Cloth Tattoo

di ___Page
(/viewuser.php?uid=663813)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Mi addosso con la schiena al pannello di vetro zigrinato che isola il nostro open space mentre emetto un sospiro che non so nemmeno io se sia stanchezza o sollievo.
Sono innegabilmente esausta, sì.
Ma sono anche immensamente grata a qualsiasi forza superiore sia in ascolto lassù per essere di nuovo al sicuro tra i quattro pannelli del nostro ufficio.
Sapevo, sapevo che il training autogeno di ieri pomeriggio non sarebbe mai bastato per prepararmi psicologicamente a questo incontro.
Yoga. Devo assolutamente provare con lo yoga.
E forse avrei dovuto concedermi una dose più massiccia di nutella a colazione ma in realtà dubito che un picco glicemico avrebbe reso il mio incontro faccia a faccia con Iva meno stressante.
Eppure di solito le riunioni mensili dell’azienda offrono sempre un lauto banchetto di muffin e torte varie e quindi forse, dopotutto, la mia ipotesi che i dolci siano la distrazione perfetta per rendere tutto più tollerabile non è così sbagliata.
Devo provarci la prossima volta.
Anche se spero che non ci sia mai più una prossima volta.
«È stato così terribile?»
Riapro gli occhi e la guardo sconsolata, il cucchiaino colmo di yogurt al mandarino a metà strada tra il vasetto e la sua bocca e l’espressione corrucciata.
«Non c’era neppure Inazuma che la tenesse un po’ a freno.» racconto con un sospiro, staccandomi finalmente dalla superficie alle mie spalle e passandomi una mano sul volto mentre mi dirigo verso la mia scrivania. Scambia un’occhiata con Usopp che ha sollevato il capo dal suo pc e mi osserva con compassione. «Sinceramente non mi è ancora chiaro se la riunione era sul progetto che vuole affidarci o su quanto le calze a rete non passino mai di moda. Non so bene dire di quale dei due argomenti abbiamo parlato di più.» ammetto, sedendomi e afferrando una bottiglietta di succo al mirtillo dal cassetto della mia postazione. «Per non parlare poi della festa da infarto che il KamaBakka ha organizzato per l’Oro Jackson Day!» aggiungo, fingendo sincero entusiasmo per la dettagliata descrizione che Iva mi ha dato del party in questione. Non ci sarebbe niente di male se solo il KamaBakka non fosse il locale più gay di tutta Raftel.
Chiariamo subito, nessuno qui è omofobo, tutt’altro. Anzi, il KamaBakka lo frequentiamo anche ma non in determinate occasioni e l’Oro Jackson Day è una di queste determinate occasioni. Lo sappiamo fin troppo bene quanto sia sottile la linea tra sano divertimento e perversione e vi assicuro che non è affatto piacevole assistere a questo passaggio, come abbiamo imparato un paio di anni fa a spese nostre ma, soprattutto, a spese di Sanji.
«Oh Koala!» mormora Nami, dispiaciuta, prima di scambiare un’occhiata con Usopp.
«Cioè io me ne stavo lì a sorriderle e annuire e cercare di riportarla sull’argomento originario e mi dovevo continuare a ripetere di non immaginare quello che mi stava descrivendo se ci tenevo alla mia sanità mentale ma poi mi sono accorta che aveva una bustina quadrata nei capelli che sembrava l’incarto di una salviettina profumata, avete presente?!, ma poi ho realizzato che era molto improbabile che fosse una salviettina profumata e, santo cielo no!, non volevo neppure ipotizzare come ci fosse finito lì e così mi sono concentrata sulle sue gambe e ho pensato “Oh ma guarda! Finalmente si è convertita alle calze nere tinta unita!” finché non ho realizzato che invece aveva le solite calze a rete! Santo Roger ma cosa ci vuole a farsi una ceretta?!» sbotto, sulla buona strada per un attacco isterico.
Io non sono così. Normalmente io sono una persona positiva, ottimista, mentalmente aperta ed empatica. Ma per farvi capire com’è Iva, pensate a tutto quello che è “normale”. Ora pensate a tutto l’opposto di quello che definireste “normale”. Quella è Iva.  
Nami e Usopp non sanno neanche cosa dire.
Sanno come mi sento e che incubo è stata l’ultima ora e mezza per me. So che lo sanno perché, come dicevo prima, c’eravamo tutti all’Oro Jackson Day del 2015. Nessuno dei tre è rimasto fuori dal locale quando c’è stato da andare a recuperare Sanji, per liberarlo dal gruppo di okama lo aveva sequestrato e trascinato a forza dentro il KamaBakka, cercando di vestirlo da danzatrice del ventre contro la sua volontà. Sinceramente, quella sera ho pensato che lo avessimo perso. Il trauma è stato tale che non si può più nemmeno nominare la danza del ventre in sua presenza a meno di non volerlo attaccare psicologicamente e solo Usopp conosce tutti i dettagli dell’accaduto. Non che io li voglia sapere.  
«Comunque…» cerco di riprendere il controllo aiutata da una generosa sorsata di succo. «…quello che sono riuscita a capire è che ha deciso di acquistare una massiccia quantità di questa nuova stoffa perfetta per rattoppare i vestiti e vuole affidare a noi il lancio. Pubblicità, piano marketing e le solite cose. Ha detto che quando arrivano i campioni di stoffa ci chiamerà per una dimostrazione.» concludo.
Usopp sorride nervoso, gli occhi improvvisamene colmi di panico. «I-intendi tutti e… tre?!» domanda con voce sempre più sottile.
Non rispondo, mi limito a comunicargli con lo sguardo che mi dispiace. Ha una sacra paura di Iva e non posso certo dargli torto.
«Andiamo Usopp, non fare il codardo.» lo prende in giro Nami, inclinandosi all’indietro con la schiena sulla sedia flessibile.
«Ehi!» protesta piccato lui. «Non chiamarmi codardo! Il grande Usopp non ha paura di niente! E poi potrei sempre avere un attacco di dissenteria quel giorno.»  
Nami ridacchia e scuote la testa mentre manda giù un altro po’ di yogurt ma, a differenza del solito, non mi unisco a lei con qualche arguto commento. Non ne ho le forze. Allungo le braccia sulla mia scrivania e poso la fronte sul legno liscio e fresco.
Mi ha distrutta. Prosciugata. E ora, in teoria, dovrei anche mettermi a pianificare il lavoro anche se le informazioni che abbiamo sono veramente poche.
Non mi sto lamentando del mio lavoro, davvero. Non  è esattamente il lavoro della mia vita, avevo altri progetti più nobili ma è un lavoro che mi piace. In fondo non ho ancora nemmeno trent’anni, la Ivankov&Co è un posto sicuro e ho l’enorme fortuna di poter lavorare con due amici di vecchia data. Senza contare che io, Usopp e Nami siamo considerati uno dei migliori team dell’azienda.
No, non mi lamento del mio lavoro. Mi lamento del nostro capo, il nostro appariscente, teatrale, chiassoso capo dalla dubbia sessualità e dall’ancor più dubbio gusto nel vestire e nell’abbinare i colori, che vive per la maggior parte del tempo come se il mondo fosse una zuccherosa nuvola rosa attraversata da un arcobaleno a forma di cuore, combinando casini che poi noi tre spesso dobbiamo risolvere. Manco fossimo la Fata Turchina, Mago Merlino e il Genio della Lampada anziché una direttrice artistica, una pubblicitaria e un graphic designer.
Ma come fa Inazuma?! Come fa a non essersi ancora fatto ricoverare?! Come fa a non avere ancora tentato di ucciderla?!
Guardate cosa fa a me!
«Ah Koala!». Miserabile, sollevo la testa per guardare Nami. «Prima che mi dimentichi, Sabo ha chiamato per dire che non riesce ad andare all’aeroporto.»
Per un attimo l’informazione non innesca nessuna reazione nella mia testa. Tutto quello a cui penso per cinque lunghi secondi è “E allora?”. Finché al secondo numero sei non partono i campanelli di allarme.
Aspetta! Come sarebbe che non riesce ad andare all’aeroporto?
«Che?!»
«Il fatto è che Robin è stata chiamata a Baltigo per un consulto dell’ultimo minuto stamattina ed è andata in treno e arriva a Raftel per le sei ma non vogliono che prenda il taxi per via del bambino. Così Sabo va a prenderla ma chiaramente non può essere alle cinque e mezza in aeroporto e alle sei in stazione quindi non riesce ad andare all’aeroporto.»
«E Franky scusa?!»
«Ha finito la cola.» si stringe nelle spalle Nami.
Sbatto le palpebre interdetta. «La cola… No, non lo voglio sapere. Quello che voglio sapere è perché Sabo ha voluto avvisare me!»
Come se non avessi già abbastanza casini.
«Ha detto, cito testualmente “Dillo a Koala, lei sa sempre cosa fare.”.» spiega Nami, ripulendo per bene il vasetto di yogurt.
È ufficiale. Un giorno o l’altro lo ucciderò. Ma non oggi, oggi sono troppo impegnata a trovare una soluzione a troppe cose.  
Io so sempre cosa fare eh?
Sì è vero e so esattamente cosa fare anche in questo caso.
«Okay, ci vado io. Tanto ho perso il conto di quante ore di straordinario ho da recuperare.» decido, ficcando con malgrazia nel mio zainetto i miei effetti personali essenziali. «Usopp le chiavi della macchina.» chiedo e allungo la mano per ricevere ciò che ho chiesto ma non vengo accontentata. Usopp mi sta fissando sconcertato. «Beh?!» lo incito.  
«Quale macchina?»
«La tua macchina! Sai la Kabuto verde acido con il cofano bianco? Quella macchina!»
«Perché vuoi proprio la mia?! Non puoi andare con quella di Nami?!»
«E poi come ci venite alla cena?» gli faccio notare, ragionevole.
«Con la mia!»
«Ma nemmeno per idea!» protesta immediatamente Nami.
«Lo sai che Nami odia essere un passeggero.» aggiungo io, chiudendo e aprendo velocemente le dita. «Dai! Su! Ti prometto che ne avrò cura!». Ma niente non si muove. Lui non si muove e io non ho più forze nemmeno per discutere. «Usopp, per favore.» gemo quasi.
Finalmente si riscuote e, anche se con una certa riluttanza e un sospiro sofferente, mi passa le chiavi.  
«Grazie!» esclamo con un filo di voce, lanciandomi fuori dall’open space e, spero, verso l’inizio della fine di questa infinita giornata. Ma sulla porta dell’ufficio Usopp mi richiama e io sono già pronta a rassicurarlo di nuovo che il suo amato macinino non subirà danni per mano mia ma quello che dice è meglio di un balsamo curativo.
«Stasera Sanji fa la crema al limone.» sussurra con aria cospiratrice.
Sgrano gli occhi, incredula e speranzosa. «Vuoi dire… la sua crema al limone?!» domando trattenendo il fiato. Stiamo parlando proprio di quella precisa crema al limone?! Quella crema al limone così leggera che è come mangiare una nuvola, dolce e lievemente aspra, guarnita con i lamponi?! La crema al limone per la quale potrei uccidere?! 
Usopp annuisce solenne, inarca le sopracciglia e incrocia le braccia al petto. «Mi ricordavo che avresti avuto l’incontro e così quando mi ha chiesto consiglio sul dessert gli ho dato una leggera spinta nella giusta direzione.» mormora, trionfante e orgoglioso di se stesso.
Corro trafelata fino alla sua postazione e in uno slancio di affetto gli poso un bacio sulla punta del naso che diventa rosso quando mormoro: «Sei da sposare.» prima di tornare subito sui miei passi. Inforco gli occhiali da sole, prendo un profondo respiro e mi giro a salutarli anche se li rivedrò tra tre ore al massimo.
«Ci vediamo dopo!»
«Guida piano eh!» esclama Usopp con voce un po’ morente.
«Ehi Koala!» è il turno di Nami di richiamarmi. Mi giro a guardare che vuole e noto una lieve bastardaggine nel suo sorriso. «Attenta ai gemelli.» mormora.
Sobbalzo e sgrano gli occhi indignata. Non posso credere che ancora insistano con questa storia!
«E fatela finita!» protesto, voltandogli le spalle e ignorando le loro risate.
 

 
§

 
Allungo il collo e mi alzo sulle punte ferma nella zona arrivi del Tontatta Airport. Sono arrivata pochi minuti dopo il suo aereo ma dovrei avere avuto un po’ di margine mentre sbarcavano. Quindi, fedele al mio immancabile ottimismo ora sto aspettando di vederlo uscire dalla zona del recupero bagagli.
Essere alti solo un metro e sessanta può essere una bella rogna in certe situazioni. Come per esempio in un aeroporto superaffollato in un orario dove sembra che tutti i voli diretti a Raftel stiano atterrando all’unisono. Il fatto è che non si aspettava me come autista, non sono riuscita a contattarlo al cellulare e quindi c’è il rischio che io passi inosservata dall’alto del suo metro e novantacinque.
Una nuova ondata di viaggiatori si riversa fuori dalla porta automatica ma niente, non lo vedo. Il dubbio di averlo perso e che ora si stia aggirando per l’aeroporto alla ricerca di Sabo o che sia già andato a prendere un taxi mi coglie. Però è impossibile che siano sbarcati così in fretta. Forse è uscito con il gruppo di passeggeri di un paio di minuti fa ma come ho fatto a non vederlo? Sfiora i due metri e io cieca non sono!
«In quanto tuo migliore amico, potrei ritenermi molto offeso per il fatto che tu non mi abbia avvisato che avevi intenzione di cambiare sesso, Sabo.»
Voce calma e profonda, lievemente strascicata. Posso rilevare il ghigno storto nel suo tono. Mi giro sghignazzando e lo osservo giusto un attimo. Pizzetto curato, capelli spettinate a regola d‘arte, solite occhiaie. Tutto sommato è in splendida forma.
«Ho pensato di farti una sorpresa.» rispondo con un sorrisone prima di passarmi una mano tra i capelli come fa sempre Sabo. «Ora finalmente possiamo coronare il nostro sogno d’amore. Non sei felice?»
«Estasiato.» risponde squadrandomi da capo a piedi e ghignando ancora di più. So che ha trattenuto una risata e ne vado fiera. Far ridere Trafalagar Law non è impresa facile.
Rompo ogni indugio e mi avvicino per un abbraccio. Non è un tipo espansivo lui, mai stato. Ma un abbraccio non può negarmelo, non dopo tutto questo tempo.
Mi stringe appena e io immergo il viso nella sua camicia bianca. È una bella sensazione. Mi è mancato. Mi è mancato perché da quando si è trasferito per specializzarsi in chirurgia pediatrica e io ho iniziato a lavorare – e tutti abbiamo iniziato a lavorare – il tempo per sentirci è stato sempre meno, il suo tempo per tornare a casa è stato sempre meno e ormai sono due anni che non lo avevamo qui. E la cosa fantastica è che si è accordato con un suo collega che si sta specializzando qui a Raftel ma che voleva provare anche altri ospedali in altre città per fare una specie di scambio lavorativo, così da riuscire a passare l’estate qui con noi.   
Mi stacco da lui e gli sorrido di nuovo prima di allungare una mano. «Dammi la tracolla, sei già abbastanza carico.» mi offro, indicando con un cenno del capo il trolley e il borsone che, già lo so, contiene sicuramente un sacco di libri di medicina. Quello che si sarà prefissato di studiare quest’estate mentre è qui, sicuramente.
Mi carico su una spalla la borsa di pelle marrone, quella che gli abbiamo regalato per la sua laurea insieme a un sacco di altre cose idiote, e ci avviamo verso il parcheggio esterno, uno accanto all’altro.
«Come mai il cambio di programma?» chiede, accostandosi a me per evitare di perdermi tra la folla che si accalca vicino all’uscita.
«Robin ha avuto un consulto dell’ultimo minuto, Sabo va a prenderla in stazione.» spiego con una scrollata di spalle. «Tranquillo, arrivano in tempo per la cena. Ma dimmi, com’è andato il volo?»
«Come al solito.» risponde laconico e poi mi lancia un’occhiata di striscio. «Tu come stai?»
La domanda “Tu come stai?” mi ha sempre affascinato moltissimo. Quando qualcuno me la pone mi chiedo sempre se quel qualcuno sta soltanto sopperendo a un cliché sociale sulla base del quale si viene etichettati come educati o maleducati o se ha davvero interesse a sapere come sto. Si suppone che le risposte siano “Bene”, “Male” e, più raramente, “Così così”, laddove le ultime due opzioni danno spesso il via a un mezzo interrogatorio orientato a sviscerare quale che sia il problema che ti opprime. Ma rispondere “Bene” non è mai completamente vero.
Se ora io dovessi rispondere la verità dovrei dire a Law che ho un leggero mal di testa, sono vicina al ciclo e mi è appena sorto l’atroce dubbio di aver parcheggiato la Kabuto in zona di rimozione forzata. Ma, in compenso, sono felice che l’estate sia arrivata, non vedo l’ora di mangiare la crema al limone e stando ai miei esami annuali di settimana scorsa il mio cuore continuerà a non fare scherzi fintanto che io continuo a prendere la mia medicina al mattino.
E anche se so che Law me lo ha chiesto per sapere davvero come sto, gli voglio troppo bene e lo vedo troppo stanco per bombardarlo di tutte queste non necessarie informazioni – tranne forse quella degli esami, su cui tanto so già che indagherà di sua iniziativa più tardi –. E così opto per un classico “Bene” a dimostrazione del fatto che, anche quando si potrebbe non farlo, rispondere alla domanda “Tu come stai?” nella maggior parte dei casi ti porta ad omettere una parte di verità.
Affascinante.   
«Bene! Giornata intensa al lav…»
Un tonfo micidiale mi interrompe. Mi volto di scatto e la tracolla rotea libera nell’aria intorno a me, fino a fermarsi colpendo qualcosa alle mie spalle.
Non mi sono allarmata solo io ma tutti ci rilassiamo quando capiamo che si è trattato solo di uno scontro tra due carrelli colmi di bagagli, senza conseguenze gravi per nessuno, eccezion fatta per la quantità di valige sparpagliate ora a terra. Il mio sollievo svanisce quando un verso soffocato si leva dietro di me, raggelandomi.
«Mer…da…»
Mi volto di nuovo e mi odio e mi insulto mentalmente, perché anche se non vorrei ammetterlo, non mi stupisco così tanto di quello che vedo. Law piegato in avanti e con le mani a coppa davanti al cavallo e un’espressione sofferente. Ora so contro cosa si è schiantata la tracolla.
«Oddio, scusa!» esclamo, precipitandomi verso di lui.
Solleva il capo per guardarmi, omicida. «Cazzo, Koala.» ringhia a denti stretti.  
Non posso fare a meno di notare quanto sia azzeccata come imprecazione mentre porto le mani a posarsi sui fianchi.  «Ehi! Mica l’ho fatto apposta!»
«Sicura?» domanda, lanciandomi un altro sguardo assassino. «Perché comincia a sembrare una dedizione nel tentare di rendermi sterile, la tua.» prosegue con voce spezzata e tremante.  
«Oh dai! Come se capitasse spesso!» protesto e lui solleva un sopracciglio. E qui mi vedo costretta a smettere di ribattere perché, sì, è vero, capita spesso e, per una qualche strana ragione, solo con lui. Ma posso giurare, su quanto di più sacro, che l’ho fatto di proposito una volta soltanto e questo è testimoniato dallo speciale slogan coniato appositamente per me da Nami che recita: “Si gira di spalle e colpisce nelle palle.”
Voglio dire, è chiaro che se capita sempre quando sono di spalle non può essere intenzionale. È lineare logica.
Law espira dalla bocca e comincia a raddrizzarsi, segno che il dolore sta passando. «Meglio?» gli chiedo con un sorriso colpevole e lui annuisce.
«Devo ammettere che questo non mi mancava affatto.»
Sollevo un sopracciglio, saputa e lusingata. «Stai forse insinuando che tutto il resto invece ti è mancato?»
«Mai affermato niente del genere.» ribatte subito, asciutto, ma so che lo fa apposta, per vedere se riesce a farmi innervosire. Per un qualche motivo lui e Sabo mi trovano estremamente adorabile quando sono arrabbiata, cosa che mi fa arrabbiare ancora di più.
«Allora pazienterò fino a stasera, quando avrai bevuto abbastanza drink da ammettere che senza di me il sole non scalda, il cibo non ha sapore e tutto è grigio e spento.» dico con tono melodrammatico e i miei quasi successi nel farlo scoppiare a ridere salgono a due in meno di mezz’ora. «Dai andiamo o finisce che facciamo tardi.» lo incito.
«Okay, ma ora tu prendi il trolley e io la tracolla!»







Angolo di Page: 
Buonsalve gente! Ebbene sì, ho cominciato una nuova long e sono parecchio agitata perchè questa storia ha avuto una genesi... complicata. 
Ma tutto ciò che voglio fare ora è solo ringraziare tutte quelle persone che mi hanno spronata (e ancora mi spronano) a scriverla, a provarci, a non mollare. Che mi sopportano e consigliano ogni santo giorno. Che si sorbiscono le mie teghe. 
Grazie ragazze, davvero di cuore. Senza di voi non sarei qui ora. 
Un bacione. 
Page. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La ghiaia scricchiola sotto le ruote della mia Mikan arancione, mentre parcheggio con una manovra larga e spengo in ordine, radio, luci e motore. Lancio uno sguardo verso di lui, che è stato inusualmente silenzioso per tutto il tragitto. È perso nei suoi pensieri e io trattengo a stento un sospiro quando mi accorgo che è teso. So benissimo cosa non va e vorrei poterci fare qualcosa. In teoria potrei fare qualcosa, io più di chiunque altro, ma questi hanno smesso di essere affari miei in senso stretto, anzi in realtà non lo sono mai stati se non per il fatto di essere amica di tutti e due.
«Usopp, stai bene?!» gli domando, cauta, posandogli una mano sulla spalla.
Sobbalza e si gira a guardarmi, sorpreso, come se neppure si fosse accorto di essersi assorto nei suoi pensieri. «Uh?! C-come?! Oh, s-sì, sì, Nami! Sto benissimo!» risponde con un sorriso nervoso e un poco convincente entusiasmo che mi fa piegare le labbra in una smorfia scettica. Lo guardo scendere dalla macchina, rischiando di inciampare nella portiera a conferma che no, non sta affatto bene. Usopp avrà tanti difetti ma anche parecchi pregi e l’agilità è di certo uno di questi.
Libero finalmente un sospiro e lo seguo, chiudendo la mia piccola e comoda vettura con il telecomandino a distanza e affiancandomi a lui per entrare nel locale. Gli afferro un braccio per confortarlo, sicuramente non per necessità di un sostegno. Ho cominciato a indossare i tacchi a quindici anni, non è certo un po’ di ghiaia il problema.
Usopp mi sorride grato ma la sua espressione si trasforma in puro panico quando un suono prolungato e vocalico, che fende l’aria e aumenta di intensità esponenzialmente, ci raggiunge seguito a ruota dalla sua fonte.
«Rufy no!!!» esclama Usopp, cercando inutilmente di scansarlo.
«Usopp!!!» esulta entusiasta lui mentre gli salta in braccio tipo scimmia e lo schianta a terra sotto di sé.
Gli lascio il braccio appena in tempo, ondevitare di venire trascinata a terra a mia volta e vedermi costretta a pestarli selvaggiamente per avermi coinvolta nei loro poco discreti festeggiamenti.
«Ru…fy… non… spiro…» mugugna Usopp, che sta già diventando cianotico e mi preparo a intervenire in caso di necessità ma per fortuna Rufy lo libera prima che io debba sporcarmi le mani.
«Ehi Nami!» esclama poi, lanciandosi verso di me per abbracciarmi con altrettanto slancio, incurante dei pugni che rischia di guadagnarsi se dovesse farmi cadere «Tutto bene?»
«Benissimo! E tu?» gli scompiglio la zazzera, libera dal suo inseparabile cappello di paglia che gli ricade sulla schiena. Per tutta risposta, un suono cavernoso fa vibrare l’aria intorno a noi, la cui provenienza non è difficile da individuare. «Hai fame.» constato con tono piatto.
«Entriamo?» propone Usopp, spazzolandosi i pantaloni. «Prima che Rufy attenti alla salute di qualcun altro. Magari cercando di mangiarlo stavolta.» aggiunge con un’occhiataccia a Rufy.  
Ci avviamo tutti e tre verso l’ingresso della sede dell’All Blue, il catering di Sanji. Si tratta di un ampio locale, usato per preparare le pietanze, tenere corsi di cucina e ospitare di tanto in tanto una serata tra amici come questa. Facciamo giusto in tempo a mettere piede sul piccolo patio di cemento davanti alla porta che una voce roca ci ferma.
«Ehi ragazzi!»
«Pensavo di trovarvi già qui!» fa notare Usopp mentre ci voltiamo verso di loro.
Sono ormai a pochi passi, lui le mani infilate nelle tasche dei bermuda e l’andatura sbragata, lei, impeccabile nel suo vestitino nero e ciliegia, gli occhi truccati alla perfezione, la frangetta rosa senza un difetto, le mani saldamene strette al suo gomito, come se lasciarlo andare fosse semplicemente inconcepibile.
«Indovina?! Si è addormentato!» spiega Perona con un sospiro rassegnato.
«Ehi dai! Sono migliorato ultimamente!» protesta Ace, sempre sorridente, accarezzandosi la nuca.
Incrocio le braccia sotto il seno e scuoto il capo prima di commentare spigliata: «Spero che non ti capitino attacchi narcolettici in momenti poco opportuni Ace.»
«È capitato solo una volta e mi è bastato.» commenta Ace, sollevando una ciocca che gli ricade sulla fronte a mostrare una piccola cicatrice che so benissimo avere ben altra origine, una caduta quando era bambino.
«Ehi!» lo picchia Perona, indignata.
Ace la evita e scarta per abbracciarla da dietro. «Dai piccola, scherzavo!».
«Certo figuriamoci.» s’imbroncia lei, ma non riesce a trattenere un sorriso quando Ace si piega a baciarla sotto l’orecchio, continuando a sghignazzare.
Io e Usopp ci scambiamo un’occhiata e sorridiamo tanto sono dolci insieme, contagiati dall’atmosfera romantica con sottofondo lo stomaco di Rufy che arriva puntuale a rovinare il momento. Sospiro e roteo gli occhi, rassegnata.  «Allora!» prendo in mano la situazione. «Gli altri ci staranno aspettando!»  
Io e Perona rimaniamo indietro e lasciamo che i ragazzi ci precedano nel locale. E, come da copione, non appena anche noi superiamo la soglia un’ondata di cuori ci investe.
«Nami-swaaaaan!!! Perona-chwaaaaan!!! Mie principesse la vostra presenza qui è come un soooogno!!!» ulula Sanji, vorticando e provocando un piccolo tornado intorno a noi.
«Imbecille.» mormora Usopp, con un sospiro.
«A chi hai dato dell’imbecille, Nasolungo?!»
«Sanji ho fame!» si intromette Rufy, saltandogli addosso mentre io e Perona sgusciamo via e avanziamo nel grande salone. Sono sinceramente indecisa se scoppiare a ridere, scappare o picchiarli tutti per riportarli all’ordine.
È.un.delirio!
Brook sta suonando la chitarra, sporgendosi verso Robin, che si accarezza dolcemente il pancione, per sapere il colore delle sue mutandine, ottenendo solo un serafico sorriso in risposta, Rufy sta attentando alla vita di Sanji nella foga di chiedergli del cibo, Franky sta ballando in piedi sul tavolo rotondo, dimenando il sedere con addosso un paio di mutande eccessivamente attillate e sventolando il suo apparato in faccia a…
Un brivido freddo mi percorre la schiena quando vedo Chopper comodamente seduto e con le braccia incrociate al petto, ridere senza ritegno per l’esibizione di quell’idiota di un gigante. Scatto come un fulmine lo raggiungo in due falcate e gli copro gli occhi con le mani, da dietro.
«Ehi!!! Pervertito!!! Smettila di agitare la tua chiave inglese davanti alla faccia di mio fratello!!!» protesto ad alta voce per farmi sentire ma Franky mi ignora.
«Dai sorella!!! Vieni anche tu!!!» urla euforico in risposta, incurante del mio sguardo assassino. Si gira, mostrando il deretano anziché il pacco, cosa che chiaramente non migliora la situazione ai miei occhi di sorella maggiore ma a quelli di Chopper sembra proprio di sì.
«Dai Nami! Non mi scandalizzo per certe cose!» ride, sempre più forte e di gusto.
«Sono sicuro che vede di peggio all’ambulatorio proctologico, Nami-ya.» s’intromette una voce un po’ strascicata che riconosco subito anche se non la sento da due anni. Mi giro verso Law, felice, e mi avvicino per abbracciarlo, un lusso che mi concedo perché è veramente troppo che non ci vediamo.
«Ehi come stai?»
«Non male.» risponde, ricambiando brevemente l’abbraccio prima di dare la mano a Chopper, mentre io ne approfitto per schioccare un rapido bacio tra i capelli castani di mio fratello.  So che è adulto ormai, anche più della sua età anagrafica, ma resta sempre il mio fratellino anche se ha ventun anni, è legalmente un genio e sta per laurearsi in medicina. Ed è precisamente questo mio istinto da sorella maggiore che mi fa schiacciare contro la sedia dov’è seduto, spingendola in avanti quel poco che basta per levarlo dalla traiettoria d’impatto.
«Toraooooo!!!»
Tre sedie volano via quando Rufy e Law ci si schiantano sopra in un groviglio di arti avvinghiati che Ace e Sabo raggiungono tempestivamente per districare.
«Fratellino, perché non ti dai una calmata?»
«Visto che è appena tornato, non facciamolo già pentire della sua scelta.» lo rimproverano con un sorriso e Sabo lo lascia andare per allungare una mano verso Law e aiutarlo a rimettersi in piedi. Si abbracciano fraternamente, dandosi un paio di energiche e goliardiche pacche sulla spalla, un’immagine che scalda il cuore.
Sento un movimento accanto a me e Chopper, ancora stretto tra le mie braccia, e mi giro verso Koala, che osserva la riunione dei due migliori amici/fratelli con le mani sui fianchi e un sorriso sul volto. Segue attenta con gli occhi Law che si avvicina a Rufy per salutarlo come si deve, senza rischiare l’osso del collo, onestamente felice di vederlo. Per quanto Law possa essere distaccato, non è difficile accorgersi di questo. Piego appena il busto verso di lei, osservandola con la coda dell’occhio. 
«Allora lo hai colpito?» le domando sottovoce.
Il modo in cui si irrigidisce e il sorriso che le si congela sul volto mi bastano come risposta. Sorrido bastarda e mi sfrego mentalmente le mani con soddisfazione, al pensiero dei cinquanta berry che Usopp ha scommesso con me e che ho appena vinto.  
«A tavola!!!»
La voce di Sanji sovrasta tutto il resto e c’è un nuovo picco di confusione mentre prendiamo posto.  
«Mie deeeee, vi ho preparato tutti i vostri piatti preferiti!» volteggia Sanji, attento a non far cadere le pietanze.
«Sanji ti diamo una mano.» si offre subito Koala.
«Sì Sanji, ti diamo una mano!» le fa eco Rufy, quasi con la bava alla bocca.
«Fogna ambulante non azzardarti ad avvicinarti alla cucina.» lo fredda omicida, prima di tornare tutto mieloso e sdolcinato. «Oh Koala-chwan, sei così dolce, gentile ed educata, ma non potrei mai permettere a una così delicata creatura di sporcarsi le mani!» smoina, e posa due piatti colmi di pesce e tempura di verdure sotto il nostro naso. Studio il contenuto del mio piatto, che ha un aspetto così invitante che sembra di sentire già il sapore in bocca solo a guardarlo. Quando riconosco il tipo di pesce è più forte di me cercare Koala con gli occhi per vedere se anche lei ci ha fatto caso. E anche lei ci ha fatto caso e, complici, ridacchiamo e ci giriamo verso Usopp, seduto alla mia sinistra.
«Luccio eh?» mormoro con malizia.
Usopp sobbalza e si volta, quasi spaventato e lievemente rosso sulle guance.
«I nostri piatti preferiti.» rincara la dose Koala.
«B-bhe… io… n-non… non…»
«Scusate!» Perona giunge inconsapevolmente in suo soccorso. «Ora che ci siamo tutti ci sarebbe una cosa che vorrei dirvi.» comincia con un profondo respiro.
«Tu e Ace vi sposate?!» domanda Rufy, con un misto di eccitazione e semplicità disarmante. Ace si strozza con l’acqua e Franky gli batte una manata tra le scapole, rischiando di incrinargli un paio di vertebre.
«Tieni fratello, un po’ di cola e passa tutto.»
«Rufy… Come ti viene…» protesta con voce strozzata, tossicchiando e sputacchiando, tutto rosso in faccia. 
«Non ci sarebbe niente di strano.» insiste Rufy, stringendosi nelle spalle.   
Perona è bordeaux in faccia, uno strano contrasto con i suoi capelli. «N-no Rufy! Non è quello!» mette in chiaro, mortalmente imbarazzato. 
«Perché no?» s’imbroncia lui.  
«Perché non è ancora il momento!» taglia corto Ace, lasciando uno spiraglio di speranza che basta per mettere a tacere le rimostranze di suo fratello.
«Ah…» mormora infatti Rufy, deluso, ma solo per pochi istanti. Torna a sorridere radioso prima di domandare: «Franky, Robin perché non vi sposate voi?! Aspettate pure un bambino!»
Una vena sulla mia fronte comincia a pulsare e mi maledico per essermi seduta così distante da lui ma Sanji non perde tempo e supplisce alla mia lontananza, incastrandogli la testa nel legno del tavolo con un poderoso calcio.
«La fai finita con sta storia?!»
«Ma io voglio un matrimonio! Si mangia bene ai matrimoni!»
Il mio cellulare vibra contro la sedia e io lo estraggo dalla tasca esterna apposita della mia borsa. Sblocco lo schermo ed entro su Whattsapp, senza smettere di prestare un orecchio alla conversazione in sala, mentre leggo il messaggio di Nojiko che si rivela essere un meme. Stringo le labbra per trattenere una risata.
Ma che scema!
Le rispondo rapidamente, scuotendo la testa divertita.
«…mangeresti anche il fango se potessi, quindi piantala di essere molesto e lascia parlare la bella Perona-chwan!»
«Grazie Sanji!» gli sorride Perona, facendogli uscire un rivolo di sangue dalla narice.
Riporto gli occhi sullo schermo e leggo la risposta di mia sorella, mentre Perona si schiarisce la gola.
Ma cosa le prende stasera con tutte queste battute idiote?!
«Quello che volevo dirvi…»
Inoltro velocemente le due immagini al gruppo che ho con Usopp e Koala.
«…Zoro torna a Raftel.»
Una dolore lancinante mi percorre il nervo del collo quando sollevò la testa con troppa enfasi, gli occhi sgranati per lo shock.
«Definitivamente.» aggiunge Perona, guardando dritto verso di me.
Un attimo di interminabile silenzio precede gli applausi e le grida di giubilo di tutti. Tutti tranne me. Io sorrido tirata e falsa prima di distogliere gli occhi da Perona, che nonostante il dispiacere per me, è giustamente felice della decisione di suo fratello di tornare.
Rispondo a Nojiko con mani tremanti. Qualsiasi cosa pur di ritrovare la calma ed evitare gli sguardi di Koala e Usopp puntati su di me.
Torna a Raftel.
Tornano a Raftel.
E io… io non sono pronta, io… Dovrei già essere ben più oltre di così eppure…
«Nami a chi scrivi?!»
È di nuovo Rufy a parlare. Rufy con la sua assoluta ingenuità e totale mancanza di discrezione. Rufy con la sua curiosità che dovrebbe essere un reato perseguibile dalla legge. Rufy che ora mi darà il tormento finché non gli darò una risposta.
Lo guardo di sottecchi e mi accorgo che non solo lui mi sta osservando. Quasi tutti mi stanno fissando e, anche se so bene che non è l’identità del mio interlocutore ciò che attira così i loro poco discreti sguardi, resta il fatto che mi sembra di essere appena diventata l’ultimo grande affare di stato.
«Allora chi è?» chiede di nuovo e io faccio schizzare gli occhi da lui, a Perona, a mio fratello a Koala.
Tutti in attesa.
«Nami?!»
«Il mio ragazzo»
Cosa?! Cosa ho detto?!
È il turno di Usopp di affogarsi nella sua aranciata e Koala si concede un’espressione incredula solo un decimo di secondo prima di posare il mento sulla mano con il preciso scopo di coprirsi la bocca per non scoppiare e domandarmi se sono per caso impazzita.
Perché, vedete, il fatto è che io non ce l’ho un ragazzo.
«Hai un ragazzo?! Da quando?! Non ci hai detto niente!» protesta Rufy.
«Sì infatti!» si aggrega mio fratello, più indignato che mai.
«Suuuuper! E chi è il fortunato, sorella?»
«Non lo conoscete!» mi affretto a rispondere, realizzando lentamente quello che sto facendo.
Santo Roger, cosa sto facendo?!
«Yohohohohoho! Credi sarebbe disposto a dirmi il colore delle tue mutandine?»
Perché mi sono inventata una cosa del genere?!
«Nami ma che bella notizia!» esclama Perona, sinceramente felice e io vado a fuoco.
Sì, sono impazzita.
Zoro torna a Raftel e io… Io non volevo fare la figura della patetica. È questa la verità.  
Il sangue mi si gela nelle vene quando noto le occhiate di Law, Robin e Sanji.
Sanno. Loro sanno che sto mentendo spudoratamente.
«Va bene ora datevi tutti una calmata! Non mi sembra così inconcepibile che la bella Nami-swan abbia trovato qualcuno che la ama e idolatra, anche se non sono io…»
«Sanji ha ragione. E poi il protagonista della serata dovrebbe essere Law. Voglio proprio sentire se ha qualche novità da raccontarci.» gli da manforte Robin e io non so dire quanto sono grata a entrambi per il loro tempestivo intervento. Tiro il fiato quando l’attenzione di tutti si sposta due posti più in là.
Law si appoggia allo schienale della propria sedia con noncuranza.  
«Beh a dire la verità…» abbassa un istante gli occhi sul proprio piatto prima di tornare a guardarci con sguardo fermo e convinto. «…Io mi sposo.» 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La stanchezza della giornata comincia a buttare fuori mentre recupero gli ultimi piatti e bicchieri da portare in cucina. Il cozzare delle stoviglie mi da un senso di intimità che aiuta a rilassarmi.
Non che fossi teso, eh! I-insomma, mica vado in tensione per così poco, sono capacissimo di gestire qualsiasi situazione, io!
Comunque, ora che siamo solo noi mi sento più tranquillo.
Mi soffermo un attimo a ripensare alla serata e a tutto quello che è successo. Zoro che torna, Law che si sposa e Nami… Nami e la sua geniale uscita che non ho neppure capito da dove arrivava ma che, già lo so, a partire da lunedì sarà un problema pure mio.
Figuriamoci se non coinvolgerà anche me e Koala per trovare una soluzione, perché è chiaro che vorrà trovare una soluzione adesso che il suo fantomatico e inesistente fidanzato è ufficialmente invitato alle nozze di uno dei nostri più cari amici.
Mi gratto la punta del naso riflettendo.
Ehi! Potrei fingermi io il suo fidanzato! Potrei dire che a furia di stare sempre a stretto contatto ogni giorno Nami ha ceduto al mio irresistibile fascino e alla mia intelligenza. Insomma potrebbe anche vantarsi delle mie due lauree! Non è da tutti avere un fidanzato che è sia ingegnere che grafico. Due lauree contemporaneamente non è cosa da tutti! Per non parlare della mia conturbante bellezza. Andiamo, chi non vorrebbe essere la ragazza del brillante Usopp Sharpshooter?!
«Usopp che fai?!»
Sobbalzo sul posto, emettendo un verso che potrebbe sembrare uno squittio spaventato – ma non lo è assolutamente – e mi giro, fermo nella mia posa trionfale, mani sui fianchi e petto all’infuori.
Sanji è sulla porta della cucina, le mani in tasca e uno sguardo interrogativo e perplesso nell’occhio visibile.
Rido nervosamente, portando una mano alla nuca. «Niente, niente! Pensavo!» spiego.
Sanji sbuffa una risata e scuote appena la testa, per poi staccarsi dallo stipite e avvicinarsi puntandomi addosso uno sguardo che mi fa seccare la gola all’istante. Non proprio completamente padrone di me stesso, indietreggio verso il tavolo, finché non sento il bordo contro le mie natiche e allora mi ci isso sopra, seduto e in attesa. Allargo appena le gambe quando mi raggiunge. Preme i palmi sulle mie cosce e mi lascia afferrare i baveri della sua camicia.
«Luccio?!» domando, riferendomi alla prima portata che ci ha servito, cogliendolo alla sprovvista.
Corruga le sopracciglia arricciate, sorpreso. «Non è il tuo pesce preferito?!» si informa, un po’ teso e io ridacchio, ripensando alle occhiate di Nami e Koala.
«Sì infatti.» confermo, con un sorriso a trentadue denti mentre lui mi studia da vicino, attento e serio.
«Sei stanco.» sentenzia.
Sollevo un sopracciglio. «Anche tu.» gli faccio notare, sapendo già che tanto mi ignorerà.
«Potevi andare a casa.»
«Ci andiamo insieme.» ribatto, stringendomi nelle spalle e avvicinandomi ancora, per premere veloce le labbra sulle sue.
E il bacio, naturalmente, rimane fugace solo nelle intenzioni, perché come sento le sue mani spostarsi sui miei fianchi e solleticarmi la pelle sotto la maglietta non posso non approfondire il contatto. Ringrazio mentalmente di essere seduto e non dover fare affidamento alla stabilità delle mie gambe.
Dopo tutto questo tempo, ancora non mi sono abituato.
Se qualcuno dovesse chiedermi come tutta questa storia ha avuto inizio, non saprei rispondere.
Cioè, ovvio che so come ha avuto inizio, voglio dire ero lì quel pomeriggio, quando mi ha chiesto di recuperargli quella pirofila dal vano in alto e la sedia si è ribaltata e lui si è buttato per prendermi e io gli sono finito dritto addosso e poi lui… e… e io… n-noi…
Quello che intendo è che essere diventato consapevole dei miei sentimenti per Sanji pochi anni fa non implica che io non provassi qualcosa per lui già da prima. In fondo, io so di essere bisessuale dalle superiori, con Sanji ci conosciamo dalle scuole medie e, a dirla tutta, mi ha sempre irritato il suo modo di fare da Casanova. Ma chi mai avrebbe immaginato che fosse gelosia?!  
Socchiudo gli occhi quando si stacca da me e lo fisso, godendomi l’attimo che si spezza solo quando lui parla di nuovo.
«Perché sei così testardo?» riprende la discussione.
«Volevo aiutarti! E… e stare un po’ con te» ammetto, riluttante.
Sanji sgrana l’occhio – o meglio, sono certo che li abbia sgranati entrambi ma io ne vedo solo uno – un po’ sorpreso.  «Ma domani abbiamo tutta la giornata per noi.» mi fa notare e la cosa non può che rendermi felice, sebbene con una punta di malinconia che fa apparire il mio sorriso tirato.
Perché sì, è vero, domani abbiamo tutta la giornata per noi ma io non avrei questo viscerale bisogno della sua compagnia se non avessimo dovuto fingere tutta la sera di essere semplici amici e coinquilini. Come sempre, quando ci sono amici o parenti. Come sempre con chiunque tranne che con Nami, Koala e mio padre che sono gli unici a sapere, almeno ufficialmente – perché sono piuttosto sicuro che Robin abbia intuito qualcosa, anche se a Sanji mi guardo bene dal dirlo –.
Sta di fatto che a me basta Sanji per essere felice.  Anche se questa situazione un po’ mi pesa la accetto perché a lui invece serve ancora del tempo per uscire allo scoperto e io voglio solo che lui stia bene e sia felice a sua volta.
«Hai ragione.» confermo, strattonando ancora un po’ la sua camicia «Ma ormai sono qui e mi serve un passaggio.» gli faccio presente, inarcando le sopracciglia.
Sanji ghigna, con divertimento e malizia. «Oh! Beh, vorrà dire che dovrai pagare la corsa…» mormora a voce bassa, il tono perverso, e io mando gli occhi al cielo e rido in un modo che potrebbe sembrare nervoso.
Cosa che non è, chiaramente! Io non mi innervosisco per così poco! Insomma, siamo due adulti con una relazione no?! Cosa ci sarà mai da essere nervosi?! E infatti io non lo sono!
Quando mi concentro di nuovo su di lui lo trovo assorto nei suoi pensieri e chiaramente preoccupato. «Sanji?» lo chiamo con un po’ di apprensione.
«Perché la mia bella Nami-swan se n’è uscita con quella storia del finto fidanzato?» domanda, prendendomi in contropiede. Perché so che lo sa. Lo sappiamo tutti – dove “tutti” sta per me, Koala, Law, Robin e Sanji – perché l’ha fatto. D’altra parte, io con Nami praticamente ci convivo, se avesse avuto qualcuno io lo avrei saputo e lui di conseguenza.
Lo guardo scettico e sollevo un sopracciglio. «Tu che ne dici?» mormoro e lui si irrigidisce appena.
«Quella testa d’alga…» ringhia quasi e io sposto le mani ai lati del suo collo.
«Non possiamo fargli una colpa perché torna.» gli faccio presente, ragionevole. «A dire il vero, non possiamo fargli una colpa proprio di niente.» insisto, cercando il suo occhio con i miei.
Sospira e solleva la testa, fissandomi con una sincerità che da sempre concede solo a me.  «Lo so. Io…» tentenna un attimo, guardando altrove. «Sono felice che torna.» ammette e io sorrido, consapevole di quanto questa confessione deve essergli costata.
Porta una mano a scompigliarsi il ciuffo biondo e poi fa scorrere le dita lungo il mio costato e io percepisco il suo calore attraverso il cotone della mia t-shirt.
«Finisco con i piatti e andiamo.» mi soffia e io mi limito ad annuire. Si sporge oltre me e recupera l’ultima pila di stoviglie, regalandomi un bacio sul collo prima di allontanarsi.
Osservo la sua schiena, fasciata alla perfezione dalla camicia verde, che non nasconde il guizzare dei suoi muscoli mentre lava i piatti, e sento un fremito lungo la schiena.
Sì, non vedo davvero l’ora di andare a casa.
 

 
***

 
«Amico ti sposi!»
«Sabo credo che il concetto sia chiaro.» gli fa notare Robin, sempre materna, posando il mento sull’intreccio delle dita. «È chiaro a noi, a quelli del tavolo accanto, alle due ragazze che sono passate dietro la tua sedia prima per raggiungere la toilette e anche a Gatz» prosegue, indicando con un cenno del capo il barman che sta recuperando il microfono gelato, che non ho mai capito a cosa gli serva sinceramente ma che usano sempre per dare annunci del tutto inutili ed estremamente divertenti. Almeno di solito.  
«Signore e signori un brindisi al mio caro amico Law che si sposa!!!» la sua voce riecheggia dalle casse.
«E ora è chiaro anche a tutto il bar.» aggiungo mentre una salva di fischi e applausi esplode nel locale e Law, che normalmente incenerirebbe sia Gatz che Sabo con un’occhiata assassina delle sue ma che essendo ormai al terzo Invisibile ha abbastanza alcool in corpo da non rispondere al cento per cento delle proprie azioni, solleva il bicchiere e muove il capo in cenni di ringraziamento, un ghigno storto sulla faccia.  
«Lo so ma è che non riesco a metabolizzare la cosa!» esclama Sabo, alzando il tono per sovrastare le voci ancora esultanti degli altri avventori. È bello alticcio anche lui e i suoi capelli sono più scarmigliati del solito. «Cioè parliamo di Law! Trafalgar Law!» lo indica, per sottolineare meglio il concetto. «Che si sposa! È pazzesco, dai! Tu non lo trovi pazzesco, Koala?!» cerca il mio appoggio quando vede che Robin permane nella sua pacata seraficità, le mani ora posate sul pancione.
«In effetti è un po’ pazzesco.» concedo dopo aver mandato giù un sorso del mio cocktail, girandomi verso il diretto interessato. «Soprattutto perché, a tuo dire, l’ultima volta che ci siamo sentiti in videoconferenza era “tutto regolare, nessuna novità”.» gli faccio il verso, imitando il suo tono profondo, monotono e un po’ strascicato.
Sbuffa una risata per la mia pessima imitazione, sempre complice l’alcool ovviamente, e si stringe nelle spalle. «Perché quando ci siamo sentiti in videoconferenza era tutto regolare. Abbiamo deciso di sposarci settimana scorsa.»
La mascella quasi mi cade mentre Sabo si affoga nel suo drink e persino Robin sgrana gli occhi. Ecco, questo sì che è veramente pazzesco. Non perché io creda nel fidanzamento o nel bisogno di metterci otto mesi a organizzare un evento che dura meno di ventiquattr’ore. Se in qualcosa credo fermamente, è che la vita va vissuta anche con un po’ di incoscienza.
Ma questa sono io, Law è tutt’altro discorso. Law è Mister Prudenza e Pianificazione, è quello ragionevole e razionale, è quello che soppesa con cura pro e contro persino quando deve decidere dove andare in vacanza. E ha deciso di sposarsi tra sei settimane, una settimana fa?!
«Stai dicendo che hai deciso settimana scorsa di sposarti tra sei settimane?» chiede Robin, incredula e questo basta per rendere l’idea di che razza di notizia sconvolgente sia. Non che la possa biasimare. Una decisione del genere sarebbe stata troppo persino per Sabo, figuriamoci per lui.
«Non è un po’ presto?» interviene Sabo, le sopracciglia corrugate.
«Un caro amico della sua famiglia organizza eventi e ci ha assicurato che sarà tutto pronto per tempo.»
«Credo che Sabo volesse dire che gli sembra un po’… ecco… affrettato e poco… poco da te.» vengo in suo soccorso, scegliendo con cura le parole.
Law mi osserva annebbiato qualche secondo, sbattendo le palpebre come se non avesse capito esattamente cosa gli sto dicendo. Ma gli do fiducia e attendo e infatti gli bastano pochi secondi per far arrivare il messaggio al cervello e inviare l’input di risposta alla bocca.
«Perché io sono quello sempre ragionevole e razionale, che soppesa pro e contro persino per decidere dove andare in vacanza? Per questo, dite?»    
«Beh sì.» ammetto con un sorriso di scuse.
«Però io sono anche quello del “via il dente via il dolore”.»
«Ma non è solo quello Law.» riprende Robin, sporgendosi verso di lui per quanto glielo consente il pancione. «Insomma so che vivete già insieme e tutto il resto ma è una decisione importante. Ci hai pensato bene?»
«Sono quasi a fine specializzazione, abbiamo una vita stabile e ottime prospettive future. Entrambi vogliamo dei figli e in fondo il matrimonio non è altro che una serie di compromessi che due persone decidono di prendersi l’impegno di raggiungere in cambio di una famiglia e qualcuno con cui condividere la propria vita, ufficializzati da una firma su un foglio. L’età ormai ce l’abbiamo.» indica Robin e il suo pancione. «Che senso ha aspettare?» domanda prima di accigliarsi. «Che c’è?» chiede ancora, infastidito da come lo stiamo fissando.
«Mi viene quasi da piangere.» ammetto senza staccare gli occhi da lui.
«Amico, questo è la cosa meno romantica che abbia mai sentito in vita mia. E io ho assistito quando Rufy ha detto a Silk che l’amava più della carne.»
«Oh andiamo!» protesta Law.
«No, andiamo tu! Dai è un matrimonio, mica una fusione di capitali! Adesso dicci anche che la proposta te l’ha fatta lei e siamo a posto!» s’infervora Sabo.
Il tempismo non è mai stato un dono di Sabo. Quando lo distribuivano lui era in coda per i denti bianchi ed è capitato ben più di una volta che il suo non-tempismo ci facesse fare figure di merda o ci mettesse nei guai. Più raramente che si convertisse in uno strumento rivelatorio ma questa è una di quelle volte. Perché nel momento in cui a Law va di traverso il proprio Invisibile – e non importa quanto possa avere bevuto, Law non si strozza semplicemente perché è sbronzo – appare chiaro a tutti e tre che Sabo ci ha preso in pieno.
«Ti ha veramente fatto lei la proposta?!» chiede, spalancando così tanto gli occhi che temo possano cadergli fuori dalle orbite. D’altra parte non è come se Law potesse rispondergli, impegnato com’è a riprendere possesso del proprio apparato respiratorio. Gli passo un tovagliolo e mi sbrigo a versargli un po’ d’acqua dalla bottiglia di Robin mentre Sabo scoppia a ridere e picchia una mano sul tavolo. «Non ci posso credere! Oh ti prego, dimmi che posso raccontarlo nel mio discorso da testimone.» gli chiede, serissimo e implorante, guadagnandosi un’occhiata di disapprovazione da parte sia mia che di Law.
«E chi ti dice che sarai tu il testimone?» domanda Robin, incrociando le braccia sopra il pancione.
«Ma è ovvio che sarò io il testimone!» ribatte Sabo, fin troppo sicuro di sé e con uno dei suoi suadenti sorrisi sul volto che si spegne quando il dubbio lo coglie. «Vero?!» chiede conferma, girandosi di scatto verso Law che rimane impassibile per così tanto che per un attimo anche io temo che stia per dirgli che no, non sarà lui il suo testimone. 
E quando finalmente apre bocca per rispondere, qualcuno gli da una pacca sulla spalla e lo distrae. «Ehi congratulazioni dottore!» si congratula Ideo, un altro degli avventori storici del Corrida Colosseum. Law gli da la mano e lo ringrazia prima che prosegua verso la toilette e poi torna a concentrarsi su di noi. «Abbiamo concordato due testimoni a testa e volevo chiedere a Rufy oltre che, ovviamente, a te.» spiega, guardando dritto. Sabo che si rilassa all’istante e torna a sorridere, dando di gomito a Robin. Law infila una mano nella tasca della giacca appesa allo schienale della sua sedia ed estrae una scatolina lunga e stretta, che sicuramente contiene le fedi, e la posa con cura sul tavolo di fronte a sé. «Ma siccome non mi fido abbastanza di nessuno dei due…» lascia la frase in sospeso e spinge la scatolina verso di me, prima di girarsi a guardarmi. «So che è chiederti molto ma se volessi farmi da testimone non ufficiale e tenere d’occhio questi due, te ne sarei infinitamente grato.»
Gli sorrido con affetto, un po’ sorpresa. «Conta su di me. Sono disponibile ad aiutare anche nell’organizzazione se serve.» aggiungo, troppo obnubilata dall’alcool per rendermi realmente conto in cosa mi sto infilando.
A differenza sua che, nonostante tutto, riesce a essere ancora abbastanza lucido da sollevare un sopracciglio e domandarmi: «Sicura?» a cui io, impavida o forse solo scema, rispondo annuendo e sorridendo imperterrita. Anche lui mi sorride, un sorriso vero e grato che vale più di mille parole, prima di voltarsi verso Robin con quella complicità che li rende da sempre come fratello e sorella. «Avrei chiesto anche a te ma non mi sembra il caso di metterti sotto pressione in questo momento.» si spiega e Robin non fa nemmeno in tempo a rispondere.
«No infatti non è il caso.» interviene fermo e deciso Sabo. «Robin ora deve concentrarsi sulla gravidanza e dedicare tutte le proprie energie al benessere suo e del bambino.»
Law lo osserva una manciata di secondi, il sopracciglio è di nuovo sollevato, e mi lancia un’occhiata in tralice. «C’è qualcosa che non so riguardo la paternità del bambino?»
«Lascia stare. Si preoccupa così tanto che secondo me la sua prima parola sarà “Sabo” e Franky già piange solo all’idea che possa davvero succedere.» commenta Robin e io scoppio a ridere.
È così bello essere qui tutti insieme, noi quattro, come ai vecchi tempi.
«A proposito.» Law si sporge verso Sabo e gli afferra una spalla, socievole come è raro vederlo. «Pensi che Dragon sarebbe disponibile ad ospitare i parenti che arrivano settimana prossima? Sono i suoi zii e sua cugina. Non hanno problemi ad alloggiare anche in hotel ma ho pensato che sarebbe anche un’occasione per far conoscere le due… famiglie.» tentenna sull’ultima parola.
Io e Robin ci scambiamo un’occhiata eloquente. Lui ne parla sempre con molta cautela, non ama essere indiscreto, non ama nemmeno rischiare di esserlo, ma questa è una precauzione non necessaria. Dragon ha sempre considerato lui ed Ace come figli suoi, al pari di Sabo e Rufy e che lui sia l’unico dei quattro con cui non ha legami di sangue non cambia questo innegabile fatto.
Law, dal canto suo, si sente ancora in colpa per quel suo colpo di testa di quando a tredici anni è scappato da casa. Il che è sciocco perché è passata un’eternità e senza quella fuga, comunque, non avrebbe mai conosciuto Cora. Il che mi fa venire in mente…
«Cora riesce a tornare per il matrimonio?» chiedo a Law che sta dando una pacca sulla spalla a Sabo, in segno di ringraziamento per la sua risposta affermativa e la sua rassicurazione che a Dragon farà più che piacere ospitare la famiglia della sua futura nuora.
Si gira verso di me e annuisce. «Rientra appena in tempo. Per la cena di prova credo.»
«E quindi anche per l’addio al celibato!» esclama Sabo, ormai partito per la tangente.
«Scusa? Non penserai di invitarlo.»
«Certo che sì!»
«È come se invitassi Dragon!»
«E infatti ho intenzione di invitare anche papà!» ribatte Sabo, come se fosse ovvio e scontato.
Law lo osserva un paio di secondi prima di grugnire. «Mi sto già pentendo di avertelo chiesto. Comunque…» torna a dedicarsi a me. «Dicevo appunto che torna appena in tempo ma poi si ferma. Torna proprio a Raftel.»
«Dai?!» sgrano gli occhi sorpresa. Non me lo aspettavo proprio. «Ma che bello!»
«È l’estate dei figliol prodighi, a quanto pare.» commenta Robin, prendendo un sorso d’acqua. «Forse dovremmo fare un bel brindisi.» sorride, Law ghigna, Sabo non perde tempo a sollevare il bicchiere. «A noi e a questa indimenticabile estate.» dichiara la mia amica e, mentre ascolto il cozzare del vetro contro vetro mischiato alle nostre voci che, diligenti, ripetono in coro, sento che, sì, sarà davvero un’estate indimenticabile.
   
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Fisso accigliata il piccolo oblò che gira senza sosta, perplessa tanto quanto Nami e Usopp, in piedi, uno alla mia destra e l’altra a sinistra, nello studio di Iva.
La piccola lavatrice da tavolo, perfettamente funzionante, che il nostro capo ha fatto progettare da Usopp – e costruire da lui e Franky – un anno e mezzo fa senza un apparente valido motivo, vibra leggera sulla scrivania in legno scuro laccato di viola.
Non abbiamo mai capito perché abbia voluto una lavatrice in miniatura, sappiamo solo che, per sicurezza, l’abbiamo fatta brevettare a nome di Usopp, casomai a qualcuno venisse in mente di lanciare una cosa del genere sul mercato. Anche se non vedo proprio a cosa potrebbe mai servire.
Iva, manco a dirlo, un uso glielo ha trovato anche se non mi è ancora per niente chiaro dove voglia andare a parare.
Quando Iva ci ha convocati, stamattina, ho dovuto fare appello a tutto il mio autocontrollo per non farmi prendere dal panico e tranquillizzare anche Nami. Usopp, naturalmente, lo abbiamo trascinato qui contro la sua volontà.
Ora è troppo preso a osservare per preoccuparsi delle poco velate avance che Iva non manca mai di fargli riguardo un eventuale cosa a tre con lui e Sanji. Da mettere i brividi, ve lo garantisco.
Oggi comunque si è astenuta dal molestarlo sessualmente e psicologicamente, troppo emozionata ed euforica per l’arrivo di quei famosi campioni di stoffa per toppe di cui ci dovremo occupare, il cui lancio è previsto per i primi di Agosto.
Molleggiando e saltellando qua e là, sotto lo sguardo atono e attento di Inazuma, ci ha mostrato i campioni di questo rivoluzionario prodotto, affrettandosi poi a stirarne uno su una pezza bucata apposta per l’occasione, con un ferro da stiro portatile.
“Una passata e voilat! Il buco non c’è più! Yyyyyahhh!”
Non posso credere che abbia anche avuto il coraggio di suggerirlo come slogan.
Comunque. Il punto è che fin qui non ci vedo proprio niente di rivoluzionario. Prodotti così ne esistono già, basta andare in una qualsiasi merceria. Per questo sono curiosa di capire come mai il passaggio in lavatrice sia, a suo dire, così determinante che ci aprirà gli occhi sulle infinite possibilità di questa nuova tecnologia sartoriale.
Trattengo a stento un sospiro e mi chiedo quale programma di lavaggio ha selezionato e per quanto ancora dovremo stare qui fermi e immobili che un triplo bip giunge in nostro soccorso, facendoci soffiare con sollievo dalla bocca.
Era ora!
Iva si sposta vicino alla scrivania e, con fare teatrale, apre l’oblò ed estrae la pezza, spiegandola davanti a noi.
«Guardate mie care girls!» esclama, ballonzolante.
La toppa si stacca dalla pezza, come se qualcuno ce l’avesse solo appoggiata sopra e quella avesse resistito qualche secondo grazie a una lieve forza elettrostatica, prima di scivolare con leggiadria sul pavimento.
Q… qualcosa non torna. Che è successo?
«Cos’è che è andato storto?» domanda  Usopp, studiando il buco al centro della pezza blu.
Iva, che non ha ancora perso il sorrisone, si gira a scrutare con più attenzione la pezza e lo strappo che l’attraversa, in bella vista, come se non capisse la domanda del mio amico.
«Niente! Era proprio questo che doveva succedere!» afferma piena di orgoglio.
Ci guardiamo tra noi, accigliati e perplessi.
«Non… si suppone che resti attaccata, la toppa?» Nami da voce ai nostri dubbi.
Iva scuote la testa in un cenno di diniego.
«Iva ma così è inutile.» gli faccio presente, pacata e cauta.
«Si può riattaccare passando di nuovo il ferro! Yyyyyahhhh!»
«Ma al lavaggio successivo si staccherebbe ancora.» considera Usopp, sempre ragionevole.
Iva gli lancia un’occhiata ammiccante che, al suo posto, terrorizzerebbe anche me.
«Mh, NasoBoy come sei sempre così intuitivo.»
Usopp indietreggia di un passo e, istintivamente, porto una mano sulla base della sua schiena, per trattenerlo e rassicurarlo.
«Sapessi quali pensieri sinistri mi suscita quell’appendice.» continua e lui deglutisce a vuoto, lanciando occhiate alla finestra come possibile via di fuga.
«Iva cosa ce ne facciamo? Se si stacca a ogni lavaggio…» comincia a protestare Nami ma subito viene interrotta.
«Ma è proprio per questo che voi siete qui!» esclama Iva, allargando le braccia verso di noi.
Il silenzio è tale che riesco quasi a sentire il rumore dei mie globuli che passeggiano su e giù per le vene finché non mi decido a romperlo.  
«Tu…» comincio, faticando a credere alle mie stesse parole.  «Tu vuoi che troviamo il modo di lanciare un prodotto difettoso?!»
«Precisamente!»
Oh andiamo! Non può fare sul serio!
Ma è di Iva che parliamo e quindi sì, fa sul serio eccome e io lo so più di chiunque altro in questa stanza, anche più di Inazuma.   
«E comunque non è difettoso.» precisa contrariata e Inazuma manda gli occhi al cielo.
Ho l’impressione di non essere la prima che glielo fa notare.
«Certo che lo è! A cosa serve se poi la toppa non tiene?» provo a farla ragionare.
«Questo dovete dirmelo voi!» esclama, testardamente entusiasta.
Scuoto la testa scoraggiata. Questa roba è inutile. Non ha senso perdere tempo su una cosa così. «Iva, non è un progetto proficuo. Lasciamo stare.» insisto e un lampo le attraversa gli occhi.
Un lampo che mi fa gelare il sangue nelle vene. Ora, io sono nota per essere una persona molto calma e piena di risorse. Se avessi un superpotere, quello sarebbe il problem solving e, quindi, normalmente, non mi agito prima di non aver valutato con estrema attenzione il problema che mi si pone di fronte.
Ma quello che ho appena visto negli occhi di Iva è abbastanza per sopprimere il mio ottimismo. Perché se io sono positiva, lei è completamente fuori dal mondo. Se io penso che non c’è problema che non abbia una soluzione, lei pensa che i problemi non esistano proprio.
Quindi se Iva è nel panico può significare soltanto che ho dei validi motivi per esserlo anche io.
«Bisogna trovare un modo!» insiste, il sorriso ora congelato sul volto. E il suo tono supplice non mi aiuta affatto a calmarmi.
Iva è terrorizzata all’idea che non si possa trovare un progetto per questa palesemente inutile stoffa.
Perché è terrorizzata all’idea che non si possa trovare un progetto per questa palesemente inutile stoffa?
Non ha senso, perché basta dire di no, ringraziare e comunicare che non siamo interessati. Non ha senso a meno che, ovviamente…
«Iva tu… non l’hai già acquistata vero?» chiedo in un soffio, anche se dentro di me, conosco già la risposta.
Un angolo della sua bocca, dipinta magistralmente di lilla, si contrae in un tic. «A chili» conferma.
Oh… Santo… Roger…
No… Tutto questo non può essere vero…
Lei non può… Non può essersi fatta fregare così!
Come?! Quando?!
Quanto ha investito in questa robaccia? A quanto ammonta il danno? Perché è a capo dell’azienda?!
Mi giro verso Inazuma, non certa di voler davvero sentire il resto.
«Se non dovessimo trovare un’utilità per questo prodotto, il danno ammonterebbe a una cifra considerevole.» conferma le mie paure, facendo rigirare nel calice che tiene in mano il succo d’uva.
Sono pur sempre le undici del mattino.
Ma a me interessa poco del contenuto del bicchiere di Inazuma ora. A me interessa che improvvisamente le sorti di una parte dell’azienda – e dei nostri colleghi – siano state scaricate sulle spalle di noi tre.
«Ci serve più tempo!» cerco di contrattare almeno sulla data di lancio del prodotto.
«Non lo abbiamo. Ci serve che la questione si riveli un affare entro Settembre o qualcuno del consiglio potrebbe… contrariarsi, diciamo. E la presentazione è programmata per Luglio.»
Lo fissiamo oltre lo shock, le mandibole ancora attaccate solo perché è fisicamente impossibile che cadano a terra.
«E deve essere l’affare dell’anno.» chiarisce Inazuma, dandoci il colpo di grazia.
Questo è un incubo. Un autentico incubo.
Mi giro verso Usopp e Nami ma i loro sguardi mi sconfortano ancora di più. Hanno l’aria più smarrita della mia.
E come dargli torto?
Gli manca la materia prima per svolgere il proprio lavoro. E chi gliela deve fornire?
Ma io ovviamente!
Okay, okay. Niente panico. C’è sicuramente una soluzione da qualche parte. L’importante è che io rimanga calma, concentrata e non…
«Ragazzi.» ci chiama Inazuma, serio come non l’ho mai visto. «Il destino della Ivankov&Co è nelle vostre mani.»
Ecco.
Ora è il momento di farsi prendere dal panico.
 

 
§

 
«Merda!»
Usopp impreca mentre io mi afferro le tempie, i gomiti appoggiati alla scrivania, incapace di pensare per quanto mi sforzi.
«Merda, merda, merda!» ripete ancora Usopp, sempre più in panico, e non posso dargli torto.
Non ci riesco ancora a credere.
In cosa si è andata a infognare Iva? E in cosa ci siamo andati a infognare noi.
«Cosa facciamo?»
«Non lo so.» rispondo, calma. Così non riesco a pensare.
«Che cosa facciamo?!?!»
«Usopp, non lo so!» ripeto, tirando su la testa di scatto. «Ma qualcosa troveremo. Dobbiamo trovare qualcosa!» ripeto decisa, cercando di convincere più me stessa che neanche loro.
Quella cosa non è buona nemmeno per spolverare, porca miseria! E il momento, ovviamente, non poteva che essere questo. 
Grazie alla geniale trovata di Iva ora mi ritrovo con il mio migliore amico che si sposa tra sei settimane, Sabo da gestire – per quanto in mio potere, certo –, un matrimonio da aiutare a organizzare e un progetto assurdo, impossibile, irrealizzabile dal cui successo dipende il futuro lavorativo mio, dei miei due collaboratori/amici, di un’altra buona fetta di colleghi e del mio capo.
Fantastico! Sono al settimo cielo!
Il problema è che non voglio fallire. Non voglio che Iva perda il posto né che succeda a qualcuno dei miei colleghi. Non voglio fallire ma come facciamo?  
Alzo gli occhi alla ricerca di aiuto e incrocio quelli di Usopp che , più abbacchiato di me, si sforza di sorridermi incoraggiante.
Ricambio intenerita.
Non è impossibile, insieme possiamo farcela. Siamo una squadra, una delle squadre più meravigliose che si possano desiderare. Possiamo farcela. Noi possiamo e dobbiamo farcela. Se ci concentriamo esclusivamente su questo, ci dedichiamo anima e corpo al progetto, senza distrazioni est…
«Oh santa merda!»  
Ci giriamo verso Nami, allibiti. Certe uscite non sono proprio da lei.
«Nami?» Usopp la chiama, allarmato ma lei non da neanche segni di averlo sentito. È nel panico più totale. «Ohi!» la richiama più deciso, avvicinandosi.
China il busto in avanti e comincia a leggere mentre anche io li raggiungo.
«Cos’è?» domando, chinandomi a mia volta mentre Usopp continua a far scorrere gli occhi scuri sul monitor.
«Un’email di Sabo.» spiega, l’espressione concentrata. Legge a velocità supersonica e al contempo mi spiega ciò che ha appena letto mentre il suo cervello è già alla riga successiva.
Mi fa sempre impressione quando fa queste cose da genio. Non si rende proprio conto del suo potenziale.
«La futura signora Trafalgar arriva a Raftel in settimana e questo weekend siamo tutti invitati a casa di Dragon per una rimpatriata come ai vecchi tempi, tutto gentilmente offerto dai testimoni dello sposo e l’invito…» si blocca, rischiando di strozzarsi con la propria saliva.
Si gira a guardare Nami, ancora imbambolata e immobile. Cerco rapida il punto in cui mi sembra che Usopp si sia interrotto e leggo febbrile.
 
Ovviamente l’invito è esteso anche a mariti, mogli, fidanzati, amanti e amici con benefici purché siano educati e non molesti. E Nami dì al tuo ragazzo che non può scamparla. Vogliamo conoscerlo!
 
Non oso girarmi a guardarla.
Oh bene. Splendido. Sì, questo è decisamente quello di cui abbiamo bisogno.  
Da quanto vedo, per conoscenza l’ha mandata a tutti e tutti ora si aspetteranno di vedere il fidanzato di Nami che non ha un nome, una faccia e nemmeno una consistenza concreta.
L’inesistente fidanzato di Nami.
Vorrei prendermela con Sabo e il suo eccessivo zelo ma la verità è che non è affatto colpa sua. Non è lui che si è inventato il fidanzato invisibile e comunque sta a noi trovare una soluzione adesso. È inevitabile. E la sola idea che mi viene è banale ma anche la più logica e pratica.   
«Dì che non può venire!»
«Dobbiamo trovare qualcuno!»
«Lo faccio io!»
Nami e io ci scambiamo un’occhiata prima di girarci verso Usopp, le sopracciglia corrugate.
«Come?» domanda Nami perplessa.
«Mi fingo io il tuo ragazzo! Diciamo che non volevamo dirlo subito ma viste le circostanze ci abbiamo ripensato. È la soluzione più pratica per te.» afferma convinto, assumendo quell’espressione determinata che tanto raramente si vede ma che tanto bene gli sta. «Io sono bravo a inventarmi storie, recito bene e ti conosco da una vita! Può funzionare!»
Lo fissiamo mute qualche attimo prima di prendere a muovere simultaneamente il capo a destra e a sinistra.
«No.»
«Non penso proprio!»
Usopp strabuzza gli occhi.  «Come sarebbe?!» protesta, indignato.
«Vorrei evitare di uccidere Sanji di crepacuore.» comincia Nami, incrociando le braccia sotto il seno e Usopp si adombra.
«Tanto vorrà fare la solita recita, non illudetevi.»
«Nami intende che Sanji morirebbe di crepacuore a immaginare lei fidanzata con te non il contrario.» chiarisco con assolutamente zero tatto mentre afferro il mio cellulare che vibra rumoroso e sconnesso sul ripiano liscio della mia scrivania.
Lo sblocco e inserisco la sequenza di sicurezza, prestando solo un orecchio alla loro conversazione.  
«E poi cosa vuoi fare? Giocarti del tutto la possibilità di fare coming out?» insiste Nami, particolarmente sensibile a questa faccenda di Usopp e Sanji.
Apro Whatsapp e pigio sulla mia chat con Law, dove lampeggia una notifica.

“Per favore, dimmi che non ha già mandato l’e-mail di invito per questo fine settimana.”

«Se dici di stare con me, anche dopo che avremo fatto finta di esserci lasciati come lo spieghi che hai improvvisamente scoperto di essere bisessuale e di essere innamorato di Sanji?»
«Non è così impossibile!» si stringe nelle spalle Usopp, portando una mano alla nuca.
Torno a concentrarmi sul mio telefonino e digito rapida: “Non ha mandato l’email di invito per questo fine settimana.”
«Ma allungherebbe ulteriormente i tempi.» insiste lapidaria e irremovibile Nami.
Il cellulare vibra di nuovo tra le mie mani.

“Lo sapevo. Merda.”

Sorrido e scuoto il capo, divertita.
«Ti dico che non è un problema!»
“Cosa ti aspettavi quando lo hai scelto come testimone?” scrivo con la mente già oltre, nuovamente focalizzata sul problema più impellente. 
«Usopp, al di là di tutto, non sarebbe credibile. Nami ha rivelato di essere fidanzata per giustificare uno scambio di messaggi durante la cena dell’altra sera. Tu eri seduto accanto a lei. Che senso avrebbe avuto?»
«Se volevamo tenerlo nascosto…»
«Allora Nami non lo avrebbe sbandierato ai quattro venti.» lo interrompo.
Il cellulare vibra.

“Non lo so. Un miracolo, probabilmente.”

Ridacchio e chiudo la chat. Gli rispondo più tardi.
«Davvero Nami, dì che ha un impegno irrevocabile di lavoro.» propongo di nuovo ma lei scuote la testa caparbia. Sospiro rassegnata.
«Sarebbe troppo sospetto. E poi comunque qualcuno da portare al matrimonio lo dovevo già trovare.»
«Sì ma avresti più tempo!»
«No! Non voglio fare la figura della patetica!»
«Perché? Finora che hai fatto?» domanda Usopp.
«Beh allora non ci sono molte alternative.» mi stringo nelle spalle.
«Ci vuole un accompagnatore.» chiarisce Usopp, annuendo con aria solenne.
«Cosa?!» esclama Nami, quasi scioccata. «Ma io non ho intenzione di pagare!» mette in chiaro.
La osserviamo atoni per qualche secondo. Non è che la cosa ci stupisca ma stavolta non ha nessun’altra opzione.
«Nami…»
«No! Assolutamente no!» ci punta contro l’indice. «Devo trovare qualcuno di disponibile, credibile e soprattutto gratuito!»
Io e Usopp ci scambiamo uno sguardo rassegnato. Inutile discutere tanto sappiamo già entrambi chi la spunta sempre, quando si parla di soldi. Meglio analizzare con cura la faccenda e scovare una soluzione. 
«Informazioni su di lui non ne hai date. Questo gioca a nostro vantaggio.»  
«Ma ci vuole qualcuno che sia bravo a inventare bugie sul momento o, in alternativa, che sia poco loquace.» fa presente Usopp con aria esperta.
«E bravo a non lasciar trasparire le proprie emozioni.» aggiungo io.  
Spalanchiamo gli occhi tutti e tre, colpiti in simultanea dallo stesso pensiero.
«State pensando quello che penso io?» chiede Usopp con un sorriso di trionfo. Io e Nami facciamo segno di sì con la testa, prima di scattare tutti e tre verso la porta.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


«Assolutamente no!» 
Le mani sui fianchi, la bocca imbronciata, gli occhi dardeggianti.
Non ha per niente l’aria di voler collaborare ma la cosa non turba nessuno di noi, men che meno Nami che dopo un attimo torna a guardare il proprio interlocutore. «Sarà un favore a buon rendere.» continua a contrattare da consumata esperta.
«Tesoro!» l’apostrofa con acidità. «Quale parte di “assolutamente no” non ti è chiara?!»
«Non l’ho chiesto a te.» sibila Nami a occhi socchiusi.
«Non fa nessuna differenza, se lo chiedi a Marco-chan è come se lo stessi chiedendo a me.» conclude, sollevando il mento con fare indignato.
Nami lo osserva senza parole e lui sogghigna, già tronfio per la propria vittoria.
«Va bene.»
Il sorriso scivola via dal suo volto e i suoi occhi si fanno grandi come fondi di bottiglia.
«C-come?!» chiede Nami incerta, girandosi verso Marco, che la osserva senza alcuna emozione sul volto, le braccia incrociate al petto.
«Marco!» protesta Izou.
«Le devo ancora un favore per aver sistemato all’ultimo quello slogan due settimane fa prima che lo mandassimo in stampa.» spiega Marco con disarmante semplicità.
«Sì ma questo mi sembra un po’ troppo!» urlacchia Izou, indicando Nami con entrambi le mani e le braccia tese.
Le orecchie mi fischiano per il suo grido isterico e mi porto un polpastrello a schiacciare, imitata da Usopp  e Nami.  
«Izou…» sospira Marco, passandosi indice e pollice sugli occhi.
«No, no e ancora no!!!» protesta capriccioso.
Mi stupisco che non abbia pestato un piede a terra per sottolineare il suo rifiuto.
«Izou è solo un weekend.»
«Ma se ti fingi il suo fidanzato dovrai dormire con lei! Dovrai baciarla!»
«E la cosa sarà del tutto finta. E dal momento che lei è una donna e a me piacciono gli uomini non hai nessun valido motivo per essere geloso.»
Izou lo scruta qualche istante prima di squadrare Nami dalla testa ai piedi, incrociando a sua volta le braccia al petto.
Comincio a pensare che non sia stata questa splendida idea la nostra.
Insomma sì, la descrizione del perfetto candidato per interpretare il finto fidanzato di Nami collima alla perfezione con Marco, che lavora come tecnico e tipografo per la Ivankov&Co e con cui spesso abbiamo collaborato in passato.
Lui ha tutte le caratteristiche adatte.
Sa essere impassibile, parla poco, è discreto, ragionevole, educato e ben disposto ad aiutare Nami gratis. Senza contare che, quando lo si conosce meglio, è pure simpatico.
Sarebbe perfetto, assolutamente perfetto se non fosse per un minuscolo dettaglio.
Il suo isterico, mestruato, nevrotico fidanzato. Izou, che lavora anche lui come tecnico e tipografo qui da noi e della cui esistenza ci siamo momentaneamente dimenticati presi dalla frenesia di parlare con Marco.
Un errore imperdonabile.
Mentre raccontavamo tutto al nostro candidato numero uno, Izou è sgattaiolato più vicino, per origliare tutto senza la minima discrezione e ora si è lanciato in una delle sue migliori scenate da drama-queen.
«Non smetterò certo di essere gay per questo.»
«E che ne sai?!» ribatte Izou, testardo. «Si comincia sempre così! Magari scopri che fingere di essere etero ti piace!»
Getta la testa di lato, facendo ondeggiare la ciocca ribelle che gli sfugge sempre dall’altrimenti impeccabile raccolto, e si ritrova a fissare Usopp che lo guarda con un sopracciglio alzato.
«Che vuoi nasone?» ringhia appena, lo sguardo fiammeggiante.
Usopp sobbalza. «Uh?! Eh?! I-io?! Niente, a-assolutamente niente!» si affretta a rispondere, agitando le mani davanti al viso.
«Senti, io penso sia meglio parlarne a casa dopo il lavoro.» decide di mettere un freno a questa conversazione Marco. E possibilmente di salvarci da Izou. «Comunque ho intenzione di aiutare Nami quindi è meglio se cominci a metterti nell’ottica. E ora scusate ma mi vengono pronti dei cartelloni.» snocciola alla fine allontanandosi, apparentemente sempre calmo e per niente contrariato, sotto lo sguardo scioccato di Izou.
Anche Nami lo osserva allibita, incredula di essere riuscita a risolvere il tutto così in fretta.
«E-ehi grazie!» esclama, facendo un passo verso di lui, che si limita a sollevare un braccio in un gesto di saluto senza voltarsi, scartando tra le stampanti e i macchinari.
Si gira verso di noi, euforica, e io e Usopp rispondiamo alzando alto il pollice, altrettanto felici – anche se una parte di me sta insistendo sul fatto che tutto questo è stata una pessima idea, che avrei dovuto cercare di farla desistere – finché un’aura nera e venata di rosso non si scatena a pochi centimetri da noi.
Izou sta fissando Nami come se volesse disintegrarla a distanza e trema impercettibilmente.
Francamente, fa paura. Sembra vicino a una metamorfosi.
«Stai molto attenta a dove metti le mani. Passi la borsa di Hermés che non sono riuscito a comprarmi e i sandali di Jimmy Choo che non posso mettere… Ma il corpo di Marco-chan, quello è solo mio.» la ammonisce in un soffio, puntandole contro l’indice, prima di sbuffare un mugugno acuto e soddisfatto e allontanarsi dietro a Marco.

 
§

 
Mi scosto i capelli dal viso con la mano mentre mi guardo intorno.
Ho viaggiato tanto in vita mia e, anche se non sono mai stata a Raftel, gli aeroporti sono più o meno tutti uguali ma questo Tontatta Airport è il più frenetico che io abbia mai visto. Hostess e stuart di terra sembrano come piccole e velocissime api immerse nel proprio lavoro, efficienti e precise e la loro frenesia sta inevitabilmente contagiando anche me, tanto che mi sento quasi agitata.
Continuo a cercarlo con gli occhi ma non riesco a vederlo svettare sulla folla che mi circonda. Determinata, mi sistemo meglio la borsa sulla spalla decisa a spostarmi da qui e mettermi in una zona più defilata ad aspettarlo. Afferro il trolley e comincio a scartare tra gli altri viaggiatori quando avverto dei leggeri tocchi contro il mio costato. Abbasso gli occhi appena in tempo per vedere il suo musetto spuntare dalle falde della borsa, con uno sguardo supplice nei suoi occhioni scuri e lucidi.
«Tranquillo Karl. Rimani nella borsa, adesso usciamo da qui.» lo avviso, grattandolo sul testino peloso, senza smettere di avanzare e farmi strada. Odia i luoghi affollati, Karl, e mi domando se ho fatto bene a portarlo qui ma, da quando papà lo ha trovato abbandonato di ritorno da un incontro di affari e lo ha portato a casa, non si è mai separato da me.
No, decisamente sarebbe stato peggio lasciarlo per tutte queste settimane.
Mi tampono il sudore dal coppino, valutando se fermarmi un attimo per tirare su i capelli ma è evidente che sarebbe la mia fine e verrei trascinata via dalla folla, così mi limito a spostarli tutti su una spalla e proseguire, sorridendo tra me e me quando individuo il bar. Ho un disperato bisogno di una bottiglietta d’acqua e lo stomaco brontola infastidito, reclamando a gran voce un po’ di cibo e rimproverandomi per aver saltato la colazione. Ma in fondo sono le undici, sono ancora in tempo per concedermi una briosche o un dolce.
Mi avvio decisa, sollevata per il fatto che, nonostante il sovraffollamento, al banco c’è solo un tizio con i capelli blu e il naso da clown e un ragazzo moro con un cappello di paglia che penzola in mezzo alle sue scapole. Mi accosto e sorrido alla ragazza dietro il banco, i capelli biondi acconciati in una treccia che le ricade su una spalla.
Mi fa un cenno di saluto con il capo, prima di tornare a concentrarsi sul ragazzo moro che a quanto vedo sta facendo un ordine piuttosto abbondante.
Mi guardo intorno per capire se devo prima pagare o posso farlo dopo aver ordinato ma nessun cartello viene in mio soccorso. Mi giro verso il tizio dai capelli blu e non posso fare a meno di studiare il suo strambo naso per un paio di secondi prima di rivolgergli la parola. «Mi scusi?» richiamo la sua attenzione, sorridendo educata ma, quando si gira, lo sguardo che mi lancia mi fa quasi sussultare. Mi guarda scocciato, come se fossi una mosca che gli ronza intorno apposta per dargli fastidio.
«Che vuoi?» abbaia quasi, e io sgrano appena gli occhi, incredula.
Ma che simpatico! E quanta educazione!
«Sa se bisogna pagare prima di ord…» faccio per domandare, continuando a sorridere imperterrita, anche se un po’ tirata. Non riesco a credere ai miei occhi quando il tizio mi volta le spalle senza farmi neanche finire. «Ehi ragazzino! Ti dai una mossa?» lo apostrofa e la mia indignazione raggiunge i massimi storici.
Sì, è vero, ci sta mettendo davvero tanto e forse, se non mi avesse trattato così male, avrei provato anche una certa empatia ma quel ragazzo non gli ha fatto nulla! Ed è suo diritto ordinare ciò che vuole!
Cappello di Paglia si gira sorpreso verso di lui e lo studia attento e curioso, socchiudendo gli occhi.
«Ma che figata!» esclama all’improvviso, allungando l’indice a toccare il naso tondo e rosso del nostro beneducato amico. Sgrano gli occhi e sono divisa tra la voglia di scoppiare a ridere e il buon senso che mi dice di intervenire o allontanarmi prima che la situazione degeneri.
«Cos… smettila immediatamente!» ruggisce l’uomo, indietreggiando ma Cappello di Paglia continua a pungolarlo senza nemmeno spostarsi. Piega semplicemente il busto in avanti e per un attimo ho l’ottica illusione che si in grado di allungarsi manco fosse fatto di gomma.
«È una cosa veramente pazzesca!»
A giudicare dall’espressione omicida del tizio blu sarebbe meglio alzare i tacchi ma il mio stomaco si ribella alla sola idea e così, incurante del pericolo, sguscio verso il banco e sorrido a Konis, così recita il badge agganciato alla sua camicetta. «Non è che potrei prendere qualcosa io mentre loro due…ehm…» tentenno, lanciando loro un’occhiata. «Finiscono di appianare le loro divergenze.» concludo convinta.
Anche Konis mi sorride, ma sembra un sorriso quasi di scuse e scopro immediatamente perché. «Ho il suo scontrino aperto, finché non paga non posso fare altro, mi spiace.»
«Oh. Capisco. Nessun problema!» mi affretto ad aggiungere quando vedo la sua espressione demoralizzata per non dire disperata. D’altro canto, la capisco, non sarei molto felice nemmeno io se avessi la cassa bloccata da uno scontrino che sembra la spesa per un reggimento e due clienti che si prendono a male parole davanti al chiosco. Con una spesa del genere non può nemmeno annullare l’ordine senza beccarsi un rimprovero.
Così decido di aspettare almeno un attimo, per vedere se la situazione si sblocca e, nel frattempo, mi dedico a scrutare la vetrinetta e i dolci che contiene, appoggiando i polpastrelli sul vetro fresco e liscio. E quando lo vedo, a metà del secondo scaffale, mi illumino.
Cookie ai cereali con mirtilli rossi.
Semplicemente perfetto.
«…stupido ragazzino! Guarda che ti stacco le braccia io!»
Solo allora mi accorgo che intanto la situazione qui accanto a me sta sfuggendo di mano ai due. Mi giro scioccata dal tono fin troppo furente usato dal tizio con i capelli blu e rimango ancor più basita quando vedo che si stanno tirando i capelli a vicenda e che il clown sta anche premendo un pugno contro la guancia di Cappello di Paglia, deformandogli la faccia. «Sì, vorrei proprio vederti, guarda!» lo provoca in un mugugno poco articolato.
La cosa peggiore di tutta la faccenda è che nella posizione in cui mi trovo non posso nemmeno allontanarmi da loro. Sono bloccata tra loro e la vetrina e tutto ciò che posso fare è scansarmi per non farmi colpire e premurarmi di tenere Karl al sicuro. Se solo penso a come deve risultare la scena vista da fuori mi viene voglia di sotterrarmi per l’imbarazzo.
«Ehm… scusate…» li provo a chiamare ma evitare una gomitata in piena faccia diventa improvvisamente più importante. «Scusate!» riprovo più decisa e un po’ contrariata.
«Mi aggiungi in un sacchetto a parte una treccia all’uvetta, due babà al rhum, un saccottino al cioccolato fondente, un donut alla fragola e un cannolo alla crema. Quello con la granella di nocciole.» una voce allegra e suadente attira la mia attenzione, soprattutto perché risuona a sorpresa vicina al mio orecchio. Mi volto verso sinistra solo per scoprire che c’è un ragazzo di fronte alla cassa. Biondo, spalle larghe, sorriso che uccide. Avrà pochi anni più di me e sembra intenzionato a pagare tutto di tasca propria. Probabilmente non ha voglia di aspettare. «Oh quasi dimenticavo! Anche il cookie cereali e mirtilli. Grazie!» 
Sgrano appena gli occhi e mi irrigidisco.
Era l’ultimo. Cavolo, che sfortuna!
Cerco di nascondere la delusione come meglio posso e sorrido quando il ragazzo biondo mi lancia una rapida occhiata e un sorriso da pubblicità del dentifricio mentre allunga una banconota a Konis. «Tieni il resto per il disturbo.» le dice, afferrando i due sacchetti di carta alimentare, uno di dimensioni pantagrueliche.
Aspetto composta, in attesa che si allontani perché ora che Cappello di Paglia e Clown si sono scostati un po’, sempre litigando ovviamente, lui è la sola ragione per cui non posso ancora muovermi da qui. Mi domando se se ne sia accorto quando vedo che non schioda ma ho subito conferma che se n’è accorto eccome quando mi tende un mano con galanteria. Mano che osservo a occhi sgranati, non certa di aver capito bene il suo muto invito.
«Se mi concede l’onore, signorina…»
Non so nemmeno io perché, credo sia qualcosa nei suoi occhi marrone cioccolato che guizzano e sembrano brillare di luce propria, ma non riesco a trattenere una mezza risata e nemmeno l’impulso di accontentarlo. La sua stretta sulle mie dita è decisa ma delicata, la pelle calda e asciutta. Si possono capire moltissime cose da una stretta di mano e io capisco subito di avere di fronte una splendida persona. Mi trascina piano verso di sé e poi al suo fianco, prima di lasciarmi andare e spostare i sacchetti con tutti i dolciumi nella mano che poco fa stringeva la mia e, con la destra ora libera, afferrare per il colletto Cappello di Paglia e trascinarlo via dalla rissa.
«Che cosa stai combinando?! Vuoi dare spettacolo per caso?!» lo rimprovera, allontanandosi deciso di qualche passo.
«Io non ho fatto niente! Cercavo solo di capire come fa ad avere un naso del genere!» protesta Cappello di Paglia, indicando a braccio teso Clown. «È lui che se l’è presa!»
«Non puoi andare in giro a strizzare il naso agli sconosciuti!»
«Perché no? Ace lo fa!»
«Oh santo Roger…» sospira il biondo, afferrandosi il ponte del naso tra le dita. «Senti fa niente. Prendi qui tutta la tua roba e andiamo che gli altri ci aspettano.» tagli corta, ficcandogli tra le mani il sacchetto più grande, su cui Cappello di Paglia si avventa come se digiunasse da giorni. Non hanno fatto due passi che ha già la bocca piena. E non ne hanno fatti tre che Sorriso Smagliante si ferma e si gira a guardarmi. «Tu non vieni?» chiede, cogliendomi alla sprovvista. «Non sono uno stalker, giuro. Giusto il tempo di darti il cookie.» aggiunge, indicando il secondo sacchetto quello più piccolo.
Sbatto le palpebre interdetta. Fa sul serio? Neanche ci conosciamo.
«Sarebbe stato capace di ordinare anche quello ed era l’ultimo ma sembrava l’unica cosa interessante per te a giudicare da come lo guardavi.»
Okay, ora sono oltre l’incredulità. Un tizio che non conosco e non mi ha mai vista ha capito, guardandomi una volta, che cosa volevo ordinare al bar e lo ha ordinato per me per impedire che il suo amico o quel che è me lo rubasse da sotto il naso.
«Se… se mi sono sbagliato e non lo vuoi…»
«Oh no! Sì che lo voglio! Il… il cookie, intendo!» preciso, arrossendo per il mio improvviso scatto. Mi avvicino, trascinandomi dietro il trolley e afferro il biscotto avvolto parzialmente nel tovagliolino, attenta a non sbriciolare troppo sulla sua mano. «Quanto ti devo?»
Mi concentro di nuovo su di lui quando non mi risponde e lo sorprendo a osservarmi con uno strano sguardo che non riesco a decifrare.
«Mh?!» mugugna alla fine, realizzando a scoppio ritardato che gli ho fatto una domanda.
«Per il cookie, quanto ti devo?» ripeto, agitando appena il biscotto dato che non ho mani libere per indicarlo.
«Oh no nulla!»
«C-come?» faccio io, presa in contropiede.
«Dico davvero. Consideralo una specie di risarcimento per il comportamento poco galante di mio fratello.» insiste, indicando Cappello di Paglia con la mano ancora tesa per non gettare a terra le briciole del mio cookie. Ci giriamo entrambi a guardarlo e rimango senza parole. Sembra un criceto con le guance piene di semi. Come fa?! Pare veramente fatto di gomma!
«Ecco appunto.» Sorriso Smagliante commenta tra i denti. «Ehi e lui chi è?» domanda poi, sorpreso, dopo un paio di secondi.
«Lui?!» domando, perplessa finché non mi accorgo che sta fissando la mia borsa. E mi metto a fissarla anche io, quando mi accorgo che Karl si sta sporgendo all’esterno con un certo interesse e una spavalderia non da lui. Di solito non si fa vedere in posti così affollati e davanti a sconosciuti ma adesso si sta addirittura stirando in direzione di Sorriso Smagliante come a volerlo raggiungere.
«Karl…»  
«Che c’è? Vuoi un po’ di cookie?» chiede Sorriso Smagliante, avvicinandogli il palmo pieno di briciole.
«No, attento che…» salto su io ma le parole mi muoiono in gola. «…morde.» mormoro meccanicamente, osservando Karl lappare di gusto i resti di dolce dalla sua mano.
«È un suricata giusto?»
«Sì» rispondo, con un filo di voce.
Karl non ha mai accettato il cibo da nessuno che non fossi io! Mai!
Neppure da mio fratello o da papà! Neppure da Baby!
Ma chi diavolo sei tu?!
«Sei adorabile.» si complimenta con lui grattandogli la testa, prima di rimettersi dritto e allungare di nuovo la mano verso di me «Io comunque sono S…»
«Zoro!!!» l’urlo di Cappello di Paglia ci fa scattare come due molle. Ci giriamo di scatto verso di lui che schizza via così veloce da provocare uno spostamento d’aria che quasi mi ribalta la valigia. «Zoro!!! Ehi Zoro sono qui!!!» continua a urlare, correndo dritto verso un ragazzo dai capelli verdi che si guarda intorno un po’ spaesato.
Ha con sé un borsone e uno strano involto di stoffa, lungo e stretto, agganciato alla schiena con una tracolla.
Quando vede Cappello di Paglia ormai a pochi metri si illumina e, con un’agilità degna di un ninja, si piega sulle gambe per evitare il proiettile in cui questo ragazzo dalle incredibili capacità elastiche si trasforma proprio sotto i miei occhi increduli, in un tentativo di abbracciare il suo amico. Cappello di Paglia si schianta a terra, pochi passi alle spalle di Zoro, che molla a terra il borsone prima di stendere un braccio verso di lui, per aiutarlo ad alzarsi e stringerselo addosso in un goliardico abbraccio.
«Ben tornato, amico!» lo accoglie Cappello di Paglia.
«Ciao Rufy. È bello essere a casa.» risponde Zoro.
Un campanello suona nella mia testa. Rufy?   
«Ehi ma… hanno mandato te a prendermi?» chiede Zoro, improvvisamente turbato.
«Oh no, sono qui con Ace e S…»
«Fratellone!» esclama una voce roca e squillante alle nostre spalle e un secondo fulmine, stavolta rosa, ci schizza accanto, molto più vicino di Rufy. Inciampo nei miei stessi piedi per evitarla e perdo l’equilibrio. Sono già pronta a rovinare al suolo che qualcosa frena la mia caduta e quando riapro gli occhi e inclino il capo all’indietro per verificare cosa sta accadendo scopro che quel qualcosa sono il petto e le braccia di Sorriso Smagliante. Che, ovviamente, mi sta sorridendo. «Ehi tutto bene?»
«Sì, sc…»
«Fratello, non ti si può lasciare solo un secondo che parti subito all’attacco.» si intromette l’ennesima voce e un nuovo volto entra nel mio campo visivo mentre il suo possessore da una pacca sulla spalla a Sorriso Smagliante. Un ragazzo moro, con una meravigliosa spruzzata di lentiggini sulle guance e, se possibile, un sorriso ancora più solare. Il che è assolutamente possibile visto che a quanto pare sono fratelli. Anche se non si somigliano per niente.
Perché tutto questo mi suona famigliare?
«Credevo avessi superato stabilmente la fase “Safari in aeroporto”.» continua Sorriso Smagliante due, facendo il giro per aiutarmi a rimettermi dritta, in contemporanea con Sorriso Smagliante uno che mi tira su senza dare l’impressione di avere poi tutta questa fretta di lasciarmi andare. Ma forse è solo perché è troppo concentrato a discutere con suo fratello per accorgersi che mi sta ancora stringendo.
«…possibile che per ogni volta che apri la bocca, ne escono tre stronzate, Ace?»
Un secondo campanello suona nella mia testa. Aspetta, ma vuoi vedere che…
«Sarà una dote naturale.» ribatte Ace, stringendosi nelle spalle.
«Scusate ma voi…» provo a chiedere.
«Ehi ragazzi!»
«Ehi Zoro!»
«Che piacere rivederti amico!» lo accoglie Ace con entusiasmo ma l’espressione di Zoro si fa improvvisamente seria per dire minacciosa.
«Aspetta a dirlo.» lo ammonisce. «Non ho ancora chiesto a Perona come vanno le cose tra voi.» mette in chiaro prima di girarsi verso Sorriso Smagliante e tendergli la mano. «Ciao Sabo.»
Okay, non può essere un caso. Un ragazzo che sembra fatto di gomma di nome Rufy, un Ace e un Sabo tutti insieme. Devono essere per forza…
«Scusa, non credo ci abbiano presentati…» tentenna Zoro, le sopracciglia corrugate, probabilmente per l’assurda posizione in cui mi trovo, dato che Sabo non mi ha ancora lasciata andare. Sussulto quando mi accorgo di essere ancora tra le sue braccia e mi rimetto dritta, lisciandomi la gonna.
«No hai ragione.» gli sorrido. «Io sono B…»
«No ma grazie per avermi scritto che lo avevate trovato. Ho controllato tutti i punti ristoro della zona dal Gate 23 al 36.» è una voce strascicata quella che mi interrompe stavolta. Strascicata e scocciata. E che riconosco immediatamente. 
«A dire il vero io sono appena arrivato qui.» ribatte Ace. «È stato Sabo a trovarlo ma non ci ha avvisati perché era troppo impegnato a pr…»
Sgrano gli occhi perché è fin troppo chiaro cosa Ace stia per dire e mi affretto a spostarmi di lato per farmi vedere.
«Law!» lo chiamo, interrompendo Ace appena in tempo.
Noto un lieve lampo di sorpresa nei suo occhi. Sfila le mani dalle tasche e si avvicina rapido a me. «Ma che…»   
«Il volo è atterrato in anticipo ma non trovavo campo e non sono riuscita ad avvisarti.» gli spiego. «Poi mi è venuta fame ma c’è stato un piccolo contrattempo al punto ristoro e poi Sabo è stato così gentile da offrirmi un cookie.»  
Law solleva gli occhi su Sabo e dopo pochi istanti un ghigno storto fa capolino sul suo volto. «E così hai già conosciuto tutti i miei fratelli. Pazzesco.» mormora, tornando a guardarmi.
Sorrido e mi stringo appena nella spalle come a voler dire “cose che capitano”.   
«Aspetta ma com’è che vi conoscete?» domanda Ace, perplesso.
Mi volto verso di loro, accostandomi al fianco di Law che mi posa un braccio sulle spalle. «Ragazzi, vi presento Nefertari Bibi.» annuncia, si gira un attimo verso di me e poi torna subito a guardare loro. «La mia fidanzata.»
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Lancio un’occhiata verso il portone del loro condominio, seduta sul sedile del passeggero di fianco a Nami, nella sua Mikan arancione.
Oggi è il primo giorno del weekend a casa Monkey – il termine “casa” è qui usato in modo del tutto generico e referenziale dal momento che si tratta di una villa su tre piani con piscina e dependance – e, per evitare di sprecare troppa benzina, abbiamo fatto le macchine. Lascio vagare un attimo lo sguardo fuori dal parabrezza, prima di girarmi appena verso i sedili dietro, ancora vuoti per due terzi.
«Marco sicuro che non vuoi stare davanti?» gli chiedo di nuovo. Continua a fissare fuori dal finestrino con il mento posato sulla mano.
«Tranquilla Koala.» mormora e io sorrido prima di rimettermi dritta appena in tempo per vedere il portone del condominio aprirsi e Usopp uscirne con un piccolo borsone.
Da solo.
Io e Nami lo osserviamo avvicinarsi alla macchina, accigliate. La portiera si apre con uno schiocco.
«Buong… Ehi che c’è?! C-che ho fatto?!» si allerta Usopp quando si ritrova i nostri sguardi puntati addosso.
«Dov’è Sanji?» chiede subito Nami con tono minaccioso e Usopp si adombra all’istante. Abbassa lo sguardo e si sistema al suo posto, chiudendo con forza la portiera.
«Cambio di programma, va in macchina con Franky, Robin e Brook perché aveva delle cose da discutere con Brook.» spiega atono e io e Nami ci scambiamo una seconda occhiata.
Suona così poco convincente che persino Marco lo sta osservando con un sopracciglio alzato e, d’altra parte, questa è la bugia di Sanji non di Usopp e ad Usopp non interessa affatto sforzarsi per farla suonare credibile, non con noi.
Sospiro, rassegnata, mentre Nami si rigira masticando un “imbecille” tra i denti. Pesta una mano sul pulsante di accensione dell’autoradio prima di mettere in moto mentre io rimango voltata all’indietro, pronta a fare il mio dovere.
Se vogliamo che tutto fili liscio dobbiamo dare a Marco almeno un’infarinatura delle dinamiche interne al nostro gruppo, tutt’al più che con il favore che ci sta facendo si merita di essere psicologicamente preparato a ciò che lo aspetta. Intanto Usopp ha puntato a sua volta lo sguardo sul panorama fuori dal finestrino, con aria cupa, e Marco lo scruto con interesse e quello che sembra un po’ di empatico dispiacere negli occhi.
Beh ora so da dove iniziare.  
«Usopp e Sanji stanno insieme.» lo informo. Usopp si gira così di scatto che non mi stupirebbe se gli venisse il torcicollo mentre Nami non fa una piega e continua a guidare concentrata.
«Ma Sanji ha qualche problema ad ammettere di essere bisessuale e di avere una relazione con un uomo.» continuo, ignorando deliberatamente l’occhiata di Usopp. «Le uniche due che sanno ufficialmente siamo io e Nami e quando siamo tutti insieme fingono di essere semplicemente amici di vecchia data.»
«È proprio necessario?» chiede Usopp, un po’ spazientito.  
«Perciò se anche dovessi notare qualcosa…»
«Ricevuto.» annuisce Marco. «Però non capisco perché non sia voluto venire con noi. Mica convivete?» chiede conferma ad Usopp, che deglutisce a vuoto prima di tornare a deprimersi.
«Sì ma ci fingiamo semplici coinquilini…» borbotta.
«Appunto. Non ci sarebbe stato niente di strano ad arrivare insieme. Anzi così è più sospetto.»
«Già…» sospira Usopp.
«Una buona bugia funziona solo se non si esagera né in un senso né nell’altro.»
Usopp alza la testa di scatto e Marco si gira verso di lui. Hanno detto esattamente la stessa cosa all’unisono e finalmente un sorriso fa capolino sul volto di Usopp, in risposta al ghigno di Marco.
«E gli altri? C’è qualcosa in particolare che dovrei sapere?» chiede Marco.
«Da chi vuoi iniziare?» s’informa Nami, lanciandogli un’occhiata sorridente nello specchietto retrovisore.
Marco si stringe nelle spalle. «Dallo sposo?»
«A te l’onore allora.» Nami mi invita con un cenno del capo e io sorrido.
«Dunque Law è uno dei miei più vecchi amici. Con Robin e Sabo facciamo gruppo fisso da quando siamo bambini. Lui ed Ace sono fratelli acquisiti di Sabo e Rufy che sono i figli di Dragon che ci ospita questo weekend.» spiego veloce, so che Marco non ha problemi a starmi dietro. «I genitori di Law sono…» esito per un attimo. Non è mai un bell’argomento ma sarebbe peggio se Marco facesse una qualche gaffe al riguardo. «Sono morti in un incidente. Lo stesso incidente in cui sono rimasti coinvolti i genitori di Ace… Ti ricordi di Ace? Te ne ho parlato l’altro giorno alla macchinetta del caffè. Cugino di Sabo e Rufy, narcolettico…» Marco annuisce e io vado avanti.  «Te lo dico perché non è un argomento di cui nessuno dei due parla molto volentieri quindi meglio non fare domande. Comunque. Law al momento vive ad Alabasta dove si sta specializzando in chirurgia pediatrica e dove ha conosciuto la futura sposa.» Estraggo il cellulare e vado su internet  per cercare e mostrargli una delle pochissime foto di Bibi di cui il web dispone. «Nefertari Bibi. Figlia del proprietario dell’Alubarna&Co, la società di Alabasta impegnata nella ricerca di nuove fonti di energia rinnovabili. Venticinque anni, laureata in Giurisprudenza e impegnata nella lotta per i diritti umani e per la salvaguardia dell’ambiente. Questi due giorni ci saranno anche i suoi zii e sua cugina.»
«Chi sono?»
«Crocodile Hook, sua moglie Albida e sua figlia Baby.» interviene Usopp e Marco sgrana per un attimo gli occhi.
«Intendi il Crocodile Hook a capo della casa di moda Baroque Works?» chiede conferma e tutti e tre annuiamo solenni.
«Precisamente.»
«Izou non mi rivolgerà la parola per un mese quando verrà a saperlo.» sogghigna e anche io ridacchio. «Poi? La Robin di cui parlavi?»
«Giusto! Robin è come una sorella per me, si occupa di pubbliche relazioni e sta con Franky da… quanto sarà ormai?»
«Non ne ho idea.» Nami si stringe nelle spalle. «Ho perso il conto.»
«Galeotto fu il motore della macchina!» commenta Usopp con un sorriso. 
«Al momento aspettano anche un bambino.» riprendo il filo del discorso. «Poi c’è Brook…»
«Lui ha la fissa di chiedere il colore delle mutandine a tutte le ragazze che gli capitano a tiro. È sufficiente che ti mostri indignato giusto le prime due o tre volte prima di cominciare a ignorarlo.» interviene Nami.
«Rufy è il Peter Pan del gruppo.» interviene Usopp. «Gli interessa il cibo, divertirsi con gli amici ed è senza filtro. Chopper è il più piccolo ma il più maturo della compagnia.»
«È il fratello minore di Nami ed è legalmente un genio.» aggiungo, realizzando solo mentre lo dico che queste sono le informazioni davvero importanti, visto che deve fingere di stare con Nami «A ventun’anni sta già per laurearsi in medicina.»
Marco continua ad annuire concentrato, immagazzinando tutte le informazioni. «Manca qualcuno?»
«Perona.» risponde Usopp. «È la più piccola della compagnia dopo Chopper ed è fidanzata con Ace da tipo una vita ormai. E nonostante questo, Zoro si ostina a fare l’iperprotettivo.» aggiunge, mandando gli occhi al cielo.
«Okay. E Zoro?» domanda legittimamente Marco.
Usopp si irrigidisce, io trattengo il respiro e Nami prende una curva con un po’ troppa foga.
«C-come?» domanda Usopp, lanciando preoccupate occhiate a Nami, consapevole della gaffe che ha appena fatto.  
«No dico, chi è?»
Anch’io mi giro a guardarla. È tesa e rigida, le mani arpionate al volante, testarda e caparbia nel suo mutismo.
Trattengo un sospiro. Questa più di tutte è la parte che Marco dovrebbe conoscere, che avrebbe il diritto di conoscere, dal momento che ha accettato di entrare in questa farsa. Perché questo è precisamente il motivo per cui tutta questa farsa è stata architettata.
Ma non sono nella posizione di pretendere niente né di decidere per lei, senza contare che Nami è mia amica e io sarò sempre dalla sua parte, anche quando non mi trovo d’accordo con le sue decisioni. Glielo dico, provo a farla ragionare ma non le ho mai negato e mai le negherò il mio appoggio. E questi dettagli sta a lei decidere se raccontarli.
«Un altro amico storico della compagnia. Non c’è molto da dire, anche perché ha vissuto a Kuraigana negli ultimi tre anni ed è rientrato a Raftel solo questa settimana. Non lo abbiamo nemmeno ancora rivisto tra una cosa e l’altra.» minimizzo e il silenzio cala denso e improvviso su di noi.
Dopo un ultimo scambio di sguardi con Usopp, mi rimetto dritta e alzo il volume della musica. Per il resto del tragitto ci limitiamo ad ascoltare il CD.
Ci vogliono una quarantina di minuti per arrivare a Goa.
Finché Sabo, Rufy, Ace e Law sono stati piccoli, Dragon aveva in affitto un appartamento a Raftel e alla villa di famiglia ci si andava solo in estate. Poi quando abbiamo iniziato il liceo, lui ha cominciato a stare là più spesso lasciando i figli in autogestione ma, sia come sia, io la villa a Goa la considero come una seconda casa.
E quando la vedo spuntare in fondo al vialetto, mi sento attraversare da una scarica di emozione e nostalgia. Ogni volta che torno è tutto come sempre.
Il giardino curato e rigoglioso, la dependance un po’ defilata, il portico così accogliente e famigliare.
Sul cedro c’è ancora la casa sull’albero a cui a me e Robin era concesso salire, avendo dimostrato il nostro coraggio e la nostra lealtà al capitano. Anche se tutt’ora non si è capito chi di loro era il capitano.
Scendo dall’auto e sorrido, gli occhi puntati sulla villa.
«Casa dolce casa eh?» domanda Usopp, accostandosi al mio fianco.
Anche per loro è un tuffo nel passato, meno nostalgico del mio perché quando loro hanno iniziato a frequentare casa Monkey eravamo già al liceo.
«Già» ridacchio felice, dandogli una lieve spallata.
«Mi sa che siamo gli ultimi.» mormora Nami, scrutando le altre auto parcheggiate e soffermandosi sulla Firefist rosso fuoco di Ace. Zoro veniva con lui, perciò è sicuramente già qui.
«Dadan!!! Così ci soffochi!!!»
La protesta di Rufy attraversa il giardino e quando ci giriamo scopriamo che non è solo lui la vittima dell’emotiva felicità di Dadan, che sta stritolando in un abbraccio letale sia Rufy che Ace.  
«Ve lo meritate per essere dei simili mascalzoni!» Dadan aumenta ancora di più la presa. «E poi così imparate a non venire mai a trovarmi!» aggiunge, con voce incrinata.
«Sì ma se continui così non potremo venire a trovarti mai più!» le fa presente Ace, ma Dadan ormai è troppo impegnata a piangere per ascoltarlo.
Ridendo, scarico la valigia e comincio a risalire il vialetto verso la casa. Li sento prima ancora di individuarli.
«Eddai amico!» esclama la prima voce, famigliare tanto quanto la seconda.
«Shanks, ti prego…»
Questa è una scena che so che non voglio perdermi e quindi mi fermo sul ghiaino, in attesa. Quando spuntano da dietro l’angolo della casa, mi basta un’occhiata per sapere che Dragon è già esasperato e che  Shanks non ha nessuna intenzione di demordere, come sempre sorridente e, soprattutto, persistente.
«Quando ricapita una spedizione così?»
«Ma sei andato ad Amazon Lily il mese scorso e sei stato via tre settimane!» scoppia Dragon, girandosi a fronteggiarlo.
«E questa volta saranno solo due e poi ti ho portato un sacco di fiori interessanti da Amazon Lily!» gli fa notare Shanks, senza scoraggiarsi.
«Mi hai portato le foto di un sacco di fiori interessanti.» ribatte Dragon con voce atona e Shanks si stringe nelle spalle.
«Ahimé sono specie protette.»
«Senti ma perché non ti dedichi a fare il botanico e basta?»
«Con lo stipendio che mi dai per farti da giardiniere?! Non sono mica scemo!»
Dragon sospira.
Un sospiro lungo e lento, molto molto lento e io porto una mano alle labbra che guizzano incontrollate.
«Non mi darai tregua finché non ti dirò che puoi andare vero?» gli domanda miserabile e Shanks si limita ad arcuare le sopracciglia. Un nuovo sospiro, l’ultimo, quello della sconfitta. «E va bene…»
«Grazie! Sei un vero amico!» esclama Shanks, dandogli una pacca sulla spalla.
«Sì sì certo, come vuoi.» lo liquida Dragon.
Nel girarsi di nuovo verso la casa incrocia finalmente il mio sguardo, si Illumina, mi sorride radioso e io sono già pronta a correre da lui per abbracciarlo quando una mano si posa sulla mia spalla.  
«Eccoti arrivata!»
Immediatamente il suo tono mi mette in allerta. Lo sento subito, che qualcosa non torna e ne ho conferma quando  mi sfila il borsone dalla mano, se lo carica sulla spalla e si avvia, guidandomi verso la casa, euforico ed impaziente. Troppo euforico ed impaziente.
«Sabo?» lo chiamo, puntandogli addosso uno sguardo indagatore.
«Dai su! Non c’è un minuto da perdere!» insiste lui.
I miei occhi si riducono a due fessure. «Che ti prende?»
Avanza imperterrito e questo è normale. Non risponde e questo mi preoccupa. Ma è quando stira ancora di più il sorriso che ho la certezza matematica che qualcosa qui non va affatto bene. Perché ha in faccia quella sua espressione da “Sono il migliore amico del mondo” e questo significa una sola cosa. Significa guai.  
«Sabo!» esclamo più decisa. Sa che questo è il tono di avvertimento. Sa che se non mi da retta sono pronta a passare alla violenza fisica. Ed evidentemente ci tiene a non iniziare il weekend con un occhio nero.  
Si ferma sotto il portico e deposita il mio bagaglio all’ingresso prima di guardarmi e annunciare:  «C’è una persona per te. È arrivata stamattina.»
«Una persona per me?» domando, perplessa.
E chi è?
Sabo mi afferra per le spalle e mi spinge in casa, lungo il corridoio che porta a uno dei salotti della villa. «Okay, non dovrei dirtelo, lo so, ma visto che ti vedo tesa…» china il busto verso di me con fare confidenziale. «C’è qui il tuo ragazzo.»
Sgrano gli occhi e se continuo a muovermi è solo perché lui continua a spingermi, a passo di carica tra l’altro.
Il mio… chi?!
Se non fosse fisicamente impossibile, credo che gli occhi mi sarebbero già caduti fuori dalle orbite.
«Sabo…» lo chiamo per informarlo che non so di cosa sta parlando, che deve aver preso un granchio o una botta in testa e chiaramente non se lo ricorda.
«Sei stata davvero brava a tenercelo nascosto e sinceramente all’inizio mi sono sentito anche un po’ offeso ma poi mi ha spiegato tutto, che avete litigato e tutto ma è venuto qui apposta per chiarire!».
Dei del cielo ma di che sta parlando?   
«Ma io…» provo di nuovo a protestare.
«Dai su! Ti sta aspettando e scommetto che anche tu non stai nella pelle.» ammicca soddisfatto.
Sono senza parole. Sono seriamente senza parole e questo è un caso più unico che raro per me. Non riesco a capire chi e perché possa essersi inventato una frottola del genere ma soprattutto non mi capacito di come Sabo se la sia bevuta!  
Sul serio?! Sul serio ti sei laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti?!
Come?!
Ma non faccio in tempo né a chiederglielo né a protestare oltre quando arriviamo in vista dell’arco che si apre sul corridoio e porta al salotto. Ho una brutta, inquietante sensazione. Improvvisamente, ho un dubbio molto concreto sull’identità del mio fantomatico fidanzato. 
Ti prego, dimmi che non…
«E allora gli ho detto che il Lucida Handwriting era troppo vecchio stile! Insomma qualcuno doveva dirglielo!»
La sua voce mi investe in pieno, trasformando l’incubo in realtà. Il sangue mi si gela nelle vene e con un’ultima spinta di Sabo, mi ritrovo in sala. Vorrei non credere ai miei occhi quando lo vedo seduto sulla poltrona, che parla animatamente con Franky, Chopper e Law, schierati sul divano.
Chopper lo fissa con gli occhi che luccicano, Franky annuisce convinto.   
«Sai che ti dico fratello?! Che hai Suuuuuuuper ragione!»
Law è l’unico che lo osserva con chiaro scetticismo. Almeno finché non si accorge di me, che lo fisso immobile e pietrificata. Quando incrocia il mio sguardo, non prova nemmeno a trattenere o nascondere un ghigno. Perché sa. Ovviamente sa.
E ci vogliamo davvero stupire?! Potrebbe essere più gay solo se indossasse delle calze a rete!
Non è Law a essere particolarmente arguto in questo caso, sono questi altri tre a essere patologicamente scemi!  
Si gira anche lui, seguendo la traiettoria dello sguardo di Law e, non appena mi vede, sorride, con un sorriso che gli strapperei volentieri dalla faccia a morsi.
Sorrido a mia volta, il più credibile possibile. Più tardi lo ammazzo.
«Oh eccola la mia pralina al cocco ricoperta di cioccolato bianco!» esclama.
Ho due alternative. O mi giro e scappo o lo tramortisco con un calcio rotante.
«Direi che la sorpresa è riuscita alla grande!» Sabo batte le mani soddisfatto, alle mie spalle, ricordandomi che la via di fuga non è libera.
Non è possibile. Non è vero. Non sta succedendo.
Sono così così speranzosa che se continuo a fissarlo possa dissolversi nell’aria che nemmeno mi accorgo di Nami, Usopp e Marco che spuntano alle mie spalle e trattengono il fiato in simultanea quando lo vedono.
«I-Izou?!» domanda Nami senza fiato, chiaramente in panico.
«Cosa ci fai qui?» chiede Usopp, occhi spalancati.
«Ma come Nasolungo!» esclama lui, con troppa enfasi «Secondo te perché ti ho chiesto l’indirizzo di dove avreste passato il weekend…?» lascia la frase in sospeso quando lo fulmino con gli occhi, intuendo che sta per aggiungere qualche epiteto tipo “sciocchino” o roba del genere.
«Oh s-sì certo… certo ma non sapevo se, sai, se alla fine saresti venuto o no.» ribatte Usopp con calma mentre si stringe nelle spalle, reggendo la sua bugia con estrema nonchalance.
«Sono stato in dubbio anche io ma la verità è che non ce la facevo più senza la… mia Koala!» tentenna sul finale e quando pronuncia il mio nome sembra quasi stia trattenendo un conato di vomito.
«Izou.» cinguetto.
«Dimmi!» mi risponde subito, entusiasta.
Oh quanto vorrei tirargli un pugno!
Ma ho troppi sguardi puntati addosso. Chopper, Law, Franky, Sabo.
«Ehi ragazzi! Che succede?»
Ace e Rufy che si sono liberati di Dadan. Perona e Robin che entrano in salotto dall’altro ingresso.
Tutti guardano me. Guardano noi.  
E ora le mie due alternative sono commettere un omicidio davanti a una dozzina di testimoni o reggere il gioco a questo imbecille.
Mi sporgo in avanti e lo afferro per un polso. «Vieni, dobbiamo parlare.»

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Angolo dell'autrice:
Buonsalve a tutti! Sto cercando di rinascere dalle mie stesse ceneri, tipo fenice o Marco-chan. 
Mi ritaglio questo piccolo angolino per ringraziare Zomi per il suo inestimabile aiuto nel tratteggiare il carattere di Izou e per scegliere alcune delle pessime battute che lasciano le sue labbra perfettamente dipinte. 
Grazie anche a tutti voi che state leggendo e commentando la storia e buona lettura.  
Hope you'll enjoy it. 
Page. 








«Cosa diavolo stai facendo?!» domando a occhi sgranati, appena la porta dello studio di Dragon, al primo piano, si chiude alle mie spalle.
Voglio una spiegazione e subito.
Izou solleva un sopracciglio. «Mi sentivo escluso.» si lamenta, sollevando il mento.
«Izou!»
«E cosa vuoi che stia facendo?! Pensavi che davvero avrei lasciato il mio Marco-chan nelle mani di quella rossa senza tenerlo d’occhio?!»
Schiudo le labbra incredula. «Tu… Tu hai dei disagi! Dei disagi enormi!» gli punto contro l’indice.
«Quel disagio che dici si chiama “fidanzato”» ribatte, visibilmente offeso.
«Te ne devi andare.» decido, irrevocabile. «Ora. Inventati un impegno improvviso, un contrattempo e vattene. Non puoi stare qui.»
«Punto numero uno…» comincia, sollevando l’indice. «…Sabo ha detto che posso stare. Punto numero due…» prosegue sollevando anche il medio. «…io me ne vado quando se ne va Marco.»
Avanzo di un passo, minacciosa. «Sai dove te lo infilo il tuo Marco-chan?»
«Se è dove penso io non ho nessuna intenzione di oppormi.»
Mi tiro una manata in faccia da sola.
Koala, pensa prima di parlare! Considera chi hai davanti!
Prendo un profondo respiro per calmarmi quanto posso. «Non hai intenzione di andartene vero?» domando anche se in fondo conosco già la risposta. Sospiro quando lo vedo scuotere il capo con un sorrisetto di trionfo.
«Ho intenzione di essere per Marco come la cozza per lo scoglio.» afferma, incrociando di nuovo le braccia al petto «Per tutto il weekend.»
Inarco le sopracciglia con simulata calma. No, questo non ha capito.
«Ascoltami bene, Izou.» lo invito, trucidandolo con un amichevole sguardo. «Tu ti sei presentato qui fingendoti il mio fidanzato, giusto?»
«Esatto.»
«Perciò se vuoi restare devi continuare a fingerti il mio fidanzato.» Izou annuisce, fiero. «Il più credibile possibile.» aggiungo, osservando con soddisfazione l’effetto delle mie parole.  
Izou riapre gli occhi e la sua espressione si fa tesa. «In che… che senso?» deglutisce a vuoto.  
«Per quello che ti riguarda questo weekend Marco è etero e occupato e io per te sono la donna più irresistibile del mondo. Niente battutacce, niente apprezzamenti ad alta voce sui fondoschiena dei miei amici. Non toccarli! E soprattutto…» socchiudo gli occhi minacciosa, ignorando la sua espressione terrorizzata «…soprattutto dormi in camera con me e non esci a meno che il mondo non stia per finire, chiaro?»
Izou boccheggia, sconvolto e senza fiato. «Sei diabolica!»
«Non ho intenzione di correre il rischio che qualcuno ti scopra mentre cerchi di convincere Marco a ripassare il Kamasutra. La parte della fidanzata cornificata e scema non la faccio.»
«E se dovessi rifiutarmi?»
«Ti appendo per le palle.» cinguetto soave.
Improvvisamente, Izou non sembra più turbato, anzi il suo sorrisetto è tornato e mi osserva con una strana espressione.
«Che c’è?» domando, presa in contropiede.  
«Ho sempre sospettato che fossi una tipa violenta. Posso procurarti un bel body in pelle, saresti un capolavoro come dominatrix.» mi prende in giro.
O almeno, spero che mi stia prendendo in giro anche se sembra molto serio.
Oh santo Roger…
Grazie alla geniale trovata di Izou ora mi ritrovo con il mio migliore amico che si sposa tra sei settimane  scarse, Sabo da gestire, un matrimonio da aiutare a organizzare, un progetto assurdo, impossibile, irrealizzabile – dal cui successo dipende il futuro lavorativo mio, dei miei due collaboratori/amici, di un’altra buona fetta di colleghi e del mio capo – e un finto fidanzato gay, irritante e mestruato da tenere a bada.
Meraviglioso! Davvero meraviglioso!
«Ehi non mi piace che si usi quel termine per me!» protesta Izou.
Mi acciglio per un attimo, il tempo di rendermi conto che devo aver parlato ad alta voce senza volerlo. Ma se pensa che mi scuserò per come l’ho definito è fuori strada.
Lo penso davvero e non me lo rimangio.
«Cosa? Mestruato?» domando con sfida, ma lui scuote la testa «Irritante?» riprovo, sollevando le sopracciglia, ma lui nega di nuovo «Gay?!» chiedo ancora. Incredula, lo guardo annuire solenne.  
«Precisamente.»
Ebbene sì. Questo è troppo anche per me.  
«Izou tu sei gay!!!» esclamo, calcando la penultima parola ma lui niente, continua a fissarmi con aria scettica.
«Lascia che ti spieghi una cosa. Al mondo ci sono tre categorie fondamentali.» comincia, gesticolando. «Ci sono gli etero.» mi indica, chiaramente disgustato e io lo fulmino con lo sguardo. «Ci sono i gay e poi…» fa una pausa ad effetto prima di indicare se stesso con entrambe le mani «… ci sono io.» conclude.
Sbatto le palpebre interdetta. Non posso credere a quello che ho appena sentito.
«Io non… non credo che sopravvivrò a questo weekend.» ammetto, passandomi una mano sul volto. «Di’ a Iva che sono certa che Nami e Usopp porteranno a termine il progetto, per favore, io… vado a buttarmi dal tetto, sperando sia abbastanza alto.» mormoro, sconsolata e sconfitta, dandogli le spalle.
«Ehi posso avere la tua borsa in eredità? La adoro!»
Provo di nuovo a incenerirlo con un’occhiata ma, ahimè, continua a non prendere fuoco il maledetto e così mi avvio di nuovo per uscire dallo studio.
«È un sì?! Ehi Koala!»
Sospiro, afferro la maniglia, spalanco la porta e mi immobilizzo. Law è qui, appoggiato con la schiena alla parete di fronte allo studio, le braccia incrociate al petto, l’atteggiamento di una persona in attesa. Si gira verso di noi quando sente il rumore della serratura e solleva appena il mento in un cenno interrogativo.  
«Tutto bene?» si informa e io scrollo le spalle.
«È ancora vivo.» ribatto, senza nascondere la mia delusione. «Tu? Che fai?»
«Ti stavo aspettando.» mi risponde, staccandosi dal muro. «Volevo chied…»
«Ah eccoci qui! Law giusto?!» Izou lo interrompe, raggiungendomi e avvolgendomi un braccio intorno alla vita per trascinarmi contro di sé. «Scusate se ve l’ho rubata ma, sai com’è, quando la passione chiama…» ammicca esageratamente, in quella che sicuramente per lui è la perfetta interpretazione di un etero. E poi, tanto per andare sul sicuro, mi strizza una chiappa a mano piena.
Law sgrana gli occhi per un istante e poi piega le labbra in uno  dei sorrisi storti più divertiti che io abbia mai visto dipinti su quella sua faccia da schiaffi.
Bastardo.
«Non ho mai desiderato così tanto una videocamera.» commenta Law, parlando direttamente con me, che chiudo gli occhi per mantenere la calma.
«Izou, leva la mano dal mio fondoschiena.» mormoro piano.
Izou mi guarda sorpreso. «Ma avevi detto che dovevo essere credibile.»
«Sì appunto e questo non è credibile e comunque lui lo sa che non sei il mio fidanzato, quindi leva la mano dal mio fondoschiena.» ripeto, massaggiandomi il ponte del naso.
«E come fa a saperlo?» chiede ancora Izou mentre si allontana ben volentieri da me.
«Perché si è accorto che sei… unico.» rispondo ormai assuefatta alla sua totale mancanza di buon senso.
Izou sposta gli occhi da me e Law e poi sorride con malizia. «Allora posso dirtelo che hai un culo che pare scolpito nel marm… Ouch!» protesta quando gli tiro un pugno sul braccio, con il preciso intento di fare male. Mi guarda contrariato, afferrandosi la spalla con la mano opposta ma io lo ignoro e torno a dedicare tutta la mia attenzione  a Law.
«Dimmi tutto.» lo invito con un sorriso.
«Volevo chiederti se hai tempo di venire con me. Bibi ha già conosciuto Sabo e Robin e non vede l’ora di conoscere anche te.» spiega, le mani in tasca, continuando a ghignare e lanciare divertite occhiate a Izou.
Socchiudo gli occhi e sto per dirgli di darci un taglio ma una nuova voce mi interrompe.
«Law? Sei qui?»
Ci giriamo verso le scale proprio mentre finisce di salire gli ultimi gradini, i capelli azzurri sciolti sulle spalle e un vestito rosa pallido, abbinato a delle semplici infradito. «Eccoti!» esclama e si illumina quando mette a fuoco me. «E tu devi essere Koala!»
Le sorrido sincera e mi avvicino, tendendo il braccio. «Indovinato!»
«È un piacere conoscerti finalmente. Non sai Law quanto parla di te, non vedevo l’ora di dare un viso ai vostri nomi.»
Le stringo la mano con un sorriso. Faccio finta di nulla ma lancio una rapida occhiata a Law. Un viso ai nostri nomi. Possibile mai che non gli abbia mostrato neanche una foto, nemmeno una di gruppo in due anni? Neppure di Sabo? Insomma è pur sempre suo fratello. Ma considerato, che parliamo di Law e che le informazioni in uscita riguardanti Bibi sono sempre state poche e smozzicate mi rispondo da sola e subito che sì, è possibile.  
«Il piacere è tutto mio.» ribatto e incrocio il suo sguardo scuro e brillante.
È un attimo, una sensazione a pelle, ma lo so con certezza.
Questa ragazza, la adoro già.
 

§
 

«Stai bene.»
Aggiusto la mia visuale, per poterlo vedere dal riflesso dello specchio.
«Ti sta bene quel vestito.» ripete, di fronte alla mia espressione negativa.
«Uh!» esclamo, squadrandomi rapida
«Grazie! Anche tu stai bene così!»  considero, dandogli una rapida occhiata.
È sobrio, né troppo sportivo né troppo elegante, perfetto per una cena tra amici ma con ospiti di un certo livello.
Sì, perfetto.
Marco è assolutamente perfetto, è stato perfetto per tutto il pomeriggio e lo sarà anche per tutta la sera e per il resto del weekend, già lo so. Il mio perfetto finto fidanzato, esattamente ciò che volevo e di cui avevo bisogno.
Ma anche così, sono terribilmente nervosa, agitata e tesa.
«La presenza di Izou non sarà un problema, lo sai?» mi chiede e io sobbalzo.
Non è la prima volta, oggi, che dimostra di riuscire a leggermi come un libro aperto anche se, in questo caso, ha preso un granchio sul motivo della mia preoccupazione.
Non è per Izou che sto così, sebbene sia ragionevole pensarlo.
«Ma certo, lo so.» annuisco con un sorriso.
No, non è per Izou che sono così in aria e nemmeno per la bugia che ho raccontato a tutti i miei amici.
Se sto così, è solo per lui.
Non so neppure io come ho fatto ma sono riuscita a evitarlo per tutto il pomeriggio, complice il fatto che non c’è stato un momento in cui ci siamo riuniti tutti ma siamo stati divisi in gruppi tutto il tempo. Ma ho solo rimandato l’inevitabile.
Ora che Sabo e Law sono andati all’aeroporto a prendere gli zii di Bibi e sua cugina, ora che sento Sanji e Makino far cozzare le padelle giù in cucina, ora che è il momento di scendere per cena, devo affrontarlo.
Sospiro prima di girarmi e avvicinarmi a lui a passo lento.
Mi posa subito le mani sui fianchi appena arrivo a portata di mano e io afferro i baveri della sua camicia, avvicinandomi senza paura, una piccola prova prima del vero show che dovremo tenere di sotto.
Siamo due bravi attori, io e Marco, davvero bravi.
C’è intesa tra noi, nessun imbarazzo, ma io non posso fare a meno di pensare che vorrei ci fosse qualcun altro ora a tenermi per i fianchi, a cui sorridere sincera, a cui tirare appena la camicia e sussurrare un “dai andiamo.”, prima di precederlo verso la porta, la gonna che fruscia delicata.
Santo cielo. Come posso essere, dopo tutto questo tempo, ancora così pateticamente… pateticamente… patetica?!
Abbasso la maniglia ma aspetto che Marco mi raggiunga prima di uscire in corridoio e lascio scivolare le dita in mezzo alle sue, per essere credibile, certo, ma anche per conforto.
Sono agitata. So che devo solo affrontare la cosa e rompere il ghiaccio e poi tutto tornerà a essere in discesa, ma ora sono agitata.
Mi muovo sicura di me per la casa, guidando Marco, ma non faccio in tempo ad avvicinarmi alle scale che un movimento attira la mia attenzione.
Faccio appena in tempo a vederlo svoltare nel corridoietto cieco che porta allo sgabuzzino e sono così incredula e sconsolata che non noto nemmeno lo spasmo allo stomaco.
Santo Roger, non è veramente possibile!
Mi stacco da Marco che, silenzioso, mi lancia uno sguardo interrogativo, a cui io non rispondo, troppo impegnata a tornare sui miei passi. Supero la porta della camera dove dormiremo questo weekend e raggiungo la svolta cieca. Lui è lì che studia l’uscio con aria perplessa, come se non capisse cosa ci fa lì una porta al posto delle scale.
«Non è possibile! Ancora non hai imparato?!» lo apostrofo e lui si irrigidisce. «Le scale sono di là! Di là, Zoro! Non è difficile! Sono proprio di fronte alla stanza dove state voi!» esclamo esasperata.
«So benissimo dove sono le scale.» ribatte, girandosi verso di me e incrociando le braccia al petto. «Devo andare in bagno.»
Lo fisso a occhi sgranati.
Ma a chi vuole darla a bere?!
Sollevo un sopracciglio ed è il mio turno di incrociare le braccia. «E allora cosa fai di fronte alla porta dello sgabuzzino nel corridoio dove non c’è nient’altro?» 
«Io…» tentenna, guardandosi intorno in cerca di una scusa per uscirne. «…Lascia perdere! Tanto non era urgente.» afferma con una scrollata di spalle, tornando sui suoi passi.
Non mi sposto per liberargli la strada e lui mi osserva infastidito qualche secondo. «Posso passare?» domanda burbero e scocciato ma io non mi schiodo.
«Ciao eh!»
Zoro sobbalza e poi, inspiegabilmente, sembra rilassarsi di colpo. Un ghigno sghembo si impossessa delle sue labbra e in un secondo la mia gola è secca e arida e io devo lottare per non deglutire rumorosamente.
«Ciao.» mi saluta a mezza voce.
Ed è allora che mi accorgo che l’agitazione è scomparsa, dissolta nel nulla nel momento in cui la sua stupida zazzera verde è entrata nel mio campo visivo.
Come se non fosse passato neanche un giorno.
«Ti trovo bene.» continua Zoro e io mi domando se non sia per caso diventato bipolare ma è solo uno dei tanti pensieri che mi attraversano la mente in questo momento.
«Anche io ti… trovo bene» la mia voce tentenna, in contrasto con l’atteggiamento sicuro che mi ostino a ostentare.
«Hai fatto crescere i capelli.» continua, studiando la mia acconciatura e io annuisco, il fiato sospeso.
«Un po’.» riesco a soffiare, stordita dalla vicinanza e dalla sua improvvisa gentilezza.
«Strano.» afferma, continuando a scrutarmi.
Aggrotto le sopracciglia. «Cosa?»
«Ti stanno bene, però…»
«Però?»
«Però…» allarga il ghigno, tornando a guardarmi in faccia. «…anche con i capelli così lunghi continui a sembrare una mocciosa.»
Il suono che segue mi è molto famigliare, così famigliare che è più grazie all’accoppiata “tonfo+mugugno” che capisco che gli ho tirato un cazzotto fumante sul cranio verde e vuoto, prima di voltargli le spalle e tornare verso le scale dove Marco mi sta ancora pazientemente aspettando.
«Deficiente.» sibilo, parlando con nessuno in particolare.
«Sei diventata ancora più manesca!» protesta Zoro, seguendomi e mentre si massaggia in mezzo alla zazzera verde, più lunga e spettinata dell’ultima volta che l’ho visto.
«E tu ancora più buzzurro!» ribatto, senza rallentare finché non raggiungo Marco. Solo allora mi fermo, soffiando dal naso, in attesa. Inutile lasciarlo indietro, poi a qualcuno toccherebbe venirlo a cercare, probabilmente a me.
Ci raggiunge, masticando ancora una mezza imprecazione, per poi soffermarsi a studiare il mio “fidanzato”.
Si squadrano in silenzio, senza dire una parola, prima di girarsi all’unisono verso di me, cogliendomi alla sprovvista.
«Oh, giusto! Marco lui è Zoro, Zoro lui è Marco! Il mio ragazzo!»
Ho l’impressione che Zoro si sia irrigidito, ma so che è solo un’impressione, un mio recondito desiderio e infatti non c’è esitazione quando allunga una mano verso di lui con un ghigno di saluto.
«Spero non ti faccia impazzire troppo, la nostra Nami.» non perde tempo a prendermi in giro.
Anche Marco piega le labbra mentre ricambia la stretta.
«Il giusto.» commenta, essenziale e mai indiscreto. «Diciamo il giusto per poi fare pace, ecco.» aggiunge, con una certa malizia e io trattengo a stento una risatina che non so se sia nervosismo o soddisfazione.
Zoro abbassa per un attimo gli occhi al suolo, senza smettere di sorridere, con una certa goliardia oserei dire e il disagio torna a sopraffarmi.
Mi affretto a superarli e scendere le scale. Ho bisogno di raggiungere gli altri e distrarmi.
«Andiamo?!» li incito, impaziente. «Non vorrei che Rufy finisse tutto prima ancora di iniziare la cena!» 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Mi accosto alla porta della cucina per osservarlo lavorare ai fornelli. È preso e concentrato, come sempre quando è intento a cucinare, e non si accorge della mia presenza, così ne approfitto per godermelo un po’.
Manco a dirlo, oggi siamo stati insieme pochissimo, dove “insieme” è da interpretare come “nella stessa stanza”. Trattengo un sospiro. In fondo lo sapevo che questo weekend sarebbe stato così. E mi pesa, sì, inutile negarlo, mi accorgo che, sempre più, mi pesa ma non pretendo di affrontare il discorso proprio in questi giorni e così di punto in bianco.
Gliene parlerò settimana prossima, ecco! O… o magari il mese prossimo… o l’anno prossimo… in fondo all’anno prossimo mancano solo sei mesi!
Potrei convincerlo a metterla come voce nei propositi per l’anno nuovo. Tipo “fumare meno, non litigare con Zoro, ammettere che sto con Usopp…”. Sono abbastanza certo che con il giusto grado di persuasione potrebbe funzionare.
E ovvio che sono in grado di persuaderlo! Nulla è impossibile per il grande Usopp Sharpshooter!
«Ohi? Ci sei?»
Sobbalzo quando la sua voce si infila prepotente tra i miei pensieri.
«C-come?! Sì! Sì, sì certo! Hai… detto qualcosa?» gli domando.
Mi osserva e prende un tiro dalla sigaretta. La pelle comincia istantaneamente  a pizzicarmi.
«Mi piace come ti sta quella camicia» mormora dopo un attimo, cogliendomi alla sprovvista.
Abbasso gli occhi sul mio per me insolito abbigliamento. Anche se a lui sembra non interessare, ci teniamo che Law faccia bella figura con i parenti di Bibi e così ci siamo impegnati tutti per renderci più presentabili, nei limiti del possibile. Franky ha persino messo i pantaloni. E devo ammettere che anche per me è un raro evento scegliere questo look ma, in fondo, non mi dispiace. Certo niente a che vedere che le mie comode T-shirt di cotone a manica corta ma ogni tanto si può fare e se poi a Sanji piace…
«Non farci l’abitudine.» lo avviso, facendolo sghignazzare.
Ancora a braccia conserte e con la cicca che penzola dal labbro, si avvicina di un paio di passi, guardandomi fisso negli occhi. «Mi viene voglia di togliertela.» mi informa e io deglutisco pesantemente.
 «S-Sanji.» lo avviso, un po’ agitato ma più che altro eccitato. «Potrebbe entrare c-chiunque da un m-momento all’altro.» gli faccio presente, realizzando solo dopo che aveva già smesso di venirmi incontro.
«Lo so, tranquillo.» mi informa, tornando con nonchalance verso i fornelli.
La delusione mi pervade quando capisco che non ha mai avuto intenzione di avvicinarsi di più e, magari, rubarmi un bacio a fior di labbra nonostante la posizione esposta. Sorrido amaramente. Stupido io a pensare che fosse disposto anche solo a correre il rischio.
Un rumore ticchettante attira la mia attenzione. Nami, Marco e Zoro sbucano dalle scale e io mi acciglio nel vedere l’espressione tesa della mia migliore amica. Scuoto appena la testa, come a chiederle cosa succede, e subito lei minimizza con un gesto svolazzante della mano che non mi convince per niente e risulta anche meno credibile quando, senza perdere tempo, mi raggiunge e si avvinghia al mio torace, come a cercare sostegno e conforto.
«Ohi?» la chiamo sottovoce, studiandola preoccupato. «Stai bene?»
«Certo che sto bene! Perché me lo chiedi?!» esclama, mostrandosi contrariata e, se io non fossi io, ci sarei probabilmente cascato.
Sollevo un sopracciglio ma mi rendo conto che non è il momento migliore per torchiarla, ci penserò più tardi o domani, e così mi limito a passarle un braccio intorno alle spalle e baciarla sulla tempia.
«Ti sta bene questa camicia.» si complimenta, squadrandomi ma non faccio in tempo a ringraziarla.
«Ooooowwwwww! Mia bella Nami-swaaaan che visiooooone!»
Un’ondata di cuoricini, che incassiamo senza scomporci troppo, ci investe.  
«Sei così bella e intelligente e bella…»
«Lo hai già detto.» gli faccio notare monocorde.
«…e puntuale e delicata e bella e…»
«Cuocastro ti si brucia la cena se non la pianti.» interviene Zoro. Sanji si ferma all’istante.
Stringe i pugni e stritola il filtro della sigaretta tra i denti, mentre si gira a fronteggiarlo, e, come da copione, io e Nami sospiriamo, mandiamo gli occhi al cielo e ci spalmiamo una mano in faccia. A settant’anni assisteremo ancora a queste scene.
«…bruciare proprio un bel niente a parte il tuo fondoschiena, chiaro Marimo?»
«Prima devi riuscire ad avvicinarti al mio fondoschiena!» ribatte Zoro con un ringhio.
«Di sicuro riuscirei a trovarlo molto più velocemente di te ed è tutto dire visto che ce l’hai attaccato!»
«Cosa stai insinuando, imbecille!»
«Che sei così disorientato che non sei capace di distinguere il naso dalla bocca! E non chiamarmi imbecille, deficiente!»
«Deficiente a chi?! Ci tieni a finire affettato come il tuo carpaccio di pesce?!»
Sanji prende aria per ribattere - e intanto Nami ha già stretto un pugno dietro la mia schiena, pronta a mettere fine alla discussione prima che degeneri, - ma improvvisamente si rimette dritto, infila le mani in tasca e non degna Zoro di una seconda occhiata.
Si gira e muove verso i fornelli, scoperchiando una padella e rigirando la pietanza con il cucchiaio di legno prima di portarlo alle labbra. Aggiunge un pizzico di sale, gira ancora, rimette il coperchio, controlla un’altra padella, rimette le mani in tasca e torna di nuovo verso di noi.
Sorrido appena, affascinato come sempre dal suo grande amore per la cucina. Lo rende così passionale e io lo amo ancora di più per questo. Una vocazione così grande da riuscire a mettere fine anche alle sue liti con Z…
«Accomodati pure se riesci a trovare l’elsa delle katane, alga ammuffita!»
Cosa?!
Sgrano gli occhi incredulo.
Non posso crederci, ha seriamente ricominciato da dove avevano smesso?! È come se avesse schiacciato il tasto “pausa”!
«…restartene a Kuraigana, invece di…»
«Okay non ho alternative.» sospira Nami, già pronta a staccarsi da me.
«No Nami aspetta!» provo a fermarla.
Devo trovare qualcosa per distrarli tutti e tre e mettere fine a questa stupida discussione.
Dai non può essere così difficile! Sei il grande Usopp Sharpshooter! Pensa, pensa, pensa!
Un rumore di ruote che schiacciano la ghiaia del vialetto esterno mi sollevano dall’arduo e oneroso incarico di trovare un diversivo che avrei comunque di sicuro scovato in tempo.
La parola “impossibile” non esiste nel vocabolario del grande Usopp Sharpshooter! Ma dopotutto se gli ospiti sono arrivati non è nemmeno educato farli attendere, giusto?! Ovvio che è giusto! Il grande Usopp Sharpshooter non sbaglia mai!
«Sono arrivati.» mormora Sanji, nuovamente calmo, abbassando al minimo il fuoco di tutto il piano cottura prima di prendere un’altra boccata di tabacco e dirigersi verso la porta della cucina, che da direttamente sul giardino dove abbiamo apparecchiato.
Lo seguiamo, Nami si aggancia al braccio di Marco e io mi affianco a Zoro, chiudendo insieme a lui la fila.
Ci fermiamo di fianco a Sanji, io a destra e Zoro a sinistra, mentre Nami e Marco prendono posto al tavolo a cui sono già accomodati Robin, Franky, Brook, Chopper, Izou, Dragon, Ace e Shanks .
La Firefist blu di Sabo avanza piano sul vialetto e si infila in un buco tra altre due delle nostre auto.
Perona si fionda fuori dalla casa e si aggrappa al gomito di Zoro e, nel voltarmi verso di lei l’espressione di Sanji entra nel mio campo visivo. Sospiro rassegnato. Sembra impassibile ma io lo vedo che trema impercettibilmente e fatica a trattenersi.
So qual è il problema, so che ci sono troppe donne e tutte insieme. Già la cena per il ritorno di Law è stata una dura prova ma adesso qui ci sono anche Makino e Bibi, che, Karl sulle spalle, ci raggiunge insieme a Koala.
«Sono arrivati?» domanda Bibi, che è rimasta qui su insistenza di Sabo, secondo cui era più giusto che restasse per abituarsi alla casa.
«Chi è arrivato?!» domanda Rufy, uscendo dietro a loro. «Si mangia finalmente?!»
Un rivolo di sangue fa capolino dalla narice di Sanji e io mi passo una mano sul volto. Il tonfo delle portiere risuona nell’aria tiepida di inizio estate, illuminata da torce e zampironi oltre che da un paio di lanterne appese ai rami del cedro.
«…solo fumare una sigaretta, mamma!» protesta una voce, relativamente discreta.
«Quante volte devo ripetertelo Baby? Fumare non è femminile.» ribatte un’altra voce, seguita da un grugnito forte e chiaro.
«Albida, lasciala stare. È solo una sigaretta.» mugugna una voce strascicata e palesemente scocciata.
«Oh ma certo Crocodile! “È solo una sigaretta” e poi si diventa come te che hai sempre il sigaro in bocca vero?»
«Meglio il sigaro che altro.» considera a mezza voce Baby.
«Baby!» la richiama scioccata la madre.
Bibi fissa il suolo viola in viso, immobile e senza parole.
«Da questa parte.» li guida la voce di Sabo.
Quasi quasi spero che la zia e la cugina di Bibi siano due racchie, altrimenti non credo che Sanji sarà in grado di…
«Melloriiiiiine!!!»
Rimango pietrificato, il sorriso congelato sul volto, quando, prima che io possa fare alcunché per fermarlo, schizza volteggiando verso Baby e Albida, in un turbinio di cuori e moine.
«Mie deeeeeeeeeeeeee!» ulula e io mi giro verso Nami e poi Koala, entrambe inorridite quanto me.
Koala sospira, Nami appoggia la fronte sulla spalla di Marco, Zoro scuote la testa e io vorrei solo morire inghiottito dal suolo. Robin si porta una mano alle labbra e Sanji smette finalmente di volteggiare, piegandosi su un ginocchio ed estraendo l’accendino dal taschino della camicia. «Mio angelo, lascia che ti presti il fuoco del mio amore inestinguibile per esaudire il tuo desiderio!» blatera sotto gli sguardi sgranati di Albida e Baby, completamente atono di Crocodile e omicida di Law.
Madre e figlia si scambiano un’occhiata perplessa e preoccupata mentre Sanji fa scattare lo zippo per accenderlo, continuando a tremare.
«Stai… stai bene?» s’informa Baby preoccupata.
«Mellorine!» esclama di nuovo Sanji, il cuore che quasi gli esce dal petto. «Vicino a te sono in paradiiiiso!». Si rimette in piedi e avvicina la fiamma alla sigaretta stretta tra le labbra carnose della ragazza.
Ancora basita, Baby tira per accendere il tabacco, ma con un certo calore negli occhi e Sanji la omaggia di un piccolo cenno del capo prima di girarsi verso Albida. «E lei deve essere la sorella maggiore di questo angelo.» soffia e io mi afferro il ponte del naso.
Ace si infila due dita in bocca, fingendo di vomitare, guadagnandosi uno scapelotto da Perona mentre tutti gli altri ridacchiano.
«Ehm, Sanji.» interviene cauto Sabo. «Non potresti contenerti un pochino, almeno stasera?» gli domanda, tenendo d’occhio Law.
Ma niente da fare, gli occhi di Sanji continuano a passare da normali a cuoriformi e imbarazzanti urletti gli sfuggono dalle labbra ogni volta che il suo sguardo si posa su Baby o Albida.
«Non posso contenermi davanti a simili capolav…»
«Sanji dacci un taglio o ti viviseziono.» sibila Law e Sanji si placa di colpo.
Ma non è la minaccia di Law a sortire l’effetto, lo capisco dalla sua espressione. Anche se non so dire che cos’abbia. Che stia male?
Forse ha perso troppo sangue o sta avendo un ictus. Oddio, se sta male dovrei fare qualcosa, giusto?! Ma cosa?! Forse dovrei dire a Law che non è normale e di dargli un’occhiata ma poi si noterebbe che sono eccessivamente preoccupato e…
Sanji si sblocca e sistema il nodo della cravatta. Poi, senza una parola, si muove deciso verso di noi. Verso di me. Sgrano gli occhi e trattengo il fiato.  
Che gli prende ora?
È ormai a pochi passi da me ma non si ferma quando mi raggiunge. Mi supera, senza un’occhiata o una parola, investendomi con l’odore del suo dopobarba. Lo seguo con gli occhi mentre raggiunge Makino, che tiene in mano un piatto da portata preparato a regola d’arte. Sanji si affretta a prendere il piatto dalle sue mani di cuoca, esperte quanto le sue, una volta tanto con serietà e vera galanteria.
«Perdonami, Makino, mi sono distratto e…» si zittisce quando Makino gli posa una mano sulla guancia e gli sorride. Un altro rivolo di sangue fa capolino dal suo naso ma Sanji tira prontamente su.
«Non preoccuparti tesoro.» gli dice materna, prima di scostarsi per farsi sentire da tutti. «La cena è pronta!» 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


«Dai non ci credo!» esclama Perona, ridendo di cuore come tutti noi, a parte Dragon, Marco e Law che si limitano a ghignare e Albida, che ascolta quasi con fastidio l’aneddoto di Ace su Rufy.
Non so che problema abbia ma posso ragionevolmente sospettare che ritenga poco femminile il nostro ridere senza mettere la mano davanti alla bocca, visto quante volte ha ripreso Baby durante la cena per una quantità di atteggiamenti a suo avviso rozzi che non sto nemmeno a elencare.
Nessuno stupore che suo marito sembri imbalsamato e si limiti a scandagliare periodicamente il tavolo, tirando dal sigaro di tanto in tanto. Da fuori potrebbe sembrare molto simile a Dragon, solo costantemente annoiato da tutto ciò che lo circonda.
In realtà chi lo conosce sa che Dragon sa essere divertente, autoironico e disponibile, anche se non espansivo come Sabo e Rufy, e per quanto riguarda Crocodile, è solo la mia prima impressione, mi serve più tempo per inquadrarlo.
Baby invece mi ha fatto tenerezza, a un certo punto sembrava volersi sotterrare da tanto Albida le è stata addosso – e meno male che almeno è seduta lontana da lei, tra Sanji e Usopp – e mi dispiace vederla così succube di sua madre.
«E invece puoi crederci! Sono sempre stati dei delinquenti!» interviene Dadan, pestando un pugno sul tavolo e facendo tintinnare i bicchieri e le forchettine da dolce.
«Oh dai Dadan!» protesta Ace, prima di sfoderare uno dei suoi sorrisi mozzafiato. «Quanto meno non ti sei annoiata.» le fa notare.
«Ragazzino, non mi servivate certo voi per non annoiarmi.» ribatte, incrociando le braccia sotto il seno. «Non mi mancava certo  l’intrattenimento, sai?»
«Ma certo Dadan, lo sappiamo tutti che sei sempre stata piena di pretendenti.» cerca di rabbonirla Dragon, mentre prende un sorso dal suo bicchiere.
«L’unica cosa che mi piacerebbe capire è come stavano messi a diottrie suddetti pretendenti» mormora Izou sottovoce, facendo sghignazzare me e Robin.
Gli lancio un’occhiata divertita. Devo ammetterlo, si è davvero impegnato stasera e mi ha fatto imbarazzare solo un paio di volte, come di certo i suoi stinchi non dimenticheranno facilmente. Comunque nel complesso è stato un bravo finto fidanzato.
«Beh, Sabo e Law facevano anche di peggio.» interviene Shanks proprio mentre i due chiamati in causa stanno bevendo un sorso d’acqua.  Si affogano in sincrono nei loro bicchieri, cogliendo alla sprovvista Bibi che gira il capo a destra e a sinistra, preoccupata per entrambi.
«Ma di che stai parlando, Shanks?» protesta Sabo con voce strozzata.
«Per esempio di quella volta che avete dissotterrato tutti i bulbi dai lati del viale perché dicevate che erano uova di drago.» ribatte con un sorrisone Shanks, passando un braccio sulle spalle di Makino.
«E il parco avventura in casa?» ci ricorda proprio lei, facendo scoppiare a ridere Shanks in una sonora risata. «Una volta hanno trasformato il primo piano della casa in una specie di palude, hanno ricoperto il pavimento di terra e foglie e appeso le corde ai lampadari per giocare alla giungla. In casa perché Dragon gli aveva detto che stare fuori con il buio era pericoloso.» spiega poi per il beneficio degli ospiti.   
Prendo in mano il mio bicchiere e lo faccio roteare appena, ghignando sadica. «Per non parlare di quella volta che hanno liberato tutti gli animali del laboratorio di scuola.»
«Koala!» mi chiama Sabo con un sorriso agitato e imbarazzato mentre Law mi lancia un’occhiata quasi indignata. Mi guarda come se lo avessi tradito e io mi stringo nelle spalle.  
«Oh dai! È stata una cosa dolce.»
«Soprattutto dopo averlo sentito ripetere non so più quante volte che la scienza richiede sacrifici.» puntualizza Robin.
«Ma infatti!» si acciglia Bibi, perplessa. «Tu non eri quello del “senza gli esperimenti sugli animali a quest’ora saremmo ancora fermi alla penicillina.”?» gli fa notare e io e Robin ci scambiamo un’occhiata complice. Ne sappiamo qualcosa anche noi, al riguardo.
«Beh non ho mai detto che gli animali in questione andassero trattati male. E siamo tutti d’accordo che quell’idiota di Ceasar non è mai stato capace di gestire a dovere un laboratorio.» taglia corto Law, sfidandoci con lo sguardo a negare.
«Anche se, stranamente, dopo la vostra bravata ha imparato. E così il vostro fratellino adorato non ha dovuto sopportare la vista di quelle povere creature maltrattate, giusto?» li punzecchia Usopp, mentre Ace scompiglia la zazzera mora a Rufy che ride felice come un bambino. Law resta impassibile e Sabo arrossisce ma nessuno di loro nega che quello fosse la loro più importante motivazione, anche perché tanto non gli crederemmo.
Si staccherebbero anche un braccio per Rufy, tutti e tre.
«Comunque questa è la dimostrazione che ci avete fatto penare tutti e quattro.» interviene di nuovo Dragon «Ancora mi chiedo come ha fatto Makino a restare così giovane e bella dopo avervi tirato grandi. E faccio ancora fatica a credere che uno di loro abbia davvero messo la testa a posto.» prosegue, sorridendo a Bibi.
Per un fugace attimo si gira verso me e Robin, guardandoci come si guardano due figlie che sono il tuo orgoglio, e poi allunga una mano verso Perona, seduta tra lui e Ace, per accarezzarle la guancia con un sorriso di scuse.
«So che fai del tuo meglio con Ace, ma non tutti hanno gli stessi tempi.»
«Non trattenere il fiato papà.» commenta Sabo, sovrastando le risate di tutti.
«Stando ai tempi di Ace ci vorranno almeno altri cinque anni.» aggiunge Robin con un serafico sorriso.
Baby e Bibi si scambiano un’occhiata, sorridendo perché contagiate dal nostro divertimento ma chiaramente ignare di cosa ci sia di tanto divertente.  
«Ace e Perona si conoscono da quando Zoro e Ace sono finiti nella stessa classe alle medie.» mi sporgo verso il loro lato del tavolo per spiegare. «E Perona è sempre stata cotta di lui sin da piccola.» 
«All’inizio la differenza d’età era davvero proibitiva.» precisa Robin. «Ma in ogni caso Ace ci ha messo un po’ più del normale per rendersi conto che la cosa era diventata reciproca. Praticamente quando lui se n’è accorto tutti i presenti al tavolo lo sapevano già.»
«Ehi dai!» prova a protestare Ace ma nessuno gli da retta.
«È stato quando Perona era in quinta liceo giusto?» chiede conferma Brook.
«Dopo la sua gita di quinta.» conferma Zoro con un mezzo grugnito.
«Cinque giorni di autentico delirio!» dichiara Sabo con un sorriso a trentadue denti. «Non mangiava, non dormiva, viveva con il cellulare in mano perché voleva telefonarle e chiederle se qualcuno dei suoi compagni avesse provato a toccarla.» elenca. «Un uomo distrutto.»  
Perona si gira verso Ace incredula.
«Non me lo avevi mai detto questo!» gli dice, emozionata come se si fosse appena dichiarato.
«Oh beh…» comincia lui, accarezzandosi la nuca.
«E poi com’è finita?!» chiede Bibi, curiosa e coinvolta.
«Beh ecco lui…» Perona tituba un attimo, lanciando un’occhiata di striscio a Ace. «Ha fatto irruzione in camera mia dalla finestra la sera che sono tornata dalla gita e mi ha fatto tipo il terzo grado. Sai tipo: “Com’è andata?! Hai dormito sempre in camera tua?! I prof hanno controllato che i ragazzi non venissero nelle vostre stanze?! Qualcuno ti ha importunato?!”»
«Ehi, non esagerare!»  protesta lui.
«Ma non esagero hai davvero fatto così! E poi a un certo punto mi ha tipo dato un bacio a stampo e ha fatto per andarsene e poi, era già sul davanzale per saltare giù, si è fermato e si è ricordato di chiedermi di uscire.»
«E tu?!» domanda Baby, rapita.
Mi accorgo solo vagamente che Dragon, Shanks, Makino, Dadan, Crocodile e Albida stanno lasciando il tavolo, di sicuro su proposta del padrone di casa, per lasciarci tranquilli a parlare delle nostre cose e probabilmente bere il caffè in cucina.
Perona intreccia le dita e vi posa sopra il mento. «Io ero ancora interdetta per il bacio. E comunque non ho fatto in tempo a rispondere perché gli è venuto un attacco narcolettico.»
Nuove risate si levano nell’aria e Baby quasi si mette a battere le mani come una bimba entusiasta al parco divertimenti. «Adoro questi aneddoti romantici! Ne avete altri?» chiede speranzosa, scandagliando tutto il tavolo.  
«A dire il vero Nami e Marco non ci hanno ancora raccontato come si sono conosciuti.» Sabo si sporge in avanti con il busto e tutti gli occhi si spostano sulla coppia, palesemente presa alla sprovvista da tutta quell’attenzione improvvisa. Il sangue mi si gela nelle vene, Izou si irrigidisce accanto a me, Robin si schiarisce la gola prima di prendere un sorso d’acqua e Usopp trattiene il fiato. È evidente, per noi che sappiamo, che non sanno che accidenti dire e non posso non lanciare un’occhiata di mezzo rimprovero a Nami.  
«Oh beh noi… Ecco noi…»
Inventarsi una storia in anticipo sarebbe dovuta essere la base. Come ha potuto non pensarci? Lei che è sempre così... così… paracula!
Il problema è che nemmeno Marco sembra avere un’idea in mente. Voglio dire, è stato silenzioso per tutta la cena, in linea con il suo carattere discreto, che poi era proprio ciò che cercavamo. Ma è palese che si trova nella merda tanto quanto lei, che nel frattempo continua a tartagliare nonostante i cenni incoraggianti di Usopp.
Bisogna fare qualcosa.
Law si passa una mano sulle labbra, non so se per nascondere un ghigno divertito o se per autentico disagio.
Bisogna decisamente fare qualcosa. Provo a comunicare silenziosamente con Usopp, mentre le prime occhiate perplesse rimbalzano da un lato all’alto della tavola, ma lui si stringe nelle spalle, spaesato.
Okay Koala. Okay. Tocca a te.
Pensa.
Pensa, pensa, pensa.  
Potrei fingere un crampo improvviso, lanciare un piccolo urlo e lamentare un lancinante dolore alla gamba.
Certo non sarebbe niente di così eclatante, per di più sono a tavolo con un medico e un quasi medico ma potrebbe bastare per distogliere l’attenzione.
Oppure potrei dire di sentirmi affannata ma poi so che penserebbero all’attacco cardiaco e finirebbero per volermi portare in ospedale.
Uhmmmm. E se fingessi un’improvvisa amnesia?!
Potrei mettermi a guardarli tutti straniti e chiedere dove sono, questo di certo farebbe dimenticare a tutti di Nami e Marco e domattina al risveglio potrei dire di ricordare tutto e che si è trattato solo di un’amnesia temporanea. In fondo nessuno può dimostrare che non mi sia successo veramente.
Certo avrebbe più senso se fosse Nami a fingere di aver perso la memoria ma come potrei mai farglielo capire con dei gesti e senza farmi vedere, oltretutto?
«È che… In realtà è una storia davvero noiosa!» esclama improvvisamente Nami. «Quella di Izou e Koala merita molto di più! Vero, Marco?!»
Il mio corpo reagisce prima del mio cervello alle sue parole. Un brivido mi percorre la schiena ed è solo quando incrocio l’occhiata di Law, che ha quell’espressione tipica di uno che non riesce a credere alla propria fortuna, che capisco che è successo davvero.
Cosa. Ha. Detto.
Sorrido a forza, imitata da Izou, e mi giro verso di loro. Marco annuisce, ghignando senza ritegno alcuno verso il proprio fidanzato.  «Oh sì, sono assolutamente d’accordo.» conferma e tutti gli occhi che un attimo fa erano puntati su di loro, ora sono puntati su di noi.
Oh che ingrati!  
Noi non abbiamo nessuna storia! Non ci siamo preparati a… a questo!
Il cuore mi pompa a mille nelle orecchie.
Mi stanno guardando, tutti mi stanno guardando. Ci stanno guardando e Izou è talmente allucinato che dubito di poter contare su di lui. Per un attimo prendo seriamente in considerazione di gettare la spugna, dire a tutti che Izou è gay e tanti cari saluti. Chi se ne frega se la bugia di Nami crollerà con la mia.
Alla fine mi ci ha messo lei in questa situazione.
«E quindi?» domanda Perona, impaziente e assetata di altre storie romantiche. «Dove vi siete conosciuti?»
Che sia maledetto il mio senso dell’amicizia!
«A una festa!»
«Al lavoro!»
Raggelo quando le voci mia e di Izou si sovrappongono. Mi giro a guardarlo assassina ma sempre rigorosamente sorridente e lui subito si stringe nelle spalle.
«No scusate…» comincia Sabo, perplesso, mentre Law solleva un sopracciglio.
«A una festa di lavoro.» lo interrompo, decisa.  «In realtà era una festa normale ma siccome eravamo tutti del lavoro si è trasformata in una festa di lavoro.»
«A casa di chi?» chiede Law, accomodandosi meglio sulla sedia, l’infame.
Lo fisso per cinque secondi abbondanti, seria come non mai.
Izou mi indica con un ampio gesto della mano. «È stato a casa di Ko… Ahia!!!» protesta quando il mio tallone gli accartoccia l’alluce sinistro.
«Scusa tesoro!» esclamo fingendomi mortificata e posandogli una rapida carezza sul volto, il tutto senza staccare gli occhi da Law che non si decide a staccare gli occhi da me, fin troppo divertito. «Non volevo. Comunque a casa di Coby, uno della contabilità, non lo conoscete.» taglio corto.
«E chi è stato a fare la prima mossa?!» s’intromette Baby, gli occhi che luccicano.
«Beh…»
«Koala naturalmente! Mi ha notato subito ed è stata lei ad avvicinarsi!»
«E cosa ti ha detto?!» domanda Perona.
«Gli ho chiesto se aveva un assorbente da prestarmi.» mormoro a denti stretti.
«Cosa?!» domanda Ace perplesso.
«Eh?!» ribatto subito, fingendo di non avere parlato.
«Ma che avevo un look fantastico, ovviamente! Cos’altro avrebbe mai potuto dirmi, gioia?!» Izou continua, troppo entusiasta, troppo squillante, troppo espansivo. Troppo gay.
Usopp, Sanji e Nami sgranano gli occhi, Marco, Law e Robin distolgono lo sguardo. Io prego che se proprio nessuno lassù ha intenzione di fulminare lui, almeno che fulmini me ma nulla accade e mi rassegno a continuare con la tortura.
Izou sbatte le palpebre, interdetto, le braccia ancora sollevate sopra il capo. Si schiarisce la voce prima di inclinare la schiena all’indietro e appoggiare un gomito allo schienale e l’altra mano al ginocchio della gamba accavallata, cercando di assumere un tono e un’espressione mascoline. «Mi ha detto che adorava come mi stava la mia camicia» annuisce, ammiccando con fare da playboy, in una grottesca imitazione di Franky.
«Yohohohoh e tu non gli hai chiesto il colore delle sue mutandine?»
«Uh?! Beh no, io… le ho ghignato e le ho risposto “sei un’intenditrice, baby”.»
Chiudo gli occhi e mi faccio violenza per non spalmarmi una mano sulla faccia. Usopp si affoga quasi nel suo bicchiere, Law sembra veramente al limite, Sanji potrebbe avere un ictus da un momento all’altro.
E tanti cari saluti alla storia romantica.
«Sembra essere l’inizio di un flirt con i fiocchi.» commenta Baby, ondeggiando le spalle. Le lancio un’occhiata incredula.
Sta scherzando, vero?  
Il punto è che non è nemmeno l’unica a seguire rapita il racconto di Izou. Per un secondo mi domando se non ci fosse della droga nel cibo.
«E allora lei mi si è avvicinata e mi ha messo una mano su…»
«E gli ho detto se potevamo andare a casa mia o sua così vedevo se stava bene anche a me. Sì, avevo bevuto parecchio.» m’intrometto, parlando tutto d’un fiato. E basta adesso! «Ero ubriaca e siamo andati a casa sua e abbiamo passato una notte di sesso infuocato e sconvolgente assolutamente fantastico e al mattino Izou mi ha detto che non aveva mai conosciuto una donna così bella e passionale e se potevamo rivederci e dopo un mese mi ha chiesto ufficialmente di cominciare a uscire come coppia. E questa è la nostra meravigliosa storia d’amore e anzi a essere sincera tutto questo parlare di incastri e di tetris mi ha anche fatto venire una certa voglia di stare da sola con il mio virile uomo ma non ho nessuna intenzione di saltare il dessert, quindi con permesso…» concludo, alzandomi in piedi e facendo un cenno interrogativo verso Sabo.  
Sto bollendo, credo di essere viola in faccia ma niente a che vedere con l’espressione disgustata di Izou, dovuta di certo al mio “virile” e al riferimento su quanto mi abbia trovato bella e passionale. Espressione, la sua, che, lo ammetto,  mi da una certa soddisfazione e ripaga dell’imbarazzo che sto provando.
«Dessert!!!» urla Rufy al settimo cielo, rompendo immediatamente il momento di silenzio che rischiava di rendere tutto ancora più imbarazzante e io provo l’impulso di abbracciarlo e stampargli un bacio in fronte. 
Law, Sabo ed Ace si alzano per fare gli onori di casa con dolce e caffè e io li seguo per aiutarli, perché in fondo è come se fossi a casa mia. Robin e Rufy non ci seguono solo perché lei sa già che la costringerebbero a restare seduta e tranquilla e Rufy perché Sanji gli ha appena detto di non azzardarsi ad avvicinarsi al dolce “razza di fogna rimbalzante”.  
Raggiungo veloce il portico, rimanendo dietro giusto di qualche passo, e prendo un profondo respiro per calmarmi prima di entrare in cucina dalla porta sul retro. Io lo so che non è da me. Ma davvero non so se ce la posso fare.

 
§

 
Gli tiro un leggero calcio sugli stinchi, niente di troppo forte giusto per attirare la sua attenzione e fargli sapere che non l’ho perdonato né sono passata sopra al suo simpatico scherzo di poco fa. Si gira verso di me, appena un po’ sorpreso ma subito piega le labbra in un ghigno appena mi mette a fuoco.
«Serve qualcosa?»
«Ti stai divertendo?» domando con un sorriso più falso di Giuda.
«Volevo solo sapere a casa di chi era la festa.» si stringe nelle spalle, prima di avvicinarsi al frigo per estrarre il dessert, la cheesecake al cocco da servire con a parte la crema all'ananas. La specialità di Makino la torta, una prelibatezza di Sanji la crema.
Law mi passa la ciotola che contiene la crema ed estrae la teglia con la torta. Un rumore dal salotto, ceramica che cozza contro altra ceramica e ci immobilizziamo entrambi.
«Ace?» chiama Law, la voce appena incrinata. Far prendere qualcosa a Ace, che sia dal frigo o dalla credenza, è sempre un terno all’otto. Ma se si è addormentato mentre recuperava le tazzine del servizio buono è meglio liberare l’interno prima che Dadan lo scopra.
«Tutto a posto! Ci sono!» 
Io e Law tiriamo un sospiro di sollievo e ci spostiamo verso il bancone. Le tre caffettiere, riempite in tempo record da Sabo, sono già sui fornelli ma non borbottano ancora.
«Te la sei cavata bene comunque.» commenta Law mentre tolgo la stagnola dalla ciotola di vetro. Gli lancio un’occhiata di striscio prima di passargli il coltello con cui tagliare il cheesecake.
«È stata la storia peggiore che abbia mai inventato in vita mia.» sospiro. «Ma se Izou può passare per etero, suppongo che sia il mio livello di aspettativa a essere al di sopra della norma.»
«La gente sa essere cieca quando vuole.» mi fa presente sollevando un sopracciglio ma a questo non rispondo perché sono troppo impegnata a rubare un po’ di crema all'ananas con un cucchiaino.
Santo cielo, è divina. Aspra al punto giusto, con la punta di dolce tipica dell'ananas e un gusto che sa tutto d'estate. Perché non posso pubblicizzare questo?
«Ti riferisci a qualcuno in particolare?» chiedo, tanto per curiosità. So benissimo che si riferisce a qualcuno in particolare, Law è un grande osservatore. Finisce di assaggiare il cucchiaino di crema che gli ho appena offerto e chiude anche per un attimo gli occhi per gustarsela meglio, perché certe meraviglie di Sanji sciolgono persino lui.
«Mi riferisco al fatto che Sanji sembra aver fatto solo un certo tipo di progresso negli ultimi due anni.» mormora, indicando con un cenno del capo la crema all'ananas. 
Esito un istante e poi mi stringo nelle spalle. Non voglio schierarmi in questa situazione perché, se lo facessi, verrebbe fuori tutto il risentimento per quello che Usopp sopporta da non so più nemmeno quanto e il mio non sarebbe un giudizio oggettivo. Voglio bene anche a Sanji e sono certa che anche lui ha le sue ragioni, per quanto discutibili siano.
«Lo conosci, è testardo.»
«A che scopo? È chiaro come il sole quel che c’è tra loro. Non capisco nemmeno come facciano gli altri a non accorgersene.»
«Forse perché non tutti analizzano i sentimenti e i rapporti come se fossero gli esiti di un’emocoltura?» lo provoco e prendo in giro al tempo stesso. Si limita a farmi una smorfia ma non si offende.
«Comunque Usopp è troppo buono.»
Scuoto appena il capo. «Lo ama troppo.»
«Chi?»
Io e Law ci congeliamo quando sentiamo la voce di Ace decisamente più vicina di quel che dovrebbe essere. Giro lentamente il capo verso di lui e sbatto le palpebre vistosamente mentre registro la sua espressione interrogativa, tazzine e piattini in pericoloso bilico sul vassoio.
«Io! La crema all'ananas di Sanji! La amo davvero troppo!» recupero subito, senza quasi fare una piega. Intravedo con la coda dell’occhio Law sogghignare, tra il divertito e l’ammirato e non riesco a trattenere un sorriso anche io, sorriso che naturalmente Ace ricambia in automatico.
«Oh beh! Sì in effetti è fantastica!» conferma ma poi si acciglia. «Ma che c’entra Usopp?»
Rimango immobile dove sono, attenta a non far trasparire nulla dal mio viso, e scuoto appena il capo. «Che c’entra Usopp?»
«Ah non so. Voi stavate parlando di Usopp.»
Merda.
«Giusto.» mormoro, girando appena il viso verso Law che, con mio immenso sollievo, si schiarisce la gola per parlare.
Non posso fare sempre tutto io.
«Beh Usopp ha avuto un ruolo fondamentale nella preparazione della crema.» afferma Law, convincente come solo lui sa essere persino quando dice stronzate. Il che, dopotutto, non accade quasi mai. «Lui ha…» trattengo il fiato quando tentenna per un millesimo di secondo. «…Spremuto il limone. Un passaggio assolutamente fondamentale.» recupera, ispirato suppongo dal mezzo agrume che giace sul bancone e che non è ancora stato rimesso in frigo.
«Ah.» Ace sbatte le palpebre perplesso e per un lungo attimo io e Law tratteniamo il fiato, con il dubbio che sia lì lì per mangiare la foglia. Ma per fortuna Ace si stringe nelle spalle torna a sorridere come sempre. «Beh devo credervi sulla parola! Io non ci capisco molto di dolci a meno che non sia per mangiarli!» commenta prima di uscire di nuovo in giardino.
Mi lascio scappare una risata mentre mi volto verso Law. «Il limone?»
«Non mi è venuto in mente altro.»
«Ottimo recupero!» mi complimento prima di spostarmi a spegnere il fuoco sotto le caffettiere che hanno iniziato a borbottare. Mi guardo intorno alla ricerca del vassoio di legno.
«Qui.» mi avvisa Law.
Mi volto verso di lui e recupero il vassoio in questione, che mi sta tendendo senza neanche guardarmi, mentre con l’altra mano stempera la crema. In fondo anche il suo lavoro richiede una certa manualità.
«Grazie!»
Dispongo tutto con cura, attenta a non scottarmi, e poi mi avvio verso la portafinestra. Mi fermo a metà strada e mi volto ad aspettarlo. Lo guardo finire di disporre su un altro vassoio la torta, la ciotola e il coltello seghettato prima di sollevare lo sguardo su di me e fare un solenne cenno con la testa per comunicarmi che ha finito. «Andiamo.» mi invita e, uno dietro l’altro, torniamo in giardino.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Un cuscino attraversa la stanza, atterrando sulla faccia di Zoro. Il guanciale gli cade sulle gambe incrociate, rivelando un’espressione atona, puntata su Rufy, Chopper e Brook che ridono senza ritegno.
«Oh sì, molto divertente.» commenta monocorde, incrociando le braccia al petto. «Ehi! Ehi allora la finite?» abbaia, quando i tre si mettono a ridere ancora più forte.
Lancio un’occhiata oltre la mia spalla, per vedere se la minaccia inespressa di Zoro ha sortito qualche effetto, mentre finisco di sistemare i futon sul pavimento del salotto.
Quando abbiamo proposto a Baby di fermarsi a dormire qui anziché andare coi suoi all’hotel – per darle anche un po’ di tregua da quell’arpia di sua madre – le abbiamo offerto subito la nostra stanza. Tanto anche su, il letto è uno solo e in tre avremmo dovuto dormire comunque per terra.
«Vi affetto.» sibila Zoro mentre io srotolo l’unico futon matrimoniale, osservandolo con un misto di desiderio e incertezza. Porto una mano a grattarmi la nuca, trattenendo a stento un sospiro.
«Marimo, rilassati che ti si gonfia la giugulare e fai ancora più senso.» lo ammonisce Sanji, rientrato dalla sua ultima sigaretta, già in pigiama.
Mi giro a guardarlo e deglutisco a vuoto. Eccolo, il motivo della confusione che ho dentro, la ragione che mi impedisce di comportarmi con tranquillità. Perché la verità è che se lui non fosse qui io sarei il primo a gettarmi nella mischia per accaparrarmi uno dei futon singoli, rabbrividendo all’idea di finire a dormire con Rufy in quello doppio. Ma già so che, quando fra poco la rituale discussione avrà luogo, io tentennerò e prenderò tempo e aspetterò con l’irrazionale e incontrollata speranza che vada a finire con me e Sanji sul materasso matrimoniale.
Il che è francamente patetico, ammettiamolo.
Mi passa accanto e con nonchalance mi sfiora un braccio, facendomi rabbrividire, prima di superarmi e sedersi di fianco a Zoro. Smuovo le spalle per riscuotermi, prima di unirmi a loro.
«Allora Zoro! Com’è essere di nuovo a casa?!» chiede Chopper, che pende dalle sue labbra come sempre, mentre l’interpellato intreccia le dita dietro la nuca e addossa la schiena alla parte bassa del divano, rilassandosi e ghignando.
«È ok.» afferma, con un discreto cenno del capo.
Non che abbia qualche problema ad esternare i propri sentimenti. Zoro è la persona più diretta che io conosca, nonostante possa apparire freddo e distaccato a un primo sguardo. Semplicemente non è nella sua natura essere espansivo, tutto qui.
A differenza di Sanji, per esempio, che non fa che smoinare tutto il giorno ma quando poi si tratta di essere sinceri con gli altri riguardo i propri sentimenti…
Fermo bruscamente il pensiero, prima che finisca di prendere forma e, mio malgrado, sospiro.
Non voglio proprio pensarci ora.
«Usopp-san tutto bene?» chiede Brook. Sulla faccia scarna ha il suo solito noncurante sorriso ma so che mi sta studiando con un certo interesse e io sobbalzo appena sul posto e deglutisco a vuoto.
«S-sì, perché?!» domando, già agitato.
«Sembravi in fissa su San…»
«Ehi vi ho mai raccontato di quella volta che ho succhiato via del veleno dalla coscia di Nami?!» esclamo senza pensare, l’urgenza di interrompere Brook e impedire a chiunque di intuire cosa stava per dire che mi fa parlare senza riflettere.
Quando mi accorgo delle mie parole è troppo tardi.
Sanji e Zoro si girano omicidi verso di me, Chopper e Brook spalancano la bocca rischiando di toccare terra con la mascella, Rufy continua a osservarmi curioso, infilandosi manciate di biscotti in bocca. Da dove li ha tirati fuori i biscotti?!
«Tu… cosa?» domanda Zoro in un sibilo e un tremito mi percorre la schiena.
«Ma quando…» comincia Chopper, spaesato e sconvolto. «Nami non mi ha mai nemmeno detto di essere stata avvelenata» boccheggia.
Lo guardo terrorizzato. Per Heracles, che ho fatto?!
«Chopper…»
La situazione mi sta sfuggendo di mano.
«Hai succhiato una coscia a Nami-swan?» Sanji domanda minaccioso.
«Tu… Tu…» balbetta Chopper e io lo osservo incoraggiante, troppo preoccupato per lui per dare retta  a quel casanova senza tatto del mio ragazzo.
Non posso avere rovinato una delle menti più brillanti del paese con una stupida bugia su sua sorella, vero?!
«Ehi Usopp-san.» mi chiama Brook, piegando appena il busto verso di me. «Dì un po’ mentre succhiavi sei riuscito a vedere il colore delle sue mutandine?»
«Brook!» ringhia un avvertimento Zoro.
«Tu… Nami-swan… la sua coscia…» ripete senza alcuna coerenza Sanji e ,mio malgrado, comincio a preoccuparmi anche per lui.
Santo Roger, che ho fatto?!
«U-Usopp.»
Mi giro di scatto dedicando tutta la mia attenzione a Chopper, lo imploro con gli occhi di parlarmi, dire qualcosa, dimostrarmi che le sue capacità cognitive sono intatte. «Usopp, t-tu sei… sei… sei… sei il mio eroe!!!» esclama finalmente, gli occhi che brillano.
Aspetta, che?!
Chopper si aggrappa alla mia maglietta kaki, in adorazione. «Hai salvato mia sorella!!!» continua, quasi in lacrime.
Okay, ho effettivamente rovinato una delle menti più brillanti del paese con una stupida bugia su sua sorella!
«La mia povera, povera dea…» mugugna Sanji e io mi giro a fulminarlo mentre cerco inutilmente di allentare la presa di Chopper su di me.
«Scusa ma…» interviene alla fine Rufy, senza smettere di ruminare. «…Come ha fatto ad avvelenarsi?» domanda, lasciandoci tutti interdetti.
Sbatto le palpebre ripetutamente, incredulo.
Nel bel mezzo di tutta questa assurda conversazione quello che se ne è uscito con la reazione più sensata è Rufy?!
E si da il caso che facendolo mi abbia appena messo nei casini.
Merda! Ora tutti osservano di nuovo me in attesa che io racconti i retroscena della storia.
«Beh ecco… beh…» comincio con un sorriso nervoso.
Forza Usopp, forza.
Passo numero uno, scegliere il luogo.
Questo è facile, l’unico posto dove io e Nami possiamo essere stati insieme senza nessuno di loro presente.
«È stato al lavoro…»
Passo numero due, dire la cosa più coerente con la bugia appena inventata per quanto possa apparire assurda se presa fuori dal contesto.
«…Iva aveva portato i suoi serpenti al lavoro e ci ha convocato nel suo ufficio per farceli vedere e ha voluto che li prendessimo in braccio a tutti i costi. E così Nami ha preso in mano questo boa e…»
«Ma il boa non è velenoso.» si acciglia Chopper.
Passo numero tre, non troppi dettagli!
«E… e io l’altro serpente, che non mi ricordo cosa fosse, ma ricordo che era uno dei serpenti più velenosi che esistano in natura! Aveva queste scaglie sul corpo che sembravano carta vetrata e Iva continuava a ripetere che non lo aveva mai visto così tranquillo in mano a nessuno. E che questo significava che mi riconosceva come il predatore dominante e…» perdo per un attimo il filo nell’incrociare lo sguardo di Sanji che scuote la testa impercettibilmente per frenarmi. «e… e…. e a un certo punto, senza un perché, scatta verso Nami e la morde!» proseguo, sempre più coinvolto. «Incurante del pericolo, mollo il serpente per terra e mi getto a prendere Nami prima che cada a terra mezza svenuta per la paura! Lei mi si aggrappa in lacrime, implorandomi di aiutarla e il cuore mi si è spezzato a vedere la mia migliore amica in quello stato! Insomma dovevo fare qualcosa! Non potevo permettere che mi morisse tra le braccia! Non me lo sarei mai perdonato!  E poi…» prendo aria pronto a lanciarmi nel racconto dettagliato di come ho succhiato via il veleno ma l’occhiata di Zoro mi fa desistere.
Okay, forse meglio chiudere qui.
«…beh il resto è storia.» concludo, soddisfatto, incrociando le braccia al petto e chiudendo gli occhi.
Ah, questo sì che è un gran racconto!
Uno dei migliori prodotti della mente dell’incredibile e ineguagliabile Usopp Sharpsh…
«E quando è successo?» chiede Brook e io apro un occhio.
Lo fisso qualche istante, stringendo impercettibilmente le dita intorno alle mie braccia.
Passo numero quattro, minimizzare e dirottare l’attenzione su altro.
«Oh un anno fa, forse di più.» dico noncurante, agitando una mano come a voler dissipare l’aria di fronte a me «Allora come ci organizziamo per dormire?» domando, come se niente fosse.
«Io foglio il futon mafrimoniale!!!»
«Rufy dorme in uno di quelli singoli.»
La voce di Rufy, impastata dai biscotti, e quella di Sanji, asciutta e autoritaria, si sovrappongono, provocando immediate proteste da parte del primo.
«Fanji!!! Non puoi decidere da folo!!!»
Un calcio lo colpisce in pieno sulla testa, facendolo schiantare con la faccia sul pavimento.
«Manda giù prima di parlare, imbecille!»
«Posso dormire io con Rufy se proprio…» azzarda un imbarazzato Chopper ma Zoro lo interrompe con un cenno del capo.
«L’ultima volta che hai dormito nel matrimoniale con lui, ha rischiato di soffocarti sdraiandosi su di te nel sonno» gli ricordo, sollevando un sopracciglio.
«Rufy dorme da solo e questo è appurato.» interviene Zoro. «Basta decidere chi dorme insieme nel matrimoniale. Io mi offro solo se insieme a Chopper. Usopp si muove troppo, Brook ride nel sonno ed è inquietante e con Torciglio non ci dormo nemmeno sotto minaccia.» conclude e io mi irrigidisco.  
Lo sapevo, lo sapevo che era un’utopia credere che…
«Marimo tu russi come un cosacco.» s’intromette Sanji, beccandosi un’occhiataccia da Zoro. «Su Brook sono d’accordo e penso che Chopper si sacrifica un po’ troppo spesso. Ci dormo io nel matrimoniale e a questo punto resta solo Usopp. A sto giro tocca a noi.» afferma, smuovendo le spalle con noncuranza.
Passano alcuni secondi prima che si azzardi a lanciarmi un’occhiata e le sue labbra si piegano in un ghigno nel mettere a fuoco la mia espressione incredula e felice. Un formicolio mi invade tutto il corpo, non riesco a trattenere un sorriso. E improvvisamente non vedo l’ora che arrivi il momento di mettersi a dormire.

 
***

 
«Come ti è venuto di dire che la festa era a casa mia?» gli domando, seduta a gambe incrociate sul letto, le sopracciglia corrugate. Izou smette di togliersi l’eyeliner dall’interno dell’occhio e mi fissa un nanosecondo dal riflesso dello specchio.
«Stavo cercando di toglierti dai casini ed è stato il primo nome che mi è venuto in mente!» gesticola, facendo ondeggiare pericolosamente lo chignon ormai mezzo sfatto.
Sollevo entrambe le sopracciglia. Lui levare dai casini me? Si è già dimenticato com’è che ci siamo ritrovati a dormire nello stesso letto? Ma siccome gliel’ho già rinfacciato dodici volte solo oggi mi limito a commentare con un: «Originale…»
Striscio verso la mia metà del letto quando lo vedo afferrare il tubetto della crema viso e cominciare a spalmarla attento, stirando la pelle su collo, fronte e zigomi con una perizia che io penso di avere usato in vita mia solo per stendere la Nutella sulle fette biscottate. Non so quanto richieda il rituale della crema ma posso immaginare che abbia quasi finito e che gli manca poco per venire a letto.
Stranamente, l’idea di dormire con lui non mi crea nessun disagio.
Chiariamo, non è certo la prima volta che dormo con un uomo con cui non ho alcun tipo di relazione ma è più o meno dall’adolescenza che ritrovarmi nello stesso letto con un ragazzo senza implicazioni sentimentali e/o sessuali mi porta a costruire una barriera di cuscini tra me e lui. Tranne con Law. Ora che ci penso, con lui non ho mai sentito il bisogno di farlo ma forse varrebbe anche per Sabo se solo lui non si trasformasse in un Braccialunghe quando dorme. Forse.
Izou, però, è gay. Ora capisco che intende Nami quando dice che dormire con Usopp la fa sentire due volte più tranquilla. È il suo migliore amico, come Law per me, ed è dell’altra sponda, come Izou.    
Forse quel suo ragionamento sul mondo che si divide in etero e gay non è poi tutta sta idiozia. Sulla supposta categoria che sarebbe formata solo da lui mi riservo il diritto di esprimermi più avanti.  
Mi giro verso di lui per proporgli di metterci a dormire e l’orrore si impadronisce di me. «Cosa stai facendo?!?» urlo sottovoce, sgranando gli occhi anche se, a rigor di logica, dovrei piuttosto coprirli.
Izou si immobilizza, le dita intorno all’elastico dei boxer che stava per sfilare e l’espressione perplessa. 
«Cosa ti sembra che stia facendo? Io dormo nudo, Koala.» chiarisce, come se fosse ovvio e fossi io la stupida che non ci è arrivata da sola.
«No, affatto! Non questo weekend!» ribatto, ancora sconvolta. «E comunque vivevo bene anche senza saperlo.»
Forse la barriera di cuscini non è un’idea da scartare così a priori a questo punto.
Izou sposta le mani dall’elastico e le porta sui fianchi, socchiudendo gli occhi infastidito. «Hai intenzione di dettar legge su ogni singola mia iniziativa fino a lunedì, per caso?!»  
«Te lo ha chiesto qualcuno di guidare fino a qui e fingerti il mio fidanzato?»
E con questa siamo a tredici.
Tentenna qualche istante prima di trovare la decenza di non ribattere almeno a questo e soffiare dal naso, sancendo così la mia vittoria.
Gli do il tempo di sdraiarsi e mettersi comodo al suo posto prima di rollare sulla schiena, spegnere la lampada sul mio comodino e rigirarmi di nuovo verso di lui, sul fianco destro, il mio preferito per dormire. Se non che mi accorgo di non avere assolutamente sonno e, dopo qualche minuto, il tempo per i miei occhi di abituarsi al buio, noto che anche Izou sembra avere lo stesso problema. A pancia in su, le mani dietro la nuca e gli occhi puntati al soffitto, è sveglio come un grillo e perso in chissà quali pensieri. Probabilmente sta elencando tutte le torture a cui sottoporrà Nami se solo osa sfiorare il suo Marco-chan.
Neanche si accorge di me che lo studio attenta. Non posso negarlo, è un bel ragazzo. Fisico slanciato ma tonico, viso regolare, profilo perfetto. E anche se non lo ammetterei mai con anima viva, il modo in cui riesce a sbavare la matita negli occhi lo rende ancora più attraente. Ma, ahimè, è Izou. E così il mio periodo di astinenza è destinato a proseguire e la mia libido a continuare a riposare.
«È stata una bella serata.» commento dopo un po’.
Izou si volta verso di me e mi osserva alcuni istanti. Mi sta sorgendo il dubbio di averlo disturbato oltre i limiti della sua pazienza – e avrebbe una gran bella faccia tosta – quando a sorpresa sorride e annuisce appena. «Sì, è vero. I tuoi amici sono fantastici. Ne avrei voluti anche io di così.»
Trattengo il fiato ma non do a vedere quanto questa sua ultima affermazione mi abbia colpito, non tanto per me quanto per lui, per non metterlo a disagio. Sì, Izou è senza filtri per natura ma ho la netta sensazione che questa sia una confessione che non fa a tutti. Mi rendo conto di quanto poco lo conosco, di non sapere nulla sul suo passato, e, improvvisamente, provo il desiderio di colmare queste lacune. Ma ora non penso sia il momento migliore. Qualcosa mi dice che non lo è e così cambio argomento con il primo che mi viene in mente.
«Anche Bibi è fantastica, no? Lei e Law sono una bella coppia, stanno bene insieme.» affermo e mi chiedo perché mai suoni come se stessi cercando una conferma. Da Izou poi!
Izou solleva un sopracciglio, un po’ scettico. «Dì un po’, stai cercando di autoconvincerti?»
Avendolo appena pensato da me, la domanda mi coglie alla sprovvista ma non lo do a vedere. «Era solo una constatazione.» chiarisco convinta.
«Ah.» commenta lui, atono, e torna a fissare il soffitto. «Sì, penso di sì. Sono carini. Abbastanza.»
«Come sarebbe “abbastanza”?» domando, incredula.
Eravamo seduti allo stesso tavolo, sì? O lui era troppo impegnato a fissare il culo di Ace?
«Ho percepito più complicità fra altre coppie, stasera. Ma sono certo che con il tempo si affineranno anche in questo.» liquida la mia domanda e io giuro che non so di cosa stia parlando e so ancora meno perché mi ostino a volerglielo chiedere ma prima di poter dare voci ai miei dubbi, Izou mi interrompe. «Sanji e Usopp che genere di relazione hanno?»
Mi rilasso contro il materasso e sospiro. Ora capisco a che si riferiva.
«Stanno insieme ma fingono di essere solo amici.»
«E perché, quando è palese che sono molto di più?»
«Perché non a tutti è chiaro come a te e Sanji ha paura di ammetterlo. E Usopp ha paura di perderlo se insiste.» spiego e con lui smetto di sforzarmi di essere imparziale, lascio trasparire tutto il mio disappunto.
«Che cosa idiota. Se avessi avuto io degli amici come voi non ci avrei pensato due volte a fare outing. Ehi aspetta? Ma io non ci ho pensato due volte a fare outing!»
Sorrido nella penombra, lusingata ma anche amareggiata dai risvolti della sua seconda affermazione. «E… com’è andata?» domando con cautela ed esitazione. Izou si stringe nelle spalle.
«Per un po’ siamo stati solo io e Marco-chan. Per un bel po’. Non che sia un problema.»  
Conoscendomi, di fronte alle implicazioni di questa sua ultima affermazione, dovrei provare un’ampia gamma di emozioni tra cui rabbia, indignazione e vergogna per il semplice fatto di appartenere al genere umano. Ma, stranamente, non provo niente di tutto questo.
Quel che provo è uno strano senso di gratitudine. Non è come se mi fossi meritata una simile confessione eppure, nonostante tutto, Izou ha deciso di aprirsi con me e mi sento in dovere di essere un’amica meritevole.
Vorrei dirgli che ora non è più così e continuerà a non essere così, garantirgli che non hanno niente di sbagliato e che quel fantastico gruppo di persone che tanto mi invidia diventerà presto anche il suo fantastico gruppo di persone. Sono pronta a garantire per questo.
Ma comunque la giri e metta la frase nella mia mente suona sempre un po’ sbagliata, troppo invadente, di certo non richiesta, così mi limito a posare una mano sul suo tricipite e stringo appena. Izou si gira perplesso verso di me, guarda la mano con la coda dell’occhio, torna su di me io gli sorrido e…
«Koala, ti ricordi che sono gay vero?»
Il sorriso mi scivola via dalla faccia e la mano via dal suo tricipite. Ecco figurati. Perché mi sono illusa che avrebbe colto un momento di amichevole complicità?
«Senti io capisco che posso fare un certo effetto e non voglio che la prendi male perché davvero, oggettivamente parlando e da esteta quale sono, sei una bellissima ragazza e sicuramente anche molto sexy per chi apprezza quel genere di… di… strane curvature nel fisico di una persona però…»
«Izou non ci stavo provando.» mando gli occhi al soffitto mentre mi giro supina.
«No perché capisco che con tutto lo charme che emano sia difficile tenerlo a mente…»
Mi copro il viso con le mani. Perché? Perché ho pensato anche solo per un attimo di poterlo trattare come una persona normale?
«…le sfide e le nuove esperienze  ma questa è una cosa che andrebbe proprio contro la mia natura…»
E perché lui continua a parlare?! Non è stanco?! Non c’è un tasto per spegnerlo?!
«…e forse allora in quel caso potrei consid…»
«Izou, puoi chiudere quella maledetta bocca?» lo interrompo, al limite.
«Questa bocca, Koala, è tutt’altro che maledetta.» mormora, con malizia e un ghigno soddisfatto e io socchiudo gli occhi.
«Immagino.» commento scettica.
«Vuoi una dimostrazione per caso?» si indigna della mia incredulità, sollevando appena il busto dal materasso.
Il mio corpo si tende, non certo perché allettato dall’offerta ma solo per ricordarmi gentilmente da quanto non ricevo attenzioni e proposte da esponenti dell’altro sesso, quale che sia il loro orientamento sessuale.
«Eh magari.» sospiro.
Il silenzio che segue è talmente intenso che sentiamo persino i grilli in giardino ma è destinato a durare poco.
«Che hai detto?!» domanda Izou, la voce acuta.
«Niente, lascia perdere.» rispondo, girandomi sull’altro fianco.
Ma lui non sembra intenzionato a cedere. «Koala da quanto non fai sesso?!»  
«Da troppo! Fingi che non abbia detto niente, okay?» ribatto.
Santo Roger, non mi ero accorta che il problema fosse tanto grave. Devo fare qualcosa al più presto.
Chiudo gli occhi e prego che una volta tanto mi dia retta e lasci veramente perdere ma, diciamoci la verità, chi voglio prendere in giro?
So benissimo che non lascerà mai perdere.
«Sai…» comincia e avverto come una specie di cautela nella sua voce che mi fa dubitare del mio udito. «…conosco un sito che vende dei vibratori pazzeschi a un prezzo veramente ridicolo, se vuoi…»
«Izou.» lo ammonisco.
«D’accordo.»
Sprimaccio il cuscino e mi rimetto subito giù.
«Ma almeno ti masturbi?»
«Izou!» gemo, disperata.
«Koala ma è una cosa importante! Fa parte di una vita sana ed equilibrata!»
«Lo so, ma non voglio parlarne con te!»
«Beh è un vero peccato perché potrei insegnarti certe pratiche di autoerotis…»
«Ascoltami bene!» sollevo il busto dal materasso e mi volto verso di lui, additandolo con l’indice. So dalla sua espressione di fare paura il che mi va benissimo, è precisamente ciò che voglio. «Noi non parleremo della mia vita sessuale, di vibratori o di tecniche di autoerotismo né ora né mai, né qui né in nessun altro luogo. E tu dimenticherai quello che ho detto stasera. Chiaro?!» sibilo.
Izou mi osserva a occhi sgranati, sconvolto dalla mia momentanea trasfigurazione. «O-okay.»
«Bene!» sorrido, come se nulla fosse successo. Sono consapevole di sembrare psicopatica a fare così ma in questo caso va benone. «Siamo d’accordo allora!» ribadisco mentre torno a sdraiarmi. «Buonanotte.» aggiungo per buona misura.
Trattengo il fiato finché non lo sento muoversi per sistemarsi più comodo sul letto, segno che si sta per mettere finalmente a dormire, e a quel punto riesco a rilassarmi.
Il torpore mi avvolge più in fretta di quanto avessi osato sperare e sono già nel limbo tra sonno e veglia quando lo sento mormorare ancora qualcosa. «Devo ammettere che non sei niente male…» sorrido appena, riscaldata dalle sue parole più di quanto mi piacerebbe ammettere. «… per essere etero certo.» La gamba scatta da sola. «Ahia!! Koala!» protesta e, finalmente, riesco a scivolare in un piacevole e profondo sonno.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Ascolto la padella sfrigolare sul fuoco mentre osservo l’impasto rapprendersi e rassodarsi, smuovendolo appena sui bordi con la spatola perché non si attacchi. Sono così rintronata che non mi sono nemmeno preoccupata di sistemarmi i capelli prima di scendere e sto girando per casa di Dragon con addosso solo una t-shirt e dei calzoncini decisamente troppo corti.
Non ho quasi chiuso occhio stanotte e il poco che ho dormito, ho dormito malissimo. Questa situazione, mi  sta prosciugando e posso prendermela solo con me stessa se mi ci ritrovo dentro.
Brava, Nami, davvero una mossa molto intelligente quella del fidanzato immaginario!
Sbuffo via una ciocca dai capelli, ripensando a ieri. Non ho niente da dire su Marco, lui è perfetto. Un perfetto finto-fidanzato, che non parla mai al momento sbagliato, che sa sempre qual è la cosa più opportuna da dire, che si è offerto di dormire sul pavimento per non mettermi a disagio e che si è rivelato essere una stufa umana. Perché ovviamente non l’ho fatto dormire sul pavimento.
Insomma, è gay, no? Io sono abituata a dormire nello stesso letto con Usopp, quindi non vedo dove stia il problema.
Giro il pancake, perché si cuocia anche dall’altro lato prima di prendere un sorso di succo d’arancia.
No, il problema decisamente non è Marco.
È Izou.
Nonostante Koala sia brava a tenerlo a bada, più di quanto si possa pensare in effetti, quel ragazzo è una furia impazzita ed è spaventosamente possessivo. Se la nostra copertura non è ancora saltata è solo perché Marco si è tenuto il più possibile alla larga da lui e perché Koala ha una capacità reattiva di cinque millisecondi. È una scheggia a trovare la soluzione più adatta a qualunque tipo di problema. Beh a parte quello della stoffa inutile di Iva ma è meglio se non ci penso troppo, ho già abbastanza problemi al momento.
Tolgo il primo dolce dalla padella e verso un altro po’ di impasto proprio mentre dei passi alle mie spalle mi avvisano che qualcun altro è entrato in cucina.
«Pancake?» domando, senza nemmeno voltarmi.
«Se mi assicuri che non rischio l’avvelenamento.»
Mi giro di scatto e con la spatola urto il bicchiere di succo posato vicino al piano cottura. Zoro lo afferra al volo prima che si schianti a terra e lo rimette dov’era, lanciandomi uno sguardo inquisitorio e attento. «Mocciosa stai bene?!» chiede, visibilmente preoccupato, ma io sto ancora cercando di metabolizzare la sua presenza.
Mi ero quasi dimenticata che lui fosse qui, il che è ridicolo se si pensa che è il motivo per cui ho messo in piedi tutta questa farsa. Ma è come se il mio cervello si rifiutasse di trattenere l’informazione. Ogni volta che vado a dormire mi resetto e al mattino devo processare di nuovo il fatto che è tornato e che per il resto del weekend saremo nella stessa casa.
Che è grande come tre case messe assieme ma non è quello il punto.
«Certo che s-sto bene!» esclamo, indignata ma inciampando con la lingua.
Magnifico! Sembro Usopp!
Aggrotta le sopracciglia e si china verso di me, avvicinando pericolosamente il suo viso al mio.
«Che fai?!» domando, la voce meno ferma di quel che vorrei ma lo sguardo minaccioso.
Perché si è avvicinato così?! Che vuole?!
Sgrano gli occhi quando noto che le sue narici si muovono in fretta, dilatandosi e restringendosi quasi impercettibilmente.
Mi sta… usmando?!?! Che razza di buzzurro! Ma come si permette?!
Stringo la mano, pronta a colpire nonostante il fremito che mi percorre la schiena. Di rabbia. È assolutamente, al cento per cento un fremito di r…
«C’è odore di brucio.» sentenzia e io rimango immobile e spiazzata qualche secondo prima di saltare su come una molla.
Merda, i pancake!
Tolgo la padella dal fuoco e la getto con poca grazia nel lavandino. mentre in contemporanea apro l’acqua fredda. Osservo a malincuore l’impasto da un lato ancora non rappreso scorrere giù per lo scarico.
«Vedo che le tue doti culinarie non sono migliorate.» commenta e anche senza girarmi so che mi sta guardando a braccia incrociate e con un ghigno storto sulla faccia e il cuore mi perde alcuni battiti.
«Vedo che il viaggio alla ricerca di te stesso non ti ha concesso la grazia di un po’ di tatto.» ribatto acida, chiudendo con una manata l’acqua e soffiando dal naso.
Lo sento ridacchiare e stavolta non mi da fastidio. Non me ne da perché mi sento paurosamente malinconica nel ripensare, mio malgrado, a quando le cose erano proprio come adesso eppure totalmente diverse.
Io e lui in una cucina, come quando passavamo la notte insieme, a casa mia o a casa sua, senza avere ben chiaro cos’eravamo esattamente. Io che cerco di cucinare una colazione degna di tale nome per fargli vedere che sono capace, quando ormai il “solo amici di letto” non mi bastava già più anche se continuavo a negarlo.
Non fosse stato per lei, forse ora questa sarebbe routine per noi due. Ero davvero pronta a dichiararmi, a chiedergli di più, quando Kuina è tornata. E vorrei tanto poter dire che me l’ha portato via ma la verità è che l’ho lasciato andare. Zoro non mi amava, non mi ha mai amato, ma era palese che avesse amato e ancora amasse lei. E come biasimarlo dopo aver visto la loro sintonia, il loro coraggio di mollare tutto e partire per Kuraigana senza voltarsi indietro, la loro sete di avventura?
C’è poco da fare, sono fatti per stare insieme e non posso fare a meno di chiedermi lei dove sia, perché non è ancora qui, cosa l’ha trattenuta. Non posso fare a meno di chiederlo a me stessa ma non so se sono in grado di chiederlo a lui, di riaprire una ferita che forse non ha ancora iniziato a rimarginarsi ma almeno ha smesso di sanguinare.
«Possiamo dividere quelli.» propone e io sobbalzo, catapultata fuori dai miei pensieri. Con il pollice sta indicando i pancake che avevo già cotto con successo e annuisco, d’accordo con la sua idea. «Tanto basta affogarli nello sciroppo per non sentire il sapore.» aggiunge, già di spalle per prendere il piatto.
Abbassa il capo quando un mio pugno lo raggiunge sulla spalla, più debole di quelli che è solito ricevere. Ridacchia per la sua battuta e non importa quanto mi sforzi, non riesco a trattenere un sorriso. So che stava solo scherzando e essere sempre arrabbiata è stancante.
Ci sediamo alla penisola, un solo piatto e due forchette e Zoro divide a metà la pila di dolci, una metà esatta, dettaglio che non mi sfugge. Lui mangia molto più di me ma in tanti anni non l’ho mai visto chiedere il cibo avanzato dagli altri o aspettarsi una porzione più abbondante. Se dovessi mangiare tutta la mia parte so che si accontenterà dei cereali, perché Zoro è così. Stoico e altamente adattabile.
Rimaniamo immersi nel silenzio per un po’, finché essere solo io e lui in cucina a dividerci un piatto di pancake non diventa così confortevole da diventare sconfortevole. Mi muovo a disagio sul mio sgabello, prendendo un sorso di succo per inumidire la gola.
«Dunque…»
«Allora…»
Le nostri voci si sovrappongono e subito ci zittiamo entrambi per sentire cos’ha da dire l’altro.
«Scusa, non volevo…»
«No, no!» lo interrompo subito, alzando una mano «Dimmi pure!»
Io ho parlato solo per spezzare il silenzio e non saprei neppure cosa chiedergli. Il solo pensiero che mi gira in testa è “Dov’è Kuina?”.
«Marco.» borbotta sottovoce e io sobbalzo.
Marco?! Marco cosa?!
Solleva gli occhi e li punta nei miei e io trattengo il fiato. Mi ero dimenticata di quanto i suoi occhi potessero essere intensi, penetranti e profondi. Così assurdamente profondi da poterci annegare dentro.
Un formicolio mi pizzica la pelle mentre mando giù rumorosamente.
«Sì?» lo invito a proseguire.
«Sembra un bravo ragazzo.» afferma.
«Oh sì. Sì lo è.» confermo ma non è per Marco che sorrido mentre qualcosa di caldo si espande nel mio petto. È bello che si preoccupi ancora così per me anche se, a ben guardare, non dovrei neanche stupirmi. Nonostante tutto quello che ci è successo, siamo pur sempre amici da una vita. «È molto dolce e si preoccupa per me.» aggiungo, portando una ciocca rossa dietro l’orecchio.
Zoro annuisce un paio di volte, come a dire che approva, prima di ficcarsi in bocca una forchettata di pancake. Lo osservo masticare un po’ in difficoltà per l’eccessiva quantità di cibo che sta cercando di ingollare e sto già per offrirgli un po’ del mio succo quando riesce a mandare giù tutto e ricomincia a parlare, giocherellando con la colazione.
«E il fidanzato di Koala…» comincia, più imbarazzato e io sgrano gli occhi, allibita.
Che gli prende?! È in fase “controllo fidanzati”?! Come se poi avesse chissà che rapporto con Koala!
Cioè non che mi dia fastidio eh! Assolutamente!
No davvero, come se potessi essere gelosa di Koala. Insomma so benissimo che Zoro non la vede in QUEL modo! E poi non mi importa di come Zoro guarda chi! Può guardare chi vuole come vuole!
Ecco!
Sì.
Ecco.
«Izou.» lo aiuto e la mia voce esce più infastidita di quanto vorrei.
«Esatto.» conferma, infilzando un pezzo di pancake.
«Che?!»
«Mi sembra un po’… ecco…»
«Un po’?!»
«A te… a te non sembra un po’ effemminato?» butta fuori alla fine. Mi irrigidisco, senza fiato.
Questo… non sta… succedendo.
No, no, no e ancora no!
Non può, se salta la copertura di Koala salta anche la mia, è matematico. Se capiscono che Izou è gay cominceranno a notare le sue occhiate a Marco e terranno d’occhio anche Marco e…
No! Assolutamente no! Non succederà niente del genere!  
«Ma che dici? No, assolutamente!» nego con una convinzione che non provo nemmeno per sbaglio.  
«Sei sicura? Perché a volte quando parla sembra un po’… drammatico e sono abbastanza certo di averlo beccato che mi fissava il cu…»
«Beh sicuramente è eccentrico!» lo interrompo, ignorando l’istinto omicida che mi sta suggerendo di andare a cercare Izou e sfogare su di lui la mia frustrazione repressa. «Ma non lo definirei effemminato. Teatrale, ecco!» esclamo. «Teatrale. Insomma la conosci Koala, non potrebbe mai stare con un ragazzo “effemminato”!» aggiungo, calcando l’ultima parola.
Nami, ora basta! Smetti di parlare!
«Dov’è lo sciroppo?» cambio bruscamente argomento e mi guardo intorno cercando la bottiglia in questione proprio mentre la porta si spalanca, lasciando entrare Sabo e Koala.
«Sabo non è una cosa opinabile. O è così o non lo è.»
«Lo dici solo perché se fosse opinabile allora potresti non avere ragione!» protesta Sabo con l’aria di uno che fa i capricci e Koala lo fissa senza scomporsi mentre si adopera a tirare fuori tutto il necessario per preparare una ciotola di cereali.
«Se ne sei così convinto, chiediamo a Robin che ne pensa e vediamo.» si stringe nelle spalle e Sabo assume un’espressione tra l’inorridito e l’indignato. «Che c’è?»
«Robin? Sul serio? Lo sai che non possiamo stressarla per queste assurdità nelle sue condizioni! Ehi, sono pancake quelli?»
«Robin è incinta, Sabo.» afferma, lanciandogli una merendina. «Non sull’orlo di una crisi di nervi o che so io. A differenza mia se continuo a darti retta.» aggiunge a mezza voce prima di immobilizzarsi con gli occhi fissi su di me.
Mi guardo intorno perplessa prima di chinarmi appena verso di lei. «Qualcosa non va?»
«Dov’è Marco?»
Ed è solo allora che realizzo che se Koala è qui nessuno sta tenendo d’occhio Izou.
«In camera. Stava ancora dormendo.» rispondo, con un sorriso che spero sia abbastanza per celare il mio orrore.
«Oh.» anche Koala sorride e solo io noto il suo nervosismo perfettamente dissimulato. «Anche Izou.»
Mi devo praticamente conficcare le unghie nelle cosce per non schizzare come una mina fuori da qui e su per le scale per controllare che il finto ragazzo di Koala non stia cercando di violentare il mio finto ragazzo che poi, tecnicamente, è il suo ragazzo. O, più probabilmente considerato il soggetto, non stia cercando di farsi violentare.
«Oh a proposito.» salta su Sabo, che sta rubando un po’ di pancake in piedi di fianco a Zoro «Koala volevo chiederti… ma Izou non è un po’… border line ecco?»  le domanda senza il minimo tatto e io lo guardo a bocca aperta.
Va bene l’amicizia trentennale ma certe cose non dovrebbe chiedergliele in privato? Sia come sia Koala sembra abituata. Cioè alla mancanza di tatto e privacy da parte di Sabo, non al finto fidanzato gay.
«Ma che dici?»
«Vero?! Anche a me sembrava!» esclama Zoro, dandogli una pacca con il dorso della mano sul pettorale e io lo fulmino.
«Ma non è vero!» esclama Koala, simulando una risata incredula.
«Izou è assolutamente etero.» affermo solenne per rincarare la dose. «E per niente effemminato.»
«Beh oddio…» fa subito retromarcia Koala, beccandosi un’occhiata inorridita dalla sottoscritta.
Da che parte sta?! Non può abbandonarmi così
«Beh dai un pochino lo è.» cerca di insistere con ragionevolezza Sabo.
«Se per te una persona educata è effemminata…» lo sfido mentre incrocio le braccia al petto.
«Ma non è quello! È che ha volte ha dei modi un po’…»
«E poi mi ha guardato il cu…»
«È stata una tua impressione!» ringhio, pronta a picchiare quel cranio verde e vuoto.
Koala solleva una mano e il mento con fierezza. «Posso a ragione affermare che, sebbene l’apparenza inganni, Izou è l’uomo più focoso, virile e soddisfacente con cui sia mai stata in vita mia.»
Non posso fare a meno di lanciarle un’occhiata ammirata. Tre me, lei e Usopp si potrebbe organizzare un corso per bugiardi. A pagamento ovvio.
Mi scappa quasi una risata e torno trionfante a guardare i ragazzi che si stanno scambiando un’occhiata poco convinta, prima di girarsi di nuovo verso di lei.
«Sicura?» chiede Sabo, guardandola di sottecchi e con quel sorriso da schiaffi che sempre usa quando vuole provocare qualcuno e fargli perdere le staffe. Ma Koala non cede alla provocazione e solleva solo un angolo della bocca in un ghigno storto che ha chiaramente imparato da qualcuno di nostra conoscenza.
«Vuoi i dettagli?» domanda, con un’espressione e un tono talmente provocanti che l’espressione sorniona di Sabo vira al terrorizzato in meno di un millesimo di secondo.
Il che mi ricorda…
Scatto in piedi e mi precipito verso la porta.
«Mocciosa?» Zoro mi richiama, perplesso.
«Vado a vedere se Marco si è svegliato!» mi giustifico, lanciando una rapida ed eloquente occhiata a Koala, che annuisce impercettibilmente.
Se becco Izou in camera mia e di Marco lo uccido. Giuro che lo uccido.
Santo cielo.
Quanto manca alla fine di questo weekend?
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Sbuffo via una ciocca di capelli da davanti agli occhi, sistemandomi meglio sul letto sfatto.
Non è la posizione più comoda del mondo per lavorare al pc ma in queste condizioni non mi sembra il caso di scendere di sotto e devo assolutamente dare un’occhiata a questi bilanci prima di colazione. So che in teoria dovrebbe essere un weekend di relax ma questi dati sono troppo importanti e devo assolutamente visionarli e inserirli nella documentazione del caso prima di subito.
Non lascerò che Yuba diventi la discarica personale di nessuno.
Solo che è un vero macello, qui deve averci messo mano qualcuno di poco capace o forse qualcuno di molto bravo che voleva complicarmi il lavoro.
Sospiro nel sentire uno scroscio di risa dal piano inferiore e mi mordo il labbro.
Dovrei rallentare, so che dovrei, e lo vorrei anche. Vorrei davvero godermi il weekend con tutti quanti. Però non riesco a tranquillizzarmi, è inutile. Per fortuna Law non ha insistito perché lasciassi perdere. Sa che per me è importante almeno come lo è per lui la specializzazione e ho come la sensazione che se non lo faccio ora finirò per rimandare fino a dopo il matrimonio.
Prendo un profondo respiro e chiudo gli occhi qualche istante per ritrovare la calma necessaria a fare le cose con precisione e non incasinarmi ulteriormente.
«Bibi, stai bene?»
Sobbalzo e riapro gli occhi di scatto. Una parte del mio cervello si è già portata avanti, dandomi l’input per sorridere e rispondere “Certo, amore! Dammi dieci minuti e scendo!”, che mi accorgo che sulla porta a scrutarmi con un cipiglio preoccupato e curioso non c’è Law.
«Sabo!» lo chiamo, sorpresa.
Da cosa poi? Questa è anche casa sua. Anzi, come direbbe Law, soprattutto casa sua.
Il che è assurdo e sciocco perché è evidente che Law e Ace sono dei fratelli per Sabo e Rufy, al di là di ogni legame di sangue e parentela. E soprattutto Sabo non perde occasione di trasmetterlo, di ricordarlo a entrambi. Me ne sono accorta in ogni gesto che compie verso di loro. Ci mette una cura particolare persino nell’essere noncurante e senza filtri, proprio come si fa con un fratello. Mette una cura particolare non banalmente in quello che è importante per lui ma in quello che è importante per coloro a cui tiene o che semplicemente a suo parere lo merita. Da fare servizio taxi all’amico con cui sei cresciuto, che poi è molto più che un amico e basta, a offrire un cookie a una sconosciuta in aeroporto.
Scuoto il capo e cerco di riprendere il filo per rispondere. «Oh sì, sì sto bene certo!» gli sorrido e lui ovviamente risponde con uno dei suoi.
Mi piacciono i sorrisi delle persone. Ognuno ha qualcosa di unico e di speciale. Ognuno ti dice qualcosa di chi lo possiede. Quello di Sabo, per esempio, è un sorriso radioso, sempre divertito, di una persona incapace di portare rancore e dalle spalle larghe, leale e affidabile.
Mi ci potrei addormentare, in un sorriso così.
Lo stomaco mi si rivolta quando il pensiero mi attraversa la mente. Vorrei darmi un pugno in fronte perché non è affatto giusto pensare una cosa del genere in questo momento della mia vita, proprio ora che sto per sposarmi e per di più riferito a una persona tanto importante nella vita del mio futuro marito.  
Non che significhi niente, ma comunque…
«Ci chiedevamo come mai non sei ancora scesa.» mi spiega, appoggiandosi allo stipite della porta. È ancora in pigiama – bermuda da palestra e una maglietta comoda – ed è la prima volta che lo vedo senza camicia. Pare un ragazzino e mi viene quasi voglia di scompigliargli i capelli. Non che io possa dire nulla, a me danno ancora diciotto anni, cosa che ho per altro scoperto di avere in comune con Koala.   
«È che stavo…» comincio ma mi fermo accigliata, realizzando che ha parlato al plurale. «Tu e chi, mi stavate cercando?!»
Law sa benissimo dove sono e perché.  
Sabo sbatte per un attimo le palpebre, preso in contropiede, poi infila una mano nella tasca posteriore dei bermuda e io rimango di sasso quando mi accorgo che ciò che ha appena estratto non è altri che Karl. Se lo mette sulla spalla e lui subito si accuccia sulle quattro zampe, annusando la guancia a Sabo, e io non so più cosa pensare.  
È diffidente con tutti, in due anni nemmeno Law è riuscito ancora a instaurarci un vero rapporto e, anche se ha mangiato dalla sua mano, farsi portare in giro nella tasca dei pantaloni di Sabo sta completamente su un altro livello.  
«Karl non vuole che ti stressi.» prosegue Sabo mentre lo gratta sulla testa. Si stacca dalla porta e si avvicina al letto «Che stai facendo?»  
«Oh non è niente, stavo solo visionando dei bilanci per una faccenda a cui sto lavorando.» minimizzo agitando una mano in aria ma Sabo non mi sta nemmeno guardando. Fissa accigliato il computer, sembra quasi sotto shock. «Sabo…»
«Santo Roger, ma questi bilanci sono un macello!» esclama e io sento una speranza riaccendersi in me.
«Ci capisci?»
«Sì ma…» gli occhi sempre fissi sul computer, si siede accanto a me e Karl non perde tempo per saltare sulle mie gambe incrociate mentre Sabo allunga le mani verso il touch pad e fa scorrere in su e in giù il PDF. «È impossibile che siano così incasinati per poca organizzazione. Sembra quasi che sia stato fatto apposta.»
Un barlume di speranza si accende e prende a pulsare nel mio petto. Sono consapevole di fissarlo come se fosse il mio cavaliere in armatura scintillante venuto in mio soccorso ma non riesco a evitarlo. L’ultima cosa in cui avrei osato sperare era trovare qualcuno in grado di aiutarmi con questo disastro immane. Da sola non avrei saputo neppure da dove cominciare ma, devo ammetterlo, non è solo questo.
Law è molto fiero di me e delle lotte che porto avanti ma non posso affermare che sia più di tanto partecipe alla cosa. Ovviamente non lo fa per disinteresse o cattiveria. Mi ascolta sempre quando ho bisogno di sfogarmi anche se, laconico com’è, non tende a commentare molto. Non si tira indietro se ho bisogno di un consiglio ma, tendenzialmente, ciò che fa è darmi la sua opinione senza sviscerare più di tanto il problema. E alla fine lo posso capire, non è il suo campo di competenza e lui non ama sbilanciarsi, anche se preferirei ricevere il suo parere senza doverlo chiedere esplicitamente ogni tanto. Ad ogni modo, non lo voglio colpevolizzare. Anche lui è impegnato a rendere il mondo un posto migliore, a modo suo.
Ma la concentrazione e la perizia con cui Sabo sta studiando il documento mi conforta non solo perché ho trovato qualcuno di competente in materia disposto ad aiutarmi. Lo vedo dalla sua espressione che è fermamente deciso a mettere ordine in questo carnaio e non per semplice cortesia nei mie confronti. Sono ridicola e infantile – dopotutto Sabo non sa nemmeno di cosa si tratta e a cosa sto effettivamente lavorando – ma, per un attimo, mi sento come se improvvisamente avessi qualcuno che lotta al mio fianco per salvare Yuba, figurativamente e non.
«Okay, credo proprio di aver capito dove recuperare il bandolo della matassa.» afferma dopo alcuni istanti e io mi accorgo solo ora che lo sto ancora fissando. Il che diventa meno imbarazzante quando lui, per fortuna, si volta per incrociare il mio sguardo con il suo solito sorriso scanzonato. «Adesso però, è ora di colazione. Questi bilanci possono aspettare.»
«Ma io…»
«Ci lavoreremo insieme ma dopo colazione. Devi prenderti cura di te stessa Bibi, la sposa dovrebbe arrivare splendente e in salute al giorno del matrimonio.» insiste, deciso ma sempre gentile, cogliendomi del tutto alla sprovvista.
Sento le guance riscaldarsi e distolgo lo sguardo. «Sei gentilissimo Sabo ma non sei tenuto ad aiutarmi.» mi riavvio i capelli mentre lui si rimette in piedi.
Una mano entra nel mio campo visivo, tesa verso di me, il palmo rivolto al soffitto. La osservo per un paio di secondi ripensando all’aeroporto e alla sua stretta.
«Il punto è che voglio farlo.» chiarisce e io sollevo finalmente lo sguardo su di lui. «A stomaco pieno, però.»
Solleva un sopracciglio per incitarmi a rispondere, anche se è un gesto che ho visto fare milioni di volte, spesso con questo suo stesso intento, il risultato è totalmente diverso. Quando lo fa Law, il più delle volte ti fa solo venire voglia di imitarlo e rendergli pan per focaccia mentre ora non riesco a trattenere un sorriso.
Apro la bocca per rispondere e mi sto già muovendo verso di lui che una voce molto poco discreta e per me estremamente famigliare ci raggiunge dal piano inferiore. Mi volto verso la porta, gli occhi sgranati. «Oh no…» sussurro.
«Ma chi è?» Sabo si acciglia e muove qualche passo verso la porta, ma io ormai sono entrata in modalità “gestione cataclismi”.
Chiudo il pc, balzo giù dal letto e, dimentica dei miei crucci di poco fa sul mostrarmi in pigiama davanti a gente che conosco da nemmeno due giorni, mi avvio decisa verso la porta. È un’emergenza, non ho tempo di rendermi più presentabile.
«Andiamo Sabo.» Non mi rendo quasi conto di afferrargli la mano quando gli passo accanto, per trascinarlo di sotto più in fretta. «Non c’è un attimo da perdere!»

 
***

 
«Ehi fratelli, che fine ha fatto la mia cola?» chiede Franky, grattandosi una chiappa in bella vista mentre scruta nel frigo.
Il momento di pacato relax è andato a farsi friggere ora che si sono alzati tutti. Nami non è ancora tornata e comincio a sospettare che stia torturando Izou ma la cosa in tutta sincerità non mi tange. Sabo, è sparito anche lui dopo che Law ha fatto il proprio ingresso in cucina insieme a Dragon, prima di raggiungere me e Robin e sedersi tra noi, accettando da me una ciotola di cereali. Al momento Dragon è uscito in veranda a bere il caffè e noi tre osserviamo, al sicuro da dietro il bancone, il concentrato di confusione e follia, schiamazzi e urla, cibo volante e botte, altrimenti conosciuto come “la nostra compagnia riunita per la colazione”.
«Le ho spostate io prima, guarda nel ripiano più basso.» lo avvisa con la sua solita flemma  Sanji, impegnato ai fornelli.
«Suuuuper!!!»
«Yohohohoh! Franky-san puoi passarmi il latte già che ci sei?»
«Ehi Sanji, manca molto per quei pancake? Ho davvero f…»
Sanji si gira di scatto, furente, e Usopp si zittisce spaventato. «Prova a dirlo, fogna ambulante! Dai provaci!» ringhia, brandendo la spatola, ma sgrana gli occhi sconvolto quando si accorge che non è stato Rufy a parlare. Deglutisce a vuoto nel vedere l’espressione terrorizzata di Usopp e ho l’impressione che il cuore gli sia appena sprofondato nello stomaco. «Usopp scusa io…» comincia, chiaramente dispiaciuto ma, soprattutto, coinvolto e io mi schiarisco sonoramente la gola per farlo tornare in sé.
Law mi lancia un’occhiata di rimprovero ma lo ignoro. La penso come lui e, fosse per me, lo avrei lasciato continuare. Ma questa decisione spetta a loro e loro soltanto.
Zoro apre un occhio, le mani perennemente intrecciate dietro il capo e lancia uno sguardo intorno. «Ma dov’è Rufy?»
Domanda legittima dato che stiamo facendo colazione e, di solito, dove c’è cibo c’è Rufy.
«Da Shanks e Makino, alla dependance.» risponde Usopp, ancora un po’ scosso dall’involontaria aggressione di Sanji.
«E Sabo?» chiede Perona, facendo sua la preoccupazione che sarebbe di Ace se solo un attacco narcolettico non lo avesse colto due minuti fa.
«È andato a chiamare Bibi! L’ho incrociato tornando dal bagno.» spiega Chopper con ingenuità. «Usopp, vuoi dei cereali?»
Io e Robin ci scambiamo un’occhiata da dietro la schiena di Law, prima di puntare entrambe lo sguardo su di lui. Attendiamo in paziente attesa anche se Law prova ad ignorarci per quasi un minuto, prima di arrendersi.
«Stava lavorando a un caso che le sta molto a cuore. Non ho voluto insistere, ci tiene più che alla colazione.» spiega.   
«Chissà chi mi ricorda?» commento dopo un attimo, con un sorrisetto di scherno. Mi addosso con gli avambracci al bancone e ne sollevo uno per posare il mento sul palmo. «Magari Sabo la convince, con te ha sempre funzionato. Certo, tu e Sabo siete anime gemelle…»
«Alla cena ieri sera mi è parso che andassero molto d’accordo.» commenta Robin, sorseggiando la propria tisana ai frutti rossi, l’altra mano che accarezza il pancione.
Law le lancia un’occhiata mentre appoggia la schiena alla sedia treppiede e si versa una generosa quantità di yogurt sui cereali. «Ci speravo in realtà.» ammette. Robin continua a guardarlo serafica, io aggrotto le sopracciglia, entrambe in attesa. Sa che vogliamo una spiegazione, non serve chiederla ad alta voce. «Quel tizio che vi dicevo, l’organizzatore. Per starci nei tempi ci ha riempito le agende di impegni sovrapposti. Pensavo di chiedere a Sabo di accompagnarla quando può, per non lasciarla troppo da sola.»
Mentre spiega è concentrato a mischiare lo yogurt con i cereali e mi concedo di studiarlo quanto voglio persa nelle mie riflessioni. Mi fa così strano sentirlo parlare così, mi fa strano immaginarlo preso nella frenesia di questo matrimonio al fulmicotone, lui sempre così calmo, posato e calcolatore. Sì, sarà anche che preferisce levarsi il pensiero quanto prima. Anche questo è da lui, impegnarsi a fondo qualche settimana piuttosto che trascinarsi l’organizzazione per un anno e più, vedendosi costretto a dare un parere sulle tovaglie per i tavoli, se sono meglio bianco perla oppure avorio. Ma di certo non lo avrebbe fatto per chiunque. Bibi è davvero quella giusta e, anche se in fondo l’ho sempre pensato nonostante la sua poco romantica visione del matrimonio, è la prima volta che il pensiero mi colpisce pienamente e consapevolmente.
Uno spasmo mi coglie alla bocca dello stomaco e io mi blocco con la fetta biscottata a mezz’aria. Non so cosa sia stato ma di certo non è inappetenza, così mi rimetto a mangiare e ignoro questa strana oppressione che, per altro, sparisce così com’è arrivata quando mi rimetto a chiacchierare con Law.
Sono certa che non sia niente di grave.
«E tu invece fai tutto da solo da bravo ragazzo grande?» lo prendo in giro solo a metà, sbocconcellando soddisfatta. La marmellata fatta in casa di Makino è la migliore. Law si gira a guardarmi, un’occhiata lunga e intensa, un’occhiata eloquente che ci metto qualche secondo di troppo a decifrare, come se il cervello mi fosse andato per un attimo in blackout. «Oh!» esclamo sorpresa.  
«Ti sei offerta tu e così pensavo…» comincia lui, quasi a volersi giustificare.
«No, no! Va bene infatti! In fondo sono il tuo testimone ufficioso no?»
«Koala se non hai tempo lo capisco. Non è un problema.» mette in chiaro, serio come non mai.
«Law.» è il mio turno di usare il tono autoritario. «Lo faccio volentieri. Se dovessi avere impegni irrevocabili di lavoro te lo dirò, sai che non mi faccio problemi, soprattutto con te ma per il resto…» allargo appena le braccia. «Ci sono.» Mi osserva e non risponde ma i suoi occhi si riempiono di calore e mi rivolge un sorriso sghembo di gratitudine, che però si spegne non appena aggiungo: «E poi per esempio alle promesse non dobbiamo nemmeno pensarci. Puoi usare quell’edificante e romantica definizione di matrimonio che ci hai esposto l’altra sera.» lo prendo in giro, con un guizzo negli occhi.
Robin porta una mano davanti alle labbra, elegante e discreta, ridacchiando piano e io sto per aggiungere un’altra edificante battuta sulla sua evidente sociopatia ma un rumore di ruote sul ghiaino attira la nostra attenzione e tutti e tre ci voltiamo verso la finestra che da questa posizione apre una perfetta visuale sul vialetto di ingresso. Ma tutto ciò che rimane nel nostro campo visivo è il retro del taxi e vediamo solo il baule e aprirsi e chiudersi dopo che il suono di tre portiere è schioccato nell’aria, riecheggiando attraverso il vetro aperto per far circolare aria nella sovraffollata cucina.
«Aspettavamo ancora qualcuno per il weekend?» domando, perplessa sì ma mai quanto Law.
«Non che mi risulti.» risponde e si alza per andare a vedere ma non riesce a fare un passo che la porta di ingresso si apre.
«Prego accomodatevi.» la voce profonda di Dragon invita chiunque siano questi inattesi ospiti ad entrare.
E poi un’altra voce risuona, un po’ nasale e decisamente più alta del necessario, specialmente alle nove del mattino.
«Un, deux, trois! Ricorda Kayme, la cosa più importante non è ciò che fai ma farlo con grazia!»
Sanji, ai margini del mio campo visivo, si immobilizza, scosso dai tremiti. Una risatina, che vuole sembrare spensierata ma in cui colgo parecchio nervosismo, segue l’affermazione assurda che non riesco ancora a credere di aver sentito.
«Ma certo Bon-sama! Me lo ricordo!» risponde quella che suppongo sia Kayme, con tanto, troppo entusiasmo.
Ma che diavolo…
Un gran fracasso dall’ingresso mi fa saltare sulla sedia e dopo solo un secondo di esitazione la cucina sembra il corridoio della scuola quando facevamo la prova antincendio. Ci riversiamo in massa nell’ingresso, a parte Sanji che si tiene a debita distanza e si limita ad affacciarsi alla porta della cucina.
Ciò che vedo a questo punto risulterebbe piuttosto surreale se non fossi abituata a Iva.
C’è un uomo per terra, nel senso che è per terra perché è chiaramene caduto, in mezzo a due valigie e tre borsoni sparpagliati in giro, per non parlare dell’attaccapanni che giace di traverso sul pavimento. Dietro a lui, una giovane ragazza dai capelli verdi, corti e spettinati  che, non so sia istinto o corretta analisi della dinamica di ciò che sto osservando, sono piuttosto certa stesse portando da sola tutti i bagagli. Dragon la sta aiutando a rialzarsi e Law scatta subito per tirare su valigie e borsoni, aiutato da Zoro ed Ace.  
Io sono troppo concentrata sull’uomo. Pantaloni a righe blu e azzurre, una camicia sempre blu con disegnati dei cigni e sopra alla camicia un gilet senza maniche, uguali a quelli che usa Izou, ma lasciato aperto e rosa shocking. Ha capelli corvini tagliati a scodella ed è pesantemente truccato.
«Oh che caduta aggraziata!» esclama, con uno svolazzante gesto della mano. «Un… deux… trois!» e come si rimette in piedi, prende a volteggiare come un’étoile di danza classica.
Chissà com’è che sono caduti, non riesco proprio a immaginarlo…
«Bon-sama! Stai bene?!» domanda agitata Kayme.
Dunque, facciamo il punto della situazione. Le ha fatto portare tutti i bagagli, sono caduti per colpa sua, non la sta nemmeno aiutando a rialzarsi e lei si preoccupa per lui. Dove ho già visto un simile caso di plagio mentale?  
«Splendidamente Kayme! Sto splendidamente!» risponde lui, continuando a volteggiare finché non si ferma di colpo, lo sguardo puntato su Sanji, che sembra a dir poco terrorizzato. «Ci conosciamo?» domanda Bon-sama mentre avanza di un passo con le mani sui fianchi.
Sanji indietreggia e Usopp si sposta impercettibilmente e istintivamente per pararsi di fronte a lui.
«N-n-n-n-no! N-non c-c-c-c-credo pro… proprio!» balbetta Sanji.
«Sicuro?» insiste Bon-sama. «Hai un’aria famigliare. Com’è che ti chiami?»
Sanji boccheggia come un pesce fuor d’acqua, guardandosi intorno spaesato.
«Bon-chan! Kayme!»
Bibi arriva correndo dal piano superiore, seguita a ruota da Sabo.
«Bibi! Oh ma guardatela la mia splendida principessa!» esclama teatrale Bon-chan, spalancando le braccia e continuando la propria avanzata in casa Monkey. Ora di sera saremo in regime di autocrazia.  
Ci apriamo in due ali per lasciarlo passare mentre Bibi corre giù dagli ultimi gradini per incontrarlo in fondo alla rampa. Bon-chan le prende il viso tra le mani, schiacciandole le guance, e glielo fa voltare a destra e a sinistra per studiarla.
«Ma guarda come sei cresciuta! Questi ragazzi! Uno non fa in tempo a dire piqué arabesque che crescono in un attimo!»
«Bon-chan, ci siamo visti dieci giorni fa l’ultima volta.» mugugna Bibi.
«Oh sono dettagli, tesoro, banali dettagli!» minimizza lui, sventolando una mano nell’aria.
«Ma chi diavolo è?!» Usopp da voce ai dubbi di tutti noi con tono scocciato, per via dell’effetto che questo tizio fa a Sanji.
«L’amico di famiglia che ci deve aiutare con il matrimonio.» Law si degna finalmente di informarci mentre raccoglie i borsoni che Ace ha fatto cadere colto da un altro attacco narcolettico. Gli ha sempre ravvicinati al mattino.
«Chi?! Lui?!» chiedo incredula.
Ma cos’è? Un virus? Perché affidano queste responsabilità a dei soggetti del genere?   
«È un wedding planner.» grugnisce Law, cercando di trucidare Bon-chan con lo sguardo.
«Oh sì! Bon-sama è il miglior wedding planner di Alabasta e io ho la fortuna di essere la sua assistente!» interviene Kayme, con un tono e un sorriso che mi fanno pensare che Sanji non sia l’unico a non stare affatto bene qui dentro.
«…già qui?! Non vi aspettavo prima di metà settimana prossima!» sta esclamando Bibi, che fatica a nascondere la tensione dietro a un sorriso nervoso.
È chiaro che il suo programma non prevedesse di tenere a bada Bon-chan già a partire da oggi e provo un moto di empatia per lei. So cosa significa avere a che fare con un esuberante okama che fa tutto di testa propria e so quanto sia importante prepararsi psicologicamente.
Credetemi, io lo so.  
«Ma ho pensato che non solo il mio zuccherino poteva avere bisogno di me ma anche i suoi amici!» si spiega Bon-chan, rimettendosi a volteggiare entusiasta. «E poi non volevo che la mia fogliolina di menta viaggiasse sola! Sai che ci tengo alle mie principesse!»
«F-fogliolina di menta?» domanda Bibi.
«Ho dovuto lasciare una bella mancia al tassista con tutti i bagagli che gli ho fatto scaricare.»
Una terza inattesa voce annuncia l’ingresso di un terzo inatteso ospite. Una ragazza, che avrà al massimo la mia età ma forse anche quella di Bibi, incarnato pallido, occhi miele e una cascata di capelli verde lime, sorride sensuale e serafica dalla porta ancora spalancata.
«Monet?» Baby la chiama senza fiato, pietrificandosi sulla porta del bagno del pian terreno. Si guardano per un lungo istante, squadrandosi attentamente con espressione per niente amichevole. La tensione è così palpabile che mi stupisco non si vedano scariche elettriche da nessuna parte.
«Ehi! C-che fai qui?» interviene Bibi, lanciando nervose occhiate a sua cugina. Ha la stessa espressione di una persona che si è appena ritrovata nel bel mezzo di un fuoco incrociato.
Monet si stringe nella spalle e scuote appena la chioma. «A casa mi annoiavo.»
«Oh…» comincia Bibi ma un sonoro sbuffo la interrompe.
«Poverina. Non essere al centro dell'attenzione deve annoiarti a morte.» commenta Baby, facendo un tiro dalla sigaretta che non so neppure da dove ha tirato fuori.
«Disse la figlia unica di Crocodile Hook.»
Io e Nami ci scambiamo un’occhiata e mi basta per sapere che non sono l’unica a cui questa sembra una discussione che dovrebbe svolgersi in separata sede. Ma Baby e Monet non la pensano come noi.
«Bibi non senti anche tu questo profumo...dolciastro...nauseante quasi...un po’ da prima donna… da dea servita e riverita?» ribatte Baby, lanciando un’occhiata avvelenata alla sua interlocutrice e io fulmino con gli occhi Izou  quando lo vedo che si annusa e chiede a Marco di fare altrettanto per assicurarsi di non essere lui.
Razza di deficiente. 
«Ah. Devo dedurre che nessuno degli uomini qui presenti è disponibile Baby?» chiede Monet, per niente offesa almeno in apparenza. «Sembri più acida del solito. Sembri quasi una che avrebbe proprio bisogno di una sana...»
«Sigaretta Buki Mint? Sì è vero, ma sai che un pacchetto di quelle costa oro e ne ho uno appena iniziato da qualche parte se solo qualcuno si degnasse di restituirmelo!»
«Non è colpa mia se le hai dimenticate.» Monet si stringe nelle spalle. «Non capisco perché sembri sempre convinta che dovrei sbattermi io per quello che tu non riesci a fare.»
«Forse perché sbatterti è il tuo hobby preferito.» sibila Baby, perdendo ogni contegno, imitata a ruota da Monet prima che chiunque di noi si sia accorto dove il discorso sta andando a parare possa intervenire in qualche modo per interromperle.
«Sempre meglio che sbattersi qualunque rampollo di buona famiglia per fare contenta tua mad...»
«E-ehi Sanji stava facendo i pancake!» urla quasi Bibi. «Tu adori i pancake giusto, Monet?!»
Per un attimo il silenzio è assoluto e tutti tratteniamo il fatto, gli occhi puntati su Monet.
«Sì li adora soprattutto se qualcuno glieli porta a letto.» risponde Baby dopo un istante e tutti sospiriamo. La cosa rischia di degenerare e Bibi fa qualcosa per cui la ammiro e al tempo stesso compiango.
Dev’essere davvero alla frutta per arrivare a tanto e nessuno può capirlo più di me.
«Bon-chan per favore fai qualcosa.» mormora a denti stretti. 
«Quando uno può permettersi di farsi portare a letto la colazione senza pagare qualcuno perché lo faccia perché non approfittarne?» continua imperterrita Monet e Baby è ormai esasperata.
«E se quel qualcuno lo fa perché ti ama, perché non ti accontenti di approfittarne e basta? Perché chiedi di più? Perché chiedi cose che sai che non può fare?»
«Perché io…»
«Allora, tutti pronti per la lezione di ballo?!» s’intromette Bon-chan, battendo le mani con entusiasmo.
Ci giriamo tutti a guardarlo, mi chiedo come fa a non prendere fuoco viste le occhiate di Baby e Monet e per una manciata di secondi nessuno gli risponde. Poi, quando finalmente una voce rompe il silenzio, non mi stupisco nemmeno che sia proprio quella voce e che rifletta lo stesso entusiasmo di Bon-chan. Certo questo non mi impedisce di spalmarmi una mano sulla faccia e sospirare rassegnata.   
«Lezione di ballo?!» esclama Izou, ruotando le spalle. «Uuuuuh questo sì che è interessante!» 





Angolo autrice: 
Sì, sono già qui un'altra volta! 
Buona domenica, gente meravigliosa! Per questo capitolo si ringrazia con tanto affetto Zomi per avere rollato Baby, nell'amorevole scambio di battute con Monet (rollata logicamente dalla sottoscritta). Scrivere a quattro mani con te è sempre un piacere. Grazie davvero. 
E grazie a voi tutti che avete letto, spero vi sia piaciuto. 
Page. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Lo osservo con la coda dell’occhio squadrarmi per l’ennesima volta e, caparbia, mi sistemo la gonna del vestito. È uno dei miei preferiti. Nami dice che il colore di base mi fa risaltare gli occhi e i fiori sono in tinta con il mio tatuaggio, che spunta tra le scapole.
A lui, chiaramente, non piace. So che è quello il problema.
Lo capisco da come mi osserva critico e scuote la testa con zero discrezione quando pensa che io non lo veda. So che ce l’ha con me e che il problema è che non gli piace il mio vestito e lo so perché sono abituata ad avere a che fare con un okama che è convinto di avere capito tutto di moda nonostante sembri abbinare i propri vestiti al mattino con l’ausilio di una roulette. Incredibilmente, l’okama in questione non è Izou. E, ancor più incredibilmente, devo ammettere che da lui consigli nel vestire li accetterei volentieri.
Ma la disapprovazione di Bon-chan è tutt’altra faccenda e non mi toccherebbe nemmeno se solo non fosse così insistente da rendere la situazione addirittura ridicola. Continuo a sorridere ma scuoto le spalle, percependo un brivido freddo lungo la schiena, preludio a una qualche esplosione imminente del mio Mr. Hyde che però mi impongo di tenere a bada.
Non mi importa se gli piace o no il mio vestito. Però vorrei davvero che smettesse di fissarmi, la cosa comincia a farsi inquietante.
 «Non è mai stato un fan degli abiti a fiori.» mi giro verso Bibi che sorride radiosa e lancia furtive occhiate verso Bon-chan. «Per lui le stampe floreali sono tutte uguali e gli ricordano le tende a casa di sua nonna. Ma il tuo vestito è bello, non ha niente a che vedere con le tende di nessuno.» ci tiene a rassicurarmi.
Le sorrido in risposta. «Beh mia nonna ha delle tende splendide a casa sua e io non mi considero una massima esperta di moda, comunque.» ribatto con noncuranza mentre prendo a camminare lungo un lato del salone, sgomberato da tutti i mobili per l’occasione, accanto a lei. La osservo, impeccabile nel suo abito lilla con la gonna strutturata sul fondo e i capelli raccolti sulla nuca.
È chiaramente un vestito da ballo, così come lo sono le scarpe e forse mi stupirei del suo essere così attrezzata se solo anche Baby e Monet non avessero estratto dalle valigie il suo stesso armamentario – Monet in arancione e Baby in rosso – e non si fossero acconciate i capelli con altrettanta rapidità.
Ora il solo dubbio che mi resta è se avessero il sospetto che Bon-chan ci avrebbe obbligati a questo o se, semplicemente, sono abituate a essere attrezzate per ogni occasione, anche le più improbabili.
Non ci è voluto molto, chiacchierando con la futura sposa, a capire che Bibi, Monet e Baby hanno avuto un’infanzia… diciamo atipica. Anche perché se si vuole parlare di normalità non posso comunque prendere  certo me a modello. La loro, però, sembra uscita da un’altra epoca. Tutte e tre istruite nelle più svariate arti sin da piccole, tra cui rigorosamente la danza per essere pronte e perfette al loro ballo delle debuttanti.
Usopp ha aggiunto ulteriori informazioni, raccontandomi che intorno ai dieci anni Baby ha cominciato a prendere lezioni di chitarra e carabina, passioni che suo madre ha naturalmente cercato di stroncare sul nascere perché – devo davvero dirvelo? – troppo poco femminili. E se per la chitarra non c’è stato niente da fare, almeno il poligono non le è stato precluso grazie al tempestivo intervento di suo padre. Credo che Crocodile straveda per sua figlia. Anzi ne sono certa, anche se lui non lo da molto a vedere.
Bibi e io rallentiamo quando raggiungiamo Robin che sorride serafica e si accarezza il pancione, ignorando Sabo che tenta di farla sedere e chiacchierando amabilmente con Izou. 
«Ma dai? Lo sai che hai ragione?» sento Robin mormorare, sinceramente interessata, coprendo per un attimo l’incessante blaterare di Sabo.
«…’iata, non vorrai ballare spero!»
«Sabo, al matrimonio avrò ancora il pancione, sarà meglio che io prenda le coordinate visto che un paio di balli conto di farli anche io.» risponde Robin, mantenendo il tono pacato per poi tornare a dedicarsi a Izou senza dare a Sabo il tempo di ribattere. «Davvero Izou, è un punto di vista estremamente interessante. Andrebbe approfondito. Io non ci avevo mai fatto caso.»
«Uff, non me ne parlare, gioia. Non ci pensa mai nessuno, ormai non mi stupisco neanche più.» si lamenta con fare melodrammatico Izou ma non protesto. In fondo Robin sa benissimo che è gay, non c’è stato nemmeno bisogno che glielo dicessi io – ovviamente – e Sabo è troppo impegnato a fare il non-padre apprensivo per accorgersi di alcunché. Mi accerto che Bibi non lo abbia sentito e concludo che non ho più nulla di cui preoccuparmi mentre ci accostiamo a loro.
Izou si gira immediatamente verso di me e mi squadra qualche istante. Lo osservo di rimando, in attesa, alzando entrambe le sopracciglia. «Bel vestito!» esclama poi, con un cenno di approvazione che, contro ogni pronostico, mi scalda il cuore e mi fa sorridere soddisfatta.
«Almeno siediti finché non si comincia, così conservi le energie.»
«Sabo.» lo chiamo cauta e intenerita. Mi rendo conto che il suo atteggiamento da fuori può risultare asfissiante ma la verità è che è solo preoccupato. Si preoccupa più dei suoi amici che di se stesso, questa zucca vuota che non è altro. Per questo lui e Law vanno così d’accordo. Perché pur essendo come il giorno e la notte – Law non esternerebbe mai così platealmente la propria preoccupazione –, sotto certi aspetti sono assolutamente identici. «Lasciala tranquilla.»
«Ma non sto facendo niente!» protesta testardo. «Voglio solo evitare che si affatichi!»
«Qualcosa non va?».
Come volevasi dimostrare. 
Law spunta alle nostre spalle, il tono calmo ma meno strascicato del normale, indice che è preoccupato e per avere una risposta il più in fretta possibile si sforza di porre la domanda il più in fretta possibile. Non che sia un meccanismo di cui è consapevole, ovviamente.
«È tutto a posto.»
«Robin vuole ballare nonostante il bambino! Dille qualcosa, Law!»
Robin e Sabo parlano l’una sopra l’altro. Law non risponde, non immediatamente almeno, e a me basta un’occhiata di striscio per vedere che sta prendendo tempo, diviso tra la preoccupazione per il futuro membro della famiglia e le sue conoscenze mediche che dicono senz’altro che no, non c’è nessuna controindicazione se Robin balla mentre è in stato interessante.
Tanto razionale e controllato quando è al lavoro, tanto apprensivo se si tratta dei suoi cari. Non oso immaginare quando toccherà a Bibi.
Porto una mano all’addome. Di nuovo quello stupido spasmo.
«Stai bene?» Law dirotta all’istante la sua attenzione su di me, fissandomi con un’occhiata che potrebbe trapassarmi se fosse umanamente possibile.
«Certo che sì.» mi premuro di tranquillizzarlo subito. So cosa lo preoccupa ma so anche che non si tratta di quello. Non è il cuore, ne sono certa così come sono certa di avere preso la mia pastiglia a colazione.
È strano, è qualcosa che non riesco a identificare ma che ha un che di famigliare. Beh, ora non ho comunque tempo per pensarci.
«…inciampare e cadere, per esempio!»
«Se così dovesse andare, allora ce ne preoccuperemo sul momento.» ribatte Robin con quella ragionevolezza tipica di lei che, certe volte, la rende vagamente inquietante.
Sabo sgrana gli occhi incredulo. «L’obbiettivo sarebbe limitare le possibilità che questi incidenti accadano, Robin!»
«Sabo non puoi pretendere che non faccia niente fino al parto.» intervengo, più decisa a mettere fine alla sua follia. «Non è neppure vicina al termine, lasciala vivere!»
«Non ritengo sia pericoloso se balla.» mi spalleggia Law, permettendo al raziocinio di vincere la battaglia che sta avendo luogo dentro di lui.
«Da che parte stai?!» lo rimbecca subito Sabo, con quell’espressione sofferente tipica di quando ti senti tradito.
Izou piega il busto verso di me, le braccia raccolta la petto e gli occhi fissi su Sabo. «Siete sicuri che non soffra di omosessualità latente nei confronti di Law?» mi domanda sottovoce.
«Non lo escluderei.» confermo, anche io in un soffio.
«Sabo, hanno ragione, non è pericoloso.» interviene anche Bibi, non appena Sabo fa una pausa un po’ più lunga nel bel mezzo del suo simposio. Sabo si volta con il chiaro intento di ricominciare a protestare ma, incredibilmente, quando vede che a parlare è stata Bibi si zittisce. Il potere della poca confidenza. «Anzi, la danza è molto raccomandata in gravidanza. Beh, non tutti i tipi ovviamente ma di certo un po’ di ballo da sala non le farà correre alcun rischio.» Bibi ne approfitta per aggiungere, con un sorriso incoraggiante.
Sabo la fissa interdetto alcuni secondi, durante i quali apre e richiude la bocca un paio di volte mentre io, Izou e Law lo fissiamo in fervida attesa di sentire cosa troverà da ridire stavolta. Perché non c’è veramente possibilità alcuna che lui non trovi da ridire, Sabo sarebbe capace di sindacare persino sulla matematica. E certo è questo che fa di lui un ottimo avvocato ma lo rende anche un interlocutore con cui è praticamente impossibile interfacciarsi e a cui è impensabile strappare un “hai ragione” o un “okay, se lo dici tu mi fido.”
«Okay, se lo dici tu mi fido.»  
Aspetta che?!
Sgrano gli occhi incredula. Robin fa appena un cenno con il capo che indica lieve sorpresa e persino Law lascia trapelare che è colpito, segno che non è affatto normale questa reazione di Sabo.
Che diavolo…
«Bene, bene, bene.» Bon-chan batte la mani tra loro, chiaramente entusiasta, per richiamare la nostra attenzione, e tutti ci giriamo prontamente verso di lui. «Ditemi, mie fiorellini di campo, chi di voi è già capace di ballare? Oltre alle mie principesse ovviamente?».
 Il braccio di Izou, dietro di me, scatta verso il soffitto con una forza tale che mi stupisco che non gli si sia dislocata la spalla. Ha anche il respiro irregolare, quasi un ansito, tipo quello dei cani quando gli mostri la loro palla preferita. Lo osservo tra il perplesso e il preoccupato mentre, distratta, comincio a piegare il gomito per sollevare più discretamente l’avambraccio.
La porta d’ingresso si spalanca e richiude con un boato e mi immobilizzo. Il tempo di voltarmi verso l’arco che si apre sul corridoio e Franky compare nello spazio vuoto, dimenando il bacino, su cui calzano solo un paio di slip e nient’altro, a tutto spiano. «Yo!!! Qualcuno cercava un ballerino?!»
Porto una mano alle labbra e cerco di trattenermi dallo scoppiare a ridere quando vedo le espressioni scioccate di Bibi, Monet e Baby. Non che Monet faccia trasparire molto ma io sono abituata con Robin. D’altra parte Franky è stato bravissimo, si è controllato un sacco ma quando Bon-chan ha tirato fuori la lezione di ballo abbiamo capito tutti che era solo questione di tempo. Non c’è niente che Franky ami più di ballare, a parte i motori e Robin.
«Ho appena sentito Zambai, fratello. Ha trovato quel pezzo introvabile per sistemare la Kabuto perciò puoi stare Suuuuuuuuper-tranquillo! La rottamazione dovrà aspettare.» Franky batte una manona sulla spalla di Usopp, incrinandogli probabilmente qualche costola. Se è così Usopp comunque non se ne accorge, troppo commosso e sollevato dalla notizia appena ricevuta.
«Amico, grazie!» 
«Ma figurati! Lo sai che voglio più bene a quel macinino che neanche a te!» ribatte Franky, mentre già si sposta per avvicinarsi a Robin, ignaro della reazione di Usopp, che perde per un attimo lo sguardo nel vuoto e poi comincia a piangere silenziosamente, nel sentirsi preferire la propria macchina a lui da uno dei suoi più cari amici.
Ridacchiando, Nami gli strizza la punta del naso in un gesto di conforto e io gli sorrido incoraggiante, senza nascondere il divertimento.
«Dunque dicevamo!» riprende il controllo Bon-chan, saltellando molestamente per la stanza, le mani unite sopra la testa. «Chi di voi sa ballare? Non siate timidi, non c’è nulla di cui vergognarsi. Io sono qui apposta per aiutarvi. Un, deux, trois!» Si ferma vicino a Sanji e si sporge verso di lui. «Che ne dici di una lezione privata solo io e te eh, bocconcino?»
«Stai lontano da me!» sibila Sanji, tra il terrorizzato e il furente, tirandogli un calcio che Bon-chan sfrutta come spinta, per volteggiare fino al centro della stanza mentre noi, intanto, abbiamo iniziato a sollevare le mani, chi più timidamente chi meno. Chi per niente, come Izou che ha ricominciato ad ansimare e quasi saltella sul posto. Senza troppa baldanza, alzo il braccio anche io.
«Bene, bene, molto bene.» mormora soddisfatto Bon-chan. «Siamo messi meglio di quanto immaginassi.»
Non sono sicuramente ai livelli di Bibi e delle sue due damigelle ma so ballare anche io. Ho fatto danza moderna dagli otto ai quindici anni e poi ho continuato, a livello più amatoriale, nel gruppo di ballo del liceo e nel gruppo musical dell’università. Non sono Violet Riku ma so muovermi e il senso del ritmo non mi manca.  
Così come non manca a Sanji, Nami, Perona, Brook, Robin e, ovviamente, Marco. Su Franky ho i miei legittimi dubbi ma sarebbe crudele dirgli di abbassare il braccio e non voglio certo spezzargli il cuore. Anche Ace se la cava bene ma non sembra intenzionato a sbilanciarsi. E poi naturalmente non dimentichiamoci di lui. Gli lancio un’occhiata e sbatto le palpebre perplessa.
Che fa?
Perché non alza la mano?!
Continuo a fissarlo finché non si accorge del mio sguardo su di sé, l’incessante blaterare di Bon-chan di sottofondo. Si gira a guardarmi e solleva interrogativo un sopracciglio.
«Che c’è?»
«Perché non alzi la mano?»
«Ha chiesto chi sa ballare.»
«Appunto!» esclamò sottovoce, avvicinandomi impercettibilmente a lui che si avvicina impercettibilmente a me. «Tu sai ballare!»
Lui sa ballare. Non gli piace, d’accordo ma sa ballare. Io so che sa farlo. A che gioco sta giocando?!
Non sarà che…
«Law, non penserai di riuscire a scamparla?» gli domando, incredula, il tono sempre più basso. L’occhiata che mi lancia mi basta come risposta. Sgrano gli occhi e mi viene da ridere ma non precisamente per divertimento. È che non riesco a capacitarmi di quanto possa essere ostinato. «Sei lo sposo! Non puoi scamparla!»
Law si china in avanti e mi lancia uno sguardo complice, da cui capisco che vuole che mi avvicini ancora un po’. «Magari non potrò il giorno del matrimonio, ma oggi è un’altra storia.»
Lo guardo di sottecchi, un sorriso, che non so nemmeno io se è di ammirazione o perplessità, sulle labbra. «Ti culli davvero nell’illusione che quel pazzo invasato non ti obbligherà a ballare con Bibi qui ed ora, davanti a tutti?»
Colgo vagamente la spiegazione di Bon-chan su come tenere correttamente la quarta posizione e come esibirsi in un elegante port de bras. Ma non era un organizzatore di eventi?
«Ha un’altra vittima da testare, oggi.» mi informa Law, con sguardo saputo. 
Socchiudo appena gli occhi, affascinata stavolta da come riesca ad avere sempre tutto questo controllo. «Ovvero?» indago, curiosa e divertita adesso da questo nostro confabulare.
«Perdonatemi, sono tanto in ritardo?»
Mi giro verso la voce profonda e decisamente più posata e tranquilla che ci raggiunge dalla stessa direzione da cui, poco prima, si è propagata l’esultanza di Franky. Anche se il soggetto fermo sul limitare del salotto è decisamente più distinto e, soprattutto, l’ultima persona che avrei pensato di veder mai ballare in vita mia.
«Signor Monkey! Prego, prego si accomodi!» lo invita Bon-chan, anche se siamo a casa sua. «Ma tu guarda che figura, che portamento!» gli volteggia intorno mormorando “un, deux, trois” e si ferma alle spalle chinandosi in avanti. «E che fondoschiena.»
«Oh puoi dirlo forte…» mormora Izou con un ghigno malizioso.
«Dunque, per ragioni di salute, purtroppo, il caro Cobra non potrà danzare con quel meraviglioso frutto di bosco laggiù.» spiega Bon-chan a beneficio di tutti, indicando Bibi con un ampio gesto del braccio. Come lo dice mi ricordo di avere letto da qualche parte, qualche tempo fa, che, a causa di una complicanza di quella che sembrava un’insignificante ernia, Nefertari Cobra è ora costretto su una sedia a rotelle, che poi è anche il motivo per cui attualmente non è qui e al suo posto sono venuti gli zii di Bibi. Per fortuna dovrebbe essere una cosa solo temporanea. «E così ci chiedevamo se fosse disponibile lei, signor Monkey, a ballare con Bibi subito dopo il suo primo ballo con lo sposo.»
Dragon sembra preso in contropiede, posso affermare con sicurezza che non se lo aspettava ed è la prima volta che ne parlano. Con quel suo fare autoritario, che, in qualche strano e contorto modo, riesce a controllare in modo da mettere in soggezione solo chi vuole lui e non tutti senza distinzione alcuna, si gira verso Bibi e cerca un contatto visivo con lei.
«Per me non sarebbe che un onore. Se la sposa è convinta…» 
È quasi come se la stanza si fosse improvvisamente riscaldata, di un calore crepitante e accogliente come quello di un camino. Come una spugna appena uscita dall’asciugatrice, dopo una doccia di pioggia improvvisa. Come un abbraccio di zio Ty.  
Papà Dragon sa essere veramente eccezionale. Bibi lo ha appena scoperto e non può che sorridere e annuire con convinzione e gratitudine.  
«Stupendo! Tutto questo è semplicemente stupendo!» Bon-chan volteggia come una trottola, con una rapidità da fare invidia a Sanji. «Bene, ora come ora mi interessa vedere quanto tragica è la situazione di voi che non sapete ballare. Quindi ora… Kayme!» cambia tono e diventa autoritario e contrariato all’improvviso quando vede quella povera anima che gli fa da assistente passare dietro a Dragon, con l’auricolare bluetooth infilato nell’orecchio, l’agenda in mano e l’espressione palesemente stressata. È da dopo colazione che sta chiamando mezzo mondo, sicuramente per via del matrimonio. «Kayme staccati da quel cellulare e vieni qui ad aiutare anche tu! Non ti pago per fare telefonate tutto il giorno!»
Il che in realtà è esattamente il motivo per cui la paghi. Sicuramente nemmeno abbastanza.
Kayme sobbalza presa in contropiede e si guarda intorno persa e chiaramente sull’orlo di un crollo nervoso. Appoggia auricolare, agenda e telefonino sul mobile del corridoio e trafelata corre in salotto, tesa e spaventata come una lepre.
Ha decisamente bisogno di una vacanza. O di cambiare lavoro.
«Bene!» esclama Bon-chan, facendo partire la musica.
 
[Save the last dance for me – Michael Bublé]
 
«Ora che Kayme ci ha fatto finalmente la cortesia di omaggiarci con la sua presenza, possiamo iniziare. Tutti quelli che sanno ballare facciano un’opera di bene e si scelgano uno degli incapaci.» volteggia verso Sanji e si ferma con il viso a pochissimi centimetri dal suo. «Che ne dici biondino, facciamo un giro io e te?»
«Piuttosto ballo con Rufy.» ringhia Sanji tra i denti, così spaventato da passare alla modalità aggressiva.
 
You can dance every dance with the guy
Who gives you the eye, let him hold you tight
You can smile every smile for the man
Who held your hand neath the pale moon light
But don't forget who's takin' you home
And in whose arms you're gonna be
So darlin' save the last dance for me
 
«Aggiudicato!» esclama Bon-chan e con una manata ben assestata, spinge Sanji dritto dritto addosso a Rufy.
«Sabo, se vuoi ridurre al minimo la possibilità che cada, credo sia meglio che io balli con chiunque tranne che te.» gli fa notare Robin, con candore e senza tatto.
Non che lui capisca. «Perché?» domanda ignaro.
«Sabo, ci ballo io con te, dai!» si offre premurosa ed entusiasta Perona, correndo verso di lui. Non fa in tempo ad afferrarle le mani che Zoro, che ha appena cominciato a muovere qualche cauto passo sotto le direttive di Monet, e Ace gli lanciano un’occhiata di avvertimento.
«Attento a dove metti le mani.» mormorano entrambi serissimi, anche se Ace un secondo dopo sta già sorridendo di nuovo. «Beh, stando così le cose, rimane solo una donna con cui posso ballare.» afferma, prima di scappare via dal salotto, in direzione della cucina.
 
Oh I know that the music's fine
Like sparklin' wine, go and have your fun
Laugh and sing, but while we're apart
Don't give your heart to anyone
But don't forget who's takin' you home
And in whose arms you're gonna be
So darlin' save the last dance for me
 
«Ehi Sanji!» Rufy lo chiama mentre Sanji gli sistema le braccia nella giusta posizione e si aggancia a lui, accollandosi il ruolo della dama. «Dopo mi prepari i biscotti al cocco?»
«Ora concentrati, Rufy!» gli sibila prendendo a volteggiare per la stanza insieme a lui proprio nel momento in cui Ace appare di nuovo sulla soglia del salotto, trascinandosi dietro Dadan.
«…’uoi da me, moccioso?!»
«Dai Dadan! Sei perfetta per ballare con me!» insiste Ace.
Makino appare alle loro spalle, giunta solo a curiosare cosa sta succedendo ma si ritrova in tempo zero a ballare con Brook che, ovviamente, non perde tempo a cominciare a indagare sul colore delle sue mutandine.
Non si può restare seri di fronte a questo delirio. Sono un piacere per gli occhi e un dolore per l’arte. Usopp sembra sinceramente terrorizzato dalla passione che Baby trasuda mentre balla più intorno a lui che neanche con lui. Franky forse ha un auricolare da spia nascosto nell’orecchio e sta ascoltando un’altra canzone a giudicare da come si muove e Robin lo lascia fare.
 
Baby don't you know I love you so
Can't you feel it when we touch
I will never, never let you go
I love you oh so much
 
Chopper e Kayme sono così impacciati che, sostanzialmente, stanno solo ondeggiando da un piede all’altro e non so chi dei due è più rosso in faccia. Gli unici che sembrano avere una vaga idea di ciò che stanno facendo sono Nami e Izou e Bibi e Dragon.
Scuoto la testa divertita. Questo è uno di quei momenti che passeranno alla storia, lo garantisco.  
E la mano olivastra e tatuata che compare a sorpresa nel mio campo visivo è la sola cosa che mi sciocca talmente tanto da riuscire a catturare la mia completa attenzione.
 
You can dance, go and carry on
Till the night is gone
And it's time to go
If he asks if you're all alone
Can he walk you home,you must tell him no
'Cause don't forget who's taking you home
And in whose arms you're gonna be
Save the last dance for me
 
Mi giro verso di lui sorpresa. Il suo viso non lascia trasparire nulla ma già solo che mi stia proponendo di ballare è sconvolgente.
«Si vede che vuoi ballare.» si giustifica ma io continuo a fissarlo con tanto d’occhi. «E sono tutti occupati.»
«Marco no.» lo provoco, ghignando a più non posso.
«Non sembra che abbia molta voglia di ballare.»
«Perché, tu sì invece?»
Finalmente, si degna di lanciarmi un’occhiata, anche se in tralice e inespressiva. Solleva un sopracciglio, appena un po’ scocciato da tutto questo mio ingiustificato sorridere.
«Se non vuoi, non c’è prob…» comincia abbassando la mano che però io afferro prima che esca dalla mia portata.
Certe occasioni nella vita bisogna coglierle al volo e così lo trascino correndo al centro del salotto.  
Non conosco molti passi, per lo più mi muovo a ritmo e faccio un gioco di gambe ogni tanto, né più né meno di quello che fa Nami. Ma Law è bravissimo a portare e, vista la bravura di Bibi, insieme faranno sicuramente faville.
Sono nel bel mezzo di un altro giro quando lo spasmo allo stomaco torna alla carica.
Ma per la miseria! Che cavolo…?
 
Oh I know that the music's fine
Like sparklin' wine, go and have your fun
Laugh and sing, but while we're apart
Don't give your heart to anyone
 
«Koala!» stavolta si è accorto, lo sento dal suo tono allarmato.
«Oh il cielo sia lodato!» esclama Bon-chan prima che io possa dirgli qualunque cosa. «Lo sposo sa ballare! Che sollievo!»
«Koala…» torna alla carica.
«Law non è il cuore!» lo rassicuro sottovoce. «Tranquillo!»  insisto con un sorriso prima di voltarmi verso Perona. «Cucciola, se ti serve un cambio chiedi pure eh?»
«Sì infatti, Voodoo! Non sacrificarti! Lo sai che ti preferisco tutta intera!»
 
And don't forget who's takin' you home
And in whose arms you're gonna be
So darling,save the last dance for me
 
«Ohi ma la fate finita?!» protesta Sabo, anche se è lui il primo che ride.
«Devi sapere, Bibi, che purtroppo mio figlio non ha preso da me per quanto riguarda le arti figurative.» mormora Dragon alla sposa.
«Papà! Eddai non sono così pessimo!»
«Ma se al ballo della scuola hai fato più strage tu dei tacchi a spillo!» lo rimbecca Nami e uno scroscio di risa invade il salotto.
 
So don't forget who's taking you home
Or in whose arms you're gonna be
So darling, Save the last dance for me
 
Mi rilasso quando vedo che anche Law sta sghignazzando, non più preoccupato per me e quella che probabilmente è solo una gastrite per cui devo ringraziare Iva. Capisco che è sinceramente divertito da come gli si arriccia il naso.
E forse mi sono rilassata troppo presto perché il cuore mi perde un battito. Ma non mi sento strana, la testa non mi gira, la vista funziona bene, nessun intorpidimento quindi evito di darlo a vedere e continuo a ballare e divertirmi perché è piuttosto chiaro che non sto per avere un arresto cardiaco, anche se il cuore mi batte a mille.
Cavolo, non credevo di essere così fuori allenamento.
 
Oh baby won't you save the last dance for me
Oh baby won't you promise that you'll save,
The last dance for me
Save the last dance, the very last dance for me.
 
«Dai su! Non distraetevi proprio sul finale!» ci incita Bon-chan, che è più esaltato di tutti noi messi assieme.
«Yohohohoho! Koala-san…» comincia Brook, quando lui e Makino si ritrovano fianco a fianco con noi.
«Sono rosse, Brook. Rosse e con le angurie.» lo fermo sul nascere. Volteggia via blaterando qualcosa sul fatto di essere l’uomo più felice del mondo e io mi giro vero Law per commentare, se non che lui mi sta fissando con un’espressione indecifrabile. «Che c’è?!»
Non ho mica rivelato che conosco la posizione del One Piece, per l’amor del cielo.
Ma Law non risponde e mi fa girare ancora una volta, mentre tutti si esibiscono in figure finali più o meno scomposte e Bon-chan ruba Dadan a Ace per farle fare una piroetta e un casquè alla fine del quale, chiaramente, rovinano a terra entrambi.
Gli applausi partono nel momento in cui la musica finisce, insieme a qualche urla di giubilo assolutamente ingiustificata, visto che nel complesso facciamo abbastanza pena, anche se è stato assurdamente divertente.
«Suuuuuuuper!!! Perché non lo facciamo più spesso, fratelli?!?»
«Io ho fame!»
«Franky ha ragione!» interviene Ace, avvicinandosi a Perona, già in astinenza di lei. «Magari però la prossima volta si potrebbe provare con il tango.» mormora posandole le mani sulle braccia e guardandola come se volesse divorarla qui ed ora.
Lei arrossisce, noi, ormai, non ci facciamo più nemmeno caso.
«Sai ballare il tango?» domanda Baby, sorpresa.
La sua voce vibra così tanto di aspettativa che Ace ci mette un attimo a rispondere, colpito dalla sua reazione. «Beh… no, a dire il vero no.» si accarezza la nuca ma continua a sorridere con noncuranza. «Ma una volta imparata la base, più o meno sarà la stessa cosa no? Qualche giro e strusciamento in… più… c-che succede?» domanda preoccupato quando Baby indurisce lo sguardo.
«Il tango non è un ballo qualsiasi. È il ballo dell’amore. È sesso verticale.» dice, così passionale da rendere sempre più fondato il mio sospetto che soffra di personalità multipla.
Certi momenti è docile e timida, certi altri acida e ribelle e certi altri ancora è… beh così!
«Il tango…» prende a camminare decisa verso Ace, fermandosi a pochi passi. «…esprime in verticale un desiderio orizzontale.» afferra il polso di Perona e se la trascina addosso, facendo aderire la sua schiena al proprio petto. «Devi tenerla come se dal contatto tra le vostre pelli ne andasse della tua stessa vita.» comincia, flettendo le ginocchia e obbligando Perona a fare altrettanto, mentre accarezza l’esterno della sua coscia.
Nessuno di noi riesce a muovere un muscolo o dire alcunché.
«Lasciarla andare…» continua Baby, facendo volteggiare Perona lontano da sé senza lasciarle il polso, pronta  trascinarla di nuovo indietro. «…come se qualcuno ti stesse strappando il cuore. Trascinarla a te…» la trascina di nuovo verso di sé e preme sulle sue spalle per farla accovacciare ai suoi piedi con lentezza esasperante. «…come se dovessi possederla qui, ora, sulla pista da ballo. E finire…» Baby si tira su con troppa veemenza, le braccia, uno alzato e l’altro giù, leggermente larghe e leggermente piegate in una posa quasi da flamenco. Perona senza più appigli né sostegni scivola a terra con un lieve tonfo. «…come se ti avesse rovinato la vita.»
Nessuno fiata, non si sente volare un mosca. Ho come l’impressione che faccia più caldo di prima, molto più caldo di prima, ma non come quando Dragon ha parlato e non perché abbiamo ballato in venti in salotto. È tutt’altro tipo di caldo.
«Mi sa che si è un po’ alzata la temperatura. Qualcuno vuole dell’acqua?» domanda Dragon, uscendo in fretta e furia dal salotto.   
«Ah! Io ne prendo volentieri un bicchiere!» esclama Baby, gioviale, seguendolo a ruota.
«Io vorrei del cibo!»
Ace si sblocca e si avvicina rapido a Perona per aiutarla ad alzarsi. «Sai, penso che dovremmo seriamente considerare di farci dare lezioni di tango da lei.» gli dice, scostandosi i capelli rosa dal viso, mentre Izou si accosta a me e io incrocio le braccia sotto il seno.
«L’ho trovato molto interessante ed educativo.» affermo convinta.
«Non ci crederai, ma per una volta sono d’accordo con te.» ribatte Izou, prima di girarsi a guardarmi. «Ehi, comunque che ritmo! Non sapevo sapessi ballare!»
Sorrido soddisfatta verso di lui. «Si fa il possibile.» mi stringo nelle spalle e picchio a terra la punta prima di piegare la gamba all’indietro.
Il tacco della scarpa trova un ostacolo inaspettato e un suono soffocato si libera alle mie spalle.
Oh… merda…
No dai… Non è possibile… Non… Non di nuovo! 
«Law!» lo chiama Bibi, correndo verso di lui.
Maledicendomi mentalmente, mi mordo il labbro inferiore mentre mi giro lentamente verso di lui, piegato in avanti e con le mani a coppa sul cavallo.
«Scusa…» mormoro piano, sperando con ogni fibra del mio essere che, almeno stavolta, il pavimento mi inghiotta.  




Angolo dell'autrice: 
Ma buongiorno! Eccomi di ritorno dalle vacanze, con una scottatura di quasi primo grado e un nuovo, assolutamente inutile capitolo! 
Ho adorato scriverlo, mi sono davvero divertita un botto e spero faccia divertire anche voi! 
Ringrazio Shall we dance a cui ho rubato impunemente la scena della Rumba(<-- che potete vedere qui) e ringrazio di cuore tutti voi che continuate a seguire la storia.
Un bacio grande grande e spero vi sia piaciuto. 
Page.  

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Il ragazzino fissa fuori dalla finestra, arrabbiato. Arrabbiato di una rabbia che lo mangia dentro, contrariato e infastidito dalla voce dell’uomo adulto che si rivolge a lui con rimprovero, come se ne avesse diritto.
Si passa continuamente le mani tra i capelli spettinati, tentativi su tentativi di riavviarseli, tutti inutili. Non lo fa nemmeno consapevolmente, è un gesto meccanico. Il suo obbiettivo è evitare il contatto visivo e tenere a freno la propria lingua. È nervoso e la mani si alzano da sole verso l’alto per provare a tenere giù le ciocche che sparano in tutte le direzioni.
Vorrebbe non ascoltare, vorrebbe essere sordo. Vorrebbe almeno riuscire a farsi scivolare addosso quelle parole, ma non ci riesce.
È alto ma il suo viso non lascia dubbi. Nonostante le occhiaie già marcate, non può avere più di quattordici anni. In effetti, ne ha tredici.
Ha tredici anni e si sente già adulto. Ha tredici anni ed è stufo di farsi rimproverare. Non è bravo a farsi rimproverare, non lo è mai stato ma quando è da solo diventa più difficile. Quando viene rimproverato solo lui, quando i suoi fratelli non sono in giro, è più difficile tenere a mente tutto quello che l’uomo che lo sta rimproverando gli ha regalato. È più difficile tenere a mente che l’uomo che lo sta rimproverando si è solo preoccupato per lui.
Sta attraversando un’età difficile, un periodo difficile. Suo padre lo sa e sa che il rischio di sentire quelle parole è sempre dietro l’angolo, lo sa da sempre. Ma il ragazzino rimane concentrato perché è sicuro che se dovesse pronunciarle non potrebbe mai perdonarselo.
È stanco.
Ha capito la lezione, sa di avere sbagliato, ha chiesto scusa. Eppure l’uomo continua. Anche lui sta attraversando un periodo difficile e i suoi figli, anche se sono ancora dei bambini, lo sanno. Ma ultimamente li sgrida più spesso. Può capitare, è solo un periodo, se lo continua a ripetere il ragazzino, mentre si riavvia di nuovo i capelli.
È solo un periodo, è solo preoccupato.
Sì, ma ultimamente non si capiscono più. Ultimamente di fronte a quello che dovrebbe essere suo padre, si sente un estraneo. Inadeguato.
Ed è stanco.
«… ti rendi conto di cosa sarebbe potuto succedere?»
Non urla mai, Dragon. È autoritario ma controllato, sempre. A rendere così intollerabili quei rimproveri è il suo sguardo. E lui non ha paura di fronteggiarlo ma sa che, se dovesse alzare gli occhi verso di lui, alla fine quelle parole uscirebbero dalla sua bocca.
«Mi stai ascoltando Law?»
«Sì.» risponde a denti stretti.
«E quindi?»
«E quindi ho capito, d’accordo?! Ti ho già chiesto scusa!»
Dragon socchiude gli occhi. Lo sa anche se non lo sta guardando.
«Cos’è quel tono?»
«Non so cosa vuoi da me.» sibila il ragazzino. «Continui a ripetere le stesse cose. Ho capito! Che pretendi? Che torni indietro nel tempo e non lo rifaccia?»
«Io non pretendo niente. Mi aspetto che tu abbia imparato la lezione ma per il momento non vedo niente che mi rassicuri in quel senso.»
«Beh forse se stessi a casa di più o se quando sei a casa non passassi tutto il tempo a sgridarci riusciresti a vedere qualcosa di più!»
Non va bene, non va affatto bene. Sta perdendo il controllo e questo non va bene. Lui non perde il controllo, non perde mai il controllo. Proprio come suo padre che si irrigidisce a quelle parole. Lo vede nel riflesso della finestra.
«Sai che è un periodo complicato per l’azienda…» comincia Dragon ma lui non vuole più ascoltare.
«E allora preoccupati di quello e lasciami in pace.»
È ingiusto e lo sa. Sì, Dragon è più nervoso ultimamente ma non lo sta usando come valvola di sfogo. Non li ha mai rimproverati senza un motivo e stavolta l’ha fatta veramente grossa.
Anche se ha solo tredici anni è molto più maturo della sua età e si rende conto, anche se non dovrebbe, non a tredici anni, che persino in un momento così difficile Dragon sa esattamente come fare il padre. E lo fa in modo impeccabile.
Sarebbe così semplice farli sgridare da Dadan. Eppure così come trova il tempo per stare con loro, anche solo per poco, tutte le sere, trova anche il tempo per sgridarli. Perché è suo compito. Il compito di un padre. Bellissimo e difficile al tempo stesso.
Lo capisce anche se è ancora un bambino. Lo capisce, lui che è dovuto crescere nel giro di una notte appena.
Lo capisce ma non lo accetta. Non stavolta. Non stasera.
«Vedi di cambiare atteggiamento, Law.»
Il primo ammonimento. Che non viene colto, non questa volta.
«Anche tu.»
Dragon rimane zitto un momento, forse non ha sentito bene.
«Come, prego?»
«Ho detto…» comincia a tremare, il ragazzino. Tutti i filtri stanno cedendo. Non riesce più a trattenersi. «…anche tu.» conclude e fa l’errore di voltarsi a guardarlo.
«Ragazzino, ti devo forse ricordare che…»
«Tu non sei mio padre.»
Non urla. Non sibila. È una constatazione e per questo fa ancora più male. I suoi occhi lampeggiano per un attimo soltanto, rivelano quanto è arrabbiato. Ma la rabbia diventa subito orrore quando si accorge dell’espressione sul volto dell’uomo che non ha mai chiamato padre ma che da sempre considera tale.
Un uomo a cui ha appena spezzato il cuore.
 
«…’nti?! Ehi Law!»
Mi giro di scatto verso la porta della cucina quando la voce di Ace riesce finalmente a farsi strada tra i miei pensieri. Non so esattamente da quanto mi sta chiamando. Non so da quanto sono fuori fase.
Il che non è da me, ammettiamolo. Non mi concedo mai di abbassare così tanto la guardia quando non sono solo. Non lo faccio neppure a casa con Bibi. Tutta colpa di Koala.  I suoi ripetuti attacchi ai miei genitali mi stanno indebolendo anche nella mente oltre che nel corpo.
«È tutto a posto?» chiede Ace, mentre si avvicina al frigo. Lo apre senza staccarmi gli occhi di dosso e allunga una mano alla cieca per recuperare una lattina di RedBull.
Sollevo un sopracciglio. Ancora non si è rassegnato che nemmeno la caffeina è una soluzione ai suoi attacchi narcolettici?
«Tutto a posto.» confermo. «Ho solo fatto orari pesanti al lavoro questa settimana.»
Ace mi lancia uno sguardo cospiratore, di quelli che sai già che precedono un’idea malsana o poco intelligente ma che, alla fine, non ho ancora capito come, lui riesce a convincerti a portare a termine.
«Vuoi una?» domanda poi, mostrandomi la lattina argento e blu.
Per un attimo sono tentato di non rispondere nemmeno. Come se quella schifezza potesse davvero aiutare qualcuno a ottenere un effetto diverso dal friggersi il cervello. Una bella tazza di caffè amaro, quella sì che sarebbe un paradiso.
Ma Ace è così pieno di aspettativa, così convinto di avere appena avuto un’idea geniale che non solo non riesco a dargli una mia tipica caustica risposta ma, non so nemmeno io come, mi ritrovo nel giro di dieci secondi con una lattina di RedBull accostata alle labbra e stretta in mano. Quella libera dal premere il sacchetto del ghiaccio contro i miei attributi.
«Serve anche altro ghiaccio?» chiede Ace, tornato al frigo per servirsi.
«No, credo di essere di nuovo in grado di camminare, grazie mille.» declino stavolta.
Ace afferra uno sgabello e lo trascina vicino al lato della penisola opposto a quello a cui mi trovo seduto io. Prende posto davanti a me prima di dedicarsi a ripulire la superficie superiore della lattina e tirare la linguetta.
«Koala non sbaglia un colpo eh?»
Non trattengo un ghigno e prendo un sorso di questa schifezza prima di rispondere. «Sa indubbiamente come lasciare il segno.» confermo e lui ridacchia divertito.
«Questo è poco ma sicuro! Come vi rimetteva in riga lei, non c’è mai riuscito nemmeno papà.»
Trattengo il fiato, nascosto dietro la mia lattina. So che è sciocco, che Ace non può assolutamente sapere cosa stessi pensando poco fa ma, per un attimo, mi sento messo a nudo. È una sensazione per cui ho sempre provato sentimenti contrastanti.
Lo odio ma al tempo stesso ha un che di confortevole. Mi fa sentire debole ma anche reale e umano. E amato. Perché sono solo le persone davvero importanti che riescono a vedere ciò che sei veramente. Forse,  se una volta riuscissi a lasciarmi andare davvero, a tirare giù completamente la corazza per più di qualche secondo, mi farebbe anche bene.  Forse. Ma non so se lo scoprirò mai, in effetti.
Di certo non lo scoprirò ora perché, come immaginavo e speravo, Ace non si è accorto di niente. E come avrebbe potuto, in fondo?
Al di là del mio essere sempre così controllato, chi mai immaginerebbe che stessi ricordando l’unico momento veramente brutto che abbia mai vissuto in questa casa? Non so nemmeno io perché mi sia venuto in mente. 
«A che stavi pensando prima?»
 «Cercavo di fare ordine mentale tra tutti gli impegni che ho in questo periodo.»
So che è idiota sentirsi ancora in colpa dopo tutti questi anni, comportarmi come se fosse una situazione irrisolta. È passata così tanta acqua sotto i ponti e abbiamo vissuto così tanti momenti significativi che il fatto di non essermi mai veramente scusato per quella sera e tutto ciò che accadde nei giorni successivi non è certamente un problema.
Anzi, preoccuparmene ora, di punto in bianco, è da idiota e irrazionale quale non sono mai stato e mai sarò. Eppure per un attimo è stato come se il tempo si fosse riavvolto. Per un attimo mi sono ritrovato lì, ad assistere alla scena da spettatore, a guardarmi e sentirmi dire parole di cui ancora oggi mi vergogno se solo ci ripenso.
«Sai cosa? Se sei tanto incasinato dovresti chiedere aiuto a qualcuno. A me aiuta a riordinare le idee parlarne con Perona, quando ho dei periodi pieni. Anche perché Bon-chan mi sembra tutto meno che organizzato.» riflette Ace ad alta voce, bevendo un sorso di RedBull.
Sospiro appena. «Hai ragione ma Bibi non è messa meglio di me.» ribatto, prendendo a mia volta un sorso di questa porcata.
«Io veramente pensavo a Koala.»
Mi acciglio per la naturalezza con cui lo dice, come se fosse ovvio e normale. Come se Koala stesse a me come Perona sta a lui. Il che non è nemmeno completamente falso ma ora che c’è Bibi le cose sono inevitabilmente cambiate e cambieranno anche di più.
Non mi piacciono i cambiamenti ma ho imparato ad accettarli, soprattutto questo. Alla fine, l’ho voluto io. Anche se certo, finché non sono tornato a casa non mi sono reso pienamente conto di cosa significa davvero la mia decisione.
Ho sempre creduto che Alabasta sarebbe stata una sistemazione temporanea. Solo ora mi sto rendendo conto che dovrò imparare a chiamarla casa e che qui, nella mia città, ci tornerò solo ogni tanto. Forse per questo quel brutto ricordo mi ha assalito e sicuramente per questo dovrei smettere di fare affidamento su Koala come una volta. Magari dopo quest’ultimo periodo, però, perché alla fine è vero che Bibi è presa  quanto me se non di più e lei si è offerta di aiutare. Lei sa sempre come aiutare gli altri.
 «… a Robin eh! Ma in quel caso preparati a spararti una tirata di Sabo su quanto sia irresponsabile sottoporre una donna in gravidanza a dello stress ingiustificato e che si potrebbe evitare e bla, bla, bla…» simula con la mano il movimento di una bocca che si apre e chiude e fa una smorfia che mi fa scappare un ghigno divertito.
«Vi sta facendo impazzire eh?»
«Ah guarda! Ringrazio ogni giorno che lui non può rimanere incinto e giuro che non gli dirò di Perona fino all’ultimo mese di gravidanza, quando sarà il nostro momento.»
Bevo un altro po’ di RedBull mentre rifletto su quanto mi suoni insolito sentire Ace parlare di cose come figli e famiglia. Non che non ce lo veda a fare il padre, anzi, e dovrei essere l’ultimo a fare un ragionamento del genere, visto il motivo per cui sto organizzando il mio matrimonio, ma Ace che affronta certi argomenti è veramente il confine che divide il post-adolescenza dall’età adulta.
Mi sembra solo ieri che travasavamo il nostro pessimo gin-lemon nelle bottiglie di plastica della limonata per imbrogliare Dadan e tra cinque settimane mi sposo. È strano.
Ma in tutto lo strano che può essere a volte la vita, sono contento di poter vivere questo momento con i miei amici e con i miei fratelli. Osservo Ace da sopra la lattina, ignaro e svaporato come sempre. Mi domando se si sia posto il problema, lui, ma questo conta fino a un certo punto perché la questione è che me lo sono posto io e questo basta e avanza per affrontare l’argomento, tanto più ora che siamo soli. Non so se avrò un momento migliore.
«Ehi Ace.» lo chiamo e ottengo immediatamente un sorriso, il suo modo per dirmi che ho tutta la sua attenzione. «Volevo solo dirti, per la questione dei testimoni… Bibi non sapeva a chi altro chiedere oltre Baby e Monet e non volevo metterla in difficoltà ma vorrei che sapessi che avevo tutte le intenzioni di chiederlo anche a te se solo…»
«Ehi, ehi, tranquillo fratello!» ribatte senza nemmeno lasciarmi finire. «Non è mica un problema per me, dovresti saperlo! Anche io al tuo posto avrei scelto loro due, lo sai.» precisa e non per ripicca.
È sempre stato particolare, il rapporto tra me ed Ace. Sabo è diventato con il tempo anche il mio migliore amico e Rufy è sempre stato, sin dal primo giorno, mio fratello minore, da proteggere e su cui vegliare. Ma con Ace c’è sempre stata una complicità al di là dei gesti e delle parole. Quella consapevolezza di essere sulla stessa barca, di sapere esattamente cosa prova l’altro. Un’intimità che solo un dolore condiviso può generare.
E così non importa se tra noi due ci siamo sempre confidati meno che con Sabo e Satch, non importa se intorno ai tredici anni Ace si è un po’ allontanato, facendo gruppo con altri. Non bisogna per forza uscire insieme ogni sabato sera e raccontarsi ogni cosa per essere amici, ancor meno per essere fratelli.
E non ha importanza se non gli ho chiesto di farmi da testimone, so che non ne ha, non per lui, come non ne avrebbe per me.
«Davvero, Law! A me interessa solo poterci essere mentre fai la follia, festeggiare, bere e divertirmi come qualsiasi altro invitato. Non ti fare menate.» insiste con un sorriso, alzando a mezz’aria la lattina di RedBull. Ghigno in risposta, grato, e alzo a mia volta la lattina per incontrare la sua a metà strada. «A proposito…» riprende, colpito da un pensiero improvviso. «Non è che Bibi è incinta vero?»
Mi blocco con la lattina accostata alle labbra, lo fissò qualche istante, senza lasciar trasparire che mi ha preso in contropiede, abbasso la RedBull e aggrotto le sopracciglia. «E questa da dove ti viene?»
Ace si stringe nelle spalle, noncurante, come se mi avesse appena chiesto se per caso ho visto in giro la sua maglietta anziché essersi appena informato sullo stato interessante o meno della mia futura moglie. «Satch continua a insistere che è l’unica valida ragione per organizzare tutto in quattro e quattr’otto come state facendo voi. Non che mi interessa cosa pensa Satch, nemmeno gli do più retta ormai, però ero curioso. Non ci sarebbe niente di male ovviamente, solo che non mi sembra proprio da te. Insomma se avessi un figlio in arrivo non spenderesti soldi per un matrimonio in grande stile e comunque non siamo nel medioevo.»
Sghignazzo nel constatare che praticamente si è già dato la risposta da solo. «Decisamente mi conosci meglio tu di Satch. Ma non sarà in grande stile. Sarà un matrimonio come tanti altri.»
«Ceeeeerto.» ribatte, svaccandosi sullo sgabello e appoggiando un gomito al piccolo schienale. «Un matrimonio normale con centoventordici tra senatori, magnati e miliardari di vario genere, invitati solo perché hanno stretto almeno una volta la mano a tuo suocero. Assolutamente normale.» mi prende in giro, con aria saputa.
Non so bene come rispondere a questo. Non posso dargli completamente torto ma non è nemmeno precisamente come la dipinge lui. Ci saranno davvero alcune persone che sono state invitate solo per fare pubbliche relazioni – sia per aiutare la causa di Bibi per la bonifica dell’oasi di Yuba sia per facilitare i progetti di Cobra improntati all’energia ecosostenibile – ma la maggior parte saranno presenti perché figure importanti nella vita di Bibi o amici così cari di suo padre da essere praticamente dei fratelli per lui. E si tratterà al massimo di una decina di tizi.
Fortunatamente non mi vedo costretto a spiegare il tutto a Ace – che perderebbe il filo minimo quattro o cinque volte, ne sono certo, obbligandomi quindi a rispiegarglielo per non so nemmeno io quanti tentativi – quando uno scroscio di risa si riversa in corridoio dal salotto, raggiungendoci in cucina.
Mi giro istintivamente verso la porta.
«Oh sì! Ecco cosa dovevo dirti! Sabo ha tirato fuori dei vecchi scatoloni dalla cantina. C’è dentro di tutto e di più.»
Mi congelo qui sul posto.
«I… vecchi scatoloni con le foto?» domando cauto.
«Le foto, i giocattoli, gli appunti di scuola, la s…» la frase si tronca a metà quando Ace crolla improvvisamente il capo. Non faccio una piega né esternamente né interiormente.
Si fosse trattato di qualcun altro mi sarei preoccupato ma essendo che stiamo parlando di Ace… E infatti mi basta aspettare tre secondi perché cominci a russare.
Mi allungo appena verso di lui e gli sfilo la lattina dalla mano. Vuota.
Ha trentatré centilitri di RedBull in corpo ed è crollato così. Non sono affatto certo che questo suo problema non sia nel modo più assoluto non pericoloso per la sua esistenza. Ma ora non ho tempo per questo.
Ora, ho una faccenda più impellente da sbrigare.
Perché questo non era assolutamente previsto. Va bene tornare a casa. Va bene gli inevitabili aneddoti a cena. Ma il tuffo nel passato con tanto di cimeli e testimonianze, questo no.
Dopotutto non è ancora detto che Ace non mi faccia da testimone perché se Sabo continua così potrei seriamente scuoiarlo vivo.
Attraverso il corridoio a passo di carica e sono così lanciato che quasi cado in avanti quando freno di colpo sull’ingresso del salotto. La scena che mi si presenta davanti agli occhi è tutto fuorché quella che mi aspettavo.
Non sono tutti qui, a passarsi fotografie imbarazzanti e vecchi diari di scuola di mano in mano. Non c’è Dadan che piange i bei tempi andati, né Sabo che distrugge la mia reputazione, raccontando storie che mi aveva promesso di non rendere mai pubbliche, con Rufy appeso al suo collo.
Risate a parte, è uno dei momenti più tranquilli e pacifici che abbiano mai avuto luogo in questa casa. Dragon è al centro del divano con un album di famiglia aperto sulle gambe e sta raccontando di quella volta che Rufy si è incastrato con la testa tra le sbarre del cancello di Woopslap. Shanks ha rischiato di giocarsi un braccio per liberarlo ma la verità è che questa storia fa ridere – sì, fa ridere persino me – anche dopo averla sentita mille volte. Bibi è seduta accanto a lui, Perona è addossata allo schienale, il busto piegato in avanti e i capelli che sfiorano la spalla di Dragon mentre seduta a terra, di fianco alla sua gamba sinistra e con la schiena appoggiata al divano, c’è Koala, intenta a recuperare diligentemente e impilare ordinatamente tutta una serie di cianfrusaglie che Sabo continua a estrarre senza sosta da uno scatolone posato tra loro, mentre ascolta anche lei il racconto di Dragon e se la ride di gusto.
Nel momento esatto in cui li vedo tutti qui riuniti, un pensiero mi attraversa la mente, un pensiero che non riesco a fermare.
Casa.
Non so dove siano tutti gli altri, a parte Ace, ma in questo momento non mi interessa. Di solito non riesco a stare tranquillo se non ho tutto assolutamente sotto controllo ma stavolta è diverso. Perché sono a casa, ci sono davvero.
Ci sono ottime probabilità che Rufy stia attentando alla vita dei miei futuri parenti, che Izou stia provando a convincere Marco a copulare, che Bon-chan stia rovistando tra le cose della mia vecchia camera alla ricerca di ispirazione per un filo conduttore per il matrimonio ma, incredibilmente, non mi interessa.
Che facciano pure.
Riprendo a camminare verso il divano, girando intorno a Sabo, lo scatolone e buona parte del ciarpame che conteneva, per sedermi sul divano, nell’unico posto rimasto libero, di fianco a Dragon. Koala piega il capo all’indietro per guardarmi e appoggia una mano sulla mia gamba per richiamare la mia attenzione. «Tutto bene?»
«Ehi e questo cos’è?»  la voce di Sabo mi anticipa e non faccio in tempo a risponderle che ha già distolto lo sguardo per osservare ciò che mio fratello tiene tra le mani. Sembra una vecchia agenda multicolore con fantasia etnica e Sabo la studia, accigliato. «Non mi ricorda niente.»
«Beh perché non dovrebbe essere qui!» esclama Koala, sporgendosi in avanti con uno scatto e strappando il quadernetto dalla copertina rigida dalla presa di mio fratello, un po’ troppo nervosa, soprattutto per essere lei.
Ci guardiamo, perplessi dalla sua reazione, e poi Sabo mette su uno dei suoi peggiori sorrisi di scherno. «Koala non sarà il tuo diario segreto dimenticato qui per sbaglio, vero?!»
«Affatto! È una raccolta di sonetti dedicati a te. L’ho intitolata “Idiozia latente”.»
Riesco per un soffio a trattenere la risata ma un ghigno me lo concedo mentre Sabo le lancia un’occhiataccia prima di rituffarsi nello scatolone. Koala mette al sicuro l’agenda dietro la pila di ciarpame in precario equilibrio, ammonticchiata al suo fianco, e torna a rilassarsi contro il divano, con un mugugno soddisfatto.
Non ci mette molto a percepire il mio sguardo su di sé e piega di nuovo il capo all’indietro.
«Tutto bene?» le rigirò la domanda, il sopracciglio alzato. La sua mano si posa quasi in automatico sulla copertina dell’agenda.
«Tutto bene. Tu?» chiede di nuovo, ricordando che non le ho ancora risposto.
Intreccio le dita tra loro, gli avambracci appoggiati alle cosce e lancio una rapida occhiata alla mia destra. «Idem.» rispondo, laconico.
Sì, va tutto bene.
Sono a casa e non ci sono cattivi ricordi che possano competere con questo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


«Comunque è stato un bel weekend.» commenta Nami, mentre mettiamo insieme ciò che è avanzato dalla cena di ieri sera a casa Monkey per condividerlo durante la pausa pranzo «Insomma, Bibi è simpatica, Izou è stato abbastanza innocuo e tu hai colpito Law nelle palle una volta sola.»
Le lancio un sorriso tra il velenoso e l’imbarazzato. Non è assolutamente necessario che sappia che gli ho tirato una ginocchiata durante la lotta in piscina ieri pomeriggio e mi premuro di lanciare un’occhiata ad Usopp, che ha visto tutto, per accertarmi di avere il suo appoggio. 
Comunque sì, Nami ha ragione, tutto sommato e a conti fatti, il weekend è andato abbastanza bene. Certo Franky ha sventolato il suo deretano in faccia ad Albida, Sanji ha sanguinato in piscina, Rufy ha sputato dell’acqua in faccia a Crocodile per farlo sentire parte del gruppo, Brook ha chiesto il colore delle mutande a Baby, Monet e anche alla futura sposa, Zoro si è accapigliato con Sanji non so più quante volte e Rufy ha domandato a Kayme quante volte al giorno fa la cacca.
Ma Usopp non ha litigato con Sanji, io e Nami siamo riuscite a tenere d’occhio Sabo e Rufy senza finire al manicomio e Izou non ha mandato a rotoli la nostra copertura.
Perciò sì, in uno slancio di ottimismo possiamo anche sorvolare sul fatto che, in 72 ore, abbiamo rovinato la reputazione a Law, terrorizzato Bibi e traumatizzato Albida e dire che il weekend è andato bene.
«Usopp è anche riuscito a far ingelosire Sanji-kun.» aggiunge Nami, sghignazzando con malizia. Usopp si immobilizza con il braccio teso verso il vassoio dei tramezzini e si gira verso di lei, interdetto.
«Eh?!»
«Oh dai! Non fare il finto tonto!»
«Lo abbiamo notato tutti che hai un certo feeling con Baby.» le do manforte «Siete stati a confabulare tutto il fine settimana.»  
Usopp sgrana gli occhi e guarda alternativamente me e Nami un paio di volte prima di portare una mano alla nuca e balbetta in imbarazzo: «M-m-ma che d-dite?! Abbiamo fatto giusto q-quattro chiacchiere!»
«Sì, come no.» Nami solleva un sopracciglio con scetticismo.
«Che poi cos’avevate mai da parlare così tanto?» domando invece io, sinceramente curiosa.
«Beh vi ho detto che è appassionata di armi ma non può mai parlarne perché sua mamma lo trova…»
«Poco femminile.» sospiriamo all’unisono io e Nami, mandando gli occhi al cielo.
Santo cielo, quella donna è impossibile!
Scuoto appena il capo per riprendere il filo dei pensieri veramente importanti. «Okay allora…» batto le mani, per richiamare la loro attenzione e soprattutto per auto-incitarmi «…finito il piacere ora si torna al dovere, so che è la pausa pranzo ma siamo messi decisamente molto male perciò dobbiamo discutere dell’utilissima stoffa che Iva ha comprato ipotecando l’azienda. A voi è venuto per caso in mente qualcosa?» tento speranzosa.
Solo perché la responsabile del team sono io non significa che loro non possano avere idee geniali, anzi. Tra tutti e tre è difficile fare una stima di chi ha salvato le chiappe alla squadra quante volte. Certo questa volta si tratta dell’intera azienda e comunque dubito che Nami abbia avuto una qualche illuminazione delle sue a giudicare da come fissa Usopp piena di aspettativa. Lui, dal canto suo, finisce di masticare il tramezzino, spostando guardingo  gli occhi da lei a me a lei.
«Che c’è?»  
«Koala ha chiesto se ci è venuta qualche idea.»  
«A te ne è venuta qualcuna?» la rimbecca Usopp.  
«Mica mi pagano per farmi venire idee geniali fuori dall’orario di lavoro. E poi credevo fossero la tua specialità.» lo provoca lei con un sorriso diabolico che Usopp però non raccoglie.
Si appoggia allo schienale della sedia e incrocia le braccia al petto. «Chiariamo la situazione.» decide con uno slancio di determinazione che gli ho visto sfoderare solo in rare occasioni, nelle quali generalmente erano coinvolti la Kabuto, Sanji o la sua polsiera portafortuna. «Tu sei quella delle idee geniali, io quello delle idee geniali in situazioni disperate, Koala quella delle idee geniali in situazioni disperate con alto tasso di responsabilità.»
Lo fisso alcuni istanti con sguardo vitreo. Che bello lavorare con amici sui quali sai sempre di poter contare. Mi sporgo appena in avanti e poggio il mento sulla mano prima di commentare, con un etereo sorriso sul volto e tutta la dose di sarcasmo che ho mangiato stamattina a colazione: «E io che credevo che nessuno potesse eguagliare la prolifica immaginazione del grande Usopp Sharpshooter.»
Usopp sobbalza sulla sedia, spalanca di nuovo gli occhi, la punta del naso rossa, e si stringe nelle spalle.   
«A me il massimo che è venuto in mente è usarla per farci un enorme striscione da appendere con scritto “Iva vai a…»
Tre “blip” a distanza ravvicinata risuonano nell’open-space e lo interrompono. Il primo a riattivare lo schermo del pc è proprio Usopp, seguito da me e Nami. Apro la casella di posta, gli occhi fissi dove so già che apparirà l’ultimo messaggio in entrata.
«Messaggio di Sabo?» domando conferma a Nami e Usopp, che rispondono con dei grugniti mentre leggono.
“Fantastico weekend, da rifare il prima possibile, Bibi è fantastica, Law sei un uomo fortunato ma sei sicuro che non sia pericoloso lasciare papà e Crocodile nella stessa casa senza sorveglianza?, data della cena di prova, uomini preparatevi all’addio al celibato del secolo, chi c’è settimana prossima per un bowling?”
Tutto assolutamente nella norma.
«È da una vita che non vado al bowling!» esclama Usopp con gli occhi che brillano.
«Speriamo di non dover aspettare ogni volta che uno di noi si sposa.» commenta Nami con un’espressione parecchio difficile da decifrare per chi non la conosce più che bene, ovvero non il caso mio e di Usopp che sappiamo alla perfezione come l’idea di un matrimonio le provochi due emozioni contrastanti di base.
Eccitazione all’idea di avere una scusa per compare un vestito nuovo con scarpe e accessori annessi.
Un mix di terrore, depressione e fastidio all’idea di dover regalare dei soldi alla felice coppia.
Non è una brutta persona, non è una cosa che controlla, ve lo garantisco.
«Ragazzi siamo sicuri che fosse ancora tutto buono?» domando indicando gli avanzi ormai ridotti a qualche briciola sulle nostre scrivanie e Nami e Usopp mi fissano perplessi per l’improvviso off topic.
«Beh sì. Perché?»
«No nulla.» scuoto il capo. Non riesco veramente a capire questi spasmi allo stomaco che ho da tre giorni a questa parte. Va beh, non sarà niente di grave tanto. «Okay allora. Volevo fare un’analisi incrociata dei lanci di prodotti di merceria degli ultimi cinque anni per vedere di trovare qualche spunto da cui partire ma non possiamo semplicemente accantonare gli alti progetti in corso, quindi…»
«Io rispondo a Sabo per tutti e tre e poi vado avanti con la grafica per la Cranberry-Cola.» mi interrompe Usopp, le dita che già corrono sulla tastiera.
«Ti revisiono la presentazione della linea per capelli al frutto del diavolo.» si offre Nami, seria e professionale e senza nemmeno sognarsi di chiedermi soldi per questo.
Sorrido grata a entrambi, anche se sono già troppo presi da ciò che devono fare per accorgersene.
È bello lavorare con amici sui quali sai sempre di poter contare.        
Li osservo ancora un momento, presi dalle loro faccende e bevo un altro sorso di succo al mirtillo prima di riattivare il monitor del mio pc e lanciarmi a mia volta nel lavoro. Faccio appena in tempo ad aprire l’archivio dei lanci pubblicitari che tutti e tre i nostri telefoni prendono a squillare impazziti, segnando la fine ufficiale della pausa pranzo.
«Nami Cocoyashi.»
«Usopp Sharpshooter.»
«Koala Surebo.»
«Ho bisogno di te.»
Rimango immobile con la cornetta all’orecchio per circa tre millesimi di secondo prima di ruotare sulla sedia e sporgermi all’indietro per guardare attraverso l’ufficio e verso la finestra.
«Ci sei?»
«Sì, scusa! Sono qui! Controllavo che non fosse appena caduto un meteorite sulla città.»
«Molto divertente.» commenta asciutto. Riesco a vedere la sua espressione atona mentre fissa un punto nel vuoto, come se fosse qui davanti a me e scoppio a ridere nella cornetta. «Koala sono serio.» soffia nel ricevitore e il tono coincide alla perfezione con le sue parole.
È serio, molto serio e se questi spasmi allo stomaco non mi danno tregua potrei seriamente perdere la pazienza. Dai non ho voglia di andare dal dottore per una stupida gastrite.
«Mi puoi fare una visita?»
Per un momento sospetto che ovunque si trovi non ci sia più campo tanto è tombale il silenzio che mi risponde dall’altro capo del filo.
«Come siamo arrivati a questo?»
«È successo quando hai deciso di iscriverti a medicina.»
«O quando ho deciso di telefonarti.» ribatte atono.
«A proposito, come mai mi hai chiamato?» gli chiedo, come se non fosse questo il nocciolo della questione dal momento in cui il mio telefono ha cominciato a squillare.
Prende un profondo respiro, che non promette nulla di buono. E infatti…
«Tu come fai a non avere ancora commesso un omicidio lavorando a stretto contatto con Iva?» soppesa ogni parola, come fa sempre quando è a un soffio dal perdere la calma e cerca di evitarlo.
Ora, dovete sapere che io tengo molto ai miei amici, guai a chi me li tocca e sono sempre pronta a fare il possibile e anche qualcosa di più per aiutarli ma non sono asfissiante o iperprotettiva. Intervengo quando richiesto e di mia sponte solo in situazioni estreme, offro il mio aiuto con discrezione e laddove so che può veramente servire e di certo ho ben presente che i miei amici sono tutti adulti, vaccinati, forse un po’ imbecilli a volte ma perfettamente in grado di badare a loro stessi.
Tuttavia, ho una naturale predisposizione a odiare con molta più facilità chi fa un torto a Law che non chi ne fa uno a me. Ma pur essendo Law la mia eccezione, normalmente in una situazione del genere ne approfitterei per farmi beffe di lui, foss’anche solo per vendicarmi di tutte le volte che lui lo fa con me quando gli racconto di Iva. Solo che non ci riesco.
So che è stanco, sento che è stanco e andando per rapida esclusione c’è un solo okama che può averlo esasperato a questo punto, che si da il caso essere anche il primo okama nella storia della mia vita che mette a dura prova non tanto la mia pazienza – quello lo fanno costantemente anche e soprattutto Iva e Izou – quanto la mia tolleranza.
Fatto sta che fintanto che il suo problema è la stampa floreale del mio vestito la cosa mi tange quanto l’unghia scheggiata di Stussy, la segreteria dell’ufficio statistiche, ma se cominciamo a mettere Law nell’equazione il registro cambia.
«Bon-chan?» chiedo un’inutile conferma, che ottengo sotto forma di grugnito. «Che vuole?»
«Per il mio completo. È deciso ad accompagnarmi e non riesco a fargli capire che se ci prova davvero lo smembro arto dopo arto. Ma dal momento che sto per sposarmi vorrei evitare di passare a una dimostrazione pratica per riuscire a convincerlo.»
Per un attimo soltanto provo a immaginarmi al suo posto, con Izou che decide che la scelta del mio vestito sia essenziale per la buona riuscita del matrimonio e la salvezza della galassia e si impunta a volermi accompagnare. Non arrivo nemmeno a un quarto della fantasia e sono già vicina al punto di non ritorno, tanto che mi chiedo come sia possibile che Law non abbia ancora commesso l’irreparabile.
«Ti accompagno io.» ribatto di slancio, senza nemmeno pensare.
Che cos’ho detto?
Non so nemmeno esattamente quando deve andare, potrei avere un qualche impegno qui al lavoro o l’appuntamento per fare la ceretta. Senza contare che molto probabilmente ci sarà anche Bibi e il nocciolo della questione è come far desistere Bon-chan e la sua zelante invadenza, non quale esponente di sesso femminile accompagnerà Law a decidere se sia meglio un blu notte o un blu grigio per il completo con cui attenderà all’altare.
Anche se sono piuttosto certa che sia meglio il blu notte.
«S-se… se non ti accompagna già Bibi ovviamente!» recupero al volo, picchiettando sulla scrivania con il gommino della matita.
«No, Bibi non può, ha un altro impegno. Ma non voglio abusare del tuo tempo.» mette in chiaro con tono fermo e autoritario, eppure percepisco distintamente una punta di speranza nella sua voce.
«Law ne abbiamo già parlato!» lo rimprovero. «Lo faccio volentieri perciò non farti menate. Ti accompagno io.»
Di nuovo, Koala! Almeno chiedigli quando ci deve andare.
«Ma tu non dire a Bon-chan che ci vieni con me, okay?» aggiungo, ricordando il disprezzo con cui fissava il mio abito sabato mattina. «Digli che ti accompagna un’amica senza specificare.»
«D’accordo capo.» risponde, tanto per non perdere occasione di prendermi in giro, l’ingrato. Eppure non riesco a smettere di sorridere. «Allora poi ti mando un messaggio con il giorno e l’ora appena me la confermano.» riprende Law e solo ora noto che in sottofondo alla telefonata si sente un bel po’ di traffico.
«Ma dove sei?»
«Quasi all’ospedale, comincio il turno tra un quarto d’ora.»
«Va bene allora aspetto il messaggio. Buon lavoro!»
«A te.»
Riaggancio la cornetta, già pronta a immergermi di nuovo nella mia ricerca, non fosse che mi sento un po’ troppo osservata. Sollevo gli occhi curiosa e trovo effettivamente Nami intenta a fissarmi di sottecchi.
«Tutto bene?» domanda quando i miei occhi incrociano i suoi.
«Sì, certo.» mi acciglio. «Perché?»
«No è che stai sorridendo...»
È vero, sto sorridendo. E non me lo avesse detto, non me ne sarei nemmeno resa conto, il che è parecchio strano certo ma mai quanto il fatto che non riesco a smettere.  
«Sì. È una cosa negativa?»
«No, no! Solo che è un sorriso così… sai…»
La fisso incoraggiante, in fervida attesa di scoprire cosa sta cercando di dirmi. «Così?»
«Così…»
«YyyyyyHaaaaaaaaa!!!»
Faccio un salto alto così – e qui è chiaro cosa intendo con “così” – sulla sedia, mi giro verso l’ingresso dell’open space e poi di nuovo verso Nami e Usopp. Siamo tutti e tre terrorizzati e se non sento male, questo suono sono le ossa di Usopp che tremano e cozzano tra loro.  
«È qui!» mormora con voce strozzata, bianco come un cencio.
«Merda!» impreca Nami sottovoce. «Che colpo basso scendere subito dopo la pausa pranzo!»
«Okay, non facciamoci prendere dal panico.» sollevo le mani con i palmi rivolti verso di loro ma Usopp non sembra molto propenso a darmi retta o forse neanche mi ha sentito.
«Dobbiamo scappare!» piagnucola con urgenza.
«Oh andiamo! Non è qui per ucciderci Usopp!» Nami ride nervosamente ma io continuo a guardare Usopp come se avesse appena rivelato una grande verità arcana. C’è qualcosa nella sua affermazione che me fa la sembrare molto giusta.
«Ma se restiamo vorrà vedere i progressi sul progetto e noi non abbiamo messo giù neppure mezza idea…» lo dico mentre lo realizzo e per alcuni secondi rimaniamo tutti e tre zitti e pietrificati.
Mio dio non ce la posso fare a reggere una crisi isterica di Iva. Non posso. E a quanto pare non sono l’unica.
«Dobbiamo scappare» Nami torna sui propri passi e l’incantesimo si spezza.
Con un gesto secco chiudiamo i nostri portatili, prima di buttarci ad accatastare tutti i fogli ancora pietosamente bianchi, le statistiche che ci danno per spacciati se mettiamo in commercio quel prodotto, i blocchi per appunti pieni di pittoreschi insulti verso Iva. Nessuna traccia. Se vogliamo sopravvivere a questo cataclisma non dobbiamo lasciare nessuna traccia.  
«Avete fatto?!» domanda Usopp ormai sul punto di svenire.
«Pasticcino ti trovo in splendida forma! Sei incinta o è ora di iniziare la dieta?!»
L’istinto di lanciare un’altra occhiata all’ingresso dell’open space è troppo forte. È quasi qui dobbiamo darci una mossa.
Nami finisce di chiudere in un cassetto un plico di non so cosa ed è il momento. Ci lanciamo tutti e tre fuori dall’open space senza neanche sapere dove andare ma, in fondo, ci basta solo uscire di qua prima che…
«Eccole qui le mie tre punte di diamante! YyyyyyHaaaaa!»
Merda!
Ci immobilizziamo, di spalle a lei. Nessuno di noi accenna a voltarsi e so che anche loro stanno pensando ciò che sto pensando io. Ovvero che ci potremmo benissimo mettere a correre e scappare via, non riuscirebbe a raggiungerci, siamo tutti e tre troppo agili, ma la cosa potrebbe risultare alquanto sospetta.
Chiudo gli occhi e prendo un profondo respiro. Okay è il momento di fare le persone adulte. O quasi.
«Ehi Iva!» la saluto con falso entusiasmo, tornando sui miei passi. «Non sapevamo che saresti scesa a farci visita.»
«Ho pensato di fare una piccola improvvisata, così, per sorprendervi!» esclama, agitando le dita nell’aria, le mani ai lati del viso coi palmi rivolti verso di noi. Ditemi che è un incubo, per pietà. Non può essere vero.  Mi si avvicina e un brivido mi corre giù lungo la schiena quando mi passa una mano intorno alle spalle. «Allora come procede il progetto? Trovato qualche idea?»
«Ahhh… Ne… Ne abbiamo a palate» mento con un falso sorriso. «Dobbiamo solo scegliere la migliore.»
«Ma è magnifico!!!» Iva esulta, braccia al soffitto, e poco ci manca che mi faccia cadere il portatile. «Fatemene vedere qualcuna, su!»  
«No!!!» rispondiamo tutti e tre, tutti insieme, troppo ad alta voce e troppo agitati.
Iva comincia a socchiudere gli occhi, indignata e contrariata.
«Cioè, volevamo dire, non ora.» recupera subito Nami.
«Il fatto è che noi stavamo andando a… a…»
«Al reparto stampanti!» interviene Usopp. «Perché dobbiamo… dobbiamo s-stampare delle… cose!»
Iva lo scruta e io mi preparo a sorreggerlo casomai svenisse.
«Cose inerenti al progetto?» chiede, la voce bassa e minacciosa.
«Sì!» risponde Nami prima che le gambe di Uspp diano definitivamente forfait. Sanji non sarà per niente contento stasera. «Accidenti che arguzia! Non ti si può nascondere nulla!» se la liscia un po’ e ,con sollievo, Iva torna a sorridere soddisfatta.  
«Eh che volete farci? Quando una persona è intelligente è intelligente» mormora compiaciuta, ammirandosi le unghie laccate «Ma allora potrei venire con voi e dare un’occhiata in ant…»
«No!!!»
Impareremo mai?
«N-non puoi venire con noi perché… tu poi…»
«Ti rovineresti la sorpresa!»
«Esatto! Koala ha ragione! E sarebbe un vero peccato.» 
«Imperdonabile.» annuisce energicamente Usopp mentre rincara la dose.
Più padrona della situazione, mi preparo a darle il colpo di grazia. «Sarebbe anche peggio di quella volta che ti hanno spoilerato il finale di Moulin Rouge.»
Iva trattiene il fiato sconvolta e porta le mani al petto, come se l’avessimo colpita. Il che, ammettiamolo, non sarebbe nemmeno così male.
Ci fissa con occhi lucidi e pieni di angoscia e poi distoglie teatralmente lo sguardo. «Quello è un trauma che il mio povero cuore non è ancora riuscito a metabolizzare.» mormora, tirando su con il naso. «Un finale così struggente… rovinato in modo così meschino! Ah sorte avversa!» esclama con voce rotta, stringendo l’aria con le dita. Poi, come se niente fosse, si rimette dritta, ci sorride e batte le mani con entusiasmo. «Bene! Allora andate, miei favi di miele! Andate e creare e stupitemi! Non vedo l’ora di scoprire cosa vi siete inventati! YyyyyyyHaaaaa!» esclama prima di allontanarsi e lasciare finalmente l’ufficio marketing.
«C-c-c-che facciamo ora?!» chiede Usopp, che ancora trema come una foglia.
«Andiamo… andiamo lo stesso al reparto stampanti.» afferma Nami «Almeno finché non abbiamo la certezza che se ne sia andata.»

 
§

 
«Marco-chan, eddai!»
«Izou. Ora no.»
«Oh andiamo! Come ora no?! Con quello stanzino così invitante e sempre vuoto non dirmi che davvero non ne vuoi approfittare!»
Izou struscia il suo armamentario contro le natiche di Marco e io mi passo una mano sul volto.
Perché, di tutti i finti fidanzati al mondo, a me è capitato proprio lui?! 
«Nami devi parlare con Zoro.» decido, voltandomi verso di lei.
Sgrana gli occhi presa in contropiede e un po’ in panico. «Eh?! Che… che c’entra adesso?!»
«Finché Marco si finge il tuo ragazzo, Izou si fingerà il mio e sono già abbastanza sotto stress così.»
«Il fatto che io abbia chiesto a Marco di fingersi il mio fidanzato non ha niente a che vedere con Zoro!» protesta, sollevando il mento fiera.
Io e Usopp inarchiamo le sopracciglia e ci scambiamo un’occhiata di striscio mentre lei sposta gli occhi da lui a me, a me a lui.
«Che avete da guardarmi così? È la verità!» insiste, le braccia incrociate sotto il seno.
«Nami non sei brava a mentire.» le fa notare Usopp con tono piatto.
«Certo che sono brava a mentire!» s’indigna lei, lanciando saette dagli occhi.
«Beh allora non sei brava a mentire a noi.» si corregge Usopp.
«O non sei brava a mentire riguardo a Zoro.» aggiungo e Usopp annuisce solenne.
«Io non…»
«Koala, Nami e Usopp sono qui e tu stai dando spettacolo.»
Sobbalziamo quando la voce strascicata di Marco ci chiama in causa e ci ricorda che un tentativo di copulazione si sta consumando a pochi metri da noi. Vano per fortuna.
Izou smette di strusciarsi e porta le mani sui fianchi, l’espressione dura. «So benissimo che sono qui. Credi che sia diventato cieco?» protesta acido. «Se hanno qualche problema possono anche guardare da un’altra parte, come fanno Paulie e gli altri!» aggiunge, confermando che effettivamente lui e Marco fanno sesso al lavoro, un’informazione di cui facevo volentieri a meno. «Dai Marco.» torna alla carica Izou, cercando chiaramente di suonare sensuale.
E devo ammettere che ci riesce. Ci riesce e molto bene anche. Sono ammirata.
«Sono in astinenza, non lo facciamo da un sacco.»
Marco solleva un sopracciglio. «Da ieri sera?»
«Sono ben tredici ore e sette minuti!»
«Ragazzi possiamo aiutarvi?» ci chiede Marco ignorando deliberatamente Izou che, per tutta risposta, sgrana gli occhi, gonfia le guance e poi incrocia le braccia al petto da brava persona adulta e matura qual è.
«Beh ecco noi…» comincia Usopp.
«Potete darci asilo.» interviene Nami, avanzando sicura verso di loro. Io e Usopp esitiamo solo un altro istante prima di avvicinarci a nostra volta. Nami si ferma a due passi da Marco.
«Lo sai che hanno ragione su Zoro, vero?» le chiede Marco sottovoce, con una complicità che mi farebbe dubitare del suo orientamento sessuale, se non fossi stata appena informata sulla data e l’ora esatte del suo ultimo rapporto con Izou.
Quand’è che sono diventati tanto intimi?
È solo quando piego il capo all’indietro, già pronta a commentare l’accaduto che mi rendo conto. Mi accorgo che sono ferma di fianco a Izou e che la mia tempia quasi sfiora la sua spalla, che mi è venuto più che naturale rivolgermi a lui per esternare i miei pensieri e che lui, nonostante stia cercando di incenerire Nami con gli occhi, non sembra assolutamente a disagio per la nostra vicinanza.
Quand’è che siamo diventati tanto intimi?
È così affascinante come le situazioni più che il tempo possano fare da colla tra le persone. Incredibile come possano bastare pochi giorni o anche solo poche ore per creare un legame e interiorizzare meccanismi che, unici, delineano un rapporto interpersonale unico e non interscambiabile. Io e Izou non eravamo quasi nemmeno conoscenti settimana scorsa e ora ci comportiamo come se fossimo amici di infanzia e questa non è certa la prima occasione né la più significativa in cui mi capita una cosa simile.  
Affascinante. 

«Fuggiamo da Iva.» ammette Usopp, una volta tanto senza vergogna o tentennamenti.
Nessuno si sognerebbe di prendere per il culo qualcuno perché ha paura di Iva, non da queste parti. Iva fa paura a tutti, che sia per le sue unghie ad artiglio o per l’eccesso di profumo che mette tutte le sante mattine.
«Ancora la faccenda stoffa?» si informa Marco con sincero interesse.
Io sospiro rassegnata. «Già. Per stavolta ce la siamo cavata ma dobbiamo trovare almeno uno straccio di idea di part….»
«Ehi rossa! Cosa stai cercando di fare?!» chiede Izou, osservando omicida Nami che si è seduta a gambe accavallate sull’unico angolino libero di un tavolo pieno di cartelloni ancora intonsi. 
Nami solleva un sopracciglio, perplessa. «Mi metto comoda. Dobbiamo stare qui almeno mezz’ora.»  
«Sì, sì, certo! Ma non serve mettere in mostra tutta quella pelle sai?!» protesta, roteando il dito nell’aria.
«Izou, per favore…» Marco prova a interromperlo.
«Marco-chan è evidente che sta cercando di sedurti!»
«Izou sei fuori strada.» provo anche io a farlo ragionare.  
«No, non credo proprio!»
«Izou te lo ricordi che sono gay?!»
«Io sì che me lo ricordo ma lei a quanto pare no!» ribatte imperterrito, prima di girarsi verso me «Lo sai dovresti farti spiegare da lei come si fa, è piuttosto brava.» mi suggerisce.
«Izou ne abbiamo già parlato.» gli ricordo, con un sorriso omicida e lo sguardo vitreo e per un attimo mi illudo di essere riuscita a zittirlo. Solo per un attimo però.
«Però dovresti…»
«Oh per l’amore del cielo.»
«Dunque, dicevate del nuovo progetto?» interviene Marco tempestivo, in un moto di compassione verso di me.
O forse perché teme che io uccida l’amore della sua vita, chi lo sa.
«Eh niente, siamo in mezzo a una strada e non abbiamo la più pallida idea di come faremo a uscirne.» si stringe nelle spalle Usopp, già rassegnato e io gli lancio un’occhiata atona.
Un po’ più di positività non sarebbe male ma, ehi, è pur sempre di Usopp che parliamo.
«In un modo o nell’altro faremo!» lo contraddice convinta Nami. «Koala si farà venire una delle sue geniali idee dell’ultimo minuto e tra un paio di mesi staremo ridendo di tutto questo.»
«Grazie Nami, tutto questo non mi fa sentire assolutamente sotto pressione.» le rispondo con un sarcastico sorriso, il cui reale intento lei non riesce o probabilmente non vuole afferrare.
«Ma figurati.»
«Okay, perciò fatemi capire. Se trovate un’idea, tipo anche adesso, ve ne andate da qui?» chiede Izou con una certa urgenza negli occhi e nella voce.
Lo guardiamo perplessi tutti e tre, io, Nami e Usopp che ci fa la grazia di rispondergli. «Beh se trovassimo davvero una buona idea andremmo subito a lavorarci e…»
«Fateci dei tanga.» lo interrompe Izou ed è serio come raramente mi è capitato di vederlo.
«Che cosa?!»
«Dei tanga! I tanga piacciono a tutti! Dai è un’idea geniale!»
Usopp e Nami mi guardano in cerca di un aiuto per capire ma io sollevo le mani in segno di resa.
«Oppure delle fasce per capelli! Chi non usa le fasce per capelli?»
«Izou fermati.»
«Guarda che tanto non ce ne andiamo.» lo avvisa Nami ma lui non sta nemmeno ascoltando.
«…panni per la polvere, salviettine struccanti, fiori di stoffa per decorare la casa…»
Usopp si sporge appena verso Marco. «Ma esiste un tasto per spegnerlo?»
«Se ce l’ha io non l’ho ancora trovato. So dove sta quello per accenderlo, però.»
«…’siasi cosa per cui si possa utilizzare della stoffa, è mai possibile che sia tanto complicato?! Non dovreste essere tre geni voi?!?»
Usopp si gira a guardare Marco con occhi sgranati per un attimo, prima di sogghignare e annuire complice e saputo. Non ci tengo ad approfondire l’argomento ma di fronte a questa inaspettatamente virile reazione di Usopp e Izou che litiga con Nami, facendo a gara a chi riesce a essere più acido, non riesco a trattenere una risata sincera.
Siamo fregati. Affossati, distrutti, finiti. Perderemo il posto e l’azienda fallirà.
Ma, almeno, aspettare la tempesta si sta rivelando più divertente del previsto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Angolo di Page: 
Ma buona domenica gente bellissima!! 
Come andiamo?! 
Vi rubo solo due minuti per informarvi che la geniale trovata dei tanga dello scorso capitolo non è stata mia - "ovviamente" direte voi, "lo sappiamo che è stato Izou!" - ma della mia adorata Jules che ringrazio infinitamente per aver condiviso con me questa genialata da premio Nobel. 
Detto ciò ovviamente ringrazio tutti voi che seguite questa storia e vi auguro buona lettura. 
Hope you'll enjoy it. 
Page. 

 









«Allora come va?» domando rientrando nella saletta di prova con due bottigliette d’acqua in mano.
Mi lancia un’occhiata nel riflesso dello specchio e poco ci manca che scoppio a ridere quando vedo com’è vestito. La sua espressione, d’altro canto, parla per lui.  
«Sembro un deficiente.» commenta atono e io mi mordo il labbro inferiore.
Alla fine il suo appuntamento con l’atelier non coincideva con nessun mio inderogabile impegno lavorativo. Così, dal momento che Bibi non possiede il dono dell’ubiquità – come invece Bon-chan probabilmente credeva –, eccomi qui. Per fargli da supporto e dargli un consiglio, non certo per scattargli foto a tutto spiano e inviarle sul nostro gruppo di whatsapp.
Che idea spaventosamente allettante. 
«Koala, non provare nemmeno a farmi una foto e girarla su whatsapp.»
Ringrazio di avere lasciato il cellulare nella borsa – la tentazione sarebbe stata troppa per resistere, se lo avessi avuto a portata di mano –, appoggiata sul divanetto di pelle rossa, lontano da me, e mi impongo di mantenere un minimo di contegno.
«Okay, vediamo cosa si può fare.» poso l’acqua sul basso tavolino di fronte al divanetto e mi avvicino decisa. «Allora cominciamo a togliere questo.» gli levo il ridicolo cappello a cilindro di seta blu ma mi blocco con il braccio a mezz’aria e lo osservo, riflettendo. «Oppure vuoi tenerlo e ti recupero un bastone per completare il look?». L’occhiata che mi lancia distrugge il mio autocontrollo e mezza risata riesce a evadere dalla mia bocca. «Dunque, la giacca a coda di rondine ti sta bene.» metto in chiaro. E questo è già un primo passo. Ora dobbiamo solo dargli l’aspetto di uno sposo senza che sembri anche un ballerino di tip tap degli anni quaranta. Faccio una panoramica del camerino formato salotto e scandaglio attentamente tutte le giacche, i pantaloni e gli accessori che la commessa ha trasferito qui prima di dileguarsi, su precisa richiesta di Law.
Mi illumino quando mi focalizzo su quello che sto cercando e mi avvicino alla gruccia portacravatte. Ne faccio scorrere una tra le dita, godendomi l’effetto della seta liscia sui polpastrelli, mentre studio attentamente le sue sorelle, alla ricerca della prescelta, una cravatta grigio perla di raso. La sfilo dal suo apposito gancio e torno indietro.
«Magari se eliminiamo il papillon a pois…» suggerisco e Law non perde neanche tempo a rispondere, solleva la mano e scioglie il farfallino per poi sfilarlo dal colletto come se fosse una liberazione. «Posso?» chiedo, sollevando appena la cravatta con entrambe le mani.
«Fai pure.»
Mi allungo sulle punte dei piedi per poter sollevare il colletto inamidato della camicia bianca e passare la cravatta dietro al suo collo, prima di cominciare ad annodarla con mani esperte.  
Non è certo la prima volta, è già capitato, in tante diverse occasioni. Ballo della scuola, lauree, un paio di battesimi addirittura. Mi sono sempre divertita a fare i nodi alle cravatte e mi sono sempre occupata io delle sue, come Robin di quelle di Sabo. Ma stavolta, per un qualche motivo, c’è qualcosa di diverso.
Law sta seguendo attentamente ogni mio movimento, il salottino è incredibilmente silenzioso, le mie dita si muovono più lente del solito.
È intimo, ben più intimo di quel che dovrebbe. E anche se so che non è proprio giusto – ma nemmeno poi così sbagliato dopotutto – voglio prolungare il momento il più possibile.
Questa è una delle ultime volte che lo faccio, d’ora in poi sarà compito di Bibi e mentirei se dicessi che non mi dispiace. Law non mi mette fretta, forse anche lui sta pensando la stessa cosa. Mi azzardo a lanciargli un’occhiata da sotto in su. Quando i miei occhi incrociano i suoi, che non stanno più seguendo le mie mani ma fissano intensi e seri il mio viso, per un attimo il mio cuore si ferma.
Metaforicamente, è chiaro.    
«Dunque…» mi schiarisco la gola, cercando febbrile un argomento, uno qualsiasi, di cui parlare per smorzare quest’atmosfera. «Quindi Monet che ruolo ha esattamente?» domando. Era da un po’ che voglio chiederglielo.  
È stato chiaro da subito che è innanzitutto la seconda testimone di Bibi ed è bastata qualche ora e le giuste domande per scoprire che sono cresciute insieme, anche con Baby, e che suo padre è il frenemy di Crocodile. Quello che non riesco a capire è perché segua Bon-chan ovunque vada, sempre armata di un piccolo portatile delle dimensioni di un blocco per gli appunti. Non ci fosse Kayme, direi che è lei la sua assistente. A infittire il mistero, il fatto che chiaramente Bibi non si aspettava di trovarsela qui a Raftel tanto presto e mi domando il perché del suo anticipato arrivo – noia a parte – a meno che l’obbiettivo non fosse stressare e infastidire Baby, attività che le riesce splendidamente.
Law contrae il viso in un’espressione che conosco fin troppo bene e che verbalmente si traduce con “sono circondato da un branco di imbecilli” prima di rispondere, atono e scocciato: «Lei è qui per documentare il matrimonio».
Resto per un attimo interdetta. «Come?»
«Mai sentito parlare dello Yukinomi Club?»
I miei occhi si fanno tondi come due fondi di bottiglia. «Aspetta! Stai dicendo che quella Monet…» stendo il braccio indicando un punto imprecisato alla mia destra. «La vostra Monet…» piego il braccio e indico Law all’altezza del petto «Quella è Monet, la famosa blogger?!»
Boccheggio, incredula. Lo Yukinomi Club è uno dei blog più famosi attualmente presenti sul web e deve la propria fama a una serie di irriverenti articoli sulle assurde abitudini, le spese folli e ingiustificate e i più reconditi segreti delle figure di spicco del pianeta, da attori a politici senza fare sconti a nessuno. È un blog di protesta, scritto con arguzia e realistica ironia, un’arguzia e un’ironia che hanno conquistato anche me, e che fornisce un’infinita  quantità di gossip mentre ne critica i protagonisti. Oro colato per gente come Izou, piacevole passatempo quando si hanno cinque minuti di noia per una come me.
Il fatto che io non l’abbia riconosciuta quando l’ho vista la prima volta dipende dal fatto che non mi sono mai soffermata sulla sua foto e ho sempre pensato che “Monet” fosse solo un nickname e non il suo vero nome. Ma ora capisco perché Izou la guardava con venerazione.
Per un attimo m’era anche sorto il dubbio che fosse diventato etero.
«Siete sicuri che sia una buona idea? Da quel che ho letto, non ha pietà per nessuno.»  
Law scuote appena il capo «Ci vuole usare come cartina tornasole.»  spiega, per niente convinto. «Bibi vuole una cosa semplice nonostante i soldi e Monet  vuole usarlo come esempio per dimostrare che anche chi sta economicamente bene può comportarsi da persona normale, senza sperperare. L’idea ovviamente è stata di Bon-chan. Apparentemente era assolutamente necessario per renderlo un matrimonio indimenticabile.» conclude e posso vedere il filo di fumo che gli esce dalle orecchie.
Stavolta rido apertamente e non faccio un plissé quando mi fulmina con gli occhi. «Oh dai!» protesto, tornando a trafficare con la cravatta. «Quante volte mi prendete in giro per Iva, voi? Lasciami gongolare un po’!» Finisco di stringere il nodo windsor e infilo il lembo della cravatta dentro al gilet prima di scostarmi per permettergli di guardarsi allo specchio. «Et voilà! Ora si comincia a ragionare, no?»
Law si osserva qualche istante con aria critica. Abbozza un ghigno storto dei suoi. «Sì, direi di sì.» annuisce ma la mia soddisfazione ha vita breve. È come se qualcosa scivolasse via dal suo volto, sospira e poi si avvia verso il divanetto, su cui si accomoda un po’ svaccato, gambe larghe, testa reclinata all’indietro, mani abbandonate altezza inguine.
Apro e richiudo la bocca un paio di volte, dispiaciuta. Ci metto un attimo a decidermi a parlare chiaro, mandando al diavolo la diplomazia. «Law se ti sembra troppo non è un problema. Bon-chan insiste sull’elegante ma un classico completo tre pezzi va sicuramente più che bene. E se Bon-chan ha qualcosa da ridire ci parlo io con lui.»
Riapre gli occhi e solleva la testa per guardarmi, le sopracciglia corrugate in un’espressione riflessiva. «Ti ho già ringraziato per tutto quello che stai facendo?» si informa.
La domanda mi prende in contropiede, ma non lo do a vedere. Incrocio le braccia sotto il seno e sollevo il mento fiera. «No ma lo farai.» affermo decisa, mentre mi avvicino al divanetto e mi siedo accanto a lui, che mi segue con lo sguardo. «Quando sarà tutto finito mi premurerò di ricordartelo e di ricordarti, soprattutto, che oggi avrei potuto lasciarti nelle grinfie di Bon-chan e coronare il mio sogno di vederti all’altare con addosso uno smoking color sorbetto.»
Law, più rilassato, si lascia sfuggire una risata sbuffata e torna a posare la nuca sulla cima della testata del divanetto.  «Io volevo una cosa intima, sai?» mi dice, gli occhi rivolti al soffitto, e io mi giro su un fianco mettendomi comoda mentre lo ascolto.  «Magari senza nemmeno dire niente. Chiedere a due testimoni a caso e annunciare tutto a cose fatte.»
Sorrido con una punta di malinconia. «A Skypeia. Come dicevamo sempre da bambini.»
«Una cosa del genere.» concede un mezzo sorriso, a se stesso e a me.
«Anche se non ho mai capito esattamente chi si supponeva sposasse chi.»
Law si stringe nelle spalle. «Non mi sono mai posto il problema. Gli Shandia non sono contrari alla poligamia.»
«Almeno finché non è diventato chiaro che tu e Sabo siete anime gemelle, ovviamente.»
Law aggrotta la fronte e volta il viso verso di me, senza staccare la nuca dal divanetto. «Ma così tu avresti dovuto sposare Robin. O Ace.» aggiunge, lasciando intendere quanto la sola idea lo scompensi.
Al posto di Zoro non credo che sarebbe sopravvissuto.
«Per la vostra felicità saremmo stati pronti a questo ed altro.» ribatto solenne. «Ma ora non è più una cosa di cui devo essere preoccupata. La tua felicità intendo.» aggiungo per amor di precisione e qualcosa nella mia voce sembra fuori posto mentre lo dico. Qualcosa nel mio sorriso si spegne. Qualcosa nel mio addome si contrae.
Ci guardiamo per un lungo attimo, in silenzio, prima che Law commenti: «Infatti non devi.» per poi tornare a scrutare il soffitto mentre io continuo a scrutare lui.
«Law, è tutto a posto?» diretta e seria questa volta.
«Sì, tranquilla.» mi rassicura immediatamente, mentre si strofina gli occhi con pollice e indice. «È solo che vorrei che fosse già tutto passato, vorrei svegliarmi domani e scoprire che il matrimonio c’è già stato e io non ricordo niente di discorsi imbarazzanti, strette di mano continue e parenti acquisiti che, grazie al cielo, non rivedrò mai più in vita mia. Sarà una giornata infinita, dannazione.»
«Per te?!» gli chiedo sgranando gli occhi. «Per Bibi sarà una giornata tosta, tu in confronto a lei non devi fare niente! E ricordati che io dovrò occuparmi di me stessa, Izou e Sabo quella mattina! E il cielo non voglia che tu ti faccia venire una crisi di panico pre-matrimonio!» lo prendo in giro e, nonostante il guizzo divertito nei suoi occhi, da bravo infame che non mi da mai una soddisfazione ignora le mie due ultime affermazioni.
«Guarda che è stata Bibi a volere la cerimonia in grande.»
«E tu a dirle di sì.» ribatto prontamente, tanto per ricordargli che, sì, ho intenzione di continuare a prendendo per i fondelli per essersi fatto fare la proposta dalla fidanzata e che, no, non mi sono ancora stufata di farlo. «E comunque se lo merita no?» gli faccio presente subito dopo, addolcendo tono e  sguardo. Law mi fissa con una muta domanda negli occhi e io mi vedo costretta a spiegare, anche se vorrei evitarlo. «È una ragazza così altruista, determinata, socialmente impegnata, sempre pronta a fare beneficenza. Ed è anche dolce e intelligente e… insomma è difficile non amarla.» concludo, con una lieve punta di sofferenza al centro del petto.
Perché dirlo ad alta voce fa più male. Perché dirlo ad alta voce mi ricorda, senza possibilità di revoca, che Bibi è tutto ciò che io ho sempre sognato essere.   
Era questo che volevo, questo è ciò che mi ha spinto a studiare quello che ho studiato. Volevo diventare una voce capace di rendere il mondo un posto migliore, attraverso immagini e slogan di impatto. Senza peccare di falsa modestia, è sempre stato un desiderio nobile il mio.  
E com’è andata finire?
È andata a finire che, grazie alla geniale trovata di Iva, ora come ora mi sto occupando di un progetto –assurdo, impossibile, irrealizzabile dal cui successo dipende il futuro lavorativo mio, dei miei due collaboratori/amici, di un’altra buona fetta di colleghi e del mio capo – che avrà un impatto sociale pari a quello dell’invenzione del levasmalto a cuscinetto, un matrimonio da finire di organizzare tra tre settimane scarse, Sabo da gestire e un finto fidanzato gay, irritante e mestruato da tenere a bada.
Fantastico, veramente fantastico!
Sono estasiata da questo bilancio della mia vita!
«Koala…» comincia Law e non mi sfugge il tono indagatore.
«Mi è venuta voglia di gelato!» esclamo di punto in bianco, rispolverando il mio perenne entusiasmo. Non ho intenzione di stressarlo con le mie assurde teghe mentali in un periodo del genere ma, per un attimo, ho l’impressione che sia lui a non voler lasciar cadere il discorso.
Mi scruta attento, inquisitorio, preoccupato. Esattamente quello che volevo evitare.
Non essere preoccupato, andiamo! Non per queste cose sciocche!
Non so se sia un caso o sappia leggere nel pensiero ma è comunque con sollievo che osservo la sua espressione distendersi e i suoi occhi riempirsi di un calore che in pochi abbiamo avuto l’onore di conoscere.
«Andiamo da Kuzan?» propone e io socchiudo le palpebre, quasi rapita.
«Come mi conosci bene.»  sospiro prima di alzarmi dal divanetto per uscire dal salottino così che possa cambiarsi. «E comunque io il cilindro lo prenderei.»
 

 
***

 
Osservo rapita l’insegna della pasticceria.
Questo luogo è conosciuto ben oltre i confini di Raftel. Questa pasticceria è così rinomata da essersi guadagnata un posto in quasi tutte le guide turistiche della città. Così famosa che i suoi dolci vengono esportati all’estero con consegne ultrarapide, garantite entro ventiquattr’ore. Mio padre ordina da loro la torta per il mio compleanno ogni anno.
Mentre ci recavamo qui, Sabo mi ha raccontato che persino Zeff, il padre di Sanji, tanto fissato con l’idea che per mantenere alta la qualità del suo ristorante è assolutamente essenziale che tutto ciò che viene servito al Baratie esca dalle cucine del Baratie, si serve da loro per i dolci. Mi ha detto che Sanji ha intenzione di seguire le orme di suo padre anche in questo.
Questa è Whole Cake Island.
Un’esperienza sensoriale, un luogo di perdizione per le papille gustative, un angolo di paradiso.
Fino a stamattina, non mi ero resa conto che sposarmi a Raftel significava anche avere la possibilità di poter scegliere la torta qui di persona. Se il matrimonio fosse stato celebrato ad Alubarna avrei comunque ordinato la torta da loro, a qualsiasi costo. Sarebbe stata la sola cosa per cui non avrei badato a spese ma avrei dovuto pur sempre sceglierla da un catalogo, fidandomi delle accurate descrizioni e delle invitanti fotografie.
Invece poter essere qui, poter assaggiare le candidate per la mia torta nuziale è tutta un'altra faccenda. E Sabo è stato così gentile a volermi accompagnare. Non so cosa potrei desiderare di più.
A… a parte che anche Law fosse qui con n-noi, ovviamente. Ovviamente!
Non è come se passare tempo con suo fratello mi renda più felice che passare il mio tempo con lui! Però non posso nemmeno negare che passare del tempo con Sabo sia piacevole!
In fondo è stato Law a suggerire che io ci venissi con Sabo, mentre lui andava a vedere per il suo completo insieme a Koala. Mi fido molto del buon gusto di Koala e sono anche felice che abbiano un po’ di tempo da trascorrere insieme, come ai vecchi tempi.
Comunque il punto è che la proprietaria di questa meravigliosa oasi di piacere, una certa Charlotte che tutti chiamano per una ragione a me non molto chiara Pudding, una giovane dalle mani d’oro e dal talento innato, stravede per Rufy, Sabo ed Ace. Le da così tanta soddisfazione vedere quanto tutti e tre apprezzino le sue creazioni che non fa che proporgli assaggi su assaggi, sufficienti per sfamare l’intera compagnia ma non i loro stomaci senza fondo, tanto che puntualmente concludono la visita acquistando dei pasticcini o un numero variabile di torte da portarsi a casa.
A questo punto non oso immaginare cosa ci aspetta oggi, dal momento che siamo qui per una vera e propria degustazione e, sinceramente, non vedo l’ora.
«Ehi, tutto bene?»
Mi giro verso il mio accompagnatore, impeccabile come sempre con la camicia bianca e i pantaloni di lino blu. Mi sorride come se fossimo nella pubblicità di un dentifricio e per un attimo inserisco il pilota automatico e sollevo la mano per scostargli una ciocca bionda che gli ricade sulla fronte, fuori posto. Per fortuna recupero il controllo di me stessa appena in tempo e devio prontamente verso i miei capelli, rassettandoli in un gesto abituale, che compio sempre anche quando non ne hanno bisogno. «Ho sempre desiderato visitare questa pasticceria!» spiego, ricambiando il suo sorriso e sperando di non essere arrossita per la mia quasi gaffe.
Sabo si avvicina alla porta d’ingresso e la indica con un gesto galante. «Beh allora entriamo, che ne dici? Tanto più che ho un certo languorino.» aggiunge con un’occhiata eloquente che mi fa ridacchiare.
Lo ringrazio con un cenno del capo quando mi apre la porta, restando in disparte per farmi passare, da vero cavaliere.  
Il campanello trilla leggero quando la porta si richiude alle sue spalle ma io ho occhi solo per la vetrina ricolma di torte e dolci che brillano di frutta fresca e grondano glassa. Mi avvicino lentamente, quasi fosse un rituale mistico e poso con cautela la mano sul vetro, osservando i cartellini vergati con una grafia elegante e spigolosa.
Torta Regina del Bosco, bavarese all’amaretto, plumcake con yogurt greco, lamponi e fiori di sambuco.
«Non la vedo esposta ma sappi che la crostata meringata al limone è un dovere costituzionale assaggiarla quando si entra in questa pasticceria. È la fine del mondo.»
Sobbalzo quando la voce di Sabo risuona nel mio orecchio, non tanto perché mi fossi dimenticata della sua presenza ma perché quando dico che la voce risuona dentro il mio orecchio intendo dire che risuona letteralmente dentro il mio orecchio. Vicina, molto più vicina di quel che mi sarei aspettata, esattamente come lo è lui a me, il suo viso al mio, il suo naso al mio collo. Giro il capo di un quarto e trattengo il fiato quando sento le sue ciocche bionde sfiorarmi la guancia e il profumo del suo dopobarba avvolgermi.
Un piccolo capogiro mi coglie. Non so veramente cosa mi prenda e… 
«Chi c’è?» domanda una voce scocciata che, non appena mi volto, scopro appartenere a una giovane ragazza che avrà sì e no la mia età, capelli castani raccolti in un’alta coda di cavallo e un grembiule giallo a fiori azzurri a proteggerle i vestiti.
A giudicare dalla sua espressione non sembra per nulla felice di vederci ma subito si addolcisce quando punta gli occhi sul mio accompagnatore.
«Oh Sabo!» esclama un po’ sorpresa. «Siete qui! Accidenti ho perso completamente il senso del tempo un’altra volta! Mi spiace, è che stavo finendo di preparare la crostata meringata al limone.»  
«Non preoccuparti Pudding. Non si mette fretta all’arte.» la rassicura Sabo con un gesto della mano, prima di guardare verso di me e farmi un rapido occhiolino che mi fa sfarfallare lo stomaco.
«Smettila di adularmi!» lo ammonisce Pudding mentre ridacchia e ondeggia in modo strano, rossa come un peperone. Se non avessi già visto Chopper fare una cosa simile penserei che è impazzita. Ma siccome ho già visto Chopper fare una cosa simile so che in realtà ha molto apprezzato il velato complimento di Sabo.
Pudding fa rapida il giro del bancone e viene decisa verso di me. «Tu devi essere la sposa!  Congratulazioni! Devi essere felicissima, anche io non vedo l’ora di sposarmi un giorno!» esclama, gli occhi che le brillano prima di indicarci dei tavolini appartati e dall’aspetto accogliente. «Prego accomodatevi. Vi porto subito le prime torte da assaggiare.»
Ci accomodiamo e io afferro la lista dei dolci, impaziente di riempirmi gli occhi dei più gustosi e geniali abbinamenti, curiosa di scoprire quali di queste prelibatezze avrò l’onore di assaggiare, emozionata come una bambina al parco dei divertimenti.
«Qual è la tua preferita?» domando pimpante, sollevando la testa.  E ritrovandomi a guardare direttamente dentro gli occhi di Sabo che non dimostra alcun interesse per le torte ma ne dimostra parecchio per me.
Mi osserva attento, come se mi stesse studiando e le guance mi prendono fuoco. «Ho qualcosa che non va?» domando, preoccupata.
«Come? Oh no, sei bellissima come sempre.» commenta con una spontaneità che fa accelerare di colpo il mio battito cardiaco. «È solo che stavo ripensando all’altro giorno e mi stavo chiedendo com’è andata poi con quei dati. Mi spiace di averti dovuto abbandonare a metà analisi ma sai com’è, quando il lavoro chiama…»
«Oh è… è… è… andata bene, benissimo.» balbetto e gesticolo sconnessa. «E ci mancherebbe altro, se avevi da fare e c-comunque grazie alla tabella che mi hai fatto vedere è stato molto più facile lavorarci su. Anzi, grazie per l’aiuto.»
Sabo si sporge con il busto verso di me, gli avambracci posati sul tavolino e le dita intrecciate. «È stato un piacere. Mi piacerebbe anche sapere di cosa si trattava esattamente, sembrava un caso spinoso e se posso aiutarti io…»   
«Ecco qua!»
La voce di Pudding  lo interrompe ma, soprattutto, risveglia me dalla trance.
«Torta al pompelmo rosa e cocco, torta fragola e pesca…» elenca volteggiando intorno al tavolino e posando due piatti sotto i nostri nasi. «… e questa non è molto da matrimonio ma ve ne ho portato lo stesso una fetta. Crostata meringata al limone.»
Abbasso gli occhi sul mio piatto e sulle tre fette di dolce perfettamente triangolari, una incrostata di piccole pepite di cocco intorno a fette di pompelmo che luccicano come foglie di oro rosa, una ricoperta da uno strato sottile e liscio di glassa color salmone acceso e l’ultima adornata da piccole spumose onde bianche, brunite sulla cima.
Mi basta guardarle e respirare una zaffata di profumo e improvvisamente mi sembra di non mangiare da settimane. Già solo l’odore è divino, così come la loro presentazione, non oso immaginare il sapore.
«Buon appetito!» cinguetta Pudding mentre si ritira di nuovo nel retro.
Afferro la forchetta e punzecchio con i rebbi la crema aranciata della torta fragole e pesca. «Beh, buon appetito.» ripeto a mia volta l’augurio di Pudding, regalando un sorriso a Sabo, che ricambia e risponde con un cenno del capo.
«A te.» augura prima di staccare una generosa forchettata dalla torta al pompelmo
Io tentenno ancora un istante prima di decidermi ad iniziare con la meringata al limone. La forchettina affonda morbidamente nella meringa, che crepita leggermente quando separo la punta dal resto della fetta. Non appena la mia lingua entra in contatto con il dolce tutto diventa improvvisamente più bello.
La meringa è croccante e morbida al punto giusto, la crema si scioglie in bocca smorzando il dolce della pasta frolla, che si frantuma senza fatica sul palato, invadendomi la bocca con il suo sapore. È un attimo di pura felicità, un’esperienza mistica.  
«Mio dio, Sabo!» esclamo, portandomi una mano davanti alla bocca, senza neanche mandare giù completamente prima di parlare. «È veramente la fine del mondo!» 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Inspiro a pieni polmoni mentre varco la soglia del Mokomo Dukedom. Mi guardo intorno, riempiendomi gli occhi di stoffe colorate, abiti di ogni lunghezza e genere, cinture e cappelli, borse di tutte le dimensioni e chilometri e chilometri di scarpe ordinatamente disposte.
Il Mokomo Dukedom non è un semplice negozio di abbigliamento. Il Mokomo Dukedom è il luogo dove i sogni di una ragazza prendono vita, lo scrigno magico da cui, chi entra, può uscirne trasformata in una principessa, il paese delle meraviglie dove se ti piace la stoffa di una tenda qualcuno si offrirà di trasformarla per te in un vestito.
E dove la sottoscritta è così conosciuta e apprezzata come cliente che riesce sempre a ottenere lo sconto che desidera.
Questo è il mio regno.
«Buongiorno signorina Cocoyashi!»
«Buongiorno!»
Attraverso il piccolo atrio e mi dirigo decisa al mio reparto femminile preferito. Il negozio è diviso secondo i marchi dei capi di abbigliamento e non posso non fare una capatina dal mio adorato Garuchu anche se sono qui solo per dare un’occhiata. So di avere l’armadio pieno di vestiti ma guardare non costa nulla.
E poi è pur sempre il matrimonio della nipote di un magnate della moda quale Crocodile Hook a cui devo partecipare. Se anche decidessi di comprare un nuovo vestito con scarpe e borsa coordinate sarebbe più che comprensibile.
Sguscio tra gli abiti appesi, sfiorando il morbido chiffon o la seta lucida con la punta delle dita. Ognuno di questi abiti meriterebbe di essere provato e in realtà non vedo perché non dovrei, in fondo ho tutto il pomeriggio. Mi soffermo a studiare un vestito giallo, al ginocchio, con la gonna forse un po’ troppo ampia, e poi mi guardo intorno alla ricerca di una commessa.
Nessuno è in vista e sto valutando se servirmi da sola quando una voce mi raggiunge dal reparto maschile qui accanto.
«Lei dice?»
È bassa, baritonale, con una nota di apparente indifferenza. E famigliare.
«Ma certo! La fascia alla perfezione. Guardi come le mette in risalto le spalle.»
«Mmmmh.»
Molto famigliare.
Curiosa, mi stiro sulle punte dei piedi e sbircio oltre l’appendiabiti verso il reparto del marchio Douriki ed eccolo lì. È subito fuori dai salottini prova e si osserva allo specchio, con la stessa espressione di quando deve capire un concetto troppo difficile per la sua zucca vuota. Indossa un completo che, per carità, è bello ma secondo me non lo valorizza come dovrebbe. Le spalle sembrano più strette di come sono realmente, non rende giustizia alle sue gambe, accorciandogliele un po’ e, per finire, quella particolare punta di blu fa a pugni con i suoi capelli.
Sarebbe molto meglio un grigio scuro, camicia bianca e una cravatta magari verde petrolio. Quello che non capisco è come possa la commessa non rendersene conto. Per lavorare in un posto così devi praticamente essere un curatore d’immagine. Purtroppo però, non ci metto molto a venire a capo del mistero. Quando la commessa gli gira intorno e si ferma dietro di lui, quando gli passa le mani sulle braccia muscolose e posa il mento sulla sua spalla, quando vedo come osserva il suo riflesso capisco come possa non essersene accorta.
Semplicemente quella gatta morta con gli occhiali da vista e le calze a rete non sta facendo il suo lavoro ma sta flirtando con Zoro. E lui ovviamente non fa nulla perché non si accorge di nulla, il cretino.
Faccio scattare i denti quando miss “Calze a Rete” comincia ad accarezzargli la schiena mentre elogia il completo che gli ha fatto provare e se lo continua a mangiare con gli occhi.  
Se non la smette di toccarlo a quel modo io…
«Nami, è tutto a posto?»
Faccio un salto di due metri quando Wanda, la ragazza che mi serve sempre e che considero ormai un’amica, mi appare alle spalle.
«Ehi ciao!» la saluto con voce troppo acuta, riavviandomi i capelli troppo nervosamente.
«Cercavi qualcuno?»
«Come?! Oh no, no! Mi sembrava di aver visto qualcuno che conosco, laggiù, ecco! Come stai?»
«Io bene.» risponde Wanda, scrutandomi attenta. «E tu?»
«Alla grande! Ho visto il vestito giallo, si può provare?» cambio rapidamente argomento e allungo il braccio per indicare l’abito in questione, salvo rendermi conto un attimo dopo che sto indicando da tutt’altra parte.
«Ma certo che puoi? E vuoi provarlo subito o dopo aver salutato il tuo amico?»
«Il mio… Ah no ma mi sono sbagliata, in realtà non è nessuno che conosco.» minimizzo agitando la mano nell’aria, sfoderando le mie migliori doti di bugiarda.
«Ma davvero? Perché avrei giurato, prima quando l’ho visto, che fosse Zoro.»
Trattengo il fiato e cerco di rimanere impassibile.
«E… E cosa te lo ha fatto pensare?»
«Il fatto che abbia risposto quando l’ho salutato con “Ciao Zoro”.»
«Ah…»
Mi maledico mentalmente. Sono stata qui poche volte con Zoro, poco prima che Kuina tornasse e noi ci lasciassimo – sempre che si possa dire che siamo mai stati veramente insieme – quando ce lo trascinavo contro la sua volontà a fare un po’ di shopping, stufa di vederlo sempre vestito con le stesse magliette e i pantaloni della tuta. All’epoca Wanda era appena stata assunta e non eravamo nemmeno amiche. Ma è difficile dimenticarsi di una coppia che litiga persino per il colore dei calzini.
«Io credo che sarebbe felice se tu andassi a salutarlo.» Wanda mi risveglia dai miei pensieri. «Di certo gli daresti una scusa per sfuggire agli artigli di Califa.» aggiunge, sporgendosi per guardare oltre le mie spalle.
Mi giro di scatto e quando vedo la gatta morta chiamata Califa praticamente avvinghiata al suo braccio e alla sua gamba inserisco il pilota automatico.
Non so nemmeno come succede, un secondo prima sono di fronte a Wanda e un secondo dopo sono a pochi passi dal reparto Douriki e commetto l’errore di concentrarmi sulle mie gambe per imporgli di riportarmi subito indietro, perdendo così completo controllo sulla mia bocca.
«Ehi! Guarda chi si vede!» esclamo.
Califa si gira e mi squadra con disprezzo mentre Zoro ci mette solo una frazione di secondo a riconoscermi e subito ghigna.
Va beh, ormai sono in ballo, vediamo di ballare.
«Guarda un po’, incredibile trovarti qui.» mi schernisce e io sollevo un sopracciglio.
«Quando una ha classe…» commento, scuotendo appena i capelli ramati, con orgoglio.
«Oppure quando una non pensa che ai vestiti…»
Lo fulmino, le sopracciglia aggrottate. «Io non penso solo ai vestiti, Zoro!» 
«Hai ragione, pensi anche a come farti fare lo sconto.»
Sgrano gli occhi e gonfio le guance indignata. Ingrato! Adesso lo lascio qui da solo con la gatta morta, voglio vedere come se la c… che… che sta facendo?!
Perdo il filo del discorso quando Califa si sposta davanti a Zoro e comincia ad accarezzargli il petto con la scusa di lisciare le pieghe della camicia.
No sul serio, cosa sta facendo?!
Se pensa che io me ne vada e la lasci qui a strusciarsi su di lui come se fosse il suo personale tiragraffi non ha capito con chi ha a che fare!
«Si potrebbe vedere un abito grigio?» le domando, avanzando decisa. «Sull’antracite. Un taglio più aderente se c’è.» aggiungo e Califa mi fulmina di nuovo da dietro le lenti dei suoi stupidi occhialetti.
«Mi scusi lei sarebbe…?»
«Nami Cocoyashi. Ma non vedo come questo possa essere di alcun interesse.»
«Intendevo la sua qualifica.» precisa Califa, intrecciando le braccia sotto il seno e sculettando verso di me. «Perché vede io ho il diploma da personal shopper e…»
«Faccia come dice.» interviene Zoro, che è tornato a fissarsi con occhio critico nello specchio. Come se poi ci capisse qualcosa. «Mi ha vestito per anni, mi fido di lei.»
Il cuore mi perde un battito quando Zoro mi lancia un’occhiata di striscio e abbozza un sorriso sghembo ma non ho modo di perdermi nel momento perché la soddisfazione di vedere Califa diventare del colore dei miei capelli, cominciare a fumare e allontanarsi stizzita prende il sopravvento.
La osservo allontanarsi con un trionfale sorriso che però mi scivola via dalla faccia quando mi volto di nuovo verso Zoro che mi sta osservando con interesse. La pelle comincia a pizzicarmi immediatamente.
«Che fai qui?» domanda e io smuovo le spalle con noncuranza.
«Devo aiutare Rufy con il completo e sono venuta un po’ prima per dare un’occhiata anche per me.»
«Ma se hai l’armadio pieno di vestiti con ancora l’etichetta attaccata.»
«Li ho usati tutti in questi tre anni, va bene?!» mento spudoratamente, infastidita.
Restiamo per un po’ in silenzio finché non sento l’irrazionale e assurdo bisogno di continuare a parlare con lui. «E tu?» chiedo, a corto di argomenti. A parte ovviamente Kuina, di cui però non mi sento di parlare. Voglio fingere che non stia per tornare, anche se è ovvio che lo raggiungerà per il matrimonio. «Roronoa Zoro in un negozio di abbigliamento da solo. È più raro del ritrovamento di un Poignee Griffe.»  
«In realtà dovevo andare da Johnny a ritirare le spade, le ho portate a fare un po’ di manutenzione.» spiega, svaccandosi sul divanetto. «Non so come mi sono ritrovato qui ma ho pensato che già che c’ero potevo dare un’occhiata.»
Sbatto le palpebre un paio di volte. Non sa come si è ritrovato qui. Già, chissà come.
E poi lo faccio. Faccio l’errore, tremendo errore, di vagare troppo a lungo con gli occhi su di lui. Si è tolto la giacca e la cravatta ed è seduto con una gamba sollevata, la caviglia appoggiata all’altro ginocchio, le mani intrecciate dietro la nuca e il capo leggermente reclinato all’indietro. I muscoli delle braccia sono evidenti sotto il cotone leggero della camicia bianca, che ha i primi tre bottoni slacciati e lascia intravedere il suo torace. I tre orecchini dorati finiscono proprio dove comincia lo spigolo della sua mandibola squadrata che mi guida impietosa verso le sue labbra sottili e così invitanti e…
«Nami?»
Saltò su come una molla e sento le guance prendermi fuoco.
«S-Sì?! Che c’è?!» chiedo nervosa, già pronta a negare che lo stavo squadrando ma, con mio grande sollievo – e appena una punta, del tutto ignorabile, di disappunto – mi accorgo che non sta guardando me, bensì verso l’ingresso del negozio.
Seguo la traiettoria del suo sguardo e riconosco Rufy e Chopper che si avvicinano a passo di carica, sbracciandosi verso di noi.
«Ehi!!!»
«Zoroooooo!»
Mi scanso appena in tempo per evitare Rufy che si scaglia su Zoro, avvinghiandosi a lui e ribaltandolo a terra insieme alla poltroncina.
«Cosa stai facendo, imbecille!» protesta ma li ignoro e mi giro verso mio fratello.
Automaticamente sollevo una mano per scompigliargli i capelli, nonostante sia più alto di me. «Non sapevo venissi anche tu.»
«È stata una decisione dell’ultimo minuto.» si giustifica Chopper, guardandosi intorno con tanto d’occhi. Non che sia particolarmente appassionato di vestiti ma è talmente entusiasta per natura che probabilmente si esalterebbe perfino alla discarica cittadina. «Ehi guarda! Sanji e Usopp!» esclama, indicando verso il reparto della marca preferita di Sanji, Germa 66, dove li individuo subito.
Da come gesticolano è chiaro che stanno discutendo e, ora che posso leggere il loro labiale, le loro voci che prima erano solo un brusio indefinito diventano più distinguibili.
«Si vede che  è perfetto per te, qual è il problema?»
«Ma hai visto quanto costa?» protesta Usopp.
Ora, il problema è che il modo in cui Sanji e Usopp litigano da quando sono diventati Sanji + Usopp è totalmente diverso dal modo in cui Sanji e Usopp litigavano quando erano ancora solo Sanji e Usopp. Quando siamo tutti insieme litigano ancora alla vecchia maniera, fedeli alla loro recita. Ma quando sono da soli o comunque pensano di essere da soli… Sono solo piccoli dettagli, sfumature ma sono innegabilmente lì, alla portata di chiunque voglia coglierle.
«Perché non posso usarne uno dei tuoi?! Nell’armadio ne hai alcuni che hanno ancora l’etichetta!»
Usopp che conosce il contenuto dell’armadio di Sanji.
«Uno, non abbiamo la stessa taglia! Due, il completo non ti aggredisce mica quando apri l’armadio! Ti serve una cosa un po’ elegante!»
Sanji che si preoccupa del guardaroba di Usopp.
«Sanji non posso permettermelo, d’accordo?»
«Te lo regalo io!»
Ecco appunto. È arrivato il momento di distrarre Chopper ma quando mi giro per proporgli di dare un’occhiata sia per lui che per Rufy nel reparto maschile di Garuchu, molto più giovanile rispetto a Germa e a Douriki, mi accorgo con orrore che Rufy  e Zoro si sono districati e sono qui accanto a noi, anche loro intenti ad ascoltare la lite tra Sanji e Usopp. Con molto, troppo interesse.
«Ehi ragazzi ma avete mai notato che Sanji e Usopp litigano proprio come una coppia?» domanda Chopper e io sbianco.
Quando?! Quando è successo che i maschi di questa compagnia si sono dati una svegliata diventando improvvisamente arguti osservatori?!
Prima Zoro con Izou, adesso Chopper con loro.
Okay è vero, Izou è talmente gay che persino un cieco lo noterebbe e Chopper è pur sempre mio fratello e legalmente un genio ma, santo Roger! Di solito per fargli notare una cosa ci vogliono le frecce intermittenti al neon!
Una volta mi sono fatta i capelli viola per Halloween – viola!!! – e nessuno di loro se n’è accorto. E quando gli ho fatto presente che non ci vedono a un palmo dal naso Zoro mi ha squadrata e poi mi ha domandato se avevo comprato un nuovo paio di scarpe!
Come possono avere notato questo?!
«Eddai almeno provalo.» sta insistendo adesso Sanji. E io capisco dal tono che usa, dal linguaggio del suo corpo, da come si avvicina ad Usopp, capisco che sta per usare quelle due parole. Che sta per chiamarlo “Uso-chan” e se non intervengo questo sarà l’inizio della fine.
Capiranno tutto, Sanji cadrà in depressione, Usopp resterà deluso e si lasceranno. Oppure se anche Sanji dovesse superare la cosa Usopp finirà col rinfacciargli che alla fine non è stata una sua scelta uscire allo scoperto e che fosse stato per Sanji avrebbe tenuto la relazione nascosta fino alla fine dei loro giorni. E si lasceranno.
In ogni caso si lasceranno.
«Eddai, Uso-c…»
«Ehi Sanji-kun!»
«Nami-swaaaaaaaaaaaaan!!!»
La reazione è immediata. Non si è neppure girato per capire da dove proveniva il richiamo. È come se il suo cervello avesse reagito automaticamente alla mia voce. Si avvicina in un vortice di cuori, così in fretta che non faccio in tempo a scansarmi e così sollevo il braccio, pronta a dargli un pugno ma, prima che io possa calare il colpo, Sanji si blocca a un braccio di distanza.  La cosa strana è che lui continua ad agitarsi, emanare cuori e parlare sconnesso come se stesse ancora vorticando ma da fermo.
Ed è solo allora che mi rendo conto che se si trova a un braccio di distanza da me è perché Zoro lo ha bloccato allungando il proprio braccio oltre la mia spalla e lo sta trattenendo con una mano sulla sua fronte. E il suo torace è schiacciato completamente contro la mia schiena. E il braccio libero dal trattenere Sanji è avvolto intorno alla mia vita. E io vorrei apparire spavalda, guardarlo con sufficienza e domandargli se non gli spiace mollare la presa ma la verità è che non riesco nemmeno a muovermi, figuriamoci a parlare. Senza contare che il cuore potrebbe schizzarmi fuori dal petto da un momento all’altro.
«Ehi ragazzi! Che sorpresa!» Usopp si avvicina, sorridendo. È nervoso ma lo noto solo io.
«Eh già! Tutti in giro a cercare da vestire per il matrimonio!» gli do corda. Inclino appena il capo all’indietro per evitare un involontario pugno di Sanji e, così facendo, mi ritrovo con il capo sulla spalla di Zoro e il suo respiro sul collo. Non riesco a trattenere un fremito.
«Melloriiiiiiiine!»
Usopp lancia un’occhiata di fuoco a Sanji mentre Zoro, incurante o forse ignaro di come il mio corpo stia reagendo, continua imperterrito a stringermi.
«Torciglio ti vuoi riprendere o ti devo pestare?»  
«Melloriiiiiiiiine!»
«Sanguina! Un dottore, presto, presto! Serve un dottore!» si agita mio fratello, in preda al panico mentre Rufy osserva il tutto con il mignolo ficcato nel naso.
«..oriiiiiine!»
Sospiro e, dimentica di quello che ho provato fino a mezzo secondo fa a causa della sua vicinanza, nascondo la faccia nel collo di Zoro, sconfortata. So già che mi toccherà prenderli tutti a pugni per farli calmare.
Perché?! Qualcuno me lo spieghi. Perché, ogni volta che vengo qui con uno di loro, finisco sempre per fare queste figure? 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


«Non sono ancora arrivate.»
Gli lancio un’occhiata di striscio. «Sanji, per la quarta volta, avranno trovato traffico. Nami e Koala sanno badare a loro stesse, credimi!» comincio a spazientirmi.
Non che ci sia niente di male nel preoccuparsi per delle amiche in ritardo solo, voi l’avete mai visto così tanto in apprensione per me?
Non credo proprio. Persino quando l’anno scorso siamo rimasti bloccati dentro al palazzo della Ivankov&Co a causa di un blackout, quando l’ho chiamato ha continuato a chiedermi per tutto il tempo se la sua Nami-swan e la sua Koala-chwan stessero bene. Un po’ di conforto per me no, vero?!
N-non che fossi spaventato, eh! Insomma sì, o-okay, eravamo immersi nel buio più ass-assoluto, con Iva che si divertiva a fare scherzi di p-pessimo gusto ma non per questo avevo paura! Il grande Usopp Sharpshooter non ha certamente paura del buio!
Però questo non toglie che sia io il suo fidanzato. Te lo ricordi, eh, Sanji?!
Scuoto il capo e mi guardo intorno. Non sono nemmeno le uniche due che mancano all’appello. Siamo quasi tutti qui, fuori dal Bellavita Bowling&Bar. Zoro dorme seduto per terra accanto a me, Brook sta raccontando a Franky e Robin riguardo una sua nuova collega, una certa Victoria che da quanto ho capito ha un problema con i piatti e se ne vede uno sente l’irrefrenabile impulso di romperlo, Ace e Perona sono persi nel loro mondo di coccole ed effusioni e Rufy e Chopper stanno giocando sul cellulare alla versione di battaglia navale con i re del mare. Se non fossi così scocciato per il comportamento di Sanji mi unirei a loro.
Che poi non so perché mi da così fastidio. Voglio dire fa sempre così, sono io che non lo tollero stasera.
«Io quoto Usopp. Se avessi mai provato la tecnica di karate di Koala sulla tua pelle non saresti così preoccupato, Sanji.» mi da manforte Ace.  
«Non ha comunque motivo di essere così preoccupato. Sa benissimo quanto pesta duro la mocciosa quando vuole.» interviene anche Zoro, senza neanche aprire gli occhi né muovere un muscolo e io faccio un salto di due metri, trattenendo a stento uno strillo.
Ma non stava dormendo?!
«Marimo non mi pare di avere chiesto la tua opinione e smetti di chiamare Nami-swan in quel modo!»
«Senti un po’ chi parla di soprannomi.» si altera Zoro, aprendo un occhio per fulminare Sanji. «Io chiamo Nami come mi pare e piace, cuocastro.»
Una vena prende a pulsare sulla fronte di Sanji e io sto già valutando se provare a calmarlo o levarmi semplicemente dalla loro traiettoria casomai si aggredissero, che Perona riesce miracolosamente a distogliere la loro attenzione l’uno dall’altro.
«Forse sono loro!» avvisa, quando una macchina blu mette fuori la freccia per parcheggiare.
«No è la macchina di Sabo.» la corregge Ace, sfiorandole il collo con le labbra. «Ma almeno possiamo spuntare qualcun altr…» si interrompe di botto crollando il capo.
Tutti ci giriamo di scatto, istintivamente, giusto in tempo per vedere Perona mandare gli occhi al cielo. «Ace, perché ti devi addormentare sempre nei posti più assurdi?» protesta, accarezzandolo tra i capelli. Passano giusto un paio di minuti prima che Sabo, Monet, Baby, Law e Bibi svoltino l’angolo.
«Ciao ragazzi!» Baby si sbraccia verso di noi.
Alzo una mano per rispondere al saluto e poco ci manca che mi ritrovo con il braccio tranciato di netto quando Sanji mi schizza di fianco in un vortice di cuori.
«Baby-chwaaaaaaaan!» la raggiunge e si china a farle il baciamano e io non riesco a trattenere un sospiro.
Spero solo che non cominci a perdere sangue da naso.
«Beh? Non gli dici niente?»
Ci metto qualche secondo a capire che Zoro sta parlando con me e, quando mi giro a guardarlo, ora in piedi al mio fianco, sbianco e comincio a sudare freddo. «P-p-p-perché dovrei dirgli qualcosa?» rido nervosamente.
Che abbia intuito qualcosa? Forse la mia reazione è stata troppo esplicita e ha capito tutto. Accidenti, accidenti, accidenti, Usopp! Non puoi esserti fatto fregare così, tu sei il re dei bugiardi!
Okay, okay non è tutto perduto. Mi basta trovare una valida scusa per giustificare il mio pessimo umore e tutto andrà per il meglio, in fondo parliamo sempre di Zoro. Non so neppure come ha fatto a intuire di me e San…
«Credevo che Baby ti interessasse.» ribatte Zoro e io rimango interdetto qualche secondo che è tutto quello che serve a Zoro per smettere finalmente di fissarmi.
«La sta solo salutando.» mi sento in dovere di rispondere, stringendomi nelle spalle.
Solo non so se lo sto dicendo per far sì che Zoro continui a credere che la sua intuizione sia corretta o per convincere me stesso.
«Ehi ragazzi! Scusate il ritardo!» un’altra voce, alle nostre spalle ci avvisa dell’arrivo di Nami, Marco, Izou, Koala e Kayme, che abbiamo convinto a prendere una serata di svago e a cui Nami si è volentieri offerta di dare un passaggio.
C’è un momento di confusione quando entrambi i gruppi ci raggiungono. Tutti che salutano tutti, cuori e uggiolii che volano da tutte le parti, Sabo si avvicina veloce a Robin per informarsi sul suo stato di salute, Brook si prende un cazzotto non so bene da chi ma so sicuramente perché, Koala si informa sul punteggio ottenuto da Chopper e Rufy  e non so bene quando succede che mi ritrovo Baby aggrappata al collo che mi bacia su una guancia.
«Ehi ciao!» la saluto, sorpreso, afferrandola distrattamente per i fianchi. «Come stai?»
«Io bene. Tu?»
Apro la bocca per rispondere ma mi blocco quando vedo con la coda dell’occhio Sanji che guarda verso di noi, curioso. E non è tanto la sua espressione quanto il fatto che Monet è al suo fianco e lui non la sta minimamente calcolando. Un confuso vortice di emozioni mi pervade, tra cui riconosco solo una punta di senso di colpa mista a molta, molta soddisfazione.
Non è questione di vendetta ma se così riesco a ottenere la sua attenzione...
«Sto bene.» aumento un po’ di più la presa su di lei e le sorrido, simulando una sicurezza che non provo. «S-senti volevo invitarti a sparare al poligono se una sera di settimana prossima sei libera.»
Non riesco a credere alle mie parole. Santo Roger, Usopp, ma cosa stai facendo?!
Ma Baby si illumina talmente tanto quando sente la mia proposta che alla fine sono contento di averglielo chiesto. Dopotutto è pur sempre una specie di amica e a me piace far sorridere le mie amiche.
«Ho sentito male o l’hai appena invitata al poligono?» ci giriamo tutti e due verso Monet che si sta avvicinando a braccetto di Sanji e non mi sfugge come le sue unghie siano conficcate nella sua camicia. Devo farmi violenza per non sibilarle di tenere a posto gli artigli. «Accidenti, nasolungo, sei un uomo coraggioso.»
Apro bocca per ribattere ma prima che io possa dire qualcosa Baby si gira completamente verso di lei, posando una mano sul fianco mentre con l’altra mi prende a braccetto. «Uh sei diventata simpatica di colpo e cerchi di prendermi in giro, Monet? Mi spiace deluderti ma non hai un futuro come comica.»
Monet le rivolge un sorriso al veleno, ancora avvinghiata al mio – ci tengo a sottolinearlo – fidanzato. «Qui si potrebbe aprire un dibattito su chi sta prendendo in giro chi Baby.»
«Visto che siamo in vena potremmo anche aprire un bel dibattito su chi non vuol ascoltare l'altra.»
«Da quando sei così diplomatica?» si acciglia Monet.
Baby scuote appena il capo. «È solo che non posso aprire il fuoco dentro un bowling. Non vorrei ferire qualche innocente.»
«Ma non mi dire!» sgrana gli occhi Monet, simulando sorpresa. «Ti stai preoccupando per persone che non sono te? A cosa si deve un simile cambiamento?»
«Secondo il dottore all’ulcera che mi hai causato tu, brutta ar…»
«Ehehi! Buonasera, come andiamo?» Sabo la interrompe e io mi prendo il secondo infarto della serata.
Che hanno tutti stasera che spuntano fuori dal nulla?
«Pronti per una bella partita a bowling?» domanda ancora e colgo una nota lievemente nervosa nella sua voce. Lo gurdo per assicurarmi che sia tutto a posto proprio nel momento in cui lancia un’occhiata verso Bibi che sta a sua volta guardando verso di noi, osservando lo scambio di battute tra Baby e Monet con evidente tensione.
Non so per quale divino dono empatico mi basta per sapere che l’intervento di Sabo non è stato affatto casuale e non posso non rimanere sorpreso da tutta questa perspicacia. Sì perché essersi accorto che Bibi era preoccupata per qualcosa, aver capito cosa e avere trovato un modo per intervenire prima che la situazione degenerasse non è qualcosa che ti aspetti da Sabo, non perché non ne sia in grado ma semplicemente perché a meno che non si tratti di Rufy, o di Robin da cinque mesi a questa parte, in genere non ci si applica molto.
Ma tant’è, sia quale sia il motivo è chiaro che un po’ di aiuto gli fa comodo visto che Baby e Monet non accennano a smettere di trucidarsi con gli occhi.
«Ah io non vedo l’ora! Sapete che sono campione nazionale di bowling io?» spingo il petto in fuori e mi indico con il pollice.
«Beh allora sarà essenziale averti nella nostra squadra!» si avvicina anche Koala, perennemente entusiasta. «Dimmi, come posso fare per convincere il grande Usopp Sharpshooter a giocare per noi?»
«Non puoi! La mia fedeltà va al mio solo e unico Capitano Monkey D. Rufy! Ma posso intercedere per te affinché ti accolga nella nostra invincibile squadra.»
«Piano, piano, piano! Usopp non starai cercando di portarci via Koala!» interviene Ace che, a quanto pare è tornato dal mondo dei sogni. «Mica te la cediamo così facilmente!»
«Ben detto fratello! Anche perché Robin non può giocare perciò scordati proprio di tirarla dalla vostra parte.» mette in chiaro Sabo.  
«Squadra vincente non si cambia, mi spiace Usopp.» si aggiunge anche Law, asciutto, prima di rivolgersi a Sabo. «A proposito, Bibi può sostituire Robin.» propone strappando un sorriso a Bibi, al suo fianco.
«Law mi ha raccontato delle vostre collaudate dinamiche di squadra. Non so se sono brava come Robin ma farò del mio meglio.»
Sabo la osserva qualche secondo, oserei dire imbambolato, prima di decidersi a rispondere: «Sono certo che sarai perfetta.»
Bibi arrossisce e, improvvisamente, ho l’impressione di stare assistendo a qualcosa  a cui non dovrei assolutamente assistere e di cui non voglio sapere assolutamente niente. Batto le mani e cerco di celare l’urgenza nella mia voce. «Beh a questo punto che aspettiamo a entrare?»
«Che qualcuno svegli il bell’addormentato.»  commenta Nami.
Mi volto verso Ace, incredulo. Di nuovo?! Ma era sveglio fino a un attimo fa!
«Voi andate pure. Ci penso io.» sospira Perona e il tono rassegnato con cui lo dice fa un inquietante nonché spaventoso contrasto con la naturalezza con cui si scrocchia le dita mentre si avvicina a lui.
Mi affretto verso l’entrata, senza aspettare Sanji e trascinandomi dietro Baby ma non c’è intenzione né malizia nel mio gesto questa volta. Semplicemente preferisco non assistere visto che passerò il resto della serata in compagnia di una Perona armata di palla da bowling rosa shocking. La paura di venire colpito dalla sua forza bruta di sicuro mi distoglierebbe dal mio importante obiettivo di fare l’en plein di strike.
Cosa in cui riuscirò sicuramente, essendo io il grande Usopp Sharpshooter!
Varco la soglia senza esitazione e mi concedo un attimo per guardarmi intorno, senza ostruire il passaggio agli altri.
Per spiegarvi il Bellavita Bowling&Bar, detto anche per ovvie ragioni BBB, ho bisogno da parte vostra di uno sforzo di immaginazione. Dovete immaginare un bowling, un bar country e uno di quei locali dove si esibiscono cantanti e musicisti esordienti e poi fondere tutto insieme. Lo so, sembra un Picasso descritto così ma, in verità, si incastra tutto alla perfezione come il Tetris.  E rispecchia la personalità del suo proprietario.
A trentadue anni compiuti Duval non ha ancora deciso se nella vita vuole fare il meccanico di moto, il vaccaro o il parrucchiere e nel dubbio, intanto, gestisce un bar, che è anche un bowling e un karaoke. Un bowkabar. O un karbawling?
Okay, Usopp, può bastare. Creativo mode: OFF.
Insomma, è tutto molto coerente.
E soprattutto tutto esattamente come lo ricordavo dall’ultima volta, che è stata parecchio tempo fa, più di quanto mi piaccia ammettere in effetti.  Se penso che avremmo potuto non venirci proprio mai né tantomeno scoprire la sua esistenza, mi fa veramente strano.
Ha avuto tutto inizio con una rissa, dieci anni fa, una rissa che vede protagonista Duval, la sua ultima vittima in fatto di flirt e ovviamente – provate a indovinare! – Sanji.
Chiariamo subito, non sono risentito né ho alcun diritto di prendermela per questo aneddoto. Intanto risale a molto prima che scoprissi che Sanji era… che io… c-che noi… insomma beh avete capito! E poi questo spirito cavalleresco è parte di lui e lo accetto e comunque nessuno potrebbe restare indifferente di fronte a Duval che molesta una povera malcapitata con i suoi vani e ripetuti tentativi di farle l’occhiolino. Neppure ora che siamo amici lo lasceremmo fare.
Ed è stato proprio dopo quella famosa rissa, dopo tutto il casino e le botte, che Duval ci ha invitato per la prima volta qui al suo… uhmm… barbowroke e che siamo diventati amici. Ci abbiamo passato un intero capitolo delle nostre vite qui dentro – almeno quando si usciva tutti insieme perché se consideriamo i gruppi dentro al gruppo è un’altra storia ancora. Ci sono almeno altri cinque bar di Raftel che ci hanno visto crescere – ma ormai era dalla fine dell’università che non ci venivamo più e non penso che quella di Sabo sia stata una scelta casuale.
Con il primo della compagnia che fa il grande passo e mette la cosiddetta testa a posto, un bel tuffo nel passato ci vuole. Di certo non guasta che sia tutto precisamente al solito posto.
Gli scaffali con le scarpe da bowling, i tavolini del bar disposti davanti al palco, il bancone che si piega con una sinuosa e morbida curva, le mensole di vetro che sorreggono le bottiglie di liquore, il calcetto e l’hockey da tavolo di fianco all’ultima pista da gioco sulla destra.
E, ovviamente, Duval al banco iscrizione per le partite. Con la sua imponente mole, il ciuffo biondo gellato, la camicia di jeans aperta sul torace e gli incessanti tentativi di fare l’occhiolino alle due ragazze poco più che ventenni che stanno disperatamente cercando di farsi dare due paia di scarpe del numero giusto e menare le tolle. Non so se ci riusciranno.
E i miei pronostici non vengono disattesi quando Duval solleva gli occhi e, in una pausa tra un occhiolino e l’altro, ci vede e si illumina. Le guance gli diventano rosse come sempre quando si emoziona e comincia a balbettare agitato.
No, decisamente quelle due ragazze non riusciranno a farsi dare le scarpe tanto presto, proprio come avevo predetto.
Ah! Nulla sfugge all’incommensurabile mente del grande Usopp Sharpshooter! Potrei valutare di prendere una laurea anche in Scienze Statistiche, in effetti…
«Ma… Che… Cos… Voi…  R-ragazzi?! Siete proprio voi?!»
Il vocione di Duval, un po’ incrinato per la commozione, sovrasta tutto il chiacchiericcio circostante. Si cappotta quasi nel rotolare sopra il bancone per correre da noi – fare il giro e passare dall’uscita non gli ha nemmeno sfiorato l’anticamera del cervello – e per un lungo, incessante, spaventoso attimo sono sicuro che ci travolgerà tutti. E non sono evidentemente l’unico a pensarlo perché mentre mi schiaccio su Baby e la stringo – non so nemmeno io se per proteggere lei o per un disperato tentativo di levarmi il più possibile dalla traiettoria di Duval – Ace fa lo stesso con Perona, Zoro afferra da dietro e trascina via Nami, che fa lo stesso con Chopper che fa lo stesso con Rufy, Sanji si lancia verso Monet, che però si è già elegantemente spostata, finendo dritto dritto tra le braccia di Brook e rovinando a terra insieme a lui, Franky si para di fronte a Robin, Law si trascina Koala dietro la schiena e stende l’altro braccio in modo da fare da scudo anche a Bibi, in simultanea con Sabo, Izou getta le braccia al collo di “Marco-chaaan” che per un momento dimentica la recita e lo stringe per i fianchi pronto a scostarlo se necessario, finché sulla pista di lancio di Duval non rimane solo Kaymie che si congela sul posto e sgrana gli occhi atterrita.
Merda!
Una frazione di secondo e Sanji si sta già scagliando verso di lei per salvarla dall’impatto ma Duval lo intercetta, parandosi tra lui e Kaymie e io assisto impotente al mio fidanzato che si schianta con forza inaudita contro la schiena di Duval e scivola a terra tramortito, mentre Duval frena appena in tempo a pochissimi centimetri da Kaymie, che si piega all’indietro per evitarlo, ritrovandosi a fissarlo in faccia con espressione non più  spaventata ma sorpresa, nonché rossa come un peperone.
Nessuno parla né si muove, Duval sbatte le palpebre più e più volte, con l’aria di uno che non crede ai propri occhi, il busto ancora piegato in avanti e il naso che quasi sfiora quello di Kaymie. «Buonasera.» la saluta, colpito.
Kaymie deglutisce a vuoto prima di rispondere: «B-buonasera.»
E poi, succede l’impensabile. Duval non cerca di farle l’occhiolino ma, come una persona normale – normale! –, allunga una mano verso di lei e, dopo un attimo di stupore, Kaymie sorride – sorride! –, senza traccia di nervosismo, e la stringe delicatamente con la propria.
«Io sono Duval.»
«Piacere, Kaymie.»
Ma che sta succedendo?
Sposto gli occhi dall’uno all’altro, la bocca aperta per l’incredulità, ignaro di essere ancora avvinghiato a Baby almeno finché non la sento squittire felice: «Awwww! Un colpo di fulmine! Che cosa dolce!»
Abbasso gli occhi su di lei, aggrappata al mio petto, la sua frangia che solletica la mia mandibola, e per un momento ho l’impressione che gli occhi le siano diventati cuoriformi, come a Sanji.
Sanji!
Sussulto e lascio andare Baby per precipitarmi accanto a lui che mugugna parole incomprensibili in stato di semincoscienza. Il naso gli sanguina ma, una volta tanto, non è colpa di un picco ormonale.
C’è un che di sadicamente karmico in tutto questo.
«Forza Usopp. Portiamolo al bagno.» Zoro si avvicina per aiutarmi a tirarlo su e ci avviamo verso le toilette.
Duval e Kaymie stanno ancora parlando, ignari di tutto il resto.
«Ci pensate voi alle nostre scarpe?» Zoro fa l’errore di domandarlo guardando dritto verso Nami.
«Mi dovrete una commissione per questo servizio.» risponde asciutta e io non trattengo un grugnito mentre mando gli occhi al cielo.
Non c’è che dire, la serata è cominciata proprio con il botto. 





Angolo di Page: 
Ci tengo solo a ringraziare Momo per aver condiviso con noi e con la sua Saturday Rainy questi fluffosissimi pasticcini che sono Kaymie e Duval. Spero ti siano piaciuti. 
Un bacione! 
Page. 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***



[I gotta feeling - Black Eyed Peas]





«Okay, prima di cominciare giro di cocktail?!» propone Ace, urlando per farsi sentire da tutti. «Grazie, grazie.» si inchina quando accogliamo la sua proposta con entusiasmo e applausi prima di sfoderare una penna e un blocchetto appunti, che ha sicuramente fregato di striscio a Duval. «Dite a me che vado a portare io l’ordine.»
«Io prenderei un daiquiri alla liquirizia, se ce l’hanno.»
«Vodka liscia.»
«Una caipiroska alla fragola, grazie amore.»
«Se fosse possibile un appletini con una spruzzata d’arancia…»
 
I gotta feeling
 
«Complicata e pretenziosa anche in questo, vedo.»
«Chi ti ha chiesto niente Monet?!»
«Nessuno. Per me un emerald rain.»
 
That tonight's gonna be a good night
That tonight's gonna be a good night
That tonight's gonna be a good, good night
 
«Sazerac, per favore.»
«Io vorrei un blue hawaii e un quarto del tuo fondosc… Ahio! Koala!» protesta Izou quando gli tiro un cartone.  
«Tesoro, non l’ho fatto apposta! Io prendo un sex on the beach.»
«Uuuuh che bella idea! Ci ho ripensato! Niente blue hawaii, un sex on the beach anche per me!»
«Il blue hawaii lo prendo io allora.»
 
That tonight's gonna be a good night
That tonight's gonna be a good night
That tonight's gonna be a good, good night
 
 
«Yohohohohoh! Opterei per un grasshopper, Ace-san! E per il colore delle tue mutandine, Nami-s…»
«Caipirinha al mandarino e dell’acqua ossigenata per Brook, prego.»
«Invisibile.»
«Due invisibile.»
«Mi prendi un white lady analcolico per favore, Ace?»  
Ace si ferma con la penna a mezz’aria e si acciglia perplesso. «Ma… un white lady analcolico viene fuori acqua e limone.»
«Precisamente. Ma nel bicchiere del white lady.» spiega Robin con un sorriso serafico.
«O-kay.»
 
Tonight's the night
Let's live it up
I got my money
Let's spend it up
Go out and smash it
Like Oh My God
Jump off that sofa
Let's get get off
 
«Tre cuba libre per me, Rufy e Chopper.»
«Wooooh fratelli che idea Suuuuuper! Lo prendo anche io ma con la sambuca al posto del rhum, fratello lentiggine!»
«Chiedi se possono farmi un mojito con il ginger ale?»
«Mojito! Che idea geniale! Al posto del sex on the beach prendo un blueberry coconut mojito! Oppure…»
«Izou deciditi!»
«Ehi rossa, stai calma eh! Che poi ti vengono le rughe!»
«Che cosa…» comincia Nami, con l’aria di voler commettere un assassinio a sangue freddo e mi vedo costretta a intervenire di nuovo.
 
I know that we'll have a ball
If we get down
And go out
And just lose it all
I feel stressed out
I wanna let it go
Lets go way out spaced out
And losing all control
 
«Izou, scegli un cocktail e basta. Per favore»
Izou sbuffa indignato. «E va bene, quanto la fate lunga. Una persona non può nemmeno cambiare idea su una decisione così importante. Prendo un mai tai!»
«Perfetto! Direi che ci siamo tutti. Vado e torno.»
«Vengo con te.» si offre Zoro.
Un silenzio improvviso cala su di noi quando Ace e Zoro partono di gran carriera verso il bar.
 
Fill up my cup
Mazel Tov
Look at her dancing
Just take it off
Let's paint the town
We'll shut it down
Let's burn the roof
And then we'll do it again
 
«Ragazzi…» si azzarda a parlare Usopp dopo qualche secondo mentre tutti cerchiamo di capire cosa ci sembra così fuori posto. «Abbiamo davvero mandato Ace e Zoro a prendere i cocktail?»
«Okay, qual è lo scenario peggiore che potrebbe presentarsi?» domanda Sabo con quel suo tono da “cerchiamo di mantenere tutti la calma” che non fa che metterti ancora più ansia addosso.
«Zoro dall’altra parte di Raftel e attacco narcolettico di Ace mentre sta portando i cocktail alla pista.» ribatte Usopp.
Sabo sbatte le palpebre interdetto. Sa che ha ragione. Lo sappiamo tutti.
«Siamo dei deficienti.»
 

§

 
Let's do it, let's do it,
Let's do it,
Let's do it, and do it, and do it,
Let's live it up
And do it, and do it, and do it, do it, do it,
Let's do it,
Let's do it,
Let's do it
 
«Suuuuupaaaaa… STRIIIIKE!!!»
«Sììììììì!»
«Franky sei il migliore!» 
Li osservo lanciarsi in urla di giubilo, dall’altro lato della pista, mentre tengo d’occhio Law di striscio per vedere il suo tiro. Sono certa che farà uno spare senza problemi comunque.
«Esultano…» constata Izou con un’espressione a dir poco basita.
«Lo sanno, vero, che non vale se si lancia lui sulla pista al posto della palla?» chiede Marco, appena un po’ perplesso.
 
I gotta feeling
That tonight's gonna be a good night
That tonight's gonna be a good night
That tonight's gonna be a good, good night
 
«Lo sanno, lo sanno.» lo rassicuro, scuotendo appena il capo e mio malgrado sorriso quando Franky lancia praticamente in aria Robin per festeggiare. Ovviamente non tutti apprezzano la visione.
«Franky, un po’ di delicatezza, santo Roger! È incinta!» 
 

§

 
«Voodoo tocca a te!»
«Eh lo so ma non trovo la mia palla.» mormora Perona, guardandosi intorno febbrile.
«Ce n’è una da un chilo e mezzo qui se vuoi.» la avvisa Zoro.
Perona fissa la palla e poi lui, disgustata. «Ma non scherzare! Non è rosa! Andiamo, doveva già essere qui ormai.» protesta impaziente, lo sguardo pieno di aspettativa fisso sul nastro trasportatore.
 
I gotta feeling
That tonight's gonna be a good night
That tonight's gonna be a good night
That tonight's gonna be a good, good night
 
«In effetti è strano.» commenta anche Usopp. «Ormai ha tirato da quasi un quarto d’ora l’ultima volta.»
«Non è che si è persa? O l’ha presa qualcun al…»
«Rufy? Cosa stai facendo?»
Tutti ci giriamo verso Rufy che, seduto a gambe incrociate, ha la bocca attaccata a qualcosa di grande e tondo, bloccato tra le sue mani e le sue ginocchia.
 
Tonight's the night
Let's live it up
I got my money
Let's spend it up
 
Questione di pochi istanti, il tempo di realizzare cos’è il “qualcosa” e Ace e Zoro si lanciano verso Perona per placcarla.
«Smetti di leccare la mia palla, deficiente! Non è una caramella!!!»
 
 
§

 
Go out and smash it
Like Oh My God
Jump off that sofa
Let's get get off
Fill up my cup
Mazel Tov
Look at her dancing
Just take it off
 
«Sicura? Di solito tiri con quella più leggera.» mi fa notare Sabo, serio e concentrato quanto me.
Annuisco mentre inserisco le dita nei tre buchi della palla arancio con sopra disegnato un sole rosso e la saggio. «Mi serve un po’ più pesante per darle l’effetto che voglio e devo per forza fare uno spare
«Va bene.» annuisce anche lui, convinto e una volta tanto supportivo.
 
Let's paint the town
We'll shut it down
Let's burn the roof
And then we'll do it again
 
Sollevo la palla per essere sicura di riuscire a gestirla bene come quella da un chilo e mezzo. Porto il braccio all’indietro per provare il movimento di lancio, gli occhi chiusi per concentrarmi meglio sul peso e su come bilanciarlo.
 
Let's do it, let's do it,
Let's do it,
Let's do it, and do it, and do it,
Let's live it up
And do it, and do it, and do it, do it, do it,
Let's do it,
Let's do it,
Let's do it, do it, do it, do it
 
Ondeggio in avanti e di nuovo indietro. In avanti e indietro. Un po’ più veloce. In avanti e ind…
«Ragazzi, tutto b…»
Riapro gli occhi di scatto quando la voce gli muore in gola e non so per quale santo non lascio cadere la palla a terra.
«Law!»
 
Here we come
Here we go
We gotta rock (rock, rock, rock, rock)
Easy come
Easy go
Now we on top (top, top, top, top)
Feel the shot
Body rock
Rock it don't stop (stop, stop, stop, stop)
Round and round
Up and down
Around the clock (clock, clock, clock, clock)
 
Da dove è spuntato fuori, santo Roger?! E soprattutto cosa gli è venuto in mente di avvicinarsi a me, girata di spalle e con una palla da bowling in mano?! Non ha imparato niente in tutti questi anni?!
Mi osserva truce, le mani sul cavallo. «Non… d-dire niente…» mi ammonisce. Io ovviamente non gli do retta, apro bocca per parlare ma tanto non esce nulla.
 
Monday, Tuesday,
Wednesday, and Thursday
Friday, Saturday
Saturday to Sunday
Get get get get get with us
You know what we say
Party every day
Pa pa pa party every day
 
Sono oltre la mortificazione e la cosa non fa che peggiorare quando Bibi si avvicina, anche se non ha per niente l’aria preoccupata. Oserei quasi dire che stia trattenendo una risata.
Impotente, li osservo muoversi con cautela verso il bancone per recuperare un po’ di ghiaccio e sospiro sconsolata. «Sai…» comincia Izou e io gli lancio un’occhiata di striscio. Neanche mi ero accorta si fosse avvicinato ma sento, so, che sta per arrivare la stronzata. «Le cose sono due. O sei irresistibilmente attratta dal suo organo genitale oppure ha la calamita nei boxer.»
 
And I gotta  feeling
That tonight's gonna be a good night…
 

§   

 
Mi tampono il retro del collo con la mano umida d’acqua mentre con l’altra arrotolo la ciocca ribelle che mi sfugge sempre quando raccolgo i capelli. Come al solito, tra il clima estivo, la quantità di gente e la tensione della sfida, qui al BBB si muore di caldo. Anche se, certo, ne è valsa la pena.
Sorrido soddisfatta al mio riflesso nel ripensare alla mia schiacciante vittoria. La mia, non la nostra.
Perché ovviamente abbiamo perso contro Law e gli altri – e non vedo come avremmo potuto vincere con Rufy che tenta di mangiarsi le palle da bowling pensando siano caramelle giganti, Zoro che tira talmente forte che va sempre fuori pista, Sanji che si fa venire i picchi affettivi mentre prende la mira e Frany che tenta i lanci “Suuuupa” in pose strane. Praticamente ci salviamo solo io, Usopp e Chopper e anche se Usopp non ha sbagliato un solo strike, ci sarebbe voluto un miracolo per eguagliare il punteggio degli altri. – ma io, lungimirante, ho vinto la scommessa con Rufy puntando proprio su di loro e, sommato a quello che mi devono Zoro, Usopp e Sanji per essermi occupata delle loro scarpe, stasera ho guadagnato un bel gruzzolo.
«Sei troppo scaltra, Nami.» mi complimento con me stessa ma la mia soddisfazione ha vita breve. Osservo il sorriso scivolare via dal mio volto. ­­­­«O forse no…» sospiro.
Non mi sento scaltra, proprio per niente. Anche se lo sono, oggettivamente e innegabilmente. Sono riuscita anche ad evitare di nuovo le domande su come io e Marco ci siamo conosciuti e messi insieme! E sempre dirottando l’attenzione su Izou e Koala! In effetti, sarebbe anche ora che un paio di aneddoti ce li inventassimo…
Eppure, anche se lo sono e so di esserlo, non mi sento furba. Una persona veramente furba non dovrebbe gestire il vero fidanzato del proprio finto fidanzato gay. Una persona veramente furba avrebbe scelto un altro finto fidanzato, magari avrebbe assoldato un professionista. Anzi, una persona veramente furba non si sarebbe inventata nessun finto fidanzato. Una persona veramente furba non avrebbe spinto Zoro tra le braccia di un’altra, senza nemmeno provare a lottare.
È inutile mentire a me stessa o girarci intorno. Lo amo ancora, ora lo so con la stessa matematica certezza con cui conosco la cifra dell’ammontare del mio conto in banca. E probabilmente non amerò mai nessuno come amo lui ma questo non fa nessuna differenza, perché per ballare il tango bisogna essere in due e io, ormai, l’ho perso.
“Arriva presto. Questione di qualche giorno.”
Così ha detto, l’ho sentito bene mentre parlava con Usopp prima, e non ci vogliono certo due lauree – nemmeno una – per capire a cosa o, meglio ancora, a chi si stesse riferendo.
Arriva. Kuina arriva, questione di qualche giorno. E questo mi rende felice e triste al tempo stesso. Felice all’idea di rivederla, di riabbracciarla. Ma quando sarà qui non ci sarà più spazio nemmeno per la pia illusione che dopotutto, forse, le cose non sono cambiate poi così tanto per noi. E ho la netta sensazione che fosse solo quella pia illusione a mantenermi lucida e padrona di me stessa.
«Stupida Nami.» sibilo contro il mio riflesso e ruoto rapida la manopola del rubinetto per prelevare un altro po’ d’acqua e spruzzarmela in viso. Devo riprendermi. Devo calmarmi. Questa non sono io! Devo tornare in me prima di uscire da questo bagno.
Stringo i bordi del lavabo, lo sguardo puntato allo scarico e ricaccio indietro qualunque cosa fosse quella sostanza liquida che mi stava offuscando la vista e pizzicando gli occhi.
Mi schiarisco la gola, scuoto il capo facendo oscillare la ciocca ribelle e mi lancio un’ultima occhiata di controllo prima di abbandonare la toilette per tornare dagli altri. Fuori, nel piccolo corridoio che precede il bagno, separato dal resto del locale da una parete di cartongesso, non c’è nessuno e sono a pochi passi dall’estremità quando sento la sua voce e mi immobilizzo, le gambe che non rispondono più ai miei comandi.
«Quindi, vediamo se ho capito…» 
Santo cielo, sono veramente arrivata a questi livelli? Da quando in qua un buzzurro dal cranio verde e muffo ti fa una simile paura Nami?    
«Ti sorride sempre, si siede sempre a mangiare con te, ti ha difeso con un paziente scettico per via della tua età, urlando quasi che “il dottor Chopper è il migliore” nel bel mezzo del pronto soccorso e ti ha anche dato un bacio e tu ancora non ti sei fatto avanti?»
Schiudo le labbra, stupita. Non credevo che Zoro conoscesse il significato di “scettico”.
«Non so se si può considerare un bacio “bacio”, Zoro!» protesta il suo interlocutore, che si rivela essere mio fratello e che, lo capisco dal suo tono, è imbarazzato. «Sembrava più un gesto di apprezzamento nei confronti della mia voglia mirtillo.»
Mi porto una mano alla bocca, ridacchiante. Da adolescente si faceva un sacco di menate per quella macchiolina blu sul naso ma ormai si è rassegnato anche se, a differenza mia, di Nojiko, di mamma e di questo nuovo misterioso soggetto, continua a non trovarla affatto adorabile.
«Se le sue labbra hanno toccato una parte del tuo corpo allora è un bacio, Chopper.» ribatte Zoro senza tante cerimonie. «E vale anche la punta del naso. Senza contare che non è l’unico indizio a tuo favore.»
«Sì ma lei sorride a tutti! E ha cominciato a sedersi con me a pranzo solo dopo quell’episodio con quel paziente scettico, appunto! Magari lo fa solo perché pensa che io mi senta a disagio oppure, che ne so, mi trova simpatico…»
«Se ti trova simpatico è un motivo più che valido per buttarti. Mi sembra evidente che gli piaci.»
«Sì ma se poi non gli piaccio in quel senso? Ci sono già passato con Lamy, non voglio rivivere di nuovo l’esperienza. È stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita.» aggiunge sconsolato e il mio stupore raddoppia. Perché è chiaro da come lo ha detto che sta parlando con qualcuno che è già al corrente della “faccenda Lamy”. Ma la “faccenda Lamy” risale a più di due anni fa, durante il tirocinio di un mese al Pronto Soccorso che tutti gli studenti devono sostenere al quarto anno di Medicina, e due anni fa Zoro era già a Kuraigana. Il che si spiega in un modo soltanto.
Per tutto questo tempo, a mia insaputa, Zoro e mio fratello sono rimasti in contatto e non un contatto saltuario. Per tutto questo tempo, Zoro ha continuato a essere suo confidente e consigliere, come quando era ancora qui. Per tutto questo tempo, non lo ha mai lasciato solo.
Mi mordo il labbro inferiore, sopraffatta. Zoro è sempre stato l’eroe di Chopper, un modello non proprio da seguire ma a cui guardare nei momenti di sconforto e difficoltà. Quando Zoro se n’è andato, parte del mio dolore – una infima parte, lo ammetto – era dovuto anche al pensiero che mio fratello avrebbe perso un riferimento tanto importante e non so esprimere il sollievo nello scoprire che in realtà non è mai accaduto.
Non so esprimere la gratitudine che provo in questo momento per quella zucca vuota, fissata con le spade.
Mi mordo il labbro inferiore mentre ascolto trepidante il resto della conversazione, con mio fratello che farfuglia scuse e giustificazioni, diviso tra l’ansia di combinare un pasticcio e la disperata voglia di invitare a uscire questa ragazza per cui è chiaro che si è preso una sbandata pazzesca e seria, non di quelle adolescenziali e che durano poco più di un’influenza.
«…’nque con Lamy sei anche rimasto amico.» gli sta facendo notare Zoro.
«Sì ma perché mi ha sempre visto come un fratello minore e poi Lamy non potrebbe mettere a disagio nessuno nemmeno se lo volesse. Shirahoshi è diversa. Se dovessi metterla in imbarazzo non riuscirebbe più nemmeno a salutarmi o guardarmi in faccia, figurati restare mia amica!»
«E questa è una bella notizia perché significa che di sicuro lei non ti vede come un fratello minore.» gli fa notare Zoro e io non trattengo una sommessa risata, nonostante il groppo in gola, che, per lo meno, stavolta è di felice commozione.
È indicibilmente stupendo sentirli parlare così. Solo Koala riuscirebbe a trovare le parole giuste per descrivere questo momento.
«Non potrebbe nemmeno volendo, è più piccola di me. È al secondo anno di Infermieristica.»
«Chopper ascolta.» Zoro si ferma per un secondo e lo sento distintamente inspirare profondamente dal naso, come fa lui quando deve affrontare un discorso importante e che gli sta particolarmente a cuore. «La cosa peggiore che può succedere è che lei non è interessata a te in quel senso e anche se non ci credi, ti posso giurare che non è la fine del mondo. Prendila alla larga se vuoi, non dirle subito che vuoi frequentarla, invitala al cinema e vedi come reagisce, dalle una scappatoia così non la metti in imbarazzo e non corri il rischio di perderla come amica. Però buttati, okay? Perché poi te ne penti, magari non subito ma tra sei mesi o tra sei anni finisce che te ne penti. E questa è veramente una di quelle cose per cui vale la pena rischiare nella vita.»
«Per Shirahoshi?» domanda Chopper, chiaramente perplesso.
«Per amore.»
Non so se è ciò che ha detto, se è come lo ha detto o se perché lo ha detto lui ma rimango per un momento completamente senza fiato. E anche se torno a respirare quasi subito l’improvvisa, viscerale voglia di girare l’angolo, precipitarmi da lui e baciarlo fino a rubargli anche l’anima non se ne va così in fretta come il senso di momentaneo soffocamento.
Ora ringrazio che le mie gambe non rispondano ad alcuno stimolo e mi tengano incollata qui perché so che altrimenti farei qualcosa di cui non potrei che pentirmi.
«Quindi tu dici che io… che dovrei…»
«Certo!» lo incita Zoro con crescente verve. «Potresti essere sfortunato e prendere un altro due di picche, e sarebbero sempre meno di quelli che mi sono preso io, oppure potrebbe andare bene. Il punto è che fa tutto parte della corsa, Chopper. E gareggiare significa rischiare, solo così si può vincere. Comunque vada, tra qualche mese o un paio d’anni ti verrà da ridere a ripensarci e se ti dice di no è lei che ci perde. E tu troverai altre ragazze, che faranno la fila per te.» 
«Tu, due di picche?» Chopper ride incredulo. «Ma fammi il piacere!»
«È la verità.» ribatte Zoro e credo che sia la prima volta che lo sento ammettere qualcosa che può minare la sua reputazione di inscalfibile uomo di pietra con tanta naturalezza e senza remore. Così come è la prima volta che lo sento fare un discorso tanto prolisso – prolisso per i suoi standard, ovviamente –. Ma ormai non mi stupisco perché questi pochi minuti mi stanno bastando per comprendere improvvisamente tutto un mondo. La dimensione migliore di questo universo. Il mondo di mio fratello e dell’uomo che amo in cui, come una ladra, solo per stasera, mi sono infilata di nascosto. «Non ho mai avuto fiuto per queste cose. Mi prendevo sempre sbandate per compagne di kendo a cui interessavano più le spade che non io. Forse era quello che mi fregava, che parlavano tanto di spade…»
«Non ci posso credere…»
«E invece credici. Chiedilo a tua sorella. Secondo me le viene un crollo nervoso solo a ripensarci, quanto l’ho fatta dannare.» mormora e non fatico a percepire un lieve sorriso nel suo tono. Il cuore, che mi ha saltato un cinque battiti buoni quando mi ha nominata, ora sta accelerando anche troppo. «Se le è passate tutte sai? Lei… c’è sempre stata. Nei momenti importanti e per me.»
I denti quasi mi si conficcano nel labbro come le unghie nei palmi. Come può farmi così male e così bene al tempo stesso? Con una frase che non significa niente, poi? E che in realtà, in realtà significa tutto…
Mi porto una mano al viso, non riuscirò a trattenermi ancora per molto. Fortunatamente, la mia buona stella ha deciso di graziarmi stasera.
«Zoro! Chopper!»
Sollevo la testa di scatto ma non mi preoccupo di stare a controllare contro cosa si è schiantato Rufy stavolta. Tanto Duval fa più danni di lui nel suo stesso locale.
«Venite? Io e Ace abbiamo bisogno di qualcuno da sfidare a calcetto!» li incita, sicuramente rimbalzando sul posto. Rimbalza sempre di fronte alla prospettiva di giocare a calcetto.
«Ma non dovevate giocare contro Brook e Franky?»
«Ma Brook non riesce a rullare!» protesta Rufy, con il broncio, si sente dalla voce che ha il broncio. «Non è divertente così e Franky ha già smontato e rimontato le sbarre tre volte! Ora sono a cantare e ballare sotto il palco. Dai venite!»  
Le sedie strusciano rumorose sul suolo di legno quando Zoro e Chopper si alzano per seguirlo. «Andiamo a fare il nostro dovere.» mormora Zoro, facendo ridacchiare mio fratello.
Ascolto attenta ed esperta i loro passi così famigliari allontanarsi e conto ancora fino a dieci prima di uscire dal mio nascondiglio, passandomi una mano sul volto per sicurezza. Prendo un respiro profondo, per recuperare ossigeno e calmarmi e mi concedo ancora un istante, per fare una rapida panoramica del locale.
Il gruppo è sparso ovunque, sotto il palco, al bancone, ai calcetti. Ho l’imbarazzo della scelta. Ma ovunque guardi c’è qualcuno a cui basterebbe un’occhiata per accorgersi che qualcosa non va. Robin al bancone che chiacchiera con Monet, Koala sotto il palco insieme a Law, Izou e Marco. Ai calcetti c’è lui.
Non so dove andare, per un attimo valuto anche di tornarmene in bagno e passarci il resto della serata ma proprio mentre sto contemplando quest’opzione i miei occhi si posano su di lui e cambio immediatamente idea. Non perché lui sia una safe-zone, anzi. Forse a lui non serve nemmeno guardarmi per capire ma è il modo in cui sta seduto sulla panca, dando le spalle al tavolo, i gomiti appoggiati alla superficie di legno. Sembra stanco e svuotato. È il modo in cui guarda qualcosa, o forse qualcuno, che si trova chiaramente dritto di fronte a lui, anche se io da qui non riesco a vedere. Mortificato e rassegnato.
È qualcosa, un’affinità elettiva di qualche genere che mi dice che stasera siamo due anime tormentate dallo stesso boia, che mi spinge a raggiungere Sanji e sedermi accanto a lui. Non un cuore, un uggiolio, un rivolo di sangue accoglie il mio arrivo, a conferma della mia tesi. Qualcosa non va.  
«Cosa c’è che non va, Nami-swan?» domanda calmo. Come volevasi dimostrare, non si è nemmeno voltato verso di me, anche se è sufficiente il tono che usa per farmi capire che basta che io chieda per avere la sua completa e totale attenzione, nonostante i pensieri che lo affliggono.
Sorrido malinconica e grata, perché questa non è semplice cavalleria che riserverebbe anche a una sconosciuta, ma vera amicizia. «Nulla a cui tu possa rimediare, purtroppo.» rispondo sincera.
Sto per chiedergli cosa invece tormenti lui ma mi basta seguire la traiettoria del suo sguardo per trovare da me la risposta. Sul limitare di una delle uscite di sicurezza laterali, aperta per far girare più aria in questa torrida sera estiva, Usopp e Baby chiacchierano divertiti e coinvolti l’una dagli aneddoti dell’altro, ignari di tutti coloro che li circondano o che li guardano.
«Sembrano… andare d’accordo.» mormoro cauta, lanciando a Sanji un’occhiata in tralice. Io per prima ho scherzato e fatto maliziose battute sul loro rapporto e, anche se una parte di me pensa che Sanji se la sia cercata, anche se una parte di me vorrebbe picchiare questo ragazzo che si venderebbe anche l’anima in nome dell’amicizia che ci lega, anche se una parte di me non riesce a perdonarlo per ciò che sta facendo passare ad Usopp, solo ora mi accorgo di quanto sia stato indelicato da parte mia.
Tendo a dimenticare che Usopp – come anche Sanji, d’altra parte – è bisessuale. Forse perché è così innamorato di lui che il suo solo orientamento sembra essere Sanji, forse perché io e Koala per lui siamo asessuate. Ma Usopp prova attrazione anche per le donne – altre donne – e, una volta tanto, mi sento molto più empatica con Sanji che con il mio migliore amico. Ancora di più dopo che sento la sua risposta alla mia superflua affermazione.
«Sono un idiota.»
Perché è esattamente come mi sento io.
«Non me lo merito.»
Torno a guardarlo, sorpresa. È la prima volta che lo sento dire una cosa del genere, esprimere disagio riguardo la situazione sua e di Usopp, incolparsene addirittura.
Stasera non è la mia serata, mi sto scoprendo più ignorante di quel che pensassi su più faccende. Sono sempre stata convinta che per Sanji andasse tutto bene, che gli andasse bene così, che fosse beatamente ignaro di cosa il suo testardo atteggiamento provocasse.
È Usopp quello insicuro, Usopp che è convinto di non meritarlo, Usopp che farebbe qualunque cosa per lui.
Mentre Sanji è così innamorato dell’amore da credere che basti, che non serva altro per portare avanti una storia, da vivere semplicemente l’attimo immerso in un costante coma diabetico che gli impedisce di vedere e percepire tutto ciò che sta dietro una relazione duratura tra due persone adulte.
O almeno, è così che dovrebbe essere. È così che ho sempre creduto che fosse. Ma mi sono sbagliata, non è affatto così.
E allora perché? Perché sta qui a guardare la persona che ama mentre gli scivola via dalle mani come sabbia tra le dita? So che loro non sono noi, ma lo vedo quanto è spaventato e non voglio che commetta il mio stesso errore.
«Sanji.» lo chiamo. «Perché non lo ammetti e basta? Lui non aspetta altro, lo sai.»
Sospira e lentamente immerge le dita tra i capelli, si scosta il ciuffo biondo dalla fronte, scoprendo per un attimo le sopracciglia arricciate nella stessa direzione, e si gira verso di me con un sorriso abbacchiato. «Perché quando lo ammetterò, diventerà reale.»
Corrugo per un attimo le sopracciglia, presa in contropiede, e sbuffo una risata perplessa. «E sarebbe una cosa così brutta?»
«No.» ora è lui a ridere, tra il divertito e l’amareggiato. «Assolutamente no, anzi. Sarebbe la cosa migliore della mia vita. Ma se diventa reale, Nami-swan, sarà sotto gli occhi di tutti quanto poco sono all’altezza. Tutti vedranno che Usopp è troppo per me e a un certo punto lo vedrà anche lui.»
Se fosse fisicamente possibile la mia mascella precipiterebbe a terra. Mentre cerco qualcosa di sensato da dire, il mio cervello arriva alla frutta. Il mio mondo stasera si sta completamente ribaltando e non riesco a ritrovare l’uso della parola abbastanza in fretta.
«Vedi, la realtà è che il codardo sono io. E lui è quello veramente coraggioso. Lui non ha paura e se solo riuscissi a essere come lui, solo per un attimo, allungare una mano e afferrare tutta questa felicità, afferrarla davvero, viverla fino in fondo… Ma ho troppa paura, Nami. E quando arriverà il giorno che Usopp si accorgerà di meritare di meglio sarà più facile non dover dare spiegazioni a tutti. Ecco perché non lo voglio dire. E così mi accontento, mi accontento di quello che posso avere finché lo posso avere e mi accontento di non viverlo fino in fondo quanto dovrei.» si passa pollice e indice sugli occhi e torna a sorridermi come poco fa. «Te l’ho detto, no, che sono un idiota.»
«Sanji non…»
Uno strepitio eccitato mi interrompe e ci giriamo d’istinto verso la porta tagliafuoco, in tempo per vedere Baby lanciare le braccia al collo di Usopp, che si sbilancia appena e la afferra per i fianchi per mantenere l’equilibrio. Percepisco Sanji congelarsi accanto a me e non oso voltarmi a guardarlo apertamente. Baby sguscia via dalle braccia di Usopp che, sorridente, la segue con lo sguardo mentre si getta a gambe levate all’interno del locale e tra la folla, diretta verso il palco.
«Con permesso, Nami-swan.» Sanji si sblocca e fa pressione con le mani sulle cosce mentre si alza stancamente dalla panca. Sembra schiacciato da un peso invisibile e mi si stringe il cuore a vederlo così.
«Aspetta…» provo a fermarlo debolmente ma stasera le mie doti oratorie sono sparite non so dove e lo lascio fare, impotente, quando mi posa una mano sulla spalla e si china per schioccarmi un bacio tra i capelli.
«Tranquilla.» sussurra con una voce che mi fa venire il groppo in gola. «Andrà tutto bene.» mi assicura.
Ma non riesco a capire, mentre lo osservo allontanarsi, se sta parlando con me o con se stesso. 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


«Cioè capisci? Non volevo che una normale, pulita, impeccabile manicure e invece me ne sono dovuto andare in giro per due settimana con la french!»
Law mi lancia un'occhiata e solleva un sopracciglio e io scuoto il capo divertita prima di dare voce al nostro comune pensiero. «E perché non l'hai tolta prima? Mica è un tatuaggio permanente o un'operazione a cuore aperto.»
Marco e Robin sogghignano. Marco di certo conosce già la risposta ma su Robin ho qualche riserva. Si è trovata insospettabilmente bene con Izou e ci chiacchiera tanto, quindi potrebbe già aver sentito l'inquietante racconto dell'estetista che ha attentato alla sua reputazione con una french manicure. Tuttavia non mi stupirei se avesse semplicemente intuito la risposta. Non ti stupisci più di certe cose quando la tua migliore amica ha lo stesso quoziente intellettivo di Vegapunk.
«Era una manicure da 40 berry, Koala.» ribatte Izou, con rimprovero. «E poi Valentina ha quasi sputato bile per l'invidia.» aggiunge con un ghigno sadico e soddisfatto.
Valentina, se la cosa può interessarvi, è la curatissima, bellissima, magrissima centralinista della Ivankov&Co.. Pettegola di prima categoria, ha la lingua così biforcuta che l'abbiamo soprannominata "Zizzania" e non perde occasione per sbandierare i costosissimi regali di cui il suo facoltoso fidanzato la omaggia con cadenza bisettimanale. Per quanto la cosa a me non faccia né caldo né freddo non posso negare che sia una persona snervante e dalla cattiveria facile, ragion per cui non mi stupisco che tra lei ed Izou non corra buon sangue. Si sa che i caratteri simili cozzano facilmente.
Certo non sento il bisogno di spiegarlo a Bibi, che ancora ride dell'aneddoto – o più probabilmente del modo che ha Izou di raccontarlo –, appoggiata alla spalla di Law.
Siamo sotto il palco a chiacchierare da non so esattamente quanto, non penso sia passato poi molto comunque, visto che Law ancora si stringe la borsa del ghiaccio all'inguine. Insomma, dopotutto l'ho colpito solo di striscio – se lo avessi colpito in pieno con una palla da bowling ora saremmo al pronto soccorso, altro che sotto al palco –, quindi o è passato poco tempo o non molla il ghiaccio per farmi sentire in colpa. Il che sarebbe una perdita di tempo perché io non ho fatto proprio niente. E' lui che mi è spuntato alle spalle all'improvviso.
Robin ci ha raggiunto da pochi minuti ma non ha faticato affatto a inserirsi nella conversazione mentre io ormai non mi preoccupo nemmeno più di ammonire Izou, almeno non davanti a chi palesemente sa. Già tenerlo d'occhio davanti agli altri è abbastanza sfinente. Fare la scena con Law, Robin e Bibi – che non so se lo ha saputo da Law o ci è arrivata da sola, visto che è tutto fuorché stupida – sarebbe un inutile spreco di energie e stasera, grazie a Nami, ho già dato.
«Grande recupero prima, comunque.» sogghigna Law e la mia reazione tarda giusto qualche istante, il tempo che mi concedo per stupirmi dal momento che sembra avermi letto nel pensiero, cosa che in verità avrebbe dovuto smettere di sorprendermi all'incirca vent'anni fa. Ma Law è Law e non ci si abitua mai al suo lato umano e prodigo di empatia.
Scrollo le spalle con falsa noncuranza. «Un gioco da ragazzi.» minimizzo, ignorando la luce vendicativa negli occhi del mio sedicente migliore amico.
Non m'importa se è convinto che faccia apposta a colpirlo nei gioielli, non cederò alla sua provocazione né gli permetterò di riportare l'attenzione su me e Izou e quanto accaduto poco fa, per sopperire alla mancanza di aneddoti di cui la relazione di Marco e Nami continua a essere afflitta.
«Bibi allora, scelta la torta?» dirotto prontamente il discorso in territorio neutrale. Dopotutto in questa decisione Law non ha praticamente voce in capitolo, dal momento che per lui il pan di spagna è un surrogato del pane e per quanto Pudding sia una fuoriclasse non credo riuscirebbe a preparare una torta per tutti quegli invitati con base di frolla. Ergo, si limiterà ad avvallare qualunque scelta di Bibi e poi fingerà di avere mangiato il dolce e averlo trovato strabiliante davanti a Pudding, una recita di circa cinque minuti la sera del matrimonio.
«Credevo che andandoci di persona sarebbe stato più semplice ma sono una povera illusa.» sospira lei. «E' impossibile scegliere. Anche dopo aver scremato sono ancora indecisa tra la regina del bosco, il trionfo di cioccolato...»
Mentre la ascolto elencare cinque tra le più note e libidinose torte di Pudding, non mi accorgo quasi di essermi portata una mano allo stomaco che, dopo giorni di inaspettata tregua, ha ripreso improvvisamente a pulsare. Sembra quasi una reazione negativa ai dolci del Whole Cake, il che è stranissimo – per non dire impossibile – visto che sono praticamente il mio peggior vizio, dopo il gelato di Kuzan.
«E poi certo c'è sempre la meringata al limone che mi piange il cuore a non poterla nemmeno prendere in considerazione.»
Law si gira a guardarla, sorpreso. «Non me lo avevi detto questo.»
«Perchè?» Bibi ride, un pelo nervosa, un po' rossa sulle guance e lievemente perplessa. «Cosa cambia rispetto alle altre torte?»
«La meringata al limone la mangia anche lui. Ha la base di frolla e gli piace perché è lievemente acidula. Anche se lui questo non te lo avrebbe mai detto perché non sia mai che il fiero Trafalgar Law possa apprezzare una cosa come un dessert. Non lo sai che i dessert sono per i deboli?» intervengo senza pensare, lanciandogli un’occhiata, a lui e al suo ghigno, ma con il preciso intento di stemperare l'imbarazzo di Bibi. Cosa in cui riesco, almeno finché Robin non mormora: «La meringata al limone non è la preferita di Sabo?»
Bibi torna rossa, chiaramente a causa della meringata al limone, e Law, tornato serio, solleva un sopracciglio. «E quindi?» domanda, ignaro del concreto rischio che la sua fidanzata sta correndo di andare incontro all'autocombustione.
«Mi è solo venuto in mente.»
La osservo sorridere serafica, il volto più indecifrabile di un Poignee Griffe. Non ho veramente idea di cosa le passi per la testa ma nemmeno ho il tempo per indagare quando un fulmine moro e urlante passa correndo in mezzo a noi, in direzione del palco, talmente in fretta che mi domando se non abbia appena avuto un’allucinazione.
«Era Baby, quella?» Marco spezza i nostri dubbi con la sua solita flemma e a questo punto il colore di Bibi non corrisponde più a nessuna sfumatura di rosso esistente.
Beh, per lo meno non sono diventata pazza.
Ma tanto per stare sicuri riguardo la nostra per il momento ancora intatta sanità mentale, ci giriamo tutti verso il palco, a cercare una conferma alla domanda di Marco, per scoprire che sì, effettivamente il fulmine di guerra è proprio Baby, che parla con Apoo, uno dei collaboratori di Duval che si occupa della musica e delle esibizioni dal vivo.
Baby ha le mani giunte sotto il mento, gli occhi che brillano e vibra come se si stesse trattenendo dal mettersi a saltellare sul posto. Stasera non sono previste esibizioni di inediti ma solo karaoke, ragion per cui non mi è difficile capire quale sia il nocciolo della questione quando Apoo sparisce per un attimo e poi torna con una chitarra. Baby salta su come un petardo nel capire che la sua richiesta è stata accolta e smette finalmente di torturarsi le unghie e il labbro inferiore, felice come Rufy al parco a tema di Sabaody.
Sorrido sotto i baffi. E così Baby aveva smesso di suonare la chitarra eh? Da come subito se la aggancia a tracolla e la accorda con mani esperte, da come si muove in generale sul palco e non perde contatto visivo con il per ora parco pubblico che attende con moderato interesse, sembra la frontlady di una band. In fondo, non mi stupirei. Ha già dimostrato di non essere sottomessa e docile come sembra a volte, senza contare che questo conferma il mio sospetto riguardo Crocodile. E' impossibile che abbia continuato a suonare tutti questi anni senza l'appoggio di almeno suo padre. Comincia a starmi seriamente simpatico.
Faccio per lanciare un'occhiata a Bibi, certa di trovarla felice e orgogliosa di lei, ma un flash di qualcosa sgretola le mie intenzioni. Mi rigiro già in palla verso il palco e osservo con più attenzione. Apoo le ha portato un microfono ad asta doppio, con un gelato in cima per lei e uno più in basso per amplificare il suono della chitarra, e a metà tra i due un leggio. Leggio su cui, non so come, è posato il mio libretto con la copertina a stampa azteca. Il mio libretto che non so come era finito negli scatoloni di casa Monkey. Il mio libretto che Sabo stava per aprire e leggere e che io gli ho strappato dalle mani per cosa?!
Lasciarlo in giro e permettere a qualcun altro di trovarlo evidentemente!
Per un attimo soltanto valuto la possibilità che sia solo un caso, che sia un altro libretto identico al mio e improvvisamente so cosa significa attraversare una seppur brevissima fase di negazione.
Baby picchietta sul microfono con l'unghia lucida e curata, richiamando l'attenzione di una buona fetta del locale.
«Buonasera.» comincia con un sorriso lievemente imbarazzato. Difficile dire se perché non è abituata a parlare in pubblico o non è abituata a fare questa cosa nello specifico.
Ancora più gente si volta incuriosita, dedicandole tutta la propria attenzione e io smuovo le spalle, agitata. Non è un così grosso problema. Non è il mio diario segreto o che so io e non sono il tipo di persona che si fa menate se viene fuori ciò che pensa. Vorrei solo capire cos'ha intenzione di usare di ciò che ho scritto in chissà che fase della mia vita.
«So che stasera non sarebbe la serata delle esibizioni ma non so se riuscirò a tornare qui e il mio caro Usopp mi ha convinta a lanciarmi e...»
Per un attimo mi dimentico del libretto e di tutto il resto e arcuo le sopracciglia.
"Il mio caro Usopp"?
E' più forte di me cercare Law con gli occhi. Lui mi sta già fissando e quando i nostri sguardi si incrociano solleva un sopracciglio. Non riesco a trattenere un sorriso anche se non c'è molto da ridere. Sanji non l'avrà presa bene per niente e, anche se un po' se l'è cercata, mi dispiace per lui.
«Amico! Volevo dire il mio caro amico Usopp!» urla quasi Baby nel microfono. «E... ehm... non è l'unico che devo ringraziare comunque...»
Mio malgrado, mi concentro di nuovo sul libretto. E' proprio il mio. E, anche se non riesco a capire cosa ci abbia trovato Baby di così interessante, cerco di stare tranquilla.
«Ehi, che succede? Baby si esibisce?» chiede Ace, raggiungendoci con il braccio saldamente ancorato al fianco di Perona.
Sì, è vero, ci sono cose anche intime lì dentro e qui stasera è pieno di gente che mi conosce più o meno a fondo ma sicuramente non meglio di me stessa. Perciò, se Baby si tiene per sé la provenienza del libretto, sono salva.
«E per finire Koala, che mi ha ispirata con le sue meravigliose parole. Era da tanto che non componevo così di getto ma quando ho letto il tuo testo non sono riuscita a trattenere le mani. Grazie di cuore.» conclude, prima di posizionarsi meglio di fronte all'asta.
La fisso, il sorriso congelato sul volto. Magnifico. Precisamente quello che speravo.
Non riesco a muovermi ma sono consapevole di molte – troppe – paia di occhi su di me, tutte molto – troppo – famigliari.
«Il testo di Koala?!» domanda Sabo, spuntato non so da dove né quando.
«Ah cavolo! Mi sono dimenticato di dirtelo!» esclama Ace e io mi giro verso di lui con un sorriso che potrebbe congelare l'inferno. Ace non aspetta che io indaghi oltre mentre Baby finisce di accordare la chitarra. «Lo ha trovato in giro a casa e voleva chiederti se poteva usarlo. Gli ho detto di fare pure dopo aver visto che era il quaderno delle nostre canzoni. Non è un problema vero?»
Sbatto le palpebre, presa in contropiede.
Il quaderno delle nostre canzoni? Questa non me l'aspettavo.
Quello delle nostre canzoni è un quaderno con tutti i testi che avevo scritto da far musicare a Ace, quando stava attraversando quel periodo nero intorno ai quindici anni, per tenerlo impegnato e lontano da cattive compagnie, su consiglio di Robin e con l'aiuto di Satch. Testi senza pretese, scritti da me solo perché ero la più veloce a trovare delle rime più pregnanti di "cuore/amore" o "kiss/miss".
Ma non è quel libretto. Quello è una raccolta senza coerenza, un'accozzaglia di pensieri e riflessioni scritti così, quando mi colpivano e senza un filo logico, dalla prima liceo fino a poco dopo l'università.
Ma c'è una sola spiegazione se Ace pensava fosse il nostro quaderno. C'è un solo testo là dentro che può sembrare scritto per essere musicato e quando lo realizzo mi giro di nuovo verso il palco, rigida e divisa.
«Koala?»
 
[Castle on the hill – Ed Sheeran, cover by Nicole Cross]
 
Un parte di me vorrebbe fermarla, l'altra dice che non è un problema.
 
When I was six years old,
I broke my leg
I was running from
my brother and his friends
 
E quando Baby comincia a cantare mi accorgo subito che è vero.
Non lo è.
«Nessun problema Ace.» rispondo e il mio sorriso torna quello solare di sempre, con giusto un'ombra di malinconia e una spolverata di divertimento. Questa canzone non parla semplicemente di me. Parla di noi. Di tutti noi. Ma soprattutto parla di lui.
 
And tasted the sweet perfume of the mountains
and grass all around
 
Non credevo sarebbe mai successo. Non credevo sarebbe mai diventata una canzone, per il semplice fatto che non ho mai avuto il coraggio di farla leggere a Ace. Tutto questo non era affatto previsto.
 
I was younger then
Take me back to when
I've found my heart and broken it
made friends and lost them through the years
And I've not seen the roaring fields in so long
I know I've grown
But I can't wait to go home
 
Mi accorgo vagamente della folla che comincia ad accalcarsi sotto al palco, fagocitata dal turbinio di emozioni che mi attraversa. Ace mi spettina i capelli e io gli lancio un’occhiata sorridente e velocissima, prima di tornare a guardare il palco. Sento il respiro di Sabo sul lobo dell’orecchio e poi la sua voce che riesce a filtrare tra i miei pensieri.
«Parla di noi?» domanda, non so bene se a me o a se stesso.
Ma non è verso di lui che mi volto mentre rispondo: «Sì, parla di noi.»
Anche.
Nemmeno si accorge del mio sguardo, concentrato sull’esibizione, Bibi ancora appoggiata al petto. È impossibile dire cosa stia pensando, se abbia capito.
Non volevo che partisse, non l’ho mai voluto. Volevo che restasse qui con noi, con me. Ma volevo anche che seguisse i suoi desideri, le sue aspirazioni e sapevo, nel profondo sapevo, che non lo avrei perso solo per qualche chilometro tra noi.
 
I'm on my way
Driving at 90 down those country lanes
Singing to "Tiny Dancer"
 
Ma ho sempre sperato, per quanto egoista possa suonare, che queste fossero un po’ anche le sue emozioni. Che gli mancasse casa. Che gli mancassi io.
 
And I miss the way
You make me feel
And it's real
When we watched the sunset over the castle on the hill
 
Scrolla le spalle come quando è a disagio e mi sorge il dubbio che si sia accorto del mio sguardo fisso, che riesco a distogliere appena in tempo, un attimo prima che il testo arrivi a quella frase che non lascia più dubbi e lui si giri verso di me.
Una voce nella mia testa mi dice che non è giusto, che questo momento è il nostro momento ma non la sto nemmeno a sentire. Le cose sono cambiate. Non posso semplicemente sorridere del suo stupore come se niente fosse.
 
Fifteen years old and smoking hand-rolled cigarettes
Running from the law through the backfields and getting drunk with my friends
Had my first kiss on a Friday night
I don't reckon that I did it right
 
Un braccio sguscia intorno alla mia vita e il profumo al ciliegio dello shampoo di Robin mi investe. Mi rilasso contro il suo fianco e lei mi scocca un materno bacio sulla tempia. Non so dire se sia accorta del mio non-scambio di sguardi con Law o se sia semplicemente emozionata, nel suo pacato modo di esserlo, per tutti i ricordi che questa canzone le suscita.
Mi giro verso di lei, insieme ci giriamo verso Sabo, che ora è rosso come un peperone al ricordo di quella serata, e scoppiamo a ridere per la sua reazione.
Insomma dopotutto era solo per provare.
 
I was younger then,
Take me back to when
 
Chi non ha mai baciato il proprio migliore amico per allenarsi a giocare a sette minuti in paradiso? E avevamo solo quattordici anni.
La tentazione di guardarlo è ancora più violenta ma riesco in qualche modo a controllarla. Miracolosamente.
 
We found weekend jobs, when we got paid
We'd buy cheap spirits and drink them straight
Me and my friends have not thrown up in so long
Oh, how we've grown
But I can't wait to go home
 
Robin si china in avanti per dirmi qualcosa e io stiro la schiena all’indietro per aiutarla nel suo intento.
«Io non mi sono mai ubriacata però.» mi fa notare e io la guardo da sotto in su, con un sorriso divertito.
«Ho provato a inserirlo ma non ci stava proprio nella musica.»
«Un’ottima motivazione.» concede, prima di rimettersi dritta.
 
I'm on my way
Driving at 90 down those country lanes
Singing to "Tiny Dancer"
 
Mi abbraccio da sola mentre mi lascio inghiottire di nuovo dalla musica. Sono così grata a Baby per aver reso possibile questo momento. E a Sabo per aver tirato fuori i vecchi scatoloni.
E proprio perché inatteso mi rendo conto di quanto sia ancora più speciale. Il mio corpo vibra con le corde della chitarra, scosso dal ricordo di emozioni che non si sono mai nemmeno sbiadite nella mia testa, vivide come la prima volta in cui le ho provate.
 
And I miss the way
You make me feel
And it's real
When we watched the sunset
Over the castle on the hill
 
La prima notte alla casa-affido. La prima volta a Goa. La prima volta alla Collina del Sole.
La prima vacanza senza i genitori. Il primo giorno di liceo. L’ultimo giorno di liceo. La prima rimpatriata.
E prima di potermi accorgere cosa sto facendo, mi sono girata di nuovo verso di lui.
 
And I'm on my way
I still remember these old country lanes
When we did not know the answers
And I miss the way
You make me feel
And it's real
When we watched the sunset over the castle on the hill
 
E trattengo il fiato perché anche lui sta guardando dritto verso di me.
Intensamente e imperscrutabile. Impossibile dire cosa stia pensando e per un infinito, orrido attimo mi sorge il dubbio che non abbia apprezzato.
Anche se non se la prenderebbe mai con me per aver semplicemente messo nero su bianco le mie sensazioni.
Perché sa che questa sono io.
Mi rilasso quando le sue labbra si piegano in un ghigno storto che non posso fare a meno di ricambiare.
La prima volta che l’ho visto sorridere.
E mi basta per rendermi conto.
Le cose saranno anche cambiate ma noi due siamo sempre gli stessi.
Non importa dove saremo e cosa succederà.
Questa è una certezza che porterò sempre con me. 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Le stazioni alla sera sono posti pericolosi.
Glielo dicono da quando è abbastanza grande per capire. Non accettare caramelle dagli sconosciuti, metti sempre il giubbotto catarifrangente quando esci con la bici, se ti perdi chiama un taxi perché l'autobus e la stazione sono posti pericolosi. Soprattutto alla sera.
In meno di mezz'ora ha infranto due regole, il che lo rende quanto meno un recidivo. D'altra parte non è più così piccolo. Lui di sicuro non ci si sente, piccolo, non se si parla di età.
Se ancora un barlume d'infanzia c'era in lui, l'ha distrutta questa sera, da nemmeno mezz'ora. Ha fatto quella cosa che sempre fanno gli adulti.
Ha usato le parole per ferire e, come gli adulti, non riesce a capire come chiedere scusa.
"Tu non sei mio padre".
Le parole risuonano nella testa, come se un disco rotto gli si fosse infilato nel cervello.
"Tu non sei mio padre".
E il viso di Dragon che scivola giù sul pavimento, la bocca che si apre per un attimo, incredula.
"Tu non sei mio padre".
La rassegnazione nei suoi occhi. Il senso di colpa verso se stesso per non aver fatto abbastanza, per non essere abbastanza.
"Tu non sei mio padre".
Distoglie lo sguardo. Non riesce nemmeno a guardare suo figlio.
No, non suo figlio.
"Tu non sei mio padre".
"Tu non sei mio padre".
«Basta...»
"Tu non sei mio padre".
«Basta, basta, basta!!!» picchia i pugni sulle tempie. Il dolore sovrasta la voce e non c'è un attimo da perdere.
Deve concentrarsi su altro, qualsiasi altra cosa, o già sa che quel ritornello tornerà a tormentarlo.
Si guarda intorno. Non è alla stazione centrale di Raftel, la bella, curata, pulita Raftel Central Station, illuminata a giorno anche di notte. Troppo rischioso andare là, troppo facile per loro trovarlo.
E' alla stazione Nord, quella periferica, quella sporca e cadente, dove le panchine scrostate di ferro battuto arrugginiscono così in fretta che si può assistere al fenomeno ad occhio nudo. Come con lui.
E' buio lì e in lontananza ci sono due barboni che litigano per un cartone di vino scadente e annacquato. Forse non è stata tutta questa grande idea. Forse le stazioni sono davvero pericolose, di sera.
Stringe le mani intorno al bordo della panchina e gli sembra di non stringere niente. Dovrebbe esserci altro incastrato nella sua mano sinistra, non un'asta di ferro a chiazze verdi e arancioni. Dovrebbe esserci un'altra mano, la mano che ha stretto così tante volte durante tutti quei temporali ma che ora non può stringere, anche se vorrebbe.
Scuote la testa. Non ha senso preoccuparsi o spaventarsi.
E' alto, sa di sembrare più grande della sua età e pedala veloce. Lancia un'occhiata di striscio alla sua bicicletta. Non l'ha nemmeno assicurata al palo, casomai dovesse allontanarsi in fretta e, comunque, non ha intenzione di lasciarla lì. Dovrebbe pagare un biglietto in più, per la bici, ma tanto che differenza fa? Non ha i soldi nemmeno per sè.
Non spera di arrivare molto lontano. Dressrosa non è nemmeno da prendere in considerazione. Minion forse, se il controllore non sale troppo presto. Stanotte non si dorme.
E una volta là?
Scrolla le spalle.
Ci penserà sul momento. Sa come cavarsela, è un tipo in gamba. E non è più un bambino.
"Tu non sei mio padre".
«Basta!» e i pugni stavolta li picchia sulla panchina.
«Scusami. Non credevo di essere così molesto.»
Inutile fingere, questa volta si è spaventato davvero. Ma non lo si può biasimare, quel tizio seduto di fianco a lui – a un'altra persona distanza ma pur sempre di fianco a lui – sembra spuntato fuori dal nulla, non lo ha nemmeno sentito avvicinarsi.
Non lo riesce a distinguere molto bene ma se non sbaglia ha il cappuccio tirato sulla testa. Sta fumando una sigaretta e dall'odore sembra alla vaniglia. Lo fissa a sopracciglia corrugate, infastidito.
«Non ce l'avevo con te.»
«Mh? Oh beh nemmeno io ce l'avevo con te.» l'uomo si stringe nelle spalle e poi gira il busto verso di lui, appoggia il gomito allo schienale della panchina. «Ma se non ce l'avevi con me, con chi stavi parlando?»
Solleva un sopracciglio. Sarebbe il momento giusto per alzarsi e cambiare panchina ma, per un qualche motivo, resta lì.
Forse se non gli risponde e fa scena muta il tizio capirà l'antifona e se ne andrà lui.
«E tu con chi stavi parlando allora?» domanda. Difficile dire se gli da più fastidio l'atteggiamento di quel pazzoide o il fatto di non essere riuscito a trattenersi. Non lo sa nemmeno lui.
«Nessuno in particolare.» risponde lo sconosciuto con una stretta di spalle che  sembra dire "Non è ovvio". «Lo sai che dicono che parlare da soli è segno di pazzia?» aggiunge, complice, e si piega verso di lui.
E' pazzo davvero e sì, le stazioni sono pericolose e non solo di sera probabilmente. E' il momento di andare. Alzarsi, prendere la bici e allontanarsi il più in fretta possibile.
«La mano ti sanguina?»
Le gambe non rispondono. Ora che gliel'ha chiesto si è accorto che sì, la mano gli sanguina eccome e brucia anche da morire. «Ecco mettici questo.» lo sconosciuto gli mette tra le mani un fazzoletto di stoffa. Basta il tatto per sentire che è di qualità, di quelli che probabilmente hanno le iniziali del proprietario ricamate in un angolo.
Come quelli di Dragon.
"Tu non sei m..."
«Parti o arrivi?»
«E tu?»
Grazie per aver fermato il pensiero. Chiunque tu sia.
«Non lo so. Arrivo, in teoria ma se tu parti temo che dovrò cambiare programma. Che bendaggio ben fatto» si complimenta.
Ormai ci vedono tutti e due come se fosse giorno, anche se è buio.
«Sei un medico?»
«Devo cominciare la specializzazione»
«Qui a Raftel?»
Lo sconosciuto annuisce. «Dicono che è una buona idea cambiare città per specializzarsi. Aiuta a non restare fossilizzati e farsi valere. E poi a me piace cambiare. Magari Raftel diventerà la mia nuova casa. O magari finito qui partirò con i medici senza frontiere. Anche tu stai cercando una nuova casa?»
Si gira a guardare il suo strano interlocutore e una sensazione vecchia ma sempre nuova lo assale. Odia quella sensazione. Odia sentire lo stomaco chiuso e gli occhi che pizzicano. Odia non poter rispondere di no.
Lui ha già una casa ma non ci può tornare. Lì, a Raftel, la sua città dove non può restare. Dalla sua famiglia che non può più chiamare così.
Quindi annuisce e spera che il rumore del nodo in gola, che ha provato a mandare giù ma che è rimasto lì, lo abbia sentito solo lui.
«Hai già scelto dove andare? Da qui si può arrivare a Dressrosa e ho sentito dire che è bellissima»
«Non sono un bambino!» esclama senza coerenza ma lo sconosciuto continua a sorridere imperterrito.
«Certo che no. Ehi mi è venuta un'idea! Perchè mentre decidi dove andare non vieni da me e mi fai compagnia per cena? Ho degli onigiri pronti che sono la fine del mondo!»
Sa che non dovrebbe sentirsi sollevato. Diffidente semmai. Ma il sorriso di quel tizio ha qualcosa di famigliare e amichevole e... rassicurante.
Come la sua mano che vorrebbe stringere ma non può. E tanto l'istinto quanto lo stomaco gli dicono di fidarsi.
«Non ti conosco nemmeno»
Perchè essere testardo è il suo marchio di fabbrica, non c'è niente da fare.
Lo sconosciuto spalanca appena gli occhi, sembra divertito ma non lo sta prendendo in giro, è chiaro questo.
«Ti ho dato il mio fazzoletto e posso offrirti...» si sofferma mentre rovista nella tasca della felpa da cui tira fuori qualcosa di piccolo e tondo. «...una caramella alla liquirizia. Dopo tutto questo se ti dico anche il mio nome possiamo dire che ci conosciamo?»
Guarda la caramella, poi lui, poi di nuovo la caramella.
Non ha mai usato il giubbotto catarifrangente e non ha esitato un istante a precipitarsi lì alla stazione. Una regola in più o in meno che differenza può fare?
Guarda la caramella, guarda lui, prende la caramella.
La mano dello sconosciuto resta tesa.
«Mi chiamo Cora»
Ha smesso di sanguinare, non rischia di sporcarlo. E, comunque, se anche fosse dubita che al tizio importerebbe.
«Law»

 
«Law?!»
Sobbalzo, il cellulare all'orecchio, immobile come una statua in mezzo alla banchina.Non che dia a fastidio a qualcuno, è praticamente deserta.
«Ci sei o hai il cellulare in tasca e ti è partita la telefonata per sbaglio?»
Corrugo le sopracciglia e lancio un'occhiata di striscio al cellulare, come se così facendo potessi vederla. «Koala, se mi fosse partita per sbaglio e con il cellulare in tasca, non avrei potuto dirti che mi era partita per sbaglio» ribatto.
«Un'ipotesi dovevo pur farla» si giustifica e la immagino mentre si stringe nelle spalle. «Oh questa te la devo raccontare! Qualcuno è entrato nella casella di posta di Iva e ha mandato un’email a tutta l’azienda, a nome suo, per indire un contest di parrucche afro per oggi. È un delirio!»
«Un… contest di parrucche afro?»
Devo aver sentito male. 
«Sì! E dovresti vedere Usopp! È veramente pazzesco, non l’ho mai visto così spavaldo, sembra un’altra persona!» ride nella cornetta, una risata così divertita che mi viene quasi voglia di essere lì con lei. 
E a quanto pare ci sento molto bene. Stanno effettivamente tenendo un contest di parrucche afro nel bel mezzo dell’orario di lavoro.
«Affascinante» commento asciutto e senza sarcasmo. Perché è vero, l'ecosistema rappresentato dalla Ivankov&Co. è affascinante. Come può esserlo uno scarabeo stercolario che accumula feci per l'inverno agli occhi di un entomologo o i tempi di pulsazione delle giganti rossi per un appassionato di astronomia.
È affascinante come il livello di degrado che riesce a raggiungere l'umanità.
C'è un tale numero di casi umani là dentro che nessuno obbietterebbe se qualcuno sigillasse gli ingressi e ci mettesse la scritta manicomio. E se ciò accadesse molte poche persone potrebbero uscirne dimostrando la propria sanità mentale.
La cosa confortante è che Koala fa ancora parte di questo esiguo numero di persone, anche se non ho ancora capito come ci riesca. Forse perché, in fondo, è un po' pazza anche lei. In un modo tutto suo e tutto salutare di esserlo.
«Sì, lo so, siamo irresistibili da queste parti. E' un requisito fondamentale per l'assunzione»
«Allora Sabo avrà provato a candidarsi»
«Ha pianto per una settimana quando non lo hanno assunto» mi da corda e io sogghigno. «Come mai mi hai chiamato? Ancora Bon-chan?»
Un brivido omicida mi coglie solo a sentire il suo nome. «No, lui non c'entra» mormoro metallico, gli occhi fissi nel vuoto, ma mi riscuoto subito. Ho già tergiversato anche troppo. »Puoi prendere la mattinata libera Giovedì?»
Per un momento mi risponde solo il silenzio e me la figuro che corruga le sopracciglia e sorride al contempo, in un'espressione divertita e perplessa insieme. Ghigno ancora di più. E' sempre stata così. Odia e adora le sorprese. Adora il brivido dell'attesa, odia non sapere cosa sta per succedere. Ma forse in realtà adora un po' anche quello.
«Hai la prova della cerimonia Giovedì mattina» mi fa notare.
«Alle undici. Volevo farti vedere una cosa prima»
«Beh ecco...» mormora e, lo so anche se non sono lì, posa il mento su una mano.
«Quando abbiamo finito ti riporto in ufficio se vuoi. Ma se ti va di assistere anche alle prove non dovresti farti problemi, viene anche Robin»
«Non è tutta una scusa per usarmi come scudo con padre Gan Forr, vero?»
Sollevo un sopracciglio e faccio per darle una delle mie caustiche risposte ma stamattina sono stranamente – ma non poi così incomprensibilmente – di buon umore.
«Se fosse mi abbandoneresti così?» le chiedo.
«Oh come potrei?!» ribatte lei, marcando apposta il tono melodrammatico. «Va bene. Se c'è qualche problema ti avviso ma in linea di massima facciamo alle nove e trenta?»
Annuisco anche se non può vedermi. «Vengo a prenderti a casa.»
«Perfetto! Ora torno al lavoro. Ma è già arrivato?»   
Apro la bocca per rispondere di no ma la campanella che annuncia l’arrivo del treno – e che mi ricorda ancora una volta quanto è vecchia e per niente tecnologizzata questa stazione – risponde per me.
«È la campanella del treno?»
«Sta passando davanti a me in questo momento.» confermo, osservando locomotiva e vagoni sfilare di fronte ai miei occhi.
«Ti lascio a lui, allora.» soffia Koala, con un sorriso nella voce. «Ci sentiamo stasera.»
«Sì, a stasera.» ribatto, prima di chiudere la telefonata senza staccare gli occhi dal mezzo.
Essendo un treno vecchio, non ha i posti assegnati e non ho la benché minima idea di quale sia il vagone su cui potrebbe trovarsi  così, non appena le porte si aprono con un rumoroso sbuffo, allerto tutti i sensi per essere certo di riuscire a individuarlo.
Una precauzione inutile, me ne rendo conto. D’altra parte, non è certo di un ninja che parliamo e nemmeno di una persona normale. Riconosco immediatamente la sua testa spettinata spuntare da una delle porte. Si sporge con il busto per controllare di avere via libera e poi si piega appena all’indietro, sicuramente per recuperare il bagaglio. Riesco a fare appena due passi nella sua direzione, le mani di nuovo in tasca, prima di vederlo ruzzolare giù dal treno,  rotolare sul gradino di appoggio e spalmarsi infine sulla banchina con il maxizaino a comprimergli il torace.
Giuro che, per quanto mi sforzi, non riesco nemmeno a capire la dinamica dell’accaduto. Una donna con la divisa da capotreno e una fiaschetta in mano gli si avvicina camminando a gambe larghe e piega il busto verso di lui mentre io mi metto a correre per raggiungerlo.
Non c’è niente da fare, è una causa persa.
«…’ngato che una così affascinante signora si preoccupi per me, ma può stare tranquilla. Sto benone.» le sta dicendo, a fiato mozzo ma con uno smagliante sorriso, quando li raggiungo.
«Cora!»
 «Law!» prova ad esclamare e io mi affretto a liberarlo dello zaino. «Ragazzo mio! Non pensavo venissi in stazione!» aggiunge più entusiasta e, finalmente, a piena voce.
Gli rivolgo uno sguardo scettico, a chiedergli silenziosamente se dice sul serio. Come fa anche solo a pensare che non sarei venuto a prenderlo?!
Non sto nemmeno a rispondere e mi piego di nuovo, stavolta per afferrargli il braccio e aiutarlo ad alzarsi. Non che ne abbia bisogno, è in forma smagliante, nonostante la barba incolta e gli abiti un po’ sgualciti.
«Perché non hai preso un treno che arrivava alla Central?» ripeto la domanda che gli ho posto l’altro ieri su whattsapp e a cui non ho ancora ricevuto risposta.
«Come?» chiede, sollevando per un attimo il capo e tornando immediatamente a spolverarsi  i vestiti.
«Dico, perché sei voluto arrivare qui alla North Sea?»
Finisce di ripulirsi e senza troppe cerimonie mi si avvicina, il braccio già teso per abbracciarmi. Diversamente dal solito, non mi ritraggo istintivamente. Esistono solo altre due persone che possono avvicinarsi a me a passo così deciso senza innescare la battuta in ritirata e no, Rufy non è tra queste.
«Non è evidente? È molto più pittoresco e poetico arrivare qui!»
Per un secondo ho la tentazione di roteare gli occhi ma sinceramente non sono sorpreso. Parlando di lui è perfettamente normale aver fatto un cambio e quasi quaranta minuti di viaggio in più solo per arrivare alla sua stazione preferita.
Perché è più romantica e pittoresca.
E perché è il posto dove ci siamo conosciuti.
Avanziamo lungo la banchina e gli impedisco di riprendersi il suo zaino, caricandolo sulla mia spalla. Sarà ben stanco con il jet lag e il viaggio infinito, anche se a guardarlo non si direbbe che un po’ assonnato. Lo studio attentamente e noto subito che ha bisogno di mettere un cinque chili per ristabilirsi per bene e che c’è qualcosa di fuori posto. Nella fattispecie il taschino della sua camicia.
Il taschino vuoto della sua camicia.
Corrugo le sopracciglia, perplesso.
«Le tue sigarette?» domando senza preamboli.
Mi lancia un’occhiata complice e luccicante e per un istante solo inalo con più aspettativa di quanto sia per me accettabile manifestare.
«Ho smesso.»
Lo stomaco mi si contrae e il cuore fa una capriola. Sì, è eccessivo, la mia parte più razionale lo sa. Ma ciò non toglie che, dopo intere lezioni con il professor Crocus passate a vedere diapositive su diapositive degli effetti che un eccesso di fumo può avere sulla salute di un uomo, sapere che una delle persone a cui più tengo al mondo si è finalmente disfato di questa stupida dipendenza mi faccia sentire sollevato.
Immensamente sollevato.
Ben più di quel che mi piaccia ammettere.
Ricordo bene quando è stata l’ultima volta che mi sono sentito così. Ricordo ancora a memoria le parole che il dottor Beckmann disse a Koala quel giorno, sette anni fa.
“Niente che non si possa risolvere con una bella pastiglia ogni mattina, mia cara. Temo che dovrai sopportare Trafalgar qui per ancora parecchi decenni.”
Mi schiarisco la gola quando mi accorgo che sto divagando. «Come mai?» domando con finta indifferenza, tanto per darmi un tono.
«A Harahetternia non sono facili da reperire e ho pensato che liberarmene avrebbe fatto meglio al mio corpo e al mio portafoglio.» risponde con semplicità e io annuisco, discreto.
«Una decisione saggia.»
«Ma tu invece? Ti ho visto dal finestrino, arrivando! Eri al telefono con Koala?»
Stavolta nascondere la mia sorpresa è più difficile. Mi giro a guardarlo apertamente. «Come fai a saperlo?»
«Intuito.» si stringe nella spalle e poi mi arpiona di nuovo con il braccio. «Quindi posso sperare di avere la tua compagnia stasera? Voglio sapere tutto, voglio gli aggiornamenti e poi devi raccontarmi del matrimonio. A che punto siete dei preparativi, come Bibi ti ha fatto la proposta…»
«Come fai a saperlo?!» e stavolta il tono è tra lo sconvolto e il furente ma Cora continua a sorridere imperterrito.
«Oh Law andiamo! Non ho avuto nemmeno mezzo dubbio, quando me lo hai detto, che fosse stata lei a chiederlo a te. Ti conosco come le mie tasche, te lo ricordi?»
Lo fisso a bocca aperta ma ho la forza solo per grugnire. Perché, dico io, le due persone più importanti della mia vita devono essere due mezzi matti con il vizio di sorridere senza motivo ed entrarmi nella testa senza nemmeno chiedere il permesso, attentando costantemente alla mia sanità mentale?
Ovviamente non c’è risposta a questa domanda, perciò tanto vale.
«Allora per stasera?» chiede di nuovo Cora e lui non si preoccupa certo di nascondere la propria aspettativa. E in fondo mentirei se dicessi che la prospettiva di una serata noi due a raccontarci tutto e niente non mi elettrizzi come poche cose a questo mondo, ora che finalmente è tornato e, per chissà quale allineamento astrale, siamo a Raftel tutti e due e nello stesso momento.
«Pensavo di andare da Hacchan a mangiare gli onigiri.»
Gli occhi gli si accendono, il sorriso si allarga. «Che idea geniale!»
«Già.» confermo ancora ghignante, prima di farmi di colpo mortalmente serio. «Purché tu non dia fuoco al locale come l’ultima volta.»
 

§
 

Chiudo la chiamata e lancio una divertita occhiata al cellulare, scuotendo la testa. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che ho sentito del palpabile buonumore nella sua voce. La cosa comunque non mi stupisce nemmeno un po’, visto che parliamo di Cora.
Sono elettrizzata io all’idea di riabbracciarlo, figuriamoci lui!
Non vedo l’ora di risentirlo stasera, per avere qualche aggiornamento di prima mano. Probabilmente non potrà chiamarmi fino a dopo l’una o le due ma tanto ho in programma di sfruttare abbondantemente la serata per fare ricerche.
Non sono affatto certa che l’idea degli zaini anti-borseggio di Usopp per usare la stoffa sia poi tutta questa fesseria. Magari se ne può ricavare qualcosa di funzionale con i giusti accorgimenti.
Mi decido a mettere via il telefonino e rimango spiazzata quando sollevo il capo. Resto imbambolata a fissare la macchinetta del caffè, domandandomi quando ci sono arrivata e perché.
Io non bevo il caffè normale, non posso, e quello al ginseng è molto più buono al bar, anche se costa 0,70 berry in più. Eppure, quando sono uscita dall’ufficio e prima che Law mi chiamasse, ricordo distintamente che ero diretta qui per un ben preciso motivo. Ma quale? Cosa dovevo fare?  
«Koala, stai bene?»
«Ehi Izou.» lo saluto distrattamente. «Sì, sto bene. È solo che non mi ricordo se dovevo prendere il caffè per Nami oppure no.»
«E trovi la cosa divertente?» domanda Izou e quando mi giro a guardarlo, sorpresa dalla sua domanda, scopro dalla sua espressione accigliata che è una domanda seria.
«Perché dovrei trovarlo divertente?» gli rigiro la domanda, scuotendo appena il capo.
«Eh non so, stai sorridendo.» mi fa presente. Il modo in cui me lo dice, il modo in cui mi guarda mentre lo dice mi ricorda il tono e l’espressione di Nami di un paio di settimane fa, prima che Iva facesse irruzione in ufficio.
È già la seconda volta che mi fanno notare che sorrido come se fosse una cosa strana o inusuale, quando invece è tutto il contrario. Comincio a domandarmi se non ci sia qualche problema con questa mia abitudine a sorridere sempre anche senza un reale motivo e se c’è una persona a cui posso chiederlo apertamente, sperando di ricevere una risposta diretta e sincera, quella è Izou.
«E c’è qualcosa che non va nel fatto che sorrido spesso?» colgo la palla al balzo, attenta a non suonare scocciata o offesa. Perché non lo sono, io davvero voglio solo capire.
Izou si stringe nelle spalle, avanzando verso la macchinetta. «No, è normale vederti sorridere ma è che ora hai un sorriso così…» si blocca alla ricerca delle parole, la mano a metà strada verso la fessura delle monete.
Mi acciglio, quasi preoccupata adesso.
Così come?! Per l’amor del cielo, è già la seconda volta!
«Così?!»
«Così…» ci riflette ancora un momento mentre inserisce la monetina e digita il numero della bevanda scelta. Con un ronzio la macchina si mette in funzione e io sento l’impazienza crescere in me fino quasi a scoppiare. «Così essenziale ecco.» schiocca le dita, soddisfatto per aver trovato l’aggettivo che cercava.
Sbatto le palpebre un paio di volte, interdetta. «Essenziale?»
«Sì.» conferma, voltandosi verso di me.
«E cosa vuol dire?»
Izou mi guarda con rimprovero. «Sei la regina delle parole e non sai il significato di “essenziale”?»
«Izou certo che so cosa significa “essenziale”.» ribatto ma sono impaziente. Voglio sviscerare la questione, voglio capire. Può suonare quasi brutto il concetto di “sorriso essenziale” ma qualcosa mi dice che invece è una cosa bella e voglio una conferma o una smentita. «Solo che non capisco che cosa intendi tu con “sorriso essenziale”.» metto in chiaro, tanto per sicurezza.
«Beh lo intendo in entrambi i sensi principali di “essenziale”.» fa di nuovo spallucce e io lo guardo con tanto d’occhi. Sembra di sentir parlare me e, anche se non avevo idea che Izou fosse cos linguisticamente ferrato, una nuova motivazione del perché siamo tanto in sintonia si va ad aggiungere ad una lista già diventata ben più lunga di quanto mi sarei mai azzardata a scommettere. «”Essenziale” come “fondamentale” ed “essenziale” come la base di qualunque altro sorriso tu possa aver mai sfoggiato.» conclude un momento prima che la macchinetta fischi fieramente la conclusione del suo arduo lavoro.
Izou si volta per recuperare il bicchierino di carta, lasciandomi qui, senza parole. Improvvisamente, è diventato bellissimo sapere di avere un “sorriso essenziale”. Improvvisamente, vorrei sorridere in modo “essenziale” per il resto dei miei giorni ma dubito di poterlo decidere io.
Sto ancora veleggiando felice e rasserenata in questo idillio linguistico ed emotivo quando Izou aggiunge: «Scommetto che tu sei una di quelle che ride dopo un orgasmo intenso.» molleggiando le spalle e sogghignando al proprio caffè.
E tanti cari saluti alla magia.
Incrocio le braccia sotto il seno e lo guardo storto, ad occhi socchiusi. Lui finisce di girare il caffè ristretto con il bastoncino di plastica trasparente, lo beve in un sorso e getta tutto nel cestino accanto alla macchinetta, beatamente ignaro. E nemmeno quando finalmente mi guarda sembra accorgersi della mia contrarietà, non a giudicare da come si illumina.
«Ah! Mi stavo quasi dimenticando!» esclama, infilando una mano nella tasca dei pantaloni finta-tuta, alti in vita, taglio acqua in casa, riga sul davanti.
Sono identici a quelli che ho io.
Estrae un sacchettino di plastica, simile a quelli delle sorprese delle uova di Pasqua e me lo mostra, in bilico sulla punta delle dita. All’interno c’è un sottile anello in ottone con incastonato un piccolo pezzo di vetro, a forma di sole e dipinto per sembrare ambra.
«L’ho trovato nei biscotti stamattina e ho pensato subito che sarebbe stato perfetto per te.»
Sollevo il capo, allibita e, causa ciclo imminente, commossa.
Possibile che stia succedendo veramente? Izou Wano ha trovato un anello nei biscotti e ha pensato a me?! Izou Wano che non ti presta nemmeno un fazzoletto di carta senza palese riluttanza perché non si sa mai che potrebbero servire a Marco e se li finisce poi come si fa?!
«Se non lo vuoi…» comincia, perplesso dalla mia espressione.
«No! Certo che lo voglio!» lo interrompo, attirando l’attenzione di praticamente qualunque altro collega presente nel corridoio delle macchinette.
Ci guardiamo intorno, consci dei molti sguardi puntati su di noi. Izou mi lancia un’occhiata guizzante e capisco immediatamente cos’ha in mente. Con un sorriso grande come il mondo, apre veloce il sacchettino che contiene l’anello e si inginocchia davanti a me.
«Koala Surebo, vorresti accettare questo anello?»
Trattengo a stento le risate di divertimento e mi porto una mano al petto. «Oh Izou! Ho sperato così tanto che me lo chiedessi!» esclamo melodrammatica, simulando un singhiozzo trattenuto. «Certo che lo voglio. Sono così… così felice.» sussurro, a voce abbastanza alta da farmi sentire da tutti i presenti che se la stanno ghignando senza ritegno sotto i baffi.
Torneranno tutti al lavoro di buonumore.
Stendo la mano verso di lui che mi ammicca prima di infilarmi la fascetta di ottone all’anulare sinistro. I nostri colleghi, provenienti da reparti sparsi dell’azienda, scoppiano in applausi, urla e fischi di giubilo mentre Izou si rimette in piedi e, ridendo a più non posso insieme a me, mi si avvicina. Ci giriamo di centottanta gradi per esibirci in saluti e inchini, manco avessimo appena finito di recitare l’Amleto al Kumadori Theatre, poi, quando il rumore dei festeggiamenti scema, ci giriamo di nuovo l’uno verso l’altra.
Izou mi fissa per un decimo di secondo e poi si stringe nelle spalle. «Okay allora ti avviso quando sarò diventato etero.»
«Aspetto la tua telefonata.» rispondo con altrettanta noncuranza.
Si piega a darmi un bacio sulla fronte e poi mi volta le spalle per tornare da dov’è venuto.
Mentre si allontana nella direzione opposta alla mia, saltellando al ritmo di “Marco-chan”, non posso fare a meno di stendere la mano di fronte a me. Di solito sono bianca come l’intonaco ma sono riuscita a prendere un pochino di sole a Goah e, anche se si tratta di una leggera spruzzata di abbronzatura, è abbastanza per far risaltare i colori dell’anello contro la mia pelle.
È un pezzo di chincaglieria eppure a me sembra stupendo e non vedo l’ora di farlo vedere a Law. Mi riporto la mano al petto e sento un grande calore pervadermi, mentre proseguo verso il nostro concubicolo – ovvero un cubicolo condiviso – che raggiungo in pochi minuti.
«Ehi ragazzi! È successa una cosa pazzesca!» esordisco, rientrando nell’open-space.
Entrambi sollevano il capo e Nami mi squadra attentamente dalla testa ai piedi prima di socchiudere gli occhi. La guardo in attesa. Va bene che ha il radar per le cose luccicanti, tipo gazza ladra, ma non posso credere che abbia già notato l’anello.
E in effetti mi basta attendere due secondi per scoprire che no, non è l’anello il problema. 
«Okay, ma dov’è il mio caffè?»     






Angolo dell'
autrice: 
Oooooookay... 
Mi sono accorta tipo ora che è un mese che non aggiorno. Whoopsie. 
Scusate taaaaaaaaaantisssssimo ma sono stata superincasinata però sono viva! 
Farò di tutto per aggiornare prima del 4 gennaio ma purtroppo non avrò tempo per rispondere alle recensioni fino a dopo le feste. I'm sorry. :'( 
Sappiate però che leggo i vostri commenti con un sacco di felicità e che vi ringrazio dal profondo del mio cuore, tutti voi che mi leggete e seguite, in particolare Law e Sara che mi fanno sapere praticamente sempre cosa pensano della storia, nonché Jules, Momo e Zomi che ci sono sempre per aiutarmi con i miei dubbi.  
Un bacio enorme a tutti quanti, pace, bene e tanti biscotti allo zenzero!
Page.  
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


 
La chiesa di GoldenBell, subito fuori Goa, è precisamente quel genere di chiesa che tanto mi piace. Con mattoni a vista e tanto verde intorno, nonché uno splendido albero di magnolie, dalle grandi foglie verdi e lucide, che si piega gentile su un lato del piccolo sagrato.
Da fuori e frontalmente, potrebbe sembrare minuscola e non so dirvi il mio sollievo – oltre che la mia sorpresa – nello scoprire le sue reale dimensioni una volta entrata. Costruita secondo una pianta lunga e stretta, si sviluppa appunto in lunghezza, così tanto da essere più che sufficiente per ospitare tutti gli invitati.
Per un attimo ho temuto di doverci rinunciare, e subito dopo essermene innamorata a prima vista. Sarebbe stato tragico, credetemi, perché Bon-chan sarebbe tornato alla carica con l’idea della cerimonia in stile egizio e l’installazione di una falsa porta cava a mo’ di baldacchino, sotto cui celebrare il rito.
Lo stile decorativo interno non fa che renderla ancora più accogliente e raccolta, nonostante la navata sembri chilometrica – in parte perché lo è davvero, in parte per illusione ottica – e se tutto questo non fosse stato sufficiente a convincermi, non avrei comunque più potuto avere dubbi dopo aver conosciuto padre Gan Forr.
È come la sua chiesa.
Da fuori può sembrare burbero e autoritario ma basta parlarci qualche minuto per scoprire un uomo pieno di affetto e gentilezza, dedito alla propria missione e, a quanto pare, amante platonico delle donne. Credevo avesse attaccato a rimproverare Sabo e Rufy appena li ha visti perché li conosce da quando sono bambini ma ho capito che è semplicemente il suo modo di fare quando ha accolto nello stesso identico modo Cora, lo storico mentore di Law che ho incontrato oggi per la prima volta. È strano incontrare finalmente una persona di cui hai sentito tanto parlare. Ti sembra di conoscerla da sempre quando in realtà non l’avevi mai vista prima ma, anche se ci sono già passata, durante il mio primo weekend qui a Raftel, con Koala, Sabo e Robin, nonché Ace e Rufy, stavolta è diverso. Loro sono i fratelli e gli amici di Law, fanno parte della sua infanzia, sono qualcosa che tutti i bambini hanno quando le cose vanno nel modo giusto.
Cora però è tutta un’altra storia. Non è un elemento scontato così come non è una persona scontata. Il loro rapporto è particolare e questo è tutto ciò che posso dire al riguardo. Nonostante mi abbia parlato molto – per quanto possa essere il molto di Law – di lui sento di avere appena scalfito la superficie. Mi domando se ci sia qualcuno che conosce la reale portata del loro legame e di ciò che Cora ha fatto per lui, qualunque cosa sia. 
Ma tornando a Padre Gan Forr, quando è passato a me, Kaymie e Robin ha totalmente cambiato registro. Pur senza perdere la propria aria stoica e imperscrutabile, ha cominciato a emanare un calore su cui non avrei scommesso mezzo berry osservandolo da lontano. Ora che ci ho parlato sembra perfino un uomo uscito da altri tempi, quasi un cavaliere, con quella lunga barba e i folti baffi bianchi.
Il punto è che, per quanto la chiesa sia accogliente e il pastore ospitale, la situazione comincia a sfiorare il ridicolo e sto perdendo progressivamente il controllo. Siamo qui da mezz’ora e di Law non c’è ancora traccia. Baby e Monet sono arrivate entrambe in ritardo ma comunque prima di lui e io non so se essere preoccupata o arrabbiata.
Per fortuna Makino ha convinto zia Albida a farsi portare in gita turistica o avrei dovuto gestire anche lei e le sue filippiche su quanto sia borghese fare tardi alle prove del matrimonio. E posso garantirvi che da gestire, oltre alla mia personale ansia, mi basta Bonchan, che al momento sta macinando chilometri a metà della navata, borbottando e gesticolando e rischiando di gettare Kaymie in una crisi isterica con i controfiocchi.
Deve essere un incubo, qualcuno mi svegli!
«Bibi?» 
Sobbalzo appena e mi giro verso di lui che questa volta, e dev’essere la prima da quando lo conosco, non sorride. E la cosa mi fa strano, molto strano. Troppo strano. Mi da quasi fastidio.
«Sabo, dimmi.» lo invito, un po’ spersa per via della situazione.
«Forse è meglio se vado a cercarlo.» si offre, il tono serio e quasi grave.
Annaspo per un momento, confusa, prima di ritrovare l’uso della parola. «No!» esclamo decisa e subito sento le guance colorarsi. «Voglio dire, starà sicuramente arrivando e non mi sembra sensato che tu vada via, poi se lui arriva dovremmo aspettare te e non ne usciamo più.» mi spiego concitata.
Sabo tentenna un solo istante, diviso, senza mai staccare gli occhi dai miei, prima di prendere un profondo respiro e annuire. «D’accordo ma provo a chiamarlo.» decide, anche lui tra l’arrabbiato e il preoccupato.
Estrae il cellulare dalla tasca e io mi volto di nuovo verso l’ingresso della chiesa, il labbro inferiore bloccato sotto i denti superiori.
Che fine ha fatto? Se non si da una mossa non potremo fare la prova!
«Oh guardate! Law mi ha mandato un messaggio!» Robin alza la voce per farsi sentire da tutti e tutti ci immobilizziamo.
Sabo con il cellulare a metà strada verso l’orecchio, Monet e Baby nel bel mezzo del loro ennesimo litigio, Kaymie con una pezza di cotone premuta sulla fronte di Bon-chan, con cui gli stava tamponando il sudore. Gli unici a non essere almeno in apparenza in trepidante attesa che Robin continui e legga il messaggio sono Dragon e zio Croco, che riprendono immediatamente a conversare come se nulla fosse, Rufy e Cora, che stanno accedendo le candele nella nicchia a destra dell’altare, e padre Gan Forr, che sta spegnendo la manica della camicia di Cora con dell’acqua non ancora benedetta, senza scomporsi minimamente.
«Oh accidenti!» prosegue Robin. «Lo hanno chiamato per un’emergenza in pronto soccorso. Dice che sta facendo il possibile per liberarsi e arrivare.» conclude la spiegazione, sollevando uno sguardo dispiaciuto su di me.
Per un momento provo l’impulso di recuperare il mio cellulare e controllare se devo maledirmi per essermela tanto presa con lui, quando magari mi aveva anche scritto e io ero troppo preoccupata ad agitarmi per guardare il telefonino. Sabo sta controllando i messaggi proprio ora ma mi basta un momento per sapere che non troverei comunque niente sul mio, come lui non trova niente sul proprio.
Non ha sicuramente scritto a me, come non ha scritto a Sabo, né a Cora, né a nessuno che sapeva con certezza non avrebbe guardato il cellulare in un momento come questo. Ha scritto all’unica persona sempre attenta e sempre accorta, che sapeva avrebbe visto il suo messaggio in qualunque frangente.
Una decisione innegabilmente da Law.  
Ma ora come ora, il problema non è la coerenza nel comportamento del mio fidanzato. Il problema è tutt’altro e padre Gan Forr ha la prontezza di spirito di farlo presente a tutti immediatamente.
«Un’emergenza in pronto soccorso può durare anche tutto il giorno.» commenta ragionevole mentre esce dalla nicchia con passo misurato e tranquillo, togliendo dalle mani di Cora la candela con cui stava accedendo le altre quando gli passa accanto. «Non ho problemi ad aspettare, mia cara, ma ho altri impegni da assolvere purtroppo e se Law non riesce ad arrivare entro mezz’ora temo che non ci sarà il tempo sufficiente per una prova ben fatta.» afferma con onestà, fermandosi a pochi passi da me.
Si limita a guardarmi ma mi sento come se mi avesse passato un braccio intorno alle spalle per conforto, almeno finché non abbasso gli occhi al suolo. Sono delusa sì, ma non per chissà che strana fissa da sposa nevrotica.
La prova non è un obbligo né tantomeno necessaria. Io so come funziona – perché l’ho visto mille volte nei film –, Law sa come funziona – perché, a quanto pare, conosce i riti come le proprie tasche – e difficilmente qualcosa potrebbe andare storto eppure…
Se dovessimo sbagliare qualcosa, se io dovessi sbagliare qualcosa non voglio nemmeno immaginare cosa potrebbe succedere. Bon-chan che si fa venire un attacco di panico, zia Albida che mi riprende davanti a tutti gli invitati, Kaymie che perde del tutto la testa e in un moto di isteria pura da fuoco alla chiesa. Aiutata da Cora. 
No, io ho bisogno di fare questa prova! Mi serve!
Ma manca troppo poco al matrimonio, non ci saranno altre occasioni e non posso nemmeno lamentarmi, non sarebbe giusto, non quando padre Gan Forr ha accettato di sposarci prima ancora di avermi mai incontrata e senza nemmeno il canonico colloquio con entrambi gli sposi. È già stato oltremodo gentile e, dopotutto, sono io che ho proposto a Law di organizzare tutto nel giro di un mese e mezzo.
Prendo fiato per ringraziarlo della sua disponibilità e rassicurarlo sul fatto che non c’è nessun problema, in fondo è stato solo un disguido e non è certamente la fine del mondo ma la voce che riecheggia nella chiesa vuota non è la mia.
«E se facessimo lo stesso la prova?» Mi volto di scatto verso Robin, perplessa sì, eppure speranzosa. Mi lancia una fugace occhiata, sempre con quel suo serafico e materno sorriso. «Padre Gan Forr, siamo entrambi d’accordo che Law ha una memoria da elefante e senz’altro ricorderà con precisione ogni singolo passaggio del rito, specie dopo tutte le volte che lo ha obbligato ad assisterla nella celebrazione di matrimoni, quando era chirichetto.»
Sgrano gli occhi incredula e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non scoppiare a ridere, quando un’immagine di Law vestito con la tunica, l’espressione annoiata e quello strano coso per l’incenso in mano, aleggia nella mia mente. Non ero assolutamente a conoscenza di questo dettaglio! E ho la sensazione che Robin lo sapesse, perché la pausa ad effetto che ha appena fatto sembra messa lì apposta per farmi assimilare meglio l’informazione.
Per grazia divina, riesco a controllarmi e tornare più o meno seria quando ricomincia a spiegarsi. «Bibi d’altra parte è di Alabasta e il rito religioso e nuziale è totalmente diverso da loro. Mi sembra chiaro che la prova serve soprattutto e sostanzialmente a lei perciò, dal momento che lei c’è, perché non farla?» conclude l’arringa con una carezza al pancione e io rimango momentaneamente allibita.
Non per l’inoppugnabile logica, non per l’uso perfetto e calibrato delle parole, non perché è riuscita sottilmente a mettere in imbarazzo Law senza che nemmeno fosse presente e nemmeno perché qui dentro ci sono al momento due persone laureate in Giurisprudenza ma nessuna delle due è Robin. E io non riuscirei ad esibirmi in un discorso tanto fluido senza riprovarlo almeno venti volte.
A lasciarmi senza parole è stata la facilità con cui ha centrato il problema, il mio problema. Soprattutto perché non l’ho confidato a nessuno, nemmeno a Baby o Monet. E come non è laureata in Giurisprudenza, Robin non è laureata nemmeno in Psicologia.
Vorrei correre da lei e abbracciarla tanto le sono grata.
«Lo sposo potrebbe farlo Sabo.»
Una doccia ghiacciata mi avrebbe colto meno alla sprovvista.
Non sobbalzo solo perché mi irrigidisco troppo perché i miei muscoli possano prodursi in un qualsivoglia tipo di spasmo e ci metto cinque secondi buoni per ritrovare le capacità motorie necessarie a girare almeno la testa verso di lui. Quando ci riesco, scopro che Sabo è raggelato quanto me e che mi fissa a occhi sgranati, tradendo uno shock che è il preciso riflesso del mio.
«Io… io…»
«Ti sei laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti, Sabo. Non provare a fingere che non ricordi il rito e poi è soltanto una prova.» padre Gan Forr prende la situazione in mano e io sento il cuore sbattere furioso contro le costole, oltre che la faccia in fiamme. «Avanti, prendi posizione dal lato giusto. E non provarci, so che sai qual è.» lo ammonisce flemmatico, stroncando sul nascere la sua protesta che ho l’impressione, però, non riguardasse il corretto lato dello sposo rispetto all’altare. «Mia cara, accomodati pure a metà della navata, non è necessario che la percorri tutta.» si rivolge poi a me con un paterno sorriso, prima di tornare serio e autoritario e sollevare il capo in direzione di zio Croco e Dragon. «Uno di voi gentiluomini sarebbe così gentile e a modo da fare le veci di suo padre?»
Capire cosa accade subito dopo è un’impresa e, infatti, non ci riesco. A un certo punto, non so nemmeno io come, mi ritrovo agganciata al braccio di zio Croco, Monet e Baby che mi sorridono dall’altare, così come Rufy e Cora schierati accanto a Sabo, che invece mi fissa con una luce indecifrabile negli occhi e un misto di incredulità e attesa sul volto.
Come siamo arrivati a questo?!       
Qualcuno comincia a suonare l’rogano – Dragon? Robin? Shura, il cerimoniere? Non mi stupirei se fosse Robin, sinceramente. – e io, ancora troppo spaesata, seguo docile zio Croco che incede seguendo il ritmo della marcia nuziale.
Non riesco a tranquillizzarmi, sento che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo, che è qualcosa che non dovrebbe succedere.
Ma poi, Sabo scrolla le spalle, fa un profondo respiro e la tensione scompare finalmente dal suo volto, lasciando spazio al suo sorriso che cominciava a mancarmi già troppo e che mi contagia in un attimo.
E, improvvisamente, va di nuovo tutto bene.
 
 
***
 

I tramonti gli piacciono. Da sempre.
Gli piacciono i tramonti e i temporali estivi ma il contro dei temporali estivi – le fanno paura – supera il pro – lo rilassano – e quindi vada per i tramonti.
I tramonti a Raftel, poi, sono uno spettacolo se si sa dove andare ad ammirarli e se il tempo non mette i propri bastoni tra le ruote. E lui sa dove andare ad ammirarli e ne aveva così voglia – e così bisogno – che se l’è anche portato dietro.
Perché è stato chiaro ed evidente da subito che Cora non lo avrebbe lasciato andare da solo e lui ormai sa quanto sia complicato convincere Cora a non fare qualcosa che si è messo in testa di dover assolutamente fare. A onor del vero, c’è anche da dire che l’idea di andarci con qualcuno lo allettava più che andarci da solo. E che, in due settimane, lo strambo tizio conosciuto per caso alla stazione è già diventato un qualcuno con cui condividerebbe volentieri un bel tramonto.
Certo non è necessario che Cora venga a conoscenza di quest’ultimo dettaglio e così Law si premura di mostrarsi scocciato mentre lo aiuta a rimettersi in piedi per la quinta volta da quando hanno iniziato la risalita della Collina del Sole.
«Manca molto?»
«No. Ci siamo quasi, grazie al cielo.» mormora, prima di ricominciare a camminare fiero davanti a lui. La cresta della collina è in vista e lancia una rapida occhiata all’orologio giallo che Cora ha trovato nei cereali e gli ha voluto regalare. Un orologio giallo con una stupida faccetta che sorride sul quadrante. Eppure da quando ce l’ha al polso, Law controlla l’ora ogni quindici minuti e non perché sia poi molto interessato a sapere quanto tempo è passato tra un controllo e l’altro.
Sono in perfetto orario per lo spettacolo, sempre che Cora non decida di ruzzolare giù per la scarpata fino ai piedi del colle o darsi fuoco. Non si stupirebbe più di tanto e sa che, nonostante i suoi peggiori propositi, finirebbe per rinunciare al tramonto per aiutarlo.
Senza di lui chissà dove sarebbe a quest’ora. Solo, in una città sconosciuta. La prospettiva non è mai stata allettante, ora gli risulta un vero incubo. E Cora gli ha dato un tetto sopra la testa e un letto in cui dormire. Gli ha permesso di restare lì a Raftel, a casa. Anche se dopo quindici giorni di latitanza è sempre più convinto di non poter tornare.
Non sa con che coraggio potrebbe affrontarli dopo quello che ha fatto. Dopo quello che ha detto. Dopo essere sparito così.
Cora ha provato a convincerlo un paio di volte a tornare sui propri passi ma senza mai insistere troppo, rassicurandolo ogni volta che poteva restare da lui finché avesse avuto bisogno. Law gli è grato per questo, così tanto che rinuncerebbe al tramonto per aiutarlo se Cora dovesse prodursi in uno dei suoi non premeditati tentativi di suicidio.
Così tanto che comincia a sospettare di volergli bene.
Ecco perché lo ha portato lì. Per mostrargli il tramonto e non solo.
Sogghigna quando finalmente il sentiero spiana di fronte a lui, liberandogli la visuale su un pergolato poco più grande di una porta a doppia anta, in legno scuro e scheggiato qua e là. È ancora lucido dall’ultima riverniciatura e l’edera, che si avvolge sinuosa sui quattro pali fissati a terra e solo parzialmente sulle cinque travi che ne formano il tetto aperto, gli sembra più densa dell’ultima volta che sono stati lì. Per il resto è tutto assolutamente come al solito, tranne che per il fatto che c’è solo lui, stavolta.
E Cora, certo. Ma nemmeno Cora, con la sua prorompente presenza, la battuta sempre pronta, i suoi evidenti problemi motori, è in grado di non fargli sentire la loro mancanza.
La sua mancanza.
Non è la stessa cosa senza di loro.
Senza di lei.
«Cosa ci fa un vecchio pergolato qui?»
Law si gira di scatto, incapace di fermare il pensiero e le parole. «È il Castello sulla Collina non un vecchio pergolato!» esclama con indignazione e subito vorrebbe mordersi la lingua.
È tutta colpa sua. Ogni volta che si ritrova con la guardia abbassata, in un modo o nell’altro lei c’entra. Ma ormai il danno è fatto e la cosa migliore per non perdere completamente la faccia è fingere di non sentirsi affatto in imbarazzo per essere ancora così attaccato a un gioco iniziato quando erano solo bambini di otto anni. Così rimane serio e solleva il mento in segno di sfida.
E, come sempre, Cora capisce al volo il messaggio.
«Scusami, da questa angolazione non lo riuscivo a vedere bene. Che sbadato!» si da una manata in fronte e contrae il viso in una smorfia di dolore. Law manda gli occhi al cielo. Ci ha messo troppa forza e ora sta agitando la mano davanti al punto dove si è colpito da solo, per smorzare il dolore. «E quindi immagino che sia da qui che si vede il più bel tramonto di Raftel.» sorride di nuovo, come se nulla fosse successo.
Law infossa le mani nelle tasche dei pantaloni e si stringe nelle spalle. «La chiamano la Collina del Sole.» gli fa notare con finta indifferenza. E con altrettanta finta indifferenza incassa lo sguardo di Cora, uno sguardo così pieno di affetto e divertimento che gli fa quasi venire voglia di smettere di lottare e tornare, per cinque minuti soltanto, a essere un bambino, ad avere davvero l’età che ha. Uno sguardo che lo mette a disagio ma che gli da anche, da due settimane ormai, una forza che non credeva di avere.
«Scommetto che da dentro il castello è anche meglio.» risponde Cora, muovendosi goffo e deciso verso il pergolato.
«No fermo!»
Il tono alto, il braccio teso. Nel giro di nemmeno cinque minuti, ha perso per due volte il controllo, ma stavolta spiegarsi è più difficile. La scusa è lì pronta su un piatto d’argento.
È così maldestro che potrebbe rovinare sul pergolato e distruggerlo, sarebbe una scusa perfetta, nessuno faticherebbe a crederci. Ma non è quello il motivo e sarebbe crudele. Cora ci resterebbe male e non lo merita, non dopo tutto quello che ha fatto per lui.
Non vuole vedere quell’espressione delusa anche sul suo volto. Non vuole vedere quell’espressione delusa mai più, sul volto di nessuno. E così mette da parte l’orgoglio e si prepara a dirgli la verità, anche se è imbarazzante, anche se non ha più otto anni. Non ha alternative ma non per questo non lo farà a testa alta.
«Non puoi entrare senza la parola d’ordine.» annuncia, solenne.
Sa che non può transigere. Quella è la regola ed è suo compito difenderla. È il minimo, per lei, lei che ha dato vita a quel luogo, con la sola forza delle sue parole e della sua immaginazione.
Cora tradisce sorpresa anche se solo per un attimo. Law non si stupisce. Sa che a tredici anni è davvero assurdo, così assurdo da essere troppo anche per un eterno bambino come Cora.
Sorride, ma non con scherno. Sembra un sorriso di divertita sfida e Law si acciglia. Non capisce cosa gli prenda.
«E se entro senza la parola d’ordine cosa succede?»
Law rimane per un attimo interdetto. Non se l’aspettava proprio ma Cora non sa che non è affatto un gioco. Non ha idea di quale sia il rischio. «Non sono certo che tu voglia scoprir…»
Si gira di scatto. C’è un rumore nell’aria, che si fa sempre più vicino. Conosce quel cigolio, lo riconoscerebbe tra mille. È una bicicletta ma non una bicicletta qualsiasi e per un attimo il panico si impadronisce di lui.
Non deve farsi trovare lì, non può. Eppure non riesce a muoversi e sente qualcosa, proprio al centro del petto, che non riusciva a provare da troppi giorni ormai.
Aspettativa, sollievo. Felicità.
Stare con Cora è divertente ed è piuttosto certo che lo rederebbe felice se il resto della sua vita non fosse un casino. Ma ora, all’idea che sta per arrivare, si sente felice nonostante tutti i casini. Anche se non è saggio farsi trovare lì, almeno quanto non è saggio entrare nel Castello senza la parola d’ordine.
«Cora, dobbiamo andarcene! Subito!» sibila sottovoce ma il suo nuovo amico non ha riflessi particolarmente pronti, Law lo ha imparato ormai.
«Come?! Ma manca ancora un po’ al tramonto.»
«Non c’è tempo per il tramonto! Dobbiamo andarc…»
Il respiro gli si mozza quando qualcosa gli si lancia contro con la forza di un vulcano, mandandolo gambe all’aria e un considerevole numero di metri più in là.
«Tu!»
Una voce fin troppo famigliare così carica di ira da fare quasi paura persino a lui.
«Cosa ti è venuto in mente, si può sapere?!»
È seduta a cavalcioni su di lui e anche se pesa la metà, Law sa benissimo che non riuscirà a liberarsene e sa anche che deve tenersi pronto a parare.
«Calmati!» prova ad ammonirla, realizzando troppo tardi che è stata una pessima mossa.
Lei sgrana gli occhi per un istante prima di socchiuderli minacciosa ed è come se l’aria intorno a lei vibrasse. «Calmarmi?» domanda in un sibilo. «Calmarmi?!»
Law solleva le braccia appena in tempo quando lei comincia a picchiarlo.
«Due settimane! Sei sparito senza lasciare traccia per due settimane!» s   braita, sottolineando ogni parola con un pugno. «Sei fortunato se non ti uccido, Law! Ti abbiamo cercato ovunque! Ovunque!»
«Bast… Ehi! Smettila! Koala!»
«Sono venuta qui tutte le sere al tramonto per due settimane dopo aver passato il pomeriggio a cercarti! O a ragionare su dove potessi essere! Mi hai fatto morire di paura! “Calmati” un corno!»
Law la guarda sconvolto, senza parole. Non sente neanche più i pugni, tanto è impegnato a capire se ha sentito bene. Tutte le sere? Per due settimane?
Non sa perché si stupisce, sa che Koala è così. Guai a chi le tocca i suoi amici. Guai a chi le tocca lui. Ma non ci aveva pensato, non si è reso conto. Nemmeno per un momento si è accorto, negli ultimi quindici giorni, di avere reso probabilmente un inferno la vita delle persone a cui tanto tiene. E proprio ora che realizza quanto merita quei pugni, Koala ha smesso di tirargliene.
Ancora a cavalcioni su di lui, lo fissa, il fiato grosso. Law la fissa di rimando, ancora sotto shock. Apre e chiude la bocca un paio di volte, poi si puntella sui gomiti e si solleva con il busto. Sa esattamente cosa deve dirle, anche se è dura per lui. Prende un profondo respiro.
«Koala, io…»
E, per la seconda volta, le parole gli muoiono in gola quando si ritrova le braccia della sua migliore amica intorno al collo e il suo viso incastrato tra la mandibola e la spalla. «Ho avuto così tanta paura che ti fosse successo qualcosa.»
Lo spasmo allo stomaco è così forte da farlo rabbrividire. Deglutisce a vuoto con la gola annodata e senza  troppe cerimonie se la stringe addosso con un solo braccio. Piega appena il viso per poterle parlare direttamente all’orecchio.
«Mi dispiace.»
Stringe la sua maglietta tra le dita. Che razza di cretino è stato.
«Mi dispiace tanto.»
«Law non mi avevi detto di avere la ragazza!»     
Ancora abbracciati, si irrigidiscono. Law sente le guance andare a fuoco e, a giudicare dal calore che sente all’altezza della mandibola, anche Koala non è da meno. Ma quando si voltano verso Cora rimangono comunque abbracciati.
«È un vero piacere conoscerti!» continua Cora, con un sorriso dei suoi e Law sente il sangue gelarglisi nelle vene quando si accorge che è sotto al pergolato, appoggiato comodamente a uno dei pali.
Porta veloce anche l’altro braccio in avanti e posa la mano sul fianco di Koala, sperando di riuscire a trattenerla. Una speranza vana, già lo sa.
«Koala lui è Cora, è un mio amico e mi ha ospitato per tutto ques…»
«Parola d’ordine?» domanda Koala, ignorandolo del tutto e fissando Cora minacciosa.
Cora sbatte le palpebre interdetto. Con il sorriso sollevato sul volto sposta lo sguardo da Koala a Law, in cerca di aiuto. E Law vorrebbe tanto aiutarlo, davvero, e ci prova anche. Porta una mano sulla testa, una sotto l’ascella e finge di grattarsi usando solo la punta delle dite.
Cora si illumina e sorride. «Scimmia» dichiara, soddisfatto e Law non trattiene un sospiro, prima di venire  sbilanciato dall’improvvisa mancanza di un contrappeso sulle gambe. Impotente, osserva Cora venire scaraventato all’indietro da quel missile formato tascabile che è la sua migliore amica.
«Non si entra nel Castello senza la parola d’ordine!» lo ammonisce Koala, seduta ora a cavalcioni su di lui, l’indice puntato contro il suo petto.
Cora non dice né fa nulla, troppo scioccato per reagire, e Law sta già per alzarsi e accorrere in suo aiuto quando Koala si piega in avanti e lo abbraccia.
«Grazie.» soffia e anche se sono un po’ distanti, Law la sente distintamente. «Grazie per esserti preso cura di Law.»
Cora rimane immobile ancora qualche istante. Poi, proprio mentre il sole si infrange contro l’orizzonte colorando tutto di rosso, solleva le braccia e, con un sorriso, la abbraccia a sua volta.
E, anche se non lo ammetterebbe mai con nessuno, mentre li guarda con gli occhi ormai lucidi, Law non può fare a meno di pensare che quello sia il tramonto più bello che abbia mai visto.

 
«A che stai pensando?»
Sbatto piano le palpebre per tornare del tutto in me e mi volto a guardarla, seduta al posto del passeggero, nella Firefist di Sabo. Ma l’ha prestata anche se non gli ho detto a cosa mi serviva e la cosa comunque non mi sorprende.
Non che ci sia niente di male in questa mia gita fuori programma con Koala, avrei benissimo potuto dirglielo. Ma, inaspettatamente, gli aggiornamenti che mi ha dato Cora saranno una sorpresa anche per mio fratello e raccontargli dove dovevo andare e con chi avrebbe dato il via a una serie di insistenti domande  cui avrei finito per dare esasperate risposte che avrebbero rovinato tutto.  
«A quando venivamo qui da bambini.»
Koala mi sorride e dal suo sorriso capisco che ci stava pensando anche lei.
«Quale volta in particolare?»
«In generale.» mento, sapendo di mentire e distogliendo gli occhi dai suoi prima che mi colga in flagrante.
Sento il suo sguardo inquisitorio addosso per qualche secondo ancora. Sta decidendo se indagare o lasciar correre e con mio sollievo opta per la seconda.
«Io stavo pensando alla prima volta che ci siamo venuti.» afferma, lanciando un’occhiata verso il sentiero che arrampica, attraverso il parabrezza dell’auto parcheggiata. «Ti ricordi in che condizioni era quel povero pergolato?» ridacchia e sorrido anche io.
«Difficile dimenticarlo.»
«E il giorno dopo, mentre eravamo a scuola, zio Ty e Dragon sono andati a comprare tutto il necessario, hanno contattato Tom per fargli sgrossare il legno e al pomeriggio ci hanno portati di nuovo qui a riverniciarlo e lucidarlo.» si gira un momento verso di me, con gli occhi sempre così pieni di vita. «Eri adorabile con quel grembiule lilla addosso.» sottolinea, tanto per ricordare a tutto il gentile pubblico presente – ovvero me – che alla tenera età di otto anni ero già così alto che era un problema trovarmi i vestiti della giusta misura. Nella fattispecie, all’epoca l’unico grembiule disponibile abbastanza lungo era rimasto solo in lilla mentre Sabo, Ace, Rufy e Robin se la viaggiavano in blu, giallo, rosso e verde.
E Koala in bianco. Le ha sempre donato moltissimo, il bianco.
«E quando abbiamo finito, era diventato così bello da sembrare un castello. Il nostro Castello sulla Collina.» riprende mentre torna a guardare davanti a sé.
«Da dove guardare il tramonto.» aggiungo piano, anche io gli occhi fissi verso la collina.
«Da dove guardare il tramonto.» conferma Koala, la voce ridotta a un sussurro.
Restiamo in silenzio, con il solo sottofondo di tutti quei rumori tipicamente estivi in zone poco trafficate che ci investono attraverso i finestrini abbassati. Prendo un profondo respiro e noto quanto l’aria sia stranamente densa, come se fossimo in alta montagna, e come, nonostante questo, io mi senta bene, totalmente in pace con il mondo e con me stesso una volta tanto. Come se in questo luogo e in questo momento, avessi tutto quello che mi serve per sentirmi completo.
Quasi sobbalzo quando Koala mi sfiora il polso ma riesco a contenermi. Non voglio che pensi che mi abbia dato fastidio o che mi sia spaventato. Si scuserebbe e non mi piace sentirla chiedere “scusa”. Quando mi giro a guardarla, comunque, mi rendo conto che probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorta. Fissa ipnotizzata il mio orologio, che io porto al polso destro, che può sembrare una cosa anticonformista ma in realtà è perché sono mancino.
«È quello che ti ha regalato Cora. Quello che aveva trovato nei cereali.» dice con un sorriso malinconico.
Non è una domanda e quando la sento mandare giù pesante mi maledico per la mia idea idiota di ritirarlo fuori proprio stamattina. È stato il mio portafortuna per anni ma l’ho sempre indossato solo e soltanto agli esami, per paura di usurarlo. Non so cosa mi sia preso oggi per volerlo mettere così di punto in bianco ma ci avrei dovuto pensare.
Avrei dovuto rendermi conto che mettere questo orologio proprio oggi che l’ho portata qui avrebbe risvegliato i brutti ricordi di quelle due settimane. E se l’ho portata qui non è stato certo per farla sentire male. Tutt’altro. Cerco qualcosa da dire, qualsiasi cosa pur di distrarla, e sposto gli occhi sulla sua mano, ancora appoggiata al mio polso, accanto all’orologio. E mi acciglio.
Da dove arriva quell’affare? Non ce l’aveva l’ultima volta che ci siamo visti, sono sicuro.
«E questo?» le chiedo, sfiorando la nocca del suo anulare sinistro con il polpastrello del mio medio.
Alzo gli occhi sul suo volto nell’esatto momento in cui lei fa lo stesso e lo stomaco mi si contrae quando vedo il suo luminoso e decisamente troppo emozionato sorriso.
Credevo di essermi liberato della modalità fratello maggiore ormai, ma a quanto pare è vero che certe abitudini sono dure a morire.
«Te lo volevo giusto raccontare! Me l’ha regalato Izou! Non è pazzesco?!»
«Cosa c’è di pazzesco?» decido di indagare dopo un attimo di sincera interdizione, in cui ho provato a capire da solo perché mai dovrebbe essere tanto felice per un regalo del suo finto fidanzato gay.
«Beh Izou che fa un gesto carino e altruistico verso qualcuno che non sia Marco. Questo è pazzesco! E ancora più pazzesco che quel qualcuno sia io!» spiega, sempre più entusiasta. Mi prende in contropiede quando stacca la mano dal mio polso per sollevarla davanti agli occhi e ammirare più da vicino quello stupido pezzetto di ottone che lei sicuramente si ostinerà a chiamare anello. «Lo ha trovato nei biscotti sai? Però è il fatto che mi abbia pensata subito, che lo abbia trovato adatto a me appena lo ha visto che lo rende tanto bello!»
La osservo con crescente incredulità e una sempre più insistente di preoccupazione che mi fa perdere i miei solitamente ben collaudati filtri. «Koala, è gay! Te lo ricordi, vero?!»
È solo quando torna a guardarmi – finalmente! – a occhi sgranati e con un sorrisetto che è tutto un programma che mi rendo conto di avere alzato la voce. Inalo a fondo per contenere l’imbarazzo e sollevo appena il mento.
Non ho niente di cui vergognarmi. Semplicemente non voglio che soffra, in un modo tanto stupido poi.
«Lo so.» mi risponde, espandendo sempre più il sorriso. Corruga le sopracciglia una frazione di secondo. «Che ti prende?»   
«Niente.»
«Santo cielo, non starai facendo il geloso?»
Lo so nel momento in cui lo dice. Lo so perché la sto guardando dritta negli occhi e lei guarda dritta nei miei. So che non posso imbrogliarla e ha già letto la risposta sulla mia faccia ma siccome sono un testardo, ci provo comunque.
«Ovvio che no.»
«Oh cavolo!» esclama tra le risate. «Non posso crederci! Law, è gay!»
«Sì mi sembra che tutto giri intorno a questo basilare concetto, infatti.» ribatto asciutto, cercando di non apparire troppo indignato. Non che lei mi faciliti il compito, ha praticamente le lacrime agli occhi da tanto ride.
Che ci sarà mai di così divertente, poi!
«Credevo ti fossi liberato della modalità fratello maggiore.» commenta una volta che è riuscita a calmarsi, con un guizzo negli occhi, mentre apre la portiera. «Dai andiamo o finiremo per fare tardi.» aggiunge, balzando giù dalla macchina.
La osservo allontanarsi diretta al sentiero che si inerpica quasi subito verso la cima della Collina e ci metto un attimo a riprendere possesso delle mie funzioni motorie per seguirla.
Per quelle verbali capisco che ci vorrà anche di più quando, senza un apparente valido motivo, e senza alcuna coerenza o senso, sento il viscerale bisogno, prima di scendere dall’auto e raggiungerla, di mormorare a me stesso a mezza voce: «È gay, Law. È solo il suo finto fidanzato gay.»
In fondo ho sempre saputo che, con Cora e Koala nella mia vita, un giorno o l’altro sarei impazzito anche io. 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


«Ha bisogno di un po’ di manutenzione eh?» considero, il capo piegato di lato.
So che Law, un passo dietro di me, la sta fissando con lo stesso sconcerto. «Già…»
«Ma come sarà arrivata qui?» domando, non so nemmeno io nello specifico a chi. Restiamo ancora un attimo a fissare la vecchia altalena arrugginita e malconcia finché non mi stringo nelle spalle e ci giriamo simultaneamente verso il nostro pergolato, che risplende ancora dopo l’ultima riverniciatura che siamo venuti a dargli, il mese scorso, io e Sabo. Ace lavorava e  Robin è rimasta in disparte a guardare. Qualcuno temeva che i fumi della vernice potessero farle male nel suo stato interessante.
L’edera la avvolge in un delicato e gentile abbraccio e il sole già caldo di metà mattina proietta a terra un’ombra che sembra quasi invitarci a giocare, saltellando da un quadrato luminoso all’altro, accogliente come il colore scuro e denso del legno. Esattamente come deve essere, insomma.
Lascio vagare ancora un momento lo sguardo sulle linee dritte e squadrate del pergolato. È strano che io lo ami così tanto. Di solito preferisco le cose morbide e flessibili ma lui è la mia eccezione.
«Te lo porteresti a casa?»
Tutto il sangue che avevo nelle gambe defluisce alla testa e ho l’impressione che per un attimo cuore e stomaco si siano scambiati di posto. La sua voce è ben più vicina di quanto mi aspettassi, lui è più vicino di quanto mi aspettassi – la mia schiena è quasi contro il suo torace – e a farmi saltare come un petardo in questo modo è che ne ero perfettamente consapevole. Se avesse allungato le braccia e mi avesse abbracciata da dietro, non lo avrei trovato strano fintato che eravamo immersi nel magico incantesimo del Castello sulla Collina. Ma ora che ha parlato e l’atmosfera è spezzata mi accorgo di quanto tutto questo sia fuori luogo.  
«Eh già!» esclamo, nervosa.
Mi allontano svelta, con la scusa di guardare il panorama che si estende ai piedi della Collina del Sole. È una vista magnifica ma al momento non riesco esattamente a godermela, ancora scossa come sono da quanto è appena successo.
Il che è ridicolo, ammettiamolo. Io e lui siamo così da sempre e non è uno di quei legami che si spezzano o cambiano con tanta facilità, il nostro. Non con tutto quello che c’è dietro, indipendentemente da quello che succede nelle nostre vite. Ma sono pur sempre le prove del suo matrimonio la nostra prossima tappa.
Inspiro profondamente per calmarmi e quando espiro mi accorgo che mi sto rilassando davvero. Mi abbraccio da sola e un sorriso fa nuovamente capolino sulle mie labbra. È pazzesco quanto riesca a essere terapeutico quest’angolo di paradiso.
«È magnifico.» sospiro a mezza voce, lasciando che la brezza profumata d’estate e tigli mi accarezzi le braccia e le gambe nude. È perfetto, tutto assolutamente perfetto. Non cambierei una sola virgola di questo momento.
Ma, come tutte le cose belle, so che non potrà durare per sempre e che il tempo che abbiamo per stare qui è contato, perciò, anche se vorrei fingere che non ci sia una ragione particolare, mi vedo costretta a indagare al riguardo senza tergiversare oltre.
«Allora…» comincio, voltandomi mentre infilo le mani nelle tasche nascoste del mio vestito. «…come mai siamo qui?»
Law mi fissa senza fiatare. Anche lui ha le mani in tasca e senz’altro troverei buffo quanto ci siamo contagiati a vicenda con le nostre abitudini in questi anni se solo il suo sguardo non mi stesse trapassando da parte a parte.
Mando giù un paio di volte, quasi a disagio – “quasi” perché non esiste al mondo situazione in cui potrei trovarmi a disagio con lui –, e sto per ricordargli che non so leggere nel pensiero quando finalmente si decide a rispondere. «Ho una novità. Sei la prima a cui lo dico.»
In una manciata di secondi passo attraverso svariati stati emotivi e teorie che spaziano dal verosimile all’astruso. Ha scelto la cravatta per il matrimonio, ha trovato una cura contro la sindrome del piombo ambrato, è riuscito a convincere Bibi a scappare a Skypeia, la NASA gli ha proposto di diventare il primo chirurgo pediatrico nello spazio.
Per un attimo accarezzo la speranza che abbia deciso di ritrasferirsi qui e che gli abbiano già offerto un posto in ospedale – è sempre stato quel tipo di persona che lascia il segno e sa come far sentire la propria mancanza – ma mi rendo subito conto che non sarebbe compatibile con Bibi.
E se la novità riguardasse anche lei?
Non sarà che è incinta…
Un senso di nausea mi attanaglia la bocca dello stomaco. La troppa attesa non mi ha mai fatto bene, d’altra parte.
«Law!» lo incito.
«Cora ha ottenuto il finanziamento.» si decide finalmente a parlare e io rimango interdetta. Per un secondo è come se avesse parlato una lingua sconosciuta.
«Cosa…» devo fermarmi per inumidire la gola e per frenare il flusso di pensieri perché, a questa velocità, rischiano di farmi esplodere. «Ha vinto… abbiamo vinto l’appalto?» domando, mentre il cervello arriva al dunque più in fretta del mio cuore e della mia capacità di raziocinio in generale.
So di cosa sto parlando e al tempo stesso non so cosa sto dicendo. Non riesco a crederci, non può essere vero. È fantascienza. Sto sognando?
Law ghigna, io porto una mano alla bocca.
Dillo, dillo ad alta voce, dannazione!
«Abbiamo vinto.»
Non provo nemmeno a trattenere l’urlo di gioia che si fa strada tra le mie corde vocali. Non so bene come, mi ritrovo con le braccia intorno al suo collo e le sue mani sui fianchi, a ridere come una bambina sull’ottovolante. E la testa mi gira pure uguale.
Non riesco a crederci, io non…
«Santo cielo! Non riesco a crederci!» esclamo, staccandomi da lui e portando entrambi le mani a immergersi nei capelli. Sono fuori di me dalla gioia. «Ma quando? Come?»
«Koala calma.» non riesce a trattenere mezza risata neanche lui. Quanto tempo era che non lo vedevo così felice? «L’ho saputo anche io solo ieri. Pare che il comune di Raftel continuasse a tenere in sospeso l’appalto in attesa che Cora ottenesse il finanziamento. A malapena hanno seguito l’iter quando ha inviato le carte per e-mail, tanto avevano fretta di approvargli il progetto.»
O mio dio, mio dio, mio dio. Se è un sogno non svegliatemi. Anche se…
«Come ha fatto ad avere il finanziamento mentre era ad Harahetternia? Senza garanzie.»
Trattengo di nuovo il fiato ma non con aspettativa, quando Law si fa serio e grave. «Ha ipotecato la casa. Ma non preoccuparti, ho già sistemato ogni cosa. Lui non sarà molto d’accordo quando verrà a saperlo ma alla banca interessa solo incassare i soldi, perciò darà ragione a me.» 
«Se posso contribuire…» provo ma subito mi ferma con un cenno secco del capo.
«Sono anni che Dragon cerca un modo per ripagare Cora. E per Cobra è una causa abbastanza nobile da intervenire anche senza l’intercessione del suo futuro genero. Senza contare che anche io ho da parte qualcosa e nel giro di un paio d’anni guadagnerò anche di più.»
«Sì ma…»
Solleva una mano con fare solenne e io non posso che zittirmi di nuovo. Il che non è cosa da poco.
«Voglio solo essere sicuro che continui ad avere un tetto sopra la testa, Koala. Ci sarà tanto altro da fare.»
È più forte di me, ricomincio a ridere e, incurante del fatto di trovarmi ancora tra le sue braccia, ruoto su me stessa per fare una panoramica della Collina. Provo a immaginare il suo aspetto a lavori terminati. Visualizzo i bambini che corrono e ridono nel parco o semplicemente si godono il panorama dalle loro camere e le lacrime mi salgono agli occhi.
Il primo ospedale pediatrico di Raftel sorgerà proprio qui, dove ora ci troviamo. E non sarà un ospedale qualunque. Sarà l’ospedale di Cora e di Law.
Il sogno nel cassetto per uno, il progetto di una vita per l’altro.
Un luogo dove ricordarsi come restare bambini nonostante la vita voglia obbligarti a crescere in fretta. Quello che noi non abbiamo avuto.
«Sorgerà proprio qui.» mormoro a mezza voce. Non so nemmeno se riesce a sentirmi. «Proprio davanti a noi. L’ospedale pediatrico di Cora.»
«Il Castello sulla Collina.» sussurra e capisco dal suo tono che mi sta correggendo. Tutto si ferma per un attimo. Il mio respiro, il mio corpo, il mio cervello, il mio cuore.
Mi volto lentamente verso di lui.
«A Cora i nomi classici non piacciono. Per lui Raftel Pediatric Hospital era troppo asettico e così gli ho fatto la mia proposta. Gli è piaciuto subito.» spiega con un mezzo sorriso, così diverso dal suo solito ghigno.
Se prima ero confusa, ora sono semplicemente oltre la credulità. Non sono affatto sicura che sia tutto vero. Forse è un sogno, uno di quei sogni molto vividi, di quelli dove puoi anche decidere cosa fare. Forse sono un’onironauta e non lo sapevo. Ma se così fosse dovrei riuscire a controllarmi e non c’è niente di più lontano dalla verità, in questo momento.
Sono fuori di me, in un senso così buono e positivo che non lo credevo possibile. So che c’è sotto dell’altro, lo sento e capisco da come mi guarda e la commozione mi comincia a sopraffare. È tanto, è troppo. È tutto.
«Perché sono la prima a cui lo hai detto?» chiedo, il groppo in gola.
Scopro di non essermi sbagliata, che la risposta non è un semplice “perché sei la mia migliore amica”, quando si stacca da me e si allontana di qualche passo, il suo turno di fissare il panorama, le mani in tasca.
«Lo sai che una volta questa Collina ha rischiato di venire rasa al suolo? La Wapol Association voleva costruirci un gigantesco centro commerciale con tanto di piattaforma per gli elicotteri sul tetto. Distruggendo metà della collina ed eliminando tutti gli alberi intorno, ovviamente. Avevano presentato già il progetto al comune di Raftel che lo stava valutando.»
«E poi cos’è successo?» gli do corda, rapita dalla sua voce.
Perché, anche se è patetico, ho bisogno di sentirlo.
«Una ragazza. Completamente matta. Era al mio stesso anno di università ma nella facoltà di scienze della comunicazione, e scriveva per il giornale universitario. Ha cominciato a scrivere articoli di protesta e nel giro di tre settimane l’intera università si opponeva al progetto, docenti compresi, seguiti a ruota da un sacco di altra gente di Raftel. Lei ci ha sempre saputo fare con le parole. E poi sono iniziati i sit-in. Una volta l’hanno anche portata in carcere ma è uscita subito su cauzione.»
Non trattengo una risata roca, lo intravedo che si volta, da dietro la barriera di lacrime.
«Io la conosco sai?»
Mando giù, per provare almeno a inumidire la gola. «Davvero?»   
Law annuisce e ricomincia a camminare verso di me. «È la mia migliore amica. E di recente l’ho rivista dopo tanto tempo.»
«E…» mi blocco per prendere aria mentre lui si ferma a pochi passi da me. «…E come sta?»
Mi guarda intensamente, così intensamente che rischio seriamente di sciogliermi ai suoi piedi.
«Ho avuto l’impressione che si sia persa per strada ultimamente. Che si sia dimenticata chi è davvero. Che pensa di fare un lavoro inutile e di non essere più quella di un tempo, anche se non ha nemmeno trent’anni e deve solo avere un po’ di pazienza perché un giorno potrà diventare tutto ciò che vorrà. E ho pensato che fosse giusto aiutarla a ritrovare la strada verso casa, come lei ha fatto tante volte con me.»
Non mi interessa se non è tipo da abbracci. E non mi stupisco quando le sue braccia mi accolgono mentre io gli getto le mie al collo, in lacrime.
Lacrime di gioia e di sfogo per tutte queste emozioni.
Lacrime di sollievo, perché è riuscito a tirare fuori quello che ho dentro da settimane e non avevo il coraggio di ammettere nemmeno con me stessa e a darmi le risposte a domande che non gli avevo neanche posto. Non so come ha fatto a capirlo, solo guardandomi. So che mi ha fregato quel momento di malinconia all’atelier settimana scorsa. Ma non mi interessa nemmeno.
So solo che sono felice che lo abbia capito, che mi abbia obbligata ad affrontarlo e che ora mi stia stringendo così.
Non conta nient’altro. Non c’è niente che potrebbe rendermi più felice di come sono adesso.
«Koala, vuoi occuparti delle campagne di raccolta fondi dell’ospedale?»
Ma evidentemente mi sbagliavo.
Gli occhi già più asciutti, mi allontano appena da lui, il necessario per poterlo guardare in volto. D’altra parte finché mi tiene sollevata da terra non posso fare molto altro. «Come?»
«So che il lavoro alla Ivankov&Co. ti assorbe parecchio e che questo sarebbe non retribuito e infatti nessuno si aspetta che diventi la tua priorità ma ti assicuro che le campagne saranno sporadiche.» spiega mentre mi riposa a terra.
«Sì ma… perché proprio io?»
Sono sinceramente confusa. Con tanti professionisti che ci sono in giro.
«Cora dice che abbiamo bisogno del migliore. Io lo sto chiedendo alla migliore.» spiega, lasciandomi di nuovo senza parole. Non che mi avrebbe dato il tempo di ribattere, comunque. «Ho intenzione di chiedere anche a Sabo e Robin per il ramo legale ed economico. Sempre a tempo perso, ovviamente.» prosegue, infila le mani in tasca e abbassa lo sguardo al suolo. «Con voi tre dentro l’organizzazione, sarà quasi come essere qui per me. Saprò di lasciarlo in buone mani.»      
E per la prima volta da quando mi ha dato la notizia, mi rendo conto.
Lui non sarà qui, non lavorerà qui. Tornerà ad Alubarna. Non vivrà il sogno, non per davvero.
«Law…» lo chiamo cauta, portando una mano sul suo braccio. Anche se non so nemmeno io per dirgli cosa.
Cosa potrei dirgli dopotutto? “Non partire, resta”? “Non sposarti”?
Che assurdità!
Ma non devo nemmeno pormi il problema quando si scosta di nuovo da me, consapevole di essersi scoperto troppo. Anche se sono io, so che non vuole cedere, non stavolta.
Cammina deciso verso il pergolato e si immobilizza sul limitare. «Banane.» mormora prima di entrarci, posare una mano su uno dei pali e osservarlo con attenzione. «Ho già chiesto che lo spostino così com’è a casa a Goa. In attesa che possa prenderlo tu quando avrai una casa con il giardino.» mi spiega e io mi batto una mano sulla coscia, tra l’arrabbiato e l’impaziente.
«Perché non lo prendi tu?»
Sarebbe più giusto, avrebbe con sé almeno un pezzo di questa grande avventura. Ma subito si gira a guardarmi con un sopracciglio alzato e quella sua espressione scettica . «Hai presente il clima di Alabasta?» si limita a domandarmi, prima di tornare a fissare il pergolato. «Era l’alternativa a Skypeia.» aggiunge poi, cogliendomi del tutto alla sprovvista. «Mi sarebbe piaciuta una cerimonia nel giardino di casa, sotto al pergolato. Una cerimonia intima.» precisa, senza smettere di fissare le travi di legno. Sa che lo sto ascoltando. «Ma gli invitati sono troppi anche per la villa di Dragon e poi…» si stringe nelle spalle. «…chi vorrebbe sposarsi sotto un vecchio pergolato pieno di schegge?»
Lo osservo, immobile ancora per un attimo, prima di decidermi a tornare in me. Mi asciugo le guance decisa e mi muovo per raggiungerlo.
«Stai scherzando vero?» domando, mentre ruoto intorno a uno dei pali, la mano che accarezza il legno non più morbido e smussato come un tempo. «Banane.» affermo prima di superare il limite consentito e fermarmi proprio di fronte a lui. «Chi non vorrebbe sposarsi dentro un Castello così bello?» gli chiedo, tornando finalmente a sorridere come la vera me.
Law mi osserva dall’alto verso il basso, con un ghigno. Sono vagamente consapevole del poco spazio che c’è qua sotto per tutti e due.
«Me lo ricordavo più ampio.» afferma e sono sempre più convinta che sappia leggermi nel pensiero.
Faccio spallucce e inclino il capo di lato. «Io ti ricordavo meno ingombrante.» lo prendo in giro. «Comunque sai cosa? Nulla ti vieta di usarlo per farci almeno una prova!» esclamo, fin troppo entusiasta per i suoi gusti, lo so.
E infatti eccolo accigliarsi. «Cioè?» domanda, firmando inconsapevolmente la sua condanna, e il mio sorriso si fa inquietante.
Sghignazzo già al pensiero della faccia che farà e quando riprendo a parlare non mi trovo delusa nelle mie attese.
«Vuoi tu, Trafalgar Monkey D. Lawrence…» cantileno e Law sgrana gli occhi, scioccato e anche lievemente in panico.
«Koala, per favore!»
«…prendere questa donna…»
 

 
«…come tua legittima sposa, nella buona e nella cattiva sorte….»
 

«…sopportarla nei giorni del ciclo…» proseguo imperterrita e ho il mio attimo di soddisfazione quando Law si lascia sfuggire mezza risata. Dopotutto le formule classiche non mi hanno mai convinto fino in fondo. «…e quelli in cui semplicemente finisce il caffè…»
«Tu non dovresti berlo, il caffè.»

 
«…nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia. Essere il suo sostegno e la sua forza…»
 

«…consolarla nei suoi momenti più difficili e stringerla tra le tue braccia di notte…»
 

 
«…onorarla, rispettarla…»

 
«…e amarla, per tutti i giorni della tua vita?» concludo, vagamente consapevole che la mia voce è ridotta ormai a un soffio e non riesco a staccare i miei occhi dai suoi.
 

 
«Sabo?»
 

«Koala…»
 
«Dovresti rispondere se no padre Gan Forr non può continuare la prova.»
«Io…»
 

«Sì?»
 

 
«Lo voglio.»
 

«È la cosa giusta?»
Socchiudo gli occhi, confusa e ancora un po’ stordita. «Che cosa?»
«Sposare Bibi. Sto facendo la cosa giusta?»
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


«Sto facendo la cosa giusta?»
Sbatto le palpebre interdetta, il sorriso congelato sul volto.
Che ha detto?!
Sbatto di nuovo le palpebre.
Andiamo, è uno scherzo vero? Non può avere una crisi ora e qui, dove ci sono solo io! Cosa dovrei dirgli esattamente?! Non è compito mio, dovrebbe spettare a Sabo, è lui il testimone!
Okay, Koala, calma. Calma.
«Perché non dovrebbe esserlo?» gli rigiro la domanda, tornando a sorridere anche se sento che c’è qualcosa di forzato. È la mia modalità di gestione crisi, pochi patemi, valutare i fatti e non le ipotesi. Non so quanto possa essere efficace stavolta, non l’ho mai usata per un attacco di panico prematrimoniale.
«Forse… forse avevate ragione voi.» tentenna e il cuore mi si stringe. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che l’ho visto tentennare. Forse mai. «Magari è troppo presto, stiamo correndo troppo e…»
«Law.» lo fermo con tono dolce ma deciso. «Pensare così tanto non serve a niente. Nessuno può sapere come andrà ma tutti sappiamo quanto ne fossi convinto quando sei tornato. Lo abbiamo visto tutti.»
«Avevo bevuto parecchio.» ribatte e mi lascia di stucco.
Sembra quasi che voglia sentirsi dire che sta sbagliando e di non farlo. E per un momento l’idea di assecondarlo è spaventosamente allettante ma non posso lasciare che il mio desiderio di riaverlo qui con me obnubili il mio giudizio.
«Sì ma tu non sei il tipo che si fa sopraffare dall’alcool. Tu sei Trafalgar Law, sei quello che soppesa pro e contro persino per decidere dove andare in vacanza e se bevi al massimo viene fuori ciò che senti davvero.»
«Ma questa volta non ho soppesato pro e contro, Koala! Lo avete detto anche voi, non è da me! Questa decisione, tutto questo! Non è da me!»
Sgrano gli occhi, basita. Sta perdendo il controllo, è fuori di sé e questo no che non è da lui. Vorrei tanto capire che gli prende, sembra molto più di semplice panico prematrimoniale, ma prima devo riuscire a calmarlo.
«Law!» lo chiamo e avanzo decisa, per afferrargli il viso con le mani. Dopo essermi alzata sulle punte, si capisce.
Mi osserva, per un attimo sorpreso, come se lo stupisse che posso toccarlo, ma ottengo l’effetto desiderato. Il respiro è ancora grosso e sregolato ma ha smesso di parlare a ruota libera e, anche se mi fissa stralunato, so di avere la sua completa attenzione.
«Forse…» mi fermo. So esattamente cosa voglio e devo dirgli ma per un secondo mi mancano le parole. A me. Che succede oggi? «Forse se questa volta non ci hai pensato troppo, se hai agito di impulso, se non ti sei comportato come fai sempre è perché è davvero importante. Perché è…» deglutisco per inumidire la gola. «Perché lei è speciale, no? Insomma tu… tu la ami, giusto?»
Un lampo gli attraversa gli occhi. È di nuovo nel pallone e stavolta, devo ammetterlo, è colpa mia. Parlare di sentimenti lo ha sempre mandato e sempre lo manderà in confusione. Perciò, ora, devo provare a spiegarmi.
Fosse facile. Provate voi a dare una descrizione all’amore.
«È lei la persona che vuoi vedere quando ti svegli al mattino? È tua amica, la tua confidente a cui racconteresti anche il più oscuro dei tuoi segreti se volessi, ma non per questo ti senti obbligato a farlo? Il tuo punto di riferimento, la prima persona che ti viene in mente quando vuoi raccontare qualcosa a qualcuno e se ti succede qualcosa di davvero molto bello, oh mio dio…» sorrido, più coinvolta ed emozionata di quanto dovrei. «… mio dio se muori dalla voglia di chiamarla e dirglielo! E solo vederla… solo vederla ti migliora la giornata e ti fa sentire come se nulla, mai, potrebbe andare storto!»
Law continua a fissarmi a occhi sgranati ma il suo respiro è tornato regolare, così sposto le mani sul suo petto e riappoggio tutta la pianta del piede a terra. La scarpa di destra si gira a tradimento e rischio di perdere l’equilibrio. È meno di una frazione di secondo ma le sue mani sono già sui miei fianchi, forti e protettive.
«È questo che provi?» insisto, decisa a restare sul pezzo e tirargli fuori una risposta.
Mi continua a osservare con questo misto di sorpresa e sconvolgimento che non gli ho mai visto dipinto in volto quando finalmente soffia un: «Sì…» così piano che dubito sarei riuscita a sentirlo se non fossimo tanto vicini.
Credo abbia appena realizzato la reale portata dei suoi sentimenti e sono felice per questo ma c’è anche una punta di malinconia. Mentre gli sorrido incoraggiante, per ricordargli che va tutto bene, che lasciarsi prendere da una persona non significa perdere la cognizione di se stessi, che innamorarsi è una cosa bella e che si può abbandonare a quello che prova senza conseguenze, mentre faccio tutto questo le mie dita stringono spasmodiche la sua camicia, traditrici, testimoni della mia paura mai sopita di… non so nemmeno io cosa.
Forse è solo una mia impressione ma anche la sua stretta su di me sembra essere aumentata un pochino.
«E allora stai facendo la cosa giusta.» riprendo a parlare. «Se è questo che provi per lei, non ha senso aspettare. Adesso o tra un anno, che differenza fa? È quella giusta, se ti senti così.» annuisco convinta, senza mai staccare i miei occhi dai suoi. O le mie mani da lui, se è per questo. «E poi credevo che il matrimonio fosse solo una serie di compr…» comincio già decisa a schernirlo per la sua totale mancanza di romanticismo ma un pensiero mi coglie e mi pietrifico.
«Koala?»
«La prova! Law che ore sono?! Hai la prova del matrimonio stamattina!»
Io non so se vi ricordate quando ho detto che far ridere Trafalgar Law non è da tutti. Ebbene, riuscire a mandarlo in panico per tre volte a fila lo è ancora meno e non fosse una situazione di emergenza forse mi complimenterei con me stessa.
Stacca la mano dal mio fianco per poter controllare l’orologio giallo e, anche se è un cambiamento impercettibile, capisco da come squadra la mascella che è tornato padrone di se stesso.
«Siamo tirati ma se ci muoviamo subito dovremmo arrivare puntuali per le undici.»   
Sapevo che questa gita sarebbe durata poco eppure fatico ad arginare la delusione. Ma dopotutto è normale, io adoro stare qui, ci passerei giornate intere. Oggi però ci sono cose più importanti da fare.
«Andiamo!» lo incoraggio con entusiasmo.
Non registro tutto il tragitto per arrivare all’auto, è come una specie di buco nella mia memoria. Anzi, a dire il vero realizzo che ci siamo solo quando mi trovo seduta al posto del passeggero, Law accanto a me che infila deciso le chiavi nel quadrante. Studio più attenta il suo profilo.
È teso. Molto teso. Quel genere di tensione che prova di solito prima di un volo aereo, anche se basterebbe un po’ di valium ma lui si rifiuta perché, cito testualmente, lui non prende certe schifezze che, per inciso, prescrive però ai pazienti se serve. L’unica differenza è che il suo colorito è rimasto della sua solita tinta caramello e non tira del verde. Tuttavia, al mio occhio non sfugge che qualcosa non va.
«Stai b…» faccio per domandare già accigliata ma un suono terribile mi raggela.
Mi giro incredula e inorridita verso il volante.
Il suono riecheggia di nuovo nell’abitacolo. Il suono di una macchina che non ha nessuna intenzione di partire. Il suono di un motore che non funziona.
Law prova ancora. E ancora. E ancora. E al quinto tentativo lascia scivolare il braccio lungo il fianco e io capisco che è tutto reale e sta succedendo veramente.
«Non posso crederci…» mormora passandosi una mano sul volto.
Poi, senza metterci d’accordo, apriamo la portiera nello stesso momento e usciamo dall’auto, decisi a rimboccarci le maniche. Mi avvicino al cofano per aprirlo mentre lui tira fuori il telefonino.
«Chiamo Robin.» mi avvisa mentre io studio i circuiti e i cavi che riempiono il vano anteriore della macchina.
Non ci capisco molto ma così ad occhio non sembra esserci niente che non va. Potrebbe essere anche solo la batteria.
Almeno spero.
«Sabo, mi auguro solo che tu ti sia ricordato di fare la revisione alla macchina, perché altrimenti stavolta ti uccide sul serio.»
 

***
 

Ascolto il cellulare squillare, impaziente. Voglio solo avvisarla del contrattempo in modo da potermi concentrare unicamente sul problema di me e Koala bloccati in una zona con pochissimo campo e quasi niente traffico, del tutto priva di un servizio di mezzi pubblici – un punto su cui bisognerà discutere molto bene con l’assessore ai trasporti una volta che l’ospedale sarà aperto – e, suppongo, di officine.
Non mi illudo di poter salvare le prove ormai. Eravamo già in ritardo e non abbiamo modo di raggiungere GoldenBell se non a piedi. Anche se ci venissero a recuperare non faremmo comunque in tempo. Mi spiace solo per Bibi, so che ci teneva a provare per paura – del tutto infondata, secondo me – di fare qualche gaffe il giorno del matrimonio.
Un click risuona nel mio orecchio e mi riscuote.
«Robin?»
«Law. Eccoti finalmente. Come va l’emergenza al pronto soccorso?» domanda subito e io resto spiazzato per circa due secondi, prima di capire che cerca di comunicarmi qualcosa. E non ci metto molto a capire cosa. «Sì, sì, ho avvisato tutti che sei bloccato in ospedale. Ma tranquillo, Bibi ha provato lo stesso.»
Perplesso, lancio un’occhiata all’orologio giallo. Non sono nemmeno le undici. «Come sarebbe a dire che ha provato? Di già?»
«Certo. Beh vedila così. Anche se le aveste lasciate alle undici anziché anticiparle di un’ora non saresti comunque riuscito ad arrivare in tempo. Si vede che era destino.» percepisco il sorriso nella sua voce e sobbalzo, colpito da una sensazione molto chiara.
La sensazione di essere irrecuperabile. Come ho fatto a dimenticarmi che le avevamo anticipate? Lancio un’occhiata a Koala, per mia fortuna troppo assorta a studiare il contenuto del cofano per stare ad ascoltare la metà che può della telefonata. So cosa penserebbe di me se scoprisse che ho dimenticato una cosa così importante e preferisco evitare.
«Aspetta, aspetta… ti sento malissimo, provo a uscire dalla chiesa.» Robin continua la sua recita e io attendo in silenzio, conscio della lunghezza di GoldenBell e del tempo che ci vuole per uscire sul sagrato quando ti trovi nei pressi dell’altare. «Tutto bene?» domanda all’improvviso, con un tono molto più serio.
«Sì.» mi affretto a rispondere, allontanarmi di qualche passo e abbassare la voce tutto in una volta. «Mi ero dimenticato che le avevamo spostate alle dieci, cazzo!»
Per un momento Robin resta zitta e poi: «Chi c’è lì con te?»
«Chi ti dice che ci sia qualcuno con me?» ribatto, pronto e impassibile.
«Parli sottovoce. Come se non volessi farti sen… Ah. Sei con Koala»
È solo una constatazione, la sua. Non c’è traccia di rimprovero né scherno né disapprovazione nella sua voce. È materna e affettuosa come sempre ma io mi sento di colpo sotto esame. Sto ancora cercando qualcosa da ribattere quando Robin parla di nuovo.
«Siete alla Collina del Sole, vero?»
Quasi mi strozzo con la mia stessa saliva. «Come fai a…»
«Vai sempre lì quando sei spaventato per qualcosa» risponde con semplicità e io mi irrigidisco.
Lancio un’occhiata di striscio da sopra la spalla verso Koala. Robin mi conosce bene e ha intuito da vendere ma anche così non mi conosce comunque quanto lei. E perciò mi domando se Koala non abbia fatto lo stesso collegamento. Nonostante, certo, avessi anche altri motivi per portarla qui. «Non so di che parli.»
«Okay.» so che sta sorridendo indefessa e grugnisco appena. «Se avete bisogno che qualcuno venga a recuperarvi chiama. So che è difficile crederci ma Franky è bravo a mantenere i segreti.»
«Sì, è un po’ difficile crederci» confermo e la ascolto ridacchiare con discrezione. 
«Buona giornata Law»
«A te Robin» la saluto e, mentre chiudo la telefonata mi sto già voltando verso la mia compagna di sventure.
Non sta più esaminando il cofano ma è appoggiata di schiena al muso della Firefist, una mano nella tasca del vestito, l’altra che sorregge il cellulare su cui è focalizzata, il vento nei capelli e lo sguardo assorto.
Non so quanto tempo passa quando mi accorgo che la sto fissando, senza alcun motivo per altro.
Una folata più forte le sposta una ciocca di capelli davanti al volto e lei estrae la mano dalla tasca per scostarla e portarla dietro l’orecchio, tutto senza staccare lo sguardo dal display, concentrata. Non so come sia possibile – di fatto non lo è – ma quando è concentrata su qualcosa i suoi occhi sembrano ancora più grandi e luminosi.
Scuoto la testa con un cenno secco. Ora non è il momento.
«Ehi» la chiamo, tornando sui miei passi di poco fa.
«Ho trovato un’officina da queste parti» mi avvisa e smanetta ancora un attimo al telefonino prima di sollevare gli occhi su di me, con un sorriso così radioso che non riesco a non ricambiare, anche se a modo mio.
«Davvero?» le chiedo, sinceramente colpito.
«A-ah. Non rispondono però, mi sa che dovremo andarci a piedi» mi avvisa, staccandosi dall’auto per incontrarmi a metà strada. «È a circa venti minuti» si ferma a un passo da me, tutte e due le mani in tasca ora.
Sento l’angolo della bocca stirarsi ancora di più verso l’alto. «Una passeggiata rilassante»
«Esattamente il mio stesso pensiero» annuisce convinta.
 E infatti è precisamente quello che è. Una rilassante passeggiata, a parlare di tutto e di niente, uno accanto all’altra, come non succedeva da decisamente troppo tempo ormai. Tanto che nemmeno mi rendo conto che i fatidici venti minuti sono passati, quando Koala mi priva della sua attenzione e, individuato qualcosa poco più avanti, esclama: «Eccola!»
Mi fermo di colpo: «È quella?» domando perplesso e ho le mie buone ragioni visto che si tratta sostanzialmente di un garage incastrato sotto una delle poche case che sorgono in questa zona.
«Non fare lo schizzinoso!» mi ammonisce Koala, senza smettere di camminare di schiena per potermi guardare. «È già un miracolo averne trovata una!» mi fa notare e non è che io possa darle torto, così mi affretto a raggiungerla.
Più mi avvicino più mi sorgono dei legittimi dubbi su quanto chi lavora qui potrà effettivamente aiutarci. È chiaro che si tratta di un’officina fai-da-te ma se hanno anche solo un rimorchio sono disposto a pagarli per fargli trainare la Firefist in città. Per quel che mi riguarda, se Koala è d’accordo noi possiamo tornare a Raftel anche a piedi.
Imbocchiamo il vialetto che conduce al garage e, una volta sulla porta, posso affermare che si tratta davvero di un box auto ma, devo ammetterlo, è un box auto davvero ben organizzato. C’è un bancone su cui è sparsa qualche brugola, una chiave inglese e dei fogli volanti, una scaffalatura bassa di metallo corre lungo la parete di fondo, sotto a un pannello portautensili maniacalmente ordinato, ci sono dei ganci probabilmente per le tute e anche un minifrigo in un angolo. Al centro è parcheggiata una macchina – l’unica che ci sta a dirla tutta –, una Worst Generation bordeaux, proprio sopra a quelle che a occhio mi sembrano due ponti sollevatori da moto, posizionati alla giusta distanza per poter essere utilizzati anche per un’auto.
Chiunque gestisca questo posto non manca certamente di senso pratico, anche se continuo a chiedermi come faccia a definire il proprio garage un’officina. Potrei anche chiederglielo, non appena sarà uscito da sotto la macchina, sollevata di una ventina di centimetri da terra.
«Ahm, mi scusi?» Koala avanza di qualche passo dentro l’autorimessa, alzando appena il tono per sovrastare il clangore metallico che risuona nel non così ampio spazio.
Le gambe del meccanico sono colte da uno strano spasmo, come se il tipo avesse sobbalzato nel sentire la voce di Koala. Forse è stupito all’idea di avere dei potenziali clienti.
Una mano spunta da sotto la Worst Generation e si aggancia all’intelaiatura inferiore della macchina per fare leva e trascinare fuori il suo proprietario, un ragazzo biondissimo e ben piazzato. Resta seduto sulla tavola con le rotelle, le gambe appena divaricate, gli occhi increduli fissi su Koala, che sorride come se volesse portare il sole nella stanza.
«Buongiorno.» lo saluta e lui continua a fissarla.
A occhio e croce avrà sui ventidue, ventitré anni ma, considerata la sua imponente struttura ossea, potrebbe anche essere più giovane e dimostrarne qualcuno in più. Se non altro, ora comincio a capire.
«O… santo… Roger…» mormora e io corrugo le sopracciglia stranito e lo tengo sotto tiro mentre si alza da terra per avvicinarsi a Koala. È un bell’armadio ma è più basso di me. «Sapevo che prima o poi almeno una donna avrebbe messo piede qui dentro. Ma una così sexy al primo colpo non lo avrei mai detto.»
Sgrano gli occhi e serro la mascella. Ho sentito bene?
Koala mi lancia un’occhiata di striscio piuttosto basita e trattiene a fatica una risata. «Ssssì. Io non mi aspettavo un meccanico così giovane, invece.»
«Giovane e prestante, baby.» ammicca il biondo e io non so più esattamente nemmeno cosa sto fissando e cosa sto sentendo.
«È la mia giornata fortunata a quanto pare.» gli risponde Koala, di nuovo sul pezzo e io non riesco a credere alle mie orecchie. 
Che ha detto? Okay, sì, è palesemente ironica e consapevole di avere di fronte un ragazzino che, più lo osservo più ne sono convinto, deve aver finito quest’anno le superiori ma lui non sembra rendersene conto, non a giudicare da come gli luccicano gli occhi e da come la squadra.
Senza darlo a vedere cerco di localizzare la chiave inglese più vicina a me. Non si sa mai.
«È questo il 2K Workshop, vero?» chiede conferma, non so se per scrupolo o per dirottare la sua attenzione su qualcosa che non sia la scollatura del suo abito.
«Precisamente. K come le iniziali del mio socio e mia. Io sono Killer, a proposito» le tende una mano, con un ghigno da seduttore mancato ma siccome oggi evidentemente non mi è concesso smettere di stupirmi per ciò che vedo, Koala gliela stringe senza problemi. «Koala. Piacere di conoscerti, Killer» risponde con un sorriso.
Io non capisco davvero che sta facendo.
«Beh…» mormora Killer, incrociando le braccia al petto. Ora che i convenevoli sono finiti – grazie al cielo – sembra improvvisamente impacciato. D’altra parte, se la mia intuizione è corretta non sarà andato oltre a questo nel provare ad approcciarsi con una vera donna. Probabilmente le sue coetanee gli cadono ai piedi al momento della stretta e lo dico perché ne so qualcosa. «Posso… posso offrirti una birra?» si sblocca improvvisamente, allargando le braccia, come se avesse appena avuto una trovata geniale.
«Oh no grazie» scuote il capo Koala, sempre gentile e solare, sollevando una mano davanti al volto. «Non per me. Magari però Law ne beve una volentieri» si volta verso di me e Killer ha tutta l’aria di avermi notato solo adesso.
Eh sì, ci sono anch’io.
«Sono le undici del mattino» mi limito a rispondere asciutto, gli occhi fissi su di lui e un’espressione per niente amichevole.
«Giusto» ride con un filo di nervosismo Killer. «Allora niente birra. Posso aiutarvi in qualche modo?» torna a guardare Koala e io grugnisco. Perché non mi piace venire ignorato.
«Sì grazie. È che la nostra macc…»
Un boato micidiale risuona nel garage, sovrastando la voce di Koala. Due falcate e sono al suo fianco, pronto a trascinarla via da qualunque cosa stia succedendo in questo fottuto posto dimenticato da dio dove siamo finiti.
«Killer! Perché cazzo non rispondi al cellulare, porca puttana?!» tuona una voce cavernosa mentre il “qualcosa che sta succedendo” entra in garage dopo aver quasi scardinato la porta che lo collega alla casa.
Questo ha la stessa stazza di Killer ma è più alto di me di almeno una dozzina di centimetri, capelli rossi che sparano in tutte le direzioni e, come Killer, dimostra poco più di vent’anni ma ne ha sicuramente diciannove. Tuta da lavoro, un paio di maxi occhiali tipo laboratorio con la fascia elastica gialla sulla fronte, faccia da imbecille.
Non ho dubbi, è senz’altro il suo socio.
«Ehi K2!» lo saluta Killer, per niente turbato dal ringhio costante che il suo compare emette. «Guarda!» ci indica – o meglio credo che gli interessi indicare solo Koala – entusiasta. «Clienti! Te l’avevo detto che mettere la posizione su Maps sarebbe servito a qualcosa!»
K2 ci osserva truce ma l’idea di salutare non gli sfiora nemmeno l’anticamera del cervello. Avanza verso Killer e non mi stupirei se improvvisamente afferrasse una spranga e si mettesse a malmenarci. Certo poi dovrei smembrarlo arto dopo arto. Dopo aver portato Koala al sicuro. Spero per lui che non lo faccia.
«Ti ho già detto di non chiamarmi K2»
«Oh ma dai! No, dico, è perfetto! Anche il tuo nome inizia per K e sei una montagna, è il soprannome della vita!»
«Killer, porca di quella…»
«Kidd c’è una donna presente, controllati!» lo ammonisce Killer e Kidd si gira di nuovo a studiarci, o meglio a studiare Koala e io provo di nuovo l’impulso di afferrarla per i fianchi, caricarmela su una spalla e sparire di qui.
«Non hai risposto al cellulare perché stavi flirtando vero?»
Killer solleva il mento con sfida. «Io cercavo di essere educato»
«Tu sei un cazzone!» lo apostrofa Kidd. «Ma porca troia, è mai possibile che…»
Una risatina maltrattenuta mi distrae – per fortuna – dal pittoresco scambio di opinioni che sta avendo luogo a pochi passi da noi. Abbasso gli occhi su Koala che osserva i due ragazzi con una mano davanti alla bocca e gli occhi che brillano.
«Che hai da ridere?» le chiedo. Nonostante sia ancora infastidito, cerco di ammorbidire un po’ il tono. In fondo non ce l’ho mica con lei.
«Sto cercando di ricordare…» mormora, socchiudendo appena gli occhi. «Voi emanavate così tanti ormoni a vent’anni? E Sanji non fa testo!» mette subito in chiaro, girandosi per un quarto verso di me e puntandomi contro l’indice.
La fisso una manciata di secondi prima di tornare a studiare i nostri due rozzi ospiti. «Killer mi sembra abbastanza una causa persa sul fronte ormoni. Kidd mi sembra una causa persa e punto» commento come se avessi appena esposto un inoppugnabile teorema.
«Credevo che mi avrebbe fatto cadere il vestito a furia di fissarmi a quel modo. Se dovessimo presentargli Monet potrebbe esplodergli il cervello»
«È un’idea geniale. Chiamiamola» mi affretto a spalleggiarla prima che ci ripensi ma, purtroppo, a giudicare dall’occhiata che mi lancia non diceva sul serio, anche se sembra piuttosto divertita. Un’insana voglia di sorridere si impadronisce di me e cerco di scacciarla con un cenno secco del capo. «Io comunque eviterei di dirgli che mutandine indosso» mormoro. Sono nel bel mezzo di uno dei mie rarissimi loop di umorismo, a quanto pare.
Le mani in tasca, Koala si stringe nelle spalle con noncuranza. «Oggi ho quelle con gli uccellini, non sono particolarmente interessanti» commenta e io mi chiedo come faccio a lasciarmi ancora stupire dopo tutti questi anni.
Una perla di Franky, detta non ricordo più nemmeno in che occasione, mi sfiora il centro della memoria.
“Le mutande con le palme non sono sexy, ammettere di indossarle invece lo Suuuuuper è!”
Ma non faccio in tempo a chiedermi perché mai mi sia venuto in mente – certo si parlava di intimo ma è comunque un ben strano ricordo da rispolverare in questa situazione – che la fastidiosa voce di Kidd taglia dritto dentro i miei pensieri.
«Ehi! Mi senti o cosa?» abbaia e quando capisco che ce l’ha con me torno mortalmente serio all’istante.
Questo non ha capito con chi sta parlando.
«Perdonami, K2, quando ci sono suoni molesti in sottofondo tendo a ignorarli quanto posso» rispondo tagliente e non mi preoccupo nemmeno di trattenere un ghigno di fronte ai suoi occhi che lampeggiano di profondo fastidio. «Hai detto qualcosa?» continuo, evitando per un pelo la gomitata di Koala.
«Ho chiesto che cazzo di problema avete. Anche se mi comincia ad apparire chiaro che il tuo è essere venuto al mondo»
La mano di Koala si posa con fermezza sul mio torace. «La nostra macchina non parte. Non sappiamo cosa sia successo. Sembrava la batteria ma non c’erano spie accese sul cruscotto»
Kidd la fissa qualche secondo e incrocia le braccia al petto. «E dove sta?»
«Tredici, quindici chilometri da qui. Ma noi veniamo da Raftel centro, non siamo della zona»
«Okay» si gira verso Killer. «Portiamo sia i morsetti che il rimorchio e valutiamo direttamente là» decide e poi si rigira verso di noi. «Se dobbiamo riportarvi a Raftel vi costa di più. E si paga in contanti» mette in chiaro.
«Vuoi dirmi che questa vostra attività al cento per cento legale non ha in dotazione un terminale POS?» non riesco a impedirmi di ironizzare e Koala mi tira uno schiaffo sul pettorale. «Law dai. Sono due ragazzi che hanno voglia di lavorare, non fare lo stronzo» sibila e, mio malgrado, devo ammettere che ha ragione.
«Non c’è nessun problema» avviso Kidd che si limita ad annuire.
«L’unico inghippo è che dobbiamo prima finire di sistemare questa» si intromette Killer, dando una pacca sul cofano della Worst Generation. «È l’unica macchina che abbiamo e con la mia moto vi posso trainare al massimo giù da un dirupo»
«Non c’è problema, aspettiamo!» esclama Koala, prima che io possa fare qualche altro commento sarcastico, e si dirige sicura verso il bancone sul quale si siede a gambe accavallate.
Tira fuori il cellulare e mi lancia un ultimo sorriso e un occhiolino, prima di mettersi a smanettare. Scommetto che sta scrivendo a Nami e Usopp. Stamattina mi ha raccontato un po’ delle opzioni che stanno tentando di sviluppare per la stoffa difettosa e, anche se sono per sua stessa ammissione una peggio dell’altra, l’ho vista determinata a tirarne fuori qualcosa di buono. Mi è dispiaciuto davvero bocciarle l’idea di usarla per dei lenzuoli antibatterici da usare quando bisogna lasciare un paziente aperto, perché le ferite comincino a rimarginare parzialmente tra un'operazione e l'altra .
Era una trovata davvero geniale ma in chirurgia non si può utilizzare qualunque tipo di tessuto. Tanto sono certo che troverà una soluzione.
Faccio un profondo respiro, pieno di orgoglio. Può dire quello che vuole ma so che in fondo questo lavoro le piace e tiene all’azienda. E sono felice che sia così, sono felice che lei sia felice.
Sono molto meno felice quando anche Killer entra di prepotenza nel mio campo visivo per avvicinarsi al bancone e a lei.
«È sempre no per quella birra?» le chiede, con il chiaro e solo intento di riprendere in mano la conversazione. Si appoggia con le reni al bancone, le mani in tasca e un fare a metà tra il ragazzino alle prime armi e il consumato casanova.
Da dove sono usciti questi due? Quale liceo di Raftel è riuscito a sfornare due simili casi umani?
Ma Koala ha sempre una parola gentile per tutti e così distoglie gli occhi dal cellulare e gli rivolge l’ennesimo sorriso. «È che sono astemia, Killer. Ma sei davvero gentile» spiega, così convincente che quasi quasi potrei cascarci anche io.
«Che cazzo hai da grugnire?»
Lento e omicida mi giro verso Kidd che brandisce una chiave inglese e mi fissa truce. Non so perché, ma questo io lo ammezzerei di botte senza nemmeno un valido motivo e mi sembra, per altro, che la cosa sia reciproca.
Faccio per rispondere, consapevole che, se seguo l’istinto e dico ciò che il mio cervello mi suggerisce di dire, quella chiave inglese potrebbe atterrarmi dritta sulla faccia.
«Non farci caso Kidd. È nervoso perché padre Gan Forr gli farà un sermone personalizzato per aver mancato le prove del matrimonio» interviene Koala, che con una mano è tornata a smanettare con il cellulare e con l’altra prende appunti su un’agendina a stampa hawaiiana.
Killer si irrigidisce e i suoi occhi saettano verso l’anulare sinistro di Koala. Ghigno e sono improvvisamente grato a Izou per averle dato quello stupido pezzo di latta che, a uno sguardo poco attento, può sembrare un vero anello di fidanzamento.
E infatti Killer sobbalza e si scosta bruscamente, mentre Kidd – lo intravedo con la coda dell’occhio – sposta lo sguardo da me a lei a me.
«Wowowowow! Amico, potevi dirlo subito!»
«Cioè aspetta, fammi capire…» interviene Kidd, muovendo qualche passo lontano dalla macchina. «Tu mi stai dicendo seriamente che lei…» indica Koala con la chiave inglese. «… ha accettato di sposare te?!» indica me con la chiave inglese e io gliela farei volentieri ingoiare.
«Scusa perché ti stupisci di questo?» si intromette Killer, incurante del pericolo. «Io mi stupirei del fatto che si sposano e basta! Non avete voglia di divertirvi ancora un po’?»
«Ma in realtà…» comincia Koala, inascoltata.
«Mi stupisco perché una cosina tenera e gentile e mi sembra anche abbastanza intelligente come questa qui poteva scegliere di meglio che un simile coglione!» Kidd si premura di spiegare al suo amico.
«A dire il vero…» Koala ci riprova, alzando appena il tono.
«A dire il vero mi sono stupito anche io quando ha accettato ma, dal momento che ha accettato, perché non dici al tuo compare di smettere di usmare la mia futura moglie e di aiutarti a sistemare quel catorcio, K2? Così poi ti posso pagare in contanti»
Kidd mi trucida con gli occhi e spara credo anche un paio di bestemmie ma io nemmeno lo sento perché, conscio del suo sguardo puntato addosso, mi sono già girato verso Koala che mi sta in effetti fissando con un’espressione difficile da decifrare. Persino io non riesco a leggerla.
Scuoto appena il capo con fare interrogativo. «Che c’è?» mormoro praticamente a fior di labbra ed è il suo turno di scuotere il capo.
«No niente» sussurra, anche lei sottovoce, prima di riprendere a smanettare con il cellulare.
Mi preoccupo giusto un attimo di controllare che Kidd e Killer si siano effettivamente messi a lavorare sull’auto e faccio l’errore di abbassare la guardia.
«Ehi amore?»
«Sì?» rispondo con naturalezza ma quando vedo la sua espressione so che devo iniziare a pentirmi per aver dato vita a questa recita.
«Dovremmo invitarli al matrimonio, sono simpatici!» sorride Koala, con fin troppa soddisfazione.
Mi irrigidisco e un lampo mi attraversa gli occhi.
«Che figata! Mi piacciono i matrimoni!»
«Killer, porca puttana, vuoi stare concentrato?!»
«Dopo vi lascio il mio numero di cellulare così potete farci avere tutti i dettagli!»
Non riesco nemmeno a girarmi verso di loro, nemmeno quando Koala si morde il labbro per trattenersi.
Deve ringraziare che la mia vena omicida è concentrata su questi due imbecilli. E anche di essere la mia migliore amica. Ma, in fondo, proprio perché è la mia migliore amica, avrei potuto e dovuto prevederlo.
Non lo ammetterò mai nemmeno sotto tortura ma forse un po' Kidd ha ragione.
Forse, un po', sono un coglione. 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Ci sono luoghi belli per natura e ci sono luoghi che acquistano bellezza quando si scoprono i loro segreti. E poi ci sono luoghi che sono già belli per natura e che acquistano ancora più bellezza quando si scoprono i loro segreti.
Il Baratie fa parte di questa seconda categoria.
Persino un soggetto del tutto privo di buon gusto – come Bon-chan per esempio – non può non accorgersi di quanto è raffinato il ristorante più rinomato di Raftel, con le grandi vetrate a scorrimento, le romantiche lanterne appese ai rami dei cedri, a illuminare il giardino curato, il vialetto costeggiato da panche e fiori che conduce all’ingresso in marmo. Ma non sono certa che tutti siano capaci di apprezzare la magia dello scoprire che il pilastro finemente decorato, intorno a cui si sviluppa tutta la sala centrale del ristorante, è in realtà il moncone dell’albero maestro della nave dove Zeff ha prestato servizio in Marina.
Quando Zeff ha saputo che la Redfoot era stata mandata allo sfascio, si è recato al cantiere e ha convinto i marinai incaricati dello smaltimento a salvare una sezione dell’albero, dicendo loro che finalmente lui e la sua nave avevano qualcosa in comune, per poi picchiare con il bastone contro la protesi in metallo, da lui scelta al posto di quella in fibra di carbonio che l’esercito gli aveva offerto, dopo l’incidente a Navarone che gli aveva stroncato la carriera militare.
Ogni volta che ripenso a questo racconto mi viene la pelle d’oca come la prima volta che Sola me l’ha raccontato. Ho sempre ammirato molto Zeff. Uomo tutto d’un pezzo, di sani principi e ferme convinzioni, capace di andare avanti senza mai farsi ostacolare dal mondo o da ciò che il mondo abbia mai pensato di lui. Forse parte della mia ammirazione dipende proprio dal fatto che sotto molti aspetti assomiglia tanto a zio Ty.
«Un berry per i tuoi pensieri»
Le labbra mi si piegano automaticamente in un lieve sorriso quando la sua voce profonda e cavernosa filtra tra i miei pensieri e mi avvolge in un caldo, metaforico abbraccio. Mi muovo impercettibilmente verso di lui, fermo alle mie spalle, ma continuo a fissare indefessa le luci che danzano sulle vetrate lucide e aperte solo parzialmente, una sì e una no.
«Riflettevo su quanto sia singolare che io debba attendere il matrimonio del mio migliore amico per riuscire a vedere mio padre» concludo, voltandomi verso di lui, gli occhi che brillano di felicità.
Mi osserva un istante prima di piegare la bocca in una smorfia che mi riporta indietro a quando ero bambina e giocavamo al “grande pesce triste”. «Sei ingiusta, Koala. Ti ho portato fuori a cena solo un mese e mezzo fa»
«Mmmmh» mormoro, fingendo di concentrarmi intensamente per riuscire a ricordare. «Ti riferisci alla serata da Hacchan, durante la quale hai controllato il telefono una media di dieci volte in mezz’ora casomai ti avessero mandato qualche aggiornamento sul caso Hody Jones?»
Apre e richiude la bocca un paio di volte, come a cercare qualcosa con cui ribattere. «Questi criminali! Hanno tutti sempre un pessimo tempismo!» esclama alla fine, stringendosi nelle spalle e io scoppio a ridere gettandomi tra le sue braccia pronte ad accogliermi.
«Almeno lo avete preso?» chiedo, il viso incastrato nel suo collo.
Stringe appena, non ancora dell’idea di lasciarmi andare. «Se così fosse ti avrei già portato fuori di nuovo a festeggiare. Ma ci siamo quasi»
Mi distanzio appena per poterlo guardare. «Beh speriamo che ci mettiate poco allora. Ho voglia di andare da Hacchan e chissà mai che io riesca ad averti tutto per me, la prossima volta»
«Io ci sono sempre per te, tesoro» precisa, rimettendomi a terra. Non che sia necessario. Precisare che lui c’è sempre per me, intendo.
Non ce n’è bisogno ma me lo ricorda tutte le volte che può e mentirei se dicessi che non adoro sentirlo. Gli sorrido felice. Anche se siamo stati tutti e due presi da lavoro, anche se abbiamo rispettato il nostro impegno di sentirci almeno una volta a settimana per tenerci aggiornati, anche se so che lui per me c’è sempre e questo solo pensiero basta a farmi sentire meno sola anche nei miei momenti peggiori, mi è mancato davvero ultimamente. Abbiamo avuto poco tempo e non credo che stasera sarà poi molto diverso.
La sola cosa che non riesco a capire è cosa c’è alle mia spalle che lo turba tanto.
«C’è un tizio strano che ci fissa» afferma sottovoce, quasi mi avesse letto nel pensiero.
Il mio sorriso si fa giusto un pelo più tirato. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato ma speravo che avremmo avuto tutti più alcool in corpo.
«Izou, quante volte devo dirtelo che fissare la gente a quel modo ti rende inquietante?» chiedo anche se non mi sono ancora nemmeno girata completamente. Tanto lo so che è lui.
«Io sto solo aspettando, Koala. Aspetto che qualcuno si ricordi di me» protesta, acido come non mai. Ormai anche i suoi iniziali pallidi tentativi di sembrare più etero sono andati a ramengo. Sospiro e mi passo una mano tra i capelli appena mossi con il ferro, una prova per il matrimonio. «Marco-chan sta facendo non so cosa con la rossa e tu è mezz’ora che ti trastulli con il tuo amico senza nemmeno preoccuparti di presentarmelo»
«E come mai non sei a controllare Nami allora?» provo a dirottare la sua attenzione, invano.
«C’è il nasone con loro» si stringe nella spalle, avvicinandosi a noi. «E non cambiare argomento. Voglio conoscere il tuo amico, sembra molto interessante» aggiunge, squadrando zio Ty con troppo interesse.
Ed essendo zio Ty un detective di un certo livello so che la cosa non gli è sfuggita.
«Non è un mio amico. È mio padre» mi affretto a chiarire con un sorriso fiero e, anche se sono abbastanza preparata, perché conosco a memoria questa scena, Izou come sempre supera le mie aspettative.
Se fosse fisicamente impossibile, credo che la mascella gli si dislocherebbe e cadrebbe a terra. «Come “tuo padre”?»
Sbatto le palpebre un paio di volte prima di ribattere: «Hai presente quella persona che ti cresce, ti porta a scuola, ti da il suo cognome…»
«Sì, ho capito!» mi interrompe, scocciato, e stende un braccio verso papà. «Ma lui è nero!»
Io e zio Ty non ci scomponiamo affatto, anche se è la prima volta in tanti anni che ci capita qualcuno che lo dice così, senza una remora né paura di risultare indelicato. D’altronde è di Izou che parliamo. 
«Si beh» mi stringo nelle spalle. «Sono cose che possono capitare quando si viene adottati»
«Koala ma chi è questo?» mi interrompe papà, ancora impegnato a squadrare attentamente Izou.
«Zio Ty, lui è Izou. Il mio finto fidanzato» lo informo mentre già sollevo una mano per zittirlo preventivamente. «Poi ti spiego. Izou, lui è zio Ty» concludo le presentazioni  ma, anziché avvicinarsi a braccio teso per stringerli la mano, Izou solleva un sopracciglio. Non che papà abbia dato segni di voler formalizzare la presentazione.
«Scusa sono un po’ confuso. È tuo padre o tuo zio?»
«È mio padre»
«E perché lo chiami “zio Ty” allora?»
«Perché a volte lo chiamo così e a volte lo chiamo “papà”. Dipende dall’ispirazione del momento»
«Oh» anche l’altro sopracciglio di Izou si inarca, in un’espressione ammiccante. «Beh chiamalo sempre “zio Ty” stasera. Lo rende molto più appetib…»
«Ehi guarda! C’è Marco!» esclamo di getto, prima ancora di realizzare che Marco sta davvero arrivando.
Izou si volta di scatto verso di lui mentre Nami e Usopp lo superano per avvicinarsi a noi.
«Tiger! Che piacere vederti!» lo saluta Usopp, dandogli la mano in un goliardico “cinque con stretta” che papà ricambia con un sorriso.
Il fatto che i miei amici adorino mio padre  e mio padre adori loro è una delle cose che più mi da orgoglio nella vita. Nello specifico, Usopp sembra avere la convinzione che il loro legame dipenda dal fatto di portare i capelli alla stessa maniera oltre che dall’essere entrambi due “fratelli”.
«Vedo che sei riuscito a farli crescere ancora»
«Ho seguito i tuoi consigli!»
Mentre Nami… Beh ecco con Nami la cosa a volte è un po’ complicata.
«E tu diventi più bella ogni volta che ti vedo»
«Oh Tiger, ma cosa dici?» Nami finge di minimizzare e lo abbraccia, prima di muoversi rapidamente verso di me. «Santo Roger, quant’è sexy» sussurra sottovoce, squadrandolo quasi con sofferenza. Le lancio un’occhiata di striscio e vorrei farle notare che si sta confidando con la figlia del soggetto in questione e tutto questo è fuori luogo e strano ma, siamo sinceri, non posso certo parlare io, che ho praticamente proposto un rapporto orale a Izou cinque settimane fa.
«E lui invece è Marco» mi intrometto. «Il finto fidanzato di Nami e il vero fidanzato di Izou»
L’espressione di papà si fa ancora più indecifrabile ma grazie al suo carattere discreto e paziente so che posso rimandare tutte le spiegazioni a più tardi, come mi conferma la sua successiva domanda. «E Law dov’è? Devo ancora fargli le congratulazioni»
«Beh immagino che sia già dentro» indico con il pollice verso la sala ricevimenti prima di voltarmi lentamente. «È arrivato prima con il padre e il fratello di Bibi e…» voce e pensiero si interrompono nello stesso momento quando i miei occhi si posano sulla scena che sta avendo luogo vicino alla fontana.
Bibi ha gli occhi puntati al suolo e le braccia avvolte intorno al torace. Una persona superficiale e poco attenta concluderebbe che sia sull’orlo delle lacrime, imbarazzata e umiliata, intenta a pregare che il suolo si apra e la inghiotta. Ma io che so, io vedo molto chiaramente. Che semmai è sull’orlo di un folle rush omicida, che sta reprimendo come meglio può astio e rabbia e che fissa il suolo perché in realtà sta contando fino a duecentoventicinque per evitare di cedere ai propri istinti primari.
D’altronde, anche se non sento cosa le sta dicendo, mi basta vedere come gesticola per sapere che siamo nel bel mezzo di una lezione di stile. Il che mi è inspiegabile, dato che il vestito di Bibi è bellissimo e non c’è traccia di fantasia floreale.
«Che succede?» mormora piano Nami, riconoscendo la mia espressione concentrata. Mi limito a indicare con il mento il siparietto che Bonchan sta montando a beneficio di chiunque non abbia niente di meglio da fare che guardare lui. Nel mio caso specifico, sto solo cercando di capire come aiutare un’amica a fuggire dalle sue impeccabile e perfettamente limate grinfie.
«Ma che problema ha? Quel vestito le sta benissimo!» commenta Nami, anche lei ora assorbita dalla scena.
Se per me è spirito di conservazione dovendo sottopormi a prolungati colloqui a tu per tu con Iva, in qualità di referente della squadra, per Nami è semplice linguaggio da fashion victim. È un modo tutto loro di gesticolare che Nami padroneggia con incredibile abilità e con una classe che farebbe diventare verde pistacchio anche Izou.
«Perché mai un colore così non metterebbe in risalto la sua carnagione? Bibi è chiara di pelle» corrugo le sopracciglia.
Nami lancia un mano nell’aria prima di batterla con veemenza contro la coscia, in uno scatto infastidito. «Non è affatto anni novanta quel vestito!» protesta.
Sempre più incredule osserviamo Bonchan indicarla con entrambe le mani…
«Oh ma che…»
«Non può davvero…»
 …e poi lanciare imperiosamente un braccio al cielo, con la stessa grazia di una ballerina di flamenco.
 «Ma andiamo! Non è affatto vero che non è abbastanza elegante per la sposa!» gridiamo quasi all’unisono io e Nami.
«A-ehm»
Ci voltiamo di scatto, richiamate alla nostra realtà più prossima. Usopp, zio Ty e persino Marco ci fissano perplessi, Izou naturalmente sa benissimo qual è il nostro problema e ammicca orgoglioso prima di, una volta tanto, darci una mano.
«Signori le nostre giovani fanciulle qui ora hanno da fare. Prego permettimi di farvi strada e cominciate pure a camminare tre passi avanti a me»
 «Ma se devi farci strada non dovresti stare davanti tu?» si acciglia Usopp.
«Girati nasone! Voglio vedere il tuo lato B non la tua appendice facciale! E meno male che dovresti essere super-intelligente»
Più incuriosite che perplesse li osserviamo un paio di secondi sfilare verso il ristorante, alla mercé di Izou, prima di tornare a concentrarci su Bibi, che sta rispondendo a Bonchan e gesticola con classe nonostante sia palesemente scocciata.
«Dovremmo intervenire» commenta Nami e non serve che io risponda per metterci entrambe in marcia, dirette alla fontana.
«…la cena di prova, Bonchan! E quel giorno comunque sarò l’unica vestita di bianco, sarà difficile non distinguermi dal resto delle invitate!» sta esclamando Bibi quando li raggiungiamo. È esasperata.
«Ma fagottino di anice, devi imparare a prenderti le attenzioni che meriti!» s’impunta Bonchan. «È importante almeno quanto saper fare un port de bras con grazia che tu ti distingua anche stasera!»
«Bonchan, per l’ultima volta…» geme Bibi, ormai alla disperazione. «A me piace questo vestito!» sibila a denti stretti e non mi stupirei – men che meno la giudicherei – se battesse un piede a terra.
«Lo so! Ma è troppo semplice e anche se ti sta benissimo basta la prima rossa temeraria per rubarti la scena» conclude Bonchan a mento sollevato, indicando senza cerimonie Nami che sgrana gli occhi indignata. «Ehi!!!» si ribella. «Io non voglio rubare la scena a nessuno e il mio vestito non ha niente che non va, proprio come non ce l’ha quello di Bibi, stupido okama fissato con i cigni!» lo aggredisce solo verbalmente – non so per quale miracolo – e so che si aspetta che io la spalleggi ma sono troppo impegnata a studiare il suo abito.
È elegante, della lunghezza giusta, aderente sì ma neanche il più provocante che le abbia mai visto. Però è innegabile, con il corpetto effetto tattoo, di un bell’amaranto profondo e la gonna che segue pedissequamente la linea snella dei suoi fianchi per poi aprirsi in una frusciante e giocosa ruota non passa certo inosservata e, accanto a lei, per quanto bello e adatto, il look di Bibi impallidisce, così come il mio.
Ma ora come ora non è questo ad assorbirmi così tanto.
«Koala?» mi chiama Nami, preoccupata. Starà cominciando a pensare che ha qualcosa che non va e non c’è niente di più falso. È perfetta.
«Porti sempre la quaranta, giusto?» le chiedo. Tanto Bonchan ha ricominciato a blaterare, è come se non fossimo nemmeno qui. 
Nami corruga le sopracciglia, presa in contropiede. «E questo c’entra, perché…?»
«Mi è venuta un’idea. Quaranta?» chiedo di nuovo conferma.
«Sì»
«Perfetto. Bonchan! C’è un’emergenza, devi subito correre dentro!» esclamo di punto in bianco, premurandomi di imitare il tono che Kaymie sempre usa per comunicargli quando qualcosa non va come lui vorrebbe o si aspetta. Contro ogni mia più rosea previsione, la strategia funziona. So che non posso perdere un’occasione del genere, fintato che ho la sua attenzione devo approfittarne. «Le sculture di ghiaccio! Hanno portato dei puttini al posto dei cigni!»
Bonchan sgrana gli occhi e schiude le labbra, balbettando sconnesso e per un secondo temo – o spero – di avergli provocato un qualche irreversibile danno cognitivo della sfera del linguaggio ma i miei sogni vengono presto infranti.
«Che cosa?! Come hanno potuto fare un errore simile?! Sono circondato da incompetenti!» esclama, precipitandosi verso il ristorante. «È il loro lavoro! Dovrebbe essere semplice come contare fino a trois
Più colpita di quanto avrei mai creduto possibile, visti i miei trascorsi con Iva e Izou, lo osservo precipitarsi a sua volta lungo il vialetto. Se quelle panchine potessero parlare, dopo stasera avrebbero di che spettegolare per almeno due settimane.
«Come sapevi che ci sono delle sculture di ghiaccio?» chiede Nami.
Mi stringo nelle spalle. «Non lo sapevo» ammetto prima di venire colpita da un pensiero. «Ci sono delle sculture di ghiaccio?» chiedo, voltandomi di scatto verso Bibi, che sospira sfinita.
«Le aveva ordinate ma ho bloccato tutto. Se non lo tengo d’occhio posso dire addio al matrimonio da persone normali» scuote il capo sconsolata. Credo sia la prima volta che la vedo senza un sorriso sia anche tirato in volto.
«Almeno ce ne siamo liberate» la incoraggia Nami, posandole le mani sulle spalle.
Bibi le lancia un’occhiata grata ma non abbandona l’aria mortificata. «Per ora. Appena capirà che è inutile discutere per le sculture di ghiaccio tornerà alla carica con il mio vestito. Santo Roger» sospira di nuovo e si afferra il ponte del naso con le dita. «Avrei dovuto far scegliere a lui, almeno non mi avrebbe fatta uscire pazza»   
Io e Nami ci scambiamo un’occhiata e so che stiamo pensando la stessa cosa e cioè che se Bonchan è riuscito a piegare una come Bibi c’è solo da ringraziare che si sia autoeliminato nella corsa alla perpetrazione del genere umano.
Comunque è giunto il momento di esporre la mia idea. Modalità risoluzione problemi: ON.
«Se mettessi un abito più appariscente ti darebbe tregua?» le domando e Bibi mi guarda per un attimo incerta prima di annuire.
«Sì certo. Ma non ho tempo di tornare fino a Goa per mettere altro e comunque non credo di avere niente che sia sufficiente a zittirlo. Non ho abiti così io» ammette, indicando Nami.
Sorrido, comprensiva e, spero, rassicurante. «Appunto. E non c’è bisogno di tornare fino a Goa. Venite» le invito poi entrambe. «Andiamo in bagno»

 
§
 

«Mi sta a pennello, è pazzesco!» esclama Bibi, lisciando con le mani il pizzo carminio che si tende sul suo addome. La guardo nel riflesso dello specchio e poi torno sulla mia immagine che mi fissa di rimando.
“Stare a pennello” è decisamente l’espressione più adatta perché gli abiti che ci siamo appena scambiate ci vestono così bene che sembrano ce li abbiano dipinti addosso. Anche io mi ero accorta al colpo d’occhio che io e Bibi abbiamo all’incirca la stessa taglia ma una roba del genere è davvero fuori dal comune. Abbiamo lo stesso fisico preciso e stampato, tanto che questo vestito sembra uscito dritto dal mio guardaroba.
«Ma sei proprio sicura che non ti dispiace?» chiede ancora Bibi, lanciandomi un’occhiata mortificata, i palmi ancora stesi sulla propria pancia. Le sorrido con affetto, prima di voltarmi completamente verso di lei e posare le mie mani sulle sue spalle. «Se posso aiutarti sono solo contenta, Bibi. E poi sei bellissima, rendi così tanta giustizia a questo vestito che è un piacere guardarti»
D’altra parte ha il fisico identico al mio. Bibi torna a specchiarsi, visibilmente sollevata e io indietreggio cauta verso Koala che ci osserva con soddisfazione dall’altro lato dell’anticamera del bagno, così lussuoso da sembrare un salottino. Senza staccare gli occhi da Bibi, inarco appena la schiena verso di lei. «Non posso noleggiarglielo vero?» domando tra i denti.
«No» infrange senza esitazione le mie speranze lei e io schiocco la lingua contrariata.
Non fraintendiamo, mi fa davvero piacere aiutare quella che ormai considero un’amica ma me ne avrebbe fatto un po’ di più se me ne fosse venuto qualcosina in tasca. In fondo Bibi è ricca e io mi guadagno da vivere vendendo sogni, non ci sarebbe niente di strano. Tuttavia, come abbiamo concordato qualche mese fa dopo che ho rischiato il licenziamento per aver cercato di vendere una nostra vecchia campagna all’ufficio statistiche che ne aveva bisogno per estrapolare alcuni dati, quando l’avarizia prende il sopravvento devo fidarmi di Koala e Usopp e fare ciò che loro mi dicono. Perciò farò come Koala mi dice.
Anche se…
Il boato della porta che si spalanca come se fosse esplosa una bomba interrompe il mio ennesimo ripensamento e tutte e tre ci giriamo di scatto verso una furibonda Perona, che si richiude con violenza la porta alle spalle e avanza nell’anticamera circondata da un’aura nera ed elettrica.
«Razza di deficiente!» impreca, mentre si addossa al ripiano di marmo scuro dentro cui sono incastonati i lavandini di acciaio splendente. Io, Koala e Bibi ci scambiamo un’occhiata ma nessuna fiata, nemmeno per indagare. Non ce n’è bisogno in realtà. «Un intero pomeriggio per scegliere cosa mettere. Tutto il pomeriggio a fare le prove e prepararmi per essere impeccabile e lui cosa fa? Commenta la divisa delle cameriere con quell’imbecille sanguinolento! Vi rendete conto?!» sbraita Perona, voltandosi verso di noi.
«Oh Ace…» sospira Koala, tra il rassegnato e il divertito.
«E, dulcis in fundo, nemmeno si accorgono che stanno commentando il fondoschiena di Silk! Spero che Rufy non abbia capito di cosa stessero parlando!»
Io e Koala ci cerchiamo con gli occhi, raggelate. «Silk?» domando, non certa di aver capito.
Per un momento l’ira di Perona scompare, mentre si passa una mano tra i capelli con un profondo respiro. «A quanto pare ha un contratto a chiamata qui al Baratie, per mettere da parte qualche soldo mentre finisce l’università. Nessuno lo sapeva, neanche Sanji»
Una morsa mi attanaglia lo stomaco. Non oso immaginare come possa sentirsi Rufy, dopo tutti i casini che sono successi e il modo in cui si sono lasciati… Devo andare da lui. Devo avvisare Zoro. Devo uscire da qui. Subito.
Ho il braccio già teso verso la maniglia ma riesco a fare appena mezzo passo che due tonfi risuonano nell’antibagno quando qualcuno bussa alla porta. Istintivamente mi fermo, in attesa, ma l’uscio resta chiuso e chiunque si trovi dall’altra parte non da segni di voler entrare.
«Ehi, Voodoo?» la voce cauta e docile, quasi implorante. «Sei lì dentro?»
Immobili sul bordo del fuoco incrociato, io, Koala e Bibi lanciamo una furtiva occhiata a Perona che ancora stringe i pugni e le labbra con rabbia e trema, ma non come qualcuno che vorrebbe eradicare un rubinetto e scagliarlo contro l’oggetto della propria furia, bensì come qualcuno che sta cercando di non gettarsi sulla porta per spalancarla e buttarsi tra le braccia dell’oggetto della propria furia e non riesco a trattenere un sorriso saputo e intenerito al contempo.
Sono così innamorati che fa quasi male guardarli, certe volte. Se uno dei due fosse partito per andare dall’altra parte del mondo non ho dubbi che l’altro lo avrebbe seguito ovunque, mica come me…
«Okay, non vuoi parlarmi. Senti, scusami. Sanji ha fatto una battuta idiota e io gli sono andato dietro per goliardia! Non lo pensavo davvero! Cioè no, in realtà lo pensavo, insomma Silk è davvero una bella ragazza…» io, Bibi e Koala mandiamo gli occhi al cielo. «…ma questo non significa che io non abbia notato quanto sei bella tu stasera!» recupera di volata. «È che tu… lo sei sempre e io non so davvero come dirlo a parole, cioè dirti che sei bellissima non rende nemmeno la metà di quello… di come… sei bella tutta, non è semplicemente una cosa estetica! È che tu…» sospira alla fine e dal piccolo tonfo direi che si è appoggiato con la fronte alla porta. «Tu sei la mia Voodoo»
La tentazione di produrmi in quel suono che foneticamente si trascrive con “Awww” è fortissima ed è solo il pensiero della mia troppo preziosa reputazione a darmi la forza per resistere. A giudicare dalle loro espressioni, Bibi e Koala si trovano nella mia stessa situazione.
Perona tentenna, a guardarla c’è il concreto rischio che salti accidentalmente fuori dal vestito nella foga di correre da lui eppure resiste. Dopo tutto, lei e suo fratello sono fatti della stessa pasta e proprio per questo so che le serve solo una piccola spinta per decidersi ad accettare le sue scuse e non rovinarsi il resto della serata, così opto per prendere la situazione a quattro mani. Faccio un cenno a Koala e Bibi per invitarle a lasciare il bagno ai due piccioncini e mi dirigo decisa alla porta.
Ace non si mostra particolarmente sorpreso quando ci vede, al contrario di noi che già ci aspettavamo di trovarlo addormentato contro l’uscio. Sorride un po’ tirato e io gli accarezzo una guancia con affetto prima di lasciargli campo libero.
«Sei andato alla grande ma ora non dire più niente prima di rovinare tutto okay?» gli suggerisce Koala sottovoce, con una luce negli occhi che è tutta un programma. «Vai e agisci» lo incita e io sghignazzo divertita mentre Ace entra in bagno e richiude la porta e lei ci raggiunge, quasi saltellando.
Sposto gli occhi da una all’altra e squadro un’ultima volta Bibi e il mio vestito che la avvolge alla perfezione. Non può passare inosservata così. È perfetta.
Batto le mani tra loro. «È il momento di unirsi alla festa»     

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Angolo dell'autrice: 
Salve a tutti, bella gente! 
Come sempre sono super di corsa ma ci tengo a ringraziare tutti voi che continuate a seguire, voi che recensite, anche se non riesco a rispondervi :( e in particolare per questo - e il prossimo - capitolo, vorrei ringraziare Momo per il suo consiglio che mi ha aiutato a sbloccarmi. *.*  
Un bacio grande a tutti e buona lettura!
Hope you'll enjoy it. 
Page. 









«Beh sicuramente è quello che definirei… affollato» commento, osservando senza parole la sala. Non credevo che il Baratie potesse contenere tanta gente.
Ma sul serio?! Davvero vogliono sposarsi davanti a tutta questa gente?
Sarà meglio che mi prepari psicologicamente, a Law verrà una crisi isterica il giorno del matrimonio.
Bibi sospira e mi trascina fuori dal flusso dei miei pensieri. Io e Nami ci voltiamo simultaneamente verso di lei, in attesa e pronte a qualsiasi cosa di cui possa avere bisogno. «Io dovrei parlare con tutti stasera»
Io e Nami ci scambiamo un’occhiata e le posiamo una mano su ciascuna spalla prima di affermare all’unisono: «È logisticamente impossibile».
«Ma per qualsiasi cosa tu facci un cenno e noi accorreremo in tuo aiuto» aggiunge Nami con un sorriso incoraggiante. «E per un prezzo davvero str… Ouch!» protesta indignata quando la pizzico al fianco.
Le lancio un’occhiata eloquente prima di tornare a focalizzarmi su Bibi. «Hai una ciocca fuori posto» noto e le sistemo rapidamente il boccolo turchino dietro l’orecchio.
Ci sorride grata prima di prendere un bel respiro. «Grazie ragazze. Ora devo proprio andare».
«Anche io devo trovare Zoro» afferma Nami senza riflettere e io fatico a trattenere un ghigno divertito che lei coglie in pieno quando si gira leggermente in panico per controllare se ho sentito cos’ha detto.
«Beh allora qui le nostre strade si dividono» annuncio solenne, il petto leggermente in fuori. «Qualunque cosa accada, è stato un onore servire con voi».
Bibi ridacchia sotto i baffi mentre Nami scuote il capo malcelando il sollievo che prova per il mio repentino cambio di argomento.
«Ci vediamo dopo» ci salutiamo contemporaneamente, prima di avviarci in tre differenti direzioni.
Mi addentro un po’ nella sala e mi allungo alla ricerca di almeno un viso conosciuto. Per fortuna non devo cercare a lungo.
«Un bicchiere di champagne, madame?» domanda una voce famigliare e io mi volto immediatamente, simulando sorpresa.
«Sapevo che i giovani avvocati non guadagnano molto ma non pensavo fino a questo punto» scherzo, accettando il flûte da Sabo.
«Non dovevo dare retta a Ace ma sai come sono quando mi sfidano a mettere il papillon»
«Oh sì, certo che lo so. Ti ricordi cos’è successo alla tua festa di laurea?»
«È la sola cosa che l’alcool non è riuscito a cancellare» conferma sconsolato. «Però quella è stata l’unica volta che non mi hanno scambiato per un cameriere»
«Ci credo, nemmeno al KamaBakka ho mai visto gente con un papillon sul pene. Cin-cin» lo invito poi con un sorriso.
«Cin-cin»
Mi sposto al suo fianco e passiamo quasi un minuto a scandagliare l’enorme salone, assorbire l’atmosfera e sorseggiare lo champagne fruttato, che è un paradiso in bicchiere.
«Certo che Zeff sa come coccolare i suoi ospiti. Solo prodotti della miglior qualità»
«E camerieri laureati in Giurisprudenza» lo prendo in giro, alzando appena il calice verso di lui.
Sabo mi sorride per niente di divertito. «Molto simpatica. Dai! Non sembro così tanto un cameriere!»
«Sì lo sembri»
«Koala!»
«A proposito, l’hai vista?» cambio argomento di punto in bianco e da come abbandona all’istante l’espressione indignata so che ha capito di che parlo. O meglio, di chi parlo.
«Parlate di Silk?» domanda Robin, spuntando dal nulla alle nostre spalle. Io e Sabo ci scambiamo un’occhiata, per niente sorpresi. È verosimile che Silk sia al momento il principale argomento di conversazione della nostra combriccola e comunque è pur sempre di Robin che stiamo parlando.
«Lo sanno già tutti?» domanda Sabo, in apprensione.
Robin china appena il capo di lato e posa una mano sul pancione. «Tutti tranne Rufy. Ma è solo questione di tempo, visto che è addetta al cibo» ci informa mentre ci spostiamo tutti e tre verso uno dei gruppi di divanetti disseminati per la sala, così che possa sedersi.
Sabo si affretta ad aiutarla, qualcuno mi chiama da in mezzo alla folla e io mi giro per salutare anche se non so nemmeno chi sia, visto il marasma di gente che va e viene tra i tavoli dello champagne e quelli delle tartine, e quando mi rigiro lo stomaco mi fa una decina di capriole in tutte le direzioni possibili, senz’altro per lo spavento di ritrovarmelo così vicino.
«Santa merda!» esclamo, portando una mano tra i seni. «Ti ha dato di volta il cervello?»
«Un brindisi alla nostra camionista preferita!» esclama Sabo da dietro la spalla di Law e io lo fulmino con un’occhiata.
Torno a concentrarmi su Law che mi osserva con un ghigno e una strana luce negli occhi. Mi acciglio appena e vorrei chiedergli che c’è ma tutto ciò che riesco a fare è sorridergli a mia volta. Un brivido improvviso mi riscuote e, per togliermi dalla traiettoria dello spiffero che deve avermi appena colpita, mi dirigo verso il divanetto a due posti posizionato di fronte alle due poltroncine su cui Sabo e Robin si sono già accomodati. Senza una parola, Law mi segue e prende posto di fianco a me.
«Grande serata, amico» si congratula Sabo, sollevando appena il calice verso di lui. 
Law minimizza con una scrollata di spalle e si piega in avanti, avambracci appoggiati alle cosce. «Non so nemmeno i nomi di tre quarti dei presenti e di quelli che mi hanno presentato per tre quarti li ho già dimenticati. Senza contare che ho la mano indolenzita» mormora, aprendo e chiudendo l’arto incriminato. «Spero mi passi, lunedì devo operare»
«Puoi sempre cavartela con il canonico “vecchio mio”» gli suggerisce Sabo, alzando per l’ennesima volta il calice.
Robin si sporge appena verso di lui. «Sai Sabo, credo che del "Grande Gatsby" dovresti prendere in considerazione anche la politica riguardo l’uso dei papillon in occasioni eleganti» 
Io e Law sghignazziamo divertiti ma Sabo non si scompone. «Ridete, ridete. Tanto lo so che me lo invidiate tutti, il mio farfallino di classe» ribatte con tono esageratamente suadente, mentre accavalla una gamba e si svacca sul divanetto con fare da consumato playboy, provocando un nuovo e più potente scroscio di risa che scema dopo pochi secondi.
«Ah. Mi hanno detto che una delle cameriere è Silk. Voi l’avete vista?» Law ci guarda uno ad uno e quando posa gli occhi su di me si acciglia. «Hai fatto qualcosa ai capelli» constata. «Non stai male»
Sgrano appena gli occhi, divertita. «Mi ha davvero appena fatto un complimento sul mio look?» domando a Robin e Sabo, indicando Law con il pollice, e giù a ridere un’altra volta, quando Robin si schiarisce la gola per attirare in un colpo solo la nostra attenzione e con un cenno del capo indica poco davanti a noi.
«Parli del diavolo…»
Seguiamo la traiettoria indicata fino a individuare, a pochi metri di distanza, la divisa impeccabile, i capelli biondi raccolti in un’alta coda di cavallo e un sorriso luminoso sul volto, Silk che con un vassoio veleggia tra gli invitati, offrendo caviale e salmone affumicato.
È in forma, più bella che mai, ma con me non attacca. Lo vedo anche da qui che qualcosa nel suo sorriso è finto e fuori posto, tirato. E anche il modo in cui scatta a destra e a sinistra con gli occhi, come per controllare la parte più periferica del proprio campo visivo la dice lunga. Sa che Rufy è qui.
«Non dovremmo andare a salutarla?» la voce di Sabo è titubante e lo conosco troppo bene per non sapere che è preoccupato, tanto per lei quanto per suo fratello. Io e Law ci scambiamo un’occhiata e anche lui non scherza al riguardo. «Anche solo per farle sapere che siamo qui e che potrebbe incontrarlo. Almeno non sarebbe del tutto impreparata»
«Sabo io credo che…» comincio.
«…sia comunque troppo tardi» conclude Robin.
Il più discretamente possibile – che nella scala della discrezione, data la situazione, è all’incirca un livello Izou influenzato – osservo Rufy toccare Silk sulla spalla alla ricerca di altre tartine, lei voltarsi ignara, lui sgranare gli occhi, lei perdere il sorriso e poi il nulla più assoluto per cinque interminabili secondi. Non stanno nemmeno respirando. Si guardano soltanto e non si stanno squadrando da capo a piedi ma fissando intensamente negli occhi. 
Quasi esasperata, mi giro verso Robin. «Ma sono due cause perse!» mormoro sottovoce e lei si limita a sorridere enigmatica.
«R-Rufy!» riesce finalmente ad articolare Silk e Rufy ancora non parla, sbatte le palpebre più volte, impegnato ad afferrare appieno la situazione.
«Silk…» sussurra con un tono, uno sguardo, un atteggiamento, un tutto che mai avrei creduto possibile per Rufy. «Che fai… c-che fai qui?»
Silk diventa praticamente del colore del vestito di Nami – quello che ora indossa Bibi – e distoglie lo sguardo. Guarda frenetica in tutte le direzioni, evitando i suoi occhi, colpevole. «Io sto… io sto… lavorando! Sì! Sto lavor…» solleva il vassoio per enfatizzare e quello si inclina pericolosamente, cominciando a scivolare di lato, se non che la mano di Rufy si allunga ferma e decisa a frenare la caduta delle tartine, il tutto senza staccare gli occhi da lei.
«Aspetta, ti aiuto» si offre e le toglie il vassoio di mano per appoggiarlo sul tavolo più vicino, senza nemmeno provare a rubare neanche un vol-au-vent. Invece torna indietro, una mano in tasca e l’altra sulla nuca. Porto una mano alla bocca. Se fosse fisicamente possibile, la mascella mi cadrebbe al suolo, e so che Sabo e Law sono nelle mie stesse condizioni.
«Che sta succedendo?» mormora una voce curiosa ma discreta – discreta per davvero lei – abbastanza vicina al mio orecchio. Mi volto verso Bibi che, ferma tra Sabo e Law, ha il busto piegato in avanti e cerca di capire cosa fissiamo tutti quanti così rapiti.
Immediatamente, Law si tira su con il busto, Sabo si rimette dritto e composto sulla poltroncina e Robin ci passa in rassegna tutti e quattro accarezzandosi il pancione. La guardo interrogativa ma si limita a scuotere il capo con serafica calma.
«E-ehi!» la saluta Sabo. Non mi sfugge come strofina i palmi sulle cosce.
Nervoso. Sabo è nervoso. Che ha da essere così nervoso? A sopracciglia corrugate cerco di nuovo Robin che mi fissa senza neanche provare a fingere che non sia così, saputa.
E io vado ancora più in confusione.
«Ecco la star della serata!» continua Sabo, allungando una mano per sfiorarle il braccio in un gesto di… saluto? Cos’era esattamente quella cosa? «Sei radiosa» le dice poi in un sussurro e io non ho idea di come Bibi prenda il complimento perché sono troppo impegnata a guardare Law con aspettativa, in attesa.
In attesa che si accorga del suo vestito, di quanto è bella e splendente e seducente con quell’abito in pizzo, che pur non essendo da lei riesce a portare con una classe e una grazia invidiabili. Se ne deve accorgere per forza, c’è anche il mio zampino in tutto questo. Sono stata io ad avere l’idea!
Ma niente. Law non sembra intenzionato a darmi soddisfazione o forse non ci ha proprio fatto caso. Che è strano perché, insomma, si è accorto dei miei capelli.
«… a posto?» le chiede Law, guardandola da sotto in su. Alza una mano come a volerle accarezzare il polso ma la lascia subito ricadere. Bibi non si accorge di niente o fa finta di non accorgersene e gli stringe una spalla, ma lo fa in un modo tutto sbagliato. Anche se non riesco a capire cosa ci sia di sbagliato nel modo.
«Law, è arrivato Chaka» gli dice e sembra quasi dispiaciuta di portarcelo via ma Law non sbuffa, non grugnisce, non fa nulla che giustifichi l’espressione di Bibi e anzi, si alza prontamente e intreccia la propria mano con la sua e per un attimo non riesco a distogliere lo sguardo dalle loro dita incastrate.
«Vado a fare un po’ di PR» annuncia Law, così serio che è difficile capire se lo sia davvero o no. «Ci vediamo dopo»
Li seguo con gli occhi una manciata di secondi e quando mi rimetto dritta Robin sta scivolando verso il bordo della sedia. «Vado anche io a cercare Franky» annuncia e gli occhi quasi mi cadono fuori dalle orbite perché Sabo non fa assolutamente nulla per aiutarla ad alzarsi, la schiena leggermente inarcata, la mano sul pancione sempre più ingombrante.
Qui decisamente qualcosa non va con Sabo e sono certa che Robin se ne sia accorta. È matematicamente impossibile che non se ne sia accorta. E allora perché se ne va e mi lascia sola con lui?
Faccio per richiamarla, cerco rapida una scusa per trattenerla qui ma non riesco a inventarmi nulla, sono troppo preoccupata per riuscire a pensare e prima che me ne accorga, Robin è sparita con un sorriso e un saluto della mano.
Sabo fissa il vuoto e io tentenno un istante, prima di scivolare verso dove poco fa era seduto Law, per avvicinarmi a lui. Mi addosso al bracciolo del divanetto e sporgo appena il busto.
«Ehi!» lo richiamo con un sorriso che si spegne un po’ quando lui ricambia troppo tirato.
«Ehi» risponde e si passa stancamente pollice e indice sugli occhi e io torno seria e, stavolta, determinata a scoprire cosa sta succedendo.
«Sabo…»
«Ehi, Koala, ti stai occupando anche tu dell’addio al nubilato?» mi interrompe, sopracciglia corrugate e indice puntato verso di me.
Presa in contropiede, non rispondo subito. «Monet mi ha chiesto un aiuto, sì» confermo e nemmeno gli chiedo come lo sa. Robin, sicuro.
«Allora-allora… ecco…» sfrega la punta del naso con una nocca, si china in avanti con il busto. Nervoso. Troppo nervoso. «Credo che le piacerebbe il KamaBakka, mi ha detto che era curiosa di andarci prima di tornare ad Alabasta e magari potresti chiedere le provette, sai quelle fosforescenti?» continua senza quasi prendere fiato, le parole che inciampano l’una sull’altra. È fuori di sé ma qualcosa, nel suo modo di fare, diventa sempre più chiaro ai miei occhi ogni millesimo di secondo che passa. «Non so perché ma mi sembrano il suo genere… oh e parrucche! Credo che si vergogni un po’ del colore dei suoi capelli e anche se secondo me è una cosa stupida ho pensato che magari, magari potreste mettere tutte una parrucca così si sente meno a disagio eh! Che… che ne dici?»
Ma io non rispondo. Sono troppo impegnata a fissarlo, sconvolta.
Non è possibile eppure lo conosco troppo bene per non capire. Per non vedere. Per non mettere insieme tutti i pezzi.  
So cos’ha, ora lo so anche io e non mi stupisce che Robin se ne sia accorta prima, perché è Robin, certo, ma anche perché non è la prima volta che succede. Solo che stavolta è diverso, totalmente diverso.
Non può essere vero. Stavolta è la futura moglie di suo fratello! Lui non può essersi…
«Sabo» lo chiamo così piano che non sono nemmeno sicura che mi abbia sentito. «Sabo tu…»
Non finisco la frase. Non serve.
Una voce in fondo alla sala ci invita ad accomodarci ai tavoli ma nessuno dei due si muove.
Lo sto ancora fissando come se gli fosse spuntata una seconda testa quando il muro crolla e lui nasconde il viso nel palmo della mano, disperato.
Oh. Santa. Merda.  
 

 
§     

 
«Non fraintendete, non è che non mi piaccia decidere di fianco a chi non sedermi. Ma la tavola imperiale fa un po’ vecchio stile no?»
«Hanno organizzato questa cena per permettere a invitati di sposo e sposa di socializzare un po’ tra loro, Izou» spiego saputo, fingendo che sia tutta una mia intuizione e non la spiegazione che Zeff ha dato a Sanji e Sanji ha riferito a me. «Con i tavoli tondi non sarebbe stato possibile»
Izou mi osserva qualche secondo incuriosito e poi solleva un sopracciglio. «E tu perché ti sei seduto qui? Non era meglio se ti mettevi dall’altra parte?» mi provoca, riferendosi chiaramente al fatto che io e Sanji siamo ai due estremi opposti della tavola. A fare da giuntura tra il nostro vecchio gruppo e il nostro nuovo gruppo non sono io, ma Nami. Davanti a lei c’è Marco così come davanti a Izou c’è Koala, tutti e quattro ancora ostinatamente fedeli alla propria recita, non capisco più nemmeno a beneficio di chi.
«Te non era meglio se te ne stavi a casa tua?» lo rimbecco.
Incrocia le braccia al petto, indignato. «L’invito era anche per me!»
«Sì ma io non parlavo di stasera, io parlavo del giorno in cui sei andato a fare il colloquio alla Ivankov&Co» ironizzo, pronto a godermi le risatine e le battute per darmi manforte delle mie colleghe e amiche.
Dopotutto, nessuno resiste all’umorismo del grande Usopp Sharpshooter. Ma il sorriso mi scivola dalla faccia quando mi rendo conto che né Nami né Koala hanno sentito una sola parola della nostra conversazione.
Nami è troppo assorta a parlare con Zoro al suo fianco per rendersi conto di qualunque cosa al di fuori di lui mentre Koala sembra persa nei suoi pensieri e anche piuttosto tesa e preoccupata. Probabilmente sta pensando alla stoffa, a cui non abbiamo trovato uno straccio di utilizzo – a parte questo geniale gioco di parole, ovviamente mio – e che dobbiamo presentare al consiglio dell’azienda giusto lunedì. Uno spasmo mi stringe lo stomaco. Non di paura, eh! Assolutamente! Il grande Usopp Sharpshooter non si fa certo spaventare da un gruppo di persone così ricche da potersi comprare un’isola privata a testa e nelle cui mani giace il destino lavorativo dell’intera azienda e, conseguentemente, suo!
Quello che provo è semplicemente… dispiacere. Ecco tutto. Nient’altro che dispiacere.
«Koala» mi sporgo appena verso di lei e la chiamo piano, ond’evitare di attirare l’attenzione di Tiger, di fronte a me e accanto a lei. Non che io mi illuda che non si sia accorto che qualcosa turba sua figlia ma forse, visto quanto è preso a chiacchierare con nientemeno che Neferarti Cobra – che non ho capito come è finito seduto in mezzo a noi – , una possibilità su mille c’è. Koala solleva gli occhi dal proprio piatto, lo sguardo vacuo e mi osserva qualche secondo, prima di riuscire a identificarmi. «Stai bene?» chiedo, ancora più preoccupato adesso.
Mi sorride incoraggiante. «Ma certo Usopp, tranquillo»
Da come lo dice so che se fossi stato a portata mi avrebbe dato una carezza ma io non me la bevo.
«Koala, se è per il progetto sono sicuro che…»
«Ma glielo garantisco, guardi. Koala diglielo anche tu!» mi interrompe Tiger, attirando la sua attenzione. È piuttosto allegro e socievole per i suoi standard. Sono piuttosto certo che in questo lo champagne di prima abbia aiutato. «Vero che il primo regalo di Natale che mi hai chiesto dopo che ti ho portato a casa dalla casa affido è stato scoprire chi aveva adottato Law e trovarlo?»
Koala sgrana gli occhi e le guance le diventano di un rosa acceso prima di tornare finalmente in sé e sorridere senza vergogna al padre di Bibi. «Avevo appena sette anni, non immaginavo che per una richiesta tanto innocente avrei poi dovuto tollerarlo per il resto dei miei giorni» scherza e si rende conto troppo tardi della gaffe quando Cobra sorride divertito.
«Devo forse mettere in guardia mia figlia?»
«Oh beh…» prende tempo, recuperando rapidamente. Gliel’ho visto fare mille volte, solo io sono più veloce di lei. «Non direi. Insomma amicizia e amore sono due cose diverse»
«Ricorda sempre mia cara» Cobra solleva l’indice con tanta di quella saggezza che non credo ai miei occhi. Come si fa ad apparire saggi muovendo  un dito? «L’amicizia a prima vista, così come l’amore costruito nel tempo, è il sentimento più vero e più longevo di tutti»  
Per un attimo cala il silenzio e tutti ci giriamo a guardarlo in ammirazione. «Wow» non mi trattengo dal mormorare sotto voce.
«Poetico» conferma Tiger e Cobra gli lancia un’occhiata in tralice.
«Vero? L’ho letta in un cioccolatino»
Che ha detto?! Oddio, quest’uomo è un idolo!
«Dunque io vorrei fare un bel brindisi alla scollatura della rossa che una volta tanto lascia qualcosa all’immaginazione» Izou attira di nuovo la mia attenzione, più che altro perché allerta il mio specialissimo settimo senso che io chiamo “riflesso condizionato per evitare i cazzotti di Nami anche quando non sono rivolti a te”. Ma, per quanto io fatichi a crederci, non sembra essere necessario. Nami si gira un po’ stranita verso di noi, lo sguardo interrogativo, non poi così certa di essere stata chiamata in causa.
«Avete detto qualcosa?» chiede, un po’ spersa.
«No» rispondiamo all’unisono io e Izou, accigliati e indagatori. Mi sporgo un pelo in avanti per lanciare un’occhiata a Zoro che però sembra ignaro di tutto e sta bevendo del vino rosso in assoluto relax.
«Ehi Usopp» mi richiama Koala e io stacco un po’ a fatica gli occhi dalla mia migliore amica che ci da di nuovo le spalle. «Non si riesce ad avere un paio di bottiglie d’acqua? La serata è ancora lunga…» lascia la frase in sospeso e accenna con il capo verso suo padre che ride tonante e un po’ troppo forte per i suoi standard. Non posso che darle ragione. Questi vini sono spettacolari ma con i tempi di attesa tra una portata e l’altra rischiamo seriamente di finire tutti la serata in sbornia.
Prontamente, mi alzo in piedi e, petto in fuori, porto le mani sui fianchi. «Ci penso io!» annuncio con orgoglio, per poi avviarmi in cucina a grandi passi.
Si fosse trattato di chiunque altro, avrebbe dovuto chiedere a un cameriere. Fosse stato qualcuno della nostra compagnia, sarebbe comunque dovuto passare almeno da Tamago. Ma io sono io e posso accedere alla cucina, parlare direttamente con Sola, con Zeff addirittura, o, se necessario, dare direttive a uno dei camerieri al posto di Tamago. Io posso anche se nessuno qui sa realmente il perché di questo trattamento speciale. Per tutti, io sono il più vecchio e caro amico di Sanji. Per tutti io sono uno di famiglia ma non nel modo in cui vorrei. E improvvisamente, stasera che non c’è nemmeno Reiju con le sue battute allusive, che mi scaldano il cuore al pensiero che almeno lei sa e lo accetta, sento la malinconia e la delusione aggredirmi più feroci che mai.
Mi fermo nel mezzo del corridoio che porta alle cucine, pugni stretti e sguardo basso pieno di rancore. Non hanno senso questi attacchi improvvisi di rabbia ma mi accorgo da qualche tempo a questa parte che mi capitano sempre più spesso. Stasera però non è affatto un buon momento quindi scaccio il pensiero e varco la soglia della cucina.
Un mix di sfrigolii, spadellamenti, urla, fumo e aromi da capogiro mi investe. Richiami tonanti di tempi di cottura e risposte affermative allo chef rimbalzano per le pareti così decisi che sembra di stare nell’esercito.
Per niente intimorito dalla cosa – ci sarei stato alla perfezione nell’esercito io! Sezione cecchini! – mi addentro tra le varie postazioni. Un paio di cuochi non avvezzi alla mia presenza mi lanciano occhiate stranite ma vengono subito richiamati all’ordine dai veterani che invece mi salutano, chi entusiasticamente, chi grugnendo. Mi hanno visto crescere e scorrazzare in questa cucina dopotutto. Mi hanno fatto tante di quelle lavate di capo e appeso per le caviglie tante di quelle volte che deve fargli strano vedermi così cresciuto, maturo ed elegante con giacca e cravatta.
O forse sono semplicemente troppo presi a cucinare per centocinquanta persone, non saprei, tutto può essere.
Con il dubbio ancora irrisolto nella mia mente, raggiungo la sala dei camerieri, dove al momento si trovano solo quelli con il contratto a chiamata, in attesa che esca la prima portata perché non preposti alla gestione della sala durante le pause. Scivolo così silenzioso nella stanza che nemmeno si accorgono di me e, dal momento che non voglio disturbare nessuno durante la pausa, mi dirigo autonomamente verso il frigo. Con un’occhiata noto che ci sono solo due ragazzi, al momento svaccati su due sedie a sbocconcellare un panino, e il resto sono ragazze. Individuo subito Silk – la cui presenza qui stasera credo sia ormai di dominio pubblico là fuori – e vorrei avvicinarmi a salutarla ma al tempo stesso so che sarei di troppo. Così riunite a capannello, vicine alla finestra aperta per permettere a una di loro di fumarsi una sigaretta, è evidente che stanno parlando di cose loro.
Afferro la maniglia del frigo, dentro cui eleganti bottiglie di vetro dalle più svariate forme, con tappi bombati e lucenti, colme d’acqua fresca, sono disposte con accurato ordine. Stringo e imprimo forza per aprire e recuperarne un paio.
«Insomma, vi dicevo, per la prima volta l’ho visto senza quella faccia da idiota e i cuori che gli escono dagli occhi ed è stata una rivelazione. Non mi ero mai accorta che fosse così sexy! Ci farei volentieri un giro di giostra!»
La porta del frigo rimane chiusa, la mia presa si allenta, mi irrigidisco e lo sguardo mi si adombra. So fin troppo bene di chi stanno parlando, non mi serve un nome o una descrizione più dettagliata che però, purtroppo, non tarda ad arrivare.
«Bonney è il figlio del capo!»
«Figliastro» la corregge una terza ragazza. «E comunque Bonney ha ragione. Resta pur sempre un uomo e un uomo con cui non mi dispiacerebbe fare quattro salti o anche otto»
«Chissà cosa sa fare con quelle mani»
La mano si serra di nuovo intorno alla maniglia e il sangue comincia a ribollire nelle vene.
«Secondo me anche con la lingua non scherza»
Se fossi una donna, ora potrei andare da loro e informarle che si tratta di proprietà privata, territorio off limits, continente già colonizzato.
«Sapete se sta con qualcuno?»
Se fossi una donna o se fosse pubblico il suo orientamento sessuale e la nostra relazione, certo. Ma purtroppo né l’una né l’altra opzione corrisponde alla realtà.
«Beh…» tentenna Silk. «A dire il vero…»
«Sì, sta con me» dice una voce determinata che non riesco a riconoscere subito.
E da bollente che era, il sangue mi si gela improvvisamente quando mi rendo conto che quella voce è la mia. Che ora do le spalle al frigo e le sto guardando apertamente, il mento sollevato con fierezza, e loro mi guardano di rimando con lo shock disegnato su tutta la faccia.
Non so cosa mi è preso. Non sono riuscito a trattenermi. Non avrei mai, mai dovuto. Sanji verrà a saperlo, verrà a saperlo dai cuochi del Baratie, l’ambiente dove meno di tutti avrebbe voluto scoprirsi, s’infurierà con me, mi lascerà e sarà tutto finito, eppure…
Eppure non voglio tirarmi indietro, non questa volta. A costo di pagarne le conseguenze, voglio difendere ciò che di più prezioso ho al mondo.
Certo, mi coglie totalmente impreparato quando una ragazza con i capelli blu e il naso particolarmente a punta scoppia a ridere sguaiatamente. «S-scusa?! Tu… tu stai davvero dicendo che Sanji sta con te?!»
Sobbalzo appena, ferito nell’orgoglio lo ammetto. Ma non indietreggio, non mi schiodo, non distolgo lo sguardo. Sto combattendo per noi, non ho intenzione di tirarmi indietro.
«Sì» avanzo di un passo. «Sanji è il mio ragazzo»
Una scarica elettrizza ogni vena, capillare e fibra del mio corpo quando finalmente, finalmente lo dico ad alta voce.
Giù le mani. Lui è mio.
Il silenzio cala denso nella stanza, per un attimo mi sento vittorioso, poi l’ansia mi attanaglia lo stomaco fino a darmi la nausea.
So di avere appena fatto qualcosa di fondamentalmente sbagliato. Ma al tempo stesso sento di aver fatto la cosa giusta.
Almeno finché la tipa non ricomincia a ridere, più forte di prima se possibile. «Oh santo Roger!» esclama tra lacrime di divertimento. «Fammi capire sei una… una specie di suo fan ossessionato, come quelli delle star? No, perché sembri crederci davvero!»
«Polluce…» la chiama Silk, una nota urgente nella voce. Mi lancia un’occhiata quasi di scuse ma io non riesco a reagire in nessun modo. Non mi sono mai sentito così. Vorrei prenderla per le spalle e scuoterla finché non smette di ridere e obbligarla ad ascoltarmi e a credermi. Perché sto dicendo la verità. Io sto dicendo la verità dannazione!
Non mi sono mai sentito così.
Così arrabbiato e… e spaventato.
È come se ogni risata di questa sconosciuta me lo stia portando via. È solo un’estranea, arrogante e maleducata, non sa niente di me o di lui e ha più di un legittimo motivo per non credere che l’orientamento sessuale di Sanji sia qualsiasi cosa diverso da etero. Ma ogni sua risata, la sua radicata e ferma convinzione che non possa essere… Da quanto è così? In tutti questi anni, quando Sanji è stato veramente mio?
Per quanto ancora sarò l’unico a crederci davvero e abbastanza?
L’ennesima risata di Polluce mi perfora il cranio peggio di un fischio vicino agli ultrasuoni. Tremante e sconfitto, volto loro le spalle e raggiungo rapido la porta. Ignoro Silk che mi chiama, ignoro le battute a cui normalmente risponderei del personale di cucina, ignoro persino Zeff che stavolta si accorge di me e continuo a camminare, finché non sono fuori da qui, di nuovo nella sala chiassosa e continuerei a camminare ancora, senza neanche una meta precisa, se solo il dettaglio che non si sente volare una mosca non fosse così straniante da farmi alzare gli occhi su una scena abbastanza surreale da incuriosirmi.
Baby è in piedi e sta fissando con le saette negli occhi sua madre, che sembra sconvolta. Quasi tutti sono girati verso di loro e Monet la guarda così in adorazione che fa quasi male al cuore. Poi si alza, le scosta i capelli, posa una mano sul suo volto, le sussurra qualcosa e la bacia.
Davanti a tutti. Come se non ci fosse un domani e potesse respirare solo grazie a lei.
La morsa allo stomaco si allenta appena e un sorriso molto piccolo ma assolutamente sincero fa capolino sulle mie labbra. Vedere loro così pensando alla mia situazione fa solo più male ma sono felice per lei. Per loro. Se lo meritano e niente è più giusto di questo romantico momento perf…
«Sì! Viva l’amore libero!!! Basta con le recite, anche io non voglio più nascondermi! Voglio che tutti sappiano che il mio grande e unico amore è Marco-chan!»  
Per un momento è come se tutti i presenti fossero stati pietrificati da un qualche sortilegio, gli occhi ora puntati su Izou. Koala scosta la sedia dal tavolo e si alza lentamente, sorridente e sconvolta al tempo stesso.
«Con permesso, credo di dover andare alla toilette» 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


«Beh sicuramente è quello che definirei… affollato» commenta Koala, gli occhi fissi sul viavai di gente che riempie il Baratie.  
Ammetto che nemmeno io mi aspettavo così tanti invitati ma a pensarci bene non c’è poi tanto da stupirsi. Cobra è una figura di spicco ad Alabasta e comunque io non avrei il minimo problema a sposarmi davanti a così tante persone. Se solo tutta questa folla non mi rendesse così difficile individuare in fretta Rufy o Zoro.
Il sospiro di Bibi mi distrae dalla mia ricerca e mi giro subito verso di lei, contemporaneamente a Koala. «Io dovrei parlare con tutti stasera» mormora, sconsolata.
Incrocio lo sguardo con Koala, che sta sicuramente pensando ciò che sto pensando io, ed entrambe  posiamo una mano su ciascuna delle sue spalle. «È logisticamente impossibile» diciamo all’unisono e io stringo appena prima di aggiungere: «Ma per qualsiasi cosa tu facci un cenno e noi accorreremo in tuo aiuto. E per un prezzo davvero str… Ouch!» il pizzico al fianco mi impedisce di finire la frase. Lancio a Koala un’occhiata assassina, non tanto per avermi interrotta quanto per la forza che ci ha messo, ma lei si limita a sollevare le sopracciglia e poi si concentra di nuovo su Bibi.   
 «Hai una ciocca fuori posto» la avvisa mentre allunga una mano per sistemargliela dietro l’orecchio.
Bibi rimane immobile finché non ha finito e poi prende un bel respiro. «Grazie ragazze. Ora devo proprio andare» ci informa, con un sorriso grato che ricambio, insieme a un incoraggiante cenno del capo.
Mi fa piacere aiutarla, ci tengo che sia a suo agio, ma anche io ho le mie faccende a cui pensare.
«Anche io devo trovare Zoro» lo dico ad alta voce, prima di riuscire a fermarmi e subito trattengo il fiato.
“O Rufy”! Presto Nami, aggiungi “O Rufy o chiunque altro. Insomma devo trovare qualcuno”! Se non lo fai, Koala e Usopp ricominceranno a farti una testa così riguardo i tuoi sentimenti e l’importanza di essere onesta al riguardo!
Da che pulpito poi…
Ma niente, dalla mia bocca non esce niente perché sono troppo impegnata a trattenere il fiato e controllare se per caso, magari, il mio karma è intervenuto e Koala non mi ha sentito ma la fatica che fa a trattenere un ghigno è una risposta più che sufficiente.
Per fortuna, Koala è una splendida amica e, con mio sommo sollievo, cambia repentinamente argomento. 
«Beh allora qui le nostre strade si dividono» annuncia solenne, spingendo il petto in fuori. «Qualunque cosa accada, è stato un onore servire con voi».
Bibi sbuffa una mezza risata e io scuoto il capo divertita. Se non altro lei sa come smorzare la tensione.
Restiamo ancora un attimo sul limitare della sala prima di muoverci tutte e tre insieme e salutarci a vicenda con un simultaneo: «Ci vediamo dopo» ognuna diretta in una direzione diversa.
Per quando raggiungo più o meno la metà della sala, quattro camerieri diversi mi hanno già offerto dello cahmpagne, e non solo perché è il loro lavoro. Nonostante la situazione di pseudo-emergenza, una parte remota del mio cervello si compiace del fascino che emano anche con indosso un abito che con il mio stile centra poco e un’altra ancora, più pratica e lucida, mi fa notare che chiedere a uno di quei camerieri dove fosse Silk sarebbe potuto essere utile ma purtroppo le do ascolto troppo tardi, troppo concentrata a scovare il viso di qualcuno che possa aiutarmi in questa spinosa e delicata questione.
«Che succede, mocciosa? Ti sei persa?»
Ora, vedete, è piuttosto difficile descrivere cosa succede al mio corpo quando percepisco la sua voce così vicina. Il cuore acellera a mille, un’ondata di euforia mi fa rabbrividire dalla testa ai piedi ma corpo e bocca si muovono da soli, risposta di un condizionamento che è ormai intrinseco in me.
Anche se sono estatica all’idea di vederlo, è più forte di me. Devo ribattere, devo avere l’ultima parola.
«Scusa chi è che si sarebbe perso?» lo provoco mentre mi volto verso di lui. Perché è così che funziona tra noi. È così che ha sempre funzionato. «Scommetto che tu stavi cercando di uscire in giardino»
È così che voglio che continui a essere.  
Zoro si stringe nelle spalle, le braccia al petto. «Non sapevo che Zeff avesse apportato delle modifiche al ristorante»
«Che modifiche?» domando, perplessa.
«Beh la porta per l’esterno che non è più al suo posto» spiega come se fosse ovvio e poco ci manca che la mandibola mi cada a terra. Lancio una rapida occhiata al numero di finestre della veranda completamente spalancate sul giardino e sospiro un “Oh Zoro”, mentre mi passo una mano tra i capelli.
È un’autentica causa persa. Vorrei sapere perché ancora me ne stupisco, oltretutto. «È un vero miracolo che tu sia sopravvissuto per tre anni senza di me» aggiungo senza pensare e mi irrigidisco non appena le parole lasciano la mia bocca. Mi giro di nuovo verso di lui, agitata. «Cioè… intendo dire che… che… che hai da sorridere così?» indago quasi a disagio quando mi accorgo che mi sta squadrando da capo a piedi. Se non altro non sembra aver sentito la mia ultima osservazione e sarei anche sollevata se solo non fossi del tutto incapace di leggere la sua attuale espressione.
Non riesco a decodificarla e questo mi manda in confusione perché non è mai stato per me un problema capire esattamente cosa gli passa per la testa solo guardandolo in faccia. Se non che quel sorriso mi è del tutto nuovo. Non è il suo ghigno sfacciato, non è la risata piena di quando qualcosa lo fa divertire, non è nemmeno la smorfia sghemba di quando vuole darsi un tono perché lui non è un moccioso ma in realtà vorrebbe unirsi a Rufy e Chopper nelle loro bambinate.
È qualcosa che non ricordo di avere mai visto. O forse sì? Tanto tempo fa…
«Ti sta bene quel colore» sussurra, il tono quasi impercettibile eppure, nonostante il chiasso intorno a noi, io lo sento forte e chiaro. Abbasso gli occhi sulla stoffa verde menta del “mio” abito stile impero. È singolare come, su Bibi, apparisse molto più azzurro mentre su di me il pigmento verde emerge con decisione. L’ho notato prima in bagno e non so assolutamente perché ci sto pensando ora. «Cioè ti sta bene tutto del vestito ma il colore in particolare» chiarisce e per allora io ho più o meno ritrovato il mio autocontrollo.
O comunque abbastanza per rispondere senza far trasparire il fatto che forse sto avendo un attacco cardiaco.
«Quando imparerai che a me sta bene tutto?» gli domando, portando le mani sui fianchi.
Ma anziché darmi della mocciosa vanitosa e viziata come mi sarei aspettata da lui, Zoro continua a sorridere e piega appena il capo in un gesto che pare quasi di scusa, lasciandomi davvero senza parole. «Pardon, mademoiselle»
Sento le labbra dividersi in una smorfia di autentica incredulità. Francese?! Zoro ha appena parlato in francese?! E io sto letteralmente sfavillando, come se fossi fatta di acetato.
«P-Perché… perché volevi uscire in giardino? Cercavi qualcuno?»
Appena finisco di chiederlo maledico mentalmente la mia lingua, che stasera non sembra per niente propensa ad aspettare un qualche input cerebrale prima di agire. Perché appena finiso di chiederlo mi rendo conto che la risposta più probabile è “sì” e che il qualcuno più ovvio sia, arrivati ormai a questo punto, Kuina.
“Arriva tra pochi giorni” così aveva detto ad Usopp.
E infatti Zoro annuisce immediatamente e il cuore mi sprofonda giù, si accartoccia sullo stomaco e forma un unico ammasso pesante che mi si deposita sul diaframma, complicandomi la respirazione.
So che è immaturo e negare l’evidenza non cambia la realtà ma, santo cielo, quanto avrei preferito non saperlo. O almeno non sentirmelo dire da lui o…
«Cercavo Rufy. A quanto pare Silk lavora qui stasera e volevo tenerlo d’occhio prima che prenda una batosta»
Sgrano gli occhi. Il sollievo dura solo una frazione di secondo, il tempo di metabolizzare la nuova informazione e rendermi conto che tutto girava intorno a questa precisa questione e che sono riuscita a dimenticarmene completamente nel giro di tre minuti scarsi.
«Era esattamente lo stesso motivo per cui ti stavo cercando!» esclamo, ancora una volta senza pensare.
Dannazione, Nami!
Il sorriso-mai-visto si storta in un ghigno un po’ troppo compiaciuto per i miei gusti. «Cercavi me?» si informa, tronfio, gli occhi che quasi luccicano.
«O Rufy» minimizzo subito con una scrollata di spalle. «Ho… ho solo pensato che tu più di tutti potevi sapere dove trovarlo»
«Ma come? Io non dovrei essere quello disorientato?» continua a provocarmi e, se non lo conoscessi così bene, se non sapessi che è la persona più leale del mondo, potrei giurare che lo stia facendo di proposito e anche che la distanza tra noi si stia accorciando a vista d’occhio.
«Lo sei» rispondo, meno decisa di quanto mi piacerebbe. «Ma non per questo hai problemi a riconoscere le facce come Chopper»
«Mi spiace deluderti ma nemmeno io so dove trovarlo. Stavo cercando mia sorella quando Sanji è venuto ad avvisarmi. A proposito, tu l’hai vista?»
Arcuo le sopracciglia e mi impongo di non lanciare un’occhiata verso il corridoio che porta alla toilette, dove non oso nemmeno immaginare cosa Perona e Ace stiano al momento facendo e che non è il caso che Zoro scopra. «No. Nessuna idea di dove sia. Ma tornando a Rufy…»
«Giusto. Insomma volevo uscire per cercarlo e tenerlo d’occhio ma poi mi sono reso conto che non aveva senso. Prima o poi la incontrerà e l’unica cosa che possiamo fare noi è aiutarlo se dovesse avere bisogno, stargli vicino e supportarlo. E così ho lasciato perdere Rufy e mi sono messo a cercare te. Per fortuna è difficile non vederti, anche in mezzo a una folla»
Per un attimo tutto quello che riesco a fare è sbattere le palpebre, interdetta.
«Cercavi… cercavi me?» gli chiedo. Perché ho bisogno di capire. Devo capire se… s-se quando parlava al plurale intendeva tutto il gruppo e ha cercato me solo perché sono più appariscente o se… forse… se intendeva precisamente noi due.
«Beh sì, ovviamente. Siamo sempre stati noi» e nel dirlo, a scanso di equivoci, indica me e se stesso. «Il surrogato dei suoi genitori. Come ai vecchi tempi»
Il cervello mi va in blackout. Parlava davvero di noi. Di me e lui e tutto… tutto questo è… n-non può essere sano, io… perché mai ora sto sorridendo? E uno di quei sorrisi ebeti e trasognati, ne sono sicura anche se non mi vedo. Ne sono sicura perché è così che mi sento.
«Ehi mocciosa, cos’è quell’espressione?» ghigna lui. 
Scuoto appena il capo, fingendo di non capire, una bolla calda che si gonfia nel mio petto. «Quale espressione?»  
«Quell’espressione di… Merda»
Che ha detto?!
Mi risveglio bruscamente e se si salva dal cazzotto è solo perché la sensazione di vaga confusione mi ha rallentato i sensi quel tanto che bastava per rendermi conto che non sta guardando me, prima di soccombere ai miei istinti primari e aggredirlo brutalmente.
Mi volto di scatto per scoprire cosa lo ha tanto colpito e, a costo di apparire scontata, impreco a mia volta quando individuo Rufy in procinto di raggiungere la cameriera bionda che porta il vassoio delle tartine. Lui è chiaramente in cerca di cibo. Lei è chiaramente Silk. E, chiaramente, Rufy non l’ha riconosciuta.
Zoro mi prende deciso per mano e mi ritrovo catapultata in mezzo alla folla, costretta a zigzagare per non scontrarmi con nessuno. Inciampo nei miei stessi piedi quando vira di colpo e finirei faccia a terra se non si girasse prontamente per afferrarmi al volo per la vita. Mi schianto sul suo petto e per un attimo mi sento sopraffatta dalla tentazione di restare così per sempre. Almeno finché non mi accorgo che siamo quasi alla vetrata che da sul giardino, ovvero dalla parte diametralmente opposta rispetto a Rufy e Silk.
«Oh Zoro!» esclamo, stavolta esasperata.
La mano ancora saldamente intrecciata alla sua, prendo in mano le redini della situazione e mi rimetto a camminare verso il centro della sala, scartando tra due gruppi di poltroncine, dove mi sembra di intravedere Koala, Law, Robin, Sabo e Bibi, per poi arrestarmi di botto a pochi passi dal tavolo su cui Rufy sta appoggiando con cura il vassoio fino a poco fa nelle mani di Silk, senza intascarsi nemmeno una tartina. Anzi, non appena è sicuro di averlo posato senza fare danni, non le degna più nemmeno di uno sguardo, gli occhi solo per Silk che lo fissa a bocca aperta.
E come biasimarla?! Io sto seriamente dubitando della mia sanità mentale a questo punto!
«Zoro dammi un pizzicotto!» gli ordino con urgenza.
«Non hai le allucinazioni, lo vedo anche io» si affretta a mormora prima di zittirsi per riuscire a captare la loro conversazione senza dover oltrepassare la distanza di sicurezza. A malapena stiamo respirando.
«Allora come stai?» le chiede Rufy, cacciando a fondo le mani nelle tasche, palesemente in imbarazzo anche se nemmeno lui sa di essere in imbarazzo.
Silk tentenna e balbetta, si passa una mano sulla fronte e si guarda intorno, probabilmente per controllare che nessuno la veda con le mani in mano e la riprenda ma c’è poco da fare. Resiste solo una frazione di secondo prima che i suoi occhi convergano di nuovo su Rufy, come il ferro con il magnete. «Bene, cioè io… sai faccio la… la solita vita. Casa, università, aula studio. Ma sto… sto bene» ripete e annuisce con vigore. Sento il cuore creparsi. Non faccio la minima fatica a leggere il suo linguaggio del corpo, a riconoscere quello sguardo.
Non sta bene, non sta affatto bene e non perché sia a disagio per questo incontro inatteso. Semmai questa è la cosa migliore che le sia capitato dall’anno scorso, quando hanno rotto. Non sta bene, da un anno a questa parte Silk non sta affatto bene ma ci convive. È diventata brava a conviverci ma rivederlo le ha ricordato tutto quello che ha perso e le manca.
E la cosa peggiore è che se l’è voluto lei.
«Ti trovo in forma» commenta Rufy, avvicinandosi di un passo, con un che di audace, maturo, virile quasi. C’è un qualcosa nel suo modo di fare che mi ricorda qualcuno. Così come nella reazione di Silk che sobbalza appena e vorrebbe forse indietreggiare ma non ci riesce.
È come se avessi già assistito a questa scena.
«Anche… anche tu stai bene» mormora e non so se Rufy l’ha nemmeno sentita. È intento a squadrarla e Silk trattiene il fiato quando se ne accorge.
«Hai scurito i capelli?»
Silk sgrana gli occhi, forse perché non si aspettava che Rufy notasse un dettaglio del genere, forse perché le sembra assurdo parlare di questo in un momento così. In entrambi i casi non posso darle torto ma questo non fa che rendere tutto ancora più famigliare.
Senti i pezzi che nella mia testa vanno lentamente a posto e osservo immobile Silk arrotolarsi una ciocca bionda intorno al dito. «Un… Un pochino, sì» conferma.
Il cuore mi si ferma. Io ho già assistito a questa scena. Anzi, l’ho vissuta, a Goa, qualche settimana fa.
Con Zoro.
Io e Zoro abbiamo avuto la stessa conversazione  che solo ora mi rendo conto essere “La Conversazione”. La conversazione imbarazzante eppure anelata da due persone che si sono lasciate e si rivedono dopo tanto e tempo e ancora… ancora…
No, non è possibile. Lui non… Eppure…
«Zoro…» mi giro verso di lui, il fiato sospeso.
Devo dirglielo. Devo dirglielo ora, prima che lei arrivi.
Oddio ma che sto facendo?! Non posso, è una follia!  
Eppure lui… si è comportato esattamente come Rufy, lui…
«Nami? Qualcosa non va?» mi chiede, preoccupato. Mi guarda fisso, Rufy e Silk l’ultimo dei suoi pensieri.
«Zoro, io…»
«R-Rufy, io…»
«Prego signori, prendete posto ai tavoli!» la voce di Tamago ci investe come uno tsunami, riportando sia me che Silk alla ragione appena in tempo.
Cosa stavo per fare?! Devo essere uscita di senno!  
A una parte del mio cervello – non so più quale, perché già così le voci nella mia testa sono più di due – non sfugge come Rufy scosti dal viso di Silk la ciocca bionda che un attimo fa si stava torturando, mentre sorride esattamente come Ace quando guarda Perona, o pensa a lei o dice qualcosa su di lei. «Ci vediamo dopo» la saluta, prima di lanciarsi verso le lunghe tavolate apparecchiate. «Cibooooooo!»
Silk continua a fissare il punto in cui la polvere a mezz’aria ha ancora la sagoma di Rufy, esterrefatta almeno quanto me. Sto valutando di avvicinarmi per riscuoterla prima che si becchi una strigliata per starsene con le mani in mano quando sono io che mi ritrovo una mano in mano. Appena il suo palmo tocca il mio mi sento come un cerino che viene sfregato sulla carta ruvida.
Lancio un’occhiata interrogativa alle nostre mani intrecciate e poi a lui. «Beh direi che la nostra presenza non è più richiesta» si stringe nelle spalle. «Andiamo?» mi chiede quasi il permesso e, per tutta risposta, io gli sorrido ebete.
E non riesco a smettere. Non riesco a smettere di sorridere mentre ci spostiamo con il resto degli invitati verso le tavole imperiali, apparecchiate con cura e raffinattezza. Non riesco a smettere di sorridere mentre prendo posto tra Zoro e Izou, di fronte a Marco, che non degno nemmeno di un’occhiata, me ne rendo conto.
Il che è ridicolo, assolutamente ridicolo. Ma non riesco a smettere e non so quanto tempo è passato – sicuramente più di quello che credo –, non so come e quand’è che mi ritrovo con un calice di vino bianco in mano, del cibo succulento nel piatto, ad ascoltare la conversazione dei miei amici, senza riuscire davvero a staccare gli occhi da Zoro. Riesco a distogliere lo sguardo da lui solo per pochi secondi, per cercare Rufy e constatare che sembra sereno e ride non so per cosa insieme a Sabo, Ace e Law. Ci riesco per lanciare un’occhiata a mio fratello, in realtà sorpresa dalla domanda che Brook gli pone, ma poi, come se la mia testa fosse caricata a molla, torno di nuovo su Zoro, sul suo profilo, sul suo ghigno, come se avessi bisogno di accertarmi che è davvero qui, accanto a me e ogni volta sento il sorriso cementarsi sempre più sul mio volto.
Non riesco davvero a smettere.
«E allora Chopper, com’è andato l’appuntamento con la dolce infermiera? Sei riuscito a scoprire il colore delle sue mutandine?!»
Non sapevo nemmeno che alla fine ci fosse uscito ma mi limito ad appoggiare la guancia alla mano e ascoltare, per quanto la mia attenzione lo permetta. Sono solo felice per lui, in fondo. E poi da questa posizione posso fissare Zoro quanto voglio senza farmi beccare.   
 «Brook!» lo ammonisce Chopper, indignato ma le gote gli si arrossano. «E comunque si chiama Shirahoshi»
«Suuuuuuper!!! Avremo presto una nuova sorella nel gruppo!»si esalta Franky. «Torciglio-bro, hai sentito?!» si rivolge a Sanji che sta chiacchierando amabilmente con Monet.
Ma Sanji che chiacchiera con Monet – ed è seduto fin troppo lontano da Usopp, cosa diavolo sta facendo?! – diventa l’ultimo dei miei problemi quando Zoro appoggia una gomito allo schienale e si svacca sulla sedia, la cravatta allentata, le maniche arrotolate, la giacca non so dove. Santo cielo, è un attentato agli ormoni questo!
Dovrebbe essere illegale!
«Allora, alla fine chi ha fatto il primo passo?» si informa con mio fratello e percepisco solo vagamente che la sua voce trapela di orgoglio, dopodichè smetto di ascoltare qualsiasi cosa.
Sono troppo concentrata a ridisegnare con gli occhi il suo profilo, la mascella squadrata, i tre orecchini che tintinnano proprio all’angolo della mandibola, il suo sorriso, i suoi capelli, che vorrei disperatamente riavviare con le mie mani, e tutta la sicurezza, la lealtà e il calore che lui e lui soltanto riesce a trasmettere con un unico sguardo.
La promessa mai espressa a parole di essere il tuo sostegno, la tua spalla, le braccia tra cui rifugiarti e il respiro in cui addormentarti, qualsiasi cosa accada, per il resto dei tuoi giorni. Questo è Zoro. Il mio Zoro.
«Vorrei fare un brindisi alla rossa per la sua immaginazione»
È solo perché sta parlando di me che percepiso la voce di Izou, anche se quello che dice non ha alcu senso. Ha talmente poco senso che riesce a distogliermi da Zoro, anche se per poco. Mi volto verso di lui e lo trovo che mi fissa insieme a Usopp, che sembra sul punto di saltare via dalla sedia.
«Avete detto qualcosa?» domando, ascoltando con l’altro orecchio un commento di Zoro rivolto a Chopper. Registro molto vagamente Usopp che si acciglia, lui e Izou che si scambiano un’occhiata e poi rispondo all’unisono con un perplesso: «No»
Mi stringo nelle spalle e mi volto di nuovo. Chopper ora è rosso come un’aragosta e non faccio fatica a immaginare il motivo. Chissà questa manica di deficienti cosa gli starà raccontando sulla prima volta che ci sono andati loro al cinema con una ragazza.
«…a raccogliere i pop-corn che erano caduti per riuscire a vedere il colore delle sue mutandine, solo per ricordarmi troppo tardi che la sala era totalmente al buio! Yohohohoh-oh!» ride sguaiatamente Brook e mio fratello sbatte le palpebre un paio di volte, visibilmente preoccupato.
«Sul serio, Brook. Penso che dovresti vedere uno specialista»
«Ehi! Nami-swan!»
Sanji mi chiama in un sussurro, sporgendosi dietro la schiena di Zoro e verso di me. Incuriosita, mi piego verso di lui. Intravedo Zoro che segue il mio movimento con la coda dell’occhio ma è altamente probabile che sia solo una mia impressione. Poso una mano sullo schienale della sedia di Zoro per potermi allungare ulteriormente. «Sanji-kun» lo invito a parlare, imitando il suo tono basso e confidenziale.
«Sai dov’è finito Usopp?»
Sorpresa, lancio una rapida occhiata oltre la mia spalla, verso la sedia del mio migliore amico, ora vuota.
Strano. Era lì fino a un attimo fa.
«Non ne ho idea» scuoto il capo, tornando a fissare Sanji. «Magari è solo andato a prendere una boccata d’aria. Non siamo neanche al primo e ho già visto parecchie bottiglie vuote» argomento, con il preciso intento di rassicurarlo anche se lo nascondo molto bene.
D’altra parte, è stata una sua decisione sedersi lontano da lui ma non riesco più, nemmeno interiormente, a schierarmi come un tempo, non dopo quello che mi ha confessato al bowling. Non quando non faccio che trovare prove su prove che io e lui siamo esattamente uguali.
Per l’ennesima volta stasera mi domando cosa sto facendo. Della mia vita, del mio lavoro, del mio cuore. Non credo di essere mai stata un casino tale come lo sono in questo momento.
«Ne sono certo» Sanji mi sorride grato, riconoscendo senza fatica le mie reali intenzioni. «Ma sarebbe meglio se andassi a cercarlo. Le cose sono parecchio tese qui tra Baby-chwan e sua madre e penso sia necessario il suo intervento per calmare quel meraviglioso angelo con la pistola»
Sgrano gli occhi incredula. «Sanji!» lo amonisco con stupore. Perché si deve tirare la zappa sui piedi?
«Lo faccio per Bibi-chwan e Law, Nami-swan. Rischia di scoppiare una bomba. E se fossi tu in difficoltà e io fossi l’unico a poter intervenire, vorrei che Usopp me lo dicesse» argomenta convinto.
Ha ragione, so che ne ha da vendere, ma è più forte di me, provo lo stesso a cercare di che ribattere. Stringo le labbra testarda, non ancora persuasa a cedere. È della felicità dei miei amici che si sta parlando.
«Ehi ragazzi tutto bene?» domanda Zoro, lanciando un’occhiata verso di me, da sopra la spalla, senza girarsi platealmente, di sicuro per evitare di attirare l’attenzione degli altri.
«Stiamo cercando di capire che fine ha fatto Usopp» gli spiega Sanji, sotterrando una volta tanto l’ascia di guerra, di fronte alla necessità di risolvere in fretta la quesionte urgente.
«L’ho intravisto andare verso le cucine» indica con il pollice alle noste spalle.
«Le cucine?!» si stranisce Sanji.
«Beh magari è meglio se vai a chiamarlo tu allora» gli faccio subito presente e Sanji sbianca.
«Non so se è il caso…» comincia.
«Rimango io qui a controllare Baby» insisto ma Sanji è chiaramente terrorizzato e io comincio a capire. Socchiudo gli occhi indagatrice. «Non avrai fatto il cretino con le cameriere?» domando, in allerta.
«Beh, ecco…»
Chiudo le dita a pugno, qualsiasi sentimento di tenerezza, compassione o empatia che fosse sparito. E poi succede. 
«E a me non interessa! Non mi interessa se è poco femminile, non mi interessa! Hai capito?!?»
Io e Sanji saltiamo su come due petardi mentre tutti i presenti alla nostra tavola si voltano verso Baby, così come anche qualcuno dei commensali della tavola di fronte alla nostra.
È come l’esplosione di una bomba e, come due artificieri che non sono intervenuti in tempo, io e Sanji osserviamo immobili e impotenti le macerie della dignità di Bibi precipitare in ogni direzione quando la pazienza di Baby salta in aria.
«Io mangio i gamberi con le mani, bevo dal cartone del latte e sì, mamma, sì! Quello che hai intravisto una volta sul mio inguine è un tatuaggio!!! E per tua norma e regola, io canto e suono in una band che fa rock, fumo i sigari, bevo birra e non la faccio profumata, esattamente come non la fai tu! E io e Monet non siamo semplicemente coinquiline! Stiamo insieme, io la amo e tu puoi prendere le tue beneamate apparenze e infilartele su per le tue chiappe siliconate! Io ne ho abbastanza!!!»
Il silenzio è tombale e non penso di sbagliarmi quando ipotizzo che nessuno parla perché tutti stiamo cercando di capire se è successo davvero. Ma sono piuttosto certa che sia successo davvero e Monet non tarda a confermarlo quando si alza in piedi, scosta i capelli dal volto di Baby, le dice qualcosa che non riusciamo a capire e la bacia con disperazione.
Nonostante sia mortificata per Bibi, un piacevole calore mi pervade, misto a qualcosa che mi azzarderei a chiamare invidia. Ma il momento è troppo bello e romantico per provare un sentimento negativo di qualunque genere. È semplicemente perf…
«Sì! Viva l’amore libero!!! Basta con le recite, anche io non voglio più nascondermi! Voglio che tutti sappiano che il mio grande e unico amore è Marco-chan!»
Mi pietrifico, inorridita. Il sangue mi si gela nelle vene e il mio soggiorno nella terra delle fiabe finisce bruscamente mentre un intenso e pulsante bisogna di uccidere mi si insinua nelle viscere, misto a panico. Puro panico.
Non l’ha fatto sul serio, vero?!
Lo sguardo scioccato di Zoro, che incrocio a occhi più che sgranati, infrange le mie speranze. Kami, lo ha detto davvero!
Sono così sconvolta che non riesco nemmeno a girarmi quando Koala scosta rumorosamente la sedia dal tavolo, dopo un altro attimo di totale silenzio e gelo.
«Con permesso, credo di dover andare alla toilette»   
 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Mi sciacquo il viso a mani piene, confortata dall’effetto dell’acqua fresca contro la mia pelle. Se solo oltre al calore, quest’acqua potesse portarsi via anche il ricordo di quello che è appena successo, sarei la donna più felice del mondo.
Che figura.di.merda.
Sospiro e mi puntello con le mani sul bordo di marmo lucido e lavorato del lavandino. Non posso credere che Izou lo abbia urlato davanti a tutti. Lo rivedo con l’occhio della mente gesticolare come un pazzo e quasi scoppio a ridere.
Devo ammetterlo, è stato divertente. E dopotutto, anche quelle povere anime pie che hanno finto di credere alla nostra relazione, avranno pensato che vivo con le fette di prosciutto sugli occhi per non essermi accorta che era palesemente gay. Dopotutto meglio così che dovermi inventare una qualche elaborata bugia sul suo coming out per giustificare la nostra prossima e inevitabile rottura.
Più che altro, mi dispiace per Nami. Se con Izou c’è sempre stato poco o niente da fare, Marco era ancora, fino a prova contraria, del tutto insospettabile. Credo proprio che Nami ucciderà Izou il che, tutto sommato, non è una prospettiva così negativa. Un omicidio a sangue freddo alla cena di prova di un matrimonio potrebbe ragionevolmente distogliere l’attenzione dall’ameno quadretto famigliare degli Hook e magari nella fretta di farmi le condoglianze qualcuno potrebbe anche dimenticarsi del coming out di Izou. Si sa come vanno queste cose, più passano di bocca in bocca più la storia cambia. Alla fine l’atto scatenante potrebbe dissolversi nel nulla, come se non fosse mai accaduto.
Oppure potrei diventare la finta “vedova” di un gay appena ri-dichiarato.
Quest’ultimo pensiero è davvero troppo e scoppio a ridere da sola, ignorando il lieve picco isterico del mio tono e della mia espressione riflessa.
Io non ce la posso fare!
Ho appena scoperto che il fratello del mio migliore amico è innamorato della sua futura moglie, lunedì perderò il lavoro e ci sono ottime probabilità che ora della fine della serata dovrò deporre alla polizia riguardo tutto quello che sapevo del rapporto tra la sospettata Nami Cocoyashi e la vittima Izou Wano.
Okay, calma. Ce la posso fare, ce la farò.  
E quando tutto questo sarà finito, me ne vado a Skypeia. Quanto è vero che sono figlia di mio padre, mollo tutto e sparisco dalla circolazione. Se solo Law potesse venire con me.
No aspetta! Che cos…
La porta del bagno si apre così di colpo che perdo diec’anni di vita per lo spavento. Mi giro di scatto, verso Rufy che mi osserva per un attimo dalla soglia, confuso, e poi avanza in bagno richiudendosi l’uscio alle spalle.
«Ciao Koala»
«Ehi Rufy» lo saluto e gli lascio un attimo, il tempo di capire se gli serve il bagno o se è venuto qui per il mio stesso motivo, e cioè perché aveva bisogno di un po’ di tranquillità per pensare. Anche se nel mio caso “pensare” sta per riflettere su come la mia vita stia per rotolare giù da un precipizio senza paracadute ma, ehi, in fondo mi sono sempre chiesta cosa si provasse in caduta libera. «Tutto bene?» azzardo con un sorriso, quando alla fine Rufy si dirige verso i lavandini, fermandosi accanto a me, gli occhi puntati dentro il sanitario in cui quasi ci si può specchiare.
So benissimo cos’ha ma non voglio forzargli la mano. Se vuole parlarne, io sono qui e lo ascolterò. Per alcuni secondi non dice nulla, continua a fissare il tappo del lavandino, le mani in tasca, finché non ne estrae una e afferra il bordo di ceramica scura, l’interno della mano rivolto verso lo specchio.
«Mi sento strano» afferma dopo un’altra manciata di secondi. Lo dice con sorpesa, quasi come se se ne fosse accorto solo adesso, di qual è il problema. «È come se… come se avessi la testa tutta imbottita di cotone, tipo» si gira a guardarmi, le sopracciglia corrugate. «Non riesco a stare concentrato e poi non ho fame!»
Eh sì. Ora capisco come abbia fatto a rendersi conto che qualcosa in lui non andava.
Valuto se prenderla alla larga ma cambio subito idea. A parte che non ha senso, Rufy ha zero intuito e dovrei comunque dirgli chiaro e tondo dove voglio andare a parare, a un certo punto, ma poi per stasera ne ho avute abbastanza. Almeno una cosa voglio provare a raddrizzarla, visto che ne ho l’occasione.
«Per caso è iniziato dopo che hai visto Silk?» domando, comunque con una certa cautela.
In pochi istanti, la sua espressione vira dal corrucciato al sorpreso al confuso. Sorrido, sperando di risultare incoraggiante, anche se temo che le statistiche mi diano uno a uno sullo “psicopatica”. Non per colpa mia, d’altra parte, è che quando sono stressata mi viene la pupilla fissa.
Rufy deglutisce pesantemente. «Tu dici che c’entra?» mi domanda in un soffio e non fatico a cogliere l’accenno di speranza.
Quasi mi sciolgo per l’improvvisa ondata di affetto che provo per lui e mi faccio violenza per non abbracciarlo. Rufy è così ingenuo che si legge come un libro aperto ma, proprio per questa sua ingenuità, è la persona che prova alcune tra le emozioni più complesse con cui mi sia mai capitato di confrontarmi.
Come ora per esempio. Vuole disperatamente che quello che sente sia amore, vuole essere ancora innamorato di lei perché, in cuor suo, l’ha perdonata ed è solo il suo stesso sentimento l’unico ostacolo che lo divide dal tornare da lei e riprovare e il motivo per cui non capisce che è proprio amore è che ha paura che possa essere qualcos’altro e lui non vuole che sia qualcos’altro. Vuole rischiare. Non ha paura di soffrire di nuovo. Non ha paura perché ne vale la pena e una volta ancora sono allibita da quante cose questo ragazzino mai cresciuto veramente sia capace di insegnarci da una vita.
«Non hai degnato di uno sguardo quelle tartine. Probabilmente perché eri troppo impegnato a guardarla come se volessi mangiare lei» aggiungo per poi avere subito un ripensamento. «Beh, mangiarla e proteggerla e ripeterle senza sosta quanto è bella e tutta una serie di altre cose che non credo si possano esprimere a parole, ma comunque una cosa così, ecco»
«Cioè…» si acciglia ancora un attimo, riflettendo sulle mie parole. «Cioè come tu guardi Torao?»
«Sì, esatto!» esclamo di getto.
E mi pietrifico, in preda al panico e alla confusione.
Che… che ho detto?!
«Scusa Koala, io devo andare a fare una cosa. Ci vediamo dopo!»
«No Rufy, aspetta, cosa…» ma è troppo tardi, la porta si richiude con un tonfo sordo che riecheggia nelle mie viscere. «Cosa intendevi?» domando al niente. O forse a me stessa.
Perché so benissimo cosa intendeva. Nel momento esatto in cui ho risposto “Sì, esatto” io più di chiunque altro ho saputo – saputo, non capito – cosa intendeva.
Oh mio dio…
Mi giro tremante verso lo specchio e mi puntello di nuovo al lavandino, ma stavolta perché ho bisogno di un sostegno. La stanza vortica intorno a me e sento l’impulso di vomitare. Il cuore mi batte così in fretta che non riesco nemmeno a distinguere un battito dall’altro e la mia intera persona è ricoperta da una patina di sudore che si congela a contatto con l’aria.
Non può essere vero. Per l’amor del cielo, non può essere vero!
Alzo gli occhi verso la mia immagine riflessa che, terrorizzata quanto me, non sembra intenzionato a darmi alcun conforto. «Dimmi che non è vero» la imploro. Ma se anche lei implora me non andiamo da nessuna parte. «Ti prego, dimmi che non è vero»
Una serie di immagini, momenti, ricordi vecchi e nuovi, passati e recenti, mi bombardano la testa. È come la mia vita in un secondo ma non sono affatto io il filo conduttore.
In tutti c’è lui e tutti mi provocano la stessa emozione. Che, dulcis in fundo, non ha niente di nuovo se non che, semplicemente, non mi ero mai accorta di provarla.
Ma è sempre stato lì. È sempre stato tutto lì a portata di mano e io me ne sto accorgendo solo ora che è troppo tardi per poterlo afferrare?!
Mi accorgo vagamente di iperventilare, delle ginocchia che tremano, delle lacrime che mi graffiano le guance. Un attacco di panico in piena regola, perché, mio dio, mio dio! Si sta per sposare!
La voglia di rimettere si fa di nuovo prepontemente strada nel mio stomaco dove cuore e polmoni si sono tutti ammassati in un unico, intricato groviglio.
Le unghie praticamente conficcate nel marmo, alzo ancora una volta gli occhi verso il mio devastato riflesso, che mi fissa di rimando attraverso le lacrime. La gola mi fa male per il tentativo di trattenere i singhiozzi.
«Ti prego…» ci provo, un’ultima disperata volta. «…dimmi che non è vero» 
 

 
§

 
Appoggio la nuca alla parete esterna del retro del Baratie, ispirando a pieni polmoni l’aria tiepida della sera.
Mi sento esausto, svuotato. Giro appena il capo verso sinistra. A pochi centimetri da me la piccola finestra della sala dei camerieri è aperta e mi viene quasi da ridere amaramente se penso che poco fa ero dall’altra parte di questo muro. Poco fa una delle poche certezze a cui ero ancora in grado di aggrapparmi è andata in frantumi ed è solo la prima di una serie di realtà che nel giro di pochi giorni non saranno più come prima.
Prima fra tutte, il lavoro.
Forse sarò eccezionale a raccontare bugie agli altri ma che senso ha raccontarle a me stesso? È stato facile mentire, prima, con la scusa di rassicurare Koala ma so benissimo – lei sa benissimo e anche Nami sa benissimo – che nulla andrà bene. Lunedì mattina ci presenteremo al Consiglio della Ivankov&Co per comunicare loro che non siamo stati in grado di fare il nostro lavoro e nonostante ci prenderemo tutta la colpa – ne abbiamo parlato e ci è sembrata l’unica cosa sensata da fare – le probabilità che nessun’altro venga licenziato oltre a noi sono infime.
E una volta gettata via una carriera che, dopotutto, mi piaceva e un lavoro che mi appagava, avrò sicuramente bisogno di andare a sparare al poligono per distrarmi ma non ci sarà nessuno che potrà venire con me, perché papà è via per lavoro e Baby vorrà stare un po’ con Monet ora che finalmente hanno risolto e io… sto facendo i capricci come un bambino.     
Lascio andare un sospiro.
Sono felice per loro. Solo a ripensare all’espressione di Baby quando mi ha raccontato la verità su lei e Monet, la situazione di stallo che si era creata, il male che le faceva la sola idea di perderla, mi si stringe il cuore.
Credevo di essere fortunato. Mentre mi raccontava tutto, mentre si confidava con me io continuavo a pensare a quanto ero fortunato, a quanto peggio sarebbe potuto essere tra me e Sanji, che ci saremmo potuti trovare noi in quella situazione.
Evidentemente sono così eccezionale a mentire che sono davvero riuscito a ingannare persino me stesso.
Quanto.sono.patetico.
E illuso.
Un povero illuso che non si è nemmeno accorto di avere raggiunto il fondo e che no, le cose non potrebbero mai essere peggio di così. Sarebbe impossibile, persino prendendo una vanga e scavando.
Stacco la nuca dal muro e ce la riappoggio. Lo faccio ancora. E ancora. Sempre più forte e sempre più in fretta.
Non.ne.posso.più.
«Ehi, eccoti!» la sua voce taglia a metà la il silenzio e il buio che ci separa e lo nasconde alla mia vista. Ma mi basta sentirlo per provare un piacevole spasmo allo stomaco e, contemporaneamente, una devastante stretta la petto. «Ti ho cercato ovunque. Che fai qui fuori?»
Lo fisso con un misto di panico e indignazione, che certamente in questa penombra non riesce a vedere. Sento dal tono della sua voce che sta sorridendo e una parte di me comincia a ribollire di rabbia.
Che ha da sorridere?! Da essere contento?! Perché per lui deve andare tutto bene?!
«Usopp?» mi chiama perplesso, mentre la sua figura comincia a farsi più nitida ai miei occhi man mano che si avvicina.
«Sì, ti ho sentito» rispondo con una voce piatta che quasi non riconosco come mia.
I suoi passi si fermano bruscamente. Sento che trattiene il fiato, il tempo necessario per racimolare un po’ di autocontrollo e continuare a comportarsi come se fosse tutto a posto. 
Si accosta a me, si appoggia al muro, al mio fianco, e mi guarda con aspettativa. Io non mi muovo, non ricambio il suo sorriso, non mi avvicino per annullare completamente la distanza fra noi, per approfittare del momento e del buio come avrei fatto in qualsiasi altra circostanza. Semplicemente distolgo lo sguardo e mi perdo a fissare il vuoto davanti a me.
Con la coda dell’occhio lo vedo muoversi a disagio. Posso immaginare la sua espressione che si fa sempre più preoccupata e tesa. Estrae una mano dalla tasca dei pantaloni su misura e se la passa tra le ciocche bionde, per compensare il mio gesto abituale di scostargli il ciuffo subito prima di baciarlo.
E vorrei. Il cielo solo sa quanto vorrei, quanto una parte di me vorrebbe mettere a tacere quell’altra, quella che mi ha trasformato in questa statua di pietra che non conosco, e semplicemente baciarlo, continuare a fingere che vada tutto bene.
Perché ora lo so, non è mai stato altro che questo. Una finzione.
E comincio a temere che l’Usopp granitico e impassibile, che non trema di paura e non prega ogni capostipite di qualunque religione mai esistita, monoteista o politeista, di non portargli via l’unica cosa buona della sua vita, sia un Usopp migliore di quello che sono stato finora. Un Usopp che vuole di più. Un  Usopp che, forse, si è accorto che può avere molte altre cose buone nella propria vita, se solo si decide a volersi più bene e a pretenderle, anziché adagiarsi, adattarsi. Accontentarsi.
«Serata pazzesca eh!» prova ancora, la voce instabile. È alla disperata ricerca di un dialogo con me. Ringrazio il buio che nasconde le lacrime che non riesco più a frenare. «Hai visto che è successo?»    
«Ti riferisci a Baby e Izou o a Monet e Marco?» domando e sono scioccato da quanto la mia voce suoni calma e misurata. Nessuno potrebbe mai indovinare che sto piangendo. Nemmeno lui.
«In… in che senso, scusa?» sbuffa una risata interrogativa e io mi volto finalmente a guardarlo.
«Nel senso che Baby e Izou hanno dato spettacolo ma tu hai visto come hanno reagito Monet e Marco?» gli domando, ignorando i suoi occhi sgranati. Si è accorto, si è accorto che sto piangendo. Merda. «Hai visto Monet come l’ha baciata? Hai visto Marco?!» la voce comincia a incrinarsi ma non per il dolore. È rabbia questa. Rabbia e paura ed esasperazione. «Hai visto come non lo ha perso di vista un secondo e poi, quando Izou si è rimesso seduto, come gli ha sorriso e gli ha sillabato “ti amo”?! Per poi versarsi del vino e ricominciare a conversare con Tiger?! Come se non fosse successo niente di grave! Lo hai visto, Sanji?!»
«Usopp…» mi afferra per le spalle e io indietreggio bruscamente per sottrarmi alla sua presa. Il mio gesto lo ferisce peggio di uno schiaffo. Inala rumorosamente e non riesce a muoversi.
«Perché non possiamo essere come loro?! Perché tu non puoi essere come loro, Sanji?! Io non ce la faccio più! Non ne posso più di essere solo il tuo coinquilino o… o… il tuo strano amico con un problema di omosessualità latente che ha una cotta per te e non lo sa! Sì! Sì, è questo che pensa certa gente quando ci vede! E io non ne posso più! Non ne posso più di sentire parlare di te come se fossi carne in vendita! Tu dovresti essere mio, io dovrei poter lottare per te, difendere il mio posto al tuo fianco!!!»
«Usopp io sono tuo!» alza appena il tono, ma solo per farsi sentire non per gridarmi contro, preoccupato e terrorizzato.  «Cosa ti prende?!»
E improvvisamente, con un ultimo respiro tremolante, sono di nuovo spaventosamente calmo. L’aria della sera secca rapida le lacrime sul mio volto.
«Mi prende che sono stanco, Sanji. Stanco di mentire agli altri, di mentire a me stesso. Io… non posso continuare…» 
«C… che stai dicendo?» muove un passo verso di me. Credo sia l’adrenalina a farlo reagire.
Ma in me non ce n’è traccia. C’è solo una sconsciuta, solida, inscalfibile determinazione.
«Che è finita Sanji»
Barcolla e per un momento ho paura che stia per collassare al suolo. Mi ci vuole tutta la mia forza di volontà, decuplicata come lo è stasera, per non cedere all’istinto di lanciarmi verso di lui e stringerlo tra le braccia per sostenerlo.
La consapevolezza di quello che ho appena detto mi colpisce in ritardo, quando mi rendo conto che non accadrà mai più. Non lo stringerò più tra le braccia, non mormorerò più il suo nome al suo orecchio, non mi sveglierò più con l’odore dei suoi pancake nel naso.
È finita. È finita e ormai non si torna indietro.
«Stai scherzando, vero?» la voce così bassa che quasi non lo sento, lui così agitato che quasi non lo riconosco. «È… È uno dei tuoi scherzi, vero?! Perché se è così puoi anche smetterla, ha smesso di essere divertente già da un pezzo!»
«Sanji…»
«Usopp no! Santo Roger, cosa… tu non… ti prego! Parliamone!»
Scuoto il capo con forza, irremovibile. «Non c’è più niente da dire» comincio a indietreggiare per andarmene. «Io… verrò a prendere la mia roba quando non ci sei. Ciao» lo saluto con il groppo in gola e gli volto le spalle.
«Usopp!»
Fa un tentativo di rincorrermi ma si ferma dopo un paio di passi, mentre io, calpestando senza pietà l’erba e i frammenti della nostra storia, giro l’angolo e non mi volto indietro.
 

 
§

 
«Nami!»
 Accelero l’andatura, quasi avessi il diavolo alle calcagna. E invece è solo Zoro.
«Nami dannazione!» lo sento ringhiare più vicino.
Porca miseria! Perché non si perde una volta che deve?! Io sono agile ma ho pur sempre dei tacchi svasati ai piedi!
«Nami!»
«Lasciami stare, Zoro!» gli urlo addosso da sopra la spalla, senza fermarmi.
Svolto nel corridoio che conduce all’atrio del Baratie ed è come la luce in fondo al tunnerl quando intravedo finalmente la porta d’ingresso, spalancata sul giardino. Faccio quasi per mettermi a correre che una stretta forte e decisa mi prende per il gomito. La frenata improvvisa mi manda quasi faccia a terra se l’altro braccio di Zoro non spuntasse fuori dal nulla per avvolgermi la vita e tenermi su, spingedo la mia schiena contro il suo torace.
Per una frazione di secondo non faccio nulla, stordita dal suo calore, ma poi mi ricordo come siamo arrivati a questo punto e sento il bisogno di divincolarmi come una volpe con una zampa nella tagliola. Per fortuna, lui mi lascia andare con molta più facilità.
«Che vuoi?!» mi giro ad affrontarlo, e lo frusto in volto con i miei capelli. Gli occhi mi bruciano di lacrime e frustrazione.
Non posso affrontarlo adesso, non lo sopporto. C’è già il lavoro che sta andando a rotoli, perché non posso vivere almeno questa illusione ancora un po’?
«Che voglio?» sgrana gli occhi incredulo, la voce più roca, come sempre succede quando è concitato per qualcosa. «Ti rendi conto di cos’è appena successo?!»
Chiede se me ne rendo conto, lui. Mi rendo conto che la mia reputazione è appena stata fatta a pezzi da un imbecille che non sa cosa sia un filtro del pensiero e sarebbe capace di provocare un conflitto mondiale con una sola frase malformulata?! Beh sì, sì tendenzialmente ne sono parecchio consapevole, grazie!
«Non voglio parlarne» taglio corto e mi giro di nuovo per andarmene. Eppure quando mi accorgo che non mi segue più, che è fermo alle mie spalle, i piedi piantati al suolo e sicuramente le braccia incrociate al petto, provo quasi l’impulso di fermarmi e chiedergli che gli prende, perché non mi segue più.
Impulso che ovviamente scaccio subito. Nulla mi impedirà di andarmene da qui seduta stant…
«Di cosa? Del fatto che non sapevi che Marco è gay o del fatto che lo sapevi benissimo e mi prendi in giro da settimane?»
Tranne, ovviamente, questo.
«Ti prendo in giro?» mormoro piano, indignata. «Pensi che abbia fatto tutto questo solo per te? Sei assolutamente…»
La sola e unica ragione per cui l’ho fatto. La sola e unica ragione per cui farei qualsiasi cosa.  
«…fuori strada, caro mio» lo fronteggio fiera.
Ma Zoro non si scompone. «Ci hai presi in giro tutti. Quindi anche me. E nemmeno capisco a che scopo»
«Ma tu che ne sai che non l’ho scoperto stasera?! Che io e Marco non stavamo insieme per davvero?!»
«Perché te l’ho letto in faccia Nami!»
Stringo le labbra, consapevole di non poter ribattere a questo. E di quanto sia ingiusto.
Non è giusto, non dopo tutto questo tempo, non dopo le scelte che ci hanno separati. Non dovrebbe più essere capace di leggermi così, dovrei avere la possibilità di mentirgli, di scegliere io cosa fargli sapere e cosa no.
«Perché lo hai fatto?» mi domanda ancora, più calmo e quasi stanco. «Perché ti sei inventata una storia del genere? Perché mi hai mentito?!»
«Dov’è Kuina?»
Sono colpita da quanta compostezza riesco a mantenere, forse perché ho parlato prima di rendermi conto di cosa stavo per dire. E dall’espressione di Zoro direi che nemmeno lui se l’aspettava, il che è idiota perché era solo questione di tempo prima che qualcuno glielo chiedesse.
«Scusa?»
«Visto che fai tanto il paladino della sincerità mancata, allora dimmi, Zoro. Dov’è Kuina?» ripeto, il tono più aggressivo. «Ormai manca una settimana al matrimonio e di lei non c’è traccia e non ti ho nemmeno sentito nominarla una sola volta quindi scusa tanto se sospetto che qui io non sono l’unica che non dice tutta la verità all’altro!»
Zoro mi guarda come se stessi parlando una lingua aliena, le sopracciglia corrugate e la bocca appena schiusa.
«E smettila di guardarmi come se non sapessi di cosa sto parlando!»
«Io non so di cosa stai parlando» afferma con tono calmo e allibito.
«Oh Zoro, fammi il piacere! Sei tornato da un mese e di lei ancora nessuna traccia! Allora, mi vuoi dire che fine ha fatto?! Cosa succede?! Perché fingi che non debba arrivare?!?»
«Perché non deve arrivare! Kuina è rimasta a Kuraigana e non ha nessuna intenzione di tornare!» alza la voce, esasperato.
Vacillo, presa in contropiede. «Come…» No. Non ha… non ha senso. «Ma tu hai detto ad Usopp… gli hai detto che arrivava tra pochi giorni…» Sono sicura. So cos’ho sentito.
«Usopp?» scuote appena il capo e ci mette qualche secondo per capire di cosa parlo ma poi ricorda. «Parlavo della Wado, Nami. Non ho potuto portarla con me perché volevano farmela stivare e ho dovuto chiedere a un amico che importa katane da Kuraigana e ha una licenza speciale. È la Wado che arriva tra pochi giorni. Lunedì per la precisione»
«La Wado?» ripeto meccanicamente. È come se il mio cervello sia stato bombardato da un milione di microbombe e non ci sia più nemmeno una sinapsi superstite in grado di fare un collegamento razionale. Qualcunque cosa di cui io sia mai stata convinta non è vera. Non so più cosa pensare.
Kuina non ha intenzione di tornare. È rimasta a Kuraigana e non ha intenzione di tornare e Zoro… lui…
Del tutto fuori luogo, il mio stomaco si esibisce in una piccola capriola.
«Vi siete lasciati?»
Zoro mi osserva impassibile, difficile dire cosa provi in questo momento ma mi rendo conto di essere stata del tutto priva di tatto. Vorrei scusarmi e cambiare argomento ma ho troppo bisogno di sapere. L’attesa rischia di uccidermi quando lui si prende il suo tempo per inalare un bel respiro.
«Sì, ci siamo lasciati» e quello che provo è il sentimento più contrastante che credo di aver mai sperimentato in tutta la mia vita. «Ci siamo lasciati tre anni fa, Nami»
E di nuovo tutto si sgretola e scompare dentro un acuto fischio che mi risuona nelle orecchie ed è probabilmente il suono del mio elettroencefalogramma piatto. Non sono sicura di aver capito bene.
«Tre an… Tre anni fa?» domando confusa. «Ma tre anni fa, voi…»
«Ci siamo lasciati un mese dopo il trasloco a Kuraigana. Non poteva funzionare, siamo rimasti grandi amici. È stata il mio punto di riferimento in questi tre anni ma niente di più. Non sarebbe potuta essere niente di più e io per lei. Si è sposata a inizio estate con un nostro compagno della scuola di kendo, la settimana prima che tornassi»
Lo fisso, esterreffatta. Ci sono un milione di cose che vorrei fare. Urlare di rabbia, saltare di gioia, battere i piedi a terra, piangere per la frustrazione, scoppiare a ridere istericamente. Ma tutto ciò riesco a fare è fissarlo, esterrefatta.
Perché non ha senso, non può avere senso. Questa non è la mia realtà, non è la realtà che conosco. Non può essere la stessa linea temporale perché se così fosse vorrebbe dire che in questi tre anni è successo di tutto, in questi tre anni Kuina e Zoro sono andati avanti con le loro vite, sono cresciuti, hanno preso decisioni, fatto progetti. E io sono rimasta ferma dov’ero, bloccata in un limbo di cui non mi ero nemmeno accorta. Ferma a tre anni fa, incapace di andare avanti.
Incapace di andare avanti senza di lui. Dio, quanto posso essere patetica?
«E perché non me lo hai mai detto?»
Non riesco a controllare la frustrazione e la delusione nella mia voce. Lo sguardo di Zoro si fa vitreo per un attimo.
«Dirtelo?»
C’è qualcosa nel modo in cui mi guarda ora, nel tono indignato, quasi ferito che usa, che mi fa sentire minuscola e mi fa venire voglia di rannicchiarmi. Ma io non sono così e rimango dritta come un fuso. «Sì! Avresti potuto avvisarmi che…»
«E perché mai avrei dovuto Nami? Tu mi hai lasciato» e non è una constatazione. È un’accusa ed è così vera che mi trapassa come se fosse una delle sue katane. «Mi hai lasciato, dalla sera alla mattina, mi hai detto di andare avanti e farmi la mia vita, mi hai talmente spinto a partire che ti mancava solo di comprarmi il biglietto!»
E ci avevo anche pensato, finché non ho visto i prezzi assurdi per un volo per Kuraigana.
Deglutisco a vuoto. «Noi non… stavamo insieme…»
«Oh e quindi non avevamo niente, vero?! Siccome non stavamo ufficialmente insieme, tra di noi non c’era nulla, non eravamo una coppia?! Non ero importante per te, vero?! Io, quello che avevamo! È sempre stato un gioco per te!»
«Cosa? No! No, non è così!»
Sento le lacrime ammassarsi nei miei occhi. Io non ho mai saputo… non immaginavo…
«Certo che eri importante, tu…»
Lo sei ancora. Lo sarai sempre.
«Così importante da spingermi senza pensarci due volte tra le braccia delle mia ex. Così importante da cancellarmi dalla tua vita con un colpo di spugna. Così importante da gettare via tutto quello che avevamo costruito. Beh ho fatto come volevi! E ora mi accusi di non averti avvisato che tra me e Kuina non ha funzionato?! Perché avrei dovuto?!»
“Tutto quello che avevamo costruito”. Ha detto davvero “tutto quello che avevamo costruito”.
Oh mio dio… Che cosa ho fatto…
Apro la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa prima che la finestra di tempo per i chiarimenti si chiuda del tutto. Ma cosa c’è davvero che potrei dire?
Scusarmi? Non farebbe più alcuna differenza.
Chiedergli di ritentare? Non funzionerebbe mai. 
Confessargli che lo amo? Sarebbe solo egoista.
L’ho perso. Ho gettato via tutto quello che avevamo costruito insieme e ora lui è andato avanti e io l’ho perso e non posso che incolpare me stessa di questo. Impotente osservo la finestra farsi sempre più piccola, strangolarmi e poi chiudersi con un definitivo tonfo che sento solo io.
Tremo così forte che non mi stupirei se da fuori si sentisse il cozzare delle mie ossa l’una sull’altra ma al pianto non ho intenzione di cedere, almeno non davanti a lui. Quindi devo andarmene, devo andarmene subito. Se solo riuscissi a muovermi!
«Nami? Tutto a posto?»
Sobbalzo quasi spaventata quando la voce di Marco spezza l’incantesimo. Appare alle spalle di Zoro, l’espressione corrucciata. Zoro si gira a fulminarlo ma Marco sostiene il suo sguardo senza fare una piega e avanza deciso verso di me.
So che è sbagliato e meschino da parte mia, dopo tutto quello che è appena successo, ma ho bisogno di un supporto e così mi appoggio con un palmo al suo petto e gli permetto di posare le mani sui miei fianchi. «Sto bene, solo… voglio andare a casa» sussurro, attenta a non incrociare lo sguardo di Zoro.
«Marco-chaaaaaaan!»
Tutti e tre puntiamo di nuovo gli occhi al fondo del corridoio, dove Izou compare saltellando. Si immobilizza e il sorriso gli scivola via dalla faccia quando vede la mia espressione distrutta. «È successo qualcosa?» domanda, mortalmente serio, la voce più profonda che gli abbia mai sentito.
«No» Marco scuote prontamente il capo. «Stiamo solo per andare a casa»
Izou rimane immobile ancora una manciata di secondi, sposta gli occhi da noi a Zoro e di nuovo a noi, puntandoli poi in quelli di Marco. «Andiamo» annuisce deciso.
Non so come faccio a raggiungere l’esterno con le gambe che mi tremano così. Sono piuttosto certa che Marco e Izou ai miei lati, come due guardie del corpo, centrino qualcosa. Una folata di tiepida brezza mi investe e rigenera per quanto possibile.
Faccio un profondo respiro e mi rendo conto di che senso di nausea mi attanaglia lo stomaco, ma lo ingoro e continuo a camminare verso il vialetto che porta al parcheggio, finché non mi accorgo di una figura famigliare, seduta su una delle panche, sotto una fila di luci pendenti. Ha il busto piegato in avanti e il viso immerso in una mano.
«Usopp?» lo chiamo, agitata.
Solleva il capo di scatto e, anche se non sta piangendo e ha solo le guance lievemente lucide, mi basta un’occhiata per sapere che è devastato. Cos’è successo?
«Nami! Qualcosa non va?» scatta subito in piedi quando vede la mia di espressione, preoccupato per me.
Tentenno e faccio appello a tutte le mie forze per resistere ma è inutile. Mi ritrovo aggrappata al suo collo, preda di una crisi di pianto che soffoco in qualche modo contro la sua spalla, mentre lui mi accarezza i capelli e mi sussurra rassicurante all’orecchio.
Sono una persona orribile. Non gli ho nemmeno chiesto cosa sia successo a lui, anche se è palese che qualcosa è successo e qualcosa di grave anche, e gli riverso pure addosso i miei problemi. Sono la peggior migliore amica del mondo.
Mi rendo conto di essermi calmata solo perché Usopp si azzarda a staccarsi appena da me, quel tanto che basta per guardarmi in faccia. Mi studia per un attimo, il volto contratto in una smorfia di dolore che non ha niente a che fare con me. «Andiamo a casa?» mi propone e io sto per annuire quando un rumore di tacchi di qualcuno che cammina molto veloce, quasi corre, attira l’attenzione di tutti e quattro.
Ci voltiamo in tempo per vederla spuntare da dietro uno dei cedri. Si immobilizza e ci fissa con il fiato sospeso, il tempo di riconoscerci. Ha le guance in fiamme, le labbra gonfie, il trucco sciolto sotto gli occhi.
È un disastro.
Per tutti i Kami, cosa sta succedendo stasera?!?!
«Koala…» Izou la chiama cauto, avanzando di un passo nella sua direzione e le serve solo un altro decimo di secono per rompere gli indugi e correre verso di lui.
Si getta tra le sue braccia e Izou la stringe, scioccato e spaesato.
«Cos’è successo?» le chiede in un sussurro ma lei scuote il capo, le palpebre serrate per trattenere una nuova ondata di lacrime.
«Andiamo a casa» si limita a mormorare contro la sua spalla. Izou la rimette a terra e lei si gira a guardarci prima di ripetere, il groppo in gola: «Andiamo a casa».
  

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Due anni fa, per finire uno dei primi grossi progetti che ci avevano affidato, grazie alle ridicole tempistiche di Iva, io, Nami e Usopp stavamo lavorando qui a casa mia e di Nami, quando ci siamo beccati tutti e tre l’influenza che quell’anno picchiava più duro del solito.
Sanji aveva appena avviato il catering e si era accapparato un servizio che avrebbe potuto decretare il successo o il fallimento dell’impresa e non poteva assolutamente rischiare di ammalarsi, così eravamo rimasti qui tutti e tre, in quarantena per una lunga settimana, cercando di lavorare lo stesso tra un colpo di tosse e una soffiata di naso.
Pareva di stare in un lazzaretto e entro la fine di suddetta settimana sembrava fosso scoppiata una bomba dal disordine che c’era.
Negli ultimi due giorni nessuno di noi ha avuto la febbre. Negli ultimi due giorni non abbiamo neppure provato a farci neanche del riso in bianco come quella volta, quindi nessuno di noi ha sporcato stoviglie che poi non ha pulito. Eppure questa casa sembra molto peggio di un lazzaretto e noi molto più che malati.
Siamo distrutti, Usopp più di tutti.
«Si è portato qui anche Ryuunosuke» spiego, al telefono con Robin che risponde con un pacato “m-mh” ma so benissimo che ha colto la gravità della situazione che questo apparentemente superficiale dettaglio convoglia.
Non è la prima volta che Usopp e Sanji hanno un litigio pesante. Non è la prima volta che Usopp si presenta alla porta del nostro appartamento con un borsone e gli occhi da cucciolo bastonato. Ma se abbiamo sempre saputo che non era poi così grave, che il trasferimento era solo una tattica per sfuggire alla tensione e non una scelta definitiva era precisamente per lui, Ryuunosuke.
E il fatto che ieri, mentre Sanji non c’era, abbia deciso di portarsi via da casa loro, insieme al resto della sua roba, anche Ryuunosuke, la dice fin troppo lunga su quanto sia effettivamente grave questa rottura.
«Mikan e Nekozaemon come l’hanno presa?»  
«Mikan gli ha soffiato contro, Nekozaemon gli ha dato due zampate per convincerlo a giocare ma sai com’è, è un’inguana. Quando ha capito che era inutile è venuto a chiedere da mangiare. Tutto nella norma insomma»
La ascolto ridere sommessamente e un sorriso tirato riesce a fare capolino anche sulle mie labbra, ma è destinato ad avere vita breve. «E tu come stai?»
Mi irrigidisco. Io come sto.
Vediamo, nell’ultimo giorno e mezzo ho mangiato solo una ciotola di cereali, pianto tutte le mie lacrime, accumulato una quantità di kleenex che riciclati potrebbero salvare la foresta pluviale, pensato di chiamare Law per scusarmi per essere sparita venerdì sera, pensato di chiamare Law per fare quattro chiacchiere, guardato sette diverse commedie romantiche e pianto per il finale di tutte, pensato di chiamare Law per dirgli che… provo qualcosa per lui, pensato di chiamare Law per dirgli che sì, sì sposare Bibi è un errore.
«Bene! Insomma sai sono ancora un po’… scossa, ma ci sto lavorando. Sento che sono già a buon punto per… superarla. Insomma dopotutto non è nulla di serio, è solo… solo… e-e-e tu cosa mi racconti?»
Riesco a vederla con l’occhio della mente arcuare entrambe le sopracciglia. Cosa potrebbe mai raccontarmi? A parte come sta Sabo, ovviamente. Se non è venuta qui da noi è perché è stata ed è tutt’ora troppo presa con lui, lo so con certezza, e né io né Nami ci sogneremmo mai di risentirci per questo.
Noi saremo anche tutti e tre pesti ma ci siamo l’uno per l’altro. Sabo, di contro, non può certo confessare la propria situazione ai suoi fratelli e con me fuori gioco gli resta solo Robin.
Ma anche se servirebbe a dirottare il discorso, non voglio chiederle di Sabo. La sua situazione è così simile alla mia, parlare di lui, significherebbe parlare di Bibi e del matrimonio e di Law e… il-il solo pensiero…
«Ti racconto che devo andare. Mi spiace tesoro, io…»
«No!» la interrompo, dominando a stento la voce. «Vai tranquilla, davvero. Anche io dovevo staccare tanto» riesco a dire prima di sentire l’impellente necessità di mandare giù il groppo in gola mentre mi asciugo una solitaria lacrima.
«Ci sentiamo presto allora»
«A presto, Robin. Ti voglio bene» chiudo la telefonata e abbasso gli occhi sul monitor del telefonino, più per abitudine che per sincero interesse a controllare eventuali messaggi.
Se non che qualcosa effettivamente attira la mia attenzione. Il simbolo di una chiamata persa nell’angolo in alto a destra. Abbasso la tendina e il cuore mi perde un battito. Di nuovo.
Non è una chiamata, sono tre. Tutte di Law. E con le cinque di ieri fanno otto in neanche due giorni e la cosa mi sta rendendo davvero difficile resistere all’impulso di richiamarlo e dirgli ogni cosa, dirgli perché me ne sono andata, dirgli che non voglio che parta, che non voglio che si sposi, dirgli che…
No!
No Koala, no. Non fare stronzate.
Chiudo gli occhi e prendo un profondo respiro mentre, senza neanche guardare, cancello le notifiche.
«So che lei si comporta come se fosse tutto okay ma andiamo! Chi vuole prendere in giro? Anche se sorride in modo convincente non c’è modo che io ci caschi e mi convinca che è solo un’infatuazione!»
La voce di Izou dal salotto mi raggiunge fino in cucina. Lui e Marco sono arrivati senza avvisare, due ore fa, a metà mattina, tipo esercito della salvezza, con mezza videoteca e una scorta di Häagen Dazs tale per cui se dovesse esserci un’invasione zombie potremmo tranquillamente barricarci in casa e resisteremmo per settimane, senza alcun bisogno di avventurarci fuori per procacciarci del cibo. 
Può sembrare invadente detta così ma la verità è che siamo loro grati come non mai. Per essere preoccupati per noi, per averci comunque concesso tutto ieri per elaborare i nostri lutti, per averci portato il solo genere di cibo – quello spazzatura – in grado di stimolare almeno un po’ il nostro appetito, per non avere palesemente alcuna intenzione di levare le tende prima di sera.
Per essere due veri amici, insomma.
«No, cari miei, con me non attacca. Quanto è vero che sono gay, Koala è perdutamente inn…»  
«Non t’azzardare!» tuono, sulla porta della sala che non mi ero nemmeno accorta di aver raggiunto, in fretta e furia. «Non dire la parola con la “I”! E nemmeno quella con la “A”! Perché non è così, chiaro?!» prendo un profondo respiro e li fronteggio tutti e quattro, fronteggio le loro occhiate. Tutti scettici. Persino Marco che ha la solita maschera di calma, persino Usopp con gli occhi gonfi come una rana per il troppo piangere riescono ad apparire scettici.
Dio, quanto sono patetica!
«Io…» comincio con voce tremante e vagamente isterica ma convinta. «…provo qualcosa per Law. Qualcosa di molto, molto forte ma…» sollevo l’indice in un gesto autoritario. «…non è assolutamente la parola con la “A”. Assolutamente! Okay?!»
Continuano a fissarmi senza dire niente.
«Vi ho chiesto se è okay?!» sbraito e finalmente si decidono ad annuire. Espiro rumorosamente dal naso e proprio in quel momento, qualcuno suona il nostro campanello. «Bene»annuisco anche io, soddisfatta, e mi liscio la canottiera sull’addome a palmi pieni prima di dirigermi decisa alla porta, per aprire all’inatteso ospite.
Ma fatti due passi verso l’ingresso mi immobilizzo, atterita. Perché potrebbe essere lui. E non perché sono paranoica e in piena privazione di sonno ma perché è assolutamente verosimile. Non sarebbe affatto la prima volta che uno dei due si precipita a casa dell’altro per colpa di un paio di chiamate perse e qui sono anche ben lungi dall’essere solo un paio.
Non ci sarebbe niente di strano se dopo otto tentativi a vuoto Law si fosse precipitato qui e il solo pensiero che non sarebbe affatto strano mi fa acellerare i battiti, mi provoca una piacevole sensazione di calore come quando ti accorgi di quanto qualcuno tiene a te e mi terrorrizza a morte.
Non sono pronta. Non sono ancora pronta per affrontarlo, non ho ancora pienamente metabolizzato che… che provo qualcosa per lui che non è affatto la parola con la “A”, figuriamoci se posso essere in grado di parlarci o anche solo guardarlo in faccia. Stare nella stessa stanza con lui. Respirare la sua stessa aria.
No, non ce la faccio.
Una mano si posa sulla mia spalla. In iperventilazione, stacco gli occhi sgranati dalla porta e li poso su Nami che ha raggiunto il mio fianco e mi guarda con un misto di affetto e determinazione.
«Apro io» mi dice e ci metto un paio di secondi a reagire con un cenno del capo, prima di rifugiarmi in fretta in salotto.
Se dovesse essere lui, non uscirò da questa stanza e non permetterò agli altri di uscire. Non resterò sola con lui, non oggi, costi quel che costi.
Chiudo gli occhi, pronta alla valanga che mi cadrà dritta in testa quando sentirò la sua voce. Ma quello che sento invece distintamente, dopo il click della serratura, è Nami che trattiene il fiato sconvolta. Riapro gli occhi di scatto.
«Cosa ci fai qui?» chiede piano Nami, dopo un lungo attimo di silenzio, la voce tremante, con una punta di colpa e una punta di speranza.
Io e Izou ci scambiamo un’occhiata allarmata.
«Sto cercando Usopp» risponde una voce nota dal pianerottolo.
Zoro.
In modalità gestione crisi, mi riprecipito all’ingresso e mi affretto a prendere il posto di Nami, che rimane immobile dietro di me ancora alcuni istanti, prima di allontanarsi con passo quasi robotico e tornare in salotto.
«Ehi, Zoro! Ciao!»
«Ciao Koala. Usopp è qui?»
Socchiudo gli occhi e lo studio un attimo, la postura rigida e lievemente ingobbita, il viso tirato, le occhiaie marcate, un velo di barba sulle guance. A quanto pare si è appena aggiunto un nuovo membro all’esercito dei devastati.
Titubo un istante e lancio un’occhiata sopra la mia spalla, verso Nami che, rannicchiata sulla poltrona concava, fissa testarda Ryuunosuke dentro il suo terrario. Ho la sensazione che questi due si stiano macerando l’anima per colpa di un enorme malinteso e che abbiano nove possibilità su dieci di risolvere tutto con una semplice chiacchierata, che è esattamente il contrario della situazione in cui ci troviamo invece io e Usopp, e mi domando se si rendono conto di quanto sarebbe semplice e di che coppia di idioti sono. Ma non so nel dettaglio cosa sia successo tra loro, a parte che hanno litigato, e sono veramente l’ultima persona al mondo che può dare dell’idiota a qualcuno in faccende di cuore perciò…
Tuttavia, questa è pur sempre anche casa mia, Zoro sta cercando un amico e non sta meglio di Nami, perciò, anche se moralmente sono al cento per cento con lei, non ho intenzione di lasciarlo qui sul pianerottolo.
«Sì, è qui. Entra pure» lo invito, scostandomi per farlo passare.
Zoro ciondola da un piede all’altro poi ficca le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta e varca la soglia di casa come se fosse il passaggio per un’altra dimensione. Pare quasi sollevato quando si accorge di essere ancora tutto intero e che nessuno gli ha sparato e mi precede di poco verso il salotto.
Non mi sfugge come si irrigidisce quando vede Marco, né l’occhiata di fuoco che gli lancia e che lui ricambia con apparente disinteresse. «Ciao ragazzi» si decide poi a salutare con un cenno del capo.
«Ehi Zoro. Tutto bene, amico? Successo qualcosa?» s’informa Usopp, balzando in piedi. Avanza verso di noi ed è a circa metà salotto quando Zoro gli risponde: «Tutto bene. È Sanji che è messo male»
Usopp si immobilizza, l’espressione tra il terrorizzato e lo sconvolto. Persino Nami stacca gli occhi dal terrario per girarli su Zoro, imitata da me. Per un attimo provo il forte impulso di prenderlo e ribaltarlo al suolo. Come gli è venuto in mente?! Come si permette?!
Ma poi mi ricordo che Zoro non sa e che, se anche sapesse, è Usopp che ha lasciato Sanji, anche se per delle ottime ragioni.  
«Non sappiamo cosa sia successo» continua Zoro, apparentemente ignaro delle nostre espressioni. «Ieri sera Chopper è venuto da voi per parlare con te, dice che non rispondevi al telefono e ha trovato Sanji in condizioni pietose. Io e Rufy ci siamo precipitati e abbiamo dormito tutti e tre a casa vostra ma non siamo riusciti a farlo reagire o tirargli fuori il problema. Tu sei sempre riuscito a farlo parlare e credo sia più grave di quanto immaginiamo. Non c’è stato verso di farlo mangiare e soprattutto di farlo cucinare. Non si è messo ai fornelli nemmeno per Ch…»
Zoro si zittisce di colpo e sgrana gli occhi, incredulo. C’è un solo modo per descrivere quanto appena successo. Un attimo prima Usopp era al centro del salotto, l’attimo dopo non c’era più. Non fosse che un paio di fogli sono sfuggiti fuori dal blocco da disegno che aveva in mano e stanno ancora svolazzando a mezz’aria, penserei  che non è mai stato qui e che siamo vittime di un’allucinazione di gruppo. Lancio un’occhiata verso il davanzale per controllare che ci siano effettivamente terrario e Ryuunosuke, giusto per levarmi qualsiasi dubbio.
«Usopp!» lo chiama Nami, seguendolo di gran carriera, non senza un’occhiata assassina a Zoro.
Faccio appello a tutto il mio autocontrollo per riuscire a trattenermi giusto il tempo di chiedere a Izou se può per favore offrire qualcosa a Zoro, prima di schizzare a mia volta all’inseguimento. Raggiungo la camera di Nami – dove Usopp ha depositato le sue cose – in quattro falcate – siamo pur sempre due ragazze di non ancora trent’anni che vivono insieme, università style. La casa è ovviamente piccola – e mi fermo sulla soglia. Io e Nami ci scambiamo una sconsolata occhiata e avanziamo decise verso Usopp che, mani tremanti e respiro affannato, sta racattando alla meno peggio vestiti e cianfrusaglie di vario genere e cerca di ficcare tutto in un unico borsone, contro ogni evidente legge fisica riguardante il volume e la forma dei solidi.
«Usopp»
«Cosa stai facendo?»
«Ragazze scusate, è stato… è stato stupido venire qui, mi sono fatto prendere dalla foga come sempre, io…» si gira a guardarci con un sorriso che non imbroglierebbe un cieco. Okay, un sorriso che potrebbe imbrogliare persino mio padre ma che non attacca con noi due. «Sì, lo so. Prima pensa poi agisci. Eh!» si stringe nelle spalle, le braccia piegate, i palmi verso l’alto, e lancia un’occhiata al soffitto, troppo teatrale. «Sono colpevole di troppa impulsività, lo ammetto, che ci volete fare? Le persone creative agiscono d’istinto, sono due cose che vanno a bracc… che… che fai, Nami?» si innervosisce quando Nami lo raggiunge e posa decisa le mani sulle sue spalle per detenerlo da ciò che sta facendo.
«Usopp, no» mormora serissima, mentre anche io mi accosto e gli sfilo con delicatezza il borsone dalla mano. Si gira terrorizzato verso di me e io gli lancio un’occhiata mortificata ma ferma. Non può tornare a casa ora, non in queste condizioni.
Odio intromettermi a questo modo ma ieri ce lo ha fatto promettere e posso giurare, in tanti anni di amicizia, non lo avevo mai visto così lucido e padrone di se stesso. Ci ha fatto promettere di fermarlo se avesse cercato di tornare da Sanji in preda ad un attacco di panico, che è precisamente quello che sta succedendo.
«Hai portato via anche Ryuunosuke» gli ricordo e solo dirlo ad alta voce mi stringe il cuore e lo stomaco. Mi accorgo dalla sua espressione che è lo stesso anche per lui.
«S-sì è vero ma… ma… andiamo ragazze!» ci riprova, stirando ancora di più le labbra, gli occhi che implorano. «Io voglio solo… S-Sanji, lui… lui…»
«Lo sappiamo» annuisco piano e Nami aumenta la presa sulle sue spalle. «Usopp non puoi cedere così. Adesso sei spaventato e sei preoccupato per lui ma… non puoi ricominciare a vivere a quel modo, lo sai anche tu che non puoi. Non è sano» insiste Nami e io osservo quasi con orrore l’espressione di Usopp che cambia.
Perché Nami ha ragione e Usopp lo sa, così come lo so io. Non era sano per lui e questo non cambierà magicamente solo perché Sanji ha bisogno di lui e lui vuole disperatamente stargli accanto.
No, le cose non diventano giuste quando sono intrinsecamente sbagliate solo perché si vuole disperatamente stare accanto a una persona. Rimangono sbagliate. Continuano a essere cose di cui bisogna liberarsi. Anche se è intollerabile, anche se fa paura, anche se il solo pensiero ti toglie il sonno e l’appetito, prende il tuo intero mondo e lo mette a soqquadro, ti soffoca.
«Ma…» Usopp tenta un’ultima debole protesta, sposta lo sguardo da Nami a me, a Nami, sconfitto e tira su con il naso mentre i suoi occhi si fanno sempre più lucidi. «Mi manca...» riesce a sussurrare con la gola annodata.
Io e Nami deglutiamo a vuoto prima di annullare la distanza e stringerlo in un abbraccio a tre. Infilo il capo nell’incavo del suo collo e stringo la sua maglietta sulla schiena. Mi viene da piangere.
Perché anche a me manca. Dio, quanto mi manca.
«A-ehm, scusate se interrompo il momento threesome, non è da me, di solito starei ad assistere con estremo interesse ma mi serve la rossa un momento»
«Che vuoi, Izou?» mugugna Nami, senza staccarsi da Usopp.
«Potresti venire a mettere il guinziaglio al tuo uomo? Fissa Marco in un modo che non mi piace neanche un po’»
Nami si fa rigida come un tronco alla menzione del “suo uomo” e anche senza vederla sappiamo che ha sgranato gli occhi e fissa un punto nel vuoto mentre, dentro la sua testa, un esercito di caccia sta sganciando bombe senza posa. Lentamente, sciogliamo l’intreccio dei nostri arti e facciamo un passo indietro per poterla guardare.
Il disastro adesso è lei e Usopp torna prontamente in sé, le passa una mano intorno alle spalle e le mormora un “Andiamo”. Perché anche lui, come Izou e come me e come d’altra parte persino Nami stessa, sappiamo tutti che l’unica in grado di gestire Zoro è proprio lei. Con un sospiro rassegnato si fa guidare da Usopp, mugugnando qualcosa su quanto gli costerà il suo intervento per evitargli il carcere per omicidio.
Izou non si muove finché non esco a mia volta dalla camera e, con mio lieve stupore, mi affianca. Viste le pericolose condizioni in cui Marco sembra versare al momento, pensavo si sarebbe precipitato a controllare ma invece si adatta al mio passo e, in rigoroso silenzio, mi segue in cucina e si siede al tavolo con me, fissandomi senza dire nulla.
Per un po’ cerco di non farci caso, grattando con l’unghia la tovaglia di tela cerata.
È già abbastanza difficile così, scendere a patti con la realtà di aver perso il mio punto di riferimento, la prima persona a cui penso quando mi sveglio, la voce che voglio sentire quando rispondo al telefono, il volto capace di migliorarmi la giornata e farmi sentire come se nulla, mai, potrebbe andare storto. Averlo perso perché sono stata troppo cieca, per aver negato, per negare ancora quanto io sia follemente, pazzamente, irrimediabilmente inn…
«Se continui così rischi di trasformare quella povera foglia in un trasferello»
Mi fermo e alzo gli occhi su di lui, che mi guarda con una tale serietà e preoccupazione da lasciarmi a bocca aperta e, stavolta, la mia sorpresa non ha nulla di ironico. È pura, sincera, piena. Non ha intenzione di attaccarmi nessuna menata. Non ha intenzione di obbligarmi a parlare. È disposto, se necessario, a stare seduto qui in assoluto silenzio per tutto il tempo che io vorrò, al solo scopo di non lasciarmi sola.
«Sai, forse dopotutto non sono poi così contraria a quelle lezioni di autoerotismo» provo a scherzare con un sorriso forzato che lui ricambia, con troppo affetto e troppa malinconia. Così tante che con orrore sento gli occhi riempirsi di lacrime.
Ma lui continua a sorridere imperterrito e io non posso più ignorarlo.
Non posso ignorare la sua pregnante presenza, il suo fermo intento a guardarmi le spalle, a prendere il posto di qualcuno che sa che non potrà mai davvero sostituire, solo per me, per il mio benessere. Non posso ignorare questa sensazione come di un pallone che si gonfia al centro del mio petto fino a rischiare di farmi esplodere se non lo faccio prima esplodere io. 
Chiudo gli occhi e scuoto appena il capo. «Mi sento così stupida, Izou!» deglutisco pesantemente e ricaccio indietro le lacrime come meglio posso. «Non so nemmeno da quanto, io…» sbuffo una risata per niente divertita. «Non ho mai avuto una relazione stabile, neppure al liceo ho mai avuto un ragazzo per più di due settimane e sai perché?»
«Perché sei lesbica» risponde come se fosse ovvio.
«Ma che stai dicendo?!»
Si acciglia perplesso. «Sembrava sensato»
«Perché c’era lui! Tutti i ragazzi che ho avuto sono stati sempre e solo occasionali perché al di là dell’attrazione fisica non trovavo mai niente perché nessuno, nessuno poteva reggere il confronto con lui. Lui è stato la mia relazione stabile per tutti questi anni, è sempre stato tutto quello di cui avevo bisogno e dopo aver vissuto nell’ignoranza per tre lustri me ne accorgo ora che ormai sono completamente presa e lui sta per sposare un’altra?! Quanto posso essere stupida!» ormai sono un fiume in piena. Però mi sta facendo bene, cavolo perché non l’ho fatto prima?! «Se me ne fossi accorta, se non fossi stata così cieca, se non mi fossi ripetuta mille volte che non importava quanto mi attraesse perché era il mio migliore amico e con il proprio migliore amico non si può forse mi sarei accorta prima! Avrei potuto fare qualcosa, provare a conquistarlo quando potevo o frenarmi prima che diventasse a…»
Ammutolisco quando la mano di Izou si posa sulla mia. «Non fartene una colpa» mi ammonisce serio. «Non è qualcosa che puoi davvero controllare, non illuderti che se te ne fossi resa conto ti saresti potuta salvare. Non lo decidi tu, succede e basta. E poi, siamo sinceri…» sono così basita da quello che ho appena sentito che non la vedo proprio arrivare, la stronzata priva di tatto, vera per carità, ma decisamente fuori luogo al momento se il suo obbiettivo è consolarmi. «…chi potrebbe mai resistere a quei tatuaggi?»
Ecco appunto. Mi porto una mano allo stomaco che comincia a sfarfallare con violenza.
«Izou…» lo chiamo con aria miserabile.
«…uno studio anatomico prima di farli perché seguono precisi la linea dei muscoli, sono una cosa…»
«Izou»
«E quel cuore poi! Quando si è sfilato la maglietta il giorno che abbiamo fatto il bagno in pisc…»
«Izou!» alzo la voce. «Per favore!»
 Santo cielo, l’ultima cosa che mi serve ora è pensare a questo! E per un momento mi illudo che abbia capito, che ora preferirei un po’ di silenzio, magari una coppa di Häagen Dazs e uno dei film che hanno portato ma si tratta, appunto, di un’illusione.
«Anche Marco ha un tatuaggio sulla schiena» riprende, posando il mento sulla mano, con espressione sognante. «E sai che stavo pensando di farmene uno anche io? Tra l’inguine e l’addome, ma sono indeciso sul soggetto. Che poi mi sono sempre chiesto, fa tanto male?»
«Beh…» comincio, tornando a grattare con l’unghia una delle foglie disegnat sulla tovaglia. «Dipende dalla zona dove lo fai. La schiena non è nemmeno così terribile» ritrovo un po’ di vitalità. Dopotutto parlare di tatuaggi in modo generico non è male, mi aiuta a tenere la testa impegnata. «Ma se non sei sicuro del soggetto ti consiglio di fare una prova prima a henné. È una spesa in più e non puoi bagnarlo per ventiquattro ore ma io per il mio sole l’ho fatto. Volevo essere convinta e con l’henné se vedi che non ti piace puoi tranquillamente… toglierlo…» la mia voce si riduce a un sussurro quando un pensiero mi attraversa la mente, chiaro e nitido come un’immagine ad alta risoluzione. «Oh mio dio…»
Oh mio dio.
Oh.
Mio.
Dio!
Ho trovato! So cosa fare! So cosa fare, ho un’idea!
«Ommioddio, Izou…» lo guardo e lui mi riguarda di rimando con una punta di panico quando la mia espressione vira dallo sconvolto al felice.
Non è tutto perduto.
«Che ti prende?» domanda Izou, guardando dietro di sé probabilmente per studiare la distanza che lo separa dalla porta della cucina. Sobbalza quando mi alzo dalla sedia.
«So cosa fare. So cosa fare! Io… tu… io ti amo!» esclamo, afferrando il suo viso a due mani per stampargli un bacio in fronte.
Scioccato, rimane pietrificato sulla sedia a fissarmi ma io sono troppo esaltata per stare ferma.
«Koala io sono gay, te lo ricordi vero?»
Non gli rispondo nemmeno, al momento la mia testa è da tutt’altra parte. Perché non è finita, non ancora!
«Koala!»
«Ragazzi!» chiamo, precipitandomi verso il salotto.
Dobbiamo darci una mossa, non c’è un minuto da perdere.
«Ragazzi, dobbiamo andare in ufficio! Subito!»
 

 
§

 
«Fortuna che Marco ha sempre le chiavi del reparto stampanti!» esclama Usopp, sopra i quattro tonfi sgraziati delle portiere della Phoenix blu che si chiudono.
«Oh sì. Una vera fortuna. Altrimenti non saremmo potuti andare al lavoro anche di domenica» commenta Izou, tornato bruscamente alla modalità acida, complice anche il fatto che lo abbiamo costretto a sedersi dietro in mezzo.
D’altra parte, serviva qualcuno a fare da separatore. Koala e Usopp con il portatile e io con la tavoletta grafica, ci saremmo presi a gomitate se ci fossimo messi tutti vicini.
«Grazie per esserti offerto di accompagnarci» mormoro, posando una mano sul braccio di Marco, che sta mettendo in moto.
Un ringhio sommesso mi raggiunge dal sedile posteriore. E non è Izou, ne sono certa.  
«Usopp, controlla le statistiche che ti ho chiesto, ho bisogno di capire il target preciso a cui possiamo rivolgerci. Io do un’occhiata alle campagne in campo di abbigliamento degli ultimi sette anni dell’azienda. Nami tu continua a disegnare» snocciola Koala, con quel suo tuono che non ha nulla di autoritario ma è così convincente e organizzato che non si può non darle retta o contraddirla. E d’altra parte, nessuno di noi ci sognerebbe di farlo dal momento che è pronta ad esporsi in prima persona, in qualità di capo del team, in un progetto privo di alcun fondamento, studio statistico o analisi preventiva.
«Potresti aver salvato l’azienda» le dico, lanciadole un’occhiata da sopra la spalla.
Stacca per un attimo solo gli occhi dal monitor, il tempo di ricambiare il mio sorriso. «O potrei avere inventato l’oggetto più inutile mai visto. Ma pensiamoci quando sarà il momento»
«Ragazzi, vorrei solo dire che non mi sembra molto saggio che io viaggi senza la cintura» Usopp afferra a due mani il proprio portatile quando Marco sterza bruscamente in retromarcia, facendo sobbalzare tutta l’auto. «Oltretutto se ci trovano in sei su una macchina omologata per cinque ci fanno la multa» continua ad argomentare con voce instabile, un attimo prima che Marco imbocchi una curva con guida piuttosto sportiva.
«Usopp concentrati» mormora Koala, continuando a smanettare alla velocità della luce.
«Io non tiro fuori un centesimo» metto in chiaro, staccando un attimo gli occhi dai bozzetti per lanciare un’occhiata omicida nello specchietto retrovisore. «Che per me poteva anche starsene a casa…» indico con il pollice Zoro, seduto dietro di me e con Usopp sulle gambe.
«Quindi adesso posso stare a casa?! Questo sì che è un cambiamento inaspettato» fa scattare i denti lui.
«Zoro…» lo chiama Usopp con voce flebile. «Per favore non dire a nessuno che mi hai tenuto in braccio. Soprattutto a Sanji»      
«Poi mi spiegherai perché hai detto a me di fare silenzio e loro possono parlare quanto vogliono eh!» Izou si lamenta con Koala ma lei non fa in tempo a rispondere – e probabilmente non ce l’aveva nemmeno in programma – che Marco inchioda a un rosso e ci catapulta tutti in avanti, riuscendo  nella miracoloso impresa di zittirci.
«Scusate» si limita a mormorare, asciutto e, per il resto del tragitto, nessuno aggiunge più niente.
Sono così concentrata su quel che sto facendo che nemmeno so come mi ritrovo al reparto stampanti della Ivankov&Co., la mia tavoletta grafica collegata al portatile di Usopp, collegato alla stampante che Izou sta impostando con mani esperte, sotto gli occhi attenti di noi tutti che attendiamo di scoprire se Koala ci ha, ancora una volta, salvato il sedere.
L’attesa è interminabile quando la stampante comincia a vibrare, con tale violenza da farmi temere che quella stupida stoffa ne uscirà a brandelli. Mi mordo il labbro inferiore, beccheggiando su punte e talloni. Quasi non mi accorgo che Marco e Zoro sono alle mie spalle, uno accanto all’altro, entrambi a braccia conserte.
Ma mi accorgo invece subito di Zoro che si schiarisce la gola, perché persino il suo respiro per me è inconfondible.
«Perciò… questo è il tuo lavoro?» domanda e io lo guardo con la coda dell’occhio, curiosa all’inizio e sopresa poi, quando mi accorgo che sta parlando con Marco, in palese sarcastico riferimento al fatto che negli ultimi dieci minuti non abbiamo fatto che fissare una gigantesca macchina nera che sembra fare tutto da sola una volta schiacciati i tasti giusti.
«Una cosa del genere»
«Mh» mugugna a labbra strette. Mi porto una ciocca dietro l’orecchio, un po’ nervosa. «Sicuramente è ricco di aspettative»
Giro rapida lo sguardo verso Marco, sempre con discrezione, e qualcosa di caldo si scioglie nel mio petto quando mi accorgo che entrambi stanno ghignando divertiti.
«Puoi giurarci, amico» conferma Marco e Zoro si concede di sbuffare una mezza risata, che quasi fa scoppiare a ridere anche me per il sollievo e la famigliarità che questo breve scambio di battute è riuscito a suscitare, se non che la stampante si mette a fischiare, annunciando finalmente la fine del processo di stampa, per poi emettere con lentezza esasperante il quadrato di stoffa che abbiamo recuperato per quest’ultimo disperato tentativo.
Uno più teso dell’altro, ci ammassiamo più vicini al grosso macchinario e osserviamo il frutto del nostro lavoro venire lentamente alla luce. Per un attimo nessuno di noi riesce a dire niente, finché Usopp non emette un suono che assomiglia parecchio a un singhiozzo trattenuto.
«Koala…» la chiamo, cercando a tentoni la sua mano perché non riesco a staccare gli occhi dal vassoio della stampante. Per tutta risposta, lei me la stringe con la propria, espirando un sospiro di sollievo.
«Ragazzi» mormora, girandosi lentamente a guardarci con un sorriso splendente e un che di solenne nel tono. «Sarà meglio munirci di caffè. Abbiamo un progetto da preparare entro domattina» 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Prospettiva.
È tutta questione di prospettiva, Koala. Dare alle cose la giusta importanza, posizionare l’asticella all’altezza giusta, tenere a mente le priorità.
La prospettiva ti salva la vita. Anche un gigante appare piccolo dalla vetta dell’Everest e qui siamo tutti professionisti.
È come quando discuti la tesi di laurea. La commissione fa tanto paura ma la verità è che sei quello che ne sa di più dell’argomento nella stanza. È la stessa cosa, Koala, la stessa cosa.
Devi solo comportarti come se fosse una normale, normalissima presentazione e non un disperato tentativo di salvare il tuo lavoro e l’azienda, con un discorso accuratamente strutturato per coprire una valanga di dati statistici calcolati aleatoriamente, partendo da ricerche di mercato che non c’entrano niente con il prodotto che sto per presentare, su cui non abbiamo ricercato proprio un bel niente.
Prospettiva, ricorda la prospettiva.
Tu sei una professionista, questa è una presentazione e loro sono dei semplici esseri umani. Non lo sembrano, ma lo sono. E come la commissione di laurea, sono qui per imparare da te. Sei tu ad avere le redini, sei tu che guidi il gioco e loro sono delle persone.
Normali persone, né più né meno, proprio come te.
Normali persone, dalla cui decisione di oggi dipenderà il tuo futuro lavorativo, normali persone che possono chiudere un’azienda come questa con un semplice cenno del capo, normali persone così ricche e potenti che potrebbero comprarsi un’isola a testa.
Li osservo di sottecchi bere il caffè, mentre io finisco di ripassare i miei appunti, Usopp finisce di preparare tutto il necessario alla presentazione e Nami finisce di slacciarsi i primi due bottoni della camicetta per l’ennesima volta.
«Nami, falla finita» sibila Usopp, con un’occhiata assassina a cui lei risponde altrettanto contrariata.
«Non si era detto di giocarcela con tutte le armi che abbiamo?» lo aggredisce, sottovoce sì, ma abbastanza molesta da attirare l’attenzione dell’unico membro del consiglio di cui non vorrei mai e poi mai attirare l’attenzione.
«Non riesco a capire con chi pensi di usare quelle di armi!» insiste Usopp, indicando senza tanti complimenti i suoi seni.
Mi schiarisco sonoramente la gola ma la cosa non sembra sortire alcun effetto, non su di loro almeno. Per fortuna la mia buona stella mi ha dotato anche oggi di una spalla affidabile, seppur temporanea, e il mio tentativo di comunicare senza farmi beccare in pieno viene colto da Inazuma che, conscio della palpabile tensione – o forse solo mosso a compassione dalle nostre occhiaie –, decide di porre fine a questa snervante attesa.
«Signori, se volete accomodarvi,  credo che siamo pronti per iniziare» invita i membri del consiglio con la consueta eleganza e classe che lo contraddistinguono. Iva, dal canto suo, permane in un mutismo che la dice lunga su quanto grave e instabile sia la situazione in cui versiamo.
E chi sta per lanciarsi nell’arena senza neanche le protezioni per cercare di ribaltarla a nostro favore, senza alcun margine d’errore?!
Okay, Koala, okay. Prospettiva. Lo puoi fare, lo sai fare.
Mi alzo in piedi mentre loro si siedono intorno al grande tavolo rettangolare di legno scuro della sala riunioni – uno dei pochi pezzi di arredamento sobri che si possono trovare qui, scelto, ovviamente, da Inazuma – e mi concedo un attimo per osservarli uno ad uno.
Drakul Mihawk, che fissa il vuoto con sguardo tagliente e riflessivo, una mano stretta intorno alla tazza di caffè e l’altra posata sulla coscia di sua moglie, Boa Hancock, l’espressione annoiata e fiera e la manicure impeccabile. Di fronte a loro Iceburg Tomworker che, lungi dal fare paura, sta dando da mangiare a Tirannosauro, il suo furetto albino.
Che strano. Lo avevo sempre trovato carino ma ora che conosco Karl questo mi sembra improvvisamente indemoniato. Oh beh, comunque…  
Di fianco a lui, seduto su uno scranno portato qui apposta, Bartolomhew Kuma, con i suoi inseparabili guanti bianchi e la costante impressione di essere sempre e comunque fuori posto, ovunque si trovi. Un po’ scostato dal tavolo, la sedia strategicamente posizionata a pochi centimetri dalla finestra spalancata solo per lui, Magellan Delegastix.
Di fianco a Boa Hancock, uno degli uomini che più ammiro al mondo, che in qualsiasi altra circostanza avrei valutato persino di uccidere pur di rivolgergli la parola, Jinbe Walvishaai. La mia tesi di laurea specialistica, “La forza della parola: uno studio linguistico e comunicativo”, contava quarantacinque citazioni prese dai suoi discorsi. Ma si sa, l’universo sa essere molto ironico e ultimamente sembra avermi scelto per affinare la tecnica.
E per finire, a capotavola, proprio di fronte a me, lei. I capelli grigi stretti nel severo chignon, il bastone con l’impugnatura a forma di testa di gru, le labbra strette in un’espressione di perenne disapprovazione. Lei, la donna che tiene nel proprio pugno l’intero consiglio, l’azienda, la città e probabilmente i servizi segreti nazionali. Lei, a cui preferirei non dover nemmeno prendere l’ordinazione al bar. Lei, che oggi devo convincere a finanziare un progetto inconsistente e potenzialmente fallimentare.
Tsuru Dai Sanbo.
Mi scruta coi suoi occhi verde acqua, specchio di un tempo in cui, ne sono certa, è stata bellissima e piena di classe, e io ignoro lo spasmo allo stomaco e tengo alta la testa, fiera. Dopotutto è una delle donne che stimo di più e voglio mostrarmi all’altezza, voglio fare bella figura.
Porto due mani sull’addome, fingendo di lisciare la camicetta e prendo un profondo respiro, pronta a cominciare quando la porta si apre con un cigolio, distraendo tutti. Un ragazzo dall’aria un po’ spaurita e vestito impeccabilmente lancia a tutti un’occhiata di scuse mentre avanza nella sala con un vassoio in mano, su cui sono posati una tazza in porcellana con piattino, una teiera d’acciaio e una zuccheriera che  tintinnano a ogni passo. Si dirige verso Tsuru e, posato il tutto, si affaccenda intorno a lei, lanciandole continue occhiate nervose.
Con mani tremanti le poggia davanti la tazza bianca con il profilo lilla, sul cui piattino è posata una bustina di the già aperta e, sotto il suo severo sguardo che segue ogni suo singolo movimento, versa una generosa quantità d’acqua, lascia anche la zuccheriera e poi si sposta veloce per andarsene.
Con lentezza esasperante, Tsuru avvolge la mano libera dal bastone intorno alla tazza e, dopo un istante di valutazione, si schiarisce appena la gola. È un suono quasi impercettibile, un sedicesimo di quello emesso da me poco fa, eppure ha il potere di immobilizzarci, compreso il poverino che stava cercando di battersela il più rapidamente possibile.
«Giovanotto» chiama con voce calma ma lui sobbalza come se qualcuno avesse appena sparato.  
«S-sì, signora Dai Sanbo?»
«Sorvolando sul dettaglio che quest’acqua è tiepida, avevo chiesto un the e mi ritrovo una bustina contenente una non meglio precisata erba essiccata che, nella più rosea delle ipotesi, riuscirà a dare una qualche sfumatura di colore all’acqua quando tu avrai l’età per cominciare a bere alcolici, e io sono troppo vecchia per aspettare che questo accada. Mi sono spiegata?»
Non so se sia la tensione, fatto sta che devo mordermi il labbro per non scoppiare a ridere. Mentre il poverino torna sconnesso sui propri passi per ritirare il tutto e andare a cercare a Tsuru del vero the, mi giro verso Nami e Usopp che la fissano, una a occhi spalancati, l’altro più terrorizzato del cameriere o chiunque sia l’innocente creatura a cui è stato chiesto di prestarsi a un ruolo tanto rischioso.
Ebbene sì, ragazzi.
Questa è la donna che dobbiamo convincere di avere avuto un’idea geniale e rivoluzionaria o, quantomeno, destinata ad avere un discreto successo.
Ebbene sì, siamo nella merda.
«Dunque? Non eravamo pronti a iniziare?» domanda Tsuru, tornando a fissarmi e un brivido carico di aspettativa mi percorre la schiena.
Sono sempre stata attratta dalle sfide e, improvvisamente, mi sento più motivata che mai. La mia vita sta andando tutta a rotoli, almeno il mio lavoro ho intenzione di salvarlo. E se Tsuru non vuole una bustina di erba essiccata e una tazza di acqua tiepida ma un the bollente, le darò un the bollente.
«Signori. Signore. Buongiorno a tutti» comincio abbandonando i miei appunti e scostandomi per passeggiare intorno al tavolo, nella mano solo il puntatore laser per indicare le slide a distanza. «Nella vostra vita a quanti addii al nubilato e al celibato avete avuto modo di partecipare?» domando, colta da improvvisa ispirazione.
Sento distintamente Usopp trattenere il fiato con orrore alle mie spalle. Lo so, non era questo che dovevo dire, non era la linea guida concordata ma ho appena avuto un’illuminazione e l’istinto mi dice di seguirla.
Ignoro le loro espressioni perplesse, indignate o impassibili e attendo, seria, ferma nella mia domanda. Con la coda dell’occhio intravedo un ritorno di vita in Iva che trema sulla sedia nel tentativo disperato di non scattare in piedi urlando e sculettando che lei è la regina degli addii al nubilato. O al celibato. O entrambi.
«Mia cara, se dovessi farti un elenco, staremmo qui tutto il giorno temo» risponde finalmente proprio Tsuru e, a meno che la privazione del sonno non mi inganni, le sue labbra sono piegate all’insù.
«Tsuru, è un sorriso quello?» domanda Iceburg, sinceramente colpito.
«Quando arriverai alla mia età, Iceburg, comprenderai il valore del permettere a un’anziana signora di ricordare la propria gioventù in santa pace»
«Pff, figuriamoci. Chissà che serate trasgressive avrà vissuto la vecchia carampana»
«Hai ragione Magellan, qualunque genere di diversione non riesce a essere interessante quanto il tuo disturbo gastrointestinale»
«Tsuru, per favore» la ammonisce Mihawk mentre Boa si abbandona con la schiena contro la sedia, una mano alla fronte, lamentando di avere già mal di testa e non siamo nemmeno a metà della riunione. In un attimo la sala si riempie di un cacofonico vociare e mi sembra di essere tornata alla casa affido quando litigavamo durante il pranzo, o a Goa, durante le colazioni in estate. Sgrano gli occhi, basita.
No ma sul serio?! Questi hanno in mano il destino dell’azienda?! Ora so come fa Iva a essere il capo! Ma soprattutto ora so con chi ho a che fare davvero.
Sono come noi, proprio come noi! Né più, né meno. Improvvisamente, davanti ai miei occhi non ci sono più i membri del consiglio ma i miei amici di una vita, anche se non so esattamente chi è chi. Per il momento almeno.  
I toni salgono ancora di volume, solo Kuma e Jinbe stanno zitti e osservano ma non per molto, per fortuna.
«Insomma, la vogliamo fare finita e ascoltare cos’ha da dire questa ragazza?» interviene Jinbe con voce tonante. «E magari mostrare un po’ di educazione e rispondere alla sua domanda»
Sempre tutta questa preoccuppazione per le donne, Sanji.  
C’è un ultimo momento di tensione, in cui tutti fulminano tutti con gli occhi, compreso Kuma che non ha fatto né detto niente e poi Mihawk riprende la parola. «Credo che tutti abbiamo partecipato a un addio al nubilato o al celibato almeno una volta» constata con un’occhiata infastidita. Non gli piace sprecare le parole e io non riesco a trattenere un piccolo sorriso.
Ciao Law. 
«Perciò non vi sarà estranea la tradizionale ricerca di qualcosa, un dettaglio, un elemento non solo per distinguere lo sposo o la sposa ma anche i suoi amici dal resto del mondo. Che so?! Parrucche, una maglietta apposta, un piccolo dettaglio sul bavero della giacca o sulla cravatta» riprendo come se niente fosse, girando intorno al tavolo, ignorando l’isterico gesticolare di Usopp. «A volte magari non si trova un accordo o non si ha il tempo o la voglia di spendere soldi per comprare qualcosa apposta per questo genere di occasioni. E così abbiamo pensato di inventare qualcosa da aggiungere a ciò che già possediamo per una notte soltanto, senza danneggiare la cravatta o l’abito preferito. Abbiamo inventato…» pausa ad effetto, occhiata ad Usopp appena in tempo perché metta la slide giusta. «…i cloth tattoo»
Logo del prodotto sullo schermo, io e Nami cominciamo a distribuire i tattoo di prova che abbiamo stampato tra ieri e stamattina.
«Applicazioni di stoffa che si fissano con un colpo di ferro, dalla tenuta garantita, ma a cui è sufficiente un giro in lavatrice per staccarsi senza lasciare aloni o tracce. Adatti a vestiti, zaini, borse di stoffa, cravatte e per qualunque genere di materiale: cotone, seta, raso, acrilico…» continuo a parlare mentre i sette del consiglio più Inazuma e Iva si scambiano i piccoli pezzi di stoffa ritagliati secondo i disegni di Nami, con un interesse in cui non avrei osato sperare nemmeno nelle più recondite fantasie. E non è il prodotto in sé ad attirarli tanto ma l’uso che se ne può fare, le sue mille applicazioni che continuano a spuntare nella mia testa una dopo l’altra. «Il prodotto perfetto per tornare a sentirsi giovani e un po’ sciocchi, senza rinunciare alle apparenze» concludo la mia tirata, puntando gli occhi su Mihawk. Questo è per lui. Perché ora so che da qualche parte là sotto c’è ancora un ragazzo che ha voglia di fare casino. Lo so per il suo sguardo austero, la sua serietà, la sua apparente freddezza che scompare quando si tratta di sua moglie e il ghigno che sono riuscita a intravedere una volta per puro miracolo a una cena aziendale.
«Le ricerche di mercato cosa dicono?» domanda Iceburg, togliendo distrattamente un tattoo dalla bocca di Tirannosauro.
Sabo lo sai che Bibi non vuole che dai i cereali a Karl.
Prendo un appunto mentale di buttare via più tardi quel tattoo prima di rispondere: «Non ne abbiamo condotte»
Nami serra gli occhi rassegnata, Usopp geme e al tempo stesso ha la prontezza di far saltare la slide con il falso grafico statistico. Iva mi fissa come se fossi un’aliena che parla una lingua sconosciuta, Inazuma sorseggia impassibile il proprio succo d’uva. Mi sono appena ricordata la prima regola di una comunicazione di successo. Il messaggio convogliato dev’essere reale e vero.  Solo così può funzionare.
«Pensiamo di usare un metodo diverso per questo lancio e condurre le ricerche di mercato dopo aver fatto nascere la curiosità verso il nuovo prodotto»
Tsuru si stacca dal bastone e posa le mani una sull’altra. «Mi auguro si tratti di un metodo ben ponderato. Non stiamo discutendo di spiccioli, qui»
Vuole prove concrete, non ha intenzione di correre rischi. Prudente, strategica, accorta.
Chi lo avrebbe mai detto, Nami, che saresti arrivata così in alto?
«Conoscete lo Yukinomi Club?»
L’espressione di Boa non appena nomino il blog è impagabile. Posso supporre che da ex-modella di un certo spessore quale sia, nonché tutt’ora personaggio di spicco nel mondo della moda, un paio di cosette su di lei Monet le avrà scritte. Ma dalla sua indignazione trapela anche qualcosa che mi sembra appagamento.
Andiamo, Baby. Lo sappiamo tutti che in realtà adori sia Monet che il blog.
«La cugina di Monet Donquijote, Nefertari Bibi, si sposerà a Raftel questo fine settimana» afferro la testata di una sedia davanti a me e stringo. «Lo Yukinomi Club sta seguendo le fasi del matrimonio passo per passo e la serie di articoli ha riscosso un successo micidiale persino per la storia del blog. Siamo, ecco… propensi a credere che la signorina Nefertari sarà ben disposta a indossare insieme alle sue amiche i nostri cloth tattoo e in quel caso Monet ne parlerà in termini senz’altro positivi, come di un oggetto che unisce eleganza, originalità e risparmio, attraverso quello che è attualmente il mezzo di diffusione più rapido ed effettivo della nostra epoca» concludo e scambio subito un’occhiata con Nami. E so, nel momento in cui capisco di avere convinto lei, che a questo punto Tsuru è sicuramente dalla nostra.
«E non è tutto!» esclama Nami di punto in bianco, alzandosi di scatto dalla sedia, i primi due bottoni della camicetta di nuovo slacciati. «Abbiamo anche preso contatti con la casa di moda Baroque Works, per un paio di servizi fotografici che vedranno i cloth tattoo applicati sui migliori capi della prossima collezione autunno-inverno. La figlia di Crocodile Hook era semplicemente entusiasta dell’idea»  mente spudoratamente, ma nemmeno così tanto. Questo è precisamente il genere di cose che farebbe impazzire Baby come una bimba. «Quando a Settembre li lanceremo sul mercato, il prodotto sarà già virale e tutti li vorranno»
«Consigliamo un iniziale lancio solo online, con pacchetti da otto cloth tattoo al costo di 0,50 berry l’uno, senza spese di spedizione come di consueto per il negozio online della Ivankov&Co, per poi passare alla vendita al dettaglio nei negozi di bigiotteria e supermercati e incrementare la vendita online attraverso la possibilità di personalizzare i tattoo con appena 0,10 berry in più a pacchetto» Usopp  calcola a mente e sul momento il prezzo consigliato alla vendita e lancia uno smagliante sorriso al consiglio. «Il tutto dopo averli fatti brevettare ovviamente»
Sento il petto scoppiare d’orgoglio quando si girano a farmi un sincronizzato occhiolino. Santo cielo, stiamo volando.
«E tutta questa sicurezza di avere la collaborazione della signorina Nefertari e di un marchio come la Baroque Works da dove nasce, se posso chiedere?»
Riporto gli occhi su Mihawk e il cuore mi perde un battito. Mi osserva da sopra le mani intrecciate, i gomiti puntati sul tavolo, un sopracciglio alzato. Proprio a lui devo dirlo? Universo, sei un bastardo.
Abbasso un attimo gli occhi sul tavolo. C’è una manciata di tattoo vicino a me e uno spicca in mezzo agli altri. È una stupida faccina sorridente gialla. Una stupida faccina che conosco a memoria perché è il quadrante di un orologio per me molto importante. Allungo la mano e lo prendo, accarezzandolo distrattamente con il polpastrello del pollice.
«Perché Baby Hook è cugina della signorina Nefertari e la signorina Nefertari si sposa con il mio migliore amico. E non importa cosa succeda o quanto assurda sia la mia richiesta» torno a fissare Mihawk negli occhi. «Lui ci sarà sempre per me»
Per un attimo temo di aver detto troppo, non tanto a parole quanto in linguaggio paraverbale. Per un attimo mi chiedo se si senta il battito folle del mio cuore. Per un attimo penso seriamente di aver rovinato tutto, anche se non so più se sto parlando del lavoro o di altro.
Poi tre tonfi mi risvegliano quando Tsuru batte a terra il bastone.
«Ritengo abbiamo informazioni sufficienti per decidere. Se potete accomodarvi fuori...» ci invita e noi ci avviamo, momentaneamente sollevati.
La prima parte è andata.
«Signorina Surebo»
O forse no?
Devo girarmi per rendermi conto che a chiamarmi è stato Jinbe. Trattengo il fiato quando mi sorride appena con un cenno del capo. «Splendida presentazione»
 

 
§

 
L’attesa uccide.
Ora lo so, non è semplicemente un modo di dire. Usopp mi ha già dato due volte l’impressione di voler provare a recidersi le vene con i denti e io rischio un arresto cardiaco ogni volta che si sente un rumore nei pressi della porta della sala riunioni.
L’attesa uccide.
E pensavamo che la parte peggiore fosse andata quando ci hanno chiesto di accomodarci fuori?! Che imbecilli ingenui.
Certo, Jinbe mi ha fatto un complimento, a me. A me!
Ma se almeno quattro di loro non saranno d’accordo con l’investire nel progetto io sarò presto la giovane disoccupata che ha fatto una splendida presentazione davanti a Jinbe Walvishaai prima di venire lincenziata per quella stessa presentazione. Chissà se posso inserirlo da qualche parte nel curriculum?
Il rumore inconfondibile della maniglia che si abbassa mi fa saltare come un coniglio impaurito. Per la settima volta in venti minuti mi porto una mano al petto, spaventata. Per la settima volta in venti minuti mi ripeto che ho preso le medicine e non ho niente da temere. Per la prima volta in venti minuti, la porta si sta aprendo davvero.
Mi stacco dal muro, tesa come non mai, Usopp e Nami al mio fianco in meno di un secondo. L’enorme mole di Kuma si staglia nel rettangolo vuoto, ci fissa una manciata di secondi e poi esce dalla stanza, salutandoci con un cenno del capo prima di allontanarsi lungo il corridoio, dando il via alla processione. Iceburg si complimenta e ci stringe la mano, ci chiede se vogliamo accarezzare Tirannosauro, invito che decliniamo prontamente, ma non riusciamo a carpirgli nulla sulla loro decisione finale. Tratteniamo il fiato – in tutti i sensi – quando è il turno di Magellan, che non ci degna nemmeno di un’occhiata, riuscendo a classificarsi anche più altezzoso di Mihawk e Boa che lo seguono, mano nella mano e che quanto meno un cenno di saluto ce lo fanno.
Jinbe ci stringe la mano a sua volta ma senza una parola, lui, e per finire Tsuru si ferma davanti a noi e ci fissa, le mani sovrapposte sopra la testa di gru. La fissiamo, in fervente attesa. Dopo un tempo che pare infinito, ci sorride e si allontana sotto i nostri sguardi basiti.
Per l’amor del cielo, stiamo scherzando?! Qualcuno vuole dirci qualcosa?!
«Ragazzi»
Ci giriamo di scatto, Inazuma è sulla porta e sorride.
Oh mio dio, vuoi dirmi che è andata? Davvero?!  
«Ce l’avete f…»
«Yyyyyyyy-ha!!! Ce l’abbiamoooooo fatta!!!»
Non riusciamo nemmeno a capire cosa sia effettivamente successo che ci ritroviamo a saltellare in tondo in un abbraccio a quattro, Inazuma che continua a osservarci con un discreto sorriso sul volto.
Oddio, oddio.
Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!
Oddio!!!
«Ce l’abbiamo fatta!!!» urla Usopp prima di unirsi a me, Nami e Iva in un sincronizzato «Yyyyyyyyy-HA!!!»  
Non ci riesco a credere! Sì, ci ho voluto sperare fino all’ultimo ma non credevo che davvero… non avrei mai osato credere che… Santo Roger sono così euforica e sollevata che a malapena so come mi chiamo!
Iva si ferma bruscamente e mi afferra per le spalle, mi stampa un rumoso bacio sulla guancia per poi riservare lo stesso trattamento a Nami e Usopp. «…Mua e mua! Oh miei meravigliosi boccioli di campo in fiore! Come?! Come posso ringraziarvi?! Chiedetemi qualsiasi cosa!» molleggia Iva ma il messaggio ci mette un attimo ad arrivare ai nostri cervelli in fibrillazione. E anche quando ci riesce, siamo talmente sopraffatti che non riusciamo a reagire. Non subito almeno.
Mi giro verso Nami e Usopp, in cerca di una conferma. Qualsiasi cosa ha detto? E dalle loro espressioni capisco che sì, ha detto proprio qualsiasi cosa. E qui casca l’asino perché tutti sanno, da che mondo è mondo, che “qualsiasi cosa” nel gergo dei datori di lavoro è “ho uno slancio di gratitudine verso di te, approfittane ma non tirare toppo la corda”.
Tuttavia, non posso fare a meno di pensare allo stress, le notti insonni, l’enorme rischio che abbiamo corso e, per finire, la totale abnegazione con cui inifine oggi ci siamo esposti. Non posso non pensare alle migliaia di berry che ha potuto permettersi di buttare via per comprare una stoffa che rischiava di rimanere inutile e che se frutterà qualcosa sarà solo merito nostro. Iva può davvero permettersi di darci qualsiasi cosa. E con quello che stiamo passando, ci meritiamo davvero qualsiasi cosa.
«Ci serve un nuovo portatile. Per l’ufficio» affermo di slancio. «L’ultimo modello della Boing, il… il…» cerco con lo sguardo Usopp, che mi fissa a occhi sgranati. È stato due settimane fa, se non sbaglio, che l’ho visto sfogliare quel catalogo online con rassegnazione, facendosi due conti mentali sui propri risparmi e concludendo di non poterselo permettere. 
«Heracles E 15?» viene in mio soccorso, a metà tra un suggerimento e una domanda.
«Esatto! L’Heracles E 15!» punto il dito verso Iva, ormai un fiume in piena. «E un piano inclinato da disegno professionale. Ovviamente su misura per l’open space, con una poltrona ergonomica abbinata. Arancione mandarino! E un aumento! E la giornata libera per tutti e tre e per Izou Wano e Marco Newgate del reparto stampanti»
Che hanno fatto la notte in bianco insieme a noi.  
«Okay» mormora Iva a dita stretti mentre lancia un nervoso sorriso a Inazuma che, per tutta risposta, arcua entrambe le sopracciglia come a dirle che se l’è cercata. «Eheh! Ancora qualcosa?»
Trattengo il fiato, per un attimo combattuta. Forse questo è davvero tirare troppo la corda però…
Qualcosa monta dentro di me. Ci devo almeno provare, è la mia grande occasione. E ora più che mai so quanto è stupido gettare via le occasioni senza nemmeno provarci.
«Una sezione pro-bono»
Il silenzio cala su di noi come una valanga di rocce.
Oddio, l’ho chiesto davvero?
«Come scusa?» Iva sbatte le palpebre perplessa.
Okay, l’ho chiesto davvero.
«Una sezione pro-bono. Voglio gestire campagne pro-bono. Una campagna pro-bono ogni quattro campagne condotte con successo. Con valore retroattivo. E voglio iniziare con una campagna di sensibilizzazione per la sanificazione dell’oasi di Yuba ad Alabasta. E voglio che l’anno prossimo ci occupiamo della raccolta fondi per il nuovo ospedale pediatrico di Raftel» sbotto tutto d’un fiato.
Okay, ora è davvero il caso di fermarmi. Persino Inazuma ha spalancato gli occhi. 
Iva è pietrificata, sembra stia cercando di ingoiare un rospo, intendo letteralmente ma non distolgo lo sguardo. Forse ho esagerato ma male che andasse mi dirà di no. Non può certo licenziarmi dopo che le ho salvato il sedere da neanche un’ora.
Non può, vero?!
«Beh…» comincia allargando appena le braccia. «Non vedo perché no! Questo e altro per le mie tre punte di diamante! Yyyyy-ha!»
«Davvero?!» e Nami mi tira una gomitata che mi fa prontamente rinsavire. «Cioè volevo dire, grazie! Allora noi andiamo, eh! Giornata libera» ribadisco, mentre ci avviamo spediti verso il fondo del corridoio. Non che ci stia minimamente calcolando, impegnata nella sua molleggiante danza della vittoria. Inazuma ci saluta con un discreto gesto della mano.
Mi serve una boccata d’aria. Serve a tutti  e tre, senza contare che ci sono un paio di persone che ci aspettano, di sotto. Raggiungiamo l’atrio praticamente veleggiando e quando usciamo finalmente sotto il sole di Luglio mi sento come l’ultimo giorno dell’ultimo anno di scuola o il giorno dell’ultimo esame all’Università.
È finita, è finita davvero e ce l’abbiamo fatta. Ci attardiamo per un attimo nello spiazzo antistante il palazzo della Ivankov&Co. chi sollevata, chi euforica, chi impegnato a gestire la nausea.
«Usopp stai bene? Sei verde in faccia» gli fa notare Nami.
«Ragazzi!!!» una voce sovrasta il rombante andirivieni delle auto, una figura si sbraccia sul limitare del piccolo parco Acacia, sul ciglio opposto della strada. Ci affrettiamo verso le strisce pedonali e cogliamo il primo momento buono per attraversare, senza aspettare il verde. A ogni passo che ci separa da Izou e Marco incosciamente acceleriamo un po’ l’andatura.
«Allora?!» domanda Izou quando siamo a portata d’orecchio, l’impazienza palpabile nella sua voce, ed è allora che mi metto a correre.
«Ce l’abbiamo fatta!» urlo gettandomi verso di lui per abbracciarlo. Per un attimo è tutto un abbracciarsi, darsi il cinque, stringere mani, pacche sulle spalle, palpate di sedere.
«Izou, giù le mani!» protesta Usopp.
«E abbiamo il giorno libero» li avvisa Nami con soddisfazione. «Tutti e cinque»
Mi lascio cadere sulla panchina più vicina, sfinita, e porto due mani al viso mentre reclino il capo all’indietro, godendomi la fresca ombra che i tigli proiettano tutto intorno. Sento Nami, Usopp e Izou continuare a lanciare urletti di gioia, discutere su cosa fare oggi. Quando riapro gli occhi mi ritrovo a fissare sottosopra il viso di Marco che mi fissa, in piedi accanto alla panca. «Stanca?»
Sorrido appena. «Esausta» gli comunico prima che torni a tenere silenziosamente d’occhio Izou. Sorrido della sua espressione concentrata. Finché  ci sarà lui, non avrò nulla di che preoccuparmi per Izou.
Distrattamente estraggo il cellulare, memore di avere un po’ di gente da avvisare della fine dell’incubo. Senza contare che dobbiamo anche contattare Monet e Baby, ma a questo penseremo più tardi. Preparo un messaggio per tutti, mi lascio anche sfuggire che Jinbe mi ha rivolto la parola, e lo inoltro a papà, a Dragon, a Makino e al gruppo che ho con Robin, Sabo e Law.
Le risposte cominciano ad arrivare in un istante e mi immergo per un attimo nel telefonino. Ridacchio sotto i baffi, rispondo con qualche smile, mi prendo qualche secondo per studiare il messaggio di risposta di Sabo e cercare di captare da ciò che scrive come si sente oggi. Ed è allora che mi accorgo. Le spunte del mio messaggio sul nostro gruppo sono entrambe blu.
Tutti hanno visualizzato. Solo due hanno risposto. E riuscirei a ignorare la punta di delusione al centro del petto, riuscirei a dirmi che forse è solo preso e risponderà più tardi se solo stamattina lui non fosse stato l’unico a non avermi mandato l’in bocca al lupo. Se solo non sapessi che oggi non è in ospedale perché dovevano andare a firmare una carta in comune che decreta la validità del matrimonio celebrato qui secondo i nostri riti anche ad Alabasta. Se non avessi, insomma, la matematica certezza che un istante per scrivere anche solo una risposta telegrafica lo ha sicuramente avuto e che non lo ha fatto di proposito.
Me la sono cercata.
So che me la sono cercata.
Quelle otto chiamate senza risposta hanno continuato a bruciare nel mio cellulare, tanto che mi stupisco non si sia fusa la batteria. Ma sono rimaste senza risposta, per mia scelta, così come è destinato a restarlo il mio messaggio e non è che io possa recriminare.
Non importa cosa succeda o quanto assurda sia la mia richiesta. Lui ci sarà sempre per me.
Ne sei ancora così convinta, Koala?
«...’ncione mandarino»
«Dovrai farmela provare!»
«Che problema c’è? Basta che paghi»
Torno bruscamente alla realtà. Izou Nami e Usopp stanno saltellando in tondo, abbracciati come poco fa lo eravamo con Iva. Scuoto il capo e ridacchio. Quando ci fermeremo stasera, crolleremo morti. Non so neppure come facciamo a stare ancora in piedi, figuramioci agitarci così.
«Ehi, si festeggia?»
Ci giriamo verso il nuovo arrivato, le mani in tasca e sul volto l’espressione più buffa che credo di avergli mai visto. Sono sorpresa di vederlo ma mi rendo subito conto che non dovrei. Anche lui ha passato la notte a casa nostra, in bianco anche se ha finto più volte di essersi messo a dormire, aiutando come poteva. Ci ha preparato il caffè, dato qualche suggerimento per le diverse forme dei tattoo, fatto giocare Mikan e Nekozaemon. È al cento per cento parte del team, è più che giusto che sia qui, anche se ha l’aria di sentirsi un po’ fuori posto, quasi di troppo. Sensazione che suppongo sparisce, quando Nami e Usopp si lanciano verso di lui.
«Zoro!»
«Zoro!!!»
Agile come un samurai, allunga un braccio e pianta la mano in faccia ad Usopp per tenerlo a distanza di sicurezza, mentre avvolge l’altro intorno alla vita di Nami che, troppo esaltata per riflettere, gli salta in braccio. «Ce l’abbiamo fatta!»
Zoro sorride orgoglioso, stringedola più forte. «Lo sapevo» afferma e Nami si stacca da lui lo stretto necessario per poterlo guardare in viso.
«Come?» domanda, confusa.
I nasi che si sfiorano, si guardano negli occhi e il traffico di Raftel sceglie precisamente questo momento per fermarsi in blocco. Si sente solo il frusciare del vento tra le foglie e anche Usopp smette di mugugnare quando riesce finalmente a ritrovare abbastanza equilibrio da indietreggiare e liberarsi della mano di Zoro.
Credo che nemmeno se ne renda conto, Zoro, quando porta anche l’altro braccio libero intorno alla vita di Nami. Al contrario di noi quattro che ci rendiamo molto conto di essere in procinto di assistere a qualcosa di molto intimo ma non abbiamo intenzione di smettere di guardare.
«Sapevo che ce l’avresti fatta» chiarisce Zoro con voce roca, accarezzando il dorso del naso di Nami con la punta del proprio.
E poi, finalmente, Nami alza le mani, infila le dita tra i suoi capelli e piega il viso nella giusta angolazione. Mi sembra quasi di percepirla la scarica che si libera dai loro corpi quando le loro labbra si scontrano di nuovo, dopo tutto questo tempo, in una lotta vecchia e sempre nuova.
Zoro affonda più che può una mano nella sua coscia, con l’altra le accarezza la schiena e Nami rabbrividisce. Posso solo immaginare quanto deve esserle mancato. Cosa dev’essere per lei, tornare a respirarlo. Ho perso il conto di quante volte ci sono andati vicini ieri notte.
Nami mugugna, gli morde il labbro, si stringe su di lui come se volesse farsi inglobare dalla sua solida e rassicurante figura e Zoro barcolla appena ma ritrova subito l’equilibiro e, in uno sprazzo di lucidità riesce a raggiungere l’albero più vicino e delicatamente appoggia la schiena di Nami al tronco, imprigionandola tra la pianta e il proprio torace.
Nami conficca le unghie nelle sue braccia e Zoro sguscia con le mani sotto la gonna e noi realizziamo che, forse, è arrivato il momento di smettere di guardare.
Marco si schiarisce la gola e distoglie lo sguardo in simultanea a me e Usopp, che è rosso come un’aragosta. Nel girarmi mi ritrovo a fissare Izou che invece lo sguardo non lo ha distolto affatto e non sembra nemmeno averne l’intenzione. Anzi, a dirla tutta, sembra pronto a commettere un omicidio.
«Quello è il nostro albero» mormora, non so esattamente a chi.
«Come?»
«Quello è l’albero mio e di Marco. Dove ci siamo dati il nostro primo bacio» protesta con voce fin troppo calma. Mi fa anche un po’ paura. «La uccido»
«Okay, direi che è arrivato il momento di andare a bere un caffè!» batte le mani Usopp, così in imbarazzo che sono sicura che se ci fosse in giro una vanga si metterebbe a scavare solo per potersi nascondere sotto terra.
«Non prima di aver staccato la rossa da quell’alb… Marco!» protesta quando Marco lo prende per il gomito per trascinarlo via.
«Dai Izou» lo ammonisce, spostando la presa dal suo gomito alla sua mano, per attirarlo a sé e dargli un bacio sul collo. «Non ti preoccupare dell’albero adesso, andiamo a prendere un caffè» insiste, accarezzandogli una guancia e mettendo a tacere le sue rimostranze.
Mi ritrovo a sorridere come poco fa mentre li osservo avviarsi verso l’altro lato del parco.
«Ehi, Koala» mi chiama Usopp. «Vieni con noi o hai altro da fare?»
Abbasso lo sguardo e sospiro. Avevo una cosa da fare. Mi ero ripromessa di farla oggi. Mi ero ripromessa di rispondere a quelle otto chiamate ma non avrebbe senso. Sarebbe giusto, per educazione. Sarebbe doveroso, perché almeno lui ci ha provato a cercarmi. Ma il motivo per cui lo farei sarebbe sbagliato. Non posso chiederglielo neppure implicitamente, non posso più pretendere che continui a esserci sempre per me.
Lui ora ha la sua vita e io la mia. Lui avrà nuove priorità e io dovrò trovarne di altrettante nuove per me. Ci saremo  comunque, l’uno per l’altra, ci saremo per occasionali messaggi e sporadiche chiacchierate. Ci saranno biglietti di auguri, foto di nipoti e tanto altro ancora. Ma d’ora in poi ci sarà qualcun altro sempre presente per lui e ci sarà qualcuno altro sempre presente per me. Ci saranno per sempre una chiamata e un messaggio rimasti senza risposta. Non potrà più essere come prima ed è giusto così. È così che va la vita. E fa male. Fa davvero male, questa maledetta.  
Blocco il cellulare mentre mi alzo in piedi. Nami e Zoro alle mie spalle si stanno perdendo sempre più l’uno nell’altra, ignari del mondo intorno a loro. Lascio scivolare il cellulare nella borsa.
«No» scuoto appena il capo e mi avvicino per prendere Usopp sottobraccio con un sorriso. «Non ho niente da fare. Andiamo a prendere quel caffè»   

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


 
Angolo dell'autrice: 
Ahoy a tutti! Come va?! 
Io sono qui in questa uggiosa giornata di Febbraio ad aggiornare e vi voglio ringraziare per tutto il vostro magnifico supporto. In particolare oggi vorrei ringraziare Zomi per avermi consigliata in questo e molti molti altri  capitoli. 
A un certo punto, leggendo, troverete il nome Yukino Aguria , (<--- cliccare qui per vederla) che, per farla breve, è il mio secondo personaggio femminile preferito di Fairy Tail che ho usato qui come se fosse un'attrice famosa (come se avessi scritto Scarlett Johansson per intenderci) e so che sembra una precisazione strana ma poi capirete perchè. Davvero! Non sono pazza! 
Ci tengo anche ad avvisare i recensori del mio ultimo capitolo che vi risponderò nei prossimi giorni, non so ancora precisamente quando ma vi risponderò. Croce sul cuore. E che purtroppo settimana prossima non potrò aggiornare maaaaaaaaa... Ora bando alle ciance! 
Buon weekend e buona lettura! 
Hope you'll enjoy it. 
Page.  






Fuori dal Kamabakka, un orario non meglio precisato dopo le 22:00.
Mercoledì.  
 
 


«Ha lasciato la Wado in aeroporto?» ripeto, giusto per essere sicura di aver sentito bene.
«Ha chiesto a quel suo amico con la licenza, Yosaku, di lasciarla al deposito bagagli»
«Aspetta, aspetta… Ha lasciato la Wado in aeroporto?»
«Koala cosa ti sfugge di questo semplice concetto?» si spazientisce ma io continuo a fissarla a occhi sgranati.
Deve essere impazzita. Dico sul serio, deve essere totalmente uscita di senno se non si rende conto.
«Nami, Zoro ha lasciato la Wado Ichimonji, la sua preziosissima, insostituibile katana, che non era disposto a caricare nemmeno nella stiva dell’aereo, in mano a dei perfetti sconosciuti addetti al deposito bagagli del Tontatta, per passare il pomeriggio con te a fare…»
«Sesso»
«…l’amore e tu mi stai dicendo che non sai a che punto della vostra relazione siete? Anzi, che non sai nemmeno se è una relazione?»
Mi guarda contrariata e non dubito che si aspettasse questa mia reazione ma d’altronde non so cosa pretenda. Non ho saputo più niente di lei per due giorni dopo che li abbiamo lasciati soli nel parco, non è tornata a casa per due sere, ieri si è presa un giorno di ferie e oggi in ufficio ha evitato di parlarmi di qualsiasi cosa che non fosse lavoro per tutto il tempo.
Non mi offendo certo per questo, così come per il fatto che Usopp palesemente già sapeva tutto – migliore amico batte coinquilina, è una legge vecchia come il mondo – ma ora che stiamo andando al Kamabakka per l’addio al nubilato, ora che non può scappare da Zoro e via dal mio sguardo analitico, ora che finalmente mi sta raccontando non ho nessuna intenzione di desistere dal farle ammettere almeno con se stessa che non c’è proprio niente di indefinito tra loro.
Ma si sa, Nami è testarda e la sua risposta è ignorarmi e concentrarsi sul proprio riflesso nello specchietto laterale della macchina con la scusa di sistemarsi la parrucca a caschetto.
«Vado bene?» chiede, aggiustando un paio di ciocche azzurre sulla frangia. La squadro dalla testa ai piedi, dai sandali, passando ai calzoncini di jeans, per finire sulla semplice canotta bianca disseminata di cloth tattoo stampati ad hoc per l’occasione. La comodità di questi affari è che ne vengono una trentina per ogni quadrato di stoffa e così, anche se le è costata un occhio della testa e quasi il posto di lavoro, Iva ce ne ha lasciata quanta ne volevamo per preparare tattoo sufficienti a decorare le maglie di tutti, nostre e dei ragazzi.
Che poi, alla fine, è tutta pubblicità per noi.
«Sei magnifica» le rispondo e non lo dico tanto per dire.
Splende di luce propria, è come se il suo corpo riverberasse e i suoi occhi brillano di una gioia che non credo di averle mai visto dipinta in volto.  Mi sorride e posa una mano sulla mia guancia. «Anche tu lo sei»
Ma so che non è vero. Anche se stessi bene, non sarei nemmeno lontanamente paragonabile alla bellezza che sprigiona Nami da – ne sono certa anche se non l’ho vista – due giorni a questa parte. Se poi ci mettiamo che sono uno straccio… Sì, mi sono truccata a regola d’arte, ho messo persino l’illuminante su ordine di Perona, questa parrucca azzurra mi sta meglio di quanto pensassi e faccio anche io la mia discreta figura in shorts e top bianco. Purtroppo, sia lunedì che ieri ho pianto fino ad addormentarmi e l’effetto rana non mi ha lasciato scampo nemmeno stavolta. Punto tutto sulle luci soffuse del Kamabakka e sullo smokey eye per nascondere il gonfiore.      
«Allora, vogliamo andare?» propongo di slancio e mi avvio per attraversare la strada che ci separa dal locale. Ma non riusciamo a fare due passi che una voce famigliare chiama i nostri nomi. Ci scambiamo un’occhiata perplessa che è niente rispetto a come ci ritroviamo a fissare, un attimo dopo, Usopp che corre verso di noi con in testa la ballozolante parrucca afro con cui ha vinto il contest al lavoro, che presenta giusto una piccola differenza rispetto ad allora.
È azzurra.
«L’hai tinta?!» gli chiedo quando ci raggiunge, osservandolo con tanto d’occhi e un sorriso divertito.
«Hai visto?» si atteggia con orgoglio lui.
«Usopp, che ci fai qui?» domanda Nami con cautela.
La punta del suo naso si fa leggermente più scura, inequivocabile segno di imbarazzo, mentre ficca le mani nelle tasche dei jeans alla zuava. «Beh io… Ho pensato che poteva esservi utile un re della festa come me! Sapete, per movimentare la serata e…»
«Volevi evitare Sanji» lo ferma impietosa Nami e io trattengo a stento un sospiro.
Le voglio un bene dell’anima ma quando distribuivano il tatto lei era in coda per le gambe. C’è da dire che comunque l’intuito non le manca e infatti Usopp infossa ancora di più le mani, china ancora di più il capo e quasi si raggomitola, schiacciato dal peso della sua colpa. Anzi, ora che guardo bene com’è vestito non si è trattato affatto di una fuga ma di una diserzione premeditata. Non ha mai avuto intenzione di andare all’addio al celibato ma ha sempre avuto intenzione di imbucarsi al Kamabakka con noi. La parrucca non può certo averla tinta oggi pomeriggio e ora mi è chiaro il suo quasi malsano interesse per scoprire che “divisa” avevamo scelto.
«Beh sono molto fiera di te, Usopp!» prosegue Nami annuendo con orgoglio e lasciandoci entrambi di stucco.
Usopp ci mette un po’ più di me a reagire e si apre in un radioso sorriso che mi scalda il cuore prima di porci un gomito a testa. Raggiungiamo l’ingresso del Kamabakka ancora a braccetto e attendiamo pazientemente di passare l’accurata analisi di Das, il buttafuori. Lascio vagare gli occhi sull’esterno del locale. Il Kamabakka è un edificio molto particolare. Il palazzo principale è relativamente fresco di costruzione – per essere un palazzo, si intende – ed è un’estensione di un vecchio edificio che attualmente funge da magazzino per il night club. All’epoca dell’appalto è stato vietato agli architetti di apportare qualsiasi genere di modifica all’ala vecchia, che ha un’aria piuttosto solida in effetti, almeno vista da fuori, e il risultato finale è alquanto particolare, tanto che nel complesso il Kamabakka sembra quasi una moderna versione del Moulin Rouge.
Sarebbe poetico, se non sapessi cosa succede davvero tra queste quattro mura.
«Buon divertimento, ragazzi» ci augura Das, spontaneo come Usopp che accetta di prendere un caffè con Iva.
«Grazie!» risponde Nami per tutti e tre, con tanto di occhiolino.
Ma lei non è affatto euforica eh! Assolutamente! Non è al settimo cielo, ha i piedi ben piantati per terra, lei!
Causa persa.
Una volta dentro, nonostante la penombra non ci mettiamo molto a individuare il nostro tavolo. Dopotutto basta cercare una dozzina di parrucche azzurre, in mezzo a cui ne spicca solo una bianca, tutte rigorosamente a caschetto. Anche le provette piene di liquido alcolico fosforescente, come i bracciali al neon multicolore che ci siamo procurate aiutano notevolmente nella ricerca.
Nami ci precede e io mi fermo, trattenendo Usopp con me. Mi guarda interrogativo mentre gli poso le mani sulle spalle – grazie ai tacchi stasera posso – e gli stampo un bacio sulla punta del naso. «Andrà tutto bene» gli garantisco con un sorriso che ci mette un attimo a ricambiare. È una certezza a cui abbiamo bisogno di aggrapparci entrambi, dopotutto, e lui lo sa. So che lo sa perché fa scivolare le dita tra le mie, il suo silenzioso modo per ricordarmi che lui c’è anche per me.
Ho il sospetto che per Nami e Usopp scoprire quello che provo per Law non sia stata affatto una sorpresa e questo mi fa sentire solo più stupida ma stasera non voglio pensarci. Anzi non voglio pensarci mai più.
Ci avviamo in mezzo alla musica a palla e alla gente che si scatena nello spazio libero tra un tavolo e l’altro, nella promiscuità più totale, e siamo a pochi passi dal nostro tavolo, che si ubica alla perfetta distanza dal “palco della vergogna” – come lo chiamiamo da dopo il famoso episodio di cui Sanji è stato vittima all’Oro Jackson Day – quando mi accorgo di lui.
Seduto tra Robin e Perona, la parrucca azzurra raccolta immancabilmente in uno spettinato chignon, gli avambracci liberi dalle maniche arrotolate della camicia bianca e morbida ricoperti di braccialetti al neon e i jeans al ginocchio, riesce ad avere più classe di Boa Hancock e un po’ lo ammiro, un po’ lo odio. Cosa ci fa qui, non me lo chiedo nemmeno più e non lo chiedo neanche a lui, dettaglio che non gli sfugge e che non manca di farmi notare, mentre saluto una per una anche Baby, Monet e Kaymie.
«Koala, non mi chiedi che ci faccio qui?»
«Oh Izou, tesoro, non mi serve. Lo so che non riesci più a stare lontano da me» rispondo fingendo compassione e accarezzandolo sulla guancia, prima di dedicarmi alla vera protagonista della serata.
È stupenda, come è giusto che sia, con il top azzurro, i calzoncini bianchi e la parrucca platino. Sembra Yukino Aguria e spicca tra tutti noi. Tuttavia, non posso fare a meno di notare che non è radiosa quanto dovrebbe. E non è la penombra o i bracciali al neon. Manca qualcosa, nel suo sguardo e nel suo sorriso, la stessa cosa che invece riesco a vedere ancora benissimo sul volto di Nami.
«Ehi, sposina, va tutto bene?» le chiedo, sedendomi accanto a lei, un po’ preoccupata. E quando si gira per rispondermi capisco cos’è che le manca.
Socchiude gli occhi e si avvicina fino a quasi sfiorarmi il naso con il suo. Poi un lampo di comprensione. «Koala! Sei tu!» esclama felice.
Le manca la lucidità, ecco cosa. Ma come fa a essere già ubriaca?!
«Mi sto divertendo tantissimo! Questo posto è fa-vo-lo-so!»
Lancio un’ochiattaccia a Izou mentre la accolgo tra le mie braccia, assorbendo come meglio posso l’impatto per non cadere giù dal divanetto. «So che sei stato tu a dirle che dividere le parole in sillabe fa figo» e lui per tutta risposta allarga le mani e si stringe nelle spalle.
«Non ho saputo resistere» ghigna bastardo e io lo lascio perdere, per concentrarmi su Monet e Robin, accigliata, Bibi che ride sulla mia spalla senza motivo e senza ritegno.
«Ma come…» comincio e non serve finire la domanda. Io e Nami siamo arrivate un po’ in ritardo causa lavoro ma anche loro non possono essere qui da più di mezz’ora.
«Hanno capito che è la sposa e le hanno portato subito due incaprettamenti a catena e un trenino dell’amore» spiega Robin con la stessa oggettività con cui analizzerebbe una situazione al lavoro.
«Purtroppo Bibi non regge benissimo l’alcool» aggiunge Monet, arraffando un’altra provetta, verde fosforescente. «E queste sono eccezionali. Comunque eviterò di scriverlo nell’articolo questo» mi rassicura indicando Bibi, proprio mentre una canzone purtroppo nota comincia a risuonare dalle casse.
 
[Gangnam Style – PSY]
 
Bibi si irrigidisce tra le mie braccia e solleva la testa di scatto, lo sguardo perso nel vuoto e la bocca appena schiusa. «Io adoro questa canzone» mormora sottovoce e mi rimette a fuoco. «Andiamo a ballarla! Ho visto tutti i video su youtube, conosco la coreografia!»
Sto ancora metabolizzando che la futura moglie di Trafalgar Law conosce a memoria la coreografia dell’inno del Kamabakka – “Non potrei mai nemmeno calcolare qualcuno che si è dato pena di imparare quella roba, Koala” – quando una mano si frappone fra il mio volto e quello di Bibi. Mi giro verso Izou che sorride in un modo che non mi piace neanche un po’.
«Ogni desiderio della sposa è un ordine, stasera» annuncia deciso e io non so più chi sto guardando.
Che fine ha fatto il mestruato e isterico? Che fine ha fatto il mio amico?!
Bibi afferra decisa la sua mano, barcolla nel mettersi in piedi e prima che chiunque di noi possa fermarli, Izou la sta già trascinando verso…
«Il palco della vergogna» esala Usopp, sconvolto. «Non possiamo lasciarla sola là sopra!»
Scambio un’occhiata con Nami, perché so a chi è rivolto quel plurale. Lei annuisce, io annuisco, tutti e tre ci alziamo in piedi con una provetta in mano. Non si può pretendere di fare questa cosa senza nemmeno un po’ di alcool in corpo.
Buttiamo giù il liquido fosforescente che, Santo Roger, se è forte e decidiamo di shottarne al volo un’altra, prima di pulirci la bocca e dirigerci decisi verso il patibolo della reputazione di chiunque.
Il gruppo scomposto di okama  e non, donne e uomini, vestiti in modo assurdo o normale, si sta sistemando con ordine per rendere giustizia alla canzone del loro locale e Bibi saltella in mezzo a loro, aggrappata al braccio di Izou. Ci dirigiamo verso di lei che ci lancia le braccia al collo entuasiasta appena ci vede, neanche ci fossimo salutate cinque minuti fa.
Scoppio a ridere. È completamente fuori!
«Sei pronta?» le chiedo, anch’io ormai pronta a gettare al vento qualsiasi pudore.     
«Prontissima!» annuisce solenne.
«Bene signori!» batte le mani Nami, autoritaria, mentre ci disponiamo intorno a Bibi, io e Nami ai suoi lati, Izou e Usopp appena dietro di noi. L’intero Kamabakka ci guarda, metà dei presenti sta registrando con il cellulare.
Io e Nami ci lanciamo un ultimo cenno di intesa.
«Fate largo alla sposa»    
 
Oppa Gangnam Style
 
La folla esplode in urla di approvazione quando partiamo con il ritornello, che è sinceramente una roba che solo Franky potrebbe rendere più imbarazzante eppure richiede un altissimo livello di sincronizzazione.
 
Op-op-op-op
Oppa Gangnam Style
 
Infatti per imparare a farlo così bene io, Usopp e Nami abbiamo dovuto provare duramente. Perché non è che la sappiamo per caso questa coreografia e, sì, ne vado fiera.
 
Op-op-op-op
Oppa Gangnam Style
 
Avanti fino al bordo del palco, mani sui fianchi.
 
Heeeeeeeey, sexy lady!
 
E dietro di nuovo fino al centro del palco.
 
Op-op-op-op
Oppa Gangnam Style
 
Bibi è impressionante considerato che è pure ubriaca.
 
Heeeeeeeey, sexy lady!
 
Deve essersi allenata davvero molto e lancio uno sguardo oltre la mia spalla verso Izou che, dal cenno che mi fa, capisco sta pensando la stessa cosa.
 
Op-op-op-op
He-he, he-he, he!
 
Memorie delle serate trascorse qui vengono in nostro soccorso quando è il momento di scambiarci di posizione ma nessuno pensa nemmeno per un secondo di prendere il posto di Bibi, che ci sta dando dentro di brutto.
Se penso che entro un’ora questa cosa sarà su youtube… Scoppio a ridere un’altra volta, attirando l’attenzione di uno degli avventori abituali del Kamabakka che mi fa un cenno di approvazione che ha il potere di farmi ridere ancora più forte.
E via con il per niente ambiguo movimento di bacino.
Sempre più giù, verso il pavimento, e di nuovo su, fino a stendere completamente le gambe. Di nuovo giù. Di nuovo su.
Un quarto dei presenti si sta riversando sul palco, il tonfo dei nostri piedi che tengono il tempo potrebbe far crollare un palazzo. Mio dio quanto è divertente!
Uno di loro si avvicina a Bibi.
«Ehi splendore! Chi è la fortunata che ti sposa?!» urla per sovrastare la musica.
Bibi lo guarda un attimo stranita, il tempo di capire il malinteso, per fortuna più lentamente di me. «Oh no! Io non sono lesb…»
«È la donna incinta laggiù!» mi intrometto indicando Robin, prima che sia troppo tardi. Da dove credete che abbia avuto origine tutto l’incidente di Sanji? «Non può ballare perché è, appunto, incinta!»
«Sembra un bel bocconcino!»
«Anche tu sei un bel bocconcino» afferma una voce alla mia destra. Mi giro verso una ragazza con i capelli rasati cortissimi che mi guarda con estremo interesse. Forse un po’ troppo.
«Spiacente, lei è con me» Nami mi trascina contro il suo fianco e simultaneamente ci stringiamo nelle spalle, prima che la sconosciuta se ne vada alla ricerca di una nuova preda. «Ehi tu!» si rivolge al ragazzo – gran bel ragazzo – che si è avvicinato a Bibi. «Il nostro amico Usopp, laggiù» indica poco dietro di lui Usopp che si muove divinamente a ritmo di musica. «Quello con il naso lungo e le movenze sexy!  È libero!» lo informa con un ghigno cospiratore che il tizio ricambia prima di partire all’attacco.
«Sei malefica» le sibilo ammirata e Nami allarga il ghigno.
«Se finisce in internet e lo vede magari si da una svegliata, quel damerino impomatato»
Corrugo le sopracciglia, sempre più divertita. «Come lo hai chiamato?»
«Koala, non iniziare!» mi ammonisce prima che le esponga di nuovo la mia teoria su come le persone con una forte connessione si contagino a vicenda nel linguaggio e nei comportamenti.
Ma non riuscirei nemmeno a tenere il filo ora e infatti mi distraggo talmente tanto quando mi accorgo che anche Monet, Baby e Perona ci hanno raggiunte che mi coglie totalmente alla sprovvista la mano che mi afferra per il gomito e mi trascina all’indietro strappandomi un piccolo urlo.
 
He-he, he-he, he!
 
«Hey sexy lady» mi saluta Izou attirando il mio bacino contro il suo – merito dei tacchi. I miei – «Non te la cavi niente male»
Suoto la testa sghignazzando.
«Anche tu non scherzi con il movimento di bacino»
Un ghigno malizioso gli piega le labbra mentre si china sul mio orecchio. «Non vuoi sapere come ho conquistato Marco?»
Arrivo a ponderare per un attimo la risposta prima di realizzare che non dovrei neanche pensarci, affrettarmi a rispondere: «No, grazie!» e unirmi di nuovo gli altri insieme a lui per il ritornello finale.
 
He-he, he-he, he!
Heeeeeeeey, sexy lady!
Op-op-op-op
Oppa Gangnam Style
 
Ci lasciano la prima fila del palco anche se non siamo di casa, una schiera di parrucche azzurre con una sola bianca al centro che scivolano al centro del palco e saltellano di nuovo fino al bordo.
 
Heeeeeeeey, sexy lady!
Op-op-op-op
 
Di nuovo tutte al centro, e per l’ultima sequenza prima della posa finale lasciamo che sia solo Bibi ad avanzare e prendersi tutte le entusiaste urla di approvazione.   
 
He-he, he-he, he!
Oppa Gangnam Style
 
Il boato che segue è assordante. Qualcuno degli addetti all’animazione spara coriandoli su di noi e tutto è talmente surreale che non capisco subito.
Nessuno di noi capisce, nessuno di noi lo sente davvero, il rumore. È come una bomba che esplode ma la registriamo solo a distanza.
Nessuno di noi capisce che il divertimento è finito finché una voce non riesce a sovrastare le altre.
«ATTENTI!!!»
E un attimo dopo, è il caos.
 

§
 
Da qualche parte a Raftel, un orario non meglio precisato intorno alle 21:30.
Mercoledì.
 

«Sì, direi che siamo proprio in ritardo» puntualizza, lanciando un’occhiata all’orologio del cruscotto.
Gli lancio un’occhiata atona. «Chissà come mai...» ironizzo, tornando a fissare fuori dal finestrino. «Lo sanno che se chi viene a rapire lo sposo si addormenta nel bel mezzo del rapimento, si perde l’effetto sorpresa?»
Ace sghignazza divertito e sterza per imboccare una strada che non mi dice niente, ma mi mordo la lingua. Solo perché io faccio sempre la stessa strada per andare al Corrida Colosseum non significa che lui non può avere un tragitto preferito diverso.
Speriamo solo non si addormenti mentre è alla guida. Ora che ci penso, come fa ad avere ancora una patente valida con un problema del genere? Sto ancora valutando se chiederglielo – se c’è sotto qualcosa di illegale preferisco non saperlo – quando mi precede e ciò che dice spinge le possibili attività illegali di mio fratello in secondo piano.
«Doveva venire Sabo ma all’ultimo mi ha chiesto di sostituirlo»
«Ah» mi acciglio. «Strano»
Non che mi senta offeso o abbandonato. Semplicemente, Sabo non si è mai lasciato sfuggire mezza occasione per stare da soli io e lui e mentirei se negassi che la cosa mi è sempre andata molto più che a genio. Quindi sì, è davvero strano che abbia accettato di cedere a Ace il ruolo di mio rapitore ufficiale e autista nella sera del mio addio al celibato – non che non mi faccia piacere trascorrere del tempo con lui, ovviamente. Resta pur sempre mio fratello – ma posso desumere si sia trattata di una decisione inevitabile, dettata da un qualche imprevisto dell’ultimo minuto.
Perciò sono sicuro che, per quanto strano, non ci sia sotto niente e che anzi tra noi va tutto bene. A differenza di Koala. Con lei sono altrettanto sicuro che qualcosa non va. E non è perché venerdì è sparita senza una parola e nemmeno perché non ha risposto alle mie otto telefonate di questo weekend.
So che qualcosa non va perché non mi ha cercato nemmeno dopo che ho deliberatamente ignorato il giorno più importante della sua attuale carriera lavorativa, coronato per altro da uno schiacciante successo.
E chiariamo, non l’ho ignorata per risentimento o rancore. L’ho fatto per capire e ora so, con matematica certezza e senza margine di errore, di aver fatto qualcosa. Non so esattamente cosa, ci sto riflettendo da giorni in ogni minuto che riesco ad avere libero delle mie giornate, ma qualcosa ho fatto e temo possa essere anche una cazzata abbastanza grossa.
Non esiste al mondo che Koala mi ignori così senza un motivo. La sua scomparsa venerdì sera mi ha stranito. La sua caparbia determinazione nell’evitare le mie telefonate mi ha messo in allerta. Ma la totale assenza di un rimprovero, telefonico, scritto o di persona, di fronte al mio apparente disinteresse per le sorti del futuro di un’amica è stata la prova del nove. Non esiste al mondo che Koala riesca a resistere alla tentazione di farmi presente che mi sto comportando da stronzo. E se sono la persona che sono, con una morale, solidi principi e una capacità sia anche solo apparente di relazionarmi con gli altri nonostante sia un sociopatico border-line, lo devo indubbiamente a Dragon, Cora e Makino ma lo devo anche sicuramente a lei e a questa sua abitudine, oltre che alla sua testardaggine e alla sua tendenza a parlare anche quando non hai voglia di ascoltarla.
Porto una mano a coprire il sorriso che non riesco a trattenere, anche se c’è poco da sorridere. So che è la mia serata e non dovrei pensarci ma non riesco a smettere di chiedermi che ho fatto di tanto grave da portarla a riservarmi un trattamento del genere.
Vorrei chiamarla e chiederglielo. Avrei dovuto farlo già ieri, sarebbe stato quello che chiunque altro avrebbe fatto al mio posto ma io purtroppo non sono una persona normale. Io ho una grave malattia incurabile, chiamata orgoglio patologico.
Sono capace di chiedere scusa – magari in modo non proprio diretto – e ammettere di avere torto quando mi rendo conto di sbagliare – per lo più con me stesso e mai ad alta voce –. Ma venire punito senza un apparente motivo mi trasforma in questa… cosa insensibile che sarebbe capace di vincere una gara di silenzio con una statua di pietra.
Ed è stupido. Il problema è anche la soluzione.
Se la chiamassi e mi facessi spiegare dove ho sbagliato potrei valutare se merito davvero un simile trattamento e a quel punto decidere se chiedere scusa o tornare a fare il cocciuto e ricominciare a ignorarla. Ma per chiamarla dovrei smettere di ignorarla prima di sapere con sicurezza che non mi parla per un motivo valido e questo pensiero mi provoca l’orticaria.
D’altra parte, sono due notti che dormo di merda e la situazione sta diventando ridicola. Okay, va bene. Domani la chiamo.
Lo farei anche adesso ma non è detto che si tratti di una questione risolvibile in cinque minuti e non voglio rovinare la serata che Sabo ha organizzato con tanto impegno. Non sarebbe giusto. Koala mi rivolterebbe come un calzino se lo facessi.
«Preoccupato per qualcosa, Law?»
«Mh?» mi riscuoto e mi volto di nuovo verso Ace. «Ah no, io stavo solo… ammirando il panorama» mi acciglio per la mia stessa risposta.
In realtà non so nemmeno dove siamo. Quanto ci stiamo mettendo a raggiungere il Colosseum?
«È proprio una bella notizia che alla fine Koala abbia risolto al lavoro eh?!» cambia di colpo argomento Ace e io non trattengo un’espressione incredula.
Ogni volta che penso a lei, Ace la nomina. Cos’è, un sesto senso?
«Sì. Infatti lo è» mormoro dopo un manciata di secondi, muovendomi a disagio sul sedile e stringendo una mano sul ginocchio. Non capisco cos’è questa sensazione alla bocca dello stomaco.
«Sicuramente ora che non ha più questo pensiero si godrà molto di più l’addio al nubilato» continua imperterrito. Il mio stomaco fa una capriola. C’è qualcosa nel modo in cui Ace ha messo giù la frase che fa quasi sembrare che l’addio al nubilato sia per lei, anziché per Bibi. «E vedrai che venerdì sarà quella più sul pezzo di tutti. Io prevedo che ti salverà ripetutamente il culo» sghignazza divertito e poi, sempre sorridente, si gira un momento a guardarmi. «Perché tu venerdì ti sposi, vero?»
Poco ci manca che mi strozzo con la mia stessa saliva. Che razze di domande fa?! Cosa… cosa si aspetta che risponda?!
«Ma certo che ti sposi!» esclama poi, dandomi una poderosa pacca sulla spalla. «E stasera, amico mio, festeggeremo degnamente la fine della tua libertà! Questa notte passerà alla storia!»
«Ace! Attento, c’è uno st…»
Porto istintivamente le mani davanti al volto quando inchioda, stridendo con le ruote sull’asfalto, il deficiente.
«Ace…» comincio, omicida, ma le parole mi muoiono in gola quando mi accorgo di come mi fissa, approfittando della macchina momentaneamente ferma.
C’è qualcosa, nel suo sguardo, che mi fa sentire scoperto. È limpido e trasparente, quasi saggio, sembra che riesca a vedere attraverso di me ma non è come se stesse fissando il vuoto. È difficile spiegarlo ma non è la prima volta che mi ritrovo a fare i conti con un’occhiata del genere.
Solo che finora mi era capitato sempre e solo con Cora. E ancora una volta mi rendo conto di quanto siamo cresciuti, di quanto non siamo più bambini. Realizzo per la prima volta che al momento Ace ha esattamente l’età che aveva Cora quando ci siamo conosciuti. Mi rendo conto che non stiamo più giocando, che il futuro non è più futuro ma è solo dopodomani e una malsana, improvvisa voglia di scendere da questa macchina e mettermi a correre mi investe.
Solo che non so per andare dove. O da chi.
«Ovviamente, Law, anche dopo una serata così indimenticabile, nessuno ti impedisce di cambiare idea»
Aggrotto le sopracciglia, non so nemmeno io se sono arrabbiato per quello che sta dicendo o per quello che non sta dicendo.
«Ace…» comincio più deciso, ma ancora una volta mi interrompo quando lui riparte sgommando, violando credo almeno tre norme del codice stradale in un’unica manovra.
E una parte di me è improvvisamente grata alle pessime abitudini al volante di mio fratello, che mi danno la scusa di non pensare a quello che ho appena sentito, così come l’impressione che stiamo sbagliando strada.
«Il Colosseum non è da questa parte» gli faccio presente e il ghigno cospiratore che mi rivolge è la definitiva conferma che, stavolta, sono riusciti a mettermi davvero nel sacco.
«Ma noi non stiamo andando al Colosseum»
E mi stupisco di me stesso, per aver creduto anche solo per un attimo che davvero Sabo si sarebbe accontentato di bere una cosa – okay, sbronzarci alla morte – al nostro solito bar. L’unica spiegazione che riesco a darmi è che il mio cervello fosse troppo focalizzato su altro per riuscire a riflettere davvero su tutto il resto.
«E dove stiamo…» faccio per chiedere ma non appena Ace svolta di nuovo a destra non ne ho più bisogno.
Riconosco immediatamente le sottili luci al neon verdi e rosse che si intrecciano a formare l’insegna di Spider Miles, il laserodromo situato poco fuori Raftel.
E questa sensazione, almeno, la riconosco subito.
Entusiasmo. Euforia.
Ebbene sì, lo ammetto. A Trafalgar Monkey D. Law piace il lasertag. Così tanto che nel momento in cui capisco come festeggeremo il mio addio al celibato mi sembra di essere regredito ai dieci anni anche se esteriormente non lo do a vedere.
«Non ci credo»
«E invece credici, fratello» risponde Ace, entrando con calma nel grande parcheggio sterrato, vuoto per metà essendo una serata infrasettimanale.
Piazza la Firefist alla meno peggio di fianco a una mostruosità su quattro ruote che non ha avuto la fortuna di capitare nelle mani di un guidatore migliore di lui, spegne il motore e si gira a guardarmi con estrema serietà.
«Okay, Law, adesso comincia ufficialmente la serata. E la prima regola per stasera è: spegni il cellulare»
Lo fisso interdetto per un attimo. Che ha detto?!
«Perché dovrei spegnere il cellulare?»
«Perché se ti chiamano dall’ospedale tu rispondi»
«Rispondo perché è importante»
«Stasera possono fare a meno di te»
«Continuo a non capire perché non posso tenerlo acceso»
«Law!»
Non voglio spegnere il cellulare. Non è solo l’ospedale che potrebbe chiamarmi. Ma Ace non sembra molto intenzionato a cedere e so di essere in svantaggio stasera. Posso impuntarmi con lui ma non posso spuntarla contro il gruppo al completo. C’è un solo modo che mi viene in mente per volgere la situazione a mio favore.
«Va bene. Se tu spegni il tuo, anzi se tutti spegneranno il cellulare, io spengo il mio» lo sfido, già certo della mia vittoria.
Figuriamoci se corre il rischio di non essere rintracciabile con Perona che è uscita a festeggiare fino all’alba e… e… che sta facendo?!
Lo osservo sconvolto estrarre il proprio smartphone e spegnerlo senza troppe cerimonie.
«Ecco fatto. Ora lo diciamo anche agli altri, intanto tu spegni il tuo»
Sbatto le palpebre un paio di volte, ancora immobile. Non voglio spegnere il cellulare. Ma l’ho sfidato e sono un uomo di parola. E credetemi, nulla è peggio che essere un uomo di parola con un patologico orgoglio che perde una sfida.
Non ho alternative, ora, a meno di non volermi far rinfacciare qualcosa che non voglio sentirmi rinfacciare. Con un’occhiataccia, estraggo riluttante il mio cellulare ed esito. Lo sblocco per controllare un’ultima volta lo schermo.
Nessuna chiamata, solo un paio di messaggi su Whattsapp ma mi basta abbassare al volo la tendina per vedere che nessuno è da parte sua.
Ace si schiarisce la gola.
«Ho capito» lo fulmino, prima di decidermi a spegnerlo.
Quando scendo dalla macchina e lo lascio scivolare di nuovo nella tasca, però, devo ammetterlo. Mi sembra molto più leggero. Forse è proprio quello che mi serve, staccare un po’ dal lavoro e da tutto il resto. Svuotare la testa e godermi la serata.
Lancio un’occhiata alla struttura bassa e rettangolare, che occupa un perimetro che potrebbe tranquillamente ospitare una caserma militare, alle luci che formano una specie di ragnatela piatta e allungata.
Scrollo le spalle, determinato.
Sì, questa serata voglio anche io che sia indimenticabile. 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Da qualche parte a Raftel, un orario non meglio precisato intorno alle 21:30.
Mercoledì.
 
Si potrebbe pensare che sono una persona con pochi amici e la cosa di certo non mi stupirebbe.
Sul lavoro le persone con cui vado d’accordo sono letteralmente tre o quattro – il numero oscilla perché con Pen e Shachi vado a giornate –, per Benn è più che altro ammirazione e tutti gli altri non valgono nemmeno la pena di sforzarmi per averci un confronto, a meno che non sia strettamente professionale. E inevitabile.
Sono saccente, arrogante, convinto di sapere sempre tutto e avere sempre la risposta giusta. Odio essere prevedibile, odio che qualcuno capisca cosa sto pensando, odio mettermi a nudo. Faccio fatica a far entrare le persone nella mia vita, nascondo la mia paura di perderle con del falso disinteresse. Adoro prendere gli altri per il culo.
Sì, su carta e in circostanze normali, i miei amici – ammesso e non concesso di averne – si potrebbero contare sulle dita di una sola mano. Se anche fosse non mi darei certo pena, ho sempre creduto nel “pochi ma buoni”.
Ma mentre mi avvicino all’ingresso dello Spider Miles, fuori da cui sono tutti fieramente schierati in mia attesa, non posso certo affermare che siano pochi. Eppure sono tutti decisamente “buoni” e sono tutti qui per me. I miei fratelli, i miei amici, gli amici dei miei fratelli diventati miei amici. I tre uomini che mi hanno tirato grande.
Li passo in rassegna, tutti con il blazer nonostante faccia un caldo mortale, tutti in jeans e con le t-shirt bianche con la scritta Suicide Squad – che ora ha acquistato senso – punteggiata dall’ultima geniale ed inutile invenzione della Ivankov&Co, identiche a quella che Ace mi ha obbligato a mettere – anche se la mia è di un osceno giallo senape – prima di provare a trascinarmi fuori di casa, addormentarsi e poi trascinarmi davvero fuori di casa.
Sì, mentre mi avvicino all’ingresso dello Spider Miles non posso fare a meno di pensare a quanto sono fortunato.
Hanno accolto Pell – l’unico che posso definire davvero un amico ad Alabasta – a braccia aperte e lo hanno fatto sentire subito parte del gruppo, hanno organizzato tutto questo per me, che non mi sono fatto praticamente vivo per due anni e mi sarei accontentato di una semplice bevuta al solito posto.
Sono contento che Pell, così come Bibi, li abbia alla fine conosciuti. Sono contento che ci siano anche Marco e Duval e Satch, anche se lui di certo non me lo aspettavo.
Sono abbastanza contento da sorridere, sorridere davvero, quando Sabo mi viene incontro a braccia aperte per darmi un goliardico abbraccio.
«Come va?» domanda mentre si stacca da me.
«Per ora non mi lamento» ribatto prima di abbassare la voce. «Non riesco a credere che hai davvero invitato anche Cora, Dragon e Shanks»
«E io non riesco a credere che tu avessi ancora dei dubbi al riguardo» sussurra, adattandosi al mio tono. «Ma perché, non sei contento che ci siano?»
«Sì» ammetto con un ghigno e uno sbuffo divertito, la guardia abbassata per una volta. «Ma Satch? Non che non sia contento di vederlo»
«Usopp non è potuto venire, ha avuto un contrattempo e Izou…» lancio una rapida occhiata a Sanji, che fuma una sigaretta e chiacchiera tranquillo con Zoro. Apparentemente sembra stare bene ma ha delle occhiaie che fanno paura. Dev’essere successo qualcosa. «…aveva già deciso di andare all’addio al nubilato, perciò ci mancava un giocatore e sai com’è Satch. Basta che ci sia casino…» lascia la frase in sospeso e mi posa le mani sulle spalle, guardandomi con un misto di orgoglio e sadismo. «Allora, sei pronto?»
«Non ho abbastanza informazioni per rispondere a questa domanda» ribatto, sollevando un sopracciglio. Forse mi avranno colto impreparato ma non sono così ingenuo da non sapere che c’è sicuramente sotto dell’altro.
Con un sorriso che mi piace anche meno, Sabo si gira verso il resto del gruppo, restando al mio fianco. «Bene, signori, ripassiamo un attimo le regole della serata»
«Prima di cominciare…» si intromette Ace, con un rapido cenno rivolto a Sabo per scusarsi dell’interruzione. «…dobbiamo rispettare una richiesta dello sposo, che ha accettato di spegnere il proprio cellulare solo se anche noi spegniamo i nostri»
Mentirei se dicessi che non mi colpisce la tranquillità con cui tutti subito si adoperano per soddisfare la mia richiesta – che era in realtà solo un disperato tentativo di tenere acceso il mio – senza nemmeno protestare ma immagino che, con tutte le ragazze al KamaBakka e la prospettiva di una serata di lasertag non ci sia poi molto da perdere a spegnere i cellulari.
«Che cazzo?! Dobbiamo spegnere il cellulare?»
Una voce ruggisce quasi alle mie spalle e io mi irrigidisco. Non può essere…
«Eddai K2, non fare il polemico! Tanto a cosa ti serve là dentro? Neanche prende!»
Sant’iddio, non è possibile! Deve essere un incubo!
Ma una rapida occhiata oltre la mia spalla mi conferma che, invece, è possibile eccome. Afferro il retro della giacca di mio fratello e strattono per avvicinare il suo capo al mio. «Cosa ci fanno loro qui?»
«Koala si è raccomandata che li invitassi quando le ho detto cosa volevo organizzarti, mi ha anche procurato i loro numeri di telefono» si stringe nelle spalle Sabo, prima di corrugare la fronte. «Tra l’altro è stato un casino trovare due T-shirt della taglia giusta. Ma dove li hai conosciuti? Non hanno nemmeno vent’anni»
«Lascia stare» sospiro rassegnato.
Santo Roger, quanto riesce a essere diabolica.
«Bene, stavo dicendo le regole» riprende a parlare Sabo, la voce impostata e la postura autoritaria, come un comandante che motiva le truppe. Razza di imbecille. «Questa sera ci sfideremo a uno scontro all’ultimo sangue da cui solo metà di noi potrà uscire vincitrice e ricoperta di imperitura gloria. Questa sera ci affrontiamo…» si gira a guardarmi con un sorriso cospiratore. «…in un death match» annuncia solenne e anche io sogghigno perché questa è, ovviamente, la mia modalità preferita di lasertag.
«Io capitanerò una squadra, Law l’altra e, in via del tutto eccezionale, solo perché si sposa, a lui l’onore di scegliere il primo componente della propria squadra senza dover affrontare l’ardua prova del “testa o croce”. E per finire…»
Mi accorgo che                 è già da un attimo che Rufy e Chopper stanno distribuendo qualcosa a tutti ma non devo faticare molto per scoprire cos’è quando Rufy mi viene incontro, tendendomi una borraccia da occhio e croce ottanta/ottantacinque centilitri che ho la netta sensazione non contenga acqua.
«…tutti e sottolineo tutti dovremo bere un sorso di gin tonic dalla borraccia ogni volta che qualcuno di noi griderà…»
«Geronimo!!!» gridano tutti all’unisono.
«Suuuuuper!!!» grida solo Franky.
«Franky!»
«Eddai! L’avevamo provata!»
«Concentrati!»
«Scusate fratelli, mi sono fatto prendere dall’emozione perché questa serata è davvero troppo Suuuuuperrrrrr!!!»
«Sabo» lo chiamo, prendendolo di nuovo da parte. «Sei uscito di testa?! Una di queste è quasi un litro di alcool senza ghiaccio, ci ammazziamo se beviamo tutta questa roba! Non puoi essere serio!»
Ma purtroppo lo so, e lo vedo anche dalla sua espressione, che invece è serio. Eccome se è serio.
«Sì che sono serio. E credimi, ci servirà visto che abbiamo affittato metà del laserdromo» prosegue, fiero di sé. Io, d’altra parte, non sono affatto certo di aver sentito bene.
Metà dello Spider Miles?! Sono impazziti?!
Il cuore mi si allarga al centro del petto e al tempo stesso mi domando fino a che ore resteremo qui dentro. Questo posto è enorme, giocando su metà sito sarà come giocare outdoor, con vere imboscate, agguati e stalli!
Dio, non vedo l’ora.
Lo sto ancora fissando incredulo quando Sabo mi da una pacca su una spalla e mi rivolge un sorriso sinistro e cospiratore.
«Fratello, ti prometto che questa serata sarà indimenticabile»
 
§
 
                                                   
                                             Spider Miles Lasertag Game
                                            Shichibukai VS Dragon’s Claws

 
Shichibukai   Dragon's Claw
     
Trafalgar Monkey D. Law – Leader   Monkey D. Sabo – Leader
     
Portuguese Monkey D. Ace – Vice   Monkey D. Rufy – Scout
     
Saavedra Corazón   Monkey D. Dragon
     
Nefertari Pell – Scout   Roronoa Zoro – Vice
     
Vinsmokes Sanji – Medico   Cocoyashi Chopper - Scout
     
Cuttyflam Franky – Artigliere   Rumbar Brook – Cecchino
     
Akagami Shanks   Rosylife Duval
     
Newgate Marco – Scout   Melville Satch – Medico
     
Vhoores Killer – Cecchino   Eustass Kidd – Artigliere
 
 



«Solo un ripasso veloce delle regole. Se venite uccisi potete restare nell’arena come se fosse elementi di arredo. Potete tifare per i vostri compagni ma non potete segnalare la posizione degli avversari»
 

«Okay se conosco bene Sabo, e lo conosco bene, vorrà farci credere che il suo vice è Rufy ma non me la bevo. Ha sicuramente scelto Zoro e potrebbero dividersi per provare ad accerchiarci dopo la ricognizione. Marco, Pell, voi siete gli scout ma anziché aspettare il via libera io dico di muoverci tutti insieme su due traiettorie parallele ma differenti mentre io e Killer ci spostiamo da soli per un pezzo e cerchiamo di intercettare i loro scout»
«Fratello, questo piano è veramente…»
«Franky no!»
«SUUUUUPAAAAAAA!!!»
Chiudo gli occhi rassegnato mentre il suono della pettorina di Franky segnala che più morto di così non potrebbe essere. E, ovviamente, non è uno dei resuscitabili.
«Ops»
«GERONIMO!!!»
«Cominciamo bene…»
 
§
 
 «Se qualcuno della squadra avversaria vi usa per nascondersi, come con una cassa o un barile, non potete rifiutarvi e non potete parlare con loro»
 

«Allora?» chiedo a Marco e Pell, di  ritorno dal giro di ricognizione.
«Siamo riusciti a colpire Duval e forse abbiamo capito la loro strategia» spiega Pell, il fiato grosso. «È un death match ma si comportano come se fosse una partita VIP. Stanno proteggendo Dragon, credo vogliano tenerlo in vita fino all’ultimo per vincere»
«Questa è un’informazione molto ut…»
«GERONIMO!»
 
 
§
 
«Se due di voi vengono uccisi possono parlare tra loro»
«E devono comunque bere all’urlo di “Geronimo”»
 

«Ehi Fratello Nasoblu! Tutto bene?» ascolto Franky con un orecchio che accoglie Chopper al suo fianco, restando ben nascosto dietro la sua schiena, concentrato sul mio obbiettivo.
«Credo di essere un po’ fuori Franky» risponde lui con voce impastata. «Mi sa che abbiamo sbagliato qualcosa con questi gin-tonic. Me lo ricordavo meno forte»
«Perché dici?»
«Mi sono sparato da solo»
«GERONIMO!!!»
 
§
 
«In caso di assedio, l’artigliere può richiedere una bukimorphosis del proprio fucile e dichiarare al suo posto una qualsiasi altra arma per trenta secondi.La portata dell’arma dell’artigliere verrà aumentata dalla sala comandi in base alla modifica richiesta. State attenti»

 
«Se stiamo trincerati così non otteniamo niente» mi fa notare Killer, più agguerrito che mai.
Lancio un’occhiata a Shanks e Cora, con cui ci siamo ritrovati infognati in questo vicolo senza uscita. Cosa mi è venuto in mente di fare Franky artigliere, dannazione?!
Shanks e Cora si scambiano un’occhiata eloquente e che non mi piace per nulla.
«Andiamo noi» annuncia Shanks e io sgrano gli occhi.
«Che?! No! Non potete è un suicido! Cora…»
Smetto di parlare quando Cora mi posa una mano sulla spalla, serissimo. «Possiamo liberarvi la strada. Questa vittoria sarà vostra, Law. Te lo prometto»
Per un attimo penso di protestare ma so che non c’è altra soluzione. Poi un pensiero mi coglie.
«Cora!»
«Dimmi»
«So che sarà un gran casino ma, se riuscite, non colpite Eustass-ya» ghigno sadico. «A lui vorrei pensarci io»
 
 §
 
«Il medico può resuscitare solo tre compagni e per un massimo di due volte e non può resuscitare se stesso. Scegliete bene» 
  

Svolto l’angolo e mi fermo di colpo, il fucile puntato contro Satch che lo punta contro di me.
«Okay, Satch, parliamone» comincio con calma. «Che ne dici di venire al matrimonio? Non ci metto niente ad aggiungerti a uno dei tavoli»
Satch arcua le sopracciglia e si rimette dritto. «Dici davvero?»
«Sì certo»
«Beh  amico a me farebbe un sacco piacere» ride lui. «Ma sei sicuro che non sia l’alcool a parlare?»
«Assolutamente» annuisco deciso. «Non ti ho mai ringraziato per aver trascinato via Ace dalle cattive compagnie»
Satch sbatte le palpebre, colpito dalle mie parole.
«Beh Law, questo… questo davvero io…»
«GERONIMO!»
Con un sospiro, entrambi solleviamo la borraccia. Per fortuna io riesco a bere e prendere la mira contemporaneamente. Esulto senza troppe remore quando la pettorina di Satch si spegne.
«Niente di personale! E ti aspetto al matrimonio allora!» ribadisco, mentre mi allontano di gran carriera.
 
§
 
«Vince la squadra che, al momento dello sterminio completo degli avversari, ha ancora almeno un giocatore in vita»  
 
«E così finisce qua» annuncia Sabo solenne. «Quattro contro quattro»
«Geronimo!» 
«Sareste stati quattro contro cinque se Torciglio non si fosse distratto con le ragazze che giocano nell’altra arena»
«Marimo sta zitto!»
«Geronimo!»
Ci fronteggiamo, fermi in mezzo allo spiazzo delimitato da casse e barili. Io, Pell, Ace e Killer da una parte. Sabo, Dragon, Rufy e Eustass-ya dall’altra. Stessi numero di avversari allo scontro finale è sinonimo di una partita ben giocata strategicamente. Potrei anche essere soddisfatto se solo non fossi determinato a vincere.
«Finiamola come ai vecchi tempi, Sabo. Uno contro uno» propongo, conscio che è la mia miglior possibilità. Purtroppo, nonostante tutto l’alcool ingerito, ne è conscio anche Sabo.
«GERONIMO!!!»
«E allora la smettiamo?!» protesto e faccio l’imperdonabile errore di voltarmi di tre quarti verso quel gruppo di deficienti. Per fortuna la mia visione periferica è ben sviluppata come anche il mio istinto e riesco a scostarmi al volo, puntando al contempo il fucile, senza mirare ma sparando il raggio dritto verso Rufy che non farà mai in tempo a scostarsi.
Se non che Ace però fa in tempo a buttarsi davanti a lui, facendosi uccidere.
«Ace!!!»
«Oh ma andiamo!» allarga le braccia Killer.
Ace si tira su con il busto da terra, una mano sulla nuca. «Scusate, ragazzi, è stato istintivo» si giustifica con un sorriso imbarazzato che riceve solo occhiate atone in risposta.
«Okay, vediamo di farla finita» morsica Killer tra i denti e un attimo dopo è un delirio di spari e fasci di luce.
Sento Eustass-ya imprecare e spero vivamente che sia stato un mio colpo a prenderlo in pieno e poi succede. Non so esattamente come. Killer riesce a dare il colpo di grazia a Rufy e io mi distraggo quel poco che basta a Sabo per prendere la mira e sparare. Pell si getta davanti a me e si prende il raggio, io spiano il fucile sopra la sua spalla e senza più tante cerimonie sparo a Sabo e Dragon, spegnendo le loro pettorine un attimo prima che la mia faccia la stessa fine.
C’è un attimo di silenzio totale, in cui l’aria si può tagliare con un coltello.
Poi, il fiato grosso, mi giro lentamente verso Killer che ha la pettorina ancora accesa. L’unica della stanza. Getto il capo all’indietro, sollevato.
Abbiamo vinto. Abbiamo vinto!
Con un gesto stanco, lancio le braccia al soffito, tenendo il capo reclinato all’indietro e gli occhi chiusi. «Geronimo!» esclamo secco e dopo un attimo mi ritrovo tutti i miei compagni di squadra che mi prendono a pacche sulle spalle, la borraccia in mano.
 
§
 
Spider Miles, un orario imprecisato dopo le 23:00.
Mercoledì.
 
Usciamo dall’arena sudati fradici e pieni già quasi al massimo. Questi gin-tonic erano fatti veramente male. Persino io che reggo l’inverosimile per la stazza che ho trovo difficile stare dritto a causa del peso del fucile. E la cosa si fa ancora più complessa quando Sabo si aggrappa praticamente alla mia spalla.
«Ehi! Allora?!» mi domanda, pieno di aspettativa e con un sorriso che mi sembra teso. Ma forse sono solo obnubilato dall’alcool. Gli passo un braccio intorno alla vita, anche per ritrovare l’equilibrio, mentre superiamo Killer e Kidd, seduti su due barili all’esterno dell’arena, gli occhi puntati su un cellulare.
«Killer ma non si vede un cazzo! Che video è?»  
«È un link streaming, me lo ha girato Wire ma non funziona forse. Aspetta che provo ad andare indietro…»
«Grande serata» confermo a Sabo, distogliendo l’attenzione dai due mocciosi. Sabo sorride soddisfatto e un po’ cospiratore.
«E non è ancora finita» annuncia, cogliendomi alla sprovvista.
Per carità è ancora presto ma non mi piace quell’espressione.
«Ci aspettano al Colosseum»
«Che? Sabo, Chopper è già vicino al come etilico!» esclamo ma lui si stringe nelle spalle.
«Lo teniamo lontano dall’alcool. O diciamo a Gatz di non dargli niente, credo sia più sicuro visto che tra un’ora non sapremo nemmeno più come ci chiamiamo» ridacchia, fin troppo alticcio. «Dai su! È una serata che si vive una volta nella vita, o almeno si spera! E poi l’ho promesso a  Koala, che avremmo sfoggiato un po’ i loro cosi qui…» prova a indicare almeno una delle applicazioni sulla maglietta, ma fallendo a ogni tentativo.
«Cloth tattoo» vengo in suo aiuto, il tono smorzato.
Non so che mi prende stasera. È bastato che nominasse Koala per mandarmi in palla ed è già la seconda volta. Nel momento in cui ha detto il suo nome ho sentito un impulso quasi doloroso di accendere il telefonino e al tempo stesso un rigetto all’idea. Non voglio scoprire che non c’è niente di suo, né una chiamata né un messaggio. E d’altra parte, sono certo che sia così, ragion per cui tiro dritto oltre il bancone dietro cui Buffalo ha raccolto tutti i nostri effetti personali scomodi da portarci dentro e proseguo verso il bagno.
«Va bene, ma devo andare un attimo a sciacquarmi la faccia prima di ripartire» annuncio staccandomi da lui.
«Vai, vai. Io ti aspetto qui!» si sbraccia e il solo movimento rischia di farlo cadere.
Scuoto il capo, mio malgrado divertito, e faccio per girare l’angolo che porta ai bagni. Qualcuno mi viene addosso, o forse sono io che vado addosso a lui. Barcollo all’indietro, affatticato e annebbiato dall’alcool, e metto a fuoco Dragon.
«Oh scusa, papà» dico di getto.
E il tempo si ferma.
Occhi sgranati, ci fissiamo senza fiato e senza parole.
Che ho… che ho detto?!
Mando giù a vuoto e anche lui sembra abbastanza impegnato a litigare con qualcosa in gola. In tanti anni, è la prima volta che lo chiamo “papà”.
Ed è la sensazione più bella del mondo.
Restiamo immobili alcuni istanti, incerti sul da farsi. Poi, complice il gin-tonic, l’euforia e la stanchezza, facciamo la cosa più naturale eppure per noi più difficile. Lui mi viene incontro a braccia aperte e io me lo stringo addosso. Mi da qualche goliardica pacca sulla schiena e a ogni colpo sento la voce nella mia testa ripetere “Tu non sei mio padre” sempre più piano e sempre più flebile. Ho lo stomaco tutto sotto sopra, ma è una bella sensazione, e com e dei piccoli petardi che scoppiettano nel mio petto.
Santo Roger, a sapere che era così semplice lo avrei fatto prima!
Non so per quanto restiamo abbracciati ma quando ci stacchiamo sono sicuro di non essermeli immaginati, gli occhi lucidi di Dragon. Sposta le mani sulle mie spalle, guardandomi con orgoglio e un affetto che quasi mi spezza il cuore.
Che coglione sono stato a fare il distaccato per tanti anni per paura di un episodio così vecchio che lui magari nemmeno lo ricorda.  
«Come stai, figliolo?» mi chiede, come se mi vedesse ora per la prima volta da quando sono tornato. E forse è proprio così.
«Bene» annuisco, anche io provato emotivamente per quanto cerchi di non darlo a vedere. «Sto bene, papà»
Suona davvero bene. Non devo nemmeno prendere dimestichezza con la parola.
«Sei pronto per il grande giorno?» domanda ancora e mi rendo conto che non sono l’unico ad essersi trattenuto per tutte queste settimane e tutti questi anni. Mi sta trattando come Ace, Sabo o Rufy e realizzo che l’unico ostacolo al nostro rapporto per tutto questo tempo sono sempre stato io.
Lo confermo, sono un coglione.
«Sì io… credo di sì» esito, dando voce a dubbi che neppure io ero conscio di avere.
Papà se ne rende subito conto e corruga le sopracciglia. Non mi ha ancora lasciato andare. «Credi?»
«È un passo importante» cerco di minimizzare. «Penso sia normale avere qualche dubbio»
Lui ci riflette un attimo. «Beh sì ma fino a un certo punto. Law, ascolta, io mi sono sposato giovanissimo con vostra madre e quel giorno per un attimo mi sono spaventato a morte. Ma poi mi sono reso conto che nessuna donna mi avrebbe mai reso felice e fatto sentire al sicuro quanto lei. E in quel momento ho avuto la certezza assoluta e totale che avrei passato il resto della mia vita con lei. E così è stato almeno finché ci è stato possibile. E sì, forse ci siamo sposati prima del necessario ma aspettare non avrebbe avuto senso per noi perché ci appartenevamo comunque. Perciò se tu ti senti così, non devi temere nulla» mi rassicura ma mi rendo conto dal suo sguardo che aspetta una risposta. Vuole essere rassicurato anche lui.
Pondero per quanto mi è possibile le sue parole, lascio vagare la mente senza i filtri razionali che applico sempre a tutto, rievoco momenti e sensazioni di me e lei insieme e la risposta sale spontanea alle mie labbra, insieme a un mezzo ghigno.
«Allora puoi stare tranquillo papà. Sono pienamente, al cento per cento sicuro di voler passare il resto dei miei giorni con Koala»
E il tempo si ferma di nuovo. Un’ondata di nausea mi rivolta lo stomaco. La mandibola rischia di cadermi a terra.
Che cosa… come… c-che ho detto?!
Anche papà è sconvolto e sono sicuro che la sua espressione riflette la mia.
«Law…»
«Papà, io… io…» balbettò in difficoltà. Dev’essere colpa dell’alcool. Dev’essere perché sono in fissa con lei da giorni per questo litigio che non capisco.
Ma, ora che ci penso, perché sono in fissa da giorni? Perché non ho fatto come sempre e non l’ho chiamata per mettere le cose in chiaro? Perché l’altro giorno, alla Collina del Sole, quando lei mi ha chiesto se amavo Bibi e poi ha fatto tutta quella tirata sull’amore io… io…
«Ehi futuro sposo! Vieni a vedere la tua quasi moglie che da spettacolo al Kamabakka!» mi chiama Killer, riportandomi bruscamente alla realtà. Mi giro verso di lui, accigliato. Di che sta parlando?
Ora, vista la recente illuminazione che ho avuto, per giunta di fronte a mio padre, questo dovrebbe essere l’ultimo dei miei problemi. Ma sono confuso, non so cosa significa e ho bisogno di pensarci a mente lucida, il che evidentemente non potrà avvenire prima di domani. Nel frattempo, voglio evitare di generare sospetti in chicchesia e quasi tutti mi guardano in attesa perché, d’altra parte, non è cosa da poco quella annunciata da Killer. In circostanze normali persino io sarei curioso di capire, persino da sobrio.
Barcollante, più per la scarica emotiva che per l’alcool, mi dirigo verso di lui. Kidd sogghigna divertito, Killer fissa lo schermo con malizia. Mi accosto a loro e scruto sul telefonino di Killer, posto orizzontalmente, un video live del palco del Kamabakka che mostra un gruppo di persone con parrucca azzurra in testa che si scatena al ritmo di Gangnam Style. Al centro  c’è un’unica ragazza con la parrucca bianca ma non è lei ad attirare la mia attenzione né è lei che mi viene indicata da Killer.
«È qui» dice, puntando il dito sulla ragazza a destra di Bibi.
Giusto. Loro pensano che sia Koala la donna che devo sposare. Mi manca un po’ il fiato al momento, credo di essere vicino a un crollo nervoso.
«Ci da dentro eh!» sghignazza Killer, muovendo il capo a ritmo di musica. «Peccato che siamo in differita di più di mezz’ora»
«Non avresti comunque raggiunto il locale in tempo» gli faccio notare asciutto. Non tanto per la distanza proibitiva quanto per il fatto che lo avrei ucciso prima.
Torno a concentrarmi sullo streaming. Alle spalle di Bibi intravedo Usopp che sembra intento a conversare con un ragazzo e non trattengo un’occhiata di striscio in direzione di Sanji, che fissa il video a labbra strette. Di fianco a lui Zoro sghignazza divertito, almeno finché sua sorella non appare sullo schermo.
«Guarda che brava, la mia Voodoo!» 
Non so se sia l’alcool o la stupidità di mio fratello ma persino a me ora viene da ghignare. E ci sarebbe poco da farlo, visto che io odio questa canzone, che per fortuna è ormai agli sgoccioli.
Urla di approvazione, fischi e applausi, riecheggiano dalle casse e so che è idiota ma quasi quasi mi sento orgoglioso di loro e non penso nemmeno di essere l’unico.
«Beh» comincia Sabo e io mi giro a guardarlo. «Sicuramente si stanno divertend…»
“ATTENTI!!!”
Mi rigiro di scatto verso lo schermo che butta fuori urla terrorizzate. La folla impazzita corre verso la fotocamera che sta riprendendo. Si sente un tonfo micidiale e poi il buio. Lo stesso buio di cui si lamentava Kidd poco fa.
Atterrito, fisso il monitor ora tutto nero.
«Che cazzo è successo?»
«Credo che sia… credo che… il soffitto…» mormora Killer, sotto shock. Nessuno fa niente per un tempo che a me sembra infinito.
Poi Killer esce dallo streaming e si butta in internet, digitando “Kamabakka” su Google, mentre intorno a me i cellulari dei miei amici prendono a squillare impazziti.
«Non riesco a prendere la linea» ringhia Zoro ma io non riesco a distogliere l’attenzione dal cellulare di Killer che in un attimo carica la pagina. E quello che leggo mi mozza le gambe.

 
“Crolla soffitto al Kamabakka. Ancora poco chiare le dinamiche dell’incidente e le conseguenze”

Non è neanche di un’ora fa.  Che cosa cazzo…
Meccanicamente porto una mano in tasca alla ricerca del mio cellulare e ci metto cinque secondi buoni a ricordare che non è qui ma dietro il bancone di Buffalo. Mi ci lancio quasi sopra e pesco il telefonino, l’ultimo rimasto. È così lento ad accendersi che provo l’irrazionale impulso di gettarlo a terra. E quando finalmente finisco di inserire il pin e mi riconnetto alla rete, comincia a squillare impazzito.
Osservo la tendina di whatsapp e delle chiamate perse abbassarsi una, dieci, venti volte. Febbrile cerco di captare qualche nome. Vedo un messaggio di Bibi e lo annuncio ad alta voce, più sollevato. Se mi ha scritto vuol dire che sta bene. 
Ma lei? Perché lei non mi ha scritto?!
E prima che io possa effettivamente controllare che ci sia o meno un suo messaggio o che cosa mi ha scritto Bibi, il telefonino prende a squillare. Non guardo nemmeno il numero e rispondo d’istinto.
«Pronto?»
«Law! Eccoti finalmente!»
Corrugo le sopracciglia. «Ish?!»
«Scusa, so che era la tua grande serata ma ho dovuto chiamarti lo stesso. Qui è un delirio, puoi venire? Hanno dichiarato la maxiemergenza»
 
§
 
 Kamabakka, un orario non meglio precisato dopo le 22:30.
Mercoledì.
 
Tossicchio, ancora aggrappata a uno dei pilastri sul lato del palco.
Non ho idea di cosa sia successo ma il pulviscolo nell’aria assomiglia troppo a intonaco sbriciolato e un brivido mi percorre la schiena. Non so come sono finita qui, se chi mi ci ha spinto lo ha fatto per sbaglio o con il preciso intento di mettermi al riparo dalla folla impazzita. Sia come sia mi ha salvato la vita.
A me certo. Non so dove sono e come stanno gli altri però. Mi comincio a guardare intorno febbrile ma il solo movimento per mettermi dritta mi provoca un capogiro micidiale e lo stomaco si contrae così forte che mi comincia a fare male in tutto il torace.
Mi porto una mano sotto il seno, l’altra ancora saldamente aggrappata al pilastro.
«Koala?»
La voce di Usopp mi arriva ovattata e distante. Il battito del mio cuore sta accelerando all’inverosimile, mille puntini neri si affastellano davanti ai miei occhi, come i pixel di un computer troppo vecchio. Fa male. Fa veramente malissimo.      
Non sta succedendo davvero. Ti prego, no.
«Koala stai bene?»
«Usopp…» allungo un braccio verso di lui e le gambe mi cedono.
Non l’ho presa. Stamattina non l’ho presa.
«La medicina per il cuore… io…»
Ma le parole si impastano sulla lingua. E poi tutto diventa buio.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Mi sfilo la parrucca con un gesto stanco, le guance appiccicose di sudore e sporche di polvere bianca. Il braccio cade a peso morto lungo il mio fianco mentre con l’altro continuo a stringere Perona, una mano posata sul suo capo, appoggiato alla mia spalla.
È atterrita e non la biasimo. Quello a cui abbiamo assistito meno di un’ora fa è stato orrendo e anche Kaymie è nelle sue stesse condizioni, aggrappata a Bibi. Grazie a dio nessuna di noi si è fatta male. Di noi qui presenti intendo.
Perché purtroppo, non siamo tutte qui.
«Temo che salterà qualche testa dopo questo incidente» mormora Robin, accarezzandosi il pancione. Non so quale kami abbia guardato giù per fare sì che, restando seduta sulla poltrona nessuno la urtasse o le cadesse addosso ma, chiunque sia stato, grazie al cielo l’ha fatto. «Quando hanno ampliato il locale, un paio di architetti del progetto avevano detto che il magazzino sarebbe stato da rinforzare»
«Per fortuna è crollato solo il tetto del magazzino» fa notare Monet, Baby accoccolata addosso. «Sarebbe potuta andare molto peggio»
Le lancio un’occhiata, senza staccare la nuca dal muro. Sì, sarebbe potuta andare peggio. Peccato la gente sia impazzita e si sia messa a camminare l’una sull’altra. Peccato che nella foga di scappare qualcuno abbia fatto cadere una cassa dal palco. Peccato che una di noi non sia qui per farsi disinfettare solo un taglio superficiale.
«Izou, vieni a sederti» provo a convincerlo ma non c’è verso di schiodarlo. Addossato allo stipite della porta, il viso nascosto in una mano. «Lasciami stare Nami»
Usopp sospira e posa la mano sul pancione di Robin prima di alzarsi e muoversi con passo strascicato. «Vado in bagno» ci informa e io annuisco prima di mollare la parrucca a terra e sollevare, per l’ennesima volta e stancamente, il telefonino. Inoltro la chiamata e non sospiro neanche più quando la voce elettronica mi informa che il numero non è raggiungibile.
Non sono sorpresa, l’etere sarà zeppo di messaggi e telefonate in questo momento. Nessuno stupore che non si riesca a prendere la linea.
«Se non fossimo andate al Kamabakka…» comincia Bibi, attirando l’attenzione di tutte.
«Bibi!»
«Bibi-chin non dire così…»
«Non è stata colpa tua» la tronca subito Monet. «Nessuno poteva immaginare…»  
«Sapete basterebbe che qualcuno ci venisse a dire qualcosa!» esclama Izou, fuori di sé, per poi tornare subito a immergersi nella propria mano e nella propria preoccupazione. Ci zittiamo tutte di nuovo. Inutile sperare di sapere qualcosa a breve con il macello che è successo ma questa attesa ci sta logorando e non riusciamo neppure a metterci in contatto con i ragazzi.
Quanta sfiga si può avere in una sola serata?!
Mai abbastanza forse, è quello che penso quando Perona si irrigidisce all’inverosimile accanto a me. Mi giro a guardarla, preoccupata.
«Perona?»  la chiamo piano.
Ha gli occhi praticamente fuori dalle orbite e non sta respirando. Oh santo cielo, sta male!
Faccio per girarmi e chiedere a Izou di trovare qualcuno, chiunque possa farla passare oltre il triage ma mi blocco prima.
«Ace» il suo sussurro è impercettibile ma il labiale non lascia spazio a dubbi.
«Perona che ti prende?»
«Ace» ripete più forte.
«Cosa Ace?» la incalzo con dolcezza.
Poi uno scalpiccio di passi veloci. Mi volto e dietro le porte di vetro a scorrimento che da qui vedo di taglio, ecco Ace. È impossibile che Perona lo abbia visto prima di ora e non ho idea di come abbia capito che stava arrivando. Immagino non ci sia una risposta logica a questo.
Ace quasi si schianta sulla porta, troppo lenta ad aprirsi per lasciarlo entrare. Ma come il suo piede pesta la linea blu che segue il bordo di tutti i corridoi del pronto soccorso, Perona balza in piedi e in avanti, coprendo la distanza che li separa in un decimo di secondo. Non fa però in tempo a gettargli le braccia al collo che dietro a Ace arrivano tutti, riversandosi in disordine nella sala d’aspetto, spaesati e affannati.
E proprio come Perona, una dietro l’altra scattiamo verso di loro, tranne Robin che resta seduta. Marco entra talmente in fretta che quasi supera Izou, prima di vederlo, frenare di botto e posargli una mano sulla nuca per fargli sollevare lo sguardo. Franky si getta verso Robin con la forza di un caterpillar e accidentalmente mi urta, rischiando di scaraventarmi a terra, non fosse che due braccia mi circondano e sostengono. Quasi conficco le unghie negli avambracci di Zoro. Percepisco tutto il panico ma anche tutto il sollievo finora repressi minacciare di esplodere in un’unica ondata. Poi la mia schiena aderisce al suo torace, le sue labbra mi sfiorano la tempia.
«Stai bene» soffia al mio orecchio e io mi rilasso contro di lui, ancora tremante. Con occhi liquidi mi guardo intorno, captando a rilento ciò che accade nelle mie vicinanze. Bibi mi sfreccia accanto e si blocca a pochi passi da Sabo e Law, spostando incerta lo sguardo da uno all’altro. Franky è accovacciato di fianco a Robin e piange con il capo appoggiato sul suo pancione, Sanji si guarda intorno febbrile e Chopper…
C-che cosa…
«Chopper?» chiamo ma nemmeno capisce da dove arriva la mia voce figuriamoci se capisce che sono io. È verde in faccia, tiene gli occhi socchiusi come se non vedesse a un palmo dal naso e barcolla in modo preoccupante. Una vena prende a pulsare sulla mia fronte. «Chi ha ridotto mio fratello così?!» tuono.
«Nami-swan, dov’è Usopp?»
«Kaymie tesoro mio, sono così felice che tu stia bene!»
«Ehi Nami vuoi assaggiare un po’ del nostro gin-tonic! Lo abbiamo preparato io e Chopper!» Rufy mi ficca una borraccia sotto il naso e un attimo dopo è il caos. Tutti che parlano sopra tutti, chi preoccupato, chi furibondo, chi semplicemente fuori luogo.
«Io non sto affatto piangendo, Robin» strombazza Franky nel fazzoletto che Robin gli porge con un sorriso.
«Chi ha fatto ubriacare mio fratello?!»
«Mocciosa…»
«FATELA FINITA E DITEMI DOV’È KOALA!!!»
Non è una voce,  è un ruggito. Il lamento disperato di una belva ferita e tutti ci zittiamo attoniti. Law ha il respiro così grosso che temo i polmoni possano uscirgli dal petto e si guarda intorno con occhi di ghiaccio. Non tutte riusciamo a sostenere il suo sguardo, nessuna di noi trova le parole.
«Non lo sappiamo»
Law si gira di scatto e nel farlo mi libera la visuale su Usopp, appena tornato dal bagno. Sento Sanji, poco dietro di me, esalare un “grazie a dio”. Usopp gli lancia un’occhiata, deglutisce a vuoto e poi torna su Law.
«Lei… L’hanno portata qui in ambulanza. Sarei dovuto venire con lei ma non sapevo dove fossero tutti gli altri e sono tornato indietro io… mi dispiace» soffia con le lacrime agli occhi.
«Cos… Perché in ambulanza?» domanda Law, confuso.
«Si è sentita m… è svenuta» Usopp sfrega le mani tra loro, nervoso. «Credo… io credo che n-non abbia preso le sue medicine oggi» prende un profondo respiro e io chiudo gli occhi perché so che sta per dire quello che noi tutti pensiamo da un’ora e nessuno ha avuto il coraggio di verbalizzare. «Credo abbia avuto un attacco di cuore»
Riapro gli occhi e sono sicura di non sbagliare stavolta. Law, Trafalgar Law ha vacillato, come se per un attimo le sue gambe avessero smesso di fare il proprio lavoro. Ma l’attimo passa e senza una parola si lancia a passo di marcia verso la porta che separa il triage dal pronto soccorso. A nulla valgono le urla di chi lo richiama, in questo momento nemmeno un battaglione antisommossa lo potrebbe fermare.
Nessuno di noi muove un solo muscolo per una lunga, infinita manciata di secondi. Poi qualcosa si spezza in Usopp che si mette a correre nella direzione da dove è arrivato un attimo fa, spingendo Sanji a fare altrettanto.
«Cuocas…»
«Lascia Zoro» lo fermo, intrecciando una mano con sua. «Lascialo andare»
 

 
***

 
Mi schianto sulla parete più volte, mentre mi allontano di gran carriera, le gambe malferme. Vorrei potermene andare il più lontano possibile da qui ma non ho intenzione di lasciare Koala come ho fatto prima al Kamabakka.
Come ho potuto non accompagnarla? Come ho potuto lasciarla sola?!
Sul momento mi è sembrata la cosa più sensata da fare. Affidata ai paramedici lei, sono tornato a cercare Nami, Izou e le altre ma ora mi sento così stupido! E codardo!
È questa la verità, sono un codardo. Non sono voluto salire in ambulanza con lei perché ho avuto paura. Ho ancora paura, una paura che mi toglie il respiro e mi fa tremare fino al midollo delle mie ossa.
Paura, paura di non aver fatto abbastanza e abbastanza in fretta, paura di perdere un’amica. E poi la paura irrazionale che se fosse andata diversamente, se a crollare fosse stato tutto il soffito…  i-io… avrei potuto non rivederlo mai più…
«Usopp!»
Impreco a denti stretti e provo ad accelerare ma mi schianto per la terza volta contro il muro e stavolta picchio anche la coscia contro lo spigolo di una sedia. Mi piego istintivamente per sfregare la contusione.
«Usopp!» ripete e la sua voce suona molto più vicina. Ma contro ogni pronostico non mi spavento, non provo l’impulso di scappare più veloce.
Quello che provo è sollievo. Sollievo e...
«Us…» il mio nome gli muore in gola quando picchio un pugno contro il muro con tutta la forza che ho. L’intonaco si crepa e sento il lato della mano bruciare, ricoprirsi di piccoli taglietti ma non stacco il pugno dalla parete. Rimango ancorato lì, la testa bassa, tremante di rabbia.
Perché? Perché sei qui? Perché mi stai inseguendo?
Sento le lacrime colarmi caldo lungo il naso e lanciarsi nel vuoto per schiantarsi davanti ai miei piedi. Mi fa male tutto, la gola, il petto, la mano.
Perché? Perché, perché…
«Perché?!» urlo quasi, in un singhiozzo maltrattenuto.
Lo sento muovere un passo verso di me. Non mi serve guardalo per sapere che ha gli occhi sgranati, la bocca schiusa e il braccio teso. Spaventato, preoccupato, atterrito.
«Usopp calmati. Che cosa c’è?»
I denti stretti, giro il volto, contratto in una smorfia di dolore e ira, per poterlo guardare da sopra la spalla. Che cosa c’è, chiede lui.
C’è che sono felice, ecco cosa c’è! Felice mentre Koala è da qualche parte in questo schifoso ospedale, probabilmente sotto i ferri, probabilmente in fin di vita! E io sono felice! Felice perché tu sei qui, felice di rivederti!!! E non voglio, non voglio esserlo! Non puoi essere così importante, non può essere che il semplice vederti sia più importante della vita della mia amica, io non voglio!!! Non voglio che tu sia così importante per me!!!
Non capisco da dove arriva il fischio che mi perfora i timpani. Non capisco perché infermieri, pazienti e pure qualche parente al seguito mi fissano. Non capisco perché Sanji sembra non respirare e io invece ho il fiatone.
Non capisco finché non mi rendo conto di quanto mi brucia la gola. Come se avessi urlato mentre mi trattenevo dal piangere. Finché non mi rendo conto che l’ho detto, tutto quanto, ad alta voce.
Ogni parola, che ferisce peggio di una lama se detta al momento giusto. O forse era quello sbagliato.
Il gelo cala su di me ma non lo do a vedere. Rimango immobile a fronteggiarlo, fermo nella mia decisione, sordo a quella parte di me che urla a perdifiato di non fare il coglione e ritrattare. È troppo. Per me da dire, per lui da digerire.
È troppo nonostante tutto quello che è successo tra noi.
Eppure non parlo. Rimango zitto e impassibile anche quando Sanji si passa una mano sul volto, distrutto. Anche quando apre e richiude la bocca senza emettere un suono, smarrito. Resto zitto, riaffermando caparbio con il mio silenzio l’abominio a cui ho dato voce un attimo fa.
«Okay» Sanji si afferra il ponte del naso, preme contro gli angoli degli occhi. «Okay, Usopp. Ho capito»
È un sussurro quasi impercettibile il suo ma io lo sento. Lo sento e torno in me. Che cos’ho detto?
Sgrano gli occhi, faccio per chiamarlo ma mi ha già voltato la schiena.
Oddio, che cos’ho fatto?!
«Sanji!» lo inseguo ma stavolta è lui che non rallenta l’andatura.
Non lo merita. Per tutto questo tempo, in tutti questi anni, sono io che gli ho permesso di tenere tutti all’oscuro, io che gli ho sempre detto che mi andava bene così. E questo non lo giustifica dalle sue di colpe ma non merita certo tutto questo.
Non è colpa sua se mi sento felice perché è qui. Non  è colpa sua se è diventato così importante. E anche se sono convinto della mia decisione, anche se voglio di meglio per me, anche se voglio mettermi davvero al primo posto per una volta, non merita le mie parole di poco fa.
E non è perché lo amo ancora ma perché qualunque cosa accada resta sempre Sanji e io gli vorrò sempre bene. Per questo non posso lasciarlo andare via così, senza scusarmi.
«Sanji, aspetta!» alzo il tono, incurante del fatto di essere di nuovo in sala d’aspetto a pochi metri dai nostri amici.
Come una furia, Sanji li raggiunge, si immobilizza a pochi passi da loro, le spalle dritte e squadrate. Mi basta la sua postura per sapere com’è la sua espressione. Funerea, infuocata, determinata.
«Okay, statemi tutti a sentire» ringhia quasi. «Perché lo dirò una volta soltanto»
Che cosa fa?
«San…»
«Io amo Usopp»
Tutto si ferma, il tempo, il mio cuore, le mie gambe. La punta delle scarpe si inchioda sul marmo e io precipito in avanti, faccia a terra.
«Non come amico. Lo amo, come amore vero e proprio. Come che senza di lui mi manca l’aria. E siamo stati insieme per tre anni»
Sdraiato a pancia in giù sul pavimento del triage, non riesco a credere alle mie orecchie. Lo osservo incredulo da sotto in su e penserei che sto sognando se il naso non mi facesse così male per il pestone appena preso.
«E io non sono stato capace di tenermelo stretto. Ma anche se l’ho perso e lui non vuole più saperne di me, ci tenevo a informarvi tutti» esala un sospiro e si passa una mano sul mento, prima di dirigersi all’uscita senza una parola.
Rimango steso a terra e mi concedo un attimo per studiare le espressioni dei miei amici, che suppongo scioccati, ma da qui non vedo un accidente. E poi mi rendo conto di cosa sto facendo e al diavolo i miei amici e le loro reazioni, le ginocchia sbucciate e il naso che pulsa.
Slittando sui palmi della mani mi rimetto in piedi. «Sanji!» lo chiamo, anche se non può sentirmi, già oltre la porta a vetri che si apre per lasciarmi passare. È a metà dello spiazzo, la sigaretta già in bocca.
Non mi ha sentito e io non ho più fiato per urlare così faccio la cosa che mi riesce meglio. Corro. Una volta tanto in direzione del problema. Lo recupero in poche falcate e mi paro di fronte a lui, frenando sui talloni. Si blocca con un sobbalzo e sgrana gli occhi.
«Usopp»
«Perché?» chiedo senza preamboli.
Torna subito serio. Così serio e determinato e bello ed è difficile restare lucido ma devo, devo riuscirci perché qui, ora, nello spiazzo antistante questo schifoso ospedale, ci stiamo giocando tutto. Tutto per noi due.
«Perché una vita intera a fingere di non rimpiangerti è troppa. Non mi illudo di poterti riavere ma almeno che tutto il mondo sappia che sei l’amore della mia v…mmgh» mugugna colto alla sprovvista dalla mia bocca sulla sua. La sigaretta ancora spenta cade a terra in mezzo a noi e io la pesto nell’avvicinarmi per stringermi a lui.
Sì, lo so. So che avevo detto di essere convinto della mia decisione ma una vita intera a rimpiangerlo è troppa.
Mi posa le mani sui fianchi, io gli circondo la mandibola. Mi sembrano passati secoli dall’ultimo volta che l’ho baciato. Ci stacchiamo per prendere aria, Sanji piega il capo dall’altra parte e azzecca la giusta angolazione per evitare il mio naso. Certe cose, d’altronde, sono come imparare a nuotare.
La testa mi gira a tutta forza, in parte per la fatica e lo shock della serata, in parte per il suo sapore di tabacco e menta piperita che ho sentito così vivido sulle labbra in tutti questi giorni, ogni volta che mi svegliavo con ancora il suo alter ego onirico in testa.
Mi sei mancato, maledetto bastardo.
Mi separo da lui in carenza di ossigeno e percepisco le sue mani stringersi con urgenza e quasi panico. Mi acciglio una frazione di secondo e poi sorrido, passandogli i pollici sulla mascella.
Non vado da nessuna parte. Non vado più da nessuna parte se non a casa con te.
«Mi dispiace…» mormora così piano che se non gli fossi praticamente spalmato addosso non lo sentirei. «Mi dispiace, Usopp io…»
«Va bene» lo interrompo deciso, obbligandolo a risollevare gli occhi per incrociare i miei, seri e determinati. «Va bene, Sanji. Basta che non succeda di nuovo. Non posso vivere facendo finta che…»
Stavolta è lui che sorprende me. È un semplice bacio a stampo, ma così disperato che mi fa cedere le ginocchia. Lo sento inspirare come se il mio odore gli fosse mancato quanto l’aria.
«Non succederà più» mi assicura mentre mi accarezza una guancia e preme la fronte contro la mia. «Mai più»
L’altra sua mano scende a solleticare la mia, prima di afferrarla, calda e rassicurante.
«E ora torniamo indietro. Dobbiamo ancora scoprire come sta Koala» stringe più forte e io mi aggrappo a lui come se fosse l’unica cosa che mi impedisce di crollare. E in fondo lo è davvero.
Mi passa un braccio intorno alla vita e mi attira a sé e io sono così sfinito che non mi faccio nemmeno una remora ad appoggiare il capo sulla sua spalla. Rientriamo, momentaneamente dimentichi della sua sfuriata di poco fa.
Noi. Gli altri, a quanto vedo, ce l’hanno ancora ben presente. Ci fissano a occhi sgranati, sconvolti e in silenzio. Non tutti ovviamente. Robin sorride serafica, accarezzando il pancione con una mano e la testa di Franky – che condivide l’espressione scioccata degli altri – con l’altra. Bibi e Sabo sono seduti in disparte e parlottano tra loro. Ace ha preso Perona in braccio e la sta cullando. Non capisco se si è addormentata. Baby e Monet stanno prendendo un caffè alla macchinetta insieme a Dragon e Shanks che è al telefono.
Ma tutti gli altri sono qui. Gli occhi fissi su di noi.
«Beh!» abbaia Sanji, stringendomi più forte. «Che avete da guardare?»
«Ma quindi…» Rufy si gratta la nuca perplesso e Sanji gorgoglia, già pronto ad aggredirlo. «State insieme solo da tre anni?»
Sanji smette di gorgogliare. La mia mascella perde qualunque capacità di restare chiusa. Nami si gira sconvolta verso di lui.
«Io l’avevo detto che non stavano insieme dal liceo» si stringe nelle spalle Zoro, pratico come sempre. «Ma voi non datemi mai retta»
«Va beh Zoro ma te non li hai visti per tre anni, ovvio che hai notato che c’era qualcosa di diverso e… ah la testa!» si lamenta Chopper, seduto su una delle sedie assicurate al muro. 
«V-voi lo sapevate?» balbetta Nami.
«È difficile non notarlo» commenta piatto Izou, la sua verve ancora dispersa.
«Proprio per quello, Chopper, potevate darmi retta»
«Ma forse Sanji intendeva ufficialmente!» 
 «Rufy per favore, abbassa la voce, il mio lobo frontale è prossimo all’implosione»
«Quindi voi lo sapete da sempre?!»
Interdetti, ci giriamo l’uno verso l’altro. Sanji mi fissa miserabile qualche secondo. «Usopp, io…»
«Sei un coglione» affermo, un sopracciglio alzato, prima di aggrapparmi al suo collo e baciarlo.
 

 
***

 
Non guardo in faccia nessuno mentre attraverso il pronto soccorso. Né chi non ha presente la mia faccia e mi chiede di tornare in sala d’aspetto, né chi mi conosce e mi chiama per nome. Sento più di un lamento che a orecchio riconosco facilmente come gemito eccessivo per il tipo di dolore che il paziente prova davvero.
Lancio giusto qualche occhiata intorno a me e feriti gravi ne vedo pochi. Mi sorge il sospetto che il tetto del Kamabakka sia caduto solo parzialmente. Questi si sono fatti male a scappare come una mandria di vacche impazzite. Ecco perché la maxiemergenza.
Dio, la gente è così stupida!
La mia andatura sicura vacilla e non per colpa dell’alcool. Sono arrivato alle sale d’emergenza e per un attimo mi chiedo se voglio davvero avvicinarmi ma in realtà non ho affatto scelta. Con un respiro che fatica ad uscire e trema in gola, mi avvicino al primo uscio, sbirciando oltre il rettangolo di vetro ma l’equipe è al completo e non riesco a vedere la figura stesa sul lettino.
Lo stomaco mi si contrae all’inverosimile.
Ti prego, per l’amore del cielo, ti prego fa che non sia lei. E quando uno dei tanti chirurghi di qui di cui non mi sono preoccupato di memorizzare il nome si scosta, ringrazio qualunque sia l’entità superiore che ha ascoltato le mie preghiere.
Il problema è che di sale ce ne sono cinque. Tremando dentro, approccio la seconda. La scena si ripete più o meno identica, tranne che qui a operare è una donna a cui sfugge qualche ciocca rosa da sotto la cuffietta.
Ricomincio a trattenere il fiato, cercando di resistere all’impulso di entrare.
«Law»
Mi giro di scatto, come se anziché chiamare il mio nome qualcuno avesse sparato.
«Stai bene?» mi chiede, scrutandomi accigliata.
«Ish, non posso operare» taglio corto, consapevole delle mie condizioni. «Non sono in grado nemmeno di dare dei punti di sutura e comunque non sono qui come medico. Se volete c’è Cora, il mio mentore. Sta già chiedendo dove può aiutare ed è mille volte più aff…»
«Non ti lascerei operare nemmeno se fossi l’ultimo chirurgo rimasto sul pianeta» mi interrompe, lapidaria, ma la sua espressione resta preoccupata. «Si vede che hai bevuto e che non sei in te»
Apro la bocca per ribattere ma non esce niente. D’altra parte ha ragione, cosa dovrei rispondere?
«Vuoi una flebo di fisiologica?»
Nego con un gesto secco del capo. «Sto cercando una persona»
«Sì, lo so» afferma, prendendomi in contropiede. «Vieni con me» mi volta le spalle e io ci metto un attimo a ritrovare la mobilità necessaria a seguirla.
Cosa significa che lo sa? Dalla sua espressione non traspariva niente.
La tallono senza nemmeno vedere dove sto andando, svolto angoli, scanso persone e letti, la pelle imperlata di sudore freddo. Nemmeno mi accorgo che ci siamo fermati.
Sento solo un rumore di metallo su metallo, la mia testa ricomincia a funzionare.
E quello che vedo, mi mozza le gambe.
 

 
***
 

Fisso il soffito, sperando che crolli solo sopra di me e mi sotterri insieme al mio imbarazzo. Sì, mi rendo conto che c’è poco da scherzare. Ma quello che è successo stasera somiglia più a un miracolo che a una tragedia visti i presupposti e com’è poi andata.
Non riesco a immaginare come spiegherò il malinteso. Non so nemmeno io come ho fatto a sbagliarmi così.
Mi passo una mano sul volto ora pulito dal trucco. Quella dottoressa, Ishley mi sembra, è stata davvero gentile a chiedere di procurarmi delle salviette struccanti e un pettine. Mi ha dato tutte le informazioni che cercavo riguardo cos’è davvero successo al Kamabakka ed è riuscita persino a farmi ridere. “Ci sono più belonefobici che feriti seri” mi ha detto. E a quanto pare gli unici due codici rossi che sono arrivati non c’entrano niente con il Kamabakka.
Il che mi fa sentire peggio per aver occupato un’ambulanza per niente ma anche felice che sia andata così. Almeno ho la certezza che gli altri stanno bene o che, comunque, non sono in fin di vita. Tranne forse Usopp che potrei aver ucciso dallo spavento.
«Dannazione» sussurro, battendomi un pugno in fronte.
Ricomincio a tamburellare sulla barella, mi sistemo per l’ennesima volta il camice a kimono azzurro, fisso le tende che mi circondano e l’asta della flebo che svetta accanto a me. Vorrei alzarmi, fare due passi per sgranchirmi le gambe ma Ishley è stata chiara, non devo muovermi.
E non posso biasimarla, dubito che riuscirei a reggermi sulle gambe. D’altra parte, anche l’impulso di andare a cercare un telefono è forte, anche perché non so nemmeno che fine abbia fatto il mio.
Non sono riuscita ad avvisare papà e nemm…
Il rumore degli anelli di metallo della tenda che sfregano contro la sbarra anch’essa di metallo mi fa sobbalzare, ma in assoluta sicurezza vista la dose di betabloccante che mi hanno iniettato dieci minuti fa.
Il fiato mi muore in gola. Ishley mi fissa con un sorriso sornione, con quel genere di espressione di quando stai mostrando a qualcuno qualcosa di cui vai molto fiero. E il qualcuno a cui lo sta mostrando è l’ultima personsa che volevo incontrare e la sola che agognavo di vedere.
«Law»
Si appoggia alla sbarra di fondo della barella. Cerca di non darlo a vedere ma io mi accorgo subito che lo fa per reggersi e mi tiro su dalla posizione semisdraiata in cui mi ha lasciato Ishley poco fa, dopo l’iniezione.
«Quando ho visto la sua cartella ho fatto subito il collegamento. Non è un nome che si sente dappertutto» spiega con un sorriso che io intravedo appena perché non riesco a staccare gli occhi da lui.
È qui. Law è qui.
«Ehi!» comincio con un sorriso nervoso e la voce tremante. «Hai s-sentito che cosa pazzesca?»
È fuori di sé, devo tranquillizzarlo. Fargli vedere che sto bene.
«A quanto pare… a quanto pare il tetto del magazzino del Kamabakka è crollato e…» prendo un respiro, affannata. «La gente è impazzita, hanno pensato a una bomba e io… io…» le lacrime cominciano a scendere sulle mie guance, ribelli.
Io mi sono spaventata a morte dannazione! Pensavo che non lo avrei più rivisto e ora che è qui, solo ora che è qui mi accorgo di quanta paura… Come? Come ho potuto pensare di farlo uscire così dalla mia vita, come se lo avessi incontrato per caso due volte al bancone del bar?!
«S-sto bene» gemo sottovoce anche se mi rendo conto che è difficile credermi visto che sto singhiozzando disperata. «Non mi sono f-fatta niente… Sto bene…»
Non lo vedo dietro la corte di lacrime spostarsi dal fondo del letto, ma a un certo punto è seduto sulla barella, accanto a me. Trovo alla cieca la sua mano e incastro insieme le nostre dita.
«È passato» mormora deciso ma gentile. «Koala...»
 

"«Il temporale è passato»
«Mi sono spaventata così tanto»
La bimba piange, stringendo
 la sua maglietta tra le dita.
«Lo so ma ci sono qui io adesso...»"

 
 
«...calmati» mi scosta dal volto una ciocca che è sfuggita al codino basso, il massimo che sono riuscita a fare.
Mordo gli ultimi singhiozzi e annuisco, asciugando le lacrime residue con la mano libera. Qualcuna ancora pende dalle mie ciglia quando sollevo gli occhi a guardarlo.
«Come stanno gli altri? Come stai tu? Bibi?»
«Bene, tutti bene. Io sto bene e anche Bibi. Non ti preoccupare di questo adesso» mi ammonisce prima di girarsi verso Ishley mentre io mi ributto indietro sul cuscino. «Cosa le avete dato?» le chiede «Prende il betabloccante e stamattina lo ha dimenticato. Se ti serve l'autorizz...»
Ishley solleva una mano verso di lui. «Già fatto» annuncia e Law si gira immediatamente di nuovo verso di me, indagatore, per tenermi d'occhio.
«Ho chiamato cardiologia, mi hanno dato l'autorizzazione e scendono a visitarla»
«Chi c'è di turno?» domanda ancora senza staccare gli occhi dal mio volto e io abbozzo un sorriso stanco.
«Ah c’è...»
«Tu guarda cosa non si inventano per rivedermi. Veramente pazzesco!»
Law chiude gli occhi rassegnato, io li sgrano.
«Pen?!»
Law riapre gli occhi di scatto.
«Ciao Pesciolina. Ma che combini?!» mi chiede con quel suo sorriso strafottente, il capo un po’ inclinato di lato. «Se volevi vedermi, bastava proporre un caffè» si avvicina dal lato opposto di Law e io mi ritiro su mentre lui si piega per incontrarmi a metà strada, stringendomi in un abbraccio. Lo trattengo un attimo di più, per studiarlo da vicino.
«Sei in forma»
«È il camice» minimizza passandosi una mano tra i capelli e io ridacchio, la testa leggera, conseguenze della tensione che finalmente scivola via.
Un rumore raschioso risuona alla mia destra.
«Ehi, ciao Law!» esclama Pen allunga una mano per una stretta goliardica ma ottiene solo un’occhiata di fuoco.
«Quindi vi conoscete?» chiede poi Law, guardando fisso me.
«Pen ha fatto la sua tesi di laurea su di me» gli racconto, stringendo senza pensare la mano intorno al suo polso destro, vicino all’orologio giallo di Cora. «Pazzesco che fossi proprio tu di turno stasera!» esclamo di nuovo rivolta a Pen che sta studiando la mia cartella, accanto a Ishley.
«Un suo amico l’ha portata all’ambulanza dicendo che era in arresto ma è risultato uno svenimento, causa stress, carenza di sonno e lo shock dell’incidente al Kamabakka»
Law sgrana gli occhi incredulo e io sorrido colpevole. Ebbene sì. Vi ho terrorizzati a morte per uno svenimento.
«Ha accusato un dolore altezza addome prima di svenire ma escludo fosse collegato al cuore. Pressione nella norma, elettrocardiogramma normale, somministrata dose di betabloccante»    
«Perfetto! Ottimo lavoro, Ish» le flasha un sorriso e Law sospira. «Allora Koala, direi che non c’è niente di cui preoccuparsi ma adesso ti visito e preferisco tenerti in osservazione per stanotte»  
«Okay» annuisco, sempre più stanca ogni secondo che passa.
Pen toglie il fonendoscopio da intorno al collo, Ishley afferra la tenda per tirarla ed entrambi si immobilizzano in attesa. Sono rallentata e ci metto un attimo ad accorgermi che stanno fissando Law con insistenza. Quando lo capisco, mi giro anche io verso di lui e solo in quel momento lui sembra rendersi conto di tutti gli sguardi puntati addosso.
«Beh?» domanda secco e spazientito.
«Devo visitarla» ripete Pen.
Law solleva un sopracciglio. «Te lo sto impedendo?»
«Law devi uscire» taglia corto Ishley, strappandomi uno sguardo terrorizzato.
Che?! P-perché deve uscire?!
«Non la lascio» si rifiuta con fermezza  e il sollievo mi travolge di nuovo.
«Nessuno ha detto che la devi lasciare, ma ora esci»
«No»
«Non è un problema se resta…» provo a intervenire ma le forze mi stanno abbandonando a vista d’occhio.
Mi passo una mano sul volto e lo trovo sudato per lo sforzo di stare sveglia. Da come mi guardano, devono averlo notato anche loro.
«Law» lo richiama un’altra volta Pen e nonostante la confusione e la stanchezza riconosco lo sguardo che gli sta lanciando.
Non da medico a medico. Quello è lo sguardo da medico a parente e come lo so io, lo sa ovviamente anche lui, decisamente meglio di me. Percepisco la sua stretta farsi per un attimo più forte sulla mia mano per poi, riluttante, lasciarla andare.
Lo sguardo appannato, osservo il mio palmo vuoto qualche istante prima di sollevare gli occhi su di lui. È di nuovo in fondo alla barella ma a me sembra lontano un chilometro.
«Te l’affido allora»
«È in buone mani» asserisce Pen.
Provo a chiamarlo quando si gira nuovamente a guardarmi ma dalla mia bocca non esce niente. Non sembra voglia andare via.
«Ci vediamo dopo» mi rassicura e io mi sforzo di sorridere ma ho il groppo in gola. Non voglio che vada. Non può andare.
Dio, ma che mi prende?
Perché mi comporto come se fosse l’ultima volta che lo vedo?!
Mi sento come se mi avessero tirato un cazzotto quando Ishley ritira la tenda e lui scompare dalla mia vista, ora occupata dalla stoffa verde menta. Neanche mi accorgo di Pen che mi ausculta, troppo concentrata a captare la sua voce, ancora vicina, mentre parla con Ishley. Non è facile, visto che già tenere gli occhi aperti mi sta richiedendo notevoli energie.
«…’nquillo okay?»
«Sarò tranquillo quan…»
«Fai un bel respiro profondo, Koala»
«… anche di te! Sei distrutto!»
«Ish…»
«Ti fa male qui?» domanda Pen
«N-no». Almeno credo. Dov’è “qui”? Perché ho un dolore al centro del petto, come se mi si fosse aperta una voragine.
«…’ccarla al monitor, se ti fa stare più sereno»
Sento una lacrima rotolarmi giù dalla guancia e porto a fatica una mano al viso per asciugarla.
«…’ta assurda, santo dio!»
«Dovresti andare a riposare un po’»
«Ish non…»
«Era sul punto di crollare, l’hai vista! Si addormenterà appena toccherà il cuscino»
Sbatto le palpebre per scacciare il sonno, inutilmente. Non voglio dormire. Non so perché ma l’idea mi terrorizza.
«Okay. Hai ragione tu»
Cosa?! No! Non ha ragione lei! Resta qui!
«Ma per qualsiasi cosa…»
«Ti chiamo»
Law, per favore! Non andare! Resta!
Resta con me…
Improvvisamente, senza sapere come, mi ritrovo di nuovo stesa e, come pronosticato da Ishley, tutto comincia a sfocare di fronte ai miei occhi sempre più pesanti.
Ma non devo. Non posso dormire.
Questa è l’ultima volta. L’ultima volta per noi due prima… prima che… Il matrimonio è dopodomani. Se se ne va ora, sarà finita. Finita per sempre.
Lo sento sospirare.  Lo vedo con l’occhio della mente stringersi il ponte del naso tra due dita. E poi lo dice.
«Vado da Bibi»
Schiudo le labbra, rassegnata a cedere ai singhiozzi. Ma tutto quello che ne esce è solo un sospiro stanco, mentre il sonno mi travolge. 







Piccolo angolo dell'autrice: 
Ebbene sì. Vi ho terrorizzati a morte per uno svenimento. [cit.] 
Law_, spero davvero che non ti dispiaccia che ti ho rubato il soprannome per Koala per usarlo qui. Ovviamente i crediti vanno tutti a te. E se ti da fastidio dimmelo e cambierò immantinente. 
A tutti voi che leggete questa storia, voglio inviare un enorme grazie! E a tutti voi che recensite un grazie alla seconda! A voi che mi sopportate e sostenete ogni giorno, non ho emmeno le parole per ringraziare adeguatamente.
Scusate se non rispondo, sto cercando di trovare un minuto libero per farlo (Law_ come vedi ti capisco perciò non preoccuparti) e spero davvero di riuscirci perchè è il minimo che posso fare. 
Un bacione. 
Hope you've enjoyed it. 
Page  

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Goa, poco prima di mezzanotte.
Venerdì.
 
Le sere d'estate mi hanno sempre trasmesso nostalgia. Nostalgia bella, intensa, che allarga il cuore e fa tremare a ogni respiro. È l'aria tiepida pregna di aspettativa, il sempre troppo veloce bruciare la vita di una stagione rubata, come se la fine di ogni sua giornata fosse costante preludio e memento della fine dell'estate stessa.
Sono nostalgiche, le sere d'estate, perché si portano via, ad ogni tramonto e ogni alba, risate e chiacchiere, momenti di vera felicità, destinati a sbiadire nel tempo lasciando l'impronta di una sensazione marchiata a fuoco nella mente.
Ancora più nostalgiche se annunciano la fine di una giornata destinata a restare nella storia di un gruppo di amici e di una famiglia. Un evento atteso con trepidazione e volato via con il primo soffio di vento notturno. Come, ad esempio, un matrimonio.
Dei tanti invitati, siamo rimasti una manciata sotto la tensostruttura allestita nel giardino della villa di Goa. I proverbiali pochi ma buoni.
Mi appoggio a uno dei pilastri in metallo, l'abito che svolazza nella brezza, sfiorando le mie gambe nude. I tacchi mi stavano massacrando dopo l'intera giornata.
Non trattengo un sospiro mentre, sfregando i palmi sulle braccia, mi guardo intorno.
Il tastierista della band di Baby, un tipo strambo con i capelli celesti e una maschera che ricorda il sadomaso, sta finendo di suonare un lento e io li osservo con il cuore in gola stringersi al centro della pista.
Fa bene vederli così felici. Anche se non è facile abituarsi a questa realtà. Non è facile rendersi conto che è successo davvero. Non sembra lo stesso mondo in cui vivevamo ieri. Inclino il capo e appoggio una tempia al pilastro.
«Ciao Koala»
«Ciao Monet» sorrido, senza voltarmi a guardarla, non subito, finché non entra nel mio campo visivo periferico. So che nemmeno lei sta guardando me. Baby è in disparte sul palco che accorda la chitarra ed è solo per mera curiosità che mi volto a cercare conferma del mio sospetto. E infatti Monet, che brilla nel suo abito giallo senape, non ha occhi che per lei.
La musica dolce e romantica si attenua ancora di più, senza cessare del tutto, sottofondo allo schiarirsi di gola di Baby che riecheggia in Dolby Sorround.
«Ehm... buona... buona sera a tutti» mormora incerta. «Io e la mia band vorremmo dedicare la prossima canzone agli sposi. Un piccolo regalo per il grande passo di questa meravigliosa coppia!» annuncia strappando un giro di applausi a cui mi unisco, lo stomaco contratto per la tensione che ancora non mi vuole abbandonare.
 
[Here’s to us – Halestorm]

La musica cambia ma loro restano stretti l'uno all'altra, persi nel loro mondo privato dove a nessuno di noi è concesso di entrare.
«Guardala» Monet ora ha un'espressione che quasi spezza il cuore. «Non è bellissima?» domanda, probabilmente al vento.
Ma, nel dubbio, decido di darle retta.
 
We could just go home right now
Or maybe we could stick around
For just one more drink, oh yeah
 
Osservo Baby, che molleggia appena con le gambe davanti all'asta del microfono, nel suo abito ciliegia, le dita che danzano sulle corde, gli occhi semichiusi che brillano. «Sì lo è».
Rimango ancora una manciata di secondi, prima di prendere a passeggiare lungo il lato della tensostruttura.
 
Get another bottle out
Lets shoot the shit
Sit back down
For just one more drink, oh yeah
 
Ho bisogno di un momento da sola con i miei pensieri.
Il vento mi accarezza la pelle, leggero, mentre studio con occhi attenti ciò che rimane del matrimonio dell'anno. Croco osserva con ben nascosto orgoglio sua figlia, accanto ad Albida che, nonostante la smorfia sul volto, resiste stoica per non perdersi lo spettacolo di Baby.
 
Here's to us
Here's to love
All the times
That we fucked up
Here's to you
Fill the glass
Cause the last few days
Have kicked my ass
So lets give em hell
Wish everybody well
 
Sorrido. Non sarà la migliore delle madri ma almeno ci prova e zio Ty, che ora sta chiacchierando con Cobra, mi ha insegnato a dare a Cesare quel che è di Cesare.
Io, d'altra parte, non so nemmeno come sia avercela, una madre. Non che mi pesi. Non mi è mai mancato nulla, men che meno una famiglia che è ben lontana da limitarsi solo a mio padre. Una famiglia che mi tengo stretta, da cui non taglierò fuori nessuno, mai più, non importa dove andrà ciascuno di noi.
 
Here's to us
 
Una famiglia in continua espansione, come testimoniano Kaymie e Duval, per esempio.
 
Here's to us
 
«Champagne?» un vassoio spunta sotto al mio naso, sorretto da uno dei camerieri di Zeff.
 
Stuck it out this far together
Put our dreams through the shredder
Let’s toast cause things got better
 
«Grazie» mormoro prendendo un calice con due dita e quando mi giro di nuovo, Izou mi sta osservando dalla parte opposta della pista e solleva il suo calice, a metà tra un brindisi e un saluto a cui rispondo.
Mi sposto ancora e, oltre l'abbraccio di Nami e Zoro, individuo Sanji e Usopp ridere insieme a Shanks.
 
and everything could change like that
And all these years go by so fast
But nothing lasts forever
 
A giudicare da come trattiene il collo di Rufy sott'ascella, starà raccontando di quando Rufy si è incastrato nel cancello di Woopslap. Dietro di loro Dragon è appoggiato a uno dei pilastri, come me poco fa, e guarda verso il bancone dell'open bar.
Seguo la traiettoria del suo sguardo fino a posare gli occhi su Sabo. È ancora un po' tirato ma sta benissimo nel completo scuro da testimone.
 
Here's to us
Here's to love
All the times
That we messed up
Here's to you
Fill the glass
Cause the last few nights
Have kicked my ass
If they give you hell
Tell em to go fuck themselves
 
Ci mette pochi secondi ad accorgersi di me e subito mi sorride. Un sorriso nostalgico quanto il mio.
Sì, non è facile. E lui è l'unica persona qui in grado di capire come mi sento, oltre a, forse, Robin. Perché Robin sa e capisce sempre tutto, anche le emozioni, anche quando non le prova sulla propria pelle.
E quasi che mi avesse letto nel pensiero, quando sposto di nuovo lo sguardo, eccola nel mio campo visivo, che osserva nella mia direzione.
 
Here's to us
 
Poco oltre la mia spalla e poi di nuovo me. Corrugo le sopracciglia interrogativa e lei mi invita a girarmi con un cenno del capo.
 
Here's to us
 
E quando lo faccio tutto il mio sistema va in tilt.
 
Here's to all that we kissed
And to all that we missed
To the biggest mistakes
That we just wouldn’t trade
To us breaking up
Without us breaking down
To whatever's come our way
 
Lo stomaco si stringe ancora di più e poi comincia a fare le capriole, il cuore accelera. Sta venendo verso di me, con un passo e uno sguardo così decisi da mozzarmi il fiato. Cerco di respirare e pensare a qualcosa da dire ma ogni mia energia al momento è focalizzata per non lasciarmi risucchiare dei suoi occhi, così intensi e seri che più mi ci perdo più mi ci voglio perdere.
«Ehi c...»
 
Here's to us
Here's to love
All the times
That we fucked up
Here's to you
Fill the glass
 
E poi Law mi sta baciando e pensare non è più nemmeno un'opzione. Mi sta baciando qui, davanti a tutti, come se da questo bacio dipendesse la sua stessa vita. E io rispondo come se ne dipendesse la mia, tesa sulle punte dei piedi, aggrappata ai baveri della sua camicia.
 
Cause the last few days
Have kicked my ass
 
Non lasciarmi andare. Non lasciarmi andare mai.
 
So let's give em hell
Wish everybody well
 
E forse anche lui legge nel pensiero, o forse è solo per compensare quando siamo costretti a separarci se non vogliamo svenire per mancanza di ossigeno, le sue mani si stringono sui miei fianchi.
 
Here's to us
Here's to love
All the times
That we messed up
Here's to you
Fill the glass
 
Potrei stare allucinando ma se qualche neurone è ancora sano allora davvero Law sta dondolando appena a ritmo di musica, con me tra le braccia.
E mi ci vuole qualche secondo ma poi mi ricordo che non siamo soli e, come sospettavo, un bel po' di occhi sono per noi.
 
Cause the last few nights
Have kicked my ass
If they give you hell
Tell em to go fuck themselves
-Go fuck themselves-
 
Izou e Nami ammicano saputi, Usopp mi fa il pollice alzato e io scuoto il capo rassegnata, con un sorriso a trentadue denti sul volto. Dragon ci guarda con infinito affetto e quando Bibi, al bancone con Sabo, ci dà di nuovo la sua benedizione con un sorriso, immergo il volto nel petto di Law, caldo e rassicurante.
 
Here's to us
-Here's to us-
Here's to us
-Here's to us-
 
Mi dà un bacio tra i capelli e io sollevo il capo per guardarlo, così felice che temo potrei scoppiare.
 
Here’s to us
Here’s to love
Here’s to us
-Wish everybody well-
 
Si abbassa per baciarmi un'altra volta e io di certo non mi tiro indietro ma quando le sue labbra si posano sulle mie mi scappa una risata. Mi marchia appena la bocca prima di ritirarsi indietro per potermi guardare in volto, un sopracciglio alzato e una delle più rare visioni su questo pianeta. Un vero sorriso sulle labbra.
 
Here’s to us
Here’s to love
Here’s to us
 
Scuote il capo. Anche lui è felice. Così felice.
«Che c'è?»
«No niente è solo che… non ho ancora capito bene com’è successo?»
 
Here’s to us
 

§
 
 
Ospedale di Raftel, un orario imprecisato intorno a mezzanotte.
 La notte tra mercoledì e giovedì.
 
Provo l’impulso di strappare la tenda che riempie il mio campo visivo, nascondendo Koala ai miei occhi. Sono pericolosamente vicino a perdere il controllo, come di rado è capitato in vita mia, e deve notarsi parecchio a giudicare dalla cautela con cui Ishley mi tocca il braccio.
Per quanto possa conoscermi  bene, sia io che lei siamo qui da poco, entrambi al penultimo anno, io di specializzazione e lei di università. È l’unica sul lavoro con cui riesco ad abbassare almeno in parte le barriere difensive, complice la stima e il rispetto che provo per lei che, a ventiquattro anni, è più brillante di tanti strutturati e medici di ruolo, conosciuti sia qui che ad Alubarna.
Lei sa come prendermi, non me le manda a dire e capisce sempre quando ho bisogno di essere gestito. È la mia Koala dell’ospedale.
Ma stasera sono al di là del dover essere gestito e francamente temo per la sua incolumità, più di quanto non faccia lei comunque.
«Law cerca di stare tranquillo okay?» il tono è fermo, nonostante l’espressione preoccupata. Non che riesca a studiarla a lungo, non resisto molto prima di sentire il viscerale bisogno di incollare di nuovo gli occhi alla tenda, probabilmente nella speranza che si stacchi e cada.
Voglio vederla, assicurarmi di nuovo che sta bene, tenerla d’occhio. Dannazione!
«Sarò tranquillo quando sarà fuori di qui, con un bel foglio dettagliato che dice che sta assolutamente bene e non ci sono state complicazioni di nessun tipo nonostante lo svenimento, chiaro?»  
«Cristallino» alza la mano libera in una specie di segno di resa. «Ma adesso dobbiamo occuparci anche di te! Sei distrutto!»
«Ish non ho intenzione di allontanarmi da qui, men che meno di dormire. Potrebbe succedere qualcosa, potrebbe avere bisogno di me»
Gesù, non mi riconosco! Non fosse per il tono che non ammette repliche… ma non è da me tutta questa apprensione per un paziente. Se non che non si tratta affatto di un semplice paziente. E nemmeno di una semplice amica o della mia migliore amica. È di più. Molto più di quanto io sia in grado di concepire in questo momento.
Forse, dopotutto, quella flebo di fisiologica non è un’idea così pessima. 
«Senti» sospira, Ishley, e si passa una mano sulla fronte. «Possiamo attaccarla al monitor, se ti fa stare più sereno»
Mi giro a guardarla, nascondendo come posso lo shock. Non so cosa mi sconvolge di più delle diverse sensazioni che provo. Se la gratitudine per lei, il desiderio di accettare la sua offerta pur sapendo che non è assolutamente necessario o il sollievo all’idea di poterla tenere monitorata tutta la notte.
E so che è sbagliato, è qualcosa che disprezzo, un medico che approfitta delle risorse dell’ospedale laddove non ce n’è realmente bisogno, ma non ce la faccio, non riesco a lasciarla se non so che qualcuno sta controllando che stia bene, che sia il mio occhio o una macchina collaudata apposta per farlo. Se voglio ritrovare un minimo di controllo sulle mie azioni, devo accettare contro tutta la coerenza che tanto mi è cara. E devo ritrovare quel controllo, perché c’è una faccenda che devo sistemare in fretta e stanotte e che merita la mia completa attenzione.
Mi passo una mano sul volto, esausto. «Che serata assurda, santo dio!»  
«Dovresti andare a riposare un po’»
«Ish non…»
«Era sul punto di crollare, l’hai vista! Si addormenterà appena toccherà il cuscino» stronca sul nascere la mia protesta, decisa a farmi ragionare. E, non so per quale grazia, ci riesce.
Mi concedo un attimo per valutare la situazione e non posso negare che le cose stanno esattamente come dice lei. Anzi, mi sono accorto subito di come si stesse sforzando di restare sveglia invece di rilassarsi e riposare e, se la conosco bene, l’ha fatto perché c’ero io. Il punto è che ora devo pensare alla cosa migliore per Koala. E Koala ha bisogno di dormire. Senza contare che, se dorme, io posso anche allontanarmi senza troppe remore, specie se la attaccano al monitor.
Il problema è anche la soluzione, a quanto pare.
«Okay. Hai ragione tu» ammetto alla fine, riluttante, una volta tanto non perché mi pesa avere torto ma perché vorrei davvero un qualsiasi valido motivo per restare. La guardo serissimo. «Ma per qualsiasi cosa…»
«Ti chiamo» mi precede, un po’ per dimostrarmi che siamo abbastanza sulla stessa lunghezza d’onda da non dovermi preoccupare, un po’ perché in fondo ci ha preso gusto a togliermi le parole di bocca.
Annuisco secco e deciso prima di sospirare e afferrarmi il ponte del naso, sopraffatto dalla stanchezza, più mentale che fisica. E la notte si prospetta ancora parecchio lunga.
«Vado da Bibi» annuncio ma devo farmi violenza per riuscire ad allontanarmi. «Ehi Ish» la richiamo fatti pochi passi.
«Mh?»
«Grazie»
 
§
 
Ospedale di Raftel, un orario imprecisato intorno a mezzanotte.
 La notte tra mercoledì e giovedì.
 
Mi aggrappo al lato della macchinetta mentre schiaccio il pulsante rosso e sospiro, in attesa della bottiglietta dell’acqua. Lancio una furtiva occhiata verso le poltroncine d’aspetto dov’ero seduta fino a poco fa. Sabo fissa il vuoto, il busto piegato in avanti e le dita intrecciate. Credo stia ancora metabolizzando quel che gli ho detto e non lo biasimo.
Dopo settimane di totale e assoluta confusione, ora so finalmente cosa fare. E ci sarebbe ben poco da stare così tranquilla se stasera le cose non avessero preso la piega che hanno preso. Non sono affatto felice di quanto successo, sono preoccupata a morte per Koala e mi dispiace aver gettato Sabo in questo stato confusionale ma non rimpiango nulla. So bene cosa lo turba tanto ma sono anche sicura che si sta agitando per niente.
Conosco Law, abbastanza da poter predire come la prenderà. Abbastanza da sapere che, Koala o non Koala, non taglierebbe comunque i ponti con suo fratello, nonché migliore amico. Non dopo che avremo parlato, non dopo che gli avrò spiegato il mio punto di vista e, se ancora ne ha bisogno, aperto gli occhi.
Sospiro, esausta.
Non sarà facile, proprio per niente, ma è necessario e deve essere stanotte. Posso non sembrarlo, vista da fuori o a una prima occhiata, ma sono una persona determinata là dove serve e pronta a lottare per ciò che conta per me. E stanotte serve.
Il tonfo della bottiglietta mi riscuote. Ci metto comunque qualche secondo più del normale a reagire, complice non solo i miei pensieri ma anche la stanchezza, nonostante io sia sveglia come un grillo. Solo pochi di noi si sono arresi al sonno. Perona, in braccio a Ace, Kaymie, accoccolata contro Duval, e Chopper e Rufy, che hanno ceduto ai fumi dell’alcool.
Mi piego in avanti per recuperare l’acqua. Zia Albida mi sgriderebbe per la poca femminilità ma se mi accovaccio rischio di non riuscire a rimettermi in piedi. Ho le gambe distrutt, credo che se non fosse per l’adrenalina non riuscirei nemmeno a stare in piedi. Quando mi ritiro su, il mio cuore si ferma.
Sta uscendo dal corridoio del pronto soccorso, il cellulare all’orecchio, il passo cadenzato, l’espressione indecifrabile. Lo fisso con il fiato sospeso e non sono l’unica. Percepisco la tensione di tutti che satura la sala d’aspetto.
«Va bene, Tiger… Sì, certo. Allora ti aspettiamo. Ciao»
Abbassa il telefonino, si ferma sulla porta aperta e si appoggia allo stipite. Sento lo stomaco accartocciarsi, la paura che mi stringe la gola. È devastato e nessuno osa chiedere, anche se tutti stiamo morendo per sapere.
Santo cielo, Law, parla! Ti prego!
«Sta bene» sussurra e da come sospira e si passa una mano sul volto capisco. Capisco che lo ha realizzato solo adesso. «È solo svenuta. Sta bene» ripete, a se stesso stavolta.
Li sento anche senza vederli, tutti intorno a me riprendono a respirare. Mi giro verso Sabo che si è preso la testa tra le mani e vorrei correre da lui per confortarlo ma non posso. Ora che l’emergenza è rientrata, ora che sappiamo di stare davvero tutti bene, ora è arrivato il momento di affrontare la realtà.
E quando Law incrocia il mio sguardo mi accorgo che sta pensando esattamente la stessa cosa.
È strano, dovrebbe farmi male, almeno in teoria. Dovrei avere le gambe molli, il cuore pesante, la gola annodata. E invece mi sento come la prima volta che Pell mi ha portato a fare deltaplano. Sull’orlo del precipizio, pronta a lanciarmi nel vuoto per sentirmi libera come l’aria.
Non servono parole o gesti. Mi avvio verso il corridoio che porta al bagno, senza girarmi a controllare se mi sta seguendo. Sento i suoi passi alle mie spalle e mi fermo a pochi metri dall’inizio del corridoio, di fronte a una fila di seggioline libere e sufficientemente distanti da orecchie indiscrete.
Mi siedo, apro la bottiglietta, prendo un sorso in attesa. Law si siede al mio fianco, busto in avanti, dita intrecciate, sguardo alla parete di fronte.
Non sono fratelli di sangue ma certe volte sono uguali.
«Bibi io…»
«Non voglio sposarmi nemmeno io, Law» 
Si gira di scatto verso di me, gli occhi sgranati, riflesso della mia espressione. Sono scioccata da me stessa. Non sono solita essere così diretta e lapidaria ma mi sento già meglio. Tolto il cerotto con un unico strappo, la ferita inizia subito a respirare dopotutto.
Law metabolizza in pochi decimi di secondo, raddrizza appena il busto e torna impassibile.
«Oh» mormora, colpito. «E come mai?» corruga le sopracciglia e io non riesco a trattenere un sorrisetto.
Brutta roba, l’orgoglio maschile.
«Sul serio?» inarco le sopracciglia e lui sostiene il mio sguardo ancora qualche istante prima di afferrarsi il ponte del naso con due dita.
«Sì, hai ragione» sospira, massaggiandosi gli angoli degli occhi. «Mi dispiace, Bibi. Non so dove ho sbagliato»
Rapida gli poso una mano sul braccio. E, se ce ne fosse stato ancora bisogno, il gesto mi toglie qualsiasi dubbio residuo. Non c’è niente di intimo, né di nostalgico. Sono solo una ragazza che consola una persona a cui tiene molto. Forse non proprio un amico. Di sicuro non più un amante.
«Abbiamo sbagliato entrambi» affermo, determinata e sicura. Non lo dico per farlo stare meglio. Lo penso davvero. «Eravamo così concentrati sui nostri lavori e le nostre carriere che non ci siamo nemmeno accorti. Sposarci era la cosa più ovvia. Non fraintendere, non sto dicendo che non provavo niente per te ma… ora lo so, non era abbastanza. E io non voglio sposarmi, non ancora. Ho ancora tempo, sono ancora giovane e ho ancora tante cose per cui voglio lottare prima. Tu non mi hai mai intralciato, non ti ha mai pesato quando lavoravo fino a tardi alle mie campagne di protesta. Avevamo la perfetta routine ma cos’abbiamo costruito davvero insieme? E non è colpa tua o mia. O comunque è una colpa condivisa però non l’abbiamo fatto apposta, è che non ci siamo resi conto. Ma non siamo fatti per un’intera vita insieme e lo sai meglio di me. Lo sai benissimo chi è il tuo futuro»
È più forte di lui, è una frazione di secondo ma non mi sfugge. Non mi sfugge l’occhiata che lancia verso il fondo del corridoio, dove si trova la sala d’aspetto e poi l’ingresso al pronto soccorso. Non mi sfugge come cambia la sua espressione, come se essere lontano da lei fosse un dolore quasi fisico.
E non mi ferisce. Perché mai dovrebbe? Non lo amo e lui non ama me. Forse è difficile crederci, ma sono solo felice che qualcuno possa compensare entrambe queste lacune della sua vita.
«Non ho mai voluto usarti»
«E non l’hai fatto. Ti conosco, so come sei. Ragioni a compartimenti stagni e specializzarti è sempre stata la tua priorità. Mi hai conosciuto, la cosa ha funzionato, provavi abbastanza ed era arrivato il momento di pensare a una famiglia. Hai fatto la cosa più logica, è assolutamente da te. Ma non ti ricordavi com’era essere a casa, non ti ricordavi com’era essere con lei, averla intorno. Non ti ricordavi che, finchè c’era stata lei, non avevi mai avuto bisogno di altro» sposto la mano sulla sua coscia. «Non hai capito che il vuoto che cercavi di colmare non era qualcuno al tuo fianco ma lei al tuo fianco. Probabilmente perché non sai nemmeno da quant’è che la ami» da come trattiene il fiato, capisco di aver fatto centro. Gli sorrido di nuovo. «Non l’hai fatto apposta»
Mi studia qualche secondo, perde lo sguardo nel vuoto riflettendo sulle mie parole, torna a studiarmi. «E tutto questo da quanto lo pensi?»
«Consapevolmente? Da circa un’ora. Nel profondo credo di saperlo da settimane» sfrego le mani tra loro e prendo un profondo respiro. «Non sei l’unico che ha dovuto gestire un fattore destabilizzante» ammetto, guardandolo di sottecchi, sincera ma anche un po’ tesa.
Sì, sono certa che non taglierebbe mai i ponti con lui ma non posso avere nessuna certezza su come la potrebbe prendere di primo acchito.
Le rughe sulla sua fronte si infossano di più. «Hai conosciuto qualcuno?»
«Sì» rispondo senza esitazione, sostenendo il suo sguardo.
«Chi?» domanda e colgo nel suo tono più che altro curiosità e forse una punta di apprensione.
 «Ecco…» comincio con un altro profondo respiro. È il momento della verità.
Ma non riesco a finire, quando un rumore riecheggia contro le pareti. Un tonfo metallico seguito da un’imprecazione maltrattenuta. Mi giro verso il fondo del corridoio, mentre Law si raddrizza del tutto sul seggiolino, e il cuore mi perde due battiti. Sabo è all’ingresso del corridoio, ha appena colpito una delle sedie a muro con il ginocchio ma guarda fisso verso di noi mentre si sfrega la gamba con il palmo.
Ha un’espressione determinata che mi manda un brivido lungo la spina dorsale. Ha l’espressione di qualcuno che è venuto a reclamare qualcosa. E quando sposta gli occhi da me a Law, non ci sono più dubbi. Persino un idiota capirebbe e Law, notoriamente, non lo è.
Lo sento inalare rumorosamente e trattengo il fiato. Passano pochi secondi o forse un paio d’ore, poi percepisco la sua figura che si alza in piedi e, per un attimo, mi sovrasta prima di lanciarsi alla carica. Per un decimo di secondo non riesco a fare nulla. Poi reagisco e mi butto dietro a lui, che mi ha già staccato di un bel pezzo.
«Law!» cerco di fermarlo ma non frena l’andatura da carroarmato all’assalto. Sabo stringe i pugni e spinge il petto in fuori,immobile e stoico, pronto a incassare il colpo. «Law, non…»
Ma qualunque cosa stessi per dire me la dimentico all’istante. Una sensazione di caldo e piacevole sollievo mi pervade il petto quando Law lancia le braccia intorno alle spalle di Sabo e lo abbraccia. Se lo stringe addosso, così forte che temo possa stritolarlo, come se fosse il solo appiglio in grado di tenerlo in piedi. E Sabo ci mette un attimo a realizzare cosa sta succedendo. Comprensibilmente interdetto, sbatte le palpebre un paio di volte prima di ricambiare, incerto, l’abbraccio.
«Law?» lo chiama piano, interrogativo.  
Law stringe la presa su di lui, lo sento deglutire forte, come se dovesse scacciare il groppo in gola. «Trattala come merita, okay?» soffia a fatica.
Sabo ha un ultimo attimo di incredula sorpresa, poi stringe più forte, fino ad arpionare con le dita la maglietta di Law. «Puoi giurarci, fratello» anche Sabo manda giù a fatica, prima di aggiungere con un mezzo sorriso: «Vale anche per te, lo sai vero?»
Law non risponde. Si limita a sorridergli, euforico e felice. Inspira a fondo, se lo stringe addosso ancora una volta. Poi molla la presa, si avvicina a me e mi circonda il viso con le mani per darmi un bacio sulla fronte ed esce dal corridoio, diretto al pronto soccorso. Mi lancia un’ultima occhiata da sopra la spalla prima di sparire del tutto alla vista e io gli sorrido incoraggiante, invitandolo con un impaziente cenno del capo a correre da lei.
Che cosa sta aspettando ancora, per l’amor del cielo!
È solo dopo che svolta l’angolo che mi concentro su Sabo. Mi fissa con un misto di imbarazzo, voglia e felicità. È tirato e pallido ma il suo sguardo è radioso. Esalo un respiro, più rilassata ogni secondo che passa, e mi lascio cullare dal calore del suo sorriso.  
Non posso negare ci sia un po’ di impaccio da parte di entrambi, ma direi che è più che normale. Tamburellando con le dita contro la mia coscia, faccio due passi verso di lui, senza staccargli gli occhi di dosso, attività in cui si rivela piuttosto bravo anche lui.
Per qualche istante ancora nessuno dei due dice niente. È Sabo a rompere il silenzio.
«Ehi, ciao»
Sorrido. Va tutto bene.
«Ciao»

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Ospedale di Raftel, ore 3:34.
La notte tra mercoledì e giovedì.
 
Caldo.
La prima sensazione che percepisco è di calore. Un caldo confortevole, molto più del letto in cui mi trovo.
Non è il mio letto. Il mio materasso non è così duro e il mio cuscino non è così morbido. Ma è un letto caldo e il mio cervello mi rassicura che non c'è da allarmarsi se non sono a casa. Che sono al sicuro.
Un suono.
Acuto e cadenzato. È vicino e sembra scandire il ritmo di qualcosa. Il fatto che sia così regolare mi rilassa, come se il suo essere regolare fosse per me sinonimo che va tutto bene e non devo preoccuparmi.
Nel mio cervello affiorano parole alla spicciolata che mi aiutano a mettere insieme i pezzi e capire dove sono.
Inalo profondamente mentre mi giro a pancia in su sulla barella. Provo sollievo nel constatare che non ho più dolore dappertutto, anche se non ricordavo di avere avuto dolore dappertutto.
C'è una luce bluastra nella stanza. Di quelle per illuminare senza disturbare il sonno.
Socchiudo gli occhi e scopro che la luce è filtrata da una tenda. Una tenda verde menta, lo so anche se nella penombra il colore non si vede.
Sono all'ospedale di Raftel.
Mi giro cauta verso la fonte del rumore, troppo vicino per provenire da uno degli altri letti nell'ambulatorio. E infatti c'è un monitor accanto al mio letto, con un discreto numero di fili che arrivano fino a me.
Mi acciglio. Perché mi hanno collegata al monitor? Pen aveva detto che andava tutto bene. Che sia insorta qualche complicazione dopo che mi sono addormentata?
Il monitor salta un bip quando il mio cuore perde un battito nel panico. Mi sono addormentata.
Mi sono addormentata e ho lasciato andare Law.
Premo la nuca nel cuscino, sperando mi inghiotta e soffochi. L'ho lasciato andare. E so benissimo che tanto non ci avrei comunque potuto fare niente, non avrei mai messo a repentaglio la sua felicità per un mio attimo di egoismo ma, per quanto patetico, non so cosa darei ora anche solo per sentirlo dire...
«Koala?»
Sgrano gli occhi.
La voce è impastata ma decisamente troppo lucida per essere di qualcuno che dormiva profondamente. 
Mi sollevo di scatto, il monitor impazzisce quando il mio battito accelera. Law si solleva ben dritto sulla sedia posizonata a circa metà della lunghezza della barella. Guarda il monitor con sguardo truce.
«Mi hai spaventata» metto subito in chiaro, prima che si faccia venire l’angoscia di un mio imminente arresto.
Ma cosa ci fa qui? Non sembra un sogno e nemmeno un’allucinazione. Anche se, ovviamente, se fosse un’allucinazione a me sembrerebbe vera per forza. 
«Scusa» si passa una mano tra i capelli scompigliati, lo sguardo è liquido.
Stava dormendo. Stava dormendo qui accanto a me. Cosa sta succedendo?
Il monitor minaccia una nuova accelerata che riesco a mettere presto a tacere. Law se ne accorge lo stesso ma stavolta rimane tranquillo. Ci studiamo a vicenda per una manciata di secondi, facendo a gara a chi riesce a capire per primo come sta l’altro senza chiedere.
Ha l’aria sfinita ma c’è un che di rilassato e sereno nella sua espressione, qualcosa che sembra andare al di là del semplice sollievo e che non riesco a classificare. I capelli sono in disordine, un velo di barba in più sulle guance, l’ago di una flebo infilato nel braccio, l’asta della flebo di fianco alla sua sedia.
Lo stomaco mi si contrae. Cos’è successo?
«Come ti senti?»
«Che hai fatto?!»
Ci parliamo sopra, io non riesco a staccare gli occhi dalla flebo. Almeno finché lui con due dita non mi prende il mento per obbligarmi a guardarlo in faccia. Il monitor accelera. Traditore infame.
«È solo fisiologica» annuncia senza possibilità di replica. «Vuoi un po’ d’acqua?»
Annuisco piano. Non so se ho esattamente sete ma la gola è un po’ secca e comunque rispondere sì mi concede qualche secondo per riflettere. Se non che, quando Law si alza per versarmi un po’ d’acqua in un bicchiere di plastica e poi porgermelo, pensare è l’ultima cosa che sono in grado di fare. Per tutta l’operazione non riesco a togliergli gli occhi di dosso. Non capisco perché è qui e nemmeno mi importerebbe se solo non ci fosse un’enorme spada di Damocle, con sopra scritto MATRIMONIO, che penzola sulle nostre teste.
Prendo coraggio per chiederglielo e, proprio in quel momento, lui si siede sul letto e io vado in tilt di nuovo. So che lo ha fatto anche prima ma ora è diverso, perché non c’è più la paura che mi sia successo chissà cosa e, forse sono solo molto stanca io, ma mi sembra che prima di puntellarsi sul materasso con la mano mi abbia sfiorato il fianco con i polpastrelli.
«Tuo padre ti ha portato una cosa» mi avvisa, prima di piegarsi in avanti e ravanare dentro a qualcosa che si trova ai piedi della sedia. Spalanco gli occhi e stringo le labbra.
Papà è qui?
Mi mordo la lingua prima che la domanda mi sfugga perché, se glielo chiedo, so che andrà a chiamarlo e voglio che rimanga ancora. Solo un altro po’.
Si risolleva con un sacchetto verde tra le mani e, gli occhi ormai abituati alla penombra, riconosco subito le mie caramelle preferite. Latte e menta, morbide. Me ne portava sempre una quando veniva a trovarmi alla casa affido. E poi me le comprava sempre quando ero ammalata.
Sorrido e sento gli occhi pizzicare.
«Ne vuoi una?» mi chiede Law, il tono divertito.
«Sì…»
Apre il pacchetto e infila una mano per estrarre due confetti, incartati singolarmente in un pochino di plastica. Me ne allunga una, che afferro senza spostare gli occhi dalle sue dita, impegnate a cercare di scartare l’altra. Solo ora mi accorgo che trema.
Vorrei chiedergli che ha, vorrei alzare una mano e accarezzarlo tra i capelli, sussurrargli che va tutto bene ma non posso.
Mastichiamo le nostre caramelle in silenzio, lui guarda fisso il muro, io sbircio di sottecchi i suoi movimenti.
È sbagliato, tutta questa situazione è sbagliata, lui non dovrebbe essere qui con me.
Prendo un altro sorso d’acqua, un altro respiro profondo. «Gli altri? Sono ancora qui?»
«No» nega con il capo, gli occhi ancora incantati alla parete. Sbatte le palpebre e si gira a guardarmi. «Sono andati tutti a casa, non proprio tutti volentieri, a parte papà e Tiger»
Provo un moto di incredulità. Aspetta, ha veramente chiamato Dragon “papà”? Sento un sorriso farsi strada sulle mie labbra, un sorriso che però subito diventa malinconico. Devo restare concentrata, restare sul pezzo.     
«Dovresti andare anche tu. Bibi ti starà aspettando e poi devi riposare» mando giù a fatica, gli occhi che prudono. «Mancano poco più di ventiquattr’ore al grande giorno»
Mi squadra per un attimo, dal viso al bacino di nuovo al viso, e anche lui sorride con malinconia. «Bibi non mi sta aspettando»
«Ma che dici?» scuoto il capo perplessa.
Law prende un respiro profondo, chiude un attimo gli occhi e poi: «Il matrimonio è saltato Koala»
Silenzio. Assoluto, assordante silenzio, interrotto solo dal ritmico suono del monitor, che ancora registra un battito regolare. Perché, in effetti, sono congelata, priva di qualsiasi reazione, intenta a cercare di capire.
Che… cosa… che?
«Che?!»
«Io e Bibi abbiamo deciso di non sposarci»
Il monitor accelera.
«Ko…»
Alzo le mani verso di lui, chiudo gli occhi e prendo un profondo respiro per calmare i battiti. Okay, riproviamo. «Tu e Bibi non vi sposate?»
Devo aver capito male. Deve esserci una parte che mi è sfuggita.
«No»
«Avete deciso di sposarvi solo ad Alubarna?»
«No. Abbiamo deciso di non sposarci e basta»
«Ma… ma perché?!»
Io non capisco. Non ha senso… non ha nessun senso…
«Hai avuto una crisi esistenziale per quello che è successo?» domando, il tono è quasi indignato.
«Koala…»
E lo so, so che mi sto tirando la zappa sui piedi ma non esiste che me ne stia zitta a guardarlo mentre getta alle ortiche la sua storia senza nemmeno un motivo. Voglio la sua felicità, anche se non fosse con me, perché è il mio migliore amico e lo amo e la sua felicità è la cosa più importante.
«Ti sei… ti sei spaventato, ti sei accorto che la vita è breve, hai avuto una distorta epifania sulle catene e i legami della vita?» elenco, sempre più infervorata.
«Koala ascoltami»
«Perché ti faccio notare che tu non eri nemmeno lì e se pensi di vivere scappando hai scelto la persona sbagliata per conf…»
«Sono innamorato di te!»
Per un millesimo di secondo è il vuoto. Poi il monitor comincia a suonare così in fretta da sembrare prossimo all’esplosione.
«Koala!» si agita.
«Sto bene!» rispondo d’istinto.
Ma quando metabolizzo mi accorgo che non è vero. Non sto bene. Bene non rende nemmeno lontanamente l’idea. Non sto bene. Sono confusa, sono scioccata, sono euforica e sono terrorizzata.
Sono al settimo cielo e ho l’irrazionale paura di essermi immaginata tutto. Non sto bene. Sto molto più che bene.
«Sto sognando» decido dopo alcuni secondi di assoluto nulla. Il mio cervello non riesce ad assimilare con la stessa velocità del mio corpo. E so che è troppo bello per essere vero.
«Mi sento di escluderlo»
«Okay allora…» “è uno scherzo” sto per dire – perché in effetti mi sento molto sveglia al momento, anche troppo probabilmente, anche se non così ancorata alla realtà – ma mi accorgo che sarebbe ingiusto dirlo, Law non scherzerebbe mai su una cosa del genere, non sarebbe mai così crudele. «…allora sono morta, sono in coma, sto allucinando per gli antidolorifici, non lo so, insomma…»
«Kay!» alza appena la voce, fermo ma al tempo stesso così dolce. In un modo così familiare eppure così sconosciuto. «Ti assicuro che è tutto molto reale, a partire da me»
Boccheggio, gli occhi fissi su di lui, che non distoglie lo sguardo per tenermi agganciata qui, alla realtà. La realtà. Tutto questo è reale.
«Tu sei…?» provo a richiedere conferma ma faccio fatica a parlare e, come se non bastasse, tremo anche come una foglia. «T-tu… tu mi…»
«Sì» esala e non c’è esitazione, nella sua voce o nei suoi occhi. C’è solo qualcosa che non osavo sperare di vedere e che comunque ho la grazia di vedere per molto poco, quando i miei iniziano ad appannarsi.
Sbatto furiosamente le palpebre ma quelli restano oscurati e umidicci e allora li asciugo anche con le mani ma tanto ho anche le guance bagnate.
«Ommioddio»
Non riesco a respirare.
«Ommioddio!»
Non riesco a respirare perché rido e piango tutto insieme e non riesco a parlare e così faccio l’unica cosa che credo di essere in grado di fare in questo momento.
Gli butto le braccia al collo e lo bacio.  

Lo bacio così, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E lo è.  È naturale. Lo è quando lui risponde e mi afferra per i fianchi e lo è quando mi attira più vicina, quando approfondisce il contatto, e le lacrime si fermano e il mio cuore accelera e lui fa per staccarsi da me con urgenza.
«Law se ti azzardi a fermarti giuro che lo distruggo a mani nude, quel monitor» bisbiglio rapida sulle sue labbra. Sbianca per un attimo, perché sa che non è una minaccia a vuoto, ma con un ghigno ricomincia poi subito a baciarmi.
Sa di menta e zucchero e di terra bagnata dalla pioggia. Sa di lenzuola ancora calde. Sa di casa.
Mi stringo a lui, infilo le dita nei suoi capelli, memorizzo la sensazione delle sue mani che mi accarezzano la schiena, fino a fermarsi sulla mia nuca per tenermi vicina e rassicurarmi e coccolarmi.
Lo amo. Mio dio quanto lo amo.
È una tortura separarmi da lui, un incubo in un sogno quando, senza smettere mai di sorridermi, si alza e allontana da me. Ma sono tranquilla, va tutto bene. So che tornerà e avremo tanto di cui parlare e ora, per quanto combattutta, ho anche voglia di salutare papà.
«Devo andare a staccarmi la flebo» mormora, sfiorandomi il viso con la mano. Mi lascio cullare dal suo palmo, in estasi. Non mi sono mai sentita così, in totale balia di qualcuno eppure perfettamente al sicuro.
«Okay»
«Chiamo Tiger»
Mi limito ad annuire. Ho qualche difficoltà a pensare, figuriamoci parlare. Senza contare poi che gli lascerei fare qualsiasi cosa.
Si avvicina alla tenda e fa per scostarla.
«È tutto vero?»
La domanda mi sfugge prima che io riesca a frenarmi. Law si blocca con il braccio a mezz’aria e dopo un paio di secondi, che a me sembrano infiniti, si gira di nuovo a guardarmi.
Trattengo il fiato. Non andare. Non andare via. Resta.
Sento le guance scaldarsi sotto la sua occhiata, a metà tra l’incredulo, il divertito e, ancora fatico a crederci, l’innamorato. «Non… non è un sogno vero?» lo domando stavolta, con le le guance rosse e il respiro ancora accelerato e un sorriso che non vuole saperne di sparire.
Mi studia una manciata di secondi poi, con estrema cautela, sfila l’ago dal braccio e torna indietro. Si china su di me e io mi riappoggio al cuscino, tenendo i miei occhi puntati nei suoi, peggio di una calamita.
«Spero proprio di no» sussurra, mentre si avvicina.
Il monitor accelera di nuovo. Law si immobilizza, lancia un’occhiata in tralice all’apparecchio e poi, finalmente, si decide a spegnerlo prima di premere il suo sorriso contro il mio.
 
§
 

Ospedale di Raftel, un orario imprecisato intorno alle 11:00.
Giovedì.
 

«Credevo finissi prima il turno» spenzolo le gambe giù dalla barella, mentre lo osservo concetrato studiare il foglio di dimissione per accertarsi che ci sia scritto tutto.
«Con il macello di ieri sera nessuno ha potuto rispettare il riposo e chi riesce si è fermato un po’ di più. E poi ci tenevo a esserci per le tue dimissioni» conclude, chiudendo la cartella per rivolgermi un sorriso smagliante che ricambio grata.
Si scompiglia i capelli rossi, come se ne avessero poi bisogno, e si avvicina alla barella per sedersi accanto a me. «Stai bene?»
Aggrotto la fronte con un sorriso perplesso. «Dovresti essere tu a dirlo a me» gli faccio presente.
«Certo» recupera subito Pen. «E clinicamente infatti non c’è niente che non vada. Ma mi chiedevo se fosse tutto okay anche sotto altri aspetti o se… non so… magari avevi bisogno di una spalla amica per confidarti ecco»
Lo scruto ancora più accigliata. «Pen…» metabolizzo piano il pensiero. «Stai cercando di capire se c’è qualcosa tra me e Law?!»
«Dimmi solo sì o no! Ti prego! Ho scommesso un patrimonio sul sì e mi sto macerando nella preoccupazione, porca miseria!»
Sgrano gli occhi, basita. Hanno scommesso?! Su me e Law?! Ma è un ospedale o cosa?!
Mi scappa da ridere ma mi trattengo. So che suona sadico, ma voglio divertirmi un po’.
«Quanto hai puntato esattamente?»
«Abbastanza per comprarmi la moto se vinco»
Lo fisso per un attimo senza parlare, poi abbasso lo sguardo alle mie ginocchia. «Beh vedi… il fatto è che stanotte c’è stato effettivamente un… riavvicinamento diciamo. Solo che poi…» sospiro pesantemente.
«Poi?!» chiede impaziente, così impaziente che si sporge verso di me senza nemmeno rendersene conto.
«Pen, cosa stai facendo?»
Si ritira su di scatto, più per istinto che perché consapevole della situazione ambigua, e io mi sporgo appena per poter vedere oltre la sua figura. Law è a pochi passi dalla barella, in mano un borsone che riconosco come mio e lo sguardo di uno pronto a uccidere a sangue freddo se necessario.
«Facevo due chiacchiere con la mia paziente» Pen gli rivolge un sorriso smagliante.
«Puoi farle anche standole lontano»
«Perché?» Pen si acciglia un attimo e l’attimo dopo si illumina. «Ti da fastidio?» indaga, ammiccante e speranzoso.
Ridacchio a più non posso quando Law, dopo un’ultima occhiata truce a Pen, si avvicina per darmi un bacio. Quando si stacca da me, l’espressione di Pen è impagabile. Sembra un pesce che boccheggia fuori dall’acqua, gli occhi a palla e Law è sul punto di perdere del tutto la pazienza quando Pen lancia le braccia al soffitto.
«Sì!!! Evvai!!!» esulta, balzando in piedi e improvvisando quella che sembra una specie di danza irlandese, così scoordinata da fare a gara con Sabo.
«Ma che gli prende?» si acciglia Law.
«Oh niente, è solo che…»
«Cosa succede qui?» chiede un’altra voce incuriosita, accompagnata da una testa biondo scuro che fa capolino da dietro la tenda. «Ommioddio!» esclama poi l’infermiera – che se non ricordo male, dovrebbe essere Lamy. La famosa Lamy di Chopper – dopo aver studiato per un attimo l’inequivocabile posizione di Law, puntellato con le mani ai lati delle mie cosce, il busto ancora piegato. «Allora è vero! Ishley aveva ragione!!»
«Lamy, abbiamo vinto!» esclama Pen, porgendole entrambi i palmi per un doppio cinque. «Abbiamo vinto!!!»
«Cos’è che hanno vinto?» chiede Law, scioccato dal grado di follia a cui è costretto ad assistere.
«Una scommessa» rispondo con una stretta di spalle, mentre Pen solleva Lamy da terra per festeggiare. «Su di noi»
«Che cosa?!» si rigira di scatto verso di me e io ne approfitto per scoccargli un bacio sulla punta del naso.
«Non ti arrabbiare» lo ammonisco e intanto Pen rimette Lamy a terra e poi le lancia un’occhiata di apprezzamento abbastanza inequivocabile.
«Dovremmo festeggiare non credi?»
Lamy sgrana gli occhi. «Ah no! No, no, non ci provare nemmeno, Dottor Anaconda! Non voglio saperne!» lo ammonisce, alzando il palmo verso di lui anche se, vi dirò, non mi sembra convintissima.
«Di cosa non vuoi saperne?» Pen non si fa scoraggiare e avanza nonostante il braccio di Lamy frapposto tra loro, il sorriso seducente.
«Oh per l’amore del cielo» esclama Lamy, abbandonando l’area delimitata dalla tenda, rossa fino alla punta dei capelli e con un sorriso traditore sul volto.
«Dai Lamy! Solo una cena informale!» la insegue Pen, scomparendo alla nostra vista.
Law fissa il punto dove poco prima si trovavano i suoi colleghi, spaesato. «Dottor Anaconda?» domanda, a nessuno in particolare.
«Se ti può interessare, tu sei Dottor CGC»
«Cos…»
«Sta per "cento gradi centigradi" che, oltre a essere quello dell'acqua, è anche il punto di ebollizione del sangue» spiego, inarcando le sopracciglia. «Ishley si è impegnata davvero molto per tranquillizzarmi ieri sera» chino appena il capo di lato, con indulgenza. Law sa fin troppo bene che non può prendersela con lei se lo ha fatto per il mio bene, perché in pratica è come se avesse preventivamente eseguito una sua stessa richiesta. 
«Santo Roger…» sospira sfregandosi gli occhi e non ho alcuna difficoltà a sentire la voce nella sua testa che aggiunge “Sono circondato da un branco di deficienti”.
Sghignazzo sotto i baffi per poi allungare un braccio verso di lui, per reclamarlo. Gli passo una mano tra i capelli quando si siede accanto a me. «Com’è a casa? Avete già avvisato?» domando, un po’ impacciata visto il mio ruolo in tutta la faccenda. Ma quello che voglio capire ora è come sta lui, non mi interessa nient’altro.
«Per ora solo papà, Cora, Crocodile e Cobra. Volevamo avessero tutti il tempo di metabolizzare prima di sollevare il polverone oggi pomeriggio» mi spiega, sgusciando con la mano sotto alla mia, per intrecciare le nostre dita. «Sono solo mortificato per le spese non rimborsarbili. La stragrande maggioranza dei costi li ha coperti Cobra. Per non parlare del pranzo che andrà tutto sprecato. Zeff non la prenderà affatto bene, odia gettare via il cibo e da fastidio anche a me. Non c’è nemmeno il tempo per impacchettare tutto e inviarlo a Harahetternia» sospira mentre gli accarezzo il dorso della mano con il pollice.
Vorrei tanto poter fare qualcosa. E appena lo penso, il mio cervello si riattiva, fervido come non mai.
«Che ne dici di cambiarti e andare a casa?» interrompe il filo dei miei pensieri ma recupero in un attimo e subito annuisco in risposta. Law si sporge a baciarmi una tempia. «Aspetto qua fuori»
Come stanotte, lo osservo allontanarsi verso la tenda per lasciarmi la mia privacy. E come stanotte, lo fermo un attimo prima che possa effettivamente andarsene.
«Law, possiamo andare a Goa?» domando senza preamboli.
Si gira sorpreso a guardarmi. «Sì, certo» conferma, un po’ perplesso. «Ma sei sicura? Pensavo volessi andare da Nekozaemon»
«Sì è vero, ma non è da solo. È che c’è una cosa che vorrei fare. Forse mi è venuta un’idea»
 

§
 
 
Goa, un orario imprecisato intorno alle 23:00.
Giovedì.
 
 

Mi trascino sul letto, rimbalzando appena sul materasso morbido e fragrante. È stato un pomeriggio impegnativo, decisamente non il genere di giornata che una persona appena dimessa dall’ospedale, vittima di un trauma, dovrebbe trascorrere. Ma a mali estremi sono necessari estremi rimedi e tutti, nessuno escluso, hanno collaborato.
Resta solo da sperare che domani, alla fine, fili tutto liscio.
Sdraiata in obliquo sul letto, con addosso solo un paio di slip e un vogatore panna che mi sfiora le cosce, osservo Law finire di lavarsi i denti nel bagno annesso, un paio di boxer e una maglietta grigio blu aderente che non lasciano molto all’immaginazione.
Non che abbia da ridire. Anzi. Peccato solo che io sia esausta.
L’universo, a quanto pare, non si è ancora stancato di fare l’ironico con me. Questa è la stessa stanza dove, un mese fa, ho avanzato una mezza proposta indecente a Izou, tanta era l’astinenza in cui versavo, e ora che posso condividerla con l’uomo di cui sono innamorata, tutto quello che agogno è dormire tra le sue braccia.
Non che sia una brutta prospettiva, ovviamente. Tutt’altro.
Non ce la siamo sentiti di usare la stanza di Law e Sabo, o meglio lui ha preferito evitare, visto che ha dormito lì con Bibi durante la rimpatriata. Posso capirlo, in fondo siamo ancora tutti un po’ scossi dagli avvenimenti delle ultime ventiquattr’ore, compresi Bibi e Sabo, che hanno cenato qui insieme a noi, Ace e Perona, Rufy e Silk e ora sono tornati a Raftel, a casa di Sabo.
L’acqua del rubinetto si chiude e io mi scosto per fargli spazio quando esce dal bagno e spegne la luce, il tutto senza levarmi gli occhi di dosso. Mi raggiunge, si sdraia e mi accoglie subito sul suo petto, sfregando il palmo lungo il mio braccio.
«Giornata intensa eh?»
«Puoi dirlo» ridacchio, strusciando la fronte contro il suo collo. «Speriamo che vada tutto bene»  
«Ne sono sicuro» mi stringe, baciandomi sul capo. «È una tua idea dopotutto»
Mi giro a pancia in giù, sgambettando nell’aria. «Dovresti smetterla di farmi tutti questi complimenti. Potrei seriamente abituarmici» lo metto in guardia, punzecchiandogli il fianco.
«Non vedo il problema» minimizza subito lui, serio e impassibile. «Posso sempre negare che fosse un complimento»
«Non puoi negare una cosa evidente»
«Posso, se è la tua parola contro la mia»
«Oh, Law! Andiamo!» rido, picchiando una mano sul suo pettorale.
«No ma dico davvero. Come fai a dimostrarlo?» mi sfida.
«La metti su questo piano?» socchiudo gli occhi. «Vorrà dire che girerò per il resto dei miei giorni con un registratore sempre acceso addosso. Mi sembra la soluzione perfetta, soprattutto per quando discuteremo di cose stupide come di che colore dipingere le pareti del salotto o…» mi blocco di colpo, perdendo il sorriso.
In un istante, mi rendo conto di aver esagerato.
Sì è vero, ci siamo dichiarati, le cose tra noi filano naturali come se stessimo insieme da sempre ma non è passato nemmeno un giorno, è la sera prima di quello che sarebbe dovuto essere il suo matrimonio e, oltre a non avere idea di che progetti abbia Law per se stesso e con me, la mia uscita è stata parecchio indelicata.
Mortificata, abbasso lo sguardo e prendo aria per scusarmi ma non riesco a emettere un fiato.
«O che albero piantare in giardino» continua, posando una mano a coppa sulla mia guancia per farmi sollevare di nuovo gli occhi su di lui. Trattengo il fiato, gli occhi lucidi di colpa ed emozione. «O dove posizionare in cucina la lavastoviglie e il forno»
Sorrido, una lacrima rotola sulla mia guancia e sul suo pollice, mentre stringo la sua maglietta tra le dita. «Guarda che non è affatto stupido mettere la lavastoviglie al posto del forno»
«Certo che no…» mormora, roco, attirandomi sempre più vicina.
«Voglio dire…» continuo, lo sguardo fisso sulle sue labbra. Non so nemmeno più cosa sto dicendo. «La lavastoviglie si usa molto di più, è decisamente più pratico averla altezza uomo»
«È vero» conferma, aggiustando l’angolazione.
«E poi…»
«Stai zitta» mi tappa la bocca e smetto di pensare.
Infila una mano sotto al mio top, io salgo a cavalcioni su di lui, mentre ci mordiamo le labbra a vicenda e le nostre lingue danzano insieme. La stanchezza è dissolta, scomparsa nel nulla, insieme alla voglia di dormire. Almeno non subito.
Quando ci separiamo, dopo quelle che potrebbero essere state tranquillamente ore per me, le labbra gonfie, il respiro grosso, gli occhi traboccanti di voglia, l’atmosfera non ha niente a che vedere con quella di ieri notte.
C’è la stessa felicità e la stessa euforia ma c’è anche di più, molto di più. C’è voglia di essere sua, di appartenergli anima e corpo che non ha niente, niente a che fare con la mia astinenza, che mi fa tremare di emozione, che mi sta svuotando l’anima.
«Koala…» comincia, circondandomi il volto con entrambi le mani, pronunciando il mio nome con una passione che vibra nell’aria intorno a noi.
Mi vuole, tanto quanto io voglio lui, ma non osa.
Dovrebbe essere strano. Forse, anche imbarazzante.
Ma non lo è.
È assolutamente, totalmente, perfettamente giusto.
Mi schiaccio su di lui e quando le sue braccia mi circondano, inverte le nostre posizioni e mi sovrasta, lo sento.
Con ogni fibra, nervo e cellula del mio corpo.
Sono a casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


 
A Momo e Zomi



Goa, un orario imprecisato intorno alle 13:15.
Venerdì.

 
Sbircio attraverso la finestra aperta i camerieri che apparecchiano con certosina precisione i tavoli tondi, disposti con millimetrica cura sotto le tensostrutture che sono state montate stamattina presto, prima che arrivassimo tutti qui, guardaroba a seguito per prepararci al grande giorno. 
Porto alle labbra la mia tazza di the al mandarino appena tiepido, un rilassante rimedio per i nervi. Stamattina mi sono svegliata con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Credo di essere ancora parecchio scossa per gli avvenimenti dell’altra notte ma non sono più così in negazione da riuscire a fingere che non c’entri soprattutto lo strano comportamento di Zoro.
Da mercoledì sera non mi ha mollata un attimo e dire che mi abbia infastidita avere i suoi occhi addosso ogni secondo sarebbe una colossale bugia. Poi però ieri sera, dal nulla, mi ha detto che non poteva restare a dormire e, senza una spiegazione, se n’è andato come se avesse il diavolo alle calcagna. L’ultima notizia che ho avuto di lui è stata una stringata buonanotte su whatsapp, giusto per avvisarmi che era arrivato a casa sano e salvo. Tre quarti d’ora dopo il tempo che ci vuole effettivamente per andare da casa mia a casa sua.
Poi più niente. Niente buongiorno stamattina, niente informarsi su come sarei venuta a Goa, niente di niente. Non l’ho ancora visto, non so nemmeno se è arrivato e ho avuto abbastanza da fare da dimenticarmi volontariamente del cellulare.
Inutile girarci intorno, sono preoccupata. So fin troppo bene cosa potrebbe aver scatenato il tutto e la cosa più ridicola è che la soluzione al problema sono proprio io.
Ha provato ad affrontare di nuovo l’argomento, quando siamo tornati a casa dall’ospedale. Con la scusa di commentare il siparietto tra Sanji e Usopp si è cautamente addentrato nel terreno delle relazioni indefinite e io ho glissato e non una volta soltanto. Ieri, tra la scusa di voler controllare le condizioni di Chopper e di andare a trovare i miei per tranquillizzarli, sono stata ancora più sfuggente. E dire che avercelo in giro per casa vestito solo di boxer e maglia intima, ritrovarmelo addormentato sul divano nella sua impossibile posizione di meditazione, andarlo a recuperare nello sgabuzzino per accompagnarlo in cucina è stato così bello che quasi faceva male a respirare.
Sarebbe così semplice dirgli che sì, sì lo amo ancora, l’ho sempre amato e che sì, voglio una relazione vera, definita, con un nome. Voglio essere la sua donna, la sua fidanzata, il suo tutto. Sarebbe semplice ma non ci riesco.
È troppa la paura, ancora vivido il ricordo di quanto è stato doloroso separarmi da lui. Ogni neurone del mio cervello urla e mi insulta da giorni, ricordandomi le sue parole alla cena di prova. Di come per lui fossimo già qualcosa di definito, di quanto avessimo costruito insieme. Eppure è bastato un fantasma del suo passato per togliermi ogni certezza e lui, anziché capirlo e lottare come ha sempre fatto e sempre fa per qualsiasi cosa, si è lasciato convincere dalle mie grida di aiuto, ben mascherate da insistenti capricci.
Dove possiamo sperare di andare con questi presupposti? Non siamo più ragazzini ormai, io voglio qualcosa di stabile. Voglio una famiglia.
Lo sto spazientendo lo so. Non mi aspetterà per sempre e perché dovrebbe poi?
Stringo più forte la tazza tra le mani. Forse è meglio così, dopotutto, forse… forse avremmo dovuto rinunciare già tre anni fa anziché riprovarci, da bravi testardi quali siamo.
Appoggio la tazza sul tavolo così forte che un po’ di the schizza fuori, bagnandomi la mano, che trema impercettibilmente.
Calma, Nami, calma. Va tutto bene, sei forte. Non è niente che ti ucciderà.
«Nami-chin, stai male?»
Sobbalzo, presa in contropiede, e mi giro di scatto verso Kaymie che, le sopracciglia corrugate mi osserva dalla porta della cucina. Mi passo una mano sul volto, imperlato da piccole gocce di sudore che non hanno nulla a che vedere con la calda giornata che è sorta anche oggi su Raftel.
«Kaymie, ciao!» 
Mi si avvicina con movimenti cauti e afferra uno sgabello nel tragitto. «Ecco, siediti un attimo» mi invita, con urgenza e calma al contempo.
Le sorrido grata, accettando lo sgabello. Ho dormito poco e niente stanotte, mi sento fiacca. Riprendo la tazza e sorseggio un altro po’ di the. Un po’ di zuccheri non possono che farmi bene in questo momento.
Si accovaccia davanti a me «Vado a chiamare Chopper-kun?» si offre, continuando a scrutarmi preoccupata.
«Oh no, no! Non ti preoccupare, non ho niente. Tu come stai piuttosto?» devio la conversazione, accarezzandole una guancia. Anche se lo vedo da me come sta.
È raggiante, com’è giusto e normale che sia. Senza più l’abbigliamento impeccabile che Bonchan pretendeva da lei – che ipocrita, tra l’altro –, nonostante lo spavento di mercoledì notte, con una semplice canottiera nera e ancora struccata è già bellissima. Quando avrà finito di prepararsi, Duval resterà folgorato, come se poi ce ne fosse ancora bisogno.
Forse può sembrare una decisione affrettata la loro ma io li capisco, più o meno. Con quello che è successo, ti viene voglia di afferrare la vita e consumarla fino al midollo ogni singolo giorno. Cosa che, a quanto pare, io non sono fisiologicamente in grado di fare.
«Agitata per oggi?»
Trattiene il fiato e poi si lascia sfuggire una risatina isterica. «Un pochino!» esclama, la voce acuta. «Spero vada tutto liscio, spero davvero non ci siano imprevisti che poi Bon-sama sclera e… ma comunque oggi è l’ultima volta che può succedere, poi sarò libera e non vedo l’ora, ecco!»
«Vedrai che sarà una giornata indimenticabile, qualunque cosa accada. Sarà come il primo giorno della tua nuova vita»
Ride di nuovo, sempre un po’ isterica. Io, grazie a queste due chiacchiere, mi sento già meglio. Non importa cosa accadrà domani, oggi voglio godermi la festa, voglio che sia un giorno felice, piacevole, senza intoppi o…
«Nami»
Stavolta è Usopp che mi chiama, sempre dalla porta della cucina. E mi basta la sua espressione per saperlo. Ho parlato troppo presto.
«Che c’è?»
«Emergenza sposa. Su di sopra» mi comunica telegrafico.
Perfetto!
Abbasso gli occhi su Kaymie, che sta già iperventilando, lo sguardo perso nel vuoto. Con un movimento agile e deciso, la afferro per le spalle e inverto le nostre posizioni, facendola sedere sullo sgabello. «Kaymie, stai tranquilla. Andrà tutto bene, te lo prometto» la rassicuro, accarezzandole le braccia prima di seguire Usopp con passo deciso su per le scale.
«Che succede? E dove sono Baby e Monet?» gli domando sottovoce a metà della rampa.
«È in crisi nera. Baby e Monet stanno tenendo occupato Bonchan. Le manca solo quell’okama invasato per crollare definitivamente» sibila mentre svoltiamo l’angolo. Con il braccio mi indica la stanza che era di Sabo e Law. «Koala è già con lei» aggiunge, con il chiaro intento di restare in disparte.
In effetti, vista l’ora, Bibi sarà sicuramente in procinto di vestirsi e non credo sia molto abbigliata. Determinata lo supero e mi accosto alla porta. Sollevo la mano, busso con la nocca dell’indice e accosto il viso all’uscio.
«Bibi, sono Nami! Adesso entro!» la avviso, prima di aprire e scivolare nella stanza senza aspettare il permesso. Richiudo immediatamente la porta e mi giro, pronta a trovare il delirio, Bibi in vestaglia di seta, con il raccolto mezzo sfatto e in lacrime.
E invece niente.
Nel senso che in questa stanza non c’è nessuno.
«Ma cos…»
Il rumore della serratura che viene chiusa schiocca alle mie spalle. A occhi sgranati marcio di nuovo verso la porta e provo ad aprire. Chiusa a chiave.
Cosa diavolo sta succedendo?!
Tiro il pomello, lo scuoto con violenza ma niente. Non si apre.
«Usopp!» chiamo, bussando dentro per il fuori. «Usopp, ci sei?! Sono chiusa dentro! Apri!»
Nessuno risponde. Ma che è? Uno scherzo?! Non mi sembra affatto divertente!
«Ehi!!!» busso più forte. «Okay ha smesso di essere divertente appena hai chiuso! Adesso fammi uscire!»
Resto in ascolto ma qui fuori non vola una mosca. Mani sui fianchi mi guardo intorno in difficoltà e porto un palmo a tamponare la fronte. Non capisco cosa gli sia preso. Io mi devo preparare!
Lancio un’occhiata truce verso la porta. Potrei provare a scassinare la serratura con una forcina ma col cavolo che rischio di rovinare il raccolto per uno scherzo idiota di quel deficiente!
Però devo uscire da qui. Ho un vestito firmato e un paio di scarpe che sono costate quasi come l’abito, non ho intenzione di lasciare l’etichetta attaccata su quella meraviglia!
Lo sguardo mi cade sulla finestra e un pensiero mi solletica la mente. Chissà se ci riesco? In fondo è solo il secondo piano e posso usare il tetto della veranda come appoggio. In pochi passi attraverso la stanza e spalanco il vetro, già socchiuso, sporgendomi fuori con il busto.
Sì, si può fare, ma mi servirebbe qualcosa per calarmi fino alla tettoia tenendomi ancorata. Rientro nella stanza, il cervello che lavora a mille. Fa tanto film e sembra una scemenza, ma magari con le lenzuola…
«Mocciosa? Ci sei?»
Salto su come una molla, porto una mano al petto, il cuore che rischia di distruggermi la cassa toracica. Mi guardo intorno spaesata ma non c’è nessuno.
«Nami?»
Il fiato sospeso, punto gli occhi verso il punto da dove proviene la voce e mi ritrovo a fissare la porta comunicante con la vecchia camera di Ace e Rufy. Come ho fatto a non pensarci prima? Sollevata, mi ci precipito e afferro la maniglia.
Chiusa a chiave anche questa.
«Zoro, aprimi! Usopp mi ha chiuso qua dentro, non so cosa gli è preso»
Trattengo il fiato in attesa ma non succede niente. Sento Zoro schiarirsi la gola, nitido come se non ci fosse niente a dividerci.
«Non posso aprirti la porta»
Che.Cosa.Ha.Detto?
Stringo i pugni e gonfio le guance. Una vena prende a pulsare sulla mia fronte.
Ma che cosa gli prende a tutti?! Pesto un cazzotto contro il legno.
«Zoro, guarda che questa me la paghi! Fammi uscire! Subito!»
«Dovresti rilassarti sai?» lo vedo con l’occhio della mente sghignazzare. «Ti vengono le rughe»
Le mie iridi sbiancano, mi getto contro la porta con tutto il mio peso. «Mi devo preparare!»
«E allora fallo»
«Oh che idea geniale!» ironizzo, isterica. «E cosa mi metto?! Una tenda?!»
«C’è tutto quello che ti serve in quella stanza»
Un brivido omicida mi attraversa. No, seriamente, quando esco di qui li pesto a sangue. Tutti e due. Sono così arrabbiata che potrei anche abbattere la porta ma poi mi rovinerei le unghie.
Che poi che discorsi sono?! C’è tutto quello che mi serve in questa stanza?!
«Si può sapere di cosa stai parl…»
Il cervello mi va in blackout. Mi addosso alla porta, le gambe molli. C’è un vestito in questa stanza. L’ho guardato senza realmente vederlo prima.     
C’è un vestito in questa stanza e un paio di scarpe abbinate. C’è tutto quello che mi serve per prepararmi.
Ma non può essere… Non può essere che…
Mi tengo ancorata alla porta mentre ruoto su me stessa. Sembra quasi osservarmi, appeso allo specchio dentro la sua protezione trasparente. Il corpetto tempestato di perle tono su tono, che si stringe in due spalline sottili e che lascia la schiena scoperta,  la gonna scivolata di impalpabile chiffon che si allunga in uno strascico.
L’abito da sposa di Bibi. Un abito da sposa che, lo so anche senza averlo mai provato, mi sta a pennello, dipinto addosso, come se fosse stato cucito su di me.
Ma è tutto troppo assurdo per essere davvero quello che penso. Non ha senso, non ce l’ha, non ha alcun senso.
«Law e Bibi non si sposano»
Mi aggrappo allo stipite, la stanza gira come un vortice.
«Mi dispiace non poterti aprire ma Perona si è raccomandata. Dice che porta sfortuna»
Oh mio dio!
Porto una mano alla bocca e soffoco il verso a metà tra un singhiozzo e una risata nevrastenica.
«Zoro è una follia»
«Amarti è una follia, mocciosa. Eppure non sono bastati tre anni per guarire»
«Ma tu non puoi…» mi rigiro verso la porta. «Non possiamo, non così! Ci siamo appena ritrovati, noi…»
«No. Non ci siamo appena ritrovati. Abbiamo solo ricominciato dove ci eravamo fermati e quei tre anni è come se non ci fossero mai stati. So che è così anche per te, Nami» mormora roco e deciso. Io non riesco a parlare, non riesco a muovermi. Posso solo stare ferma qui ad ascoltarlo. Voglio solo stare ferma qui ad ascoltarlo. «Questa volta non permetterò a una stupida paura di separarci. Questa volta ho intenzione di lottare, con le unghie e con i denti, solo per te. Ci apparteniamo e il tempo è un limite che non ha alcun senso, non per noi due. Adesso o tra cinque, dieci, vent’anni per me non cambia. Oggi o un altro giorno, per me non cambia. Voglio passare il resto della mia vita con te»
Scivolo lentamente a terra.
Sono così felice. Così felice che fa male. Vorrei aprire questa porta, abbatterla e aggrapparmi a lui per il resto dei miei giorni.  
«È così anche per te? Perché se è così anche per te, Nami, non ha senso aspettare. Che sia oggi o tra un decennio, per noi non cambia niente. Beh tranne che il matrimonio di oggi è già tutto pagato, certo» aggiunge, chiaramente con un ghigno, e io mi lascio sfuggire mezza risata.
Sa come persuadermi quando vuole.
«Lo so che è così anche per te» riprende, dopo qualche secondo di silenzio, la voce così bassa che mi stupisco di riuscire a sentirlo. «Perciò…» un’altra pausa e io sgrano gli occhi. Sento degli strani rumori fruscianti al di là della porta.
«Zoro?»chiamo, quasi in panico, mettendomi in ginocchio e appoggiando entrambe le mani alla porta. «Ti sei messo in ginocchio?»   
Sospira. «Il cuocastro mi ha minacciato che facessi le cose per bene» spiega rassegnato e io rischio di conficcare le unghie nel legno.
Sta succedendo! Sta succedendo veramente!
«Nami Cocoyashi, vuoi diventare mia moglie oggi?» 
Premo le labbra contro il polso, chiudo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime. Respiro a fondo. Che sciocca che sei, Nami. Ti sei spaventata a morte per niente.
«Zoro…» chiamo piano, la voce rauca. «Chi ti fa da testimone?»
Lo immagino facilmente mentre aggrotta le sopracciglia perplesso. «Perona e Sanji, perché?»
«Perché ora, prima di uscire da quella stanza, tu devi chiamarli e non andare da nessuna parte finché non arrivano e andare con loro a GoldenBell, perché se io arrivo alla chiesa e tu non ci sei perché ti sei perso, giuro, sul mio conto in banca io giuro che ti verrò a cercare e ti picchierò così forte che ti dimenticherai anche come ti chiami, non solo la strada per tornare a casa… casa nostra»
Sbuffa una mezza risata. «Agli ordini» sussurra e io sorrido. Non so come, percepisco chiaramente che si sta alzando in piedi e lo imito. «Ci vediamo tra poco, piccola»
Si allontana, con passi misurati e decisi, proprio come lui, ma quasi corre per tornare indietro quando lo richiamo.
«Zoro!»
«Dimmi!»
Lo sento che si addossa alla porta. Il legno sembra bruciare nel punto dove, ne sono certa, ha appoggiato la mano, alla stess altezza a cui è appoggiata la mia. E anche se lui è al di là della porta, è come se non ci fosse più niente tra noi. Rabbrividisco, come se il suo respiro mi stesse accarezzando la pelle. Appoggio la fronte all’uscio e so che lo fa anche lui. Lo sento.  
«Io… Io non ho mai smesso»
Espira sollevato ed è il suono più bello che abbia mai sentito, secondo solo al battito del suo cuore che si calma e torna regolare, dopo aver fatto l’amore con me.
«Nemmeno io, Nami. Neanche un giorno»
Mi mordo il labbro. Mi sento come una ragazzina al primo amore. E, dopottutto, tolto il “ragazzina”, le cose stanno effettivamente così.
«Ci vediamo tra poco» lo saluto, anche se sono combattuta. Voglio che vada e allo stesso tempo che resti.
«Puoi giurarci» mi rassicura prima di andare davvero con un ultimo “ciao”.
Mi giro di schiena e rimango appoggiata alla porta, mi serve un supporto. Appoggio anche la nuca al legno e mi porto una mano alla fronte. Non riesco a smettere di sorridere, santo cielo.
La serratura scatta di nuovo e io riapro gli occhi e giro il capo verso la porta che si apre lentamente sul corridoio, rivelando Usopp, Koala, Bibi e Kaymie che mi sorridono dalla soglia.
Li guardo e scuoto il capo, euforica, e quando entrano nella stanza mi lancio verso di loro. Abbraccio Koala e Bibi, mormorando un grazie al suo orecchio.
«Sono io che ti sono grata. Sarebbe andato tutto sprecato se avessi detto di no» risponde prontamente lei.
«Il vestito potevi sempre riusarlo» le faccio notare.
Fa ciondolare il capo con una buffa espressione. «Ehhh… Non so nemmeno se mi servirà mai» si stringe nelle spalle, cogliendomi alla sprovvista. «Comunque è Koala che devi ringraziare» aggiunge, indicandola con un cenno del capo. «L’idea è stata sua»
Perché la cosa non mi stupisce?
Le dedico tutta la mia attenzione e la scruto attentamente in viso. «Come stai?»
«Io bene» mi sorride e mi circonda il volto con le mani. «E tu?»
Tutto quello che riesco a fare è scoppiare a ridere e abbracciarla di nuovo. Non ci sono parole, davvero non ci sono. Mi sposto verso Kaymie, che quasi saltella sul posto.
«Non te l’aspettavi, eh, Nami-chin?!»
«Me l’hai proprio fatta prima in cucina» le dico, stringendo per un attimo anche lei.
È il turno di Usopp. Pantaloni scuri e camicia bianca, sembra raggiante quanto me. Ci guardiamo fermi e zitti per un lungo istante prima che io gli posi le mani sulle spalle.  
«Devi andare a finire di prepararti , testimone» gli sussurro e lui trattiene il fiato.
«Cos…» balbetta. «S-sei sicura?»
Sorrido a più non posso e poi in uno slancio gli afferro il capo e me lo stringo al petto, ridendo. «Sei il mio migliore amico!» esclamo, fuori di me dalla gioia.
«Ouch… off… mmmmng… ‘Mi!»mugugna lui, agitando le braccia ai lati del corpo.
«Allora, cosa sta succedendo qui? È ora di prepararsi!» una voce autoritaria, qualcuno batte le mani con la fermezza di un colonnello dell’esercito. Sollevo la testa e rimango solo un attimo sorpresa quando vedo mamma e Nojiko nel corridoio, già agghindate e con la cusodia di due abiti da cerimonia tra le braccia.
Mollo la presa su Usopp e le aspetto per abbracciare anche loro.
«Mamma!»
«Come stai, piccola mia? Emozionata?»
Riesco solo ad annuire, mentre Nojiko studia i miei capelli. «Ti aggiustiamo un po’ l’acconciatura adesso» mi rassicura.
«Mi fai da testimone?»
«Stai scherzando?» risponde subito, quasi indignata. «Non dovresti nemmeno chiederlo! Perona ha detto che sale a truccarti, comunque» aggiunge, trascinandomi verso uno dei letti.
«Come Perona?!»
«Sarà meglio darci una mossa» s’intromette mamma.  «Tuo padre sta per farsi venire un infarto»  
«Non preoccuparti, vado io con Zoro e Sanji» mi avvisa Usopp ma io non ci sto già più capendo niente, troppe mani e voci che mi circondano.
Improvvisamente capisco perché le spose dimagriscono così tanto prima del matrimonio. Sto vivendo in cinque minuti tutto il mix di emozioni e sentimenti che normalmente una sposa vive nell’arco di mesi.   
Sono passata da zero a duecento di tensione in tre secondi e questo matrimonio è già tutto organizzato, devo solo vestirmi e per i dettagli come trucco e parrucco non devo nemmeno preoccuparmi perché sono in ottime mani. Eppure sono agitata.
Agitata perché voglio essere bellissima, solo per lui, e ho l’irrazionale paura di non esserlo abbastanza, il che è ridicolo se penso che fino a dieci giorni fa discutevo con Nojiko del fatto che le spose sono sempre bellissime nel loro grande giorno, di una bellezza intrinseca.
Agitata perché non sto nella pelle di vederlo, in fondo alla navata, che mi aspetta bello e seducente, con il completo scuro che io ho scelto per lui al Mokomo Dukedom, gli occhi densi e profondi che brillano solo per me. Agitata perché potrebbe perdersi.
Agitata perché oggi è il primo giorno della mia nuova vita.
 

 
§

 
Chiesa di GoldenBell, ore 14:42.
Venerdì.
 

«Zoro no!» lo ammonisco.
Non è che sta cercando di scappare, chiariamo. È solo agitato e sta misurando la stanza a grandi passi per scaricare la tensione, solo che nel farlo continua accidentalmente a imboccare per sbaglio l’uscita della sacrestia. E se esce dalla chiesa è finita.
«Scusa» borbotta mentre si passa una mano tra i capelli. È piuttosto tirato e sul pallido andante e comincio a preoccuparmi. Non l’ho mai visto così e Sanji non è ancora tornato.
«Ehi, ragazzone, tutto bene?» mi avvicino per dargli una pacca sulle spalle, quando si siede su una delle seggioline di legno.
Appoggiato alla propria coscia nella posizione del pensatore, solleva gli occhi su di me, miserabile. «Usopp…» esita un istante. «Verrà, vero?»
Sgrano gli occhi e non riesco a esprimere il sollievo che provo. Ero già in panico che ci stesse ripensando, che stesse avendo una crisi esistenziale, che i suoi tentativi di uscire non fossero poi così accidentali. E invece no. È preoccupato, anzi spaventato, che sia Nami a ripensarci il che significa che vuole sposarla davvero, il che significa che non tenterà di fuggire, il che significa che non dovrò scegliere tra la felicità della mia migliore amica e la mia incolumità – e ovviamente sceglierei la mia incolumità –, il che significa che Nami non mi ucciderà.
E anche per oggi il grande Usopp Sharpshooter l’ha sfangata!
«Ma cer…»
«Eccomi, eccomi scusate!» Sanji entra a fuoco in sacrestia, il fiatone e l’aria trafelata e, nonostante questo, impeccabile e bellissimo come sempre.
Zoro si alza di scatto dalla sedia. «Li hai presi?»
Sanji sorride, mi lancia un’occhiata nervosa, torna a guardare Zoro mentre si accarezza il coppino e io inarco un sopracciglio. È tesissimo e mi avvicino istintivamente a lui mentre estrae con cura un sacchetto di organza da quattro berry dal taschino interno della giacca.
«Ho trovato solo questi» continua a sorridere imperterrito, mentre lo allunga a Zoro, che lo afferra e si sposta verso il tavolo per estrarne il contenuto. Rovescia il sacchetto e sul suo palmo, colpito in pieno dalla luce del sole che filtra dalla finestra, atterrano due cerchietti di vetro, uno piccolo e verde smeraldo e l’altro più grande di un bell’arancione scuro e ambrato. Zoro li osserva interdetto, impossibile capire cosa stia pensando.
Sanji si sfrega la coscia con la mano, si gira verso di me e poi ancora verso Zoro. «Marimo io…» avanza di un passo, l’espressione mortificata. «Mi dispiace, non ho trovato di meglio, io…»
Zoro si avvicina a lui, con un movimento così possente che per un attimo penso voglia prenderlo a pugni e scatto già pronto a pararmi di fronte a lui ma, per lo stupore di entrambi, le braccia di Zoro fanno il giro e si stringono sulla schiena di Sanji. Un po’ troppo a lungo e con un po’ troppo trasporto, per i miei gusti.
«Ah» esala Sanji, sorpreso. «Z-Zoro, che…»
«Sono perfetti»
Li osservo con una smorfia. Mio dio, il mondo sta per finire!
Si trattengono a vicenda per le spalle ancora qualche istante e poi, sempre senza dire niente, si separano.
«Okay, dunque…»
«Dunque…»
«Posso fidarmi a lasciarti qui un attimo da solo, così io e Usopp usciamo a prendere una boccata d’aria?» gli chiede e Zoro annuisce fermo e convinto. Ora che ci sono anche gli anelli, sembra tornato lo Zoro di sempre.
Con cautela, ci avviamo verso l’uscita, girandoci più volte a sorpresa per controllare che rimanga seduto e non si metta a camminare in giro. Sembra di giocare a “Un, due, tre, Stella!” – non ho ancora superato il trauma del vero nome del gioco che ha accompagnato la mia intera infanza. Per me non sarà mai “Un, due, tre, Stai là!”. Mai! –.
«Sicuro che sia una buona idea lasciarlo?» gli chiedo, quando mettiamo piede sul sagrato.
«Se restiamo qui non può andarsene senza passarci davanti. Al massimo si perderà dentro la chiesa» si stringe nelle spalle Sanji, strappandomi una risata.
Si gira verso di me, le mani in tasca e mi guarda per un lungo istante, cogliendomi alla sprovvista. «Che c’è?» domando, un po’ stranito e nervoso per lo sguardo che mi sta lanciando. «N-non fumi?»
Scuote il capo. «Non è per questo che sono voluto uscire»
«E allora perc…» le parole mi muoiono in gola quando estrae una mano dalla tasca dei pantaloni e, aprendo il palmo, mi mostra un anello rosso brillante, di vetro come quelli che ha preso per Zoro e Nami, che riverbera sotto il sole come se fosse un rubino. «C-che… Sanji?» lo chiamo, confuso e in panico.
«Non è quello che sembra!» esclama, alzando l’altro palmo verso di me. «Non voglio darti false illusioni. Quando ti chiederò di… quando te lo chiederò, ci sarà una vera proposta e un vero anello» prende un profondo respiro e vorrei potesse farlo anche per me, perché al momento sono in apnea.
Ha detto “quando”. Non “se”. “Quando”!
«Ma l’ho visto e ho pensato… ah non lo so cos’ho pensato» sbuffa mezza risata, mentre si riavvia i capelli, gli occhi fissi sull’anello. «Forse…» alza gli occhi per puntarli nei miei. «Una promessa?»
Devo impormelo, di ricominciare a respirare. Allungo il braccio e lo obbligo a chiudere a pugno la mano che tiene l’anello – non voglio che si rompa – e con l’altro gli circondo il collo e mi stringo a lui. Forte, forte, il più forte che posso.
«Ti amo»
Trattiene il fiato. Sento il suo sorriso contro la tempia prima che me la baci. Mi sta abbracciando e baciando fuori all’aperto, in pieno giorno, sotto il sole. Non mi sono ancora abituato a questa nuova realtà ma non credo di poterne più fare a meno.
Il lontano rumore di più ruote che pestano la ghiaia ci obbliga a separarci per poter controllare che la sposa e la sua squadra di superdonne sta effettivamente arrivando.
«Ci siamo eh?» respira a fondo Sanji, emozionato.
«Sì. Meglio se torni dentro. Vi mando subito Perona» lo incito, scendendo dal sagrato per andare incontro a Nami, che è così bella che leva il fiato pure a me. «Cerca di non sanguinare troppo» lo ammonisco dopo più attenta riflessione, dandogli le spalle.
Tanto lo so che sta vorticando con gli occhi a cuore e un fazzoletto già infilato nella nar…
«Usopp»
Il tono è talmente calmo e razionale e mi coglie talmente alla sprovvista che mi volto così in fretta da rischiare di cadere. E le gambe mi si mozzano. Perché Sanji non sta vorticando, non ha gli occhi a cuore, non sanguina e non sta guardando Nami né Nojiko, né nessuna di loro.
Guarda me. Con il vento che gli scompiglia i capelli e il sole che accarezza metà della sua perfetta figura, slanciata e fasciata dal completo su misura, lui guarda solo me. Come se fossi la cosa più bella del mondo.
«Ti amo anch’io»
 

 
§

 
La prima e unica volta che sono stata a Palazzo Ryugu avevo diciannove anni ed ero una matricola. Non ricordo più esattamente per che mostra di che artista contemporaneo il professor Van der Decken ci aveva portato in “gita” – se di gita si può parlare, all’università – ma ricordo molto bene quanto, più delle sedicenti opere d’arte esposte, mi avesse colpito l’atmosfera e l’architettura, oltre che la vista mozzafiato.
Le curve morbide della costuzione, la scelta dei materiali, i giochi di colori, luci e trasparenze. Sembrava di essere immersi in un’altra dimensione, quasi un mondo sottomarino.
Mi ero ripromessa che un giorno ci sarei tornata ma solo e soltanto per festeggiare qualcosa di importante. Mi ero ripromessa che Palazzo Ryugu sarebbe stata una di quelle esperienze profondamente significative perché sono una volta nella vita.
Quello che certamente non avrei mai osato immaginare era che quel qualcosa di importante fosse la mia notte di nozze. Io, che non ho mai pensato seriamente al matrimonio, che non l’ho mai visto come un obbiettivo o una tappa fondamentale, io, cresciuta con due genitori che per tutelare me, Nojiko e Chopper hanno firmato cinque fogli davanti a un impiegato comunale e non si sono mai messi un anello al dito, perché tutto ciò che serviva loro per la vita erano il loro amore e i loro tre figli, io, Nami Cocoyashi, sono ufficialmente una donna sposata e mi scoppia il cuore tanto sono felice di esserlo.
E mentre attraverso l’atrio di questo magico luogo, mano nella mano con mio marito, non riesco nemmeno a guardarmi intorno, a godermi la meraviglia architettonica in cui sono immersa, perché l’elemento più bello di tutto questo insieme è l’uomo che cammina accanto a me. È bellissimo.
Zoro è bellissimo ed è solo mio. Con un ghigno storto appiccicato alla faccia da ore, mi guida verso il bancone della reception per il check-in, orgoglioso di mostrare a tutti la donna che ha accettato di stare con lui fino alla fine dei suoi giorni.
«Buonasera» saluta il concierge che, di spalle a noi, ondeggia in modo strano e sussurra qualcosa che non riusciamo a capire. Mi appoggio al bancone accanto a lui e subito Zoro mi circonda con un braccio. Ci scambiamo un’occhiata perplessa. «Ehm… Buonasera!» riprova, alzando appena il tono.
Il tizio, un uomo sulla quarantina, tarchiato e con pochi capelli, si gira senza smettere di molleggiare, non certo perché ha sentito Zoro, visto e considerato che continua a muovere le braccia in una strana danza e continua a canticchiare “Vai col Mambo”.
Interdetti, aspettiamo che si accorga di noi e, quando lo fa, si blocca con un braccio verso l’alto e uno verso il basso e ci osserva sorpreso, quasi che fosse strano, mentre fai il turno alla reception, ritrovarsi degli ospiti che aspettano per avere delle informazioni. Sbatte le palpebre un paio di volte, probabilmente il tempo che richiede il suo cervello per connettersi a dovere, prima di sorriderci cordiale.
«Ma buonasera!» esclama fin troppo entusiasta. Il fatto è che io e Zoro lo battiamo in euforia, ragion per cui ci ritroviamo a sorridere ancora di più e Zoro stringe un po’ la presa sulla mia spalla.
«Buonasera»
«Abbiamambo una prenotazione, immagino» sfoglia rapido il registro senza smettere di guardarci, con un sorriso che comincerebbe a diventare inquietante se solo non fossi abituata a Iva e non fossi troppo impegnata a cercare di capire se ha davvero detto “abbiamambo”.
«Sì, in effetti. La Suite dei Coralli se non sbaglio…» Zoro cerca conferma da me, che subito annuisco. «La prenotazione era a nome Trafalgar Law ma c’è stato un piccolo cambio di programma» spiega, il viso una maschera di tranquillità, come se davvero non fosse poi gran cosa il fatto che una coppia si sia sposata al posto di un’altra.
Il concierge studia assorto il registro, dimenando impercettibilmente il bacino mentre si picchietta il labbro superiore con un dito ed emette una serie di “mh,mh,mh” a ritmo di musica.
«Sì, sì, sì… mh, mh, mh… Vediamo, vediamo, ved… Oh ecco! Trafalgar Law e Nefertari Bibi, Suite dei Coralli. Sì, sì, sì, mh, mh, mh, vai col Mambo! E i signori invece sono?»
«Noi siamo...»
«Zoro e Nami Roronoa» mi intrometto. Anche senza guardarlo, sento il suo sguardo addosso, spiazzato e innamorato. Sorrido mentre tendo al concierge le nostre carte d’identità per permettergli di procedere con il check-in.
«Per-fet-to! Hiramera, potresti accompagnare i signori alla loro stanza?» si rivolge a una ragazza dai capelli rosa, con la frangia e la coda di cavallo, che ci sorride e ci invita a seguirla con un gesto impeccabile quanto il suo abbigliamento.
Discreta, sale in ascensore con noi, tenendosi a debita distanza e di spalle. Zoro mi afferra per i fianchi appena le porte si chiudono e mi attira a sé per baciarmi.
«È stata una bella festa?» domanda Hiramera senza voltarsi.
«Direi di sì» ridacchio, staccandomi un attimo da Zoro, giusto il tempo di rispondere prima di riavventarmi di nuovo sulle sue labbra.
Con un lieve tintinnio, l’ascensore annuncia la fine della corsa e io mi stacco a malincuore da lui, avendo cura di incastrare le nostre dita. Mi guardo intorno, assorbendo la bellezza del luogo, l’eleganza delle pareti dipinte in tutte le gradazioni di blu e azzurro, la cura di ogni singolo dettaglio. Hiramera ci conduce fino alla porta che si trova in fondo al corridoio e a occhio e croce dobbiamo trovarci di fronte a una di quelle che da fuori sembrano delle nicchie bombate che sporgono dalla struttura principale. Ergo, questa suite è praticamente un appartamento.
«Prego signori» Hiramera apre la porta e si fa da parte. «La vostra chiave» aggiunge, tendendo una tessera elettronica, azzurra e trasparente – sembra fatta d’acqua – a Zoro. «E buona serata» aggiunge con un sorriso prima di richiudere la porta e lasciarci soli.
Mi guardo intorno incredula. Questo luogo è veramente magico. Questa stanza è qualcosa di unico. Tutto nell’arredamento sembra fatto di corallo, il parquet è lavorato per ricordare un fondale marino, il letto è a forma di conchiglia.
Ma niente, niente riesce a travolgermi quanto le mille emozioni provate oggi che ancora fanno vibrare il mio corpo e l’odore di Zoro, la voglia di essere una cosa sola con lui, di vivere questa notte fino allo spasimo.
Sì, questa stanza è eccezionale ma non è per questo che è speciale. È speciale perché sono con lui. Ovunque lo sarebbe, insieme a lui.
«Ehi mocciosa» mi chiama, con una dolcezza di cui solo io sono mai stata testimone. Seguo la sua voce e lo individuo fuori sul balcone, la portafinestra spalancata sulla più bella vista che si possa avere di Raftel. «Vieni a vedere» mi invita e non me lo faccio ripetere due volte. Emozionata come una bambina, mi precipito fuori e mi aggrappo alla ringhiera.
E, mio dio, quant’è perfetto. È tutto così perfetto.
 
«Nami, ti accolgo come mia legittima sposa.
Accetta questo anello, segno della mia fedeltà e del mio amore per te.
 
La brezza della sera, il tiepido odore d’estate nell’aria, l’atmosfera ricca di aspettativa, le luci della nostra città.
 
Con questo anello prometto di amarti e onorarti sempre.
 Prometto di pagare sempre tutti i miei debiti…
 
Zoro mi abbraccia da dietro e io sposto le mani dalla ringhiera alle sue braccia. «Non è bellissimo?»
 
«…e di accompagnarti anche a fare shopping. Ogni tanto»
 
«Sì, lo è» conferma, baciandomi dietro l’orecchio ma capisco da come lo dice che non sta affatto parlando del panorama.
Rapita, mi giro verso di lui, di nuovo incapace di vedere qualsiasi altra cosa che non sia lui.
 
«Zoro, ti accolgo come mio legittimo sposo.
Accetta questo anello, segno della mia fedeltà e del mio amore per te.
 
Si abbassa a baciarmi e io mi aggrappo alle sue spalle per fare leva e, agile, intrecciare le gambe intorno alla sua vita.
 
Con questo anello prometto di amarti e onorarti.
Prometto di non chiederti mai interessi troppo alti…
 
Tenendomi ben stretta al suo petto, mi fa sedere sulla ringhiera e comincia a marchiarmi ovunque la mia pelle è esposta e le sue labbra riescono ad arrivare. Getto il capo all’indietro, persa e sua.
 
…e di venirti a recuperare sempre. Ovunque ti perderai»
 
Non so nemmeno come, a un certo punto mi ritrovo sul letto, con l’abito abbassato ai fianchi. Zoro sopra di me, la camicia completamente aperta, la giacca e la cravatta scomparse. Accarezzo il suo petto fino alla cintura, che prendo subito a slacciare con mani tremanti.
Sembra assurdo, ma è così diverso stasera.
Diverso da quando tutta questa storia è iniziata.
Non riesco nemmeno ad abbassargli del tutto boxer e pantaloni. Appena gli do un briciolo di respiro, si scosta per finire di spogliarmi e ammirarmi da capo a piedi, in ogni centimetro del mio corpo e della mia anima che sono suoi, ora e per sempre.
Diverso da quando ci siamo riavvicinati, qualche giorno fa.
Gemo quando mi morde un seno e lo attiro verso di me, respirando avida il suo odore, rubando il calore della sua pelle con la mia.
Diverso, così diverso, così perfetto.
 
«E prometto di essere tuo…»
 
Non perché ci siamo sposati. Non perché ci sono due anelli sulle nostre dita.
Ma perché ora lo sappiamo.
 
«E prometto di essere tua…»
 
Dopo tutta la paura e il tempo sprecato, gli anni a cercare di capire cosa fossimo, senza mai volerlo scoprire veramente, a credere che ci stavamo accontentando di qualcosa a metà mentre costruivamo già una vita insieme.
Ora lo sappiamo.
 
«…tutti i giorni della mia vita…
 
Siamo semplicemente noi.
 
…da oggi e per l’eternità»
 
E lo saremo sempre.










Angolo dell'autrice: 
Ed eccoci qui, in diretta dal matrimonio del secolo! 
Qualcuno aveva scommesso sull'identità degli sposi, spero sia stata una gradita sorpresa scoprire chi fossero davvero. 
Chiedo umilmente perdono per l'OOC a palate ma giuro che è stato catartico scrivere di loro così, praticamente un ritorno alle origini! 
Ora non siamo ancora alla fine anche se manca molto poco  perciò mi riservo i ringraziamenti strappalacrime per più tardi e intanto mi limito ad abbracciare virtualmente tutti voi che siete arrivati in fondo anche a questo capitolo. 
Hope you've enjoyed it. 
Page. 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Tolgo di nuovo le scarpe che ho dovuto rimettere per le utlime foto della giornata, con un sollievo che non si può nemmeno spiegare. Mi lascio cadere di schiena sul letto e sorrido. Siamo tutti stanchi morti ma decisamente ne è valsa la pena.
È stato bellissimo e memorabile e ci sono un paio di aneddoti che dubito ci stuferemo mai di raccontare da qui al nostro letto di morte.
«Okay…» la porta solo socchiusa si apre appena un po’ di più, il necessario a far scivolare Law nella stanza, il cellulare all’orecchio. Mi puntello sui gomiti e lui subito alza un dito a chiedermi un attimo ancora, a mo’ di scuse che, ovviamente, non servono. Ma ditelo a lui, è più duro del comodino. «Quindi i risultati della biopsia cosa dicono?»
Con un moto di profondo affetto e orgoglio per lui e la dedizione che ha nel suo lavoro, mi rialzo e comincio a spogliarmi, iniziando dalle autoreggenti, che si sono appiccicate tipo effetto sottovuoto e mi danno non pochi problemi a staccarsi dall’interno coscia. Maledette.
«Io avrei fatto esattamente la stessa cosa» gli lancio un’occhiata da sopra la spalla. Annuisce serio, gli occhi concentrati puntati al muro, le sopracciglia appena corrugate, una mano sul fianco. «Va bene così, sei sulla strada giusta, non farti venire dubbi che non esistono»
Sorrido, divertita dal trasporto con cui lo dice. Alla faccia di quello che non si fa coinvolgere e “ognuno per sé, non voglio smazzarmi anche i problemi degli altri”. Finalmente anche il secondo elastico siliconato si stacca, lasciando libera la mia pelle.
«Certo. Chiamami se hai altri dubbi»
Mi rimetto dritta e sgancio la cintura.
«Tranquilla. Buon lavoro»
Chiude la telefonata e sospira stanco. «Scusami, era Ishley. Fa la notte in pediatria e c’è un bambino che sembra fatto di vetro tanto è fragile di salute»
Sollevo le braccia per sganciare il bottoncino che chiude il corpetto del mio vestito subito sotto il collo. «Si fida un sacco di te»
«E io di lei» annuisce.
«Sì ma intendo che tu per lei sei un punto di riferimento» mi spiego meglio, voltandomi per farmi slacciare la zip. «Sarà dura quando tornerai ad Alabasta» mormoro, lo stomaco contratto ma gli impongo di rilassarsi subito. Non che mi dia retta.
Sarà solo un anno ma sarà un lungo anno. E mi fido di lui, ciecamente però è dura lasciarlo andare ora che l’ho appena ritrovato. Anche se non dovrei fare questi pensieri ora, dovrei piuttosto essere contenta che abbiamo ancora un mese e mezzo da passare insieme. E poi io andrò a trovare lui e lui tornerà a trovare me. E sarà solo un anno. Solo un anno.  
«Io non torno ad Alabasta»
«Come?!» mi giro di scatto, il fiato sospeso.
Ho sentito bene?!
Una mano in tasca, l’altra a riavviarsi i capelli, un ghigno storto.
«Non torno ad Alabasta. Lo prende Sabo il mio biglietto aereo» mi giro completamente verso di lui, in attesa. «Ieri ho telefonato al mio direttore di specialità. Il ragazzo con cui ho fatto lo scambio si è trovato così bene ad Alubarna che vorrebbe restare. Qui una mano in più serve e ormai mi manca solo la tesi, che posso scrivere ovunque. Tornerò solo per discuterla»
Lo ascolto a occhi sgranati, confusa. E felice, certo. Sono anche felice ma soprattutto confusa.
«Non ti ho detto niente perché eri presa a riorganizzare il mio fu matrimonio in meno di ventiquattr’ore» allarga il braccio in un gesto e con un’espressione che so benissimo indicare quando è colpito e ammirato da qualcosa che trova incredibile – solo perché lui non avrebbe saputo da che parte iniziare, ma non ho fatto poi niente di che –. Mi sento riscaldare tutta dentro.
«Hai sempre detto che stare fuori fosse importante per un medico...»
«Lo so» mi interrompe, avanzando di un passo verso di me. «Ma sono stato lontano abbastanza. So cosa voglio adesso. E voglio restare. I lavori per il Castello sulla Collina inizieranno poco dopo la fine dell’estate e io voglio esserci. Voglio esserci per costruire questo ospedale» ghigna di nuovo, guardando fisso nei miei occhi. «E anche qualcos’altro»
C’è ancora un attimo di incredulo silenzio prima che io ricominci a respirare. E scoppi in una mezza risata mentre mi lancio verso di lui, mi aggrappo al suo collo, con l’intento di trascinarlo verso di me per baciarlo, ma nella foga non controllo la forza e lo scaravento per sbaglio sul letto. Oh beh, poco male visto che vado giù anche io, restandogli addosso e da questa posizione baciarlo è molto, molto più facile.
Infila le mani sotto la parte superiore del mio abito, morbida il giusto per lasciargli spazio a sufficienza per accarezzarmi, e io ricambio aggredendo i bottoni della sua camicia. Maledetti pure loro.
Sto ancora litigando con il terzo che proprio non vuole uscire dall’occhiello quando Law mi afferra  e mi ribalta sul letto per sovrastarmi.
«Uoh!»
«Koala, questa camicia è costata centoquarantasette berry» mi mette in guardia con un’espressione sadica e bastarda. Il gatto che gioca con il topo, ve lo garantisco.
«Oh» fingo di stare al gioco ma non riesco veramente a restare seria. Mi avvicino con il viso e lui subito si abbassa di più per strusciare il naso sulla mia guancia. «Sarebbe un vero peccato se i bottoni si strappassero, allora» afferro saldamente i baveri tra le mie mani.
«Un’autentica tragedia» soffia un secondo prima che tre bottoni madreperla schizzino in giro per la stanza. Gli mordo le labbra mentre a palmi pieni mi impossesso del suo torace. Inarco la schiena e gli lascio lo spazio per circondarmi la vita con il braccio e da lì a pochi secondi sono nuda fino alle anche, con Law che mi bacia sull’ombelico e sui fianchi, facendomi il solletico.
 «Aspetta, aspetta, aspetta!» lo fermo tra le risate, sospingendolo all’indietro contro la mia stessa volontà. «Law sei sicuro che te la senti?» chiedo, affannata ma seria. Solleva un sopracciglio
Okay, so che sembro pazza, ieri sera lo abbiamo fatto in questa stessa stanza ma…
«Sabo e Bibi dormono qui stanotte»
Non posso fare l’amore con lui se ho il dubbio che la cosa possa turbarlo anche solo lontanamente. Ne va della mia sanità mentale. E forse avrei dovuto pensarci prima di rovinare una camicia da centoquarantasette berry ma questo è un dettaglio che non devo per forza fargli notare.
Ancora perplesso, punta per un attimo gli occhi alla porta chiusa, poi torna a guardarmi. «Ma stanno nella camera mia e di Sabo, loro. E non li invidio visto che la camera comunicante se l’è accaparrata Ace»  
«Sì beh, noi qui di fianco abbiamo Franky e Robin eh» gli faccio presente.
Mi fissa mentre ci pensa su un attimo e poi torna a ghignare di nuovo e il mondo è di nuovo bellissimo e io devo di nuovo sforzarmi per tenere a mente almeno come mi chiamo e quando sono nata.
«Sfida accettata» mormora mentre si piega su di me e io faccio giusto in tempo a sgranare gli occhi un attimo prima di perdermi un’altra volta in quello strano mondo fatto di fuochi d’artificio e scariche elettriche.
Infilo una mano nei suoi capelli, lo sento sgusciare con le dita attraverso lo spacco sulla mia coscia, giocare con l’elastico dei miei slip.
Addio sanità mentale.
Sto reclinando il capo all’indietro per lasciargli libero accesso alla mia gola quando una serie di micidiali tonfi risuonano in corridoio. Ci immobiliziamo così come siamo, entrambi riapriamo gli occhi, puntati sulla porta, cercando di capire.
I tonfi continuano, si mischiano a una voce che ulula indefinita e passi pesanti.
Ma che…
Law si schiaccia su di me per coprirmi quando la porta si apre senza preavviso. Fissiamo perplessi – e Law penso anche un po’ omicida – Sabo che si sporge nella stanza, tirato e pallido come un cencio, la fronte imperlata di sudore. Alle sue spalle gli ululati continuano, sempre incomprensibili ma ora riconosco almeno che si tratta della voce di Franky.
«Robin è in travaglio» 
«Cosa?!» Law fa per tirarsi su ma si rende subito conto e si rischiaccia su di me. «Ma è troppo presto!»
«Lo so!»
«Mancano ancora due mesi!»
«Lo so, Law!!»
Gli afferro il viso a due mani e lo obbligo a guardarmi, serissima. «Sei un dottore. Datti una calmata»
Respira a fondo, alla ricerca del proprio autocontrollo che per fortuna ritrova in pochi attimi. Annuisce a darmi ragione e torna a guardare Sabo che non si è ancora schiodato dalla porta e saltella sul posto impaziente.
«Dai! Dobbiamo andare!»
«E allora esci, così Koala può rivestirsi»
«Oh beh, come se fosse niente che non ho già vis…» Sabo richiude la porta un attimo prima che una scarpa di Law gli si schianti in faccia.
«Deficiente» sibila, rialzandosi per lasciarmi libera.
«È ancora convinto che la ragazza che gli ha fatto vedere le tette la sera della sua laurea sia io»
«Giuro che non gli permetterò mai più di bere a quel modo in tua presenza. Dovessi cucirgli la bocca con la suturatrice»
Mi precipito verso il mio borsone per recuperare dei vestiti più comodi e contemporaneamente rovisto anche tra le cose di Law alla ricerca di una t-shirt, che gli lancio praticamente in faccia non appena la trovo.
«Nasce in anticipo eh»
«Tutta figlia di sua madre» sorrido e mi avvicino per dargli un bacio. «Dai andiamo» lo tiro appena per la mano e lui prontamente mi segue, fuori da qui, diretti all’ospedale in attesa di conoscere nostra nipote, in questa notte che è destinata a diventare davvero indimenticabile.  
 

 
§

 
Tre anni dopo
 

«È ridicolo!» protesto allargando le braccia. Faccio un altro tentativo di muovermi verso la porta, la gonna che fruscia ad ogni mio movimento.
«Ah!» Nami si para di fronte alla porta della camera per impedirmi di uscire, l’indice puntato verso di me. Ironia della sorte, proprio la stessa camera dove io ho avuto la geniale idea di chiudere lei tre anni fa. «Koala, ne abbiamo già parlato»
«Ma sta smattando ed è il mio migliore amico!»
«E abbiamo già appurato che oggi non puoi gestire i suoi attacchi di panico così come sei» mi indica con la mano, il palmo verso l’alto.  
Mi lancio una veloce occhiata nello specchio, vestita a pennello, i capelli impeccabili, e, dopo un altro attimo di lotta interiore, sospiro rassegnata. «Comunque questa è solo una vostra ridicola fissa»
«Chissà come mai tutto il mondo la pensa così, allora» protesta, il sopracciglio alzato e le braccia conserte. 
Mi siedo sul vecchio letto di Law e sospiro di nuovo. Inutile discutere con Nami. Se riesce a tenermi qui fino all’inizio della cerimonia non so quanti berry le ha promesso. Sicuramente abbastanza da non poter nemmeno sperare di smuoverla.
Tre leggeri tocchi alla porta mi fanno alzare gli occhi. Senza smettere di tenermi d’occhio, Nami si scosta e apre lo stretto indispensabile per permettere a Robin di entrare. 
«Come andiamo?» domanda, rivolta soprattutto a me.
E santo cielo però! Non sono mica moribonda! Voglio dire, siamo anche tornati da poco da una settimana a Skypeia.
«Koala, siamo solo preoccupate perché ultimamente hai accumulato un sacco di stress e se avessimo immaginato…»
«Robin, sto bene» la fermo, alzandomi in piedi decisa. «Sto bene» ripeto, rivolta a Nami questa volta. Anche se, a essere proprio del tutto sincera, sono un po’ provata e non è solo perché oggi sarà una giornata emotivamente molto intensa. Mi liscio l’abito sulla pancia in un gesto meccanico e altrettanto meccanicamente giocherello con l’anello a forma di sole che mi ha regalato Izou, mentre mi accosto alla finestra per lanciare una distratta occhiata al giardino. «Giù di sotto come va?» mi informo.
«Tutto okay. Se si esclude Sabo che sta rivoltando Law come un calzino, che stia attento la prossima volta a non metterti incinta proprio mentre stai organizzando un matrimonio»
Mi giro accigliata a guardarla.
«No ma seriamente, si accorge di quello che dice?»
Come se poi il problema fosse il matrimonio, oltrettutto.
«Sarei curiosa di condurre uno studio in proposito» risponde serafica. «Comunque è praticamente tutto pronto»
«Anche Eris?» domanda Nami con un sorriso affettuoso. Stiamo morendo dalla curiosità di vederla nel suo abitino da damigella mentre porta le fedi.
Robin annuisce, con giusto una punta di materno orgoglio. «Le ho detto, se si agita, di continuare a camminare verso zia Koala e non preoccuparsi che ci pensa lei» mi avvisa e il cuore mi si allarga. Adoro quel concentrato di energia e furbizia di mia nipote. La adoro davvero. «Perciò possiamo andare»
Ci metto un attimo a metabolizzare quest’ultima informazione. Possiamo andare? Davvero? Posso uscire di qui finalmente?
«Sicura che sia pronto anche lui?» titubo solo un istante, incerta.
Non sto certo insinuando di essere l’unica in grado di tranquillizzarlo, anzi. Ma era abbastanza isterico l’ultima volta che ho avuto modo di vederlo, prima che mi trascinassero qui.
«È teso, com’è normale che sia» non mi mente Robin. «Ma sono certa che abbia tutte le intenzioni di andare fino in fondo»
È più forte di me, considerato il soggetto di cui parliamo, l’affermazione di Robin innesca immediatamente nel mio cervello un’interpretazione a doppio senso che Nami intuisce solo guardandomi, a giudicare da come si mette a sghignazzare.
«Oh beh. Su quello possiamo stare assolutamente tranquille» ridacchio, mentre le seguo fuori dalla stanza.
 

 
§

 
Il silenzio in giardino è surreale quando Brook comincia a suonare una lieve sinfonia che anticipa la vera e propria entrata. Prendo un respiro profondo, più emozionata di quel che mi piaccia ammettere e cerco i suoi occhi con i miei.
Non devo andare tanto lontano visto che è in seconda fila, tra Ace e Sabo. Mi sorride incoraggiante, anche se non è che io debba fare molto a parte starmene qui, sotto al pergolato. Mi giro un istante verso la mia compagna di sventure  in quest’arduo compito che è il fargli da testimoni. Brilla nello splendore dei suoi vent'anni e nella seta che avvolge la sua figura. 
Sono felice di aver condiviso quest'avventura con Aisa, di aver collaborato con lei per trovare un tema al matrimonio, per scegliere due abiti che si armonizzassero, per farlo felice insomma. 
Sto ancora pensando a queste frivolezze quando mi rendo conto che la sinfonia di Brook sta durando parecchio. Decisamente più del previsto.
E immediatamente mi allarmo. Mi rigiro verso la “navata”, naturalmente creata dalle sedie disposte con ordine. Non sono l’unica che si guarda attorno perplessa e Brook sta stirando il collo per vedere se arriva.  
Okay, che fine ha fatto?
Law dalla seconda fila si allerta non appena mi vede un pelo più tesa del previsto e io gli lancio un’occhiata di ammonimento, che stia calmo. Che sono incinta, non terminale.
«Ehi Koala» mi chiama Aisa e subito le dedico tutta la mia attenzione. È questione di priorità «Ma prima che ti ha detto durante l’attacco di panico?» mi domanda, giustamente preoccupata, a questo punto, che il motivo di suddetto attacco fosse un ripensamento dell’ultimo minuto.
Mi faccio più vicina a lei. «In che senso, cosa mi ha detto? Credevo ci fossi tu con lui»
«No, io stavo aiutando papà e Momo a finire di prepararsi»
Sorrido, più falsa di Giuda, mentre elaboro la notizia, e mi volto lentamente verso Robin e Nami. Se non c’era Aisa e io ero rinchiusa in camera di Law e Sabo, chi diamine c’era con lui nel bel mezzo della sua crisi prematrimonio?
Capiscono subito il motivo della mia occhiata e io preferirei ci avessero messo un po’ di più a interpretarlo perché quando Robin mi indica con un cenno del capo chi è stato mandato in suo aiuto al posto nostro io mi sento, per un attimo, svenire.
Kidd?!
Di tutte le persone, Kidd?!
Mister tatto e rassicurazione?! Avevano almeno altre cinque persone a cui chiedere, pur escludendo Law e Sabo troppo impegnati a discutere dell’effettivamente discutibile tempismo delle mie ovaie, Ace e il suo rischio di crollare addormentato a metà del discorso motivazionale, Usopp che si sarebbe fatto prendere dal panico anche lui e Rufy che, semplicemente, è Rufy.
C’era Sanji – che, okay, avrebbe magari cercato di picchiarlo per il suo brutto vizio di palpare sempre il sedere a Usopp – o Zoro o uno dei fratelli di Marco!
Okay, no, uno dei fratelli di Marco con il dubbio che ci avesse ripensato non era il caso ma… santa merda, Kidd?!
Nami si stringe nelle spalle, con un sorriso di scuse che non ho nessuna intenzione di accettare. Io l’avevo detto che dovevo andare da lui, non mi interessa quanti soldi le ha promesso Law per tenermi a bada. E più tardi ne ho un paio anche per quell’imbecille e il suo patologico bisogno di avere sempre tutto sotto controllo.
Lancio una rapida occhiata alla mia sinistra. Sul viso di Marco comincia a trapelare tensione e ansia, il che da un’idea di quanto grave sia la situazione. Potrei anche andare a cercarlo ma temo che finirei per generare ancora più caos.
Stavolta nemmeno io so cosa fare.
Tranne che, forse, in realtà, so esattamente cosa fare perché, probabilmente, la cosa giusta è semplicemente non fare niente e avere fiducia.
«Marco» chiamo, il tono giusto per farmi sentire da lui ma non da chi è seduto in prima fila. Rigido come un tronco, si volta verso di me, una lampo di terrore che riesco a cogliere per miracolo che gli attraversa gli occhi una frazione di secondo. Sorrido, sicura di me. «Sta arrivando» lo rassicuro.

[Love Story/Viva la Vida - The Piano Guys]

Nel momento in cui lo dico, so che è vero. Perché Izou potrà essere imprevedibile, ingestibile, sconvolgente ma se c’è una cosa che so con matematica certezza – perché me lo ha dimostrato non so nemmeno più quante volte in questi tre anni – è che, per lui, l’amore è il motore che tutto muove. E Marco è l’amore della sua vita.
La musica cambia, Apoo comincia a suonare il piano, accompagnato dal romantico pizzicare delle corde del violoncello di Brook, e io so di non essermi sbagliata, con un sollievo che non è nemmeno un sedicesimo di quello che Marco non si preoccupa di nascondere.
Izou appare in fondo all’assemblamento di sedie, Laki sottobraccio, così fiera del suo bambino che splende di luce propria.
Lei è bellissima, lui semplicemente perfetto.
Perfetto il completo di seta crema, con la casacca alla coreana decorata da un delicato disegno tono su tono di due rondini all’altezza del cuore, i capelli raccolti alla solita maniera con un discreto kanzashi in metallo a decorarli, il sorriso più bello e luminoso che abbia mai visto sul suo volto, gli occhi solo per Marco che trattiene il fiato quando lo vede, rapito.
Lo stomaco mi si stringe, il cuore mi si allarga e devo anche mandare giù e sforzarmi per trattenere le lacrime. Dio, se lo merita così tanto.
Non lo perdo di vista un momento ed è a circa metà della navata che mi accorgo che trema impercettibilmente per l’emozione, ma i sorrisi che rivolge ai Newgate da una parte e poi alla sua famiglia dall’altra, sono sinceri.
Abbraccia  sua madre e la lascia al fianco di Kinemon, al sicuro, e copre da solo gli ultimi passi che lo separano dal pergolato. Marco aggiusta la propria posizione per sistemarsi esattamente di fronte a lui. Izou fa uno strano movimento, come se cercasse di guardare sopra la propria spalla senza dare nell’occhio, poi prende un profondo respiro e si perde un momento a contemplare Marco, in adorazione.
«Ciao» sussurra e lo vedo bene da qui; Marco freme e forse deve anche fare un enorme sforzo per trattenersi dal prenderlo e baciarlo subito.
«Ciao»
Un altro profondo respiro, e la cerimonia ha inizio.
«Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti oggi per celebrare l’unione di questi due uom…»
«Ah accidenti!» sussurra Izou, sottovoce sì, ma il silenzio è tale che si sentirebbe persino un moscerino. «Padre Gan Forr, mi scusi, mi scusi!» Izou giunge le mani in segno di scuse e poi solleva l’indice. «Potrebbe… solo un momento…»  comincia a indietreggiare. «Un momento»
«Izou?» lo chiama Marco, di nuovo teso.
«Arrivo Marco-chan. Arrivo» sussurra, lanciandogli un bacio con la mano per tranquillizzarlo.
A bocca aperta lo fissiamo correre verso la terza fila, dal lato esterno, e chinarsi ad abbracciare Dragon. Tutti si sono girati a guardarlo e appena Robin, Law e Sabo si voltano di nuovo, attiro la loro attenzione e domando con gli occhi cosa sta succedendo. C’è un momento di confusione quando cercano di spiegarmi, tramite il linguaggio dei segni che ci siamo inventati da ragazzini, cosa sia successo. Si “parlano” l’uno sull’altro ma alla fine capisco – per lo più focalizzandomi su Robin – che sta ringraziando Dragon per avergli permesso di fare la cerimonia nel suo giardino.
Sono senza parole. E ora so a cosa era riferito quel “accidenti”. Perché non è questione che si è dimenticato, avrebbe potuto ringraziarlo anche più tardi. È questione che era più forte di lui e non sarebbe riuscito a godersi a dovere il proprio matrimonio con questo costante pensiero in testa.
Perché Izou è così, spontaneo e senza filtri. Ma, dopotutto, nessuno di noi lo vuole diverso.
Scambia con Dragon ancora due parole e una stretta di mano, poi torna sempre a passo spedito verso l’altare. Finalmente, si cominc…
Sgrano gli occhi, non proprio conscia di cosa sia appena successo, quando mi ritrovo stretta tra le sue braccia.
«I-Izou?» riesco a chiamarlo dopo un paio di secondi.
«Grazie per averci prestato il vostro Castello» sussurra al mio orecchio e io devo di nuovo mandare giù il groppo in gola. Ancora un po’ incredula, ricambio l’abbraccio e quando si stacca da me, le mani ancora sulle mie braccia, io sto sbattendo furiosamente le palpebre per ricacciare indietro le lacrime.
Gli sorrido. «Beh… ricordartelo quando avrai la tentazione di lamentarti dei doveri richiesti a un padrino» lo metto in guardia, posando una mano sulla mia pancia, per il momento ancora piatta. Sì, avevo intenzione di chiederglielo in un altro momento, ma se mi offre così l’occasione su un piatto d’argento…
Sgrana appena gli occhi e trattiene il fiato.
Io sbuffo mezza risata e lo obbligo a voltarsi.
Marco è in paziente attesa, più rilassato con una mano in tasca e un ghigno sul volto. Izou sospira perso e si riavvicina a lui, prendendo le sue mani nelle proprie.
«Grazie per l’attesa padre Gan Forr» dice, senza staccare gli occhi da quelli di Marco «Ora ci sono»
«Dunque, stavo dicendo» riprende, il tono di ammonimento. «Fratelli e sorelle…» si blocca e lancia a tradimento un’occhiata di sottecchi agli sposi che, più pronti di così non potrebbero essere. «Siamo qui riuniti oggi…»
Ascolto con un solo orecchio padre Gan Forr che recita a memoria i riti e mi concedo un attimo per me stessa e una delle mia attività preferite. Mi piace approfittare di questi momenti per osservare le persone importanti della mia vita e vedere quanto siamo cambiati.
E quanto siamo sempre uguali.
A partire da zio Ty che ascolta con aria solenne, il mento alzato, anche se so che sta pensando a qualche caso irrisolto o in via di soluzione. È più forte di lui. Passando per Dragon che cerca di trattenersi dal ridere per una qualche scemenza che gli ha detto Shanks, strappando a Makino una non convintissima occhiata di rimprovero. Viene da ridere anche a lei. Dadan che piange e Rufy e Ace che cercano di consolarla, inutilmente. Non li calcola quasi lei e da molta più retta a Franky che si volta a tenderle un fazzoletto, facendo ridacchiare Usopp e Nami, seduti vicini e raggianti di orgoglio e gioia per Marco e Izou, tanto quanto me. E a fianco a loro, i miei tre fari nella notte, i miei amici di una vita, la mia famiglia.
Sabo, tornato apposta per il matrimonio, impeccabile con il completo che aveva comprato per fare da testimone a Law e che ormai rispolvera per ogni occasione di questo genere. Con il suo intramontabile sorriso e quel coraggio che neanche lui sa di avere. È bello averlo di nuovo qui.
Robin, più bella che mai con Eris tra le braccia e i capelli un po’ più lunghi. Mamma della sua bambina e mamma anche per tutti noi. Che sa sempre qual è la cosa giusta da dire – e lo fa senza mai mentirti, persino quando la realtà è brutta –, qual è la cosa giusta da fare. Beh a parte con Kidd e Izou, d’accordo.
E per finire lui. La mia ancora, il mio confidente, il mio porto sicuro e, ultimo ma decisamente non meno importate, l’amore della mia vita.
Smetto di guardarmi intorno, smetto di cercare quando i miei occhi si posano su di lui. Perché ogni volta che i miei occhi si posano su di lui, trovo tutto quello di cui ho bisogno. Che sia un’espressione seria e rassicurante, un sorriso sghembo o uno sguardo incoraggiante. Come quello che mi sta rivolgendo proprio ora.
Non mi stupisco di essere provata, tra il matrimonio, la gravidanza inattesa ma, soprattutto, il casino delle ultime due settimane. Eppure va tutto bene. Sento che va tutto bene.
È questo che Law mi sta silenziosamente dicendo.
“Andrà tutto bene”.
Gli sorrido e torno a concentrarmi sulla funzione, inspirando a pieni polmoni l’aria tiepida e fragrante, una mano sull’addome.
In questo momento è tutto molto relativo, azzardato, complicato. Ma ha ragione lui. Ne ho avuto la dimostrazione mille volte e anche di più.
L’adozione, la sua fuga, la comparsa di Cora, il problema al cuore scoperto in tempo, il matrimonio saltato, il matrimonio all’ultimo minuto, i cloth tattoo, la sezione pro-bono, l’oasi di Yuba che ora è salva, il Castello sulla Collina, il ritorno di Cora, il ritorno di Law, la mia famiglia allargata, Izou che si sposa e mi ricorda, semplicemente con la sua presenza, che finché siamo vivi non c’è mai, mai una fine ma solo un incessante susseguirsi di nuovi inizi, nuove avventure e scoperte, fatte di momenti difficili e complicati che poi, misteriosamente, in qualche contorta maniera, si risolvono in un magico “va tutto bene”.
E sarà così anche per noi, per tutti noi. Me lo sento dentro, qui, nella stessa pancia dove sta crescendo mio figlio.
Vedrete ragazzi. Lo vedrete presto.
Non so come davvero ma, alla fine, in qualche modo, andrà tutto bene.











Angolo dell'autrice: 
Okay. Mettere la spunta a "Completa" non è mai stato così difficile ma eccoci qua. 
Ancora non ci credo. 

Questa storia è stata tante cose, soprattutto è stata un gran casino. Ci sono alcune persone tra voi che ne sanno qualcosa. Che ancora non so perché mi parlano dopo avermi tanto tollerato, per dei mesi. Non ho le parole per ringraziarvi ma, se sapere che il vostro sostegno e finire questa storia mi sono state d'aiuto per crescere e maturare può essere una gratificazione, allora sappiate che è così. E questo significa che potrei miracolosamente essere meno rompiballe quando inizierò con la prossima long. 

E a proposito della mia prossima long... 37 capitoli non mi fa impazzire come numero e, Sara, magari non ti mostrerò l'inaugurazione della clinica ma vedrai la clinica già aperta e chi ci lavora dentro e... insomma io non riesco a staccarmi da questo mondo che ho creato, per il momento ancora no, e una parte di me spera sia lo stesso per voi. 

Voi che ci siete stati dall'inizio - non so chi ancora sta leggendo ma, a chi c'è, grazie -, voi che vi siete aggregati a metà, voi che siete spuntati fuori solo alla fine, a tutti voi, grazie. Grazie per ogni pensiero e parola che mi avete rivolto, che fosse una o mille. Grazie per averci creduto, per essere passati oltre i capitoli noiosi o i momenti bassi, per aver tenuto duro, per essere arrivati fino alla fine insieme a me. 

Grazie davvero, Anna, Ice, Harry, Slendy, Vera, Marauder, Law, Jules, Momo, Zomi e spero di non aver dimenticato nessuno anche se sicuramente è così. 
Spero davvero di incontrarvi ancora, per il seguito o per qualcos'altro. 

E' stata una corsa fantastica. Grazie per averla vissuta con me. 
A presto. 
Page.  
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3672156