...”
“Siediti,
non ho bisogno di niente” ribadii, osservandola con attenzione.
I capelli neri e mossi erano stravolti e tenuti insieme da alcuni
fermagli colorati, mentre i suoi lineamenti marcati erano contratti e
deformati dalla stanchezza.
Dopo
qualche secondo di esitazione, si arrese e mi raggiunse sul divano
con un sospiro. Lasciò cadere la testa contro lo schienale,
poi parve ripensarci e si accoccolò accanto a me, posando il
capo sulla mia spalla.
La
strinsi a me. Non sapevo bene che dire; forse la cosa giusta era
stare in silenzio e rispettare il suo lutto. O avrei dovuto chiederle
come si sentiva? Non ci capivo più niente.
“Sako?”
“Dimmi.”
“Me
ne sto facendo una ragione.”
Rimasi
in silenzio ad assimilare quelle parole. Melanie lo diceva solo per
non farmi preoccupare o era sincera?
“Adesso
sto male e mi chiedo se quello che ho fatto sia la cosa giusta, però
non ho voglia di buttarmi giù. Il bambino – o
quell'entità che lo sarebbe diventato – ha smesso di
vivere, ma io no. E io voglio continuare a vivere: per me stessa, per
i miei amici, per te e per il figlio che verrà, quando sarà
il momento.”
Ero
basito. Non potevo credere che Melanie fosse già giunta a
quella conclusione, che si stesse già rialzando dopo quella
brutta caduta. Avrei tanto voluto avere la sua forza: più
pensavo a ciò che era successo quel pomeriggio, più mi
intristivo.
Riflettei
bene sulle parole da utilizzare; non ero mai stato particolarmente
bravo a parlare ed esprimermi. “Ma è bellissimo, Mel.
Cioè, è questo il modo giusto di pensare: farti forza
grazie al pensiero di chi ti circonda e di ciò che verrà.”
“Tu
come stai?” mi domandò lei. Cercò la mia mano con
la sua e la strinse.
“C'è
una domanda di riserva?” bofonchiai. La verità era che
non lo sapevo nemmeno io.
Lei
non rispose, si limitò a rafforzare la stretta sulla mia mano.
Trascorsero
all'incirca un paio di minuti in cui nessuno dei due osò
rompere il silenzio: si sentivano soltanto i nostri respiri leggeri,
i nostri cuori e i rumori ovattati della città.
“Sai
Sako, io non sono sempre stata così” disse a un certo
punto Melanie, sollevando appena il viso per potermi scrutare.
Inarcai
un sopracciglio. “In che senso?”
“Sei
pronto a sentire una storia non proprio allegra?”
Liberai
la mano dalla sua e feci scorrere le dita sul suo braccio con
delicatezza. “Se te la senti...”
Lei
si schiarì la gola.
I
miei genitori si sono separati quando avevo solo due anni; non erano
sposati e in realtà la loro relazione non era tanto seria. Mia
madre era mezzo pazza, le venivano certe idee bizzarre in testa e
allora doveva raggiungere i suoi obiettivi. In quel periodo si era
convinta di voler diventare un'attrice di teatro e trasferirsi in
Francia. Mio padre, molto più sedentario e abitudinario, non
aveva nessuna intenzione di assecondare il suo folle piano; così
quell'idiota partì da sola in cerca di fortuna, lasciandomi
senza una madre.
E
per questo poco male, non ci ho mai sofferto. Avrei preferito essere
orfana piuttosto che crescere con una disagiata del genere come
madre.
Mio
padre allora pensò bene di tornare assieme a me a casa di sua
madre, in modo che lei mi potesse crescere e lui se ne potesse lavare
le mani. Probabilmente mi voleva bene, ma era rimasto da solo nel
ruolo di genitore e non aveva la più pallida idea di cosa
fare, così decise di infischiarsene.
Essere
allevata da mia nonna è stato un incubo. Sosteneva di essere
una donna all'antica, ma per me era soltanto un mostro: mi obbligava
a seguire la sua rigida routine, mi abbaiava dietro in continuazione,
mi insultava e mi diceva che ero una poco di buono. Mi obbligava a
usare i vestiti che diceva lei: non troppo corti, non troppo
scollati, non troppo appariscenti... altrimenti sarei sembrata una
prostituta. Io ero ancora una bambina, cosa ne potevo sapere?
Quando
iniziò la scuola, fu un dramma. Dovevo prendere il massimo dei
voti in tutte le materie, studiare come una pazza anche quando stavo
male, e contemporaneamente aiutarla nelle faccende domestiche e nelle
commissioni. Non riuscivo mai a giocare con i miei amici, non potevo
uscire.
Ho
un ricordo tremendo legato a ciò. Quando avevo otto anni non
mi andava giù la matematica, prendevo giusto la sufficienza;
questo a lei non andava bene. Una volta non avevo capito un argomento
e non riuscivo a fare degli esercizi. Sai cosa fece lei? Mi tenne
seduta al tavolo con il quaderno davanti tutta la notte, fino
all'alba, poi mi obbligò ad andare a scuola il mattino
seguente. Le pagine del quaderno si erano riempite, sì, ma
solo delle mie lacrime.
Lei
continuava ad abbaiarmi contro ogni giorno senza pietà, mi
raccontava delle storie tremende per spaventarmi e dissuadermi dal
fare certe cose. E mio padre se ne infischiava: si era accorto che
qualcosa non andava, ma preferiva ignorare la situazione.
Più
crescevo, più le ossessioni di mia nonna aumentavano. Sapeva a
che ora passava il mio autobus per tornare a casa da scuola, sapeva
quanto tempo impiegavo per fare a piedi il tratto dalla fermata a
casa, e si era fatta il calcolo dell'orario entro cui dovevo tornare;
se tornavo un po' più tardi, mi urlava contro per tutta la
sera. Ho cercato di spiegarle tante volte che il bus era rimasto
bloccato in mezzo al traffico, ma non mi credeva. Mi diceva: “Chissà
cosa combini quando io non ti guardo! Sei una puttana!”.
E
io piangevo.
Una
volta accadde una cosa che mi traumatizzò. Avevo dodici anni e
vedevo sempre le mie amiche che, dopo la scuola, facevano un giro per
i negozietti dei dintorni o semplicemente si fermavano in gelateria
per fare merenda tutte assieme. Mi chiedevano ogni giorno di unirmi a
loro e io rifiutavo sempre perché sapevo di essere
cronometrata da quel mostro di mia nonna; ma un giorno, quando mi
dissero che nella piazza in cui si recavano sempre avevano allestito
delle bancarelle, decisi di trasgredire e accettai. Passeggiai con le
mie amiche per circa un'ora e mezza, mangiammo il gelato e spesi
tutti i soldi che avevo per comprare ciò che mi piaceva nelle
bancarelle e nei negozietti. Fu uno dei pomeriggi migliori della mia
vita.
Ma
quando rientrai a casa, l'entusiasmo lasciò il posto alla
paura. Mia nonna esplodeva di rabbia. Mi diede due schiaffi ben
assestati sul viso e mi disse: “Brutta troia, dimmi dove sei
stata! Con quanti ragazzi hai fatto sesso, eh? Sei una vergogna, una
vergogna! Spogliati!”.
E
io, tremante e con le lacrime agli occhi, la assecondai. Non avrei
dovuto, lo so.
Quel
mostro mi costrinse ad aprire le gambe perché voleva
controllare che fossi ancora vergine. E, mentre mi umiliava in quel
modo e io piangevo tutte le lacrime che non pensavo di avere,
continuava a insultarmi e mi diceva che ero una troia come mia madre.
Da
quel giorno divenni un'altra persona: anche quel briciolo di
ottimismo che possedevo si era dissolto nel nulla. Mi allontanai da
tutte le mie amiche, eseguivo ordini e basta, dalla mattina alla
sera. Non ho mai disubbidito a mia nonna, non mi sono mai ribellata e
ho fatto a testa bassa tutto quello che mi diceva, sperando di
soddisfarla e che mi lasciasse in pace; ma lei continuava a ripetermi
che ero cattiva, che sbagliavo tutto, che ero una vergogna e una poco
di buono. Mi diede anche della drogata una volta.
Poi,
quando avevo quattordici anni, accadde una cosa che non mi sarei mai
aspettata. Un giorno tornai da scuola e trovai mio padre seduto in
silenzio sulla poltrona, con lo sguardo perso nel vuoto. Disse:
“Stamattina nonna è morta”.
In
quel momento provai una gioia indescrivibile. Non dissi una parola:
mi chiusi in camera mia e per la prima volta piansi di felicità.
Di
sera la casa si riempì di parenti, vicini e persone care:
tutti addolorati, tutti inconsapevoli. Io rimasi rintanata in camera
mia e mi preparai: indossai l'abito più corto e scollato che
possedevo – comprato di nascosto –, delle scarpe dal
tacco vertiginoso che trovai in casa – forse erano di una
qualche zia –, mi truccai pesantemente e scappai. Volevo
godermi per la prima volta la mia libertà, fare tutte quelle
cose irresponsabili che facevano i miei coetanei. Quella sera volevo
essere davvero una puttana, una drogata e tutto quello che mi diceva
mia nonna, proprio per fare un dispetto a lei.
Raggiunsi
la discoteca dove i miei compagni andavano sempre a ballare e li
trovai quasi tutti lì. Erano allibiti, non mi riconoscevano
più. Non mi avevano mai visto così.
Quella
fu la sera delle prime volte: per la prima volta ballai fino all'alba
in discoteca, mi ubriacai per la prima volta, fumai per la prima
volta. E sì, feci anche sesso per la prima volta, per ben due
volte con due ragazzi diversi.
In
quel momento, in quel periodo della mia vita, era quello che volevo.
Smisi
di studiare, cominciai a uscire tutte le sere e mi immersi a
capofitto nella mia nuova e sregolata vita.
Solo
quando conobbi Ellie e Johanna, all'età di quindici anni, mi
diedi una calmata. Loro mi aiutarono molto in quel periodo, furono le
uniche che potessi davvero considerare amiche.
Ma
con i ragazzi la situazione non è cambiata: sono sempre
rimasta così, incostante e incoerente. Mi sono sempre voluta
divertire: le relazioni fisse non mi sono mai interessate, e le poche
volte che mi sono legata a un ragazzo mi sono stufata dopo un paio di
mesi. Mi sono imposta di vivere con leggerezza, perché per
anni è stato tutto fin troppo pesante.
Ero sconvolto e sconcertato.
Non potevo credere che quella ragazza così apparentemente
spensierata e allegra potesse aver vissuto un trauma del genere.
E non potevo credere che
esistessero degli esseri talmente infimi da maltrattare una bambina e
non accorgersi della sua sofferenza.
Osservai Melanie negli
occhi: non vi lessi rabbia o tristezza, ma semplicemente disgusto.
“Cazzo”
commentai. Mi sorpresi di essere ancora in grado di farlo.
“Non te l'ho
raccontato perché sono in cerca di conforto o di compassione,
okay? Ormai è passato.”
“Non è giusto.
Ma ci rendiamo conto di quello che hai vissuto per colpa sua?”
sbottai. Ero arrabbiato, avrei voluto poter prendere a schiaffi
quell'anziana donna – se così poteva essere considerata.
“Ehi, rilassati! È
vero, l'ho odiata e continuo a odiarla, ma ho ancora la possibilità
di riprendere in mano la mia vita e diventare quello che voglio e che
lei non mi avrebbe mai concesso. Invece lei no, si è dissolta
nel nulla e decomposta. Ciao, fine.” Melanie mi rivolse un
occhiolino e sorrise.
Vedere le sue labbra
distese, le fossette sulle guance e gli occhi leggermente socchiusi
mi scaldò il cuore. Neanche un paio d'ore prima era stata
privata di suo figlio e ora sorrideva dolcemente, sincera e positiva.
“Oddio, Mel, tu... sei
un mito. Sei incredibilmente forte e coraggiosa” mormorai.
“Se lo dici tu...”
borbottò in risposta, con le guance leggermente imporporate.
La scrutai per qualche
istante e passai le dita tra i suoi capelli, prima dietro l'orecchio
e poi sempre più giù, fino alle punte. Poi,
istintivamente, le posai un leggero bacio sulla fronte.
“Ehi!” esclamò
lei, gettandomi le braccia al collo. Si premette su di me; io le feci
posare la testa sul mio petto. Sentire il suo calore addosso era
confortante.
“Sento il battito del
tuo cuore” sussurrò dopo un po'.
Ridacchiai. “Ci
mancherebbe altro!”
Calò il silenzio. Io
continuavo a cullare e coccolare Melanie; non riuscivo proprio a
staccare le mani da lei, dai suoi capelli, dal viso e dalla sua
schiena.
Abbassai lo sguardo: si era
addormentata.
Non sapevo che mi stava
succedendo, non sapevo se fosse normale, ma ero felice di poter
vegliare sul suo sonno.
♫
Daron ♫
“Oh, cazzo, ma così
non è giusto! Che palle!” sbottò Shavo agitandosi
sulla sedia.
“Così si gioca
a scacchi, amico” ribatté John in tono pacato.
Io osservavo bassista e
batterista sfidarsi tra loro. Shavo aveva voluto imparare da quando i
ragazzi dei Souls avevano regalato a John una bellissima scacchiera
in legno lucido, incisa e decorata. Però il mio amico era
ancora piuttosto inesperto e si inalberava sempre quando l'altro lo
incastrava e riusciva a vincere.
Io lo osservavo in silenzio,
bicchiere di birra in mano e auricolare a un orecchio.
Serj e Sako erano spariti.
“Vaffanculo, hai vinto
anche questa volta!” esclamò Shavo in tono deluso,
spingendo indietro la sedia e mettendosi in piedi. Si stiracchiò
e mi si rivolse: “Daron, come va? Sei taciturno”.
Sbuffai, poi gettai
un'occhiata al display del mio cellulare. “Sono le otto e
mezza, andiamo?”
“Non hai risposto”
mi fece notare John mentre riponeva con cura al loro posto i pezzi
del gioco.
“I ragazzi ci stanno
aspettando al locale” insistetti.
Perché dovevo per
forza parlare di come mi sentivo, se non ne avevo voglia? Entrambi
sapevano bene cosa mi stava passando per la testa, perché lo
dovevo ripetere? Meglio non pensare al problema prima di trovarselo
di fronte.
Quel giorno non ero tanto in
vena di festeggiare, ma Jacob ci aveva invitato al GrinPub per
il suo compleanno e quello di Serj e noi ormai avevamo accettato, non
ci potevamo tirare indietro. Mi dispiaceva non essere al massimo
proprio in quella ricorrenza, in fondo il chitarrista era stato
carino a organizzare quella sorta di festicciola.
Lasciai John e Shavo che
parlottavano tra loro in soggiorno, uscii e scesi controvoglia le
scale che mi separavano dal cortile. Detestavo il fatto che la casa
del batterista fosse al primo piano e non ci fosse un ascensore; io
non ero abituato.
Serj e Sako fumavano e
parlavano tra loro appoggiati all'auto del cantante. Li raggiunsi e
battei un'amichevole pacca sul braccio del tecnico. “Ehi.”
“Ehi” rispose
Sako lanciandomi un'occhiata stralunata.
“Mi offrite da
fumare?”
“Ce lo stai chiedendo,
quindi la nostra non sarebbe un'offerta” precisò il
cantante in tono divertito.
“Amico, questa roba ha
un costo!” aggiunse Sako fintamente indignato.
“Per oggi sarete i
miei pusher. Vi siete per caso dimenticati delle mie innumerevoli
opere di carità?” li apostrofai, incrociando le braccia
al petto e mettendo su un'espressione da cerbiatto.
Serj sospirò e Sako
scoppiò a ridere fragorosamente.
Vedere il tecnico ridere e
scherzare mi fece sorridere. Si stava riprendendo da un brutto
periodo, ma ce la stava facendo alla grande e ormai era tornato a
essere il Sako allegro ed esuberante di un tempo. Certo, qualcosa in
lui era cambiato: nei suoi occhi si poteva leggere una maturità
che prima non possedeva, l'esperienza con Melanie lo aveva certamente
segnato. Ma era sempre lui, sempre mio fratello, e questo mi
rassicurava.
E poi io mi lamentavo della
mia situazione...
Fumai e riflettei finché
Shavo e John non sopraggiunsero, annunciando che erano pronti a
partire.
Salii nei sedili posteriori
della macchina del batterista, pervaso da una strana e sorda ansia;
per quanto cercassi di scacciarla, non riuscivo in nessun modo a
tenerla a bada.
Ormai il momento stava per
giungere e io non avrei potuto rimandarlo: stavo per rivedere Ellie.
Una volta giunti al GrinPub,
uscii dall'abitacolo con uno sbuffo. Ero agitato e sfogavo questa
sensazione nel modo più sbagliato: borbottando, lamentandomi,
sbuffando e facendo spazientire i miei amici. Fortuna che mi ero
trovato a viaggiare con John, una fonte inesauribile di calma e
razionalità.
“Ci siamo parcheggiati
troppo lontani. E poi nel locale c'è molta gente. E se ci
riconoscono? Io non ne ho voglia” brontolai.
John mi affiancò e mi
lanciò un'occhiata ammonitrice. “Stammi a sentire: ti
sei lamentato per quasi un'ora di fila e la mia pazienza ha un
limite. Potresti farmi il favore di chiudere il becco?”
“Grazie, molto
comprensivo. Ma vaffanculo” conclusi, poi mi avviai a passo di
marcia verso il locale; attraversai la strada nel tentativo di
seminarlo, senza badare troppo alle macchine che mi sfrecciavano
davanti e rischiavano di investirmi.
Non appena misi piede nel
locale, mi resi conto che quello di Jacob non era stato un invito per
gli amici più stretti: il tavolo del festeggiato, infatti, era
circondato da gente che non conoscevo.
Oh no.
“Daron!” strillò
Jacob non appena mi avvistò; cominciò a sbracciarsi per
attirare la mia attenzione e, inevitabilmente, tutti gli sguardi si
posarono su di me.
Detestavo tutto ciò.
Mi avviai al tavolo
strascicando i piedi a terra. Dietro di me comparvero anche gli altri
quattro e tutti li accolsero calorosamente.
Io evitai gli sguardi e i
saluti di tutti: mi scaraventai su una sedia e non rivolsi la parola
a nessuno. Feci gli auguri a Jacob solo quando si avvicinò a
me per chiedermi cosa volessi ordinare.
“Amico, sembri di
ritorno da un funerale!” commentò.
“Ho vissuto momenti
migliori” ammisi.
“Dai, non fare il
depresso! È la mia festa, il mio compleanno!”
Feci spallucce. “Cercherò
di fare il possibile.”
Trascorse una buona mezz'ora
in cui non mi mossi dal mio posto e scambiai solo qualche parola con
chi conoscevo già. Johanna venne a salutarmi e tentò
invano di tirarmi su di morale, poi ci si avvicinarono Melanie e Sako
e io ne approfittai per chiedere alla ragazza come stava.
Apparentemente sembrava essere tornato tutto alla normalità:
anche lei aveva ripreso a ridere, scherzare, cantare e ballare come
prima, come la cara vecchia Melanie che conoscevo. E non erano
passate neanche due settimane dal terribile avvenimento.
Invidiavo la sua forza.
Dal canto mio, non mi ero
neanche guardato attorno per cercare Ellie. Sapevo che avrei dovuto
farlo: in fondo le dovevo delle scuse e delle spiegazioni, non era
certo lei a dover elemosinare una conversazione con me. Ma non ce la
facevo, non sapevo che dirle e forse sarei stato troppo orgoglioso
per ammettere di aver sbagliato.
Ma, com'era prevedibile, non
potei evitare la ragazza per tutta la serata.
A un certo punto me la
ritrovai vicino, a un paio di metri di distanza. Mi dava quasi
completamente le spalle e conversava con Noah e altre persone che non
conoscevo. Non si voltò nemmeno per un secondo a guardarmi.
Io invece la scrutavo di
sottecchi. Osservavo il modo in cui il suo vestito verde di cotone
leggero scendeva lungo i suoi fianchi perfetti, evidenziando le sue
forme dolci. Osservavo la sua immancabile crocchia e il fermaglio con
le coccinelle che adornava i suoi capelli castano chiaro. Osservavo
la sua pelle chiara, leggermente più abbronzata del solito.
E d'un tratto mi ritrovai a
osservare il suo viso. Ecco: si era sentita il mio sguardo addosso e
si era voltata.
Mi si avvicinò con
calma e disinvoltura. “Ciao Daron.”
“Ciao... come va?”
buttai lì in tono indifferente.
“Tutto bene, grazie.
Mi accompagneresti fuori? Avrei bisogno di una boccata d'aria.”
Il suo tono non lasciava trapelare nessuna emozione.
“Proprio adesso?”
cercai di temporeggiare.
“Hai da fare in questo
momento?” ironizzò.
Mi alzai e la seguii verso
l'uscita, mentre lo stomaco cominciava a torcersi. Volevo fuggire.
Una volta all'esterno,
accesi una canna che avevo preparato qualche ora prima. Non dissi una
parola, non sapevo come cominciare una conversazione.
“Allora?” mi
interpellò la ragazza.
Guardai dritto di fronte a
me. “Allora... come te la passi in questi giorni?”
“Daron, non
tergiversare.”
“Non sto
tergiversando! Cosa ti devo dire? Cosa vuoi sapere?” sbottai.
“Ecco, appunto:
smettila di fare il finto tonto, sappiamo entrambi perché
siamo qui.”
Presi una boccata di fumo.
“Perché non hai risposto al mio messaggio?”
“Perché non mi
andava. Ce l'avevo con te – ancora adesso in realtà –
e non mi è piaciuto il tuo modo di scrivermi... come se non
fosse successo niente.” Risposta concisa e precisa. La ragazza
aveva le idee ben chiare, a differenza mia.
“Io... senti Ellie,
quel giorno alla festa... abbiamo sbagliato entrambi” me ne
uscii totalmente a caso. Non sapevo quel che dicevo, accampavo un
mucchio di frasi fatte.
“Cos'hai sbagliato?”
Sollevai lo sguardo su di
lei, esterrefatto. “Perché ho come l'impressione che tu
voglia farmi da psicologa? Che razza di domanda è?”
Lei scrollò le
spalle. “Se non ti va di rispondere, pace. Posso anche tornare
dentro.”
“No, aspetta, resta
qui! Okay, ho sbagliato... ad attaccarti sena motivo. In realtà
io sbotto spesso, cioè, cambio umore facilmente: un momento
sono allegro, dopo un secondo mi incazzo, dopo un altro secondo
divento appiccicoso... e penso che questa cosa ti abbia un po'
destabilizzato.”
Ma davvero sapevo tutte
queste cose di me stesso e di Ellie? Perché quei pensieri
stavano venendo fuori solo in quel momento? Mi sorpresi di me stesso.
“Ecco, visto? Quindi
tu sai benissimo quel che è successo, i tuoi errori, le mie
impressioni... Daron, tu hai capito tutto. Perché non hai mai
posto rimedio? Sii sincero: non ti interessa avere un bel rapporto
con me, o è semplice orgoglio?” mi incalzò ancora
la ragazza, stavolta in un tono più dolce.
Mi fissai le mani, il viso
in fiamme, scombussolato dal fatto che lei riuscisse a leggermi
dentro.
È
proprio la paura di sbagliare con te che mi porta a sbagliare ancora
di più.
“Orgoglio. Fottuto,
inutile orgoglio” ammisi.
“Anche io voglio
essere sincera. Ti rivelo una cosa: il tuo modo di fare mi ha sempre
spaventato e lasciato perplessa. Insomma, questo tuo cambiare umore,
il modo di fare invadente... non so come prenderti, Daron.”
All'improvviso mi riscossi.
Ero lì, insieme a Ellie, e lei mi stava dando la possibilità
di porre rimedio ai molteplici errori che avevo commesso. Tutto
dipendeva da quella conversazione: riconquistare un'amica e perderla
per sempre. Cosa volevo? Quanto tenevo a lei? Avrei potuto combattere
orgoglio e imbarazzo per salvare quel rapporto?
Buttai la mia stecca d'erba
a terra, sollevai lo sguardo e puntai i miei occhi in quelli di
Ellie. “Sai che ti dico? Mi sono stancato di me stesso. In
questi mesi sono riuscito a mostrarti solo la parte peggiore di me;
da oggi, 27 agosto 2011, mi impegnerò per farti conoscere la
migliore. Le cose positive in me sono molto poche rispetto alle
negative, emergono saltuariamente e durano per poco, ma ci sono.
Certo, magari non cambierò di punto in bianco, sarò
sempre il solito Daron, ma cercherò quantomeno di comportarmi
meglio con te. Ci stai?”
Da dove avessi pescato
quelle parole, proprio non ne avevo idea. Ancora meno riuscivo a
spiegare tutto il coraggio che avevo tirato fuori. Forse qualcosa era
scattato in me quando mi ero reso conto che rischiavo di allontanarla
per sempre.
Ellie sorrise – uno
dei sorrisi più belli che avessi mai visto – e mi tese
una mano. “Ricominciamo tutto da oggi, va bene.”
Gliela strinsi e ricambiai
il sorriso. Era come se avessimo suggellato un taciturno patto.
Ero al settimo cielo in quel
momento. Ma mentre rientravamo nel locale, un dubbio mi assalì
e mi rabbuiai di nuovo: sarei stato in grado di mantenere quella
promessa?
♫
Johanna ♫
“Sentiamo.”
Incrociai le braccia al petto e scrutai con fare critico il ragazzo
che mi stava di fronte.
Quando Ellie era rientrata
nel locale insieme a Daron, avevo trascinato lei e Miles in un angolo
appartato e tranquillo della sala. Ero troppo curiosa di sapere cosa
quell'idiota avesse da dirci, così l'avevo tenuto d'occhio
tutta la sera fino a trovare il momento giusto per catturarlo.
Mia sorella, accanto a me,
si torceva le dita in silenzio.
“Ragazze, per me non è
facile, potrete di sicuro capire che...” cominciò il
biondo, in difficoltà.
“Avanti, saltiamo le
cerimonie e arriviamo al dunque” lo interruppi.
Ellie mi diede di gomito.
“Lascialo parlare.”
“Dicevo...”
riprese lui, facendo vagare lo sguardo tra la gente che festeggiava
inconsapevole alle nostre spalle. “Questa è una cosa un
po' complicata per me, ma ve lo devo dire perché avete il
diritto di saperlo.”
Sbadigliai teatralmente e mi
sventolai una mano di fronte al viso con fare annoiato.
“Johanna” mi
rimproverò ancora la ragazza di fianco a me,
io mi stavo divertendo un
sacco!
Miles sembrava davvero a
disagio. “Ecco, Jo...”
“Johanna” lo
corressi.
“Johanna, sì...
devi credermi quando ti dico che non ci proverei mai con te e nemmeno
con Ellie, questo è semplicemente il mio modo di fare e...
insomma, negli anni ho cercato di correggermi ed essere meno
invadente, un po' ci sono riuscito ma ho ancora tanto da...”
“Non ci interessa la
tua storia, la tua infanzia eccetera” cercai di frenare quel
fiume di parole superfluo e noioso. “Voglio sapere solo una
cosa: c'è una ragione valida, una sola, per cui ti dovrei
credere?”
Miles deglutì a
fatica; aveva gli occhi sgranati e la fronte imperlata di sudore
nonostante l'aria fresca del locale. “S-sì... il fatto è
che... non mi piacciono le ragazze, sono gay.”
♪
♪ ♪
Ehilà!!!
Ultimamente
mi sto sbizzarrendo con capitoli pieni di colpi di scena, rivelazioni
shock e... momenti dolciosi ^^
Spero
che il capitolo, nonostante la sua lunghezza, non sia risultato
scarno! Ho deciso di inserire un bel po' di cose e di chiarire un po'
di questioni in sospeso!
Vi
annuncio che probabilmente questo è il penultimo capitolo
prima della partenza per il tour! Pubblicherò un altro
capitolo di assestamento e poi, se tutto va bene, i nostri eroi si
recheranno in Europaaaa!
E
CONOSCERANNO I MIEI AMATI DUB INC!!!! ♥
Ok,
la pianto ^^”
Ma
ditemi: cosa ne pensate del passato di Mel? Del rapporto tra lei e
Sako? Del chiarimento tra Ellie e Daron? E avevate sospettato che
Miles avesse “altri gusti”? :P
Sono
curiosa di sapere il vostro parere!!! :3
Grazie
a tutti voi che ancora siete qui a sostenermi, spero che la storia
continui a piacervi e appassionarvi ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 31 *** We need to laugh and sing and cry ***
ReggaeFamily
We
need to laugh and sing and cry
Serj
Tankian - Saving Us
♫
Johanna ♫
Scoppiai
a ridere senza ritegno.
Miles
era atterrito, terrorizzato, e aveva gli occhi sgranati. “Che
c'è adesso? Cosa ti fa ridere?”
“E
io ti dovrei credere?” sbottai, cercando di contenere una nuova
ondata di risate.
“Johanna,
dacci un taglio. Miles può anche non andarti a genio, ma così
gli stai mancando di rispetto e passi in ogni caso dalla parte del
torto” mi ammonì Ellie, che stava cominciando ad
alterarsi.
Lei
non sembrava poi tanto sorpresa da quella notizia. Che lo sapesse
già? O magari aveva avuto dei sospetti?
Comunque
cercai di darmi una calmata perché mia sorella aveva ragione:
se Miles non mentiva, non meritava di essere umiliato in quel modo.
In fondo non aveva mai fatto nulla di troppo cattivo, semplicemente
non mi andava a genio e aveva degli atteggiamenti invadenti.
Miles
intanto ci guardava confuso e imbarazzato.
Decisi
di tacere e lasciare la parola a Ellie. Lei infatti prese un bel
respiro, poi disse: “Miles, sei stato molto coraggioso a
volercelo rivelare. Per alcune persone è facile ammettere la
propria omosessualità, per altri è più
difficile. E io ti credo, perché tu mi hai dato dei motivi per
crederti: in ciò che fai, nel modo che hai di starmi vicino o
di scrivermi, non c'è alcuna malizia. Ho sempre saputo che non
avevi secondi fini con me, e questa ne è stata la conferma”.
“Se
non ci credete – se Johanna non ci crede – vi posso
fornire altre mille prove. Ho anche... cioè... ho avuto un
ragazzo in passato... ma era una relazione segreta, io... mi
vergognavo, non mi accettavo...” continuava a farfugliare lui,
le guance ormai divenute rosso fuoco.
“Non
ti devi mai vergognare di ciò che sei! E se qualcun altro non
ti accetta, è un problema suo!” esclamò mia
sorella, quasi indignata.
“Lo
so, ma è difficile. Jo, tu...” mi si rivolse nuovamente
Miles.
“Johanna”
lo corressi con uno sbuffo. “Il fatto che tu sia gay non cambia
l'opinione che ho di te: magari non ci proverai con noi, ma non mi
stai comunque simpatico.”
“Okay,
messaggio ricevuto. Volevo solo sapere il tuo punto di vista e me
l'hai chiarito. Perfetto, cioè... okay. Mi premeva solo
spiegarvi questa cosa, non sopportavo che voi aveste un'impressione
sbagliata di me. Poi l'antipatia non si può cambiare o
eliminare a nostro piacimento, quindi l'accetto.” Accennò
un sorriso, nonostante i suoi occhi non ridessero affatto.
“Bene,
allora abbiamo finito” constatai. “Comunque grazie per
essere stato sincero con noi” conclusi poi. In fondo non mi
andava di essere cattiva con lui, era giusto riconoscere i suoi gesti
apprezzabili.
Tornammo
in mezzo alla calca di invitati e io mi imposi di non pensare più
a quella faccenda; però non potevo negare che quella
rivelazione mi aveva scioccato.
“Ellie?”
sussurrai all'orecchio di mia sorella.
“Sì?”
“Tu
te l'aspettavi?”
“A
essere sincera, sì.”
“Io
per niente” ammisi.
Mentre
mi avvicinavo al tavolo in cui stazionavano John, Shavo e qualche
altro invitato, l'occhio mi cadde su Jacob e Daron che scherzavano.
“Malakian
è tornato di buonumore, eh?” commentai maliziosa,
alludendo alla chiacchierata che lui ed Ellie si erano fatti qualche
minuto prima fuori dal locale. Mia sorella non aveva potuto
raccontarmi niente, ma qualcosa mi diceva che era andato tutto bene.
“Abbiamo
chiarito e fatto pace. Lui mi ha promesso che cambierà
atteggiamento nei miei confronti” raccontò lei,
giocherellando col suo ciondolo a forma di microfono.
“Oh,
che dolce! Daron in fondo è tenero, bisogna solo sapere come
prenderlo!” commentai in brodo di giuggiole.
“Ma
che cazzo vuol dire?” strillò Shavo a qualche metro da
noi, attirando l'attenzione di tutti. Si era alzato di fronte al
tavolino e fissava Noah con espressione incredula.
“Ecco,
l'ha scoperto” mormorai, per poi battermi una mano sulla
fronte.
“Shavo,
calmati” John cercò di tranquillizzare il bassista,
posandogli una mano sul braccio.
“Ma
come sarebbe a dire che te ne vai? Stai scherzando?!” sbottò
ancora Shavo.
“È
stata una scelta difficile, ma...” Noah fece spallucce.
“Okay.
New York non è così lontana: verremo a trovarti almeno
due volte al mese, così non ti sentirai solo!” affermò
l'altro in tono solenne.
Noah
scoppiò a ridere e gli mollò una pacca sulla spalla.
“Grazie fratello, non so come farei senza di te! Ma veramente,
non c'è bisogno che facciate la spola da lì a Los
Angeles solo per me!”
Io
intanto avevo gli occhi a cuoricino. Shavo, come sempre, trasudava
dolcezza a ogni gesto, a ogni parola, a ogni sguardo. Era un mito.
Io
ed Ellie ci scambiammo un'occhiata complice, poi ci avvicinammo al
bassista e lo avvolgemmo in un abbraccio colmo d'affetto.
♫
Sako ♫
Settembre
scorreva in fretta e la nostra partenza si avvicinava sempre più:
avevamo un volo per l'Europa prenotato per il 7 ottobre.
Amavo
andare in tour con i System, e la presenza dei Souls avrebbe reso il
tutto ancora più piacevole e spassoso; ma quella volta le cose
erano diverse. A Los Angeles c'era Melanie, che ancora non si era
ripresa del tutto, e io non mi sentivo di lasciarla da sola.
“Sako,
smettila di rompere! Io sto benissimo e tu devi andare a lavorare!”
protestava sempre lei.
Non
fece eccezione nemmeno quella sera, quando andai a prenderla al
ristorante in cui lavorava: non era lontano da casa mia, così
spesso le facevo quel favore per risparmiare la lunga attesa alla
fermata del bus. Finiva sempre verso mezzanotte, ma per me non era un
problema, abituato com'ero a star sveglio fino a tardi.
Aggrottai
lo sopracciglia. “Tu dici così solo perché non
vuoi che mi preoccupi.”
Lei
non mi guardava, era intenta a rimirarsi nello specchietto di
cortesia mentre si sistemava l'acconciatura sfatta. “Siamo
amici, perché non te lo dovrei dire, se fosse vero? E poi non
sono brava a mentire, te ne accorgeresti subito! Ho tanti amici qui,
mi staranno tutti vicino e supererò alla grande le settimane
senza te e le gemelle!”
Siamo
amici. Forse lei la pensava
così, ma per me era ben diverso. Da quando avevo iniziato a
frequentarla abitualmente, Melanie mi aveva rubato il cuore: era
dolce, carina, simpatica, divertente, forte... e poi aveva un viso e
un corpo così belli! Amavo la sua pelle bruna, i suoi capelli
morbidi e mossi che le accarezzavano la schiena, le sue forme
generose e dolci allo stesso tempo, i lineamenti del viso marcati,
gli occhi grandi e le labbra piene. Era divina.
Assurdo: com'era possibile
che uno spirito libero come me si innamorasse così tanto di
una ragazza? Eppure era successo, e io ero disposto a dare anche la
mia vita pur di vedere Melanie felice.
Sentivo di star sbagliando
tutto. Lei era in un momento molto difficile e, in ogni caso, non
avrebbe mai accettato di stare con me. Avrei dovuto starle lontano
per evitare che i miei sentimenti nei suoi confronti si evolvessero
fino a diventare palesi, ma ogni volta che mi si presentava
l'occasione correvo da lei.
La sua presenza era come una
droga per me, non sapevo quanto avrei resistito prima di compiere un
gesto azzardato.
“Sako? Ci sei?”
Mi riscossi all'improvviso.
“Eh? Sì? Cosa?”
“Come mai non sei
ancora partito?”
Che coglione! Da un paio di
minuti eravamo rinchiusi in macchina, nel parcheggio fuori dal
ristorante, e io non avevo ancora messo in moto.
“Ah, oddio, sì.
Mi ero perso nei miei pensieri” bofonchiai, ponendo subito
rimedio.
“A che pensavi?”
“Mah, nulla di che.
Devo preparare la valigia per ottobre” buttai lì.
Trascorremmo il viaggio
senza fiatare: ogni tanto Melanie canticchiava le canzoni dei Linkin
Park che si susseguivano nella mia autoradio. Da quando la andavo a
prendere dopo il lavoro, lei aveva monopolizzato il telecomando
dell'autoradio e da allora si sentivano solo i Linkin Park. Avrei
vomitato sulle scarpe di Chester non appena l'avessi rivisto, ne
avevo fin sopra i capelli.
“Perché
non mi porti a bere un drink? Stanotte non
sono stanca” propose Melanie mentre passavamo di fronte a una
sfilza di piccoli e graziosi bar.
“Niente sbronza, mi
raccomando” acconsentii, infilandomi nel primo parcheggio che
trovai libero.
“Macché, solo
una birra o qualcosa di leggero. Domani devo pur sempre lavorare!”
Scendemmo dall'abitacolo e
ci recammo all'interno di un bar in stile anni Cinquanta, molto
carino e accogliente. Subito iniziammo a commentare ciò che ci
circondava e a sghignazzare, a volte con un motivo e a volte senza.
Io mi divertivo a prendere in giro Melanie perché sbagliava
sempre i nomi dei cocktail scritti nel menu; così anche io
afferravo il cartoncino con la lista e storpiavo i nomi a caso.
Circa un'ora e due birre più
tardi, ridevamo talmente tanto senza motivo che non riuscivamo ad
alzarci dalle sedie.
“Sei un coglione,
Sako! E ora io dovrei tornare a casa con te? Non sei un autista
affidabile!” mi prese in giro tra le risate.
“Prego, vai pure a
piedi” ribattei, facendomi serio. Ovviamente la mia espressione
corrucciata non durò nemmeno mezzo secondo: scoppiammo
nuovamente a ridere come due pazzi.
Certo che ci bastava poco
per divertirci.
Riaccompagnai Melanie a casa
sua verso le due. Come sempre, scesi anch'io dall'auto e la scortai
fino alla porta.
“Se
vuoi ti faccio compagnia fino alla porta di casa”
mi offrii mentre lei infilava la chiave nella serratura.
“No, non ti
preoccupare. Vai, è tardi e devi ancora preparare la valigia.”
Scoppiammo di nuovo a ridere
nel silenzio della notte, facendo un casino assurdo.
“Ma se devo partire
tra tre settimane!” le feci notare.
“Sei stato tu a
dirlo!” replicò lei senza smettere di ridacchiare. “Uff,
stanotte mi sto proprio divertendo. Non mi va di rimanere da sola”
mormorò poi con sguardo deluso.
“Dai Mel, è
tardi e devi riposare. Domani entro dalla finestra e ti porto la
colazione a letto, okay?” cercai di tirarla su nel modo che mi
veniva più spontaneo, ovvero portare fuori qualche fesseria.
“Sei un dolce
cucciolo!” pigolò lei con un sorriso riconoscente, poi m
strinse in un abbraccio.
Oddio, no. Averla così
vicina me la faceva desiderare ancora di più e non potevo
permettere che lei se ne accorgesse. Cercai di mantenere una certa
distanza di sicurezza tra noi, ma stavo letteralmente impazzendo. Il
profumo di Melanie mi inebriava, così come il calore che la
sua pelle emanava.
Dovevo fermare tutto ciò.
Sciolsi l'abbraccio e la
osservai con fare desolato.
“Oggi sei strano”
affermò lei.
Non
aveva tutti i torti. Io e lei eravamo abituati a coccolarci a
vicenda: ritraendomi così, non avevo fatto altro che
peggiorare la situazione e farla sospettare
ancora di più.
Cazzo, che situazione.
Dovevo uscirne subito.
“Scusami, oggi sono un
po' stanco.” La più banale delle scuse banali,
utilizzata nelle più banali situazioni dei più banali
film romantici da quattro soldi. Perfetto.
Melanie mi osservò
assorta per qualche secondo, le labbra leggermente schiuse. Quelle
labbra tinte di rosso ciliegia, così piene e invitanti...
La attirai a me e,
completamente fuori controllo, azzerai la distanza tra i nostri
volti.
Stavo
sbagliando tutto!
Ma, contro ogni mia
aspettativa, Melanie non mi respinse: ricambiò il bacio con
passione e trasporto, accogliendomi tra le sue braccia come se non
avesse aspettato altro.
Affondai le mani tra i suoi
capelli e feci scorrere le dita verso il basso, fino ad arrivare alle
punte. La sentii rabbrividire appena.
Poi Melanie lasciò
andare le mie labbra e, senza sciogliere l'abbraccio, posò il
mento sulla mia spalla.
“Melanie, cos'abbiamo
combinato?” riuscii ad articolare dopo qualche secondo. Ero
completamente sconvolto: la mia mente mi suggeriva di darmela a
gambe, mentre il mio corpo in fiamme mi supplicava di stare ancora
più vicino a lei.
“Non lo so, però
va bene. Ora vai, si è fatto davvero tardi” affermò
lei dolcemente, scostandosi da me.
Sul volto aveva dipinta
un'espressione serena e beata.
“Senti, io... lo so
che ho sbagliato, ma...” cominciai a balbettare; mi sentivo in
dovere di scusarmi con lei.
“Dai tesoro, vai a
dormire. Domani, quando sfonderai la finestra di casa mia per
portarmi la colazione a letto, ne parleremo!”
Scoppiammo di nuovo a
ridere.
Quando la vidi chiudersi il
portone alle spalle, il freddo della notte mi piovve addosso
all'improvviso. Perché era tutto già finito?
E io ero solo, eccitato e
con un uragano nella testa.
Rientrai in macchina e mi
scaraventai sul sedile del passeggero, dove in genere prendeva posto
Melanie. Cercai di ispirare il suo profumo, lo cercai in ogni angolo.
Avevo una voglia matta di
precipitarmi a quel portone, suonare finché Melanie non mi
avesse aperto, stringerla tra le braccia e baciarla fino a toglierle
il respiro, farla sentire amata come nessuno aveva mai fatto prima.
Però sapevo che ciò non era possibile, che era tutto
sbagliato e non mi potevo legare a lei.
Afferrai il cellulare e
cercai un numero nella rubrica, poi feci partire la chiamata e
attesi.
“Sako?” borbottò
la voce di Daron, incredula.
“Oh, meno male che sei
sveglio!”
“Avevi qualche
dubbio?”
“Prepara una canna e
riempi il bicchiere con qualcosa di forte: sto arrivando.”
♫
Jacob ♫
Io e Noah ce ne stavamo su
uno scoglio, a fumare una sigaretta dietro l'altra e a osservare lo
splendido tramonto arancione di fronte a noi. Non avevamo bisogno di
parlare: ci conoscevamo da anni, eravamo come fratelli e riuscivamo a
comunicare anche stando in silenzio.
“Mi mancherà
tutto ciò. Los Angeles non sarà un luogo paradisiaco,
però a New York non vedrò mai un tramonto del genere”
commentò Noah in tono malinconico.
“Non è l'ultima
volta che lo vedi. Ti porterò in spiaggia a quest'ora ogni
giorno, quando verrai a trovarci” gli promisi.
“Grazie.”
Rimasi un secondo in
silenzio, in cerca di qualcosa che potesse tirare su il mio amico.
L'unica cosa che mi venne in mente fu: “Il video di Leave
And Go è stato pubblicato solo da tre settimane e ha già
più di trentamila visualizzazioni”.
“Davvero? Oddio, ma
davvero le nostre facce da idioti sono state viste così tante
volte?” commentò lui in tono divertito.
“Sì, tutte
critiche positive! Ci stanno sommergendo di complimenti, recensioni
entusiaste, e la nostra pagina sta ottenendo un sacco di likes; molto
del merito va a Shavo, che ha condiviso il video sulla sua pagina
facebook!”
Mentre parlavo, ne ero
sicuro, mi brillavano gli occhi. Parlare dei Souls e del successo che
stavamo avendo mi emozionava sempre tanto: non era l'essere in
vetrina che mi rendeva euforico, ma il fatto che riuscissimo a
trasmettere emozioni e messaggi importanti ai nostri ascoltatori.
“Bel lavoro, eh?”
disse Noah.
“Io ho sempre avuto un
rapporto molto intimo con la musica: fin da quando ero piccolo, ho
sempre considerato ogni brano come un'ancora di salvezza, in grado di
rassicurarmi o condividere le mie stesse emozioni. E da piccolo
pensavo: wow, sarebbe una figata se un giorno anche le mie canzoni
diventassero una casa per chi le sente. Vorrei creare per loro
qualcosa che li faccia star bene, a cui appigliarsi nei momenti in
cui nulla sembra andare per il verso giusto. E ora – forse –
ci stiamo riuscendo... e per me non c'è niente di più
bello e dannatamente soddisfacente.”
Solo in compagnia di Noah e
pochi altri amici riuscivo a lasciarmi andare così.
“Saremo la voce che
sussurrerà «va tutto bene» ai nostri fans”
riassunse Noah.
Mi limitai a sorridere.
“Come farete quando
partirò? Chi sarà il bassista dei Souls?”
Incrociai gli occhi scuri di
Noah: erano terribilmente tristi. Ancora non aveva accettato –
neanche noi l'avevamo fatto – che non sarebbe più stato
parte della band.
“E se organizzassimo
delle audizioni? Appena torniamo dall'Europa pubblichiamo un
annuncio, e potremmo presenziare tutti e quattro nel ruolo di
giudici! Sai, tipo XFactor! Cosa ne pensi? Ci divertiremo un casino!”
me ne uscii, davvero soddisfatto della mia idea.
“Oddio, sarebbe una
figata! Va bene, accetto!” si illuminò subito Noah.
“Eh... grazie Jake, sei un fratello. Come farei senza di te?”
concluse infine.
Ci scambiammo un abbraccio
fraterno con tanto di pacche sulla schiena, in bilico su uno scoglio,
mentre il sole si nascondeva dietro l'orizzonte e lasciava il posto
al freddo della notte.
Quando mi sarebbe mancato,
Noah...
♫
Hakim ♫
“Però a me sta
venendo l'ansia” borbottò Jérémie in tono
piatto.
“A vederti così,
non si direbbe” commentai con un sorriso divertito.
“E secondo voi chi va
a prenderli all'aeroporto?” domandò Frédéric.
Il tastierista non faceva che agitarsi e straparlare.
“Se vuoi andare a
prenderli tu... ma secondo me ti scambiano per un barbone” lo
punzecchiò Idir.
“Vaffanculo, sempre il
solito!”
“Datevi una calmata,
mancano ancora quattro giorni al loro arrivo” cercai di
riportare la calma io.
Eravamo di ritorno dalla
Germania, in cui avevamo tenuto due date tra gli ultimi giorni di
settembre e i primi di ottobre. Durante il viaggio i miei colleghi di
band non avevano fatto altro che parlare dell'imminente concerto in
cui avremmo aperto per i System Of A Down. Mi innervosivano, non
perché non fossi contento, ma era inutile parlarne
ininterrottamente per giorni e giorni.
“E se organizzassimo
per loro una sorpresa? Voglio accoglierli col botto!” se ne
uscì Moritz.
Mi battei una mano sulla
fronte: c'era sempre da aver paure per le idee malsane del bassista.
“Potremmo fare
un'acoustic session del tutto a caso in cui suoniamo le canzoni dei
System!” lo assecondò subito Frédéric.
“Ma che cazzo avete
bevuto oggi? Vi rendete conto di cosa avete appena proposto?”
si rivoltò Grégory a quel punto.
“Fatemi capire: mi
dovrei mettere a cantare Chop Suey? Sono confuso: non eravamo
un gruppo reggae? Vabbè, okay, nel caso io ci sto”
commentò Aurélien.
Io non riuscivo a smettere
di ridere. Povero me, mi trovavo in una gabbia di matti!
“Hakim, tu te la senti
di cantare Lonely Day?” mi si rivolse Moritz, già
armato di penna e taccuino per annotare la scaletta dell'acoustic
session.
“Stai scherzando,
vero?” MI dovetti asciugare le lacrime che mi erano spuntate
per le troppe risa.
“E dai, Hakim, è
una bella idea!” intervenne Idir in tono ironico.
“Solo perché tu
sei un tastierista e nei brani acustici rimani a girarti i pollici”
precisò Jérémie, che intanto era accigliato e
dubbioso.
“Se vuoi suono lo
xilofono, giusto per far vedere che non sono il manager”
ribatté l'altro.
“Hakim, dai, ti faccio
i cori!” si offrii Frédéric.
“Allora, abbiamo
deciso le canzoni!” esclamò Moritz, sovrastando tutti e
agitando in aria il suo taccuino.
Aggrottai le sopracciglia.
“Chi le ha decise?”
“Io! Cosa ne pensate
di Chop Suey!, Lonely Day e Aerials?”
Io ero sempre più
scettico. “Perché mi state incastrando in una situazione
surreale come questa?”
“Ma fatti una risata:
ci divertiamo noi e divertiamo anche i ragazzi dei System!”
tentò ancora di convincermi il bassista.
Mi sciolsi in un sorriso. “E
va bene, ci sto! Tanto prima o poi dovremo suonare di fronte a loro.”
Tutti mi applaudirono.
“Oddio, ma io non
dicevo sul serio!” mormorò Aurélien, in
difficoltà. Lui e Grégory non facevano che lanciarsi
occhiate disperate e incredule.
Ma ormai era fatta, il
nostro destino era deciso.
E così trascorreva il
nostro viaggio di ritorno verso Saint-Étienne, all'interno del
vagone deserto di un treno qualunque.
Nessuno, vedendoci in quel
momento, avrebbe mai pensato che appena qualche giorno dopo saremmo
saliti sul palco insieme a una delle metal band più famose al
mondo.
♪
♪ ♪
Ragazzi,
SCUSATE SCUSATE SCUSATE se non ho più aggiornato, ma non avevo
il pc! Lo so, vi avevo promesso un nuovo capitolo più di due
settimane fa, ma non sono proprio riuscita a postarlo prima! Ed è
stato snervante, perché ce l'avevo pronto da un sacco di tempo
e non vedevo l'ora di farvelo leggere!
E
siamo giunti anche alla fine di questo capitolo! Ok, ammetto che
questo non è poi così ricco di avvenimenti, ma ci
voleva un po' di assestamento prima della partenza dei ragazzi! Eh
sì, nei prossimi aggiornamenti ci sarà la partenza,
FINALMENTE *-*
Aspetta...
in realtà anche stavolta sono successe un bel po' di cose! Che
ne pensate del bacio tra Sako e Mel e dei suoi sentimenti per lei? Vi
piace l'idea delle audizioni per il nuovo bassista dei Souls? E che
ve ne pare di questo mini concerto acustico che i Dub Inc stanno
organizzando per l'arrivo dei System? Eh già, stavolta ho
deciso di dare uno sguardo anche alla Francia, per vedere come se la
passano gli altri miei ragazzi in attesa del grande evento!
Spendo
anche due parole per la canzone: è semplicemente BELLISSIMA,
io la adoro e ho aspettato un capitolo dolce e pieno d'emozioni per
utilizzarla! E credo che il titolo ci stia a pennello: i ragazzi
hanno bisogno di ridere e cantare e piangere, ognino a modo suo,
ognuno guidato da diverse sensazioni.
Spero
che anche questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio ancora una
volta per il supporto costante :3
Alla
prossima!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 32 *** Always changing ***
ReggaeFamily
NOTA IMPORTANTE:
nello scorso capitolo, nel POV Sako, era presente un'imprecisione che
modificherò non appena il sito si deciderà a
collaborare (ho un piccolo problema nel sostituire i documenti html,
ma ho già scritto all'amministrazione e spero di risolvere
presto).
Ho
detto che Sako sarebbe dovuto partire in tour il 7 ottobre con i
System e i Souls e si sarebbe recato in Europa; in realtà,
prima delle tappe nel Vecchio Continente, hanno affrontato un
minitour in Sud America. La prima data è stata il 28 settembre
2011 a Città del Messico, quindi ho supposto che i ragazzi
avessero lasciato Los Angeles il giorno prima, il 27.
Sako,
Serj, Shavo, Daron e John staranno lontani dai Souls una decina di
giorni prima del tour.
Queste
date sudamericane, ovviamente, esistono davvero, a differenza di
quelle europee.
Ho
voluto chiarire prima la cosa perché avevo paura potesse
creare confusione. Se avete notato altre incongruenze di questo tipo
nei capitoli precedenti, fatemi pure sapere e provvederò a
correggerle!
Grazie
a chiunque leggerà questo capitolo e, soprattutto, ai miei
sostenitori abituali, che mi danno la forza di andare avanti e non
gettare la spugna anche nei momenti di dubbio e insicurezza *-*
Always
changing
Daron
Malakian & Scars On Broadway - Never Forget
♫
Ellie ♫
“E
con questo click, il nostro album sarà online anche su
Spotify!” annunciò Noah in tono solenne, la mano ben
salda sul mouse grigio.
“Schiaccia
quel fottuto tasto, fratello!” esclamò Jacob,
saltellando da un piede all'altro in preda all'entusiasmo.
“Oddio,
che ansia!” borbottò mia sorella, poggiando i gomiti sul
piano in legno della scrivania e sporgendosi verso il monitor del
computer.
Io
tacevo e mi limitavo a torcere tra le dita il mio foulard azzurro,
abbandonato sulla mia spalla, fissando la scritta The Soul of
Souls sul display luminoso.
Quello era il nome della nostra prima fatica discografica, undici
tracce in cui avevamo messo tutto il nostro impegno. Undici brani in
cui avevano preso forma i miei testi, in cui la mia voce era stata
impressa.
Undici canzoni che sarebbero
state disponibili sul web per sette miliardi di persone. E sarebbero
state il nostro biglietto da visita, avrebbero fatto la differenza
tra una band di quartiere e un gruppo musicale affermato. Di quale
delle due categorie avremmo fatto parte? Solo il tempo ce l'avrebbe
saputo dire.
Noah rivolse uno sguardo a
tutti in cerca di conferma. “Siete pronti?”
“Vai” dissi con
sicurezza, guardando dritto di fronte a me.
Click.
“Porca puttana, porca
puttana!” strillò Jacob, sventolando in aria la sua
copia di The Soul of Souls. Si lasciò sfuggire un grido
di gioia, poi venne ad abbracciarci uno a uno.
“Ecco a te.” Con
un enorme sorriso sulle labbra, porsi la custodia di plastica a
Melanie e lei la afferrò con cura, poi la aprì e si
illuminò.
“Ci sono anche i
vostri autografi!” osservò meravigliata.
“Ma certo!”
esclamò Johanna.
“Ragazze, non vedo
l'ora di ascoltarlo! Già ho imparato a memoria i primi due
singoli, ora posso andare in fissa con nove canzoni nuove!”
cinguettò la nostra amica con un enorme sorriso sulle labbra.
“Saprò a chi
chiedere se mi dimenticherò i testi” commentai con
un'alzata di spalle.
“Sarebbe bello venire
in tour con voi e suggerirteli” disse, rabbuiandosi appena.
Sapevo che
quell'affermazione era vera per metà: Melanie sarebbe voluta
venire in Europa con noi anche per poter stare con Sako. I ragazzi
erano partiti per il Sud America da una manciata di giorni e io non
avevo ancora avuto occasione di parlare con la mia amica, ma già
aveva accennato a me e Johanna che aveva parecchio da raccontarci.
“Ti chiamerò
ogni volta prima di salire sul palco per ripassare.” Le regalai
un occhiolino e contemporaneamente le diedi un piccolo calcio colmo
di significato.
Lei strizzò l'occhio
a sua volta con fare complice.
“Avete deciso cosa
ordinare?” ci chiese Jacob, giungendo alle mie spalle e posando
il gomito sullo schienale della mia sedia.
In realtà non avevo
neanche dato uno sguardo alle opzioni possibili. Decisi quindi di
farmi consigliare dal chitarrista e da Melanie, che mangiavano al
McDonald's molto più spesso di me e conoscevano il menu a
memoria. Optai per una porzione di patatine, una Coca Cola e un
panino con fishburger e un'infinità di altri ingredienti.
“Mi offro per farvi da
cameriere!” affermò Jacob, sventolando davanti ai nostri
occhi un bigliettino con le ordinazioni di tutta la tavolata.
“Ti do una mano,
tesoro!” strillò Roxanne, comparendo al suo fianco e
posandogli la mano su un fianco.
Ridacchiai sotto i baffi e
ringraziai i due volontari, poi rivolsi il mio sguardo altrove: Noah
e Kate, seduti alla sinistra di mia sorella, conversavano con
Anthony, il cugino texano di Jacob che aveva deciso di trascorrere
una settimana a Los Angeles ed era quindi stato coinvolto nella
nostra cena di festeggiamento per l'uscita del disco. Quel ragazzetto
dal viso tondo doveva avere al massimo diciannove anni, ma
evidentemente era dotato della stessa esuberanza del cugino, perché
non aveva smesso di parlare e ridere un attimo.
Noah in realtà teneva
un occhio sempre rivolto allo schermo del suo cellulare, sicuramente
curioso di monitorare la situazione del nostro album sulle varie
piattaforme in cui era stato caricato. O forse il suo essere
distratto non dipendeva solo da quello...
Sospirai. In realtà
avevo notato che, da quando il mio amico aveva accettato
quell'impiego a New York, lui e Kate si erano allontanati parecchio e
tra loro non scorreva più la sintonia di un tempo. Lei aveva
detto di essere d'accordo con la scelta del suo ragazzo, ma dal suo
sguardo traspariva la sofferenza che l'aveva avvolta in quel periodo.
In fondo Noah aveva preferito un bello stipendio a un futuro con lei
e, se da un lato cercava di essere orgogliosa di lui, dall'altro si
sentiva in secondo piano nella scala delle sue priorità.
Non sapevo se essere dalla
sua parte o no, perché non mi ero mai ritrovata in una
situazione del genere e non potevo sapere cosa si provava, non ero
nella posizione per giudicare.
“Certo che quei due
certe volte potrebbero anche evitare di dare spettacolo.”
Il commento di mia sorella
mi riportò alla realtà; io e Melanie puntammo il nostro
sguardo su di lei, curiose.
“Jake e Rox, intendi?”
chiese Melanie.
“Sì. Lei è
bravissima in studio, nulla da dire, molto brava nel suo lavoro... ma
certe volte è proprio una piattola. Okay, si può fare
Jacob quante volte vuole e nessuno la criticherà, ma almeno
quando ci siamo noi potrebbe darsi un minimo di contegno. Non
immagini quante volte, quando siamo tutti in studio, Jacob se la deve
scrollare di dosso e dirle di darci un taglio. E se ci arriva lui,
che è un essere di sesso maschile privo di un cervello, allora
la situazione è grave” spiegò Johanna,
riassumendo in breve un discorso che io e lei ci eravamo ritrovate a
fare diverse volte tra noi.
“Certo, avete tutte le
ragioni per lamentarvi! Cioè, è fastidioso stare
accanto a due persone che stanno appiccicate come calamite e sono a
un passo dallo strapparsi i vestiti” convenne Melanie.
“Dovremmo parlarne con
Jake, perché tra i due è quello con cui abbiamo più
confidenza” riflettei.
“Chissà cosa ne
pensa Noah...” si chiese Johanna.
“Dopo chiedete anche a
lui, magari scoprite che gli dà fastidio” ci consigliò
Melanie.
Ma in quel momento fummo
costrette a interrompere la conversazione perché Jacob e
Roxanne stavano tornando al tavolo con due vassoi pieni di cibo.
Subito addentai il mio
panino, che trovai discreto, mentre ascoltavo distrattamente le
domande che Anthony poneva a Roxanne a proposito del suo studio di
registrazione. Il ragazzo sembrava parecchio interessato e
affascinato dall'argomento.
“Ellie, come va con
Daron?”
La domanda improvvisa di
Melanie mi colse alla sprovvista e le lanciai un'occhiata stranita.
Lei alzò le spalle e
prese a ruminare una patatina fritta. “È una domanda
così strana? Tu e lui avevate fatto pace, giusto?”
Mandai giù il boccone
che avevo in bocca. “Come dovrebbe andare? Siamo in buoni
rapporti, non abbiamo avuto l'occasione né di passare del
tempo assieme né di discutere” spiegai, ed era vero. Dal
giorno della festa di Jacob, avevo rivisto i ragazzi dei System
pochissime volte e avevo scambiato con Daron solo qualche parola,
quindi lui ancora non mi aveva potuto dimostrare nulla di ciò
che mi aveva promesso.
“E non vi sentite per
telefono?” indagò ancora la mia amica.
Johanna ridacchiò tra
sé e io la fulminai con lo sguardo.
“Sentirci per
telefono? Perché mai? Non abbiamo nulla da dirci. E poi Daron
riesce a malapena a sbloccare lo schermo del cellulare...”
spiegai in fretta. Forse avevo messo le mani avanti e la cosa poteva
essere fraintesa, ma non volevo che Melanie si mettesse in testa
strane idee. Daron ancora mi inquietava e dovevo ben inquadrarlo, il
fatto che avessimo chiarito non significava nulla.
“Okay... ma che te ne
pare di lui?” domandò ancora la mia amica, dandomi
leggermente di gomito.
“Nulla. Vedremo come
va in tour” la liquidai rapidamente, già stufa di quella
conversazione. Daron non era uno dei miei argomenti preferiti, aveva
degli atteggiamenti ambigui che ancora non mi convincevano e mi
davano da pensare.
“Piuttosto... tu e
Sako?” bisbigliai in tono malizioso, giusto per metterla un po'
in difficoltà.
Lei si illuminò, ma
subito dopo si portò il dito indice di fronte alle labbra. “Ne
parliamo dopo, quando usciremo per fumare.”
Io e Johanna ci scambiammo
un'occhiata complice, poi ci fiondammo letteralmente sul nostro cibo
per finirlo il più in fretta possibile. Eravamo troppo
curiose.
“Allora?”
incalzai subito io.
“Allora?” ripeté
Johanna, facendo scattare la pietrina del suo accendino.
“Un attimo, con
calma!” Melanie ridacchiò e si appoggiò con la
schiena alla parete arancione dietro di lei.
Ci trovavamo finalmente
fuori dal McDonald's, a qualche metro di distanza dal resto dei
clienti che fumavano e conversavano tra loro; io e Johanna avevamo
praticamente messo all'angolo la nostra amica e la stavamo divorando
con lo sguardo, affamate di informazioni e scoop.
“Allora ragazze, il
punto è che...” cominciò a raccontare Melanie a
bassa voce, ma subito fece una pausa a effetto e ci osservò
con un'espressione tremendamente seria, come se stesse per rivelare
il colpevole di un omicidio.
Aveva sempre avuto un gran
gusto per il melodramma e si divertiva a sfruttare le sue abilità
nel lasciare la suspense durante i racconti, soprattutto perché
noi due eravamo curiose per natura e ogni volta la pregavamo di
sputare il rospo.
Ma quella volta rimasi
zitta, mentre il cuore mi batteva talmente tanto forte nel petto che
pareva sul punto di spezzarmi le costole.
“Sako mi ha baciato. E
mi è piaciuto.”
Il sangue defluì dal
mio viso e gli occhi mi si sgranarono. “Sako ti ha...?”
balbettai, incredula.
“Cos'ha fatto?! Ma è
rincoglionito?” esplose mia sorella, basita almeno quanto me.
“Ehi, calma!” ci
ammonì Melanie. “Non è questa la cosa
sconvolgente, prima o poi era inevitabile che accadesse. Sapete qual
è la cosa più grave? È che... beh, lui mi piace.
Molto. Mi fa sentire amata, è dolce e premuroso... ma...”
Io e Johanna tacemmo, a
corto di parole, e attendemmo che Melanie continuasse. Io intanto
continuavo a chiedermi se fosse davvero lei la ragazza che mi trovavo
di fronte e che dichiarava di essere interessata seriamente a un
ragazzo.
“CI sono tre problemi
principali e pure abbastanza palesi. Il primo è che io, poco
più di un mese fa, ho abortito proprio il frutto di una nostra
scopata e sinceramente non me la sento di impegnarmi in un'eventuale
relazione, tanto meno con lui. Il secondo problema è che tutto
ciò non è da me e non so come affrontarlo: sapete
quanto sono stata incostante con i ragazzi in questi anni, non ho mai
permesso a nessuno di entrare nel mio cuore e non pensavo nemmeno che
fosse possibile. E infine, ultimo ma non in ordine di importanza: non
so se lui ricambia questi miei sentimenti. So che è attratto
da me, fin qui ci sta, ma... e se non fosse disposto a fare sul serio
con me? Se lui mi desiderasse e basta? Ho paura di affrontare
l'argomento e scoprirlo, potrei rimanerci molto male.”
Assorbii quelle parole con
attenzione, una a una, chiedendomi quando mi sarei svegliata da quel
sogno surreale. Conoscevo Melanie come le mie tasche e non avrei mai
pensato che delle parole simili potessero uscire dalla sua bocca.
Ma lei pareva così
serena e padrona di sé, di ciò che ci stava spiegando.
“Dal giorno del bacio
non vi siete più visti o sentiti?” chiesi chiarimenti,
dopo qualche secondo di silenzio.
“Ci siamo visti solo
una volta, il giorno prima della partenza, e per messaggi ci sentiamo
ogni giorno. Ma stiamo ben attenti a non cadere nell'argomento,
perché nessuno dei due saprebbe come commentarlo. Penso si
senta in colpa per avermi baciato.”
“E c'è qualcosa
di preciso che gli vorresti dire?”
Melanie annuì sicura.
“Vorrei dirgli che non si deve sentire in colpa perché
anche io lo volevo, poi vorrei chiedergli quali sono le sue reali
intenzioni con me. Infine vorrei spiegargli quali sono i miei dubbi e
chiedergli una mano d'aiuto per superarli, se gli va.”
“Sako è una
brava persona, ti ascolterebbe e ti starebbe accanto in ogni caso”
commentai io.
“Secondo me questa
lontananza non può che farvi bene” intervenne Johanna,
che fino a quel momento aveva fumato la sua sigaretta in silenzio.
“Ora lui è partito in tour e ci rimarrà fino a
novembre, quindi entrambi avrete tempo per riflettere e chiarirvi le
idee senza farvi pressione a vicenda. Lui cosa vuole davvero? Tu cosa
vuoi? Qual è il modo migliore per chiederlo all'altro? Hai
ancora tante ferite aperte, Mel, ed è giusto dar loro il tempo
di rimarginarsi.”
Ci riflettei su un attimo,
poi sorrisi. “Concordo: avete bisogno di queste settimane di
distanza, ognuno da solo con i propri pensieri.”
Melanie ci abbracciò
entrambe. “Grazie ragazze, siete mitiche! Come farò
senza di voi?”
“Non stiamo mica
partendo al fronte!” la rassicurò Johanna con una
risata.
“Oh Mel, siamo così
felici che tu abbia trovato un punto di riferimento! Sako poi, che è
un ragazzo così dolce!” esclamai io invece con gli occhi
a cuoricino. Già, avevo sempre fatto il tifo per loro, ma non
ci avevo mai davvero sperato perché Melanie non sembrava
intenzionata a interessarsi a lui.
Ma forse lei stava
cambiando, così come Sako. Tutti noi, in un modo o nell'altro,
stavamo crescendo e maturando.
E, nel bene e nel male,
eravamo sempre più uniti.
♫
Daron ♫
Non ne potevo davvero più
di grida e mani estranee che mi si appiccicavano addosso. Ormai lo
sapevo e forse avrei dovuto farci l'abitudine, ma ogni volta che
capitavo in Brasile era un delirio. I numerosi fan dei System erano
talmente ossessionati da noi che a malapena riuscivamo ad andare in
bagno da soli: ci seguivano in strada, si appostavano in ogni angolo,
ci pedinavano fino all'ingresso del backstage, si infiltravano negli
alberghi o si fiondavano contro il tour bus, eludendo perfino la
sicurezza. E strillavano come dannati, la maggior parte non sapeva
neanche parlare l'inglese e pretendeva che noi capissimo comunque.
Così, quando mi
ritrovai nel backstage del Rock In Rio in compagnia dei miei amici e
colleghi, tirai un sospiro di sollievo e mi andai a posizionare in un
angolino tranquillo e appartato. Osservavo il viavai dei tecnici, i
componenti delle band di supporto che strepitavano e importunavano
gli altri dei System, i musicisti occasionali dei Guns N' Roses che
si aggiravano ogni tanto nei paraggi e facevano la spola tra area
ristoro e camerini. Si atteggiavano a star perché facevano
parte dei Guns, ma nessuno se li filava.
Di certo, se Axl Rose si
fosse fatto vedere, le reazioni non sarebbero state le stesse. Ma lo
conoscevo abbastanza per sapere che avrebbe messo il naso fuori dal
suo camerino solo al momento del concerto.
“Certo che è
surreale” commentò John, facendomi sobbalzare. Il
batterista prese posto sul divanetto accanto a me, poi si chinò
per legarsi una scarpa.
“Cosa è
surreale?” borbottai, cadendo dalle nuvole.
“Apriremo per i Guns
N' Roses. O forse dovrei dire: apriremo per Axl con gli schiavi di
turno al seguito.”
“Io non apro nessuno:
noi e Axl siamo co-headliners” gli feci notare.
“Già.” Si
tirò su e posò la schiena sulla spalliera del divano,
poi prese a lanciarmi brevi occhiate indagatrici.
“Che c'è?”
sbottai infastidito dopo una manciata di secondi.
“Ti vedo stanco, è
una mia impressione?”
Sbuffai. “No, è
questo posto che mi manda in corto circuito il cervello. Il Brasile,
intendo. Ma dico io, si può essere più pedanti di così?
Ho paura che qualche fan mi impianti un microchip per potermi spiare
e seguire.”
John rise, poi spostò
lo sguardo su Sako che, trafelato ed entusiasta, si dirigeva a passo
spedito verso di noi.
“Ricordatemi che devo
fare i complimenti a Amy Lee quando scende dal palco! Certe volte mi
dimentico quanto sia brava... ma poi oggi sta spaccando tutto!”
esclamò, buttandosi su un divanetto vuoto di fronte al nostro.
Sorrisi. Lo potevo capire
benissimo perché anche io ero un grande fan degli Evanescence;
mi sarei anche avvicinato al palco per assistere al loro live, ma
quel giorno non ero dell'umore giusto.
“Di che
chiacchieravate?” chiese poi il tecnico della batteria.
“Niente di che,
commentavamo la soap opera firmata Guns N' Roses... che va avanti
dall'85” disse John con un'alzata di spalle.
Sako ridacchiò.
“Certe volte mi sento fortunato a essere il vostro tecnico”
commentò.
“Solo certe volte?”
lo punzecchiai.
“Beh, certe volte non
è facile accontentare le richieste di quest'orso qui”
scherzò, accennando a John.
“Ti licenzio, razza
d'idiota” lo minacciò l'altro senza troppa convinzione.
“Senza di me saresti
fottuto, Dolmayan!”
Sbadigliai e mi rannicchiai
ancora di più su me stesso.
Trascorse circa un minuto di
silenzio in cui origliai distrattamente le conversazioni tra Shavo e
i ragazzi delle band di supporto – ovviamente il bassista non
perdeva occasione per fare amicizia con qualsiasi essere vivente gli
capitasse a tiro –, poi Sako sbuffò, attirando la mia
attenzione. Sollevai appena lo sguardo e lo trovai assorto nei suoi
pensieri, mentre fissava lo schermo del suo cellulare.
“Che c'è?”
gli chiese John cautamente, dando voce alla domanda che ronzava anche
nella mia testa.
“Cosa vuol dire?
Perché mi ha scritto questa cosa?”
Io e John sapevamo
perfettamente a chi si stesse riferendo Sako.
“Quale cosa?”
m'informai, raddrizzando la schiena e sporgendomi appena verso di
lui.
Il tecnico si schiarì
la gola e lesse: “Sai, in fondo questo mesetto di lontananza
non può che farci bene. Ci ho pensato e sono dell'idea che
entrambi dobbiamo schiarirci le idee, riflettere, definire per bene
ciò che vogliamo.” Sollevò lo sguardo su di
noi, confuso. “Cioè... non stiamo neanche insieme, e già
vuole prendersi una pausa?”
Questa situazione con
Melanie stava diventando sempre più intricata e io vedevo il
mio amico sempre più distrutto dentro. Aveva perso la testa
per una ragazza – cosa che da lui non mi sarei mai aspettato –,
l'aveva messa incinta, l'aveva accompagnata ad abortire e poi l'aveva
baciata. Non sarei mai voluto essere al suo posto, ero già
abbastanza confuso e incasinato così.
“Non credo intendesse
quello...” cerco di farlo ragionare John, ma ormai Sako era
partito in quarta e aveva solo voglia di sbraitare e sfogarsi.
“Ma perché mi
tratta così? Che colpa ne ho se mi ha rubato il cuore? Ma poi
non è neanche colpa sua, cioè, sono stato io a fare la
cazzata. La grande cazzata. Perché l'ho baciata? È
ancora troppo presto, e poi non so nemmeno se mi ricambia. Ho
rovinato tutto... e adesso c'è pure questo tour del cazzo in
mezzo, quando tornerò a Los Angeles mi avrà già
gettato nel dimenticatoio!” Sako era disperato, gesticolava e
si agitava.
“Non è un tour
del cazzo!” protestai, sperando di stemperare l'atmosfera;
l'unica cosa che ottenni, però, fu un'occhiataccia da parte di
John.
Quest'ultimo poi, con la sua
estrema calma, sollevò appena una mano per far tacere Sako e
disse: “Penso che Melanie non intendesse questo. Ha solo
cercato di trovare qualcosa di positivo in questa vostra lontananza:
potrete riflettere sui vostri sentimenti e, al ritorno dal tour,
parlerete e deciderete che fare del vostro rapporto”.
“Ciò non toglie
che ho fatto una cazzata!”
“Non è detto.
Non sai se Melanie ricambia i tuoi sentimenti... e del resto in quel
momento non ti ha respinto.”
Sako posò il mento
sul palmo di una mano e sospirò. “Non lo so. Sono
preoccupato perché non la voglio perdere e non so cosa pensa
lei di me.”
“Ragazzi, tra poco gli
Evanescence scendono dal palco e tocca a noi!” esclamò
Serj, materializzandosi di fronte a noi.
Sako si ricompose subito,
sorrise e si mise in piedi, pronto a svolgere il suo lavoro. “Sono
qui per servirvi!” esclamò, pieno di grinta.
Quanto lo invidiavo! Era
sempre allegro, non si lamentava mai e nascondeva sempre le sue
sofferenze; difficilmente si lasciava andare a momenti di
disperazione come quello appena trascorso. Sako era una forza, una
persona positiva e solare, che metteva sempre gli altri prima di lui.
E poi c'ero io, sempre di
malumore, sempre sovrappensiero. Anch'io stavo affrontando un periodo
delicato con Ellie, ero preoccupato per come sarebbero andate le cose
in tour con lei, avevo paura di deluderla nuovamente o di non
riuscire a controllarmi in sua presenza... ed era tutto così
palese, me lo si leggeva nello sguardo, nel tono della voce, in ogni
singolo gesto. La mia anima era tormentata e io non lo riuscivo a
nascondere.
Al contempo non mi andava di
aprirmi e parlarne con nessuno, quindi mi crucciavo da solo, immerso
in un mare di dubbi da me stesso creati.
L'ultima cosa che vidi prima
di salire sul palco fu il volto di Amy Lee che, esausta dal concerto,
ci augurava buona fortuna con un sorriso raggiante.
Ero pronto a darmi in pasto
al pubblico brasiliano.
Lo ero davvero?
♫
Johanna ♫
La verità era che
l'ansia mi stava mangiando viva perché non avevo mai preso
l'aereo, non ero mai stata così lontana da casa per un periodo
di tempo così lungo, non avevo mai suonato in luoghi così
importanti e non ero sicura di essere all'altezza di affrontare tutto
ciò.
La verità era che mi
sentivo un fascio di nervi, e per questo continuavo a sbraitare
contro tutti coloro che mi si paravano davanti, gatto compreso, e
controllavo convulsamente borse e valigie per assicurarmi che ci
fosse tutto, nonostante avessi progettato per due settimane la
posizione di ogni singolo oggetto in valigia.
La verità era che
sentivo il peso di ogni singolo commento al nostro album, ogni
singola visualizzazione su YouTube, ogni singolo ascolto su Spotify.
Forse avevo paura di rendere
nota la musica dei Souls. Ma ormai il danno era fatto.
“Johanna, ti vuoi dare
una mossa?” gridò Ellie, affacciandosi alla porta
d'ingresso. Lei e mamma mi stavano attendendo in auto da almeno dieci
minuti.
“Aspetta, sto
controllando le ultime cose! Ago e filo ci sono? Hai preso le
pinzette? Io però aggiungerei un altro pacco di fazzoletti...
e se a una di noi viene il ciclo due volte? Come facciamo? L'ho
detto, dovevamo comprare più assorbenti!” Cominciai ad
agitarmi e sentii il viso andarmi a fuoco, mentre aprivo e chiudevo
ossessivamente tutte le tasche della mia valigia.
“Innanzitutto abbassa
la voce, c'è la porta aperta e non penso che ai nostri vicini
interessi!” mi ammonì Ellie. “E poi l'Europa non è
un deserto, se ci manca qualcosa ce la possiamo comprare! Adesso esci
da questa diamine di casa, altrimenti giuro che ti lasciamo a Los
Angeles e ti sostituiamo con John!”
Borbottando e sbuffando,
trascinai i miei bagagli all'esterno e li caricai nel portabagagli.
Nostra madre sedeva sul
sedile del guidatore e mi lanciava occhiate sospettose. La sua
presenza non mi rassicurava: aveva insistito per accompagnarci
personalmente all'aeroporto perché voleva assolutamente
conoscere i nostri accompagnatori, ancora non si fidava. Ellie non
aveva opposto resistenza e le aveva dato ragione, secondo lei era
giusto che nostra madre sapesse la nostra compagnia, ma a me dava
fastidio. Insomma, non eravamo più delle bambine, non avevo
bisogno della sua approvazione per decidere chi frequentare.
Durante il viaggio verso il
LAX, l'aeroporto internazionale della città, non feci che
ripassare mentalmente gli oggetti che avevo sistemato in valigia e
l'ordine dei pezzi che avremmo suonato ai live. Questo mi aiutava a
non pensare ad altro, perché avevo fin troppi motivi per
essere agitata e in ansia.
Ellie, sul sedile del
passeggero, chiacchierava con mia madre e le raccontava in breve la
storia dei System in quanto band.
All'entrata principale
dell'aeroporto, come stabilito, Jacob e Noah ci attendevano. Mia
madre li salutò calorosamente, dal momento che ormai li
conosceva bene, e cominciò a conversare col bassista del suo
nuovo futuro lavoro a New York.
“I ragazzi ci stanno
aspettando dentro, al piano terra, vicino al McDonald's”
annunciò Ellie, consultando il suo cellulare.
Così tutti e cinque
ci addentrammo in quel labirinto di persone e gates che era il LAX.
Io arrancavo per il pavimento lucido, portandomi dietro la mia enorme
valigia porpora e il trolley azzurro, e nel frattempo mi guardavo
attorno per capire dove accidenti si trovasse il McDonald's.
“Da questa parte, ho
visto Shavo!” esclamò Jacob a un certo punto, virando
verso destra.
Mi dovetti infilare tra una
classe di studenti in partenza per una gita scolastica, un gruppo di
turisti messicani che sbraitavano in spagnolo, una famigliola con una
mole impressionante di bagagli e alcuni passeggeri solitari che mi
tagliarono la strada senza neanche chiedermi scusa. Tra un insulto e
l'altro, giunsi a destinazione più o meno sana e salva e per
poco non rimbalzai contro Serj. Incespicai sulla sua valigia nera, ma
lui prontamente mi tenne per un braccio.
“Ehi, non cadere, ai
Souls serve la batterista tutta intera!” esclamò lui con
un sorriso.
Lo strinsi subito in un
abbraccio, poi mi voltai e corsi a salutare anche gli altri. Quando
arrivò il turno di Shavo, lui intrappolò come sempre me
ed Ellie in un grande abbraccio. “Mi siete mancate, bambine
mie!” esclamò.
Io mi guardai subito intorno
in cerca di mia madre e la avvistai che conversava con Serj e John.
La cosa mi rassicurò parecchio: loro due erano in grado di
tranquillizzare un oceano in tempesta, avrebbero sicuramente fatto
una buona impressione su di lei.
Vinta dalla curiosità,
mi avvicinai a loro per assistere alla conversazione.
“Siamo abituati a
viaggi del genere” stava dicendo John, rilassato come sempre e
con le mani affondate nelle tasche dei jeans neri.
“Bene. Per Ellie e
Johanna invece è la prima esperienza lontane da casa... ma
entrambe mi sembrano abbastanza positive e tranquille” commentò
mia madre.
“Ma sì, andrà
tutto bene. In fondo stanno per fare un viaggio di lavoro ed è
giusto così.” John sorrise appena.
“La casa le sembrerà
vuota senza loro due!” commentò Serj con una risatina.
“Certo, mi mancheranno
molto! Da ventun anni sono abituata ai loro battibecchi, alla musica
a volume alto, ai loro passi per casa...”
Sorrisi tra me. Mamma in
fondo era contenta per noi, il fatto che si preoccupasse era più
che normale. Eravamo le sue due figlie, ci adorava e non voleva che
ci capitasse qualcosa di male.
Anche lei mi sarebbe
mancata.
“Ehi.” La voce
di Sako alla mia sinistra mi fece sobbalzare.
“Eh... oh, mi hai
spaventato!” mugugnai, osservandolo con la coda dell'occhio.
“Sei pronta per
l'Europa?”
“Certo! E tu sei
pronto a essere schiavizzato da me?”
Lui scosse la testa. “Io
non sono il tuo tecnico, mi dispiace deluderti!”
“Chiederò a
John se posso prenderti in prestito!”
Sako ridacchiò.
Mi feci più seria e
fissai i miei occhi nei suoi. “Sako, come stai?”
Lui abbassò subito lo
sguardo. “Alla grande” mentì.
“Ragazzi, andiamo!
Abbiamo ancora il controllo bagagli da fare!” esclamò un
tizio che non avevo mai visto, probabilmente uno dello staff,
interrompendo tutte le conversazioni in atto.
Io e mia sorella stringemmo
nostra madre in un ultimo abbraccio e lei ci stampò un bacio
sulla fronte a testa, poi afferrammo le nostre valigie e seguimmo il
resto del gruppo verso la zona del controllo bagagli.
Presi Daron sottobraccio,
dato che se ne stava in disparte e in silenzio. “Allora
Malakian, che te n'è parso dell'America Latina?”
“Sempre uguale. Sempre
pieno di gente invasata. Sai che ci aspetta un noiosissimo volo di
almeno quindici ore?”
Sbuffai. “E cosa
facciamo nel frattempo?”
“Prima di andare a
cercare il nostro imbarco, entriamo in un negozio di gadget e lo
svaligiamo, che te ne pare?” propose con fare complice.
Mi illuminai. “Oh sì!
Voglio dei libri e un giornale di enigmistica!”
“E se comprassimo uno
di quei giochi di società tipo Battaglia Navale?”
propose Shavo, che ci camminava accanto.
“Ci sto! E un pacco di
caramelle, perché anche masticando si ammazza il tempo!”
aggiunsi.
E fu così che,
vaneggiando e progettando attività da fare in volo, ci
preparammo per lasciare la nostra madrepatria e portare la nostra
musica nel Vecchio Continente.
♪
♪ ♪
Ohhh
ragazziiii, finalmente si parteeee *-*
Scusate
se anche stavolta mi sono dilungata e ho scritto un capitolo a tratti
noioso, ma avevo bisogno di spiegare le ultime cosette prima di
concentrarmi sul tour!
Perché
ho usato questa canzone? Perché volevo qualcosa che desse
l'idea di cambiamento, ma allo stesso tempo che avesse un'atmosfera
un po' malinconica, in modo da rispecchiare i sentimenti di Melanie e
Sako e l'ansia di Jo per l'imminente tour.
Allora,
cosa ne pensate del rapporto tra Mel e Sako? E del titolo dell'album
dei Souls? Più avanti avrete modo di scoprire le canzoni che
contiene e, chissà, magari vi farò leggere anche
qualche testo ^^
Benissimo,
ora allacciate le cinture, mettete i cellulari in modalità
aerea e state attenti che le orecchie non vi si tappino, perché
sta per decollare l'aereo... e sarà carico di sorprese per
voi!!!!
Grazie
a tutti coloro che sono giunti fin qui e che avranno ancora voglia di
seguirmi in questa stramba avventura :3
Alla
prossima (che non si sa quando sarà, perché non ho
altri capitoli pronti... spero di trovare tempo e ispirazione per
scrivere!!!) ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 33 *** The road will be long ***
ReggaeFamily
The
road will be long
Dub
Inc - Better Run
♫
John ♫
Mi
adoperai per infilare nella cappelliera i trolley di Noah ed Ellie.
“Ma
John, non c'era bisogno...” cercò di protestare il
bassista dei Souls.
“Siediti”
lo interruppi, scoccandogli un'occhiata rassicurante.
“John,
tu che posto hai?” mi domandò Johanna, guardandosi
attorno con la sua carta d'imbarco stretta tra le mani.
“15E,
tu?” Afferrai anche il suo trolley, che giaceva ai suoi piedi,
e sistemai anche quello al suo posto.
“Grazie,
non dovevi! Comunque 14B. Uffa, non mi piace questo posto, avevo
intenzione di sfidarti a scacchi... ho capito, dovrò
corrompere qualcuno per fare cambio di posto!”
Io
mi strinsi nelle spalle, poi presi posto sul mio sedile e attesi che
il resto del nostro gruppo facesse lo stesso.
“Ehi
John, mi sa che sono a fianco a te.” Mark, il nostro tecnico
della chitarra, si fermò davanti alla mia corsia e consultò
nuovamente il suo foglio. “15F. E sono anche vicino al
finestrino, che culo!”
Mi
misi nuovamente in piedi per farlo passare, ma mentre lui si stava
intrufolando tra le due file di sedili, Johanna gli si piazzò
di fronte. “Ehi, tu, anche se non so come ti chiami!”
“Mark”
disse lui, un'espressione stranita dipinta in viso.
MI
lasciai sfuggire un sospiro. Me lo sarei dovuto aspettare da lei.
“Ti
va di fare cambio di posto? Io ho il 14B. È un bel posto, te
lo assicuro, è vicino a Sako!”
Mark
mi lanciò un'occhiata perplessa, poi ridacchiò. “E
va bene, col fatto che c'è Sako mi hai convinto. Tu saresti
Johanna, giusto?”
La
ragazza gli sorrise raggiante, poi annuì. “Sì,
sono io, piacere di conoscerti. Ora potrei sedermi? Sto disturbando
il passaggio in corridoio” gli fece notare lei, mentre un tipo
alto e corpulento di probabili origini russe cercava di aggirare
invano la ragazza.
“Subito!”
Così
i due concretizzarono lo scambio e io potei tornare al mio posto.
“Oh,
sono soddisfatta!” esclamò Johanna, lanciando
un'occhiata al finestrino che aveva accanto.
“Povero
Sako, l'hai evitato” commentai.
“Già,
dopo gli chiedo scusa! Sarei stata tra lui e Jacob.” Le ultime
parole le pronunciò in tono serio e quasi incerto, il che mi
parve abbastanza strano. Avevo notato di sfuggita che negli ultimi
mesi il rapporto tra Johanna e Jacob si era raffreddato, ma non avrei
mai chiesto spiegazioni, non mi piaceva impicciarmi nelle questioni
altrui.
“Oh,
ma guarda un po' chi mi è capitato a fianco!” Shavo si
sollevò gli occhiali da sole sulla testa e si accomodò
alla mia sinistra.
“Accidenti,
e io che pensavo di essermela scampata” scherzò Johanna
con un occhiolino.
“L'hai
scelto tu” le ricordai.
“Ehi,
ragazzi” attirò la nostra attenzione Serj, che sedeva
nella fila di sedili davanti alla nostra insieme a Greg e Noah. Il
cantante si era affacciato tra due spalliere e ci faceva dei cenni
discreti verso la nostra sinistra, nella speranza che Johanna non se
ne accorgesse.
Ruotai
appena gli occhi nella direzione che mi indicava e capii a cosa si
stava riferendo: nella fila di sedili accanto alla nostra, Ellie e
Daron erano capitati uno accanto all'altra.
“Serj,
ti ho visto” mormorò Johanna in tono complice,
sporgendosi verso il cantante.
Cazzo.
Serj
si voltò e finse di non averla sentita.
Io
e Shavo ci scambiammo un'occhiata preoccupata.
“Non
preoccupatevi, tanto l'abbiamo capito tutti che Daron è pazzo
di mia sorella” sussurrò la ragazza con un sorriso.
“Oddio...
e pensi che...?” biascicò Shavo.
“Che
lei possa ricambiare? Non lo escludo, se lui si comporterà
bene.”
Non
mi mossi e non reagii, ma tirai mentalmente un sospiro di sollievo.
Quindi anche Johanna se n'era accorta, non le avevamo rivelato nulla
di nuovo.
“Ah,
ho vinto di nuovo!” esclamò Johanna, mangiando l'ultima
mia pedina.
“Ti
ho lasciato vincere. La dama è un gioco noioso” ribattei
in tono piatto; non volevo darle soddisfazioni.
“Avete
rotto le palle voi due, lo sapete? È da due ore che mi
ignorate, io mi sto annoiando!” si lamentò per
l'ennesima volta Shavo.
“E
faremo così per il resto del viaggio” lo minacciò
scherzosamente Johanna, poi cominciò a ritirare le pedine
bianche e nere che avevamo poggiato sul suo tavolino.
“Facciamo
un cruciverba!” strillò Daron, sventolando una rivista
in aria e rischiando di colpire una hostess di passaggio in
corridoio.
“Ci
sto!” accettò il bassista.
“Allora...”
Il chitarrista impugnò una penna e cominciò a leggere:
“Definizione 1 orizzontale: le città dell'Antica Grecia,
sei lettere.”
“Sparta?”
propose Ellie incerta. La ragazza, seduta alla sinistra di Daron,
faceva vagare lo sguardo dal chitarrista a noi.
“Le
città, al plurale” le fece notare Serj.
“C'era
un termine con cui si definivano le città-stato, ma ora mi
sfugge...” riflettei tra me.
“Vabbè,
andiamo avanti: le piante del deserto!” esclamò Daron.
“Cactus”
rispondemmo in coro io, Ellie e Noah.
“Non
sento niente per colpa di quell'idiota di Sako! Gli dite di abbassare
il volume?” protestò Johanna con uno sbuffo.
Infatti
Sako aveva collegato il suo cellulare a una cassa portatile; proprio
in quel momento risuonavano nell'aria le note di Crazy degli
Aerosmith.
“Ma guarda come sono
presi lui e Jacob” commentò Shavo con una risata,
accennando ai due che cantavano – o almeno quella era
l'intenzione, ma i risultati lasciavano parecchio a desiderare.
“2 verticale: la sigla
del dipartimento di polizia” lesse Daron.
“Sako, abbassa la
musica!” gridò subito dopo Johanna a qualche centimetro
dal mio orecchio.
“Cazzo, mi son cadute
le patatine!” sbottò Noah.
“PD!” rispose
Shavo al chitarrista.
“Perché mai
dovremmo abbassare?” ci gridò Jacob.
“Serve aiuto?”
intervenne un'hostess, notando la manciata di patatine che Noah aveva
sparso per sbaglio sul pavimento.
“Oddio, ma voi siete i
System Of A Down!” esclamò un tipo all'improvviso,
mettendosi in piedi di botto e rischiando di battere la testa contro
la cappelliera. Era stato per più di due ore dietro di noi, a
qualche fila di distanza, ma solo in quel momento se n'era reso
conto.
Io nel frattempo seguivo gli
innumerevoli dialoghi che si susseguivano e si mischiavano, confuso.
Forse era il caso che facessi notare ai miei amici che stavano
facendo troppo baccano, gli altri passeggeri si sarebbero presto
lamentati.
“Potete abbassare il
tono della voce? Grazie” gracchiò appunto una signora
seduta dietro di me.
Posai una mano sul braccio
di Johanna, che ancora comunicava a distanza con Jacob e Sako, e
l'altra sul braccio di Shavo, che discuteva con Daron sulle
definizioni del cruciverba. “Ragazzi, dateci un taglio”
li ammonii.
“Dovrei fare una foto
con loro.” Il fan che ci aveva riconosciuto si era piazzato nel
bel mezzo del corridoio e non faceva che fulminare con lo sguardo la
hostess; quest'ultima intanto si stava adoperando per pulire il
corridoio.
“Potresti pazientare
qualche minuto? Starei lavorando.”
“Ma sono i System Of A
Down!”
“E io sono Celia,
molto piacere.”
Johanna, accanto a me,
ridacchiò. “Che genio questa tizia!”
“Ehi, amico, possiamo
rimandare la foto a quando scenderemo dall'aereo.” Shavo si
rivolse al ragazzo che ancora stava lì impalato, non accennava
a tornare al suo posto.
“Oh, sì, certo
Shavo, d'accordo... grazie fratello” farfugliò quello in
imbarazzo, defilandosi subito.
Finalmente la quiete
sembrava regnare nuovamente nell'aereo: l'hostess si era allontanata,
Daron compilava lo schema delle parole crociate in silenzio, Sako
aveva abbassato la musica e Johanna era assorta nei suoi pensieri.
“Qualcuno ha voglia di
fare una partita a Battaglia Navale?” propose la ragazza alla
mia destra.
“Io!” accettò
subito Shavo.
“Allora facciamo
cambio di posto” dissi al bassista.
Così, mentre Johanna
e Shavo si sfidavano e ridevano tra loro, io portai fuori un libro
che avevo acquistato poco prima di salire sull'aereo e mi immersi
nella lettura.
♫
Daron ♫
Ormai eravamo in viaggio da
sei ore e io ero già al terzo cruciverba.
Shavo e Jacob si erano
scambiati di posto in modo che il mio bassista potesse aiutarmi con
le definizioni e l'altro ragazzo potesse dormire in santa pace.
“La
capitale del Perù, quattro lettere. La seconda è una i.
Ah, io me ne tiro fuori, sono un ignorante in geografia!”
Lasciai cadere la rivista di enigmistica sul mio tavolino.
“Lo sanno anche i
bambini: Riga” affermò Shavo in tono ovvio.
“Ma che cazzo dici?
Quella è la capitale della Lettonia, del Perù è
Lima” lo contraddisse subito Sako.
“No, è Riga,
fidati di me.”
“Sei un ignorante,
Odadjian!”
Sbuffai. “Quindi io
cosa devo scrivere?”
“Lima” affermò
Sako.
“Vaffanculo, non è
Lima!” gli andò contro Shavo.
“Secondo me ha ragione
Sako” intervenne Ellie in tono pacato.
“Ecco, vedi? Fidati di
lei, che è una persona studiosa!” rincarò il
tecnico.
“Ellie, mi hai
tradito!” fece Shavo.
“Io non sono dalla
parte di nessuno, solo che mi pare di ricordare fosse Lima”
mise le mani avanti la ragazza.
Io la osservavo con la coda
dell'occhio. Era bellissima, soprattutto quando sorrideva. E per la
prima volta non sembrava irritata dalla mia vicinanza; anche io ci
mettevo del mio, cercavo di non risultare troppo invadente, pensavo
alle parole prima di pronunciarle.
Mi sentivo fortunato ad aver
ottenuto una seconda possibilità con lei.
“Adesso lo cerco su
internet!” affermò Shavo, portando fuori il suo
cellulare.
“Non puoi, genio, è
in modalità aerea” gli ricordai.
“Ah, già.”
“Ti prego, finiamola
con questa roba, scrivi Lima e andiamo avanti!” mi implorò
Sako.
All'improvviso mi venne
un'idea e strillai: “Serj!”.
“Eh?” rispose
subito lui.
“La capitale del
Perù?”
“Lima.”
“Che ti avevo detto?”
esplose Sako inorgoglito.
“E invece Riga è
la capitale...?” proseguii, sempre rivolto al cantante.
“Della Lettonia.”
“Avevo ragione anche
su questo!” si pavoneggiò il tecnico.
“I cruciverba mi hanno
stufato, facciamo qualcos'altro” borbottò il bassista.
Cominciai a ridacchiare e
gli lanciai il giornale in faccia. Lui lo afferrò e tornò
a sedersi dritto al suo posto, poi prese a sfogliarlo.
“Oh, finalmente un po'
di pace. Non ne potevo più di sentirvi battibeccare”
commentò Ellie con un sospiro.
“Era solo un modo per
passare il tempo. Ora che facciamo?” la interrogai, sperando
che proponesse qualche nuova attività.
Lei però si strinse
nelle spalle.
Ci pensai su per qualche
secondo, poi mi illuminai. “Qualcuno ha il vostro album nel
cellulare?”
“Certo, io ho tutte le
tracce. Almeno sono sicura di poter ripassare prima dei live.”
Ellie afferrò il suo cellulare e i suoi auricolari. “Tieni,
mettili alle orecchie. Il disco inizia con Eagles, la conosci
già.”
Infilai una cuffietta.
“Fammela ascoltare lo stesso, mi piace!”
Lei abbassò lo
sguardo, un po' in imbarazzo.
Qualche secondo dopo nel mio
orecchio destro risuonarono le prime note del singolo dei Souls,
ormai diventate familiari per me. Avevo ascoltato quel brano
parecchie volte in quei mesi, mi piaceva molto, e anche quella volta
mi ritrovai a canticchiarlo.
La ragazza guardava dritto
davanti a sé, non osava sbirciare nella mia direzione. Forse
non si capacitava del fatto che la sua musica mi potesse piacere così
tanto e io la potevo capire: era strano pensare che uno dei tuoi
idoli ascoltasse le tue canzoni, era successo anche a me.
Mi godetti il brano, lo
adorai per l'ennesima volta, mi beai della voce calda e potente di
Ellie.
Quando partì il brano
successivo, mi concentrai maggiormente su ogni strumento. L'intro
aveva un'atmosfera cupa e aggressiva allo stesso tempo, era
caratterizzata da un basso lineare e grave, un riff di chitarra
ripetitivo, una batteria incalzante che giocava sulla figura di
grancassa.
Il tutto fu completato,
nella strofa, dalla voce di Ellie. Quella ragazza aveva un dono,
riusciva a interpretare con passione i suoi testi, ci metteva tutta
se stessa e lo trasmetteva all'ascoltatore.
Two
or three years ago,
I
think,
My
heart was so thin,
Wearing
pink.
I
was drunk on your skin,
white
milk,
I
lived in a fairy tail,
But
was tragic.
Oh,
what a mistake!
Oh,
it was just a fake!
Ascoltai quelle parole
semplici e dirette, pronunciate con risentimento, trasportate in una
linea vocale dai toni strazianti che si insinuava nel mio cuore.
Ellie raccontava una storia
d'amore illusoria, raccontava dell'ego di un ragazzo, di quante volte
lei l'avesse perdonato.
Rimasi incantato da quel
brano e dalla sua profondità, assorbii il testo fino alle
ultime frasi, che furono come un epilogo.
Two
or three hours ago
My
heart's wore gold,
My
illlusions flew away
With
all the lies you've sold.
Feci cadere l'auricolare sul
mio braccio. “Hai scritto tu questo testo?”
Ellie esitò qualche
istante prima di rispondere. “Sì, è stato uno dei
miei primi testi, quando ancora i Souls non esistevano. È nato
come una sorta di sfogo in prosa, poi Jo mi ha aiutato a sistemare
tutto in versi. Sai, lei è molto più abile di me con le
poesie.”
“Mi piace un casino,
sai?” ammisi.
Lei arrossì
leggermente. “Non è nulla di che, lo trovo abbastanza
semplice e banale. Ti dirò, forse è il testo che mi
convince meno dell'intero album.”
“Però adoro il
suo significato, le immagini che hai utilizzato. E la storia che hai
raccontato.”
Lei scosse appena il capo,
sempre più rossa in viso. “Ero particolarmente ispirata
in quel periodo. Racconta della mia prima – e per ora unica –
storia importante e seria con un ragazzo. Lui si chiamava Jared, ci
siamo conosciuti a scuola e la nostra relazione è andata
avanti per due anni e mezzo. Ma lui era profondamente egoista e
infantile, metteva sempre se stesso davanti a tutto e tutti, mentiva
in continuazione perché non voleva che lo lasciassi... io ho
provato in tutti i modi a stargli accanto, pensavo che questo suo
atteggiamento dipendesse dal fatto che fosse ancora un ragazzino. Ma
lui non è cresciuto e alla fine mi sono stufata. Da allora ho
imparato una lezione importantissima: è sbagliato trascurare
se stessi per compiacere gli altri, sacrificarsi e soffrire per poi
non essere ripagati.”
Sorrisi. “Cazzo se è
sbagliato. La tua felicità viene prima di ogni altra cosa!”
“Che dici, vuoi
ascoltare la terza?” tagliò corto la ragazza,
leggermente in imbarazzo.
“Certo!”
The
Soul of Souls stava ormai per
volgere al termine. Negli auricolari risuonava una dolcissima ballad
che parlava del rapporto speciale che univa i componenti della band.
Si intitolava, appunto, Souls.
Ellie dormicchiava
scompostamente sul suo sedile, sicuramente distrutta dalla noia del
viaggio.
Io
invece, in quell'ultima oretta, mi ero divertito un sacco. Avrei
voluto rimettere l'intero album dall'inizio, tanto mi era piaciuto.
Reggae, rock, metal, punk, pop, funk e persino un po' di rap: i Souls
mischiavano qualsiasi cosa gli andasse a genio. Ascoltarli era una
sorpresa continua.
Al termine dell'ultimo
brano, decisi di non risvegliare la ragazza e attesi che la playlist
musicale del suo cellulare mi proponesse qualcos'altro da ascoltare.
Rimasi
abbastanza sorpreso di trovarvi un brano che non sentivo da anni: The
Reason degli Hoobastank. Ancora
una volta mi soffermai sul testo, che non ricordavo quasi per niente.
Ho
trovato una ragione per me,
recitava il ritornello, per cambiare ciò che ero
abituato a essere, per ricominciare. E la ragione sei tu.
Osservai il volto disteso di
Ellie, i capelli castano chiaro che aveva lasciato sciolti glielo
incorniciavano dolcemente. Contemplai la sua pelle chiara, le sue
labbra sottili, il suo naso leggermente all'insù, le sue
ciglia lunghe e chiare.
E pensai che forse gli
Hoobastank avevano ragione: avevo trovato una ragione per smussare
gli angoli più spigolosi del mio carattere, per essere una
persona migliore e meno impulsiva. E la mia ragione era Ellie.
Ce l'avrei messa tutta,
'fanculo l'orgoglio e le incertezze.
♫
Shavo ♫
“Shavo.”
“Cosa c'è?”
“Non riesco a dormire.
Avrò le occhiaie fino al mento quando scenderemo da questo
fottuto aereo.”
“Sono scomodo?”
“Sei un po' troppo
duro. Dovresti ingrassare.”
“Vaffanculo, potevi
chiedere a John di farti da cuscino.”
Johanna, in tutta risposta,
sbadigliò. Dopo dodici ore di viaggio e innumerevoli cambi di
posto, eravamo finiti uno accanto all'altra e lei aveva ben pensato
di stravaccarsi addosso a me e provare a dormire. Aveva sfidato
chiunque a tutti i giochi di società che si era portata
appresso, aveva ascoltato musica, aveva guardato il film che ci era
stato fornito dalla compagnia aerea. Ma il viaggio ancora non era
finito e lei non ne poteva più.
La capivo benissimo, mi
sembrava di impazzire a mia volta.
“Sako?” chiamai
il mio amico, che era perso nei suoi pensieri con la faccia incollata
al finestrino.
“Cosa vuoi?”
rispose lui in tono piatto.
“Ti prego, metti su un
po' di musica. Sto per impazzire.”
“Forse sarebbe meglio
fare come Serj, che intavola conversazioni con tutti i passeggeri del
volo” borbottò Johanna divertita.
Ruotai il capo per lanciare
un'occhiata alle mie spalle: proprio in quel momento il cantante
stava conversando serenamente con il tizio che ci aveva riconosciuto
e voleva fare la foto con noi.
“Voglio scendere da
questo cazzo di aereo, non ne posso più!” esplose Jacob,
che stava nei sedili di fronte ai nostri accanto a Noah. Il
chitarrista dei Souls era isterico, era la prima volta che lo vedevo
in quello stato.
“Datti una calmata. Io
sto combattendo contro la nausea da dodici fottute ore, eppure non mi
lamento” ribatté Noah, anche lui sfinito e irritato.
Era la prima volta che
affrontavano un viaggio così lungo, sapevo che per loro non
sarebbe stato facile.
“Ma non ce la faccio
più, mi sta per venire una crisi isterica. Ho bisogno di
aria!” sbottò ancora Jacob.
“Prova ad affacciarti,
vediamo che succede” lo punzecchiò ironicamente Noah.
“Grazie, tu sì
che sei d'aiuto.”
“Nemmeno tu sei
d'aiuto, Jacob Murray. Se continui a strillare così, ti faccio
prendere sul serio una ventata d'aria fresca” intervenne
Johanna spazientita.
“No, allora, basta
discutere. Ora mettiamo su una canzone rilassante e prendiamo un
respiro profondo” affermò Sako in tono pacato, sperando
di riuscire a placare la discussione.
Collegò la sua
adorata cassa al cellulare e nell'aria si diffusero le prime note di
una canzone dei Beatles.
“Oh mio dio, ci
mancava solo questa disgrazia!” esclamò Jacob battendosi
una mano sulla fronte.
“Ah, ma hai sempre da
ridire?” lo rimproverò Noah.
“Jake, non ti
piacciono i Beatles?” m'informai, sorpreso.
“Li detesto.
Spazzatura musicale. A 'sto punto preferirei ascoltare i Jonas
Brothers.”
“Ma no, Jacob, sei
blasfemo! I Beatles sono la storia della musica, John Lennon era un
genio!” obiettò Sako.
Il chitarrista scoppiò
a ridere. “Lui sarebbe un genio? Guarda alle tue spalle: c'è
Serj, che è davvero un genio. Freddie Mercury era un genio.
Mick Jagger è un genio. Ma John Lennon no, vi prego!”
“Cos'hai contro i
Beatles? Voglio dire, okay, non ti piacciono, ma non puoi negare che
hanno fatto la storia” mi intromisi.
“Un attimo, Jacob non
ha tutti i torti.” Johanna sollevò la testa dal mio
petto e si raddrizzò sul suo sedile. “A me piacciono i
Beatles, cioè, non sono la loro più grande fan ma
alcune canzoni sono carine. Anche perché Ringo Starr fa
abbastanza cagare in quanto batterista... ma a parte ciò, io
non credo che i Beatles abbiano portato chissà quale grande
rivoluzione. Carini, se contiamo che sono un gruppo anni Sessanta, ma
nulla di eccezionale.”
“Ho sentito bene?”
Daron comparve al mio fianco, in piedi nel corridoio, e fulminò
Jacob e Johanna con lo sguardo.
“Sì, hai
sentito bene” ribatté prontamente la ragazza, sostenendo
lo sguardo del chitarrista.
“Cioè, i
Beatles sono dei fottuti geni, come osate criticarli?” ruggì
ancora Daron.
“Dai Malakian, mi
deludi. Io e te siamo due chitarristi, si può sapere che cazzo
può imparare un chitarrista delle canzoncine dei Beatles?”
si infervorò Jacob.
“Scusate un attimo, io
penso che il gusto personale non c'entri niente in tutto ciò.
Non si può negare ciò che i Beatles sono stati,
l'innovazione che hanno portato!” intervenne Sako.
Mi portai una mano sulla
fronte, esasperato. La situazione stava degenerando, così come
il mio mal di testa, e sinceramente non avevo voglia di seguire
l'ennesima discussione in preda all'isteria.
Mi misi in piedi e cedetti
il posto a Daron, così da potermi posizionare accanto a Ellie.
“Ehilà. Come va
il viaggio?” le domandai.
“Ehi. Finora tutto
nella norma, anche se mi sto annoiando a morte. Sono pure riuscita a
dormire!”
“Beata te. Che hai
combinato con Daron in queste ore?”
“Abbiamo fatto i
cruciverba come ben sai, poi gli ho fatto ascoltare l'album dei Souls
e nel frattempo mi sono addormentata. Infine io, lui e John abbiamo
giocato al gioco dell'Impiccato finché John non è
praticamente collassato sul suo sedile. Poverino, era sfinito!”
A un certo punto mi sentii
picchiettare sulla spalla. Mi voltai e riconobbi Celia, la hostess
bionda che ormai ci assisteva da ore e ore. “Potresti dire ai
tuoi amici di abbassare il tono della voce, per favore?”
“Certo. Perdonali,
sono un po' nervosi dopo questo lunghissimo volo.”
“Non c'è
problema, il punto è che disturbano gli altri viaggiatori. Ora
vi confesso una cosa, ragazzi.” Celia scambiò
un'occhiata seria con me, poi con Ellie. “Non so neanche chi
sono 'sti Beatles di cui stanno parlando.”
Io ed Ellie ridacchiammo,
poi io mi sporsi verso i litiganti e gridai: “Fate silenzio,
porca puttana, altrimenti svegliate John e non so quanto vi
convenga!”.
Proprio in quel momento
l'aereo cominciò a muoversi in maniera sospetta e tutti
ammutolirono, leggermente spaventati.
Un annuncio al megafono ci
avvisò che eravamo incappati in qualche turbolenza di poco
conto; non dovevamo agitarci, ma rimanere ai nostri posti e
allacciare le cinture in attesa che tutto tornasse regolare.
“Ehm... tizio col
pizzetto intrecciato...” richiamò la mia attenzione
Celia.
“Mi chiamo Shavo.
Comunque, sì?”
“Penso che il vostro
amico stia per vomitare” affermò accennando a Noah, per
poi correre via verso la testa dell'aereo.
Oh cazzo.
Quando scendemmo dall'aereo,
dovetti trattenermi dal baciare il suolo. Ero talmente stanco e
provato che non ricordavo più nemmeno il mio nome.
Tuttavia dovetti affrontare
un gruppetto di fans che ci avevano riconosciuto; erano piccoli,
avevano all'incirca diciassette anni, sapevano dire solo qualche
frase in inglese e con un forte accento francese. Probabilmente
facevano parte di una scolaresca in gita.
Scattai qualche foto con
loro – non ero sicuramente presentabile, ma loro parevano
comunque contenti – e trascinai il mio trolley fuori
dall'aeroporto, dove alcune auto ci attendevano.
Nel viaggio fino
all'albergo, dormii con la testa contro il finestrino. Non ero
nemmeno in grado di capire in compagnia di chi stessi viaggiando.
Una volta all'interno della
hall del nostro albergo, mi gettai su un divanetto e sperai che
qualcuno andasse a fare il check-in al posto mio.
Nessuno mi rivolgeva la
parola e io non rivolsi la parola a nessuno. Ero troppo stanco anche
solo per aprir bocca.
“Ragazzi, abbiamo un
problema!” esclamò a un certo punto Beno, attirando la
nostra attenzione.
Mi sforzai di tendere le
orecchie e ascoltare ciò che stava dicendo.
“Ci sono dei problemi
con la prenotazione.”
“Che tipo di
problemi?” volle sapere John, che tra tutti sembrava quello più
riposato. Del resto lui aveva dormito per almeno quattro ore in
aereo.
“Non appariamo
nell'elenco delle prenotazioni. Il punto è che l'albergo è
quasi tutto pieno, sono rimaste solo due stanze doppie.”
Mi riscossi di colpo e
scattai in piedi. “Cosa? Ci prendi per il culo?”
“E dove dovremmo
dormire noi stanotte?” sbottò Johanna con disperazione.
♪
♪ ♪
Ciao
ragazzi, eccomi con un nuovo capitolo di Hoginery!
Innanzitutto
vi do una soluzione del cruciverba che non ho inserito nel corso del
capitolo, nel caso foste curiosi: le città-stato dell'Antica
Grecia sarebbero le poleis XD
Le
altre le ho inserite già nel testo. Chiaro, Shavo? La capitale
del Perù è LIMA, non RIGA!!! :'D
Poi...
conoscevate le canzoni che ho citato? Crazy degli Aerosmith e
The Reason degli Hoobastank? Quest'ultima mi sembrava perfetta
per descrivere i pensieri di Daron!
E,
a proposito di canzoni... come mai ho scelto questo brano dei Dub
Inc? Perché parla di viaggio (come avrete intuito dal verso
che dà il titolo alla canzone. E poi ha un mood rilassante, ce
lo vedo bene per un viaggio in aereo! Se l'avete ascoltatela, ditemi
sinceramente che ne pensate; a me piace TANTISSIMO!!!
Il
testo della canzone dei Souls l'ho scritto io. Forse non è
grammaticalmente corretto in inglese e mi rendo conto che lascia
parecchio a desiderare, ma vabbè, ci ho provato :D
Vi
voglio confessare una cosa, la penso da molto e penso sia giusto che
la sappiate: non sono tanto soddisfatta dell'andamento di questa
storia. Penso di aver sbagliato qualcosa nella stesura, perché
non mi convince troppo.
In
ogni caso, sono qui per rassicurarvi e non per autocommiserarmi:
finalmente è arrivata quella che io considero la parte forte
della storia, ovvero il tour. Vi assicuro, vi prometto e vi giuro che
da adesso in poi succederanno tante tante cose, i rapporti tra i
personaggi si evolveranno, tante cose verranno a galla. Forse, dopo
33 capitoli non troppo brillanti, posso affermare che stiamo entrando
davvero nel vivo della storia!
Allora...
come faranno i ragazzi a risolvere questo casino dell'albergo? Dove
dormiranno? Eheheheh :D
Non
posso che ringraziarvi per il supporto costante, davvero, ve ne sono
infinitamente grata. Senza di voi non sarei qui, senza di voi avrei
gettato la spugna, invece con il vostro entusiasmo siete riusciti a
trascinarmi fino al capitolo 33. Ed è per voi che andrò
avanti, fino alla fine della storia, anche quando l'ispirazione verrà
meno, anche quando sarò disperata e mi verrebbe voglia di
cancellare tutto.
Grazie.
Non ci sono parole per dirvi quanto vi adoro :3
Alla
prossima, nella speranza di riuscire a sorprendervi e a
coinvolgervi!!! ♥
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3657466
|