Oltre le apparenze.

di __f__r__a__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L' inizio di una ricerca: introduzione ai miei pensieri. (Anno 2013) ***
Capitolo 2: *** Incontri impossibili ***
Capitolo 3: *** Liberi di amare. ***



Capitolo 1
*** L' inizio di una ricerca: introduzione ai miei pensieri. (Anno 2013) ***


 
Pensieri. 2013
 
 
 
Chi sono io?
Cosa sono io?
Sono seduta su questo sgabello, le mie mani sono già 
posizionate sui tasti del pianoforte davanti a me.

I tasti sono i suoi denti, legati alle corde vocali; la coda è la sua schiena e i pedali i suoi piedi.
Tasti bianchi e neri che raccontano una storia, ognuno di loro ha qualcosa da dirmi, bianchi e neri come i colori di un vecchio film dimenticato su uno scaffale.
Parlano tutti insieme, confondendo la mia mente.

Non riesco a mettere a posto i pensieri!
Ogni nota penetra e tutte insieme riempiono quella che non è altro che una scatola vuota: la mia testa.
Vi regna il caos. 
Urlo, il pianoforte tace.

Tutto tace.
Eppure il caos regna ancora dentro di me...
Il Nulla ha costruito la propria dimora nella mia testa e in fondo cos'è il ''caos'' se non qualcosa di disordinato?
E cosa esiste di più disordinato del nulla?
Come si fa a ordinare qualcosa se non c'è niente da ordinare?
Voglio suonarlo: il pianoforte è lì e mi tenta. Si vede che è molto vecchio, ma brilla ancora, la luce in quella stanza è tutta puntata su di lui. Era lui la star, era lui il re di quella stanza.
Voglio suonarlo, in modo tale da raccontargli la mia storia, poi lui la condividerà con il prossimo che si siederà, come me, su questo sgabello. Allo stesso modo io ascolterò qualsiasi storia lui voglia raccontarmi.
Ecco che alzo il dito indice ma non pigio sul tasto. Non so da dove cominciare.
Per poterlo fare dovevo prima rimettere a posto i pensieri, per poter raccontare tutto con ''ordine''.
Sono qui ferma, immobile. I minuti continuano a scorrere veloci e comincio a non interessarmene più.
Mi sto perdendo.
Ad un tratto il mio dito cade e ''LA''.

I miei occhi si spalancano e il suono si diffonde in tutta la stanza.
“LA”.
Un’onda sonora, meccanica, longitudinale.
Una perturbazione che si propaga nella mia testa, che si fa spazio tra i miei pensieri e ammutolisce per un solo attimo le voci che ho nella testa.
Si propaga, lo fa con una propria frequenza, con una propria lunghezza d’onda, quasi come se fossero delle caratteristiche personali, tratti somatici capaci di renderla unica nel suo genere, unica nel proprio timbro. Attraversa il mio corpo, così come attraversa l’aria umida che mi avvolge.
Una nota, la mia preferita, non so per quale motivo e non voglio saperlo: mi spaventa l’idea che la scienza possa spiegare tutto, da un qualsiasi fenomeno atmosferico a ogni tipo di impulso, di istinto, di sentimento. Questa assurda tendenza a voler sottoporre tutto a un’analisi che secca, inaridisce e isterilisce ogni cosa, rendendola ovvia, logica, fredda, oggettiva, impersonale, “sensata”. Un’attività mentale che esclude l’uomo dalla propria vita, dall’esistenza, dall’essenza ultima delle cose, dall’intimità impalpabile nascosta al di là delle apparenze.
E anche io divento un’esule, contagiata da questo meccanismo innaturale, mentre la vita continua a pulsare fuori di me, lontana e irraggiungibile.
Non so se ho più paura del fatto che tutto potrebbe avere, potenzialmente, un senso o della possibilità che tutto potrebbe essere perfettamente fine a se stesso, privo di senso.
Riflessioni che raggelano i sentimenti.
Più che vivere, mi osservo vivere.
Ecco la storia.
Il primo tassello del puzzle si muove e trova il suo posto.
Chiudo gli occhi e lo vedo: era lì davanti a me ed io col capo chino guardavo la punta delle sue scarpe gialle.
Poi non ricordo altro che queste parole:
-''Ha piovuto, la panchina è bagnata...Tutto è bagnato''
-''E allora? Soffiamo. Prima o poi si asciugherà'', mi rispose, come se credesse davvero che ci fosse una soluzione a tutto, a tutto tranne che per una cosa.
Potrei considerare questo piccolo frammento come il momento in cui gli eventi che hanno caratterizzato la mia vita, abbiano cominciato ad assumere rilevanza, per quanto la vita di una persona possa avere effettivamente “rilevanza”, sotto questo cielo.

 E con il ripresentarsi di questa scena nella mia mente, con essa compare ogni volta, nuovamente, il rifiuto di pensare e batto forte le dita su quei tasti.
Il pianoforte non suona. 
Sopra di esso è  incisa una frase: 
''UNA STORIA PER UNA STORIA''.
Da quello strumento così vivo per me, ma allo stesso tempo morto per molti altri, comincio a cercare risposte:''Cosa c'è da dire? Cosa vuoi sapere? Non ha senso rimembrare il passato.''.
Mi rispose ''Tutto passa: il tempo, le parole, le persone... Siamo solo passeggeri e viaggiamo su un veicolo troppo veloce e troppo ingiusto. Si chiama 'Vita'. Ora dimmi: se tutto passa, che senso ha vivere?''
Cosa ne poteva sapere lui? Era un pianoforte.
E io ero io. 
Ero solo io. Sì, io, ma io chi?
Non sono altro che mucchio di ossa, carne e pelle. E' inquietante a dirlo così. Eppure… è così?
Chi sono io? 
Non sono altro che qualcosa che può avere tanta influenza sul mondo quanto quella che potrebbe avere un ... Sassolino. Come tutti voi altri. 
Viviamo attraverso schemi, programmi. Nulla più viene lasciato al caso.
Non esiste più la semplicità di un gesto quotidiano. Tutto è una forzatura.

Bisogna alzarsi la mattina per essere quello che la società ci obbliga ad essere.
Guardami. 
Non sono altro che una comune mortale.
Sono tutta io. La mia personalità non è altro che un barattolino di tintura per capelli.
I miei occhi non sono altro che il colore o la forma che voglio dargli.
Le mie labbra sono nascoste dietro un rossetto troppo rosso.
Ed il mio viso è dietro una maschera troppo spessa.
C'è un involucro intorno a me.
Neanche le lacrime possono uscire. I robot non piangono.
Le lacrime sono cristallizzate e racchiuse dentro di me.
Tengo tutto dentro di me.
Si dà troppa importanza all' aspetto fisico perché non si riesce più a vedere quello che c'è dentro. 
Quello che dicono, per me, ha troppo peso.
Ma loro non sanno chi sono. E se loro non lo sanno, come potrei saperlo io?
''Se non so chi sono come posso raccontarti la mia storia?''
''Prova a dirmi chi sei.''
''Sono solo il riflesso di ciò che gli altri hanno lasciato in me.''.

 

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Capitolo 2
*** Incontri impossibili ***


Sembrava che stesse per piovere. A volte basta solo una semplice telefonata, un messaggio. A volte non tocca a noi decidere. Un imprevisto ci precipita addosso e i nostri piani vengono cambiati, distrutti, ribaltati da sopra a sotto, rovesciati come un bicchiere lasciato sul bordo di un tavolo. Tu sei molto cauta abitualmente: lasci il bicchiere nella parte più interna del tavolo. Il più delle volte, infatti, non è colpa tua: arriva qualcuno che in maniera del tutto indifferente e imprevedibile sposta il bicchiere ed esso immancabilmente… Cade. Tu non potrai farci niente, accetterai le conseguenze, in silenzio, senza fare storie perché è così che fai, di solito. A volte sono una serie di coincidenze a determinare il tuo futuro, alcuni le chiamano destino, altri caso. Rassegnata, anche ‘sta volta, senza risentimenti, sei stata costretta a prendere una strada diversa da quella che ti eri prefissata di percorrere. E una parte di te già aveva intuito che questo nuovo sentiero ti avrebbe ricondotta alla via, che in tempi precedenti, impalpabili ed evanescenti, avevi deciso di abbandonare a causa dell’ impossibilità del percorso quanto per la necessità di fuggire davanti a un ostacolo troppo alto per essere oltrepassato. Appoggi il libro che avevi in mano sul comodino, sei riuscita a leggere appena le prime pagine. E’ possibile scorgere il disegno di una farfalla sulla copertina ed il titolo in caratteri corsivi, ma non l’ autore: Incontri Impossibili. Hai una strana sensazione dentro, forse sono proprio farfalle. Dai un’ occhiata veloce al cielo, affacciandoti alla finestra: “Pare che il tempo regga” pensi, e sarà proprio così. Chi è abituato a vivere nelle tempeste impara ben presto a prevedere sia il bel tempo sia le catastrofi. E così butti un sguardo nella tua mente e percorri col tuo pensiero ogni singolo gesto, ogni azione che intraprenderesti se solo decidessi di uscire dalla porta di casa tua, con la consapevolezza che ti sei fatta bella ancora una volta per lui e non per altri. Ti stai preparando con un po’ troppa cura, non credi? In fondo è solo una serata tra amici, come tutte quelle che ci sono già state. In ogni caso non è lì che dovevi essere: avresti dovuto passare la serata con il tuo ragazzo. E’ rischioso tornare sul luogo del delitto per un assassino, ma anche per una vittima, e tu lo sai bene: sei tu la vittima e pensi: “No, ‘sta volta sarò io a decidere le regole del gioco”. Non stai mentendo, ne sei convinta davvero. Non avrebbe dovuto avere degli imprevisti quel giorno, il tuo ragazzo. Ogni dettaglio, ogni particolare. Con attenzione quasi maniacale curi ogni parte di te, per quanto piccola o nascosta possa essere. E così esci di casa, fingendo di non avere fretta. Porti l’ ombrello, “Non si sa mai” pensi. Cosa ci avresti mai potuto fare con un ombrello? Stavi andando in un luogo chiuso, di solito non piove nelle case delle persone, ma tu sei previdente. E’ un’ aria stranita di sogno, ti ci hanno immersa e tu non hai rifiutato, ti ci sei buttata dentro, e i colori non cambiano in maniera graduale: lì, in quel luogo, tutto possiede un proprio colore, anche l’ essenza impercettibile dei ricordi si manifesta, e lo fa attraverso le sfumature cupe, che il cielo perturbato, penetrando dalla finestra, le concede. Il colore del tuo maglione, un rosso così acceso, che avevi scelto con tanto affetto, stona in quest’ atmosfera così vera e impregnata di un desiderio incolmabile. Hai semplicemente bisogno di un po’ d’ aria? Ne sei così sicura? Esci fuori al balcone con la scusa di fumare la solita sigaretta. Una al giorno, non una di più, non una di meno, sempre, perché tu sei precisa. La vista era spettacolare, quel piccolo terrazzo era come una finestra su un mondo, su un mondo che avevi condiviso con una sola persona in vita tua, e quella persona era lì, nella stanza retrostante, persa a fissare i lineamenti della tua schiena, l’ onda in cui si infrangevano i tuoi capelli color biondo cenere sulla curva del tuo collo sottile, delle tue spalle spigolose, fino ad arrivare ai tuoi piedi così piccoli ed eleganti rispetto ai suoi. Beh, ovvio, per arrivare ai piedi bisogna passare per le gambe e ancor prima per il fondoschiena, inutile prendersi in giro. Non ci sono segreti tra voi, non ci sono muri dietro i quali potersi nascondere, non c’è “niente da fare”, come lui stesso amava dire. Volgi ancora una volta lo sguardo al cielo, come se per te fosse diventato un rituale, quasi apotropaico. Sì, è proprio così, l’ invidia delle persone è in grado di portare grandi dispiaceri a volte. E tu, tu sai difenderti bene, non è così? E’ il vostro segreto, al quale forse lui non ha mai creduto, ma che importa? “Regge ancora il tempo, ma per quanto?” Hai quasi finito la tua sigaretta, cos’è? Hai fretta? Senti il contatto dei suoi occhi sulla tua schiena, i rintocchi dell’ orologio scandiscono i vostri respiri affannati, come se una voce in lontananza vi stesse ricordando che tutto questo non sarà eterno: presto, dopo aver lasciato correre quegli attimi, senza esservi opposti minimamente alle leggi che governano un mondo che non è il vostro, vi ritroverete al di fuori, al di sopra delle parti a dire: “Tutto questo l’ ho scelto io”. Le cicce cadono a terra, l’ aria fredda scende verso il basso, ed è quello che voi cercate, giusto? Non ci si può sentire riscaldati se non si ha freddo. I vestiti cadono a terra, con le mani percorrerete reciprocamente i vostri corpi, scendendo verso il basso. I suoi capelli… Hai quasi paura di sfiorarli. Ne hai toccati tanti di capelli, ma neanche uno era come i suoi. Aveva smesso di toccarti già da un po’, sentiva solo il desiderio di verificare che tutto fosse rimasto al proprio posto, uguale ed immutato, come lui lo aveva lasciato in qualche vita precedente. Ora le sue mani grandi sono sul tuo viso, accarezzano delicatamente le tue guance, le tue orecchie, e avvolgono perfino il tuo collo. Il tuo viso stretto nelle sue mani, come se ti stesse supplicando: “Ti prego, non andartene!”. Sì, le sue mani sono grandi, nessuno potrà farti del male finché ci sarà lui con te. Siete dolci, in quell’ abbraccio che non lascia via di scampo. Il suo naso cerca il tuo, si sfiorano con la punta e con gli occhi socchiusi osi guardare le sue labbra: S o r r i d o n o. Un sorriso che parte dall’ orecchio destro e che finisce al sinistro? O viceversa? Chi può dirlo. Una cosa è certa: sorriso più bello di quello non lo avresti trovato, neanche se avessi cercato in tutto il mondo. Senti il cuore che batte dentro il petto, piggia, bussa come se volesse chiederti: “Apri la porta, voglio uscire un po’!”, urla così forte che per un attimo hai pensato di morire. ♠ S T A I S O R R I D E N D O ♠ Un bacio, un bacio dopo l’ altro, lenti e intensi. Siete nudi, senza coperte, è inverno ma voi avete caldo. Avete tolto anche i calzini, spogli di qualsiasi cosa perché ‘sta volta avete deciso di fare con calma, senza il rischio di essere scoperti, come quando eravate solo due ragazzini che amoreggiavano in un parco. E’ notte: fuori ha cominciato a piovere. Adesso non avete più fretta, siete nel vostro mondo, e qui, le regole le decidete voi. Fissi ancora una volta il cielo come se stessi cercando una risposta. Indaga te stessa, non il cielo. “Pare che il tempo regga…” Adesso tocca a te, puoi decidere: Puoi scegliere di cercare la tua storia in un libro. Oppure esci e vivi il tuo Incontro Impossibile ? -fine

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Capitolo 3
*** Liberi di amare. ***


~ Liberi di amare~   Incontri impossibili pt.2 (2015)
 
“Stacco la spina.                                                                                                                                                                     Questa volta scappo via.
Già.
Questa volta lo faccio. Ho bisogno di un po’ d’ aria.
L’ho detto, per cui se l’ho detto, lo faccio.
L’ho detto? Sì, l’ho appena scritto, no?
Penso che arrivi per tutti questo momento: nella vita, prima o poi, succede. Succede cosa?”

 
Tu… Beh tu eri diversa dalle altre. Tutti siamo diversi, gli uni dagli altri. Mi piaceva il tuo modo di essere diversa. Ci hai mai pensato? Siamo così complicati noi esseri umani. Siamo una combinazione di tante cose. Forse sogni,chissà…                                            Ho sempre provato un po’ di invidia nei confronti degli altri, per qualsiasi motivo, anche stupido, ma non per te. Semmai, curiosità.
Noi uomini ci fottiamo da soli, siamo delle fottute creature, delle fottutissime creature. L’ignoto ci impaurisce, ci innamoriamo per poco, perché nessun sentimento è definitivo, e le nostre passioni ci divorano, vogliamo sempre ciò che non possiamo avere. Perché dobbiamo essere puniti così? E’ a causa di quale crimine commesso in esistenze passate? E poi… Siamo così fragili! Potremmo morire di qualsiasi cosa, se solo lo volessimo: niente ci uccide come i nostri stessi pensieri.                                                                     Non ci accontentiamo mai, vorremmo avere tutto, vorremo essere noi stessi ma giuro, non esiste un giorno, non uno solo, in cui non desideriamo essere diversi da noi stessi, anche solo per toglierci lo sfizio di provare a essere un altro.
Esistere.
Esistere è quello che desideriamo tutti.                                                       E questo non ci basta, noi vogliamo essere felici, e lo sapete perché?                         Perché non potremmo mai esserlo. Noi uomini siamo dotati di molta fantasia, inventiamo tante belle parole, come ad esempio: felicità, libertà, verità, eternità …Con tanto di accento sulla ‘A’, solo perché ci piace enfatizzare: ci fa provare quel brivido che ci serve. Quando stiamo male invece l’ unica cosa che desideriamo è scomparire, non morire, ma proprio scomparire, scomparire per non apparire mai più, nemmeno in un altro posto.
Semplicemente non esistere.
Dici che è un paradosso? Non c’è vita dove non subentra contraddizione.                     Ognuno ha il suo modo di essere Sé ed è questo che ci rende tutti diversi, ognuno ha quelle proprie caratteristiche che non potranno mai essere né vendute né comprate. Insomma, non so se mi spiego, forse è un po’ contorto … Ma per farla breve ognuno di noi ha qualcosa che nessun altro potrà mai avere. Ecco perché li invidio, li odio, in fondo in fondo, un po’ tutti … Ma non te. Giuro, non ti ho mai odiata, nemmeno per un attimo!                                   Sentirsi inferiori agli altri? La storia di una vita, la mia vita. Se tutti noi ci volessimo più bene e passassimo più tempo ad amare ed apprezzare i difetti degli altri invece di odiare e invidiare le doti altrui, questo problema non ci sarebbe e il mondo sarebbe migliore. Il punto è: come si fa ad amare gli altri? Come si fa ad amare se stessi?  Che siamo tutti un perfetto disastro, un pastrocchio improponibile, un miscuglio di tanti colori inesatti eppure bellissimi, casuali e per questo imprevedibili.
 Quella di poter capire o intuire o prevedere qualcosa non è altro che un’apparente consolazione, necessaria per ignorare la consapevolezza, che inevitabilmente tutti abbiamo, che potenzialmente si può conoscere tutto e tutti, ma nessuno sa in realtà assolutamente niente rispetto alle infinite combinazioni che crea la vita, il destino, il caso (?) Rispetto alle interminabili sfaccettature dei sentimenti e di ciò che ne scaturisce, delle capacità umane. Cos’è che sfugge alle capacità umane? Non so, sicuramente tutto e niente, ma tra questo tutto e niente a me sfuggi tu.                   
Mi sei sempre sfuggita.                                                                       Eppure se si scava bene, c’è sempre qualcosa scritto nel nostro codice, anche una singola lettera, nascosta in fondo alla nostra anima che ci accomuna a un altro, nonostante le infinite diversità che ci distinguono. Mi piaceva il tuo modo di essere diversa da me. Mi piaceva il modo in cui riuscivo a vederti ‘simile’ a me.

 
Per quanto potesse essere insicura, timida, introversa… Si era sempre fatta valere e non era mai fuggita davanti a nulla. Sì, perché era coraggiosa e se è per questo lo è ancora e non smetterà mai di esserlo. Nonostante tutto, lei riesce ancora a sognare e non potete avere idea di quanta forza sia necessaria per farlo. Questo ho voluto specificarlo affinché nessuno possa mai fraintendere il suo gesto: non è scappata da una decisione, lei sa che scappando non si risolve mai nulla. Non si può superare un malessere che nasce da dentro rifugiandosi altrove.
Lei, semplicemente, ha deciso di andarsene.
Solo per un po’ però, anzi per pochissimo, per poi tornare.
E non voglio nemmeno che voi fraintendiate me: questa non è una storia triste. Non mi sento di definirla nemmeno ‘felice’, perché io alla felicità non ci credo, ‘umana’ è l’aggettivo che la dipinge meglio. A dire il vero, questa forse non è neanche una storia.                     
 Lei non ha mai giudicato gli altri. Non voglio idealizzarla ma davvero penso che non l’ abbia mai fatto. Forse raramente. “Non capisco neanche me stessa, come potrei capire gli altri?” Eppure lo faceva: lei capiva gli altri, o per lo meno ci provava. Adesso era arrivato il momento di capire se stessa. Succede che questo momento arriva, come quando un quadro cade, tanto per citare Alessandro Baricco:
A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'é una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'é che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buonanotte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran. Non si capisce.
È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave".
Ci rimasi secco.”

Quando lei, d’un tratto, capì se stessa e gli gridò: “Baciami!”
Ci rimase secco.
Il vento, a forza di prenderla a schiaffi, asciugò la lacrima che le era sfuggita dall’occhio destro, l’unica lacrima, caduta così, quasi senza motivo, come quando un quadro decide di cadere. Forse si sentiva troppo sola in quell’ occhio così grande, così profondo, così infinito… Allora aveva deciso di buttarsi. E giù! Via per sempre. Era arrivato il momento anche per lei! Facendo pressione sulle cosce si alzò e cominciò a pedale con forza, sfrecciando via veloce con quella sua bicicletta verde e arancio. E così, come stavo dicendo, il vento prosciugò quella lacrima. A parte tutto, con quel caldo, era davvero piacevole: quella sensazione di inarrestabilità. Era incredibile, non penso esistano parole adatte a chiarire meglio questo concetto, avete presente un wormhole? Di certo lei in un wormhole non c’era mai stata ma avrebbe giurato che a correre via veloce con una bicicletta ci si sente come quando si è inghiottiti da un wormhole. Ovviamente non parlo di buchi di vermi ma del ponte di Einstein: una “scorciatoia” da un punto dell’universo a un altro.
Poi si ferma.
Bum.
Di colpo finisce tutto. Quando si arriva a destinazione quella magia svanisce. Tu credi alla magia?                                                        
Mise il primo piede a terra e poi anche l’altro, si tolse le scarpe buone e le accantonò lì, per terra, vicino i secchioni della spazzatura, insieme alla bicicletta. Guardò davanti a sé e per un attimo si sentì smarrita: fece un passo, poi un altro, poi un altro ancora, lentamente ma senza fermarsi, fino a che arrivò a riva, quel breve tratto che separa la terra dalle acque. A vederla, in quel momento, nessuno avrebbe pensato che quel gesto fosse premeditato. Peccato solo che quel cielo fosse rosa e che lì non ci fosse nessuno, assolutamente nessuno. Non ancora.                                      
Si tolse prima i pantaloni, poi gli slip, poi la maglia e ciò che le rimaneva della biancheria, lanciò i suoi vestiti su uno scoglio e continuò a camminare.                                                                                          
Un gesto apparentemente insignificante ma così poco conforme alla sua natura, tanto che se qualcuno fosse stato lì, qualcuno che la conoscesse, non l’ avrebbe di certo riconosciuta: si era spogliata proprio di tutto, dei vestiti, dei comportamenti, dei pensieri, del passato, della sua stessa vita. E chi l’ avrebbe mai riconosciuta? Forse uno sì, e fin dal primo istante, senza indugi né dubbi o incertezze. Perché per certe cose non esiste via di mezzo: o sono nere o sono bianche e non c’è spazio per il grigio o altre sfumature. Una persona se la conosci, la conosci e la riconosci sempre, comunque e ovunque, in pochi istanti, anche al di fuori di casa sua, al di fuori delle sue abitudini, senza stupirti mai delle sue parole, delle sue azioni… E senza smettere mai di stupirti. Ci scappa il paradosso? L’amore non vive se non è contorto. Ed è qui l’ inganno, è qui che resti fregato, quando ti accorgi che quella persona non può stupirti più eppure continua a farlo. Non esiste vita senza contraddizione. E cos’è l’ amore se non conoscenza intima e perfetta dell’anima di un uomo? A noi uomini puoi toglierci di tutto infatti, come quando lei togliendosi i vestiti si è liberata di ogni cosa, compreso il passato e  le transizioni poste dal tempo. Siamo fatti a strati, e puoi provare a sfilarli uno a uno come se fossero vestiti e poi lo sai che resta?

L’ anima.
Che cos’è l’ amore se non vita? E l’amore si nutre di ingiustizie e paradossi, sempre. Perché l’ amore è dubbio e l’ho detto già prima: la verità se l’è inventata un giorno un illuso.                                      
Quindi lui la vide. E vide lei, non una sconosciuta.                                 
Quando uscì dall’acqua, vide le goccioline scivolare veloci lungo il proprio corpo, partendo dai lunghi capelli biondo cenere tesi sulle curve del proprio corpo magro e slanciato, passando per la schiena e contemporaneamente sulla pancia, oltrepassando l’ ombelico, mentre alcune scorrevano già sulle ginocchia per arrivare ai piedi. Che impressione faceva a vederli così bianchi quei piedi, e pensò per la prima volta e solo adesso qualcosa: “Menomale che non ho uno specchio, a guardarmi così in queste condizioni… Forse mi spaventerei. Non penso che il mascara e la matita nera siano stati così cortesi da scendere fino a terra insieme alle goccioline”, come se fosse tornata in sé. Ci preoccupiamo sempre del nostro ‘strato’ più esterno… Noi:                      
 poveri uomini!                                                                                             
Qualcuno che non la conoscesse, a vederla in quel momento, avrebbe sicuramente pensato che avesse i capelli lisci. O forse, come è più logico ammettere: a vedere quella scena un uomo non si sarebbe di certo preoccupato della forma che avrebbero assunto i suoi capelli una volta asciutti, era così bella.                                                                            
Era per dire che lui riconobbe immediatamente in quella massa bagnata e dritta i suoi capelli. Se lo sentì dentro. 
Certe cose uno se le sente.                                                                                    
In ogni caso, tanto per puntualizzare ed essere precisi, noi uomini non siamo fatti per la logica, siamo fatti per tante cose, chissà… Per sognare forse, ma per la logica proprio no. O forse, è solo che la logica non fa per me.

 
-Hai paura della velocità?
-No. Non so, forse un po’.
-Quando ero piccolo e andavo in auto con mio padre  e lui correva, mi sentivo libero.
-Davvero?
-Sì, ricordo quelle giornate in cui andava tutto storto. Poi salivo in auto con mio padre, che magari era lì ad aspettarmi dietro l’angolo. Preferiva percorrere strade isolate, in modo da poter sfiorare i duecento orari, o poco meno, quanto gli permetteva l’auto insomma… E ricordo il vento venirmi in faccia, anche se non c’erano spifferi. E ricordo il paesaggio che ci sfrecciava affianco, a destra e a sinistra, come se dovessimo venir inghiottiti dalla strada. E io mi sentivo libero, libero da ogni preoccupazione. Libero dalla vita, fino a quando la strada non finiva ed eravamo a casa e man mano ricompariva tutto… Ma stavo un po’ meglio. Non lo scorderò mai, mio padre.
Non smetteva mai di guardare la strada mentre parlava, svoltammo a sinistra in quella macchina bassa e aerodinamica, non sapevo dove mi stesse portando, ma che importa? Poi dissi quasi sottovoce:
-Come in un Wormhole…
-Cosa?
-Niente, lascia stare.
-Non l’ avevo detto mai a nessuno.
-E perché adesso lo hai detto a me?
-That the nights were mainly made for saying things that you can’t say tomorrow day.
-Ah! Perché in inglese?
-Boh, perché fa più figo.
Risi. Quando scendemmo dall’ auto mi accorsi di essere scalza, ma eravamo di nuovo a volare su della sabbia, per la prima volta feci caso a quanto fosse stranamente piacevole sentire i granellini di sabbia che avvolgono le dita dei piedi, quando ci si abitua. Era una spiaggietta strana, piccola, ai piedi di una montagna. Ed erano passate le tre di notte, penso. Eravamo seduti vicino, nascosti una pseudo-caverna bucata sul soffitto. Per arrivarci ci eravamo bagnati fino alle ginocchia. Ed ero lì, a guardare le stelle, con le spalle avvolte nel suo braccio sinistro. Era da tanto che non mi fermavo un attimo a guardare il cielo… Forse era questo quello che mi serviva: fermarmi un momento. E lo feci. Con lui. Non le avevo mai viste brillare così tanto, facevano dei bei riflessi sulle onde del mare. Non c’era la luna quella notte. Non ci dicemmo quasi nulla, per molto tempo non ci guardammo neanche. Non eravamo come due persone che non hanno più nulla da dirsi, al contrario eravamo come due persone che restano vicine, per ore, in silenzio, dicendosi un mucchio di cose.                                           –Tu sai tutto di me. Quello che non sai puoi immaginarlo. Adesso voglio sapere io tutto di te. Allora? Sbrigati, sono le quattro e trentasette, tra poco sorgerà il sole e la notte sarà finita.                                                                                     All’ improvviso uno scroscio. Cominciò a piovere forte. Com’era possibile? Il cielo era rosa la sera prima, lo sanno tutti che quando al tramonto il cielo è rosa ci sarà bel tempo la mattina dopo!                                                                
Scattai in piedi, gli presi la mano e gli gridai “Vieni!”.
-Piove!
-Corri!
Corremmo a lungo, sotto la pioggia, nell’acqua del mare. Corremmo come due idioti!
-La macchina è dall’altra parte!
-Lo so! Continua a correre!
-Per dove?
-Dovrei saperlo?
-Tu sei pazza!
-Grazie!
Non avrebbe mai potuto farmi un complimento migliore, i geni sono tutti pazzi. A volte credo sia meglio essere solo pazzi, senza essere geni.
Poi mi fermai, lui dietro di me ed avevamo il fiatone. In quel momento smise di piovere ed eravamo inzuppati dalla testa ai piedi. Urlò
-Spiegami perché l’hai fatto!
-E’ molto semplice: Volevo vedere com’eri con i capelli bagnati.
Era irresistibilmente sconcertato. Si voltò per guardare l’orizzonte. Ci stavamo ancora tenendo la mano, poi come se avesse fretta guardò me.
-Sbrigati! La luce! Sbrigati, dimmi qualcosa che non potrai dirmi con la luce!
Quasi non c’era tempo, ma le parole non sono necessarie ai sentimenti. Capii che ne bastava una. Ed era una parola nuova, una che non avevo mai detto.

 
Quando lei, d’un tratto, capì se stessa e gli gridò: “Baciami!”
Ci rimase secco.
Sì baciarono e furono liberi. Entrambi. Insieme.   
~Fine.
 
 
 
 
 

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