Balla mia Esmeralda di E u r eka (/viewuser.php?uid=42322)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 1 *** ***
Balla
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“Quando sarò grande
farò
il pittore
e saprò
ritrarre con i miei colori
il
mondo che mi circonda.
E dopo aver eguagliato con le mie tele
quelle dei grandi maestri,
me
ne andrò lontano,
in
un luogo dove la voce del mondo non possa raggiungermi;
là, in mezzo agli alberi e alla natura,
innalzerò una piccola capanna
dove
mi ritirerò a dipingere,
solo con me stesso.”
-
-
Parole di un bimbo dai riccioli d’oro, la
carnagione rosea e delicata e occhi azzurri come fiordalisi, un moccioso
ridente e sbarazzino, imbronciato e con lo sguardo perso nel sogno.
Un bambino felice.
Ma questo era tanto tempo fa, prima che
tutto accadesse, prima che tu morissi abbandonandomi, vero mamma?
Riesco a vederti mentre scuoti la testa e
i ricci rossi ti ricadono sul viso, coprendo il tuo volto di eterna bambina.
Forse è stata una fortuna che tu sia
morta..
Forse Dio non ha voluto che il tempo
deturpasse la tua bellezza e la tua fresca giovinezza, preservandoti prima che
i suoi effetti si facessero vedere. Ha voluto mantenere intatto il tuo fuoco
prima diventasse cenere.
Mi sorridi e ridi, con quella tua risata
limpida e gioiosa che ti fa brillare gli occhi. Sono passati tanti anni, ma non l’ho
ancora trovato sai?
L’ho cercato dappertutto, negli occhi di
ogni donna che ho incontrato, ma non sono riuscito a scovarlo.
Pensavo che Sakura fosse quella giusta..Aveva anche gli occhi verdi, non come i
tuoi naturalmente, più vicini alla giada che allo smeraldo. Credevo di aver
visto giusto con lei, ma evidentemente mi sbagliavo.
Mi ha lasciato, abbandonato e mollato
senza riguardi. Così su due piedi. Ha semplicemente gettato la spugna.
In fin dei conti sapevo che prima o poi
sarebbe successo, ma ho sempre sperato fino all’ultimo che non accadesse e che
imparasse ad accontentarsi come ho fatto io, ad adattarsi alla vita “normale”. Ripeto, avevo fatto male i conti. Anzi, a dirla tutta non avevo affatto
previsto che il motivo della nostra rottura sarebbe stato un bastardo.
Già, perché Sasuke Uchiha, il famoso
pianista, era quello. Niente di più né di meno. Con un colpo solo si era fregato la sua
vita il bel moro dagli occhi tenebrosi. Fidanzata e successo.
Anche se la perdita dell’ultimo non lo tangeva
più del dovuto né urtava in alcun modo la sua placida vita di pittore fallito.
Infatti, sebbene da piccolo fosse stato
il suo sogno quello di diventare un grande pittore e di rivaleggiare con
maestri del calibro di Leonardo e David, non gli era mai importato nulla né
della fama né della ricchezza che ne sarebbero derivate.
Perché interessarsi a qualcosa di così
effimero e illusorio?Certo la prospettiva di soldi e agi a
volontà avrebbe fatto gola a chiunque, ma non a lui.
Naruto era un artista e come tale era
abituato ad osservare con occhio critico e imparziale il mondo che lo circondava,
andando oltre le mere apparenze.
Benessere, prosperità, fortuna…Tutte
sciocchezze. Chi ci credeva più a quelle cose?Di certo
non lui.
Aveva smesso di credere al destino, fato,
sorte o quant’altro parecchi anni fa. A nove anni per la precisione quando un
banale incidente si era portato via ciò che amava di più al mondo, strappandogli
così il cuore. Eppure aveva amato Sakura.
Si, l’aveva amata e per un breve istante
era stato ad un passo dal prometterle la vita che sognava, chiederle di aver
fiducia in lui e di attendere pazientemente ancora per poco, ma l’aveva persa. Sakura non si era mai fatta distinguere
per la virtù della pazienza, tutt’altro. Con quel carattere manesco ed
irruente, così appassionato e incontenibile, aveva tentato in tutti i modi di
cambiarlo e questo non era possibile, né concepibile.
A Naruto piaceva la propria vita, andare
vagabondando per la campagna senza alcuna meta o destinazione precisa, sostare
dove il suo senso artistico trovasse motivo di ispirazione, eseguire ritratti
ai passanti, nella libertà più completa senza impegni o secondi fini a frenarlo
in alcun modo.
Non c’era un perché né un come e perché mai
avrebbero dovuto esserci?
La sua vita gli piaceva e basta. Lo
faceva sentire in pace con se stesso e con il mondo intero, ma soprattutto in
quel modo gli sembrava di vedere nell’intimo di ogni persona e di ogni cosa, là
dove erano riposti i segreti del cuore umano.
Sai cos’è quello che mi fa più rabbia,
mamma?Ieri per caso ho acceso la radio, sì
finalmente ho deciso di comprarla.
Ah no scusa, è stato un regalo di Sakura.
Comunque ti dicevo, dopo mezz’ora sono riuscito ad accendere quel piccolo
apparecchio tutto fili e bottoncini.
Che dire?E’ nato per fare il pianista
quello lì, come io sono nato “per donare
il sorriso alle persone”.
E’ così che dicevi sempre, no?
Era vero, pensò ricordando.
Erano sgorgate note fresche e dolci, ora
veloci ora lente che avevano riempito da sole il vuoto della stanza. L’armonia
dolce e malinconica prodotta da mano ferma e calda, l’aveva guidato come per un
sentiero immaginario, nei meandri del sogno.
Seguendola, si era ritrovato in giardini
freschi e profumati, rallegrati dal sorriso di mille fiori diversi, in saloni
sontuosi in cui si aggiravano a suon di valzer o di minuetto cavalieri e dame
d’un tempo lontano. La musica era continuata e la rete tenue dell’illusione
non si era spezzata. Le note si erano fatte più vive e ardenti, come se fossero
state uno scoppio di passioni e di sentimenti, per poi diventare leggere e nostalgiche.
Gli era sembrato di udire il canto del mare, quando l’onda si allarga sempre
più e viene ad infrangersi sulla scogliera, con un suono melodioso e
prolungato. Le ondate si erano susseguite mentre il brano procedeva, finché il
tono era cresciuto d’intensità e ricaduto risuonando a lungo.
Un ultimo accordo d’arpa aveva
accompagnato il finale, poi tutto si era spento.
Il maledetto si meritava davvero quello
che aveva conquistato. Perfino lui avrebbe voluto essere trasportato di nuovo
nell’irreale da quelle note chiare e brillanti, patetiche e gioiose, le arcane
voci degli angeli. Naruto scosse leggermente la testa, come
per scacciare quei pensieri molesti e con un gesto stanco si passò le dita fra
i capelli spettinati, arruffandoli ancor di più.
Un vento gelido percorse il
cimitero, serpeggiando tra le tombe e le lapidi, arrivando fino a lui. Lo
carezzò a lungo, dolcemente e con dita gentili, sussurrò al suo orecchio meste
parole incomprensibili, poi così com’era arrivato se ne andò, spostando la sua
attenzione altrove, pronto ad allietare con il suo canto e a raccontare con i
suoi sussurri dolenti la propria solitaria storia, a svelare i segreti che
custodiva nel proprio pianto infinito a qualcun altro.
“Credo sia il caso che io vada…” mormorò
sottovoce.
Si piegò sulle ginocchia e sfiorò con le
mani la lapide di fronte a sé sorridendo tristemente.
Aprì il cappotto scuro che indossava,
prendendo dalla tasca interna un piccolo fiore avvolto nella carta trasparente
che poggiò con delicatezza sul marmo grigio.
Un bucaneve, il suo preferito.
Alzò lo sguardo al livello della lastra ed
incontrò quello indulgente di sua madre ed il consueto sorriso affettuoso.
Con gli occhi appannati e un groppo alla
gola lesse l’incisione “Kushina se trouve ici, ne jamais oublier, jamais aimé”.
Stirò le labbra in un ultimo sorriso
stentato e raddrizzò la schiena, scattò in piedi e prendendo il borsone di
fianco a lui se lo mise in spalla.
“Ci vediamo il mese prossimo allora…Ciao
mamma.”
Voltò le spalle alla tomba e si incamminò
nella direzione opposta, senza osservare dove stesse andando, la sicurezza consumata
da chi conosce a memoria la strada che sta percorrendo e non potrebbe perdersi
neanche per sbaglio o procedendo ad occhi chiusi.
Le spalle curve, i passi lunghi e cadenzati,
tutto intorno a quella figura nera, cupa e misteriosa nel suo atteggiamento
chiuso, era immobile. Il vento non soffiava e l’aria era ferma, fissa nella sua
inerzia. Perfino la natura sembrava comprendere i sentimenti di quel suo figlio
e intimava alle altre sue creature il silenzio, per rispettarne il dolore.
Sarebbe passato mai quel sordo rimbombare
nel suo animo?La tortura a cui la sofferenza lo sottoponeva ogni mese
straziandolo?
Forse un giorno avrebbe smesso di
attribuirsi colpe che non aveva e di sentirsi responsabile, ma quel giorno era
ancora lontano e lui mal sopportava stoicamente quel supplizio.
Affrettò
l’andatura ed attraversò il cimitero velocemente. Superò busti di pietra
ed angeli dalle ali spezzate, fantasmi di epoche ormai decadute e dimenticate.
Scese i gradini di pietra e sorpassò le
tombe di grandi poeti ed artisti gremite di turisti, senza degnarle di uno
sguardo. Primo dei cimiteri civili di Parigi, e anche il più grande, Père
Lachaise Cemetery era insieme a costruzioni del calibro di Notre-Dame, il
Louvre e la Torre Eiffel,
una delle mete più frequentate e visitate*, grande quasi quanto una piccola
città.
Per seppellire lì sua madre, la sua
famiglia aveva speso una fortuna e lui si ritrovava ancora a pagarne i mutui,
ma non gli interessava. Per lei avrebbe fatto questo e altro.
Dopo dieci minuti di camminata si ritrovò
finalmente in prossimità dell’uscita. Percorse Père Lachaise Avenue, un lungo
viale alberato, quasi correndo e si precipitò all’uscita. Solo dopo che gli
imponenti cancelli di ferro battuto si furono richiusi dietro di lui,
ricominciò a sentire il proprio cuore ritornare a battere più lentamente ed il
respiro farsi più tranquillo, normale.
Inspirò a pieni polmoni l’aria frizzante
e carica di pioggia di quella mattina e si avviò verso la fermata dell’autobus,
controllando l’ora sull’orologio al polso. Erano le otto e ventitré e l’autobus
sarebbe passato fra qualche minuto. Si sedette stancamente sulla panchina e si
mise ad aspettarlo; era impaziente di arrivare ai giardini il prima possibile.
Con quel tempo pazzo, com’era naturale considerato il fatto che fosse marzo,
doveva cogliere ogni momento buono per dipingere. Fece un rapido conto. Era il 15,
gli erano rimasti meno di 100 euro e doveva ancora pagare le bollette del gas e
della luce. Per il cibo non si preoccupava, c’era sempre nonna Tsunade in
fondo.
Guardò di sfuggita l’orologio. Otto e
ventisei. E dire che lui li odiava gli autobus. Li
vedeva come degli usurpatori, gli aggeggi infernali che avevano rubato il
lavoro ai tram, soppiantandoli. Ricordava con nostalgia il loro sferragliare
rumorosamente sulle rotaie e quel petulante, ma allegro campanello. Quelle
rotaie, ai suoi occhi di bambino, lo rendevano importante come un treno e le
scintille che si sprigionavano dall’asta, a contatto con i fili dell’energia
elettrica, erano uno spettacolo divertente.
Erano ricordi della sua infanzia,
momenti spensierati e meravigliosi in cui sua madre era costretto a tirarlo
ogni volta per la mano o a prenderlo in braccio. Quante volte aveva rischiato
di essere investito?Era tutto finito però e la scomparsa di
quel suo amico, su cui aveva provato le prime emozioni di viaggio, era stata
decretata dal traffico tormentato e troppo intenso.
Ora c’erano gli autobus, veloci e silenziosi,
dall’aspetto gelido, come di grosse lucide bestie meccaniche che ingoiavano gli
uomini. Quel suo andare veloce che faceva sbattere di qua e di là la gente non
era proprio, per niente, piacevole e gli dava invece l’impressione di essere un
pacco da portare a destinazione. Il vecchio e caro tram invece aveva un modo di
fare più garbato e saggio, anche più cortese. Di lui ora restavano solo quelle
rotaie vecchie, ma presto sarebbero state tolte anche quelle.
Che rimaneva di quell’era giocosa quindi?Niente,
a meno dei ricordi, pallida memoria di cose lontane.
Otto e trenta. L’aggeggio infernale si
fermò di fronte a lui proprio in quel momento, efficiente e in perfetto orario
come al solito.
Salì veloce e rimase in piedi, mantenendosi
al corrimano di alluminio per non cadere a terra, appena quello ricominciò a
camminare.
Due fermate. Sarebbe sceso a metà di
Avenue des Champs-Élysées e da lì sarebbe arrivato a piedi ai Jardin du
Luxembourg, passando per Boulevard Saint-Germain, Bd Raspail e infine Bd du Montparnasse. Una semplice e piacevole passeggiata di 5
km…Ok impossibile….
Avrebbe preso un taxi. No, costava
troppo. Magari avrebbe trovato qualcuno con cui dividerlo..
D’accordo avrebbe deciso del da farsi sul
momento. Aveva scoperto da tempo che nei mezzi pubblici era più utile
mantenersi distanti ed occupati. Anche semplicemente osservare qualcuno creava
problemi ormai. Volse gli occhi al di fuori del finestrino, ammirando il viavai
di gente e le strade caotiche.
Non poteva sapere Naruto che quel giorno
sarebbe arrivato a destinazione molto più tardi rispetto a quanto avesse
creduto, bloccato da un problema, un piacevole problema.
*
“Mi scusi, non può andare più veloce?”
Comodamente seduta sui sedili di pelle
nera della vettura, basco nero calato sulla ventitré e gambe accavallate, la
ragazza che aveva appena posto quella domanda cominciò ad attorcigliarsi una
lunga ciocca dei capelli scuri intorno all’indice.
Aveva il viso piegato leggermente verso
il finestrino e gli occhi puntati, sebbene nascosti dalle lenti scure dei grossi
occhiali da sole Chanel, verso il conducente mentre aspettava una risposta.
“Signorina mi dispiace, ma siamo bloccati
nel traffico. Vuole che chiami un’altra vettura che la accompagni all’Opèra?”
Il tono non era stato scortese e Hinata
non se la sentì di rispondergli in alcun modo. Dopotutto la colpa non era di
quell’uomo, ma sua che quella mattina aveva fatto tardi.
Tutto a causa della stupida festa a cui
era stata trascinata a forza da Ino e
che si era protratta fino all’alba. Aveva appena avuto il tempo di tornare a
casa, farsi una lunga doccia fredda e spalmarsi di creme per aver un aspetto
quantomeno decente, cercando di alleviare le profonde occhiaie che le
cerchiavano gli occhi, simili a lunghi lividi. Ino, previdente, le aveva
mandato il suo parrucchiere di fiducia, il miglior styliste della capitale,
davvero in gamba visto che era stato capace di domare in appena un’ora e mezza la
matassa informe e ingarbugliata che aveva al posto dei capelli che ora le
scendevano invece lisci e serici come seta sino alla vita. Per i vestiti invece
era stato tragico. Non si era mai accorta di averne tanti e tra 450 capi tutti
d’alta moda aveva perso ben più di dieci minuti.
Insomma era scesa giusto in tempo, ma ad
un orario decente che le permettesse di arrivare prima di molti altri colleghi.
In vita sua non era mai stata un tipo
sfortunato, ma neanche particolarmente fortunato.
Quella mattina di metà marzo però, si
ritrovò a pensare che qualcuno lassù doveva avercela con lei. Ciò che le stava
succedendo infatti non era minimamente possibile, né concepibile. Che alla
prima limousine si rompesse il motore era plausibile. Certo non le era mai
successo, ma dovevano essersi dimenticati di controllarla. Sulla seconda con
l’autista sbronzo non ci era nemmeno salita, ma adesso quando lo chauffeur,
rivolto verso di lei, andò a sbattere contro la macchina di fronte, si disse
che qualcosa non andava. Era impossibile, matematicamente impossibile e
scientificamente provato, che un tale ammasso di sfortuna la colpisse tutto in
una volta. Proprio quel giorno, quello con la conferenza..
Gemette e si portò una mano al viso,
mentre sentiva il guidatore davanti a loro cominciare a gridare contro il suo
autista. Non poteva andare peggio di così…
Le ultime parole famose. Nello stesso
istante il suo cellulare cominciò a squillare insistentemente e dopo pochi
secondi l’abitacolo della vettura si riempì delle note di una canzone de “La
carica dei 101”.
Crudelia
De Mon
Crudelia De Mon
Farebbe paura
persino a un leon
Al sol vederla
muori d'apprension
Crudelia Crudelia De Mon
Forse come musichetta del cellulare
poteva sembrare un po’ infantile, ma lì sul momento le era sembrato l’unico
modo per riconoscerla senza controllare il numero, anche perché il nomignolo
affibbiatole le appariva ogni volta stranamente distorto.
Forse perché sei cieca come una talpa…
Accidenti! Per chiamarla lei doveva
essere davvero in ritardo..
Mentre cominciava il ritornello, Hinata
si decise a tirare fuori dalla borsa di matelassé nera il suo iphone ultimo
modello e ad accettare la videochiamata.
Sul display del cellulare troneggiava la
figura altera della sua aguzzina, il despota che la tiranneggiava ormai dalla
veneranda età di cinque anni.
Indossava il completo serioso, come amava
definirlo, che consisteva in una camicia di seta color vinaccia con ampie maniche
e polsini bloccati con bottoni d’argento a metà avambraccio, infilata in una
stretta gonna di raso nera. Un pendente a forma di camelia viola, in oro bianco
e ametista, scendeva dolcemente nella profonda scollatura, aperta appena in un
gioco “vedo non vedo”.
I vaporosi capelli biondo cenere erano tirati
in un austero chignon con la fila laterale, il bavero inamidato della camicetta
ben alzato intorno al collo sottile. Tutto a conferire a quella donna dal
fascino e dalla bellezza innegabile un aspetto severo e rigido, inflessibile,
come lo sguardo che incrociò.
Un lungo secondo di silenzio e poi fu
investita dalla urla furibonde di Ino Yamanaka, sua migliore amica nonché
famosa autrice di romanzi rosa, cinica, sfrontata e spudorata, una di quelle
rare persone senza peli sulla lingua.
“SI PUO’ SAPERE CHE FINE HAI FATTO??SARANNO
TUTTI QUI A MOMENTI!”
“Ino..” pigolò lei cercando una via
d’uscita in quella situazione, ma senza trovarla. E intanto l’altra continuò a
gridarle contro, abbassando appena il tono di voce, “Proprio oggi dovevano
venirti le manie da protagonismo?Oggi che c’è il meeting?”
Finalmente Hinata trovò il coraggio di
risponderle; con un movimento fluido della mano si tolse gli occhiali e piantò
i suoi occhi grigi in quelli blu oltremare dell’altra.
“Non puoi neanche immaginare cosa mi sia
successo da quando sono riuscita a tornare a casa stamattina!L’appartamento era
vuoto!Vuoto, capisci?E come se non bastasse il fatto che l’acqua calda non
c’era e il frigo fosse vuoto, la limousine si è rotta. Ma no, aspetta, non
finisce qua! La seconda aveva l’autista sbronzo e la terza è andata a sbattere
contro una macchina! E tu vieni a dirmi che mi comporto da prima donna!?”
Durante tutto il suo breve sproloquio
Hinata non aveva ripreso fiato e si ritrovò con il respiro spezzato e le guance
chiazzate di rosso, sgonfiata come un palloncino. Sentiva la testa leggera..
Ino, dallo schermo del telefono, invece la
guardò come se si fosse improvvisamente messa a ballare con l’hula hop. Accanto
a lei fece capolino la testa scura della sua manager che aveva assistito a
tutta la scenata e la guardava tra il faceto e il divertito. Ok, che Ino
urlasse come una scaricatrice di porto era cosa di normale amministrazione, ma
che anche Hinata, la raffinatissima pupilla della sua agenzia, si mettesse a
fare acuti e a strepitare, era qualcosa di preoccupante e stava a significare
soltanto una cosa: la sua protetta aveva raggiunto un pericoloso punto di rottura.
Se n’erano accorte da tempo ormai: era stanca, distratta e questo per una
persona come lei, abituata a dare sempre il massimo e ad impegnarsi
costantemente, era molto strano.
“Wow..” riuscì finalmente a dire Ino,
sbattendo gli occhi, abilmente truccati e illuminati da un ombretto porpora, un
paio di volte e sostituendo all’espressione sbigottita una semplicemente
stupita e preoccupata.
“Ehm tesoro forse sei un po’ stressata,
vuoi che Kurenai sposti la conferenza a domani?”
Spostare la conferenza?In quel modo
avrebbe avuto la giornata libera in teoria, ma sapeva bene che in realtà
l’avrebbe trascorsa in teatro a provare…
Come leggendo nei suoi pensieri Ino arcuò
leggermente le sopracciglia e le sorrise maliziosa e radiosa. “Niente prove
tranquilla..Oggi avrai una giornata tutta per te. Torna a casa e riposati,
oppure esci e divertiti. Te la meriti.”
La vide bisbigliare qualcosa a Kurenai che
si mise a ridere e poi si voltò nuovamente verso di lei.
“L’unica raccomandazione che ti facciamo
è di non perderti e portare dei contanti con te. Non vorrei offenderti cara, ma
l’ultima volta che sei uscita ti abbiamo ripescata due ore dopo circondata da
una folla urlante e scalpitante.” La sua espressione divenne irritata e
proseguì “Non vorrei neanche puntualizzare, ma per tirarti fuori di lì mi sono
beccata un pugno in uno occhio e il livido è rimasto per due settimane. Due settimane
rinchiusa in casa!Riesci a comprendere il supplizio?” Si portò una mano al
cuore e l’altra con il dorso sul viso rivolto verso l’alto, gli occhi chiusi.
Che attrice..Da oscar..
Immaginava che..ehm..atroce sofferenza
fosse stata per Ino non uscire, ma era stato necessario. Chissà che scalpore
avrebbe causato facendosi vedere con un occhio tumefatto. Prevedeva già lo
scandalo e lei per prima sapeva meglio di chiunque altro cosa potesse causare e
significare in una carriera. Anche una singola sciocchezza come quella avrebbe
potuto mandare in fumo anni e anni di duro lavoro, come sporcare una fedina
penale precedentemente senza macchie.
L’ematoma di Ino, rinomata per la sua
fama di accalappiatrice e adescatrice di uomini ricchi e affascinanti, sarebbe tranquillamente
passato come naturale ripercussione delle sue cattive abitudini.
Dopotutto “chi
di spada ferisce, di spada perisce”. Quando si prefiggeva di conquistare
qualcosa o qualcuno, Ino non guardava in faccia nessuno ed era capace di
abbattere ostacoli di qualsiasi tipo, comprese fidanzate recalcitranti ad
abbandonare i loro compagni o spose all’altare. Eh già, perché l’ultima
conquista della sirena bionda era una vecchia fiamma, molto vecchia, dato che
risaliva alle scuola medie.
Ino aveva deciso all’improvviso, forse
guardando vecchie foto, cosa piuttosto improbabile, o più credibilmente
controllando lo scrigno, pardon baule, delle memorie, vale a dire doni, omaggi
e quant’altro elargitole nel corso degli anni dai vari partner, che avrebbe
recuperato l’amore e i regali del plurimiliardario giapponese Shikamaru Nara e
poco importava se il suddetto uomo era a due settimane dal compiere il grande
passo. Proprio così.
Dopo battibecchi furiosi, litigi e buffe, il matrimonio
era saltato e lo sposo si era convinto di essere ancora profondamente legato
all’ex ragazza, di cui peraltro non conservava alcun memoria.
Che dire della sventurata sposa
abbandonata così infelicemente all’altare?Niente, sennonché in un impeto di
gioia assai difficile a comprendersi, aveva abbracciato colei che le aveva
mandato all’aria le nozze.
Bah, le stranezze della vita..
E così ora Ino si era trovata una
preziosa e quanto mai utile alleata, gradita compagna di giochi e passatempi,
un’anima affine alla sua. Temari Sabaku, statuaria e bionda come una dea greca
e con occhi pece pronti a incenerire chicchessia, aveva allegramente
abbandonato il tetto paterno e il Giappone, trasferendosi nella libera
metropoli francese e si era subito immersa nella Borsa Internazionale,
investendo i suoi modesti risparmi nel campo delle finanze con ottimi, se non
brillanti, risultati.
In pochi mesi era riuscita a rendersi
completamente indipendente e con quel fiuto per gli affari che era proprio
della famiglia d’origine, i suoi guadagni erano aumentati e cresciuti
proporzionalmente alla sua reputazione, cancellando la sua nomea di fidanzata
sfortunata e disperata e trasformandola in quella di brillante donna in
carriera.
E intanto Ino aveva smesso di cambiare
uomini con la stessa frequenza delle borse, trovando molto più redditizio e
conveniente approfittare a tempo indeterminato delle grazie e delle virtù del
fidanzato e delle risorse pressoché illimitate della Nara’s Company.
Unendo al danno la beffa, il disgraziato
si era visto non soltanto oggetto di brame indescrivibili e imprigionato nelle
grinfie di un’arpia, ma anche descritto dai quotidiani e dalle riviste
scandalistiche come crudele e spietato millantatore che aveva spezzato il cuore
ad una perla come la Sabaku,
e allo stesso tempo favorito e baciato dalla sorte per aver domato l’ammaliante
e seducente incantatrice della capitale.
In un colpo solo, imprigionato nelle reti
della donna e senza aver alzato un dito, aveva cominciato ad essere descritto
ovunque come un casanova e rubacuori, un vero e proprio libertino senza freni, capace
con quell’espressione svogliata e al contempo indifferente sul volto di far
cadere ai propri piedi qualsiasi donna.
Se la sua “quasi” moglie si era limitata
ad un’azione legale per diffamazione e a rubargli i migliori investitori, la
sua attuale fidanzata non era stata tanto amabile e premurosa e gliele aveva
cantate di tutti i colori.
Ancora portava i segni del massacro
nascosti dai suoi eleganti completi Armani.
Ino, bella quanto furba, era stata tanto
accorta e prudente da non colpirlo in punti visibili, cosicché nessuno potesse
osservare ciò che le sue gentili manine gli avevano procurato.
Lo sventurato sopportava con stoica
pazienza le strizzatine d’occhi, ogni battutina maliziosa o pacca sulla spalla,
perché anche se avesse voluto confessare il suo stato di vittima soggiogata al
volere della donna, chi gli mai avrebbe creduto?
Eppure Shikamaru aveva trovato, insieme a
tanti guai e disgrazie, anche un’amica sicera, partecipe del suo dolore ed
esposta come lui al carattere volubile e suscettibile di Ino. Tutto il
contrario di Ino, tanto da chiedersi come potessero così diverse essere tanto
intime, Hinata Hyuga aveva solleticato la sua curiosità ed acceso il suo
interesse. E la fidanzata, invece che prenderlo a pugni come al solito, sue
bizzarre dimostrazioni d’affetto, era stata ben felice di soddisfarlo e di dare
risposta alle sue domande.
C’era stato un lampo di orgoglio, mentre
decantava le lodi e i pregi della sua amica, biasimandola contemporaneamente
per il suo carattere introverso e discreto e lui aveva cominciato a
interrogarsi su chi fosse quella donna riservata e misantropa con cui scambiava
sempre poche parole tra uno spettacolo e l’altro all’Opéra, che aveva accettato
anni e anni di soprusi e angherie dalla sua deliziosa compagna tacitamente e
con rassegnazione e che vedendola arrivare sorrideva sempre allegra, con quel luccichio
misterioso negli occhi e senza ombra di malizia.
Nei mesi successivi, mentre la sua
relazione con Ino procedeva a grandi vele, era stato semplice e istintivo
conoscere la sua migliore amica e arrivare ad un livello di comprensione
sconosciuto alla sua adorabile metà.
Era stato Shikamaru ad avvisare Ino e a
metterla in guardia sulla salute della ragazza, a consigliarle di parlare alla
sua agente affinché ne limitasse il lavoro.
Con sguardo attento Shikamaru aveva
sempre pensato, sin dalla prima volta che aveva visto Hinata, che dietro quel
suo incantevole aspetto di ninfa dei boschi, si nascondesse un fisico esile e
fragile e una salute delicata e Ino, dando ascolto agli accorti e saggi
avvertimenti dell’uomo, aveva cercato di provocare una reazione nell’amica e di
smuoverla dalla posizione in cui si era cristallizzata nell’unico modo che
conosceva.
Gli inviti a cene, feste ed eventi mondani erano aumentati a vista
d’occhio, tanto che Hinata si era ritrovata la cassetta della posta sommersa di
lettere e praticamente costretta a prendervi parte.
Ma partecipare attivamente ai ricevimenti
dell’alta società non era stato un bene e non aveva fatto altro che acuire il
suo senso di insoddisfazione e repulsione verso quel mondo frivolo, sofisticato
quanto finto, superficiale e capriccioso. Il tedio per quella vita vuota era
aumentato, mentre lei era diventata succube della notorietà di cui ormai godeva
non solo a Parigi, ma anche nel resto nel mondo ed incapace di occuparsi da
sola di sé.
Cose semplici e basilari come prepararsi un pasto, asciugarsi i
capelli o anche vestirsi erano ormai sfumature tenui e lontane di una vita che
non esisteva più perché semplicemente non era più sua.
Come Shikamaru le aveva predetto, Ino ne
aveva osservato progressivamente il lento deterioramento. Oppressa dalle
responsabilità e dagli obblighi, la squisita dolcezza e la sincera cortesia di
Hinata erano state plasmate fino a diventare costrutto artificioso di un
altresì costrutta identità. Come poteva confondersi l’ingenuità con l’astuzia,
la mitezza e la moralità con spocchiosa alterigia e superbia?Da semplice
ragazza qual era, era stata plagiata e trasfigurata in una figura dalle
fattezze irreali con conseguenze disastrose per il suo carattere sprovveduto e
inesperto. Hinata, ferita da tali bassezze e menzogne, tradita nella fiducia di
cui aveva sempre dato prova, si era fabbricata un sistema protettivo basato su
un limitato numero di certezze e sicurezze e si era rinchiusa in esso. La danza,
da coronamento di un sogno di bambina, era diventata semplice lavoro. Nessun
piacere nel ballare sulle note di musiche stupende e a stretto contatto con
grandi artisti. A che pro emozionarsi?Per essere nuovamente ferita o per
ricevere nuove pene e dolori?
Alla bravura e alle sue lampanti capacità
erano allora subentrate la professionalità e la serietà per le quali ora era
ancor più lodata e approvata.
Eppure a memoria di quelle accuse infondate
che avevano un tempo messo in discussione la sua preparazione, rimanevano
cicatrici invisibili, segni indelebili, tracce pronte a ricordarle ciò che si
era ripromessa anni or sono.
La
fama, il successo, la gloria prima di tutto.
Conclusa la telefonata con Ino, Hinata sospirò
e lanciò una breve occhiata all’orologio tempestato di diamanti stretto al suo
polso sottile. Otto e quarantacinque.
Aveva la giornata libera, ma come
l’avrebbe trascorsa?E soprattutto dove?Tornare a casa era impensabile. Ora
ricordava vagamente di aver concesso la giornata libera ai domestici e non
aveva alcuna intenzione di tornare agli appartamenti che davano sulla Senna.
Erano sigillati da anni ormai, anche se una donna aveva ordine di tenerli
funzionanti e in ordine in qualsiasi momento. Che fare dunque?
Le urla in francese dei due uomini si
erano fatte più alte e di lì a poco la vettura sarebbe stata circondata di
persone. Quando si trattava di vedere persone litigare la gente era
particolarmente ricettiva le aveva spiegato Ino e presto bene o male avrebbero
iniziato a domandarsi chi andasse in giro in limousine. Di sicuro qualcuno che
fosse abbastanza ricco da potersi permettere un lusso del genere: un politico o
una celebrità.
Dal finestrino vide alcune persone dai
marciapiedi fissarla insistentemente. Si voltò verso il suo autista e poi di
nuovo verso quelle persone. Sospirò e scosse leggermente la testa, mentre
prendeva il telefonino, la borsa e i suoi inseparabili occhiali da sole.
Sistemò meglio il cappello ed aprì lo sportello. La prima cosa che i passanti,
fermatisi ai bordi dei marciapiedi per assistere alla scena, videro, furono
bassi stivaletti di pelle con lacci sul davanti e lunghe e snelle gambe
fasciate in pantaloni di velluto scuro. Le calzature, piccole come se a
indossarle fosse una bambina di nascosto dalla madre, toccarono l’asfalto e vi
si aggrapparono saldamente, come in cerca di un appiglio. La mano candida,
quasi non vedesse la luce del sole e non ne sentisse il calore da tempo che
uscì, si assicurò alla fiancata dell’auto e Hinata si alzò, protetta ai
pericolosi occhi del mondo dalle lenti degli occhiali, a celarle il viso come una
maschera sino al naso, impeccabilmente francese, piccolo e con la punta
all’insù. Visibile solo la bocca dalle labbra sottili, lucida e rossa come una
ciliegia.
I lunghi capelli d’ebano si aprirono come
un ventaglio dietro la schiena e la figura sottile, coperta da un lungo cappotto
di lana cotta immancabilmente nera, si slanciò e si protese in tutta la sua
altezza verso il cielo a svettare su tutto ciò che la circondava.
Borsa al fianco, cappello sempre pendente
su un lato secondo l’indiscussa e intramontabile tradizione e moda parigina,
Hinata si guardò intorno e riconosciuto il luogo in cui si trovava come Avenue
des Champs-Élysées, si diresse a passo svelto verso i taxi, precipitandosi nel
primo, senza accorgersi di non essere sola fino a quando fu troppo tardi per
tornare indietro.
*
Non era sola, appurò senza aprire gli
occhi. Per paura di essere riconosciuta dall’occhio più attento o allenato di
un passante, si era buttata nel taxi senza neanche controllare che fosse vuoto.
Mossa sbagliata e al contempo perfetta. E
con quella prima manovra il destino cominciò a muovere i suoi fili invisibili e
a tessere la sua tela.
“Mi scusi…” una voce bassa e roca
convinse Hinata ad aprire finalmente gli occhi.
Alzò la testa fino a incrociare lo
sguardo divertito e in parte seccato di un uomo, più che legittimo dato che gli
era praticamente finita addosso e lo stava schiacciando.
Prima ancora di guardarlo in volto la sua
attenzione fu completamente catturata dalla macchina fotografica che gli
pendeva al collo. Un brivido le corse lungo la schiena e chiedendo scusa
debolmente, si sedette sul sedile di fianco, rigida e decisa fermamente a
scendere alla prima occasione.
Era un fotografo, magari anche
giornalista..Accidenti tutte le sfortune a lei?
“Signorina..” la voce del conducente la
riportò alla realtà.
“Si?” sussurrò indecisa se buttarsi
dall’auto in corsa o..
“Mi dispiace, ma dovrebbe scendere,
vede..”
“Non fa niente.” lo interruppe l’uomo
dietro di lui “Io e la signorina divideremo il taxi, sempre che per lei vada
bene si intende…” si girò verso di lei e lo vide osservarla con sguardo
penetrante e squadrare tutta la sua persona.
Fece un breve segno di assenso e rivolse
gli occhi al finestrino senza vederlo davvero, mentre il cuore le batteva
all’impazzata. Forse l’aveva riconosciuta e le avrebbe fatto domande, ma lei
non aveva alcuna intenzione di rispondere. No, nessuna..
“Dove deve andare, signore?”
“All’Opèra e sono anche in leggero
ritardo, quindi se potesse andare più veloce le sarei grato.”
All’Opèra?Possibile stesse andando per
seguire la conferenza o peggio per parteciparvi?
“E voi signorina?”
Non ci aveva pensato..Dove voleva
andare?Sentì lo sguardo del suo vicino fastidiosamente puntato sul collo e si
affrettò a rispondere di slancio “Jardin du Luxembourg.”
“Nella direzione opposta..” sentì
borbottare l’autista, un uomo basso e leggermente tarchiato, con radi capelli
sulla testa tonda e lucida come una moneta.
Una ciocca di capelli le finì sugli
occhiali e lei la spostò dietro l’orecchio.
L’uomo che aveva notato anche quel gesto
per lei familiare, le rivolse la parola nuovamente.
“Jardin du Luxembourg, eh?Offrono uno
spettacolo straordinario in primavera. E’ la prima volta che vi si reca?”
Hinata spostò la testa di tre quarti,
quel poco che bastava per guardarlo in faccia e non sembrare una maleducata e
sorrise distratta.
“No, ma è da tempo che non ci vado e
desidero molto vederli.”
Era vero. Se ne accorse nel momento
stesso in cui le parole le scivolarono veloci dalle labbra. Erano passati mesi,
se non anni dall’ultima volta in cui c’era andata, in cui aveva sentito la
brezza gentile del vento carezzarle il viso e i capelli volarle intorno.
“Come avrà capito sono un giornalista.”
Si era accorto del lungo sguardo che
aveva lanciato alla macchina fotografica, così come sapeva che a lei non fosse passato
inosservato il modo in cui l’aveva studiata da capo a piedi.
“All’Opèra c’è un meeting con il Corpo di
Ballo e sono tutti in fermento perché pare ci sarà anche la Prima Ballerina e
questa è una novità. Sa, non ama molto le interviste o i giornalisti, a seconda
dei punti di vista..Mi perdoni, forse la sto annoiando.”
“No..”si affrettò a rispondere Hinata,
con voce leggermente più dolce rispetto a prima.
“E’ appassionata di danza classica?” rispose
interessato l’uomo.
Aveva capelli castani lunghi fino al
collo, legati in un codino, un filo di barba appena accennata su mento e guance
e profondi e intensi occhi verdi.
Ora che ci pensava non aveva l’aspetto
proprio dei giornalisti. Ma qual era l’aspetto dei giornalisti?
“Una mia amica è una ballerina.” si
ritrovò a precisare.
“Oh..capisco e immagino lei sia una sua
grande ammiratrice.” osservò con un grande sorriso, per nulla derisorio o
canzonatorio.
“Strano..” replicò allora Hinata in parte
colpita, fissando di nuovo dinnanzi a sé.
L’uomo la guardò, aspettando che
continuasse. “Davo per scontato che la sua prossima domanda sarebbe stata chi
fosse questa ragazza, se fosse brava o al massimo se fosse francese.”
L’altro indurì appena lo sguardo, mentre
la mascella si irrigidiva.
“Penso che lei abbia un’idea piuttosto
distorta del giornalista o la travisi completamente.”
“Non credo.”osservò assente.
“Non tutti i reporter sono persone senza
scrupoli, pronte ad inventare frottole o storie, screditando chiunque pur di
far comprare più giornali. Le riviste, di qualsiasi genere, non sono
diffamazione gratuita.”
Si girò verso il tassista mettendogli in
mano dei soldi. “Io scendo qui.”
“Ma la conferenza all’Opèra?”chiese
quello meravigliato.
“Ho l’idea che oggi non ci sarà alcun
incontro, dato che la protagonista non sarà presente.”
Lo sapeva!L’aveva riconosciuta, ma allora
perché…?
Ancora intontito, ma comunque felice per
non dover più fare un bel tratto di strada, l’autista che non aveva compreso la
situazione, fermò il taxi e si voltò per dargli il resto, ma lui lo bloccò
ammiccando in direzione di Hinata. “Pago anche per la signorina.”
Aprì lo sportello e stava per scendere,
ma all’ultimo secondo parve ripensarci e si girò verso di lei, un’espressione
di desolato dispiacere dipinta sul volto.
“So che non potrà mai dimenticare il torto
fattole anni fa, ma mi prometta di pensare a quello che le ho detto. Ricordo
con nostalgia una ragazza meravigliosa che ai tempi del suo debutto, salendo
sul palcoscenico dimenticava ogni cosa e sembrava brillare ed irradiare luce
come una stella, fulgida nella sua semplice bellezza non artefatta. Ora invece
quella ragazza è una donna, fuoco che brucia qualsiasi cosa tocchi. Certo le
fiamme sono stupende, ma le dirò una cosa…personalmente preferivo la purezza
dell’acqua e la sua capacità di
disinteressarsi completamente del resto.”
Una breve pausa di silenzio, il tempo
necessario per vedere la donna di fronte a lui tenersi tenacemente al sedile e
le rivolse un sorriso gentile, mentre la osservava boccheggiare alla ricerca di
una risposta con la maschera che si sfaldava e cadeva miseramente in pezzi.
“Le auguro una buona giornata,
signorina.”
Una breve folata di vento la colpì, prima
che lo sportello si richiudesse e lei rimanesse inerme, come svuotata e privata
di ogni energia. Le parole dell’uomo a rimbombarle nella mente in una nenia
senza fine, si ritrovò a riflettere e a ponderare sulla sua vita come non
faceva da anni.
Sin da bambina le era stato inculcato che
fosse suo preciso dovere essere la persona che era diventata. Poco importava
che lo fosse davvero o fingesse, lei doveva sembrare perfetta, splendida ed
impeccabile e forse perché sotto l’influsso di una buona stella o per semplici
capacità personali, era riuscita a raggiungere le pesanti aspettative
familiari, superandole se possibile.
E da tutti era vista come l’emblema dell’eleganza
e della grazia.
Era apprezzata molto per il suo carattere
così insolito in quell’ambiente, schivo e quasi timido, da altri visto come
semplice altezzosità e superbia, ma soprattutto per il suo corpo.
Detta così sembrava orribile, ma era
questa la realtà. A tutti importava poco o nulla di Hinata Hyuga, figlia di un
importante imprenditore giapponese innamoratosi di una donna francese. Tutti
cercavano e accoglievano tra loro la prima ballerina del corpo di ballo
dell’Opéra Garnier e prima franco-nipponica a ricoprire il ruolo di première
danseuse nel prestigioso ensemblee francese, notoriamente chiuso ad
“infiltrazioni” straniere*.
Ultimo passo della sua carriera al
momento, era stata la promozione a étoile e anche dietro questo premio più che meritato, erano girati
pettegolezzi ad opera dei soliti maligni invidiosi che dietro la sua veloce
scalata e il suo successo, vedevano solo esempi di corruzione o influenze
esterne.
C’è chi sin da bambino ha un sogno e lo
porta avanti con le unghie e con i denti, chi purtroppo è costretto a
rinunciarvi perché non ha la possibilità di renderlo realtà, chi ancora non
alza un dito e si trova già appena nato con un futuro assicurato. Eppure un
sogno non porta felicità, o almeno non sempre. Lei la sua felicità l’aveva
buttata via, quando aveva cominciato a ballare senza anima, con rabbia e
perseguendo un fine stupido e senza senso. Ma era stato davvero un errore così
terribile cercare di ottenere e di assicurarsi degli agi che la rendessero più
tranquilla?Eppure non le avevano portato felicità. No, rinunciare a se stessa e
indossare la maschera che tutti volevano vedere, l’aveva resa ostile e privata
dell’unica cosa che la rendesse davvero soddisfatta, rendere felici le persone,
commuovere e far sorridere.
Una vita senza scopo non può esistere.
“Signorina!”
Il conducente aveva fermato la macchina e
girato verso di lei la fissava preoccupato.
“Si sente bene, signorina?”
“Oh..si grazie..”
“Siamo arrivati.”
Volgendo gli occhi al finestrino Hinata
vide l’entrata dei giardini, affollata come al solito.
Con un groppo in fondo alla gola si fece
forza e si avviò con passo sciolto ed elastico verso la fiumana di persone che
premeva per entrare, facendosi trasportare all’interno dai movimenti frenetici
della ressa.
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Capitolo 2 *** 2 ***
Balla
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Un fiore che sboccia, una pianta che
appassisce, una nuvola che va per il cielo. La natura è una madre prodigiosa e
per evitare di annoiarci escogita tutti i trucchi del suo mestiere millenario.
Tutto cambia dunque, tutto passa, ci
regala in un attimo la sua bellezza e poi se ne và, in una serie meravigliosa
di avventure e di scoperte.
Ci si sentiva come dei grandi esploratori
osservando le continue trasformazioni delle piante, del cielo, dei prati,
dell’atmosfera. Non esistevano mai fenomeni identici e ogni cosa variava da un
attimo all’altro.
E così si avvicendavano le stagioni, gli
anni, i secoli o i minuti. Quello che c’era prima non c’era più poco dopo o era
diventato diverso; tutto passava e si rinnovava, in un processo vecchio come il
mondo, ma sempre fresco, affascinante. E non restava altro che immergersi nel
continuo flusso di vita nuova, per amare di più la natura e sentirsi vivere e mutare
con essa.
Naruto tutto quello lo sapeva e per
questo si guardò intorno, sorridendo soddisfatto.
L’aria era tiepida, tersa e suadente,
rallegrata da un leggero venticello che si divertiva a far frusciare le foglie,
contro ogni previsione il sole splendeva alto nel cielo limpido. Era una di
quelle tipiche giornate di inizio primavera che riempivano il cuore di profumi
e di gioia. I prati si erano spogliati
del freddo e cupo mantello invernale per indossare un fine e morbido manto di
erbetta. Le aiuole erano disposte artisticamente, sapientemente coltivate. Le
prime ad apparire come al solito erano state le primule, simili a occhietti
gialli e poi le viole, nascoste all’ombra delle siepi fiorite di biancospino. E
ancora le pratoline, bianche e a forma di stella, mentre gli alberi avevano
perso quel loro aspetto invernale di scheletri dolenti e bei ricami candidi e
rosati si stendevano sui loro rami. Svettavano cercando di raggiungere il cielo
gli ippocastani, con le loro larghe foglie a ventaglio, gli aceri col fusto
dritto a chiazze d’argento, i tigli, i pioppi e i salici, protesi a toccare la
superficie ondulata dell’acqua e a riflettersi in essa.
Erano nate le prime gemme, sbocciate
nella loro pienezza sui rami, gonfie di linfa e di vita. Di mattina presto,
erano fresche di rugiada ed il sole del giorno le riempiva di sfumature e di
forza e sembravano aprirsi alla sua calda luce. E tra il verde dei prati, tra
le tenere foglioline, spuntavano tulipani selvatici gialli e rossi, giunchiglie
profumate e anemoni violetti e ancora i boccioli delle rose, il glicine con i
suoi grappoli lilla, carichi di dolce nettare, attorno ai quali ronzavano le
api golose.
I fiori nella loro serena semplicità
ingioiellavano la terra come pietre preziose, in un tripudio di colori e
profumi, simili a un tappeto variopinto screziato e frastagliato di mille
tinte.
Molte persone, approfittando del bel
tempo, avevano deciso di uscire e i vialetti che si snodavano agili, salendo e
discendendo a formare graziose collinette nascoste dagli alberi antichi, erano
colmi di gente spensierata e allegra: madri che trasportavano i figli in
carrozzine ricoperte di veli e di trine e chiacchieravano tra di loro facendo
trillare, con gesto pacato, un sonaglino, dondolando le carrozzine o rinchiudendone
le tendine perché il sole non disturbasse il sonno dei loro piccoli. Poco più
in là un gruppo di vecchietti rideva allegramente rievocando i bei tempi
andati, si battevano pacche sulle spalle, scherzavano come tanti bambini. Negli
spiazzi invece una frotta di bambini correva e giocava, chi in bicicletta, chi
in pattini o monopattino, con palle di gomma o fucili di plastica, creando una
gran confusione con le loro grida di incitamento,
Lentamente, lungo i vialetti avanzò una
guardia, spingendo con aria indolente i pedali di una vecchia bicicletta. Come
la videro avvicinarsi, i bambini si allontanarono dai prati con il timore che
li sgridasse perché era vietato calpestarli, ma in una giornata come quella chi
avrebbe resistito alla tentazione di farvi sopra due capriole?Anche la guardia
sembrò capirlo, perché pur vedendo benissimo le impronte rimaste impresse,
chiuse un occhio e non rivolse il più piccolo cenno di rimprovero a nessuno dei
trasgressori.
Poco lontano una fontana con getto
potentissimo sollevava una colonna d’acqua verso il cielo per poi lasciarla
ricadere in mille e mille gocce nel laghetto sottostante.
La nota più bella di quella parte di
giardino infatti era il laghetto: l’acqua si increspava leggermente sotto la
carezza del vento e i cigni candidi scivolavano leggeri tra le ninfee.
Tutto era fresco e gaio.
Era già mezzogiorno, il cielo era chiaro,
il vento portava un profumo dolce e penetrante e lui aveva già fatto un
ritratto. Poteva andare meglio?
Fu in quel preciso istante che il destino
mise in campo il suo cavallo.
Naruto si voltò verso il terrazzo su cui
si trovava e vide un’immagine che da quel giorno gli sarebbe rimasta impressa a
fuoco nel cuore per sempre.
Lì, in piedi e tranquillamente poggiata
sul parapetto, stava la creatura più bella che avesse mai visto.
I lunghi capelli fini come seta e scuri
come una notte senza stelle, le danzavano intorno al viso di porcellana, dalle
fattezze di bambola. Gli occhi socchiusi, ombreggiati dalle lunghe ciglia
ricurve, le labbra sottili e leggermente schiuse, il naso piccolo e dritto alla
francese. Anche se completamente vestita di nero, appariva come ricoperta
d’oro, avvolta dai caldi raggi del sole e circondata dai suoi fasci luminosi.
Era lì, si disse, la sua prossima
modella, una ninfa da ritrarre in tutta la sua sfolgorante bellezza, piccola
creatura angelica strappata al cielo.
Si avviò con passo deciso e fermo verso
la donna, un lampo determinato e risoluto a rendere più cupo l’azzurro dei suoi
occhi.
*
Hinata aveva girato per qualche ora nei
giardini per arrivare senza neanche rendersene conto sulla terrazza. L’ultima
volta che era stata lì era stato il giorno prima che scoppiasse lo scandalo e
si ritrovò a paragonare le emozioni di quel pomeriggio lontano di tanti anni fa
con i sentimenti che la agitavano in quel momento. All’epoca c’era stata
serenità, una pace e una tranquillità che la trascendevano, un’armonia con se
stessa e con il mondo intero, fiducia illimitata verso gli altri e speranza per
il futuro, miraggio di fantasie illusorie.
Ma ora che c’era?Da cosa nasceva quel
dolore, quella sofferenza che la lacerava?Dalla consapevolezza di aver perso
ogni cosa…Ridicolo..e paradossale. Proprio ora che aveva raggiunto ciò che
desiderava e aveva ottenuto la ricchezza e il posto che le spettava, capiva di
non esserne soddisfatta. La fama però le interessava..Oh quello di sicuro..Solo
che..Già, solo che?Cosa mancava?Cosa non andava?
“Mi scusi..”
Un tocco gentile, una leggera pressione
al braccio e Hinata si ritrovò per la seconda volta nella giornata alle prese
con qualcosa che la lasciò senza parole.
D’accordo che era un po’ ingenua, ma non
così tanto pensò dopo aver ascoltato la richiesta a suo avviso strampalata di
quel ragazzo.
Sapeva benissimo che di solito sono le
persone a chiedere di essere ritratte e non il contrario o almeno credeva…Oh,
insomma! Non si sbagliava, l’aveva visto con i suoi occhi vagabondando per i
viali. La richiesta di quello che capì pittore anche dai tre segni di vernice
marrone, simili a graffi, sulla guancia destra, la fece boccheggiare
leggermente.
Voleva farle un ritratto?E quanto le
sarebbe costato?
Glielo chiese, ma lui rispose con un
sorriso a trentadue denti.
Ok..ora cominciava a preoccuparsi..Non era
uno psicopatico, vero?
“Niente.” sorrise se possibile ancora più
allegramente di prima e la percorse con lo sguardo da capo a piedi. Sotto
quell’analisi Hinata sentì le guance andare a fuoco e si costrinse a chiedere
balbettando, “Ni-Niente?”
“E’ gratuito e se permetti il ritratto
vorrei tenerlo io.”
Tenerlo lui?
Accidenti, ma era Eco?Sapeva solo
ripetere le ultime parole di ogni frase?
“Perché?”chiese sbattendo gli occhi
stupita. Perché voleva conservare il dipinto di una perfetta sconosciuta?A meno
che…
Non gli diede nemmeno il tempo di
rispondere e si voltò cominciando a incamminarsi nella direzione opposta con
ampie falcate, quasi correndo. Se quel tipo sperava di far soldi facendole un
ritratto per poi rivenderlo al miglior offerente, si sbagliava di grosso.
“Ehi!Scusa ti stavo spiegando..” cominciò
Naruto raggiungendola e bloccandola per il polso.
“Cosa vuoi spiegarmi?” lo interruppe lei,
rivolta verso di lui con il busto. “Pensi che non abbia capito cosa hai
intenzione di fare?Vuoi farmi un ritratto!”
Naruto allargò gli occhi leggermente e si
portò la mano destra dietro al collo massaggiandoselo, la sinistra infilata
nella tasca dei jeans.
“L’idea sarebbe quella in effetti..”
Hinata sgranò gli occhi e gli puntò il
dito contro il petto, avvicinando di botto il suo viso a quello dell’uomo.
“Credi che sia una stupida?Tu speri di rivenderlo al miglior offerente!”
Se Naruto rimase sbalordito da
quell’uscita inaspettata, non lo diede a vedere più del dovuto limitandosi ad
alzare un sopracciglio in un’espressione di silenzioso sconcerto. Puntò i suoi
occhi azzurri in quelli grigi della donna, invitandola a continuare, cosa che
non fece.
“Perché dovrei fare una cosa del genere?E
scusami tanto, ma non mi reputo il grande pittore che a quanto pare tu pensi io
sia. Anche se il soggetto in questione, tu, è fuori ogni dubbio incantevole,
non credo che qualcuno comprerebbe mai il quadro di un pittore sconosciuto come
me. E poi chi ha mai detto che io sarei disposto a venderlo?”
Hinata lo osservò sorpresa.
“Vuoi solo dipingermi e tenere il quadro
per te?” mormorò confusa, mentre le guance si imporporavano nuovamente.
Naruto assentì, rivolgendole un grande
sorriso.
“Accetti di posare per me per le
prossime…” guardò l’orologio al suo polso con il cinturino di pelle logoro e
sdrucito, di nuovo lei e ancora l’orologio. “Tre ore sono troppe?” chiese con
la stessa espressione di desolato dispiacere che qualche ora prima era dipinta
sul volto del giornalista con cui aveva diviso il taxi.
“No..” si affrettò a rispondere lei.
“No.”ripeté. “Non ho nulla da fare, oggi
ho la giornata libera.”
Le stava facendo un favore..Ora doveva
soltanto decidere come trascorrere la restante metà pomeriggio.
Naruto le sorrise ancora, dicendole
“Perfetto.” e cominciò a tirarla verso
il terrazzo da cui si erano allontanati, prendendola per mano.
Cinque minuti dopo Hinata era stata
comodamente fatta sedere su uno sgabello di legno chiaro posizionato di fronte
alla tela.
Naruto dietro di essa, pennello nella
mano destra e tavolozza nell’altra era già all’opera. Sapeva di dover rimanere
immobile, così si limitò a muovere gli occhi, osservando interessata i quadri
del ragazzo posizionati al suo fianco, l’uno accanto all’altro: verdi praterie;
campi di grano al sole, chiazzati di rosso e d’azzurro dai papaveri e dai
pallidi fiordalisi; monti bianchi che si stagliavano nel cielo, coronati dal
vapore lieve delle nuvole; un bosco, percorso da raggi improvvisi di luci tra
il verde degli alberi e dei cespugli, quando la brezza leggera ne muoveva
adagio le foglie e i rami.
E ancora, bimbi dai capelli color dell’ebano e dagli
occhioni neri, una coppia di signori anziani teneramente abbracciati su una
panchina ad osservare il tramonto e un volto incompleto di donna. Aveva un
dolce e gaio sorriso sulle morbide labbra a cuore, un viso ovale dalle fattezze
fini e aggraziate e capelli rosso fuoco a incorniciarglielo con boccoli e ricci
sul collo d’avorio. La carnagione rosea e bianca era stata realizzata con
pennellate leggere e soffici che erano riuscite perfettamente a creare la
levigatezza della pelle liscia e vellutata. Eppure nella perfezione di quel
volto mancava qualcosa, poco sopra il naso costellato di impercettibili efelidi.
Quell’angelo era stato privato degli occhi. Gli occhi sono lo specchio dell’anima..
E Hinata capì senza che glielo dicesse
che quella donna era sua madre.
Abbandonò la vista di quel volto mite e
studiò il ragazzo di fronte a lei.
Spalle larghe, fisico asciutto e
imponente, pelle leggermente abbronzata, aveva un qualcosa di saldo e di
imponente, di caloroso, come il sole. Forse quell’impressione era provocata dai
capelli dorati, una zazzera disordinata ed arruffata, o dagli occhi. L’azzurro
lieve del cielo, del mare, così vasto e profondo e dei laghi. L’azzurro, oltre
che rosei, dei sogni di ognuno.
L’azzurro del fiordaliso sbocciato tra il grano
e dei timidi e graziosi nontiscordardimé. Tenue, delicato, quel colore riposava
lo sguardo ed era come una dolce carezza su un volto affaticato. E quel perenne
sorriso..Hinata rimase ferma a studiare quel sorriso, ad abbeverarsene come un
assetato che ha attraversato il deserto, a cercare di carpirne il segreto. Quel
riso appena accennato sulle labbra piegate verso l’alto, che traeva fonte da un
ottimismo senza limiti, da un’allegria a da una spensieratezza senza freni, le
scaldò il cuore e in un riflesso incondizionato anche le sue labbra si
stirarono in un sorriso dapprima stentato e poi sincero e leggero come un
petalo di fiore.
“Come ti chiami?”
La sua voce le giunse bassa e carezzevole
come il vento.
Il suo nome?Cercò di ignorare l’ansia che
la divorava. “Hinata…” un sussurro, ma lui lo sentì benissimo.
“Naruto.” rispose lui alla tacita domanda
della ragazza
“Non è un nome usuale qui in Francia.” mormorò
lei sempre distante.
“Come il tuo.” replicò allora lui, sempre
sorridendo.
“Mio padre era ambasciatore in Giappone e
mia madre francese di nascita, innamoratasi a prima vista dei kimono, degli
origami e del ramen, trovò esotico chiamarmi in questo modo. Lei stessa cambiò
il suo nome in uno più orientale.” spiegò.
“Sono…?”
“Morti?Si..Un incidente aereo..tanti anni
fa.”
“Mi dispiace…”
Un sorriso più grande da parte dell’uomo,
come per ringraziarla.
Ringraziarla di cosa poi?Lei..non aveva
fatto nulla. Non faceva nulla da anni ormai, facendosi trasportare dalle
correnti, incapace di prendere decisioni, fare semplici scelte come i vestiti
da indossare.
Incapace di vivere.
“E infine vorrei immortalare il volto di
mia madre,
così difficile da ritrarre in tutta la
sua purezza.
Saprei usare tutta la meravigliosa
tecnica del colore
per trasportare sulla tela la sua stessa
anima.
Allora, serenamente, deporrei il pennello
e porrei fine alla mia opera di artista,
così degnamente compiuta
per eternare più il modello che
l’artista.”
Il parco si era svuotato quel minimo che
bastasse a renderlo meno affollato e a far tirare un sospiro di sollievo ad
Hinata, sempre terrorizzata dall’idea di essere riconosciuta. In quel momento,
quando erano passate da poco le tre e lei stava già posando da un paio d’ore,
il fato decise che quella partita si stava prolungando troppo e mise in campo
la sua regina.
La prima goccia la colpì sulla guancia. Cristallina
e limpida come una lacrima, quella stilla d’argento le scese lungo la gota di
pesca fino al mento. Pochi secondi e cominciò a piovere, un breve acquazzone
primaverile.
Hinata aprì l’ampio ombrello nero
mantenendo il manico ricurvo con tutte e due le mani, pronta ad andarsene,
mentre il lento scrosciare della pioggia provocava un fuggifuggi generale e le
persone cercavano frettolosamente rifugio sotto le fronde spaziose dei maestosi
alberi, sperando fosse di breve durata.
Ma non se ne andò. Rimase lì, ferma sotto
il lento scrosciare dell’acqua ad osservarla scendere dal cielo e ricadere
adagio come una coperta invisibile sul terreno; i goccioloni cadere dalle
nuvole nere e dense, invadere ogni cosa, scendere lungo i tronchi a rivoli, la
terra assorbire quanta più acqua potesse e serbarla come un tesoro. Dal suolo
cominciò a salire il caratteristico odore della pioggia, il profumo intenso
dell’humus bagnato e le foglie, prima velate dalla polvere, scintillarono più
di prima. Strinse con maggiore forza il manico, aumentando la presa e si alzò
il bavero del cappotto, chiudendolo con un grosso bottone sulla gola.
Rimase lì semplicemente. Un’ombra scura nel
grigiore circostante, sovrastata da un cielo plumbeo e un’atmosfera
improvvisamente cupa e uggiosa.
Naruto intanto correva affannato intorno
ai suoi quadri, coprendo le tele e avvolgendole nelle loro protezioni. Uno dopo
l’altro i dipinti furono posati in un grosso borsone blu impermeabile. Si voltò
per posare l’ultimo, quello incompleto con la madre e trovò una piacevole
sorpresa. Era asciutto, in alcun modo rovinato dalla pioggia. Hinata con il suo
grosso ombrello si era premunita di coprirlo e di fare in modo che l’acqua non
lo danneggiasse, facendo sciogliere i colori o mischiandoli.
Senza guardarlo, aspettò che lui posasse
il ritratto insieme agli altri, ma anche quando ebbe svolto quell’ultima
operazione e sistemato cavalletto e colori, rimase a coprirlo dalla pioggia.
A quel punto fu impossibile per entrambi
fare finta di niente e Hinata, riscoprendo una gentilezza e degli istinti che
aveva schiacciato in quegli anni, ritrovando la sua vera indole, si affrettò a
domandargli imbarazzata, “Posso offrirti un passaggio?”.
E Naruto, con quel sorriso che lei aveva
già compreso gli fosse proprio, si chiuse il cappotto di lana appena indossato,
mise il borsone a tracolla e provocando piacevoli vampate ad Hinata, mise una
mano sulla sua intorno al manico.
Fu naturale e conseguente per la donna
infilare il suo braccio sotto a quello dell’uomo e farsi portare da lui,
ovunque stessero andando, in una riscoperta dimostrazione di fiducia e
affidamento, facendosi largo tra le opprimenti strade asfaltate e le continue
minacce di bagni imprevisti offerte dalle pozzanghere, superate con agilità da
entrambi.
“Posso offrirti il pranzo?”
Naruto era cresciuto in un vecchio
quartiere di periferia.
La casa che i suoi genitori gli avevano
lasciato in eredità era stata una delle prime ad essere costruita nel
dopoguerra. Circondata da prati e campi, era una struttura ormai cadente e in
sfacelo, eppure lui vi era molto affezionato e questo sia perché costituiva
l’unica cosa che lo legasse ai genitori prematuramente scomparsi sia perché tra
quelle mura e quei mattoni rotti, gli sembrava quasi di sentire il profumo
della madre, verbena..
Anche quell’isolamento dal resto della
città caotica era stato di breve durata però; i campi erano spariti per far
posto a palazzi di quattro o cinque piani, moderni e brillanti di vernici e di
vetri. Le strade, un tempo appena tracciate, erano state asfaltate ed
illuminate. Ora arrivava lì perfino l’autobus. All’angolo della strada però,
nonostante tutti i cambiamenti, rimaneva intatto ed uguale a se stesso un
edificio, caro ai vecchi che lì si riunivano per discutere di politica, al
tavolino e davanti a un bicchiere di vino rosso. Anche i giovani non
disdegnavano la vecchia osteria all’angolo della strada. Era lì come sempre quella
cara, sonnolenta, campagnola, osteria; il cuore del quartiere ormai in pezzi.
Era una vecchia costruzione grigia, anonima e un po’ anacronistica in mezzo a
tutte quelle case nuove e un giorno o l’altro sarebbe stata sopraffatta
dall’ansia del nuovo che dominava ormai il mondo.
Chissà probabilmente di lì a qualche mese
sarebbe sorto un grande e luccicante bar..
Per fortuna quel giorno era ancora
lontano..
Anche perché altrimenti lui dove sarebbe
andato a mangiare il suo adorato ramen?
Sballottata di qua e di là, Hinata era
stata costretta ad attraversare mezza città, cosa non da poco soprattutto se si
consideravano due fattori: primo il suo non essere abituata a fare certe
scarpinate, secondo, ben più importante se si considerava il primo, l’avere i
piedi rinchiusi in stivaletti di pelle strettissimi, vere e proprie gabbie
infernali.
Guardandosi intorno mentre riprendeva
fiato, Hinata si accorse di un altro problema, peggiore dei precedenti. Dove
accidenti l’aveva portata Naruto?
Ma soprattutto perché l’aveva seguito senza
fiatare?Misteri della vita.
Ah..l’amour…gioca strani scherzi,
nevvero?
Lo sguardo spaventato e mezzo allucinato
di Hinata dovette mettere in guardia Naruto che finalmente decise fosse giunto
il momento di metterla a conoscenza dei suoi piani.
“Stiamo andando al mio ristorante
preferito.” chiarì.
Oh..adesso si che tutto si
spiegava…stavano andando al suo ristorante preferito..
Hinata ci pensò e ci ripensò su, ma per
quanto si sforzasse, non riuscì a capire. Era assolutamente necessario portarla
fin lì per mangiare qualcosa?E poi..
La voce di Naruto la riscosse dai suoi
pensieri, “Arrivati!” disse e le mostrò con uno sguardo d’orgoglio, per lei
davvero incomprensibile, uno stabile diroccato con un’insegna sbilenca che
pendeva su un lato e si manteneva per puro miracolo.
“Ehm…”
Il sorrise del ragazzo si fece ancor più
sicuro. “La prima impressione è sempre questa, ma poi non vorresti più uscire,
te lo assicuro.”
Oh non ne dubitava..
Il suo sguardo doveva dirla lunga su
quello che le stava passando per la testa, perché la felicità dell’uomo si
appannò di poco, facendo offuscare anche gli occhi. La scrutò pensieroso e le
girò intorno, facendola arrossire. Stava cominciando ad abituarsi a quegli
odiosi sbalzi di temperatura..
“Forse sarebbe meglio se togliessi tutti
i gioielli. Sai..per precauzione..” le rivolse un sorriso di scuse, ma lei già
pensava al peggio, un peggio che prevedeva la sua fine in una scatola di latta,
fatta in tanti pezzettini.
E se fosse stato un assassino?Lanciò
un’occhiata in tralice all’uomo e si disse che tutto poteva essere. Chissà
magari dietro quell’aspetto angelico si nascondeva davvero un pazzo
pluriomicida..
Con mano malferma si tolse il pesante
orologio di swarovsky buttandolo nella borsa senza il minimo riguardo. Stessa
fine fecero un bracciale in metallo e pasta di vetro madreperla, orecchini con
perle e stelle di diamanti e una collana di perle e argento.
Naruto osservò quei gioielli senza una
parola, soltanto le rivolse uno strano sguardo mentre buttando la sicurezza
alle ortiche anche gli occhiali da sole finivano sul fondo della borsa.
Hinata invece che arrossire di nuovo, cosa
che stava cominciando a urtarle i nervi, trovò molto più interessante la punta
curva dei suoi stivaletti.
Naruto sembrò capire il suo imbarazzo e
smise di squadrarla. Ed entrarono.
C’era un buon profumo fu la prima cosa
che pensò entrando.
La seconda, meno razionale, fu che erano
circondati.
L’ambiente, in aperto contrasto con
l’esterno, era confortevole e familiare, caldo e accogliente. Un po’ meno le
facce che la attorniarono. Una decina di persone, dai diciassette ai cinquanta
anni, le stavano intorno, osservandola con quell’espressione che ormai lei era
abituata a riconoscere a miglia di distanza. Ohi ohi…
“Ma questa non è..?”
“Ma no!Che dici scemo!”
“Ma è una bambola gonfiabile?”
“Si certo..”
“Una bambola avrebbe di sicuro più curve
di lei.”
“State zitti idioti!Non vedete che la
spaventate?”
Naruto le passò un braccio intorno alle
spalle protettivo in una presa delicata e rassicurante. A quel gesto seguì un
silenzio surreale e poi le urla ripresero più forti di prima. Sembravano
facessero a gara a chi gridasse più forte.
“Ha portata la sua ragazza!”
“Naruto ha la ragazza, Naruto ha la
ragazza, Naruto ha la ragazza..”
“Ma non è che è malata?Sembra un po’
pallida..”
“Lo è di sicuro per stare con un’idiota
del genere.”
“Naruto ha la ragazza, Naruto ha la
ragazza, Naruto ha la ragazza..”
“Silenzio mocciosi!”
Hinata, frastornata, guardò riconoscente
la donna che aveva posto fine a quel trambusto.
Lunghi capelli biondi legati in due
codini, pelle dorata e profondi occhi nocciola, simili a topazi e con un che di
felino, un’affascinante donna si fece largo nella baraonda, assicurandosi mentre
passava di dare gomitate e pugni a chiunque avesse la malaugurata sfortuna di
sfiorarla.
Indossava un’ampia e scollata camicia di
seta verde, pantaloni neri e sandali dal tacco alto aperti sul davanti. Le
unghie lunghe e quadrate smaltate di un intenso bordeaux.
Alta e dalle forme prosperose, quella
misteriosa donna la scrutò a lungo e poi alzò la mano. Hinata chiuse
istintivamente gli occhi, ma il tocco che le sfiorò il viso fu una fugace
carezza, breve ed impalpabile quanto un battito d’ali, quella che avrebbe
capito solo più tardi essere la sua benedizione.
“E’ un piacere per me conoscere la santa
che sopporta il mio figlioccio. Il mio nome è Tsunade.”
Tsunade..Ricordava di aver già sentito
quel nome, ma dove?
Purtroppo non ebbe il tempo di
ricordarlo, perché si ritrovò spinta verso il bancone immacolato in fondo alla
stanza, su uno sgabello uguale a quello su cui Naruto l’aveva fatta sedere al
parco, di nuovo assediata da tutti. Eppure, stranamente, non provò alcun moto
di fastidio verso tutte quelle persone..
Chissà, forse la sua agorafobia aveva
deciso di darle tregua. Sapeva benissimo Hinata che quella serenità dipendeva
dal semplice fatto di non essere stata riconosciuta. E anche se veniva guardata
come un alieno, cosa gliene importava?Ciò che davvero contava era per una volta
non essere costretta a nascondersi. Non c’era nessuna Hinata Hyuga lì, solo
Hinata.
Pochi secondi e di fronte a sé comparve una ciotola scura con qualcosa di
molliccio al suo interno.
Ehm..Cosa si aspettavano facesse?Che
mangiasse quella roba?
Osservò i volti intorno a lei e capì che
sì, era quello che avrebbe dovuto fare. Accanto a lei Naruto aveva già il volto
immerso nella ciotola e stava divorando rumorosamente qualunque cosa ci fosse
al suo interno.
E bravo..la lasciava nella fossa dei
leoni a combattere da sola quindi?
Prese il cucchiaio appena offertole da
una ragazza con una chioma crespa e fulva come la criniera di un leone e si
arrischiò a domandare cosa fosse quella roba, anche se in termini più educati e
moderati.
Lo sguardo stralunato dei ragazzi la fece
arrossire sino alla punta dei capelli e Naruto, sentendo il silenzio intorno a
loro farsi improvvisamente pesante, si decise a riemergere dal piatto.
“Oh, si anche se è giapponese..”
“Per metà.” lo corresse bisbigliando lei.
“D’accordo.” bisbigliò lui di rimando.
“Anche se è giapponese per metà, Hinata
non ha mai mangiato ramen in vita sua.”
L’urlo apocalittico di un ragazzo alle
sue spalle la rese sorda in un orecchio.
“Non ha mai mangiato ramen?!?!?!”
Capelli scuri e arruffati come quelli di
Naruto, sguardo sfrontato e sicuro, Konohamaru, come comprese dal sussurro
depresso della ragazza di poco prima, le lanciò un’occhiata allucinata come
chiedendole in che mondo vivesse e lei arrossì ancor più furiosamente, punta
sul vivo.
Ok, non aveva mai mangiato ramen ma per ottimi
motivi.
In primis era una ballerina e in quanto
tale era costretta a seguire una dieta rigidissima, ferrea ed equilibrata,
senza potersi permettere di sgarrare neanche una volta. Anche ingrassare di un
etto o qualche centimetro in più su pancia e fianchi, potevano costare lo scarto
da una selezione o spettacolo. In secondo luogo si trovavano a Parigi, patria
delle crepe, dei flute di champagne e del caviale, perché avrebbe dovuto
mangiare brodi dall’aspetto pericoloso o pesce crudo?
Dopo aver messo a tacere il gruppetto, Naruto
si voltò verso di lei, sorridendo con quel suo fare così confortante.
“Mangia.” ordinò perentorio con un ghigno
quasi sadico.
Stava scherzando, vero?
Non riusciva neanche a immaginare quante
calorie contenesse quel coso.
Lo vide roteare leggermente gli occhi e
guardarla divertito.
“Una ciotola sola non è la fine del
mondo. La vera tragedia sarebbe non assaggiarlo. Lo so che stai morendo di
fame..”
Come a confermare le sue parole, il suo
stomaco fece comprendere quanto fosse poco restio ad ingurgitare qualcosa di
solido, di qualsivoglia forma e colore.
Eppure Hinata non era ancora disposta a
cedere e continuava ad osservare poco convinta la pietanza.
Naruto allora alzò le mani in segno di
resa. “Ti farò smaltire tutto dopo…”
A quelle parole dalla parte dei ragazzi
si alzò un coro di fischi ed urli tali che costrinse Tsunade stessa ad
intervenire nuovamente per metterli a tacere.
Senza essersi accorto di nulla, Naruto
proseguì imperterrito “Immagino tu non sia mai stata a Notre-Dame, mi sbaglio?”
Hinata si limitò a negare col capo, continuando
a fissare sconsolata e leggermente contrita il ramen. Fulminò un raviolo,
verdura, tagliatella, pezzo di carne o qualunque cosa fosse, riaffiorato
improvvisamente, ma non servì a nulla perché quello rimase lì dov’era ad osservarla
borioso e arrogante.
Si trattava di un solo boccone in fondo,
norme basilari di buona educazione, poi si sarebbe scusata adducendo come causa
questioni di salute o cose del genere. Si, poteva funzionare. Si fece forza e
coraggio ed impugnò con maggior decisione il cucchiaio.
Assaggiò e senza darsi la pena di
masticare mandò giù il boccone e...
Era davvero buono! Altro che le poltiglie
incolori e insapori ipocaloriche che era solita mangiare. Tofu..Bleah..Mai più,
mai più, promise al suo stomaco che gorgogliava felice.
Mentre la bella ballerina riscopriva le
gioie del cibo e dei suoi surrogati, riallacciando i rapporti con vecchi amici
di lunga data, noti con i simpatici nomi scientifici di proteine, carboidrati,
glicidi e lipidi, Naruto non ancora sazio alla sua terza ciotola, cominciò a
rispondere stentatamente alla raffica di domande che lo investì.
E pensare che tutti erano a conoscenza di
quanto il momento del pasto fosse sacro per lui.
A incorrere nei rischi e pericoli che ne
conseguivano tuttavia, era l’unica persona che posse permettersi di dire o fare
qualsiasi cosa con il ragazzo.
Protesa verso di lui, con le grazie messe
bene in vista, provocante e seducente senza nemmeno che se accorgesse, Tsunade
diede inizio all’interrogatorio giornaliero.
“Quanti ritratti hai fatto prima che
cominciasse a diluviare?”
Naruto continuò tranquillamente ad
ingozzarsi, alzando in direzione della donna il dito indice e metà del medio.
Uno e mezzo.
Le labbra piene della donna si strinsero
in una smorfia.
Messa da parte la ciotola perfettamente
ripulita, il ragazzo alzò lo sguardo.
“Quello del mezzo ti ha pagato almeno?”
Sentita tirata in mezzo, Hinata alzò la
testa e aspettò che Naruto rispondesse.
Cosa che non fece comunque. La indicò
semplicemente e le sopracciglia sottili della donna si arcuarono leggermente
come le ali di un gabbiano. Esaminò con maggior attenzione e interesse il volto
diafano della ragazza e un lampo di comprensione le baluginò nello sguardo.
Quegli occhi con i bordi lievemente a
mandorla e dal colore così chiaro ed intenso.
Si voltò nuovamente verso di lui, adocchiando
i piatti vuoti.
“Finito?”
“Era tutto squisito Tsunade, come al
solito.”
Lei lo guardò ed emise uno sbuffo
sprezzante.
“Immagino sia superfluo chiederti di
pagare il conto.”
“Immagini bene.”
“Te la abbono soltanto perché non sei
solo..Questa volta offre la casa.”
“Grazie.”
Un tsk poco gentile o un grugnito
beffardo, a seconda dell’udito, fu l’unica risposta che riuscì ad ottenere. Naruto
si alzò dal comodo sgabello, buttandosi su una spalla il cappotto. Posò una mano
sulla spalla di Hinata che già in piedi di fianco a lui, litigava con i bottoni
cercando di chiuderli e insieme si avviarono verso la massiccia porta di mogano
del locale, inseguiti dagli occhi di tutti i presenti.
Prima di aprirla, si voltò verso la donna
e con un sorriso le chiese “Tienimi buono Kakashi per qualche giorno per
piacere. Dovrei riuscire ad avere i soldi per il 20 o giù di lì e non ho alcuna
intenzione di dormire da Sai..Casa sua sembra la tana del lupo.”
Un d’accordo stentato, un coro di risate
e un ciao piccioncini caloroso e Hinata e Naruto uscirono rifocillati e
ritemprati, pronti ad immergersi nuovamente
nella caotica e vivace metropoli cittadina.
“Sai chi era quella, Tsunade?”
Konohamaru si voltò, un’espressione
basita sul volto. La donna che stava beatamente fumando una sigaretta, lo fissò
con sguardo derisorio.
“Hinata Hyuga, prima ballerina all’Opèra.”
“Davvero?” domandò chi non l’aveva
riconosciuta appena entrata.
“In effetti aveva un aspetto costoso…” sussurrò
una ragazza mora in fondo.
“Hai visto la borsa e gli stivaletti di
pelle?Tutto firmato te lo dico io.” rispose un’altra.
“Se non l’avessi vista mangiare con i
miei occhi, avrei detto che fosse anoressica.”
“Con quel maglione di lana poi sembrava
ancora più magra. Si vedevano le ossa delle spalle.”
“Io credo sia esile di corporatura e poi
fa ginnastica. Ginnastica sai, è quella cosa che si fa per mantenersi in forma
e non diventare piccole balenottere come te.”
Un ringhio sordo e cominciò una piccola
baruffa tra Konohamaru e Moegi.
“Basta voi due!” La voce autoritaria e
scocciata di Tsunade troncò sul nascere quella che presto si sarebbe
trasformata, degenerando, in una disputa generale tra ragazzi e ragazze.
“Si può sapere perché non hai fatto in
modo che si presentasse?Io volevo l’autografo!”
“Idiota!” gli ringhiò contro lei “Non hai
visto che a malapena riusciva a parlare con voi imbecilli?Mocciosi senza
cervello..”sibilò in loro direzione “Sareste capaci di tutto per far soldi
eh?Anche a spese di una ragazza qualunque..” e spense con uno scatto rabbioso
la sigaretta appena finita sul bancone di legno.
A quelle secche accuse Konohamaru non
incassò la testa tra le spalle come gli altri, ma la alzò orgogliosamente.
“Ragazza qualunque?” ribatté “Quella è
piena di soldi!Non sa neanche cosa siano i problemi!Vive in un attico supermoderno,
circondata di domestici!”
“Stupido idiota, credi che i soldi siano
felicità?”
“No, ma..”
“L’hai guardata in faccia?Ti sembrava
felice, spensierata, senza problemi?”lo scimmiottò, crudelmente ironica e
sarcastica.
“Il mondo dello spettacolo è spietato e
brutale. Probabilmente l’ora trascorsa qui in mezzo a noi, in questa catapecchia,
è stata la più bella della settimana..Come chiameresti una persona che pur di fuggire
dalla sua vita è pronta a trascorrere la sua giornata con un perfetto
sconosciuto?”
“..Naruto sa chi è?” disse infine il
ragazzo, volgendo gli occhi alla porta.
“Certo che lo sa, ma non è allocco come
voialtri. A lui non sono mai interessate queste sciocchezze. L’averla portata
qui significa solo una cosa.”
Moegi, sempre la prima a capire i
discorsi della donna sgranò gli occhi. “Gli piace?” chiese contenta.
“Cosa!?A Naruto piace quello stecchino?Ma
se non sapeva neanche cosa fosse il ramen!”
La ragazzina gonfiò le guance
indispettita, mentre i capelli le volavano intorno come dotati di vita propria.
“Sei un caprone quando vuoi!Che ti importa del cibo?Ciò che conta è che lo
faccia felice. Sono così belli insieme..”concluse sognante
“Sarà..Speriamo soltanto che questa
storia finisca bene..”
“Ho un buon presentimento al riguardo.”
Alle parole di Tsunade, tutti nella sala
tirarono unanimemente un sospiro di sollievo. Si fidavano ciecamente del giudizio
della donna. Sembrava quasi avere un sesto senso per quelle cose.
Si, sarebbe andata bene e quei due forse
si sarebbero aiutati a vicenda..
"Un
tale amore non lo si compra, non lo si merita.
E’
pura sorpresa."
Godfried
Danneels
Il temporale era cessato e le nubi,
spazzate da un venticello fresco, stavano rapidamente sgombrando il cielo. Il
sole intanto asciugava con i suoi raggi la terra umida. I fiori, ancora
stillanti pioggia, erano diventati più lucenti e pareva che un invisibile
pennello ne avesse reso i colori più nitidi e smaglianti.
Anche le foglie sembravano d’argento
nella luce del sole.
L’uno di fianco all’altra, Naruto e
Hinata erano tranquillamente seduti sugli scomodi sedili della metropolitana.
Prossima meta la Cattedrale
di Notre-Dame.
Hinata era impaziente di visitarla, di
vedere con i suoi occhi lo sfondo della famose vicende di Quasimodo e della
bella Esmeralda.. Dopotutto lei stessa l’aveva interpretata.
Indossati nuovamente gli occhiali, basco
ben premuto sulla testa, si era legata i capelli in un contorto chignon
mantenendolo con uno dei pennelli di Naruto.
Naruto.. Strinse forte la mani a pugno
contro la stoffa dei pantaloni, osservandolo con la coda dell’occhio. Aveva un
profilo regale, si disse e uno spirito energico e agguerrito come quelli dei cavalieri e degli eroi delle antiche
leggende.
Ed era bello. Non un’illusoria bellezza, mera
apparenza o avvenenza fisica, ma un fascino che oltrepassava l’esteriorità, un
incanto che proveniva dal cuore, dal suo animo leale e puro, sincero e onesto.
Era così diverso dagli uomini che conosceva..Così straordinario nella sua
semplice normalità.
Sarebbe potuto passare senza problemi per
il principe azzurro delle fiabe della Disney con quei capelli del colore del
grano maturo, gli occhi celesti e la scintillante armatura.
Spostò lo sguardo verso il finestrino,
temendo di essere colta in fallo.
Lo conosceva da appena qualche ora e già
si sentiva profondamente legata a quell’uomo.
Cosa sapeva di lui?Il nome e che gli
piaceva mangiare il ramen. Davvero poco, eppure tanto di più se paragonato a
quanto conoscesse di persone che lavoravano con lei da una vita.
Ma.. essere a conoscenza di quelle cose
cosa comportava?Non erano più semplici estranei, persone incontratesi per caso
e mai riviste. Forse erano conoscenti, amici?
Aveva visto casa sua, il luogo dove era
cresciuto, osservato la sua famiglia. Non erano uniti da legami di sangue
eppure potevano definirsi in altro modo se non in quello?Nella locanda c’era
calore, affetto, una tenerezza e un attaccamento l’uno all’altro che lei non
aveva mai conosciuto.
Sapeva quanto era fortunato Naruto?
Ora ricordava, riusciva a rievocare il
motivo che l’aveva spinta ad abbandonare il Giappone appena diciottenne.
Ufficialmente, per ottenere il consenso e i permessi della famiglia, era stata
la maggiore possibilità di affermarsi, di diventare più facilmente qualcuno in
quel mondo di sete e chiffon, di vestiti firmati e fiori contraffatti a
spingerla fino in Francia, ma la realtà solo lei la conosceva.
Era stata pura e semplice necessità,
l’esigenza di essere libera, il bisogno di dover dare conto delle sue azioni
solo a se stessa, il desiderio di vivere e di conoscere quei sentimenti di
tenerezza e calore che erano mancati nella sua vita nella capitale nipponica,
così profondamente ancorata al culto delle tradizioni di famiglia e per nulla
interessata ai suoi desideri. Amicizia, amore, poco importava, lei era venuta
lì per quello.
Per amare ed essere riamata e per offrire
questi suoi sentimenti in un reciproco dono.
Voleva piangere e ridere insieme al
pubblico, ballare fino a sentire i piedi diventare insensibili al dolore,
dimenticare se stessa, perdersi nelle espressioni della gente e riconoscersi
negli occhi trasparenti e lucidi come specchi di ognuno, saltare da una mente
all’altra con le ali alle gambe, volare fino a innalzarsi oltre il cielo,
toccare la luna e poi lanciarsi verso la terra.
La fama..Come aveva potuto ridurre le sue
aspirazioni a quelle mire così misere, quelle brame e cupidigie così estranee
al suo essere?A ventiquattro anni aveva raggiunto traguardi mai desiderati,
obiettivi mai ricercati.
Quel giornalista aveva ragione..Dov’era
finita la ragazza di sei anni fa?Come aveva potuto guastare i fini puri e
disinteressati di quella adorabile ninfa?
Gli eventi l’avevano indurita così
tanto?Aveva rinunciato al suo cuore e a se stessa così facilmente?Come aveva
potuto essere così autodistruttiva?
Il labbro inferiore tremò leggermente e
lei si affrettò a portare la mano alla bocca per nascondere quel debole
tremolio.
“Sai…” bastava così poco a
tranquillizzarla?Solo la sua calda presenza vicino a sé e la sua voce garbata?
“Tsunade tanti anni fa era una grande
cantante dell’Opèra..Non starò a qui a spiegarti nei particolari gli eventi, ma
al culmine della sua carriera è cominciato contemporaneamente il suo lento
declino.
Quel mondo non faceva per lei
semplicemente; veniva messa continuamente sotto pressione e Tsunade così
decisa, forte e anticonformista era vista con occhio ancora più severo. In
seguito alla morte del fratello minore e del fidanzato, nello stesso incidente
dei miei genitori, ha cominciato a cercare di dimenticare e soffocare il dolore
nell’alcool e nel fumo. Le conseguenze puoi immaginarle..E’ stata estromessa
dal Teatro e le sigarette le hanno rovinato i polmoni. Ora si diverte
limitandosi a strillare contro di noi, ma a me ha raccontato che anche avesse
la possibilità di tornare indietro, rifarebbe esattamente le stesse cose e che
la felicità l’ha raggiunta occupandosi di noi. Dice che siamo la migliore marca
di sigarette in circolazione..” rise e Hinata, gli occhi lucidi, sentì la scia
delle lacrime sul volto e il sapore salato sulle labbra.
“La fama non è tutto…” sobbalzò
leggermente e Naruto le strinse la mano, una presa delicata e al tempo stesso
forte.
La
fama non è tutto..
Poco più tardi, di fronte all’imponente
costruzione della Cattedrale, Hinata chiuse gli occhi e si lasciò andare. Il
sole calava all’orizzonte, diffondendo strisce rosa e arancioni nel cielo
azzurro chiaro, trapuntato di pagliuzze d’oro donando riflessi aurei alla
pietra della Chiesa.
Un vento improvviso scosse le piante ai
lati della piazza, sollevando piccoli granelli di polvere in vorticosi
mulinelli. All’orizzonte, proprio nel punto in cui il sole stava per scomparire
nel suo letto rosso, tra il rosa e l’oro, era visibile una piccola nube color
del piombo che si muoveva rapida, come spinta da un vento turbinoso.
Quell’ombra era Hinata. A piedi scalzi, i
lunghi capelli sciolti intorno a sé, ballava con tutta l’anima e la passione
che aveva, senza pensare e seguendo note lontane, completamente illuminata dai
riverberi e dai bagliori dell’arcobaleno.
La compagnia di zingari dall’angolo della
piazza si avvicinò e la melodiosa musica di un violino si fece strada nel cuore
dei presenti.
Latte e miele la sua pelle, come una
ninfa dei boschi qual era, Hinata giocò il suo incantesimo quando al silenzioso
e muto richiamo di Naruto risposero voltandosi ed incontrandolo due occhi
grigi, brillanti e lucenti come gemme, raggianti e gioiosi di quel luccichio
ritrovato dopo troppo tempo che era mancato.
In quel preciso istante il pittore
fallito seppe di aver trovato quello che cercava da anni e il suo cuore
ricominciò a battere, mentre un sorriso autentico gli aleggiava sul volto.
Scacco matto per il destino.
E in quel momento Hinata capì quello che
aveva sempre saputo, ma cercato di dimenticare.
C’era qualcosa di più importante della
fama. Per esempio un paio di occhi azzurri e il sorriso di una bambina.
Balla, balla mia Esmeralda e non smettere
più, perché solo danzando come fai adesso con il cuore, realizzerai il tuo
sogno e raggiungerai la vera felicità..
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