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I passi dell’agente speciale Fox
Mulder risuonarono svelti tra le pareti ingombre di schedari polverosi, e
scatoloni dimenticati da secoli, del seminterrato dove si trovava la sezione
denominata X Files.
Fuori, era una giornata
insolitamente calda e afosa per essere aprile e la posizione al di sotto del
livello della strada dell’ufficio, con poche finestre che non permettevano al
calore di entrare, rappresentava un sollievo per chi vi accedeva.
Mulder varcò la porta aperta,
degnando appena di uno sguardo la targhetta con inciso il suo nome, si allentò
la cravatta e gettò il soprabito sullo schienale di una sedia.
“Buongiorno!”. La voce della sua
collega, l’agente speciale Dana Scully, lo raggiunse dalla stanza adiacente.
Era appoggiata al bancone della
piccola cucina, e stava sorseggiando una bevanda fumante da una tazza con
inciso il disegno di un alieno verdognolo, con grandi e felini occhi gialli,
che sorseggiava una birra.
L’aveva comprata l’agente Mulder
poche settimane prima. Dopo l’incendio che era scoppiato nell’ufficio alcuni
mesi prima, stava cercando di far ritornare l’ambiente come l’aveva concepito
agli inizi. La parete dietro la scrivania era desolatamente menomata senza il
suo caro e vecchio poster con la foto di un UFO e la scritta “I WANT TO
BELIEVE”. Non avendo ancora avuto tempo di recarsi in M Street per ricomprarlo -non
era nemmeno più sicuro che il negozietto di cianfrusaglie ci fosse ancora-
aveva ripiegato con la tazza e varie foto di UFO, più o meno fasulle, appese
qua e là.
“Caffè?” gli chiese Scully,
posando la sua tazza e indicando la caraffa contenente un liquido scuro “L’ho
appena fatto”.
“Grazie” rispose Mulder
dirigendosi verso di lei e prendendo dalle sue mani una tazza anonima e
fumante.
“Wow!” esclamò dopo averne
ingerito una sorsata, portandosi la mano alle labbra, “E’ bollente!
Effettivamente, ci voleva proprio vista la temperatura glaciale che c’è qui
dentro!” alludendo ironicamente alla differenza di temperatura con l’esterno.
Scully sorrise alla battuta e si
diresse alla scrivania, dove prese in mano una cartella medica.
“Ho i risultati dell’autopsia sul
cadavere di quella signora del Delaware…” iniziò, sventolando i fogli in
direzione di Mulder.
Lui la raggiunse, ma quando
Scully aprì la bocca per iniziare a spiegare cos’aveva scoperto, l’acuto
squillo del telefono la interruppe.
Mulder si allungò oltre la
collega e alzò la cornetta.
“Mulder” disse in tono
professionale.
Scully lo osservò mentre
ascoltava attentamente e annuiva distrattamente alle parole dell’interlocutore
all’altro capo del telefono.
“Si. Arriviamo” aggiunse prima di
chiudere la comunicazione.
“Chi era?” chiese Scully,
appoggiando la cartella medica sulla scrivania.
“Skinner.
Ci vuole nel suo ufficio tra cinque minuti”.
“Ha detto perché?” chiese seria
seguendolo fuori dall’ufficio, ma poi aggiunse in tono ironico, “Cos’hai
combinato stavolta?”.
Lui si voltò verso di lei
sorridendole, “Purtroppo niente! Non so cosa voglia di preciso Ha accennato ad
un caso della Crimini Violenti”.
Incuriosita, suo malgrado, Scully
salì in ascensore e si incamminò a fianco del collega verso l’ufficio del vice
direttore Skinner.
La segretaria, appena li vide, li
invitò ad entrare, “Prego, il vicedirettore vi aspetta”.
Skinner
era in piedi, all’estremità del tavolo utilizzato per le riunioni, al suo
fianco si trovavano l’agente Diana Fowley e altri due
uomini, dall’aria rigida e formale, che, Mulder e Scully, dedussero essere
altri agenti dell’FBI, anche se non li conoscevano.
Stavano consultando alcune carte,
ma quando li sentirono entrare alzarono la testa.
Skinner
fece loro segno di accomodarsi.
Scully notò che l’agente Fowley fece un cenno di saluto rivolto solamente a Mulder.
Non le era mai piaciuta, l’aveva
sempre trovata una persona estremamente ambigua e più di una volta aveva avuto
ragione a diffidare di lei. Eppure non era mai riuscita a far capire a Mulder
che non meritava la loro fiducia. Evidentemente, la loro precedente relazione,
giocava un ruolo fondamentale nella scelta di credere che fosse dalla loro
parte.
Soffocò un moto di stizza nei
suoi confronti e si accomodò. Al tavolo erano già seduti altri quattro agenti,
due uomini e due donne, che Mulder e Scully conoscevano di vista. Si scambiarono
alcuni educati cenni di saluto.
“Bene” esordì Skinner,
guardando gli astanti per assicurasi di avere la loro attenzione, “ora che
siete arrivati tutti possiamo cominciare”.
La curiosità si leggeva
chiaramente nei volti dei presenti,il
silenzio regnava nell’ufficio, e l’aria era densa d’aspettativa.
“Siete stati convocati qui su
richiesta della CV del distaccamento di New York. Stanno seguendo un caso da
diversi anni, che coinvolge svariati stati degli USA, e, finalmente, sembra
arrivato il momento di una svolta nell’indagine, che potrebbe portare
all’arresto di due serial killer”. Skinner buttò sul
tavolo alcune fotografie, che gli agenti seduti si affrettarono ad osservare.
Mulder avvicinò due foto a sé, in
modo che le vedesse anche Scully.
Una foto ritraeva un uomo.
Dimostrava circa 40 anni, aveva i capelli radi e brizzolati, la carnagione
olivastra e gli occhi grigi. Il naso era adunco e leggermente storto, difetto
causato probabilmente da numerose fratture, e la bocca era sottile e tesa in
una linea diritta. Era un uomo dai tratti comuni e dall’espressione pacifica,
che avrebbe potuto passare facilmente inosservato.
L’altra foto, invece, ritraeva
una ragazza di circa 30 anni, o poco più, di una bellezza ipnotica. Una cascata
di capelli biodo caramello incorniciava un viso a forma di cuore. La pelle,
perfettamente liscia e senza imperfezioni, era piuttosto chiara, gli occhi
erano grandi e molto espressivi, di un intrigante azzurro ghiaccio e le labbra
erano rosse e carnose.
Mulder e Scully si guardarono. Tra
loro intercorse una breve e silenziosa conversazione riguardante le foto che
avevano appena osservato.
Lavoravano assieme da sei anni e
per loro era naturale interrogarsi su un caso senza porre troppe domande, senza
esporre troppi dubbi, riuscivano a capirsi anche attraverso un’occhiata.
“Sono Ronald Fresty,
39 anni, e sua moglie Annebeth, 32 anni, cognome da
nubile Stroth” proseguì Skinner,
“Si sono conosciuti e sposati a Las Vegas 5 anni fa e, dopo poco più di un
anno, hanno iniziato ad uccidere”. Fece una pausa ad effetto.
“Sono due individui estremamente
pericolosi, in quanto psicologicamente instabili. Il loro aspetto , comune nel
caso di lui, e molto attraente nel caso di lei, può trarre in inganno e li
aiuta ad adescare le ignare vittime della loro follia.
Ronald Fresty
è nato e cresciuto a Ulysses, nel Kansas. I suoi
genitori erano due persone poco responsabili, per usare un eufemismo, che non
si sono occupate molto dei 4 figli. Fresty ha
iniziato ad avere problemi con la giustizia all’età di 14 anni, quando ha
massacro con una mazza da baseball il cane del vicino di casa, per
divertimento. Dopodiché ha passato l’adolescenza dentro e fuori dai
riformatori, che hanno peggiorato la sua già instabile e violenta psiche. Negli
anni successivi ha commesso una serie di furti da poco, e aggressioni senza
troppi danni alle vittime, ma non è mai rimasto in carcere per più di tre o
quattro mesi, grazie anche alle perizie psichiatriche che attestavano la sua
scarsa capacità di intendere e volere.
Annebeth
è nata a Winston, ma è cresciuta a Salem, entrambe cittadine dello stato di
Washington. E’ stata cresciuta dalla madre, il padre non l’ha mai conosciuto.
Il suo aspetto gradevole l’ha resa celebre tra i maschi, con i quali ha
cominciato a frequentarsi all’età di 15 o 16 anni. Le sue storie duravano poco,
perché i suoi compagni si lamentavano del suo sadismo e della sua violenza
nelle situazioni intime”.
“Mmm!
Una da conoscere insomma!” esclamò Mulder, con grande disappunto di Skinner, che gli scoccò un’occhiataccia, e di Scully che
gli rifilò una gomitata sulle costole. Gli altri agenti seduti al tavolo si
limitarono ad osservarsi con sguardi rassegnati, che sottintendevano frasi
tipo: cosa ti potevi aspettare dallo
Spettrale Mulder?
Scully notò che l’agente Fowley, invece, aveva abbassato il capo per nascondere le
labbra tese in un sorriso. Questo gesto la infastidì molto, ma non comprese
perché, così distolse lo sguardo e riprese ad ascoltare la spiegazione.
“A 24 anni” proseguì Skinner “finì in manicomio, dopo aver dato di matto in un
supermercato solo perché era stata urtata dal carrello di una signora, mentre
era in fila alla cassa. Rimase in cura per due anni, poi fu riabilitata con il
parere favorevole dei medici che l’avevano in cura.”
Skinner
si interruppe e rovistò tra alcune carte.
“L’agente Finnigan
e l’agente McErny” e indicò con un gesto della mano i
due uomini accanto a lui, “mi hanno sottoposto il caso, chiedendo un aiuto per
riuscire ad incastrarli. Prego” disse poi ai due agenti, invitandoli a prendere
la parola.
Quello che si chiamava Finnigan, un uomo alto e allampanato, con la pelle delle
guance scavata e butterata, ringraziò il
vicedirettore e iniziò a sparpagliare per il tavolo una serie di fotografie e
di documenti.
Mulder si sporse per vedere che
cosa mostravano le istantanee. Alcune gocce di sudore freddo gli scivolarono
lungo la schiena appena lo vide.
I soggetti degli scatti erano cadaveri.
Le vittime dei coniugi Fresty.
Allungò una mano verso il cumulo
di fotografie e ne avvicinò una manciata a sé e alla collega.
La conoscenza in campo medico
dell’agente Scully, la portò ad esaminare i corpi macabramente immortalati con
competenza scientifica ed un certo distacco professionale.
Alcune foto ritraevano donne legate
ad un letto, non era chiaro se erano nude o se indossavano una veste strappata,
perché erano completamente ricoperte di
sangue. Ad alcune mancavano parti del corpo, asportate, dedusse Scully, in
maniera sommaria e senza alcun metodo. Ad altre erano stati strappati quasi
tutti i capelli e, dalla concentrazione di sangue rappreso nella zona intima,
Scully comprese che l’assassino si era focalizzato nello straziarle i genitali.
La quantità di sangue che le ricopriva poteva essere causata, oltre che dalle ferite
più evidenti, da altre lacerazioni interne e/o esterne.
Altre foto ritraevano uomini
nudi, legati per le braccia ad una corda che pendeva da una trave del soffitto,
evirati o sfregiati in volto in modo da essere quasi senza faccia. In alcuni si
notava uno spazio vuoto e buio nelle cavità oculari. Anche loro erano coperti
da laghi di sangue.
Altre foto ancora, mostravano i
pezzi staccati dai corpi -braccia, gambe, occhi, capelli- buttati casualmente
sul pavimento. Accanto ai macabri resti c’era sempre un talloncino bianco,
recante un numero di identificazione, nonché alcuni segni bianchi fatti
colgesso.
Scully allontanò le foto da sé,
in modo da permettere anche agli altri agenti seduti al tavolo di osservarle
con attenzione, e prese le cartelle mediche delle autopsie.
Diede loro una rapida occhiata,
voltando svelta le pagine e soffermandosi a leggere più attentamente alcuni
passaggi. Come aveva già dedotto dall’esame delle fotografie, i corpi portavano
segni di lesioni interne, come ossa e costole rotte, polmoni perforati, milze
spappolate, e, nel caso di alcune donne, uteri e cervici dilaniate, e di
ulteriori ferite esterne, come tagli ed ecchimosi causate da violente percosse.
Mulder, che stava esaminando i
risultati delle autopsie da sopra la spalla della collega, si abbandonò sullo
schienale della sedia, incrociando le braccia sul petto e dando,
involontariamente, un’altra rapida occhiata alle raccapriccianti fotografie.
Scully si girò a guardarlo. Erano
senza ombra di dubbio davanti a due pazzi assassini, crudeli e disumani, che
amavano torturare le loro vittime con estremo sadismo e con una certa
predilezione per infliggere tormenti a sfondo sessuale.
Mulder lesse negli occhi della
collega il tipico distacco professionale, indispensabile per affrontare, con competenza
e obbiettività, i casi ai quali venivano assegnati. Ma sapeva perfettamente che,
dietro l’apparente freddezza, si celava l’inquietudine dovuta all’inaccettabile
idea che al mondo esistessero persone capaci di tali atrocità. Si celavano,
inoltre, l’amarezza derivante dalla consapevolezza di non poter impedire a
quelle barbarie di compiersi, e il disgusto verso se stessi, perché appartenevano
alla stessa specie di quei mostri: la specie umana.
Mulder sapeva cosa Scully stava
provando, perché la conosceva bene, i suoi occhi non lo potevano ingannare, e
perché anche lui avvertiva lo stesso angosciante disagio.
Scully si voltò verso l’agente Finnigan, quando sentì la sua voce squillante risuonare
nell’ufficio, e ascoltò attentamente quello che stava per dire.
“Come avete avuto modo di vedere
dalle fotografie e dagli esami autoptici, ci troviamo di fronte a due bestie
senza cuore, ma estremamente furbe e organizzate.
Nelle scene del delitto vengono
sempre ritrovati due corpi, solitamente di un uomo e di una donna, in un caso sono
state ritrovate due donne”. Finnigan trasse a sé due
foto e le tenne ferme con le dita.
“Kathleen Gud
e Patrick Herk, sposati da 3 anni”. Indicò altre due
foto, “Gerald Street e ColeenJoph,
sposati da 7 anni” e proseguì, indicando man mano coppie di fotografie delle
vittime, che risultavano tutte legate da rapporti di tipo amoroso: sposate,
fidanzate o, come nel caso della coppia lesbica, formata da Jane Dawson e Mary
Colletto, conviventi.
“Sappiamo per certo che gli
assassini sono i coniugi Fresty” proseguì l’agente Finnigan, “perché due volte abbiamo avuto la fortuna, se
così la vogliamo chiamare, di trovare le vittime ancora in vita.
Si tratta del signor O’Donnell, la cui moglie è stata barbaramente torturata e
uccisa davanti ai suoi occhi” e mentre lo diceva indicò una delle fotografie
sul tavolo “ e della signora Rafferty che ha invece
dovuto assistere alle pene del marito” e indicò un’altra foto.
“Grazie alle loro testimonianze
abbiamo potuto ricavare l’identikit dei due assassini, che ci è stato
estremamente utile per individuare la sadica coppia di coniugi, e del loro
modus operandi, anche se, visti gli spettacoli raccapriccianti che ci
attendevano su ogni scena del delitto, non avevamo dubbi sulla brutalità dei
loro metodi, ma ci hanno fornito interessanti indizi sul loro profilo
psicologico.
Secondo O’Donnell
e Rafferty, i Fresty amano
obbligare una delle due vittime ad assistere alla lenta e insopportabile
crudeltà inflitta all’altro, e, visto che le vittime sono tutte legate da
rapporti amorosi, oltre che dallatortura fisica, notiamo come siano anche attratti dalla tortura
psicologica.
Purtroppo, i due testimoni sono
morti, in ospedale, pochi giorni dopo, per complicazioni dovute alle troppe
ferite riportate.
Ovviamente, dopo le loro
testimonianze, è scattata la caccia all’uomo, ma i Fresty,
come vi accennavo prima, non sono degli sprovveduti. Si spostano spesso lungo
tutto il territorio degli Stati Uniti, e quando abbiamo la fortuna di
individuare un loro probabile nascondiglio, potete star certi che l’hanno già
abbandonato da un pezzo.
L’altra complicazione riguarda il
fatto che, nei luoghi dei delitti e sulle vittime, non è mai stato ritrovato
nessun indizio che indichi la loro presenza. Né un capello, né un’impronta, né alcun
tipo di residuo organico, sudore o quant’altro, che provi che loro erano lì con
le vittime.
Se anche riuscissimo a catturarli, verrebbero
scagionati e rilasciati poco dopo per mancanza di prove”.
Mulder fece una smorfia e si
poggiò con i gomiti al tavolo.
“Mi scusi,” disse cortesemente
l’agente seduta di fronte a lui “Dove vengono ritrovate le vittime?”.
“Lei è l’agente…?” chiese Finnigan.
“Agente speciale Monroe, signore”
rispose lei.
“Agente Monroe. I corpi delle
vittime vengono sempre ritrovati in vecchi edifici abbandonati, talvolta
pericolanti e in procinto di essere abbattuti, che si trovano nelle città che
prendono di mira. Spesso i cadaveri sono stati scoperti proprio grazie ad
alcuni operai, giunti sul luogo per fare rilievi, in vista delle demolizioni,
altre volte sono stati segnalati da alcuni ragazzi che usavano i fabbricati per
fumare erba, lontano da occhi indiscreti.
Ah, dimenticavo”, aggiunse poi
rivolgendosi a tutti, “la frequenza degli omicidi è piuttosto irregolare e
dipende molto dalla loro possibilità di spostarsi da un luogo ad un altro. Sono
molto attenti a non ripetere mai gli omicidi nella stessa città”.
Scully si mosse sulla sedia, e
Mulder intuì che aveva una domanda da porre.
Infatti alzò leggermente la mano,
come per chiedere il permesso di prendere la parola.
“Scusi agente Finnigan,
avete scoperto, se c’è, qual è il movente di questi omicidi?”.
“Ottima domanda agente Scully…
lei è l’agente Scully, vero?”, Scully fece un rapido cenno d’assenso con la
testa, perplessa.
“Mi ricordo di lei all’accademia
di Quantico”, rispose l’agente Finnigan con un
sorriso, che lo fece apparire ancora più emaciato.
“Per rispondere alla sua domanda…
sì, abbiamo scoperto perché lo fanno, a parte per un loro divertimento
personale. Grazie alle testimonianze di O’Donnell e Rafferty, siamo arrivati alla conclusione che i coniugi Fresty hanno sviluppato la malata convinzione di essere
l’unica coppia al mondo ad amarsi. Catturano coppie sposate, fidanzate o
conviventi per sottoporle ad un sadico test atto ad accertarne la sincerità dei
sentimenti… fino ad oggi, evidentemente, non si sono ancora imbattuti in coppie
che si amino abbastanza. Almeno per i loro standard…”.
Nell’ufficio del vicedirettore Skinner calò il silenzio.
La notizia della motivazione che
spingeva i Fresty a commettere i barbari omicidi si
stava sedimentando, anche se a fatica, nelle menti analitiche degli agenti,
mandando brividi di repulsione lungo le loro spine dorsali.
L’agente Finnigan
radunò le foto e le cartelle mediche delle autopsie, poi riprese a parlare guardandoli.
“Due giorni fa, la telecamera di
sicurezza di una banca di New York , ha inquadrato i coniugi Fresty mentre passeggiavano lungo la strada”.
L’attenzione introno al tavolo si
fece quasi palpabile. Scully notò che l’agente Fowley
continuava a fissare, senza nessun apparente motivo, Mulder, che, però, era
troppo concentrato sulle parole dell’agente Finnigan
per accorgersene.
“Ci si presenta una situazione
perfetta per tendere loro una trappola… ed è qui che entrate in scena voi” e
mentre lo diceva, fece un ampio gesto con la mano, che comprendeva tutti gli
astanti.
Poi si fece da parte e prese la
parola l’agente McErny. Era un uomo molto muscoloso,
con barba e folti baffi che gli conferivano un aspetto sinistro. Gli occhi
erano piccoli e neri e osservavano tutti con la massima attenzione. La sua voce risuonò bassa e profonda, con un
accento leggermente cantilenante.
“In queste buste”, e prese a
distribuire tre buste giallo sbiadito ad ogni coppia di colleghi seduta al tavolo,
“troverete quanto vi occorrerà per infiltrarvi nell’operazione che abbiamo
studiato per arrestare i Fresty. Perché è questo
quello che vi chiediamo di fare. Infiltrarvi”.
Mulder prese la cartellina e se
la rigirò tra le mani. Scully lo guardò e tra di loro passò un’altra muta
conversazione.
“Sappiamo per certo”, proseguì McErny, “che i Fresty amano
adescare le loro vittime in luoghi pubblici, dove possono destare meno sospetto
se intrattengono conversazioni con altre coppie. In particolar modo prediligono
le feste di beneficenza, dove è facile infiltrarsi anche senza avere inviti
scritti.
Abbiamo fatto in modo di
organizzare un party di beneficenza per questo sabato, all’hotel Waldorf Astoria di New York.
Sarà un ricevimento in grande
stile, pieno di invitati. Daremo l’impressione che ci siano ospiti di un
elevato livello sociale, in modo da avvalorare la finzione che si stiano
raccogliendo soldi per aiutare i bambini dell’Africa, rimasti orfani per colpa
dell’AIDS.
Stiamo facendo in modo che la festa
sia estremamente pubblicizzata, in modo da attirare l’attenzione dei Fresty. Contiamo sul fatto che -visto che sono alcuni mesi
che non uccidono- vengano attratti dalla prospettiva di incontrare nuove coppie
da sottoporre al loro sadico test.
Per questo abbiamo convocato
voi”, e si interruppe lanciando uno sguardo eloquente verso gli agenti che lo
stavano ascoltando con estremo interesse, “perché voi lavorate insieme da un
bel po’ di anni, di conseguenza avete il giusto grado di intesa per poter
interpretare la parte della coppia di innamorati”.
Ogni agente si voltò verso il
proprio partner, scoccandogli un sorrisetto ironico.
Scully non rispose al tentativo
di sdrammatizzare di Mulder, era troppo concentrata a capire i particolari di
quello che veniva loro chiesto di fare per perdersi in stupide allusioni
sull’intensità del loro rapporto di lavoro.
“Dovrete fare in modo di attirare
la loro attenzione, lasciarvi avvicinare, parlare con loro. Se l’operazione
andrà a buon fine, vi farete rapire e portare nel luogo scelto per le torture,
dove noi arriveremo e li coglieremo in flagranza di reato. In questo modo li
assicureremo alla giustizia fino alla fine dei loro giorni”.
Notando una certa agitazione al
tavolo, e deducendo che i presenti volessero altri dettagli sull’operazione,
alzò le mani davanti al petto e fece loro segno di calmarsi.
“Tra due giorni ci ritroveremo di
nuovo qui e vi metteremo al corrente di ogni dettaglio. Nel frattempo, vi prego
di studiare attentamente il materiale che si trova dentro le vostre buste. Ci
sono i documenti della vostra falsa identità, le fedi nuziali, e quant’altro vi
possa servire… compreso un dettagliato riassunto della vostra storia d’amore…”
concluse con un sorriso ironico.
Una risatina attraversò il
tavolo.
Il vicedirettore Skinner disse che potevano andare e ricordò loro la
riunione fissata per due giorni dopo.
Ci fu un grattare di sedie che
venivano spostate e un chiacchiericcio sommesso.
“Mi raccomando” aggiunse l’agente
Finnigan, “dovrete essere convincenti se vorrete
attirare l’attenzione dei Fresty!”.
“Non si preoccupi!” disse Mulder,
ormai sulla soglia dell’ufficio di Skinner, mettendo
un braccio attorno alle spalle di Scully, “Siamo abituati ad essere sposati. Vero,
cara?” aggiunse rivolto a lei, riferendosi a quel recente caso che avevano
seguito nella comunità di Arcadia.
Lei si tolse il braccio dalle
spalle e lo guardò con aria esasperata e ammonitrice, ma gongolando
silenziosamente per l’espressione stupita e un po’ infastidita che aveva visto aleggiare
sulla faccia dell’agente Fowley, alle parole di
Mulder.
Mentre si incamminavano lungo il
corridoio, lui aprì la busta ed estrasse i documenti.
“Dunque” disse, mentre seguiva
Scully dentro l’ascensore, “Ci chiamiamo Peter Clabert
e…”, aprì l’altro documento, “JanetteBades… potevano fare di meglio… ma non mi dispiace il nome
Peter. Mi ricorda il tipo scemo dei Ghostbusters!”.
Scully sorrise leggermente mentre
spingeva il pulsante per scendere nel seminterrato.
“E queste”, continuò Mulder,
rovistando ancora nella busta, “sono le fedi nuziali”. Aprì la scatolina che
rivelò una coppia di anelli in oro bianco, semplici e sottili.
Scully non le degnò di uno
sguardo.
Quando le porte si aprirono al
piano degli X Files, fece per uscire e dirigersi
verso l’ufficio, ma Mulder la bloccò posandole una mano sul braccio.
“Aspetta!” esclamò, facendola
girare verso di sé.
“Cosa c’è?” chiese Scully non
capendo perché l’aveva fatta fermare con un piede dentro l’ascensore e l’altro
nel corridoio.
Mulder non rispose, ma le afferrò
la mano sinistra, con un sorrisetto ironico e malizioso stampato sulle labbra,
e le infilò l’anello al dito, canticchiando la marcia nuziale.
Scully lo guardò con
un’espressione in viso a metà tra il divertito e l’esasperato.
“Dì la verità”, gli disse dopo che
le ebbe lasciato andare la mano, “quanto ti stai divertendo?”.
“Abbastanza mogliettina mia!”
rispose Mulder, osservandola divertito, indugiando con lo sguardo sul dito con
l’anello.
Lei scosse la testa, ma non poté
impedirsi di sorridere a sua volta, mentre si sfilava l’anello.
Rigirandoselo tra le dita si
voltò e si incamminò lungo il corridoio.
“Da quanto ti sopporto?” chiese
Mulder estraendo altri fogli dalla busta, mentre entravano nell’ufficio.
Scorse rapidamente alcune pagine
fitte di scritte, Scully attendeva appoggiata alla scrivania.
“Ecco qua!” esclamò dopo qualche
secondo, “Stiamo insieme da quasi 3 anni, e siamo convolati a nozze circa 6
mesi fa… esattamente il… “, continuò a leggere velocemente il foglio, “Si…
esattamente il 9 settembre dell’anno scorso” concluse alzando la testa per
guardarla.
Lei lo stava fissando con
un’espressione divertita.
“C’è dell’altro?”
“Oh si!” rispose subito Mulder
“ci sono pagine e pagine di aneddoti piccanti e divertenti sulla nostra storia
d’amore che dovremmo imparare a memoria!”.
Lesse per qualche altro istante,
sorridendo di quando in quando.
“Sai”, disse alla fine piegando i
fogli, “potrei anche abituarmi a farmi lavare le mutande!”.
Scully alzò gli occhi al cielo e
si sedette alla scrivania.
“Avanti! Dammi qua! Che ci
mettiamo a studiare il caso… seriamente!” e lo ammonì con lo sguardo.
Mulder si sedette dall’altra
parte della scrivania, le braccia incrociate dietro la nuca.
La porta dell’ufficio del
vicedirettore Walter Skinner si aprì e Mulder e
Scully, assieme agli altri quattro agenti assegnati all’operazione, ne uscirono
con alcune carte in mano.
La seconda riunione era durata un
paio d’ore abbondanti, ma erano servite per apprendere fino in fondo i dettagli
dell’intera azione.
I sei agenti che si sarebbero
infiltrati alla festa, nelle vesti di coppie innamorate, avrebbero alloggiato
direttamente al Waldorf Astoria Hotel, in camere
matrimoniali –indispensabili per avvalorare la finzione- dotate di salottino,
comprensivo di divano letto, in modo che i due partner non fossero costretti a
condividere il letto.
Si sarebbero recati all’hotel in
tre diversi orari, durante la mattinata e il primo pomeriggio, del giorno
seguente.
Finnigan
e McErny si raccomandarono di trascorrere il tempo
rimanente prima della festa, restando in camera a ripassare il caso, o, se
proprio volevano uscire, di iniziare fin da subito a recitare la parte della
coppia sposata, per non destare sospetti in caso i Fresty
fossero stati nei paraggi, a studiare la situazione.
Verso le 8.30/9.00 di sera si
sarebbero recati, vestiti in modo formale, al sesto piano dell’hotel, dove
un’enorme sala, dotata di balcone panoramico, sarebbe stata decorata a festa.
Un servizio di camerieri e maitre, sarebbe stato al servizio degli ospiti, e il
buffet e il bar avrebbero offerto leccornie degne di un party d’alto livello.
La sala sarebbe stata costellata
di telecamere a circuito chiuso, mimetizzate nell’ambiente, collegate ad alcuni
monitor, situati in una stanza adiacente, dove l’agente Skinner
e l’agente Fowley avrebbero coordinato, assieme agli
altri agenti preposti al caso, le azioni delle coppie infiltrate. Le telecamere
avrebbero coperto l’intera superficie della sala e della balconata, in modo da
avere la situazione costantemente sotto controllo.
Gli infiltrati avrebbero
indossato sofisticati micro microfoni, con iquali avrebbero ascoltato le direttive di Skinner.
Sperando che i Fresty cadessero nella trappola, la parte più pericolosa
sarebbe toccata agli agenti adescati, che avrebbero dovuto accettare di avere
altri incontri con loro e si sarebbero lasciati rapire. Purtroppo, il
distaccamento di New York non era in possesso di prove sufficienti per
preparare gli infiltrati al rapimento, perché non conosceva per certo il metodo
utilizzato dai criminali, ma l’agente donna avrebbe indossato un paio
d’orecchini in cui sarebbe stato incastrato un rilevatore satellitare, in modo
che i responsabili del caso, assieme a Skinner, Fowley e alle altre due coppie non adescate, fossero stati
in grado di seguire i loro spostamenti.
Mulder aveva ascoltato tutto con
estrema attenzione, lanciando di quando in quando occhiate a Scully, che stava
seguendo la riunione con la medesima concentrazione.
Mano a mano che l’agente McErny aveva proseguito nella spiegazione dell’operazione,
si era sentito sempre più elettrizzato alla prospettiva di fare qualcosa di
concreto per assicurare alla giustizia quei due criminali, ma allo stesso tempo
aveva avvertito una strana inquietudine ogni volta che aveva posato gli occhi
su Scully. Un vago presagio di tragedia si era insinuato in tutto il suo essere
ogni qual volta gli occhi della collega erano guizzati verso i suoi. La
sensazione, ad un certo punto, si era fatta talmente soffocante che aveva avuto
la tentazione di tirarsi fuori dall’operazione, obbligando lei a fare
altrettanto, visto che, almeno in questo caso, erano utili solo se insieme.
Prima di scattare in piedi e
rovesciare la sedia nell’impeto della sua follia, col rischio di far sbattere
fuori sia lui che Scully, aveva smesso di guardarla, e pian piano l’opprimente
angoscia era svanita.
Alla fine della riunione, si
erano diretti verso il loro ufficio nel seminterrato, in silenzio, ognuno
immerso nei propri pensieri.
Scully continuava a sfogliare le
pagine con tutti i dettagli di cui avevano parlato nell’assemblea, sembrava
quasi che stesse ripassando prima di dare un esame orale all’università, mentre
Mulder si guardava i piedi, le mani piantate nelle tasche dei pantaloni,
interrogandosi distrattamente sulla strana ansia che l’aveva colpito prima e
che ora sembrava sparita, come se non fosse mai arrivata ad attanagliarli il
cuore.
Quando arrivarono in ufficio,
Mulder posò i suoi fogli sulla scrivania e si girò verso di lei, aspettandosi
che iniziasse a fare il punto della situazione, invece si stupì di vederla
indossare il cappotto.
Perplesso le chiese dove stava
andando.
Lei gli rivolse un sorriso
ammiccante. “Vado a comprarmi un vestito per domani!” rispose, come se fosse la
cosa più ovvia del mondo. E detto questo imboccò la porta facendogli un segno
di saluto con la mano.
“Ci vediamo domani!” gli urlò
quand’era già nel corridoio.
Mulder, ancora un po’ scioccato
dal repentino congedo di Scully, si sedette alla scrivania, dondolando
pericolosamente con la sedia. Dopo aver rischiato di cadere di schiena almeno
un paio di volte, si mise composto e dette un’occhiata all’orologio.
Sbuffò.
Non gli andava di starsene in
ufficio a studiare l’operazione da solo. Almeno, se Scully fosse stata lì,
avrebbero potuto confrontarsi, decidere insieme alcune strategie, ridere degli
aneddoti sulla loro storia.
Gli piaceva quando Scully rideva,
aveva una risata cristallina che lo ipnotizzava.
Quando ebbe compreso che non
aveva senso stare in ufficio a rigirarsi i pollici senza combinare nulla, e
voglia di prendere in mano qualche X Files in quel
momento non ne aveva - era troppo concentrato sul caso dei coniugi Fresty - decise di andarsene a casa. Avrebbe potuto
ripassare i dettagli dell’operazione anche seduto sul divano.
Stava giusto per alzarsi per
andare a prendere il soprabito, quando l’agente Fowley
bussò alla porta, ed entrò senza aspettare nessun cenno di consenso.
“Ciao Fox…” disse con il suo
solito tono di voce strascicato.
“Ciao Diana!” rispose
allegramente Mulder, senza alzarsi, “Cosa ti porta nei sotterranei? Nostalgia?”
la canzonò.
Diana Fowley
si avvicinò alla sedia su cui era ancora seduto e si appoggiò alla scrivania,
incrociando le braccia sul petto.
“Pronto per l’operazione dei
prossimi giorni?”.
Mulder la osservò attentamente.
“Sei venuta veramente qui solo per chiedermi se sono pronto a fare il mio
lavoro?”, fece una smorfia scettica mentre lo diceva.
“Sei solo?” gli chiese Fowley. Lui fece un rapido cenno affermativo con la testa.
“E’ che sono un po’ preoccupata”
esordì lei, dopo un momento di silenzio, in cui abbassò la testa evitando di
guardarlo, “Prima, in riunione, mi sei sembrato teso, nervoso… e mi sono
interrogata se la scelta del vicedirettore Skinner
sia giusta…”, si interruppe guardandolo.
Mulder aggrottò le sopracciglia.
“Non capisco cosa vuoi dire”, ammise.
Fowley
fece un respiro profondo. “Voglio dire…” proseguì guardandolo negli occhi, “…
che ho l’impressione che nemmeno tu sia molto convinto che l’idea di affidare
il ruolo dell’infiltrata al tuo fianco a Scully sia adeguata. Ho visto come la
guardavi prima, sembrava quasi che avessi paura…”.
Mulder sbarrò gli occhi, sorpreso
e un tantino infastidito. Alzò la mano per bloccare il flusso di parole di Fowley.
“Ferma, ferma, ferma! Vorresti
insinuare che Scully non è all’altezza del compito che le è stato assegnato? E
che io la penserei così?”. Dalle labbra gli uscì uno strano suono, come una
risata amara appena accennata. “Credimi…”, aggiunse, con una nota dura nella
voce, “… sei completamente fuori strada”.
Diana si era accorta,
evidentemente del suo strano stato d’animo di prima, ma era arrivata ad una
conclusione completamente sbagliata. Scully era l’unica persona di cui si
fidava così ciecamente da affidarle la sua vita. Non si sarebbe sentito così al
sicuro con nessun altro, non si era sentito così protetto nemmeno quando stava
con Diana.
Fowley
lo osservò per qualche istante.
“Non mi permetterei mai di
giudicare il lavoro di una collega” disse infine, con un tono di voce dolce e
mieloso, sporgendosi provocatoriamente verso di lui, “pensavo solo che sarebbe
stato meglio se la parte dell’infiltrata l’avessi fatta io… in fondo… la parte
della coppia di amanti dovrebbe venirci naturale” e concluse con una risata
leziosa.
Mulder la fissò immobile,
un’espressione indefinita stampata sul viso.
Il sorriso aleggiò sulle labbra
di Fowley per qualche altro istante, ma, quando
comprese che lui non si sarebbe mosso, né avrebbe commentato l’allusiva
proposta che gli aveva appena fatto, si spense e le sue labbra si imbronciarono
leggermente. Si riappoggiò alla scrivania e incrociò nuovamente le braccia sul petto,
in un gesto insolente.
Mulder si alzò e prese a
camminare per l’ufficio.
“Diana…” iniziò, fermandosi al
centro della stanza. Lei non si mosse e continuò a dargli le spalle.
“Onestamente, io non ti capisco.
E’ vero, abbiamo scoperto gli X Files assieme, in
coppia abbiamo anche lavorato bene, abbiamo avuto una relazione, ma… è stato
anni fa, Diana! Ne è passata di acqua sotto i ponti! Non capisco perché tu
continui a tirare in ballo il passato così di frequente”.
Vedendo che lei rimaneva
immobile, non accennando a rispondere, Mulder proseguì.
“Pensavo di conoscerti, e invece
non ti riconosco più. A volte ho l’impressione che il tuo unico scopo sia
quello di mettermi i bastoni tra le ruote nel mio lavoro, altre volte, invece,
sei collaborativa e disponibile… onestamente non riesco a seguirti!”.
Diana Fowley
non rispose, ma si staccò dalla scrivania e si diresse verso la porta,
passandogli accanto senza guardarlo. “Buona fortuna per domani”, disse
semplicemente, prima di sparire al di là della porta.
Mulder abbassò la testa, fino a
sfiorarsi il petto con il mento e si passò, stancamente, una mano sugli occhi.
Sbuffò sonoramente, sentendosi
vagamente in colpa.
Forse era stato troppo duro con
lei, in fondo erano ancora amici.
Forse non avrebbe dovuto essere così
sgarbato… ma quello che le aveva detto corrispondeva al vero.
Scully aveva cercato innumerevoli
volte di metterlo in guardia nei confronti di Diana, ma lui non l’aveva mai
voluta ascoltare fino in fondo, rifiutandosi ostinatamente di credere che una
persona che era stata così importante nella sua vita, potesse fargli del male
deliberatamente.
Ma, in fondo al suo cervello,
dove la ragione è libera dai condizionamenti del cuore, lui sapeva che le
paranoie di Scully avevano un fondo di verità. Fowley
era ambigua.
Sembrava che fosse sempre alla
ricerca di riallacciare un qualche tipo di rapporto extra lavorativo con lui,
seppure non era più innamorata di lui, e di questo Mulder era certo, com’era
certo che nemmeno lui provava più sentimenti di tipo appassionato nei suoi
confronti.
Eppure non perdeva occasione per
fare allusioni al loro vecchio rapporto, nonché per fargli delle avances più o
meno esplicite.
A volte aveva la netta
impressione che tra lei e Scully corresse una sorta di rivalità, di gelosia, che
però non comprendeva. Sarebbe stata quanto meno ovvia se lui e Scully fossero
stati amanti, ma visto che così non era, non capiva quella tensione palpabile
che permeava le stanze dove erano costrette a sostare insieme per più di due
minuti.
Mulder rimase immobile al centro
della stanza per qualche altro istante, poi scosse la testa, come per
scrollarsi di dosso i pensieri, prese il soprabito e uscì.
Da qualche parte a Washington
Venerdì, ore 5.26 p.m.
“Grazie e arrivederci”, ringraziò
Scully, prendendo il suo sacchetto e rivolgendo un sorriso alla commessa.
Uscì dal negozio, soddisfatta del
suo acquisto, godendosi il sole pomeridiano. Anche quel giorno la temperatura
era mite, infatti il cappotto rimase piegato sul suo braccio.
Stava incamminandosi verso la
metropolitana, quando il suo cellulare squillò nella borsetta.
Spostando cappotto e sacchetto,
tutto su di un braccio, estrasse il telefonino e rispose.
“Scully”, disse cercando di sovrastare
il rumore delle auto che passavano.
“Ti serve un consiglio per il
vestito?”, chiese la voce, leggermente metallica, di Mulder dall’altro capo.
Scully sorrise leggermente. “No,
grazie. L’ho appena comprato” e mentre lo diceva, alzò inconsciamente il
sacchetto, come per mostrarlo a qualcuno.
“Peccato!” disse lui con voce
delusa, “Volevo darti qualche consiglio da intenditore”. Scully fece una
smorfia poco convinta.
“Però…”, proseguì Mulder, “…
potresti venire con me e consigliarmi tu un vestito. Mi sono appena accorto che
il mio vecchio smoking è tutto tarlato!”.
Scully ridacchiò. “Mi trovo sulla
14esima strada. Ti aspetto al bar all’angolo”.
E chiuse la comunicazione.
Waldorf Astoria Hotel
Sabato, ore 1.12 p.m.
Mulder spense il motore
dell’auto, una Ford Taurus grigio metallizzato, data
in dotazione dall’FBI, nel parcheggio sotterraneo dell’hotel.
Uscì dall’abitacolo e aprì il
bagagliaio per prendere le loro valige. Per un momento, osservò accigliato
quella di Scully.
Mentre si assicurava d’aver
chiuso le portiere, le rivolse uno sguardo accusatorio.
“Non è corretto, però!”, le
disse, “Tu hai visto il mio vestito!”.
Scully sorrise. “Non te l’ho mica
chiesto io!”, ribatté astutamente, mentre lo precedeva verso la porta di
servizio, che nascondeva le scale che conducevano alla hall dell’albergo.
Gli tenne aperta la porta,
permettendogli di passare anche se aveva le mani occupate dai bagagli.
Mentre le passava accanto, le
sussurrò un “rompiscatole” vicino
all’orecchio.
Scully ridacchiò divertita.
“Ovvio!”, gli rispose, mentre lo seguiva lungo la scalinata, “Sono tua
moglie!”.
Mulder si voltò a lanciarle
un’occhiata di traverso, e inciampò sull’ultimo gradino, facendo cadere una
delle valige. Scully lo oltrepassò mentre la raccoglieva, trattenendo una
risata di scherno.
“Bè,
almeno non è caduta la mia, altrimenti avrei pensato che l’avevi fatto
apposta!”.
Dopo aver ultimato tutte le
formalità alla reception, Mulder e Scully salirono al dodicesimo piano, quello
della loro stanza, assieme al fattorino con le loro valige.
Il corridoio era estremamente
elegante, la moquette era morbida e pulita, di un tenue azzurro rilassante, le
pareti erano di un bianco candido, con battiscopa neri e lucidi.
Mulder si guardò intorno, mentre
il fattorino apriva loro la porta della stanza numero 462, notando come le
piante, che costeggiavano tutto il corridoio, fossero rigogliose e vitali, e si
chiese distrattamente come mai lui non era mai riuscito a farne sopravvivere
una per più di qualche giorno.
Quando il fattorino ebbe posato
le valige all’interno, gli dette una mancia e lo ringraziò, congedandolo.
“Niente male, eh!”, disse
avanzando verso Scully, che era ferma al centro della stanza e si guardava
intorno con aria estasiata.
“Decisamente tutto un altro mondo
rispetto ai motel a cui siamo abituati”, concordò con un sorriso.
La porta d’entrata dava sul
salottino, che era arredato in modo elegante, ma sobrio. Un tappeto dall’aria
indiana era posato sotto un tavolino in legno, dalle tonalità scure, e due
poltrone e un divano dall’aria estremamente comoda, lo circondavano su tre
lati. Il tutto era corredato da immense finestre, protette da tende di una
leggera tonalità rossa, che infondevano all’ambiente un tangibile senso di
comodità e riservatezza.
Mulder provò ad armeggiare con le
leve del divano, per vedere quanto grande era l’estensione che lo avrebbe fatto
diventare il suo giaciglio per la notte, mentre Scully si dirigeva nell’altra
stanza, quella dove si trovava il letto matrimoniale.
Un sorriso di soddisfazione le
attraversò il viso quando vide che si trattava di un’alcova a baldacchino, con
nuvole di tende bianche raccolte in fondo alla testiera del letto. Morbide e
candide lenzuola, sovrastate da un bellissimo copriletto con motivo floreale,
nascondevano un materasso molto comodo, o almeno così parve a Scully, quando ci
premette sopra una mano. Sotto i piedi la moquette beige era calda e morbida e
le finestre, che guardavano su un suggestivo panorama di New York, lasciavano
entrare la luce del sole, rendendo l’ambiente luminoso e allegro.
Il bagno, al quale si accedeva
solamente attraverso la stanza da letto, era spazioso e pulito, le superfici in
ceramica risplendevano e nell’aria aleggiava un buon profumo di lavanda.
Mulder arrivò alle spalle di
Scully, guardandosi attorno soddisfatto.
“Il divano-letto sembra comodo,
ma dopo aver visto questo…” e lanciò un’occhiata al baldacchino, “… mi sa che a
metà notte ti verrò a svegliare per avere il cambio!”.
Scully non replicò, pensando, tra
sé e sé, che non avrebbe rinunciato a passare una notte su quel letto nemmeno
se glielo avesse chiesto Albert Einstein in persona!
“Che dici se andiamo a pranzo?”
chiese per cambiare argomento.
Come previsto, Mulder non se lo
fece ripetere due volte e scesero nel ristorante, dove si trovava un’altra
delle due coppie di agenti infiltrati. Ovviamente, fecero finta di non
conoscerli e si accomodarono ad un tavolo lontano da loro. La sala era abbastanza
piena, e un allegro chiacchiericcio la riempiva di voci e risate.
Mulder e Scully pranzarono con
calma, assaporando le pietanze che venivano loro portate da solerti camerieri,
e chiacchierando, per lo più del caso, ma anche di argomenti frivoli e personali.
Passarono il pomeriggio a
passeggio per le strade di New York. La giornata era troppo bella per sprecarla
chiusi in camera, e comunque avevano passato la notte a ripassare ogni
dettaglio dell’operazione, perciò non stavano nemmeno scansando il loro dovere.
Furono molto attenti a dare
l’impressione di essere la tipica coppia a passeggio per le strade di una nuova
città.
Mulder fu molto bravo ad
interpretare la parte del marito esasperato da una moglie che si sofferma su
ogni vetrina di scarpee vestiti, con lo
sguardo brillante e acceso di eccitazione, mentre lei dovette fare uno sforzo
per interpretare quel tipo di donna, perché, seppure non disprezzava una
giornata d’acquisti ogni tanto, non era una persona ossessionata dallo
shopping.
Mentre passeggiavano, guardando
le imponenti costruzioni che si innalzavano, come immobili giganti, intorno a
loro, di tanto in tanto si prendevano per mano, e, quando si fermavano, Mulder
accarezzava spesso la base della schiena di Scully, in un semplice gesto che esprimeva,
però, una certa possessività. L’agente Finnigan si
era raccomandato di utilizzare quei piccoli e innocenti gesti anche al di fuori
dell’hotel, ma per Mulder non fu affatto una costrizione.
Si rese conto che era piacevole
passeggiare tenendo tra le dita la piccola e morbida mano di Scully, e gli
piaceva anche passare il palmo sull’incavo della sua schiena, perché ne
percepiva l’inebriante calore attraverso il maglioncino. Scully, dal canto suo,
non si lamentò delle sue carezze, le trovava rilassanti e gradevoli, e, almeno
un paio di volte, le provocarono un insolito brivido lungo la schiena, che le
fece venire la pelle d’oca sulle braccia.
Imputando, con poca convinzione,
il fenomeno all’abbassamento della temperatura mano a mano che il pomeriggio
lasciava il posto alla sera, propose di tornare in albergo a prepararsi.
Così si incamminarono, nuovamente mano nella mano, verso
l’hotel, avvertendo i primi sintomi dell’inevitabile agitazione che precede
un’operazione piuttosto delicata.
Volevo ringraziare per le belle recensioni
che mi avete scritto, comprese le altre mie fan fiction!
Spero di non deludere mano a mano che
questo case file proseguirà!
Ringraziandovi fin da ora, vi auguro una
buona lettura! ;-)
Terzo capitolo
Waldorf Astoria Hotel,
Ore 6.11 p.m.
Quando rientrarono
in hotel, il cielo si era fatto buio e le stelle brillavano intensamente in
quella nottata limpida. La luna era uno spicchio che emanava i suoi deboli raggi
su di una New York in attesa di vivere il sabato sera.
Fuori dell’albergo avevano notato alcuni furgoni della società di catering, e
nella hall un certo trambusto di camerieri e facchini che andavano e venivano.
La preparazione per il finto party di beneficenza doveva essere in pieno
svolgimento.
Appena rientrati in camera, Mulder dette un’occhiata al divano-letto e poi fece
una risatina.
“Che cosa c’è?” gli chiese Scully incuriosita, mentre appoggiava la borsa su
una poltrona.
“Niente. E’ che stavo riflettendo su di una cosa… Giù alla reception non sanno
che siamo agenti sotto copertura, giusto? Pensano che siamo veramente una
coppia sposata…” lasciò in sospeso la frase, passandosi una mano sul mento, e
accarezzandolo distrattamente.
“Si…” rispose Scully con cautela, non sapendo dove il collega volesse andare a
parare.
“Secondo te, che cosa penseranno domani mattina, quando verranno a rassettare
la stanza e vedranno che ho usato il divano?”, e sorrise maliziosamente, il
viso rivolto verso di lei.
Scully si mise a ridere. “Immagino penseranno che abbiamo litigato”, concluse
con un ampio sorriso
“Precisamente…” disse Mulder con un ghigno.
“Molto probabilmente…”,aggiunse, mentre lei stava per andare nell’altra stanza,
“… durante la festa, un’affascinante signora, deve avermi fatto gli occhi
dolci. Per cortesia, le ho rivolto un cenno di saluto e uno smagliante sorriso…
e tu mi hai fatto una scenata di gelosia che si è protratta fino a notte fonda.
Si… deve essere andata così…” aggiunse con tono di voce più basso, come se
parlasse solo a sé stesso.
Scully gli lanciò un’occhiata, nello sguardo un’espressione di sfida.
“Quasi certamente, invece, sono stata io
che ho accettato un bicchiere di vino, da un galante e distinto signore, che,
con cavalleresca cortesia, si è avvicinato a me e mi ha sfiorato la mano con le
labbra, dicendomi che ero la creatura più affascinante presente nella sala. Se
mio marito” e sottolineò con la voce le parole mio marito, “mi facesse più spesso complimenti, l’avrei snobbato,
ma siccome è arido di gentilezze…” e lasciò la frase teatralmente in sospeso.
Mulder sorrise, mentre si sedeva sul divano per slacciarsi le scarpe.
“Me ne ricorderò…” disse in un sussurrò, senza farsi sentire da Scully. Due ore dopo Scully si passò l’ultimo strato di rossetto, poi serrò per qualche
istante le labbra, per renderlo uniforme.
Osservò il risultato finale allo specchio, esprimendo la sua
soddisfazione con un secco gesto d’assenso del capo.
Si diresse verso la stanza da letto, si infilò un paio di sandali argentati,
con il tacco alto, tempestati di lucenti gemme rosse a forma di roselline, e si
osservò davanti allo specchio dell’armadio.
I capelli le ricadevano in morbide ciocche ondulate che le conferivano un’aria
elegante e sbarazzina allo stesso tempo, i grandi occhi blu erano truccati
finemente e le labbra risultavano ancora più piene grazie alla sfumatura creata
dal brillante colore del rossetto.
Indossava un vestito in raso rosso fuoco, lungo fino alle caviglie, con un
profondo spacco lungo la gamba destra. L’abito era annodato in soffici asole
sopra le spalle e la scollatura ricadeva morbida sul petto, mettendo in
evidenza il suo seducente decolté in modo provocante , ma non volgare. La
liscia stoffa seguiva la linea morbida del ventre, mettendo in risalto il seno
generoso.
Fece un mezzo giro su sé stessa, per osservarsi anche dietro, scoprendo una
profonda scollatura, che le arrivava fin quasi alla curva del fondoschiena, e
che le evidenziava la perlacea e liscia pelle della schiena, punteggiata qua e
là da intriganti nei e pallide lentiggini.
Soddisfatta del suo aspetto, sorrise allo specchio, poi prese da una scatolina
un paio d’orecchini a forma di rose rosse, abbinati al motivo dei sandali, e li
puntò al lobo delle orecchie. Sorridendo al ricordo del pomeriggio di tre
giorni prima, indossò la sua fede nuziale.
Poi prese dalla borsetta un’altra scatoletta. Quando la aprì, un minuscolo
oggetto metallico le si offrì alla vista. Lo prese con cautela e se lo
posizionò attentamente dentro l’orecchio, in modo che fosse invisibile ad occhi
esterni. Per il momento, non dava segni di essere in funzione. Guardò
l’orologio al polso e vide che era ancora troppo presto. Skinner
aveva detto loro che i microfoni sarebbero entrati in funzione verso le 9.00 di
sera, quando tutti gli infiltrati si fossero trovati alla festa.
Stava per prendere lo scialle color argento dal fondo del letto, quando Mulder
bussò.
“Sei pronta?” le chiese, la voce smorzata dal legno della porta chiusa.
“Si” rispose lei a voce alta, “entra pure!”.
Mulder aprì la porta, buttando l’occhio dalla parte opposta a quella in cui si
trovava Scully.
“Hai finito il resta…” si interruppe non appena il suo sguardo si spostò su di
lei.
Non poté impedirsi di schiudere leggermente le labbra in un’espressione di puro
stupore. Gli occhi erano fissi su di lei; non potevano credere di aver lavorato
fianco a fianco con lei per sei anni e non aver mai potuto ammirarla in quel
modo.
Scully represse un sorriso lusingato e si drappeggiò lo scialle sulle spalle.
“Qualcosa non va?” gli chiese, in un tono falsamente allarmato.
Mulder scosse la testa, deglutendo.
“No… mi stavo solo chiedendo se mi vuoi morto…” lasciò un attimo la frase in
sospeso, facendo scorrere gli occhi lungo tutta la lunghezza del corpo di
Scully, “Ho rischiato un infarto quando ti ho vista…”.
Scully gli passò accanto per uscire dalla camera. “Devo prenderlo come un
complimento?”, chiese perplessa.
Mulder la seguì, indugiando, senza essere visto, sui sinuosi movimenti del
fondoschiena e sulla provocante scollatura del vestito.
“Sei bellissima…” le disse, inaspettatamente, con voce stranamente seria.
Scully si fermò al centro del salottino, e si girò verso di lui, un leggero
rossore le aveva imporporato le guance.
Si aspettava una
delle sue solite battute, che nascondevano velati complimenti, non
un’affermazione così diretta e, dedusse, guardandolo in viso, così sincera.
“Grazie” gli rispose, ancora un po’ spiazzata.
Lasciarono la stanza senza dire nient’altro, si incamminarono lungo il
corridoio e salirono sull’ascensore.
Scully lo guardò.
Anche lui faceva la
sua figura, fasciato da uno smoking nero, molto elegante, che si adattava
perfettamente alla sua figura alta e scolpita. La camicia candida era chiusa
sul collo da un papillon di raso nero, abbinato ai risvolti lucenti della
giacca. La stoffa in panno della giacca e del pantalone era perfettamente
stirata e liscia e gli conferiva un’aria estremamente affascinante.
Mulder abbassò la testa per osservarla e le sorrise.
“Allora? Pronta per entrare in scena?” le chiese offrendole la mano, mentre
l’ascensore si fermava sei piani più sotto.
“Pronta!” assentì con un’espressione determinata, poggiando le dita sulla mano
di Mulder, che le strinse leggermente, intrecciandole alle sue.
Le
porte dell’ascensore si aprirono e il brusio indistinto di voci provenienti da
un punto indeterminato in fondo al corridoio, arrivò alle loro orecchie.
Un
cartellone, poggiato su di un piedistallo in legno, indicava, con una grossa
freccia, che la festa di beneficienza si svolgeva in fondo al corridoio,
girando a destra.
Mulder
e Scully, mano nella mano, si diressero verso un’enorme porta, davanti alla
quale c’erano due uomini - probabilmente dipendenti dell’hotel - vestiti
elegantemente, che aprivano l’entrata agli ospiti che arrivavano.
Prima
di Mulder e Scully, entrarono due signori, dall’aria particolarmente annoiata,
che parlottavano tra loro a voce molto bassa, ma, dalle loro espressioni, si
capiva perfettamente che avrebbero voluto essere da tutt’altra parte.
Quando
i due agenti si avvicinarono agli uscieri, questi sorrisero cordialmente e li
fecero accomodare augurando loro una lieta serata.
Scully
fece loro un cenno di ringraziamento, impreziosito da un radioso sorriso e si
fece condurre da Mulder dentro la sala.
L’ambiente
era decisamente spazioso. In un angolo, alla loro destra, c’era un grande
bancone dove alcuni barman stavano miscelando colorati cocktail dall’aria
invitante. Poco spostata sulla sinistra, rispetto al bar, c’era un’enorme
tavola su cui erano disposti svariati piatti dall’aspetto delizioso. Non appena
qualche prelibatezza terminava, arrivava subito un cameriere a rifornire il
buffet, con il medesimo piatto, o con specialità differenti.Sulla parete in fondo, invece, c’era un
grande palco, dove una soul band stava eseguendo alcuni brani che Scully non
riconobbe.
La
stanza era calda, tanto che lei si tolse lo scialle dalle spalle e lo piegò
dentro la borsetta.
Mulder
si guardò intorno, leggermente a disagio –non era abituato a partecipare a
feste così sontuose- e notò che la sala era già abbastanza piena, per essere
appena le 8.35, ma era sicuro che, nel giro di mezzora, si sarebbe riempita
completamente.
Adocchiò
con desiderio la balconata che si apriva alla loro sinistra, sperando di
poterci passare la maggior parte della serata.
Circondò
con un braccio la schiena di Scully, percependo il suo calore attraverso la
stoffa della giacca, e la avvicinò leggermente a sé, abbassando il capo per
sussurrarle all’orecchio.
“Mi
domando come avrà fatto Skinner a riuscire a
convincere tanta gente a venire fin qui…”.
Scully
scosse leggermente il capo, come a dire che non ne aveva idea, e che la cosa,
al momento, non le importava molto.
Avanzarono
di qualche passo verso il centro della sala, urtando un’anziana signora che
stava amabilmente conversando con un giovanotto dall’aria annoiata.
“Bè” disse dopo un po’ Mulder, togliendole il braccio da
dietro la schiena, “Fin che aspettiamo, io direi di mangiare qualcosa”. Scully
acconsentì, anche perché i piatti avevano un aspetto veramente invitante, e il
suo stomaco la ringraziò quando assaggiò un vol-au-vent ai gamberetti
decisamente squisito.
Verso
le 9.00 i loro microfoni cominciarono a gracchiare, ma, per un po’ di tempo,
non ricevettero nessuna notizia interessante, erano solo comunicazioni di
prova. Un paio di volte fu detto a Mulder e Scully di spostarsi, insieme o
separatamente, in diversi punti della sala.
Nel
frattempo, come previsto, la stanza si riempì di gente elegantemente vestita
che conversava, ballava, ma soprattutto, si abbuffava.
Ci
fu un momento in cui Mulder pensò che i due assassini non sarebbero caduti
nella trappola della festa, e che tutto quello spiegamento di forze si sarebbe
rivelato inutile.
Ma,
verso le 10.00 meno un quarto, arrivò la prima notizia interessante: i coniugi Fresty erano stati ripresi mentre entravano al party.
Scully
sorrise leggermente, sentendo in sottofondo i festeggiamenti degli agenti di
New York che si complimentavano per la riuscita dell’idea della festa.
Seguì
un’altra ora in cui nessuna delle coppie infiltrate riuscì ad avere contatti
diretti con i Fresty, o meglio, la coppia formata
dagli agenti Thompson e Hirsh, ebbe un’occasione, ma
i Fresty non rimasero molto colpiti da loro e si
intrattennero giusto il tempo di non apparire scortesi.
Scully,
che cominciava ad essere piuttosto stanca di quell’andirivieni di gente, di
quelle false speranze alimentate dalle voci metalliche che le arrivavano nelle
orecchie e di quella tensione che cresceva di minuto in minuto, visto che
l’operazione sembrava arenata in un punto morto, si allontanò verso la
balconata, mettendosi lo scialle sulle spalle - anche se una serie di stufette
posizionate strategicamente rendevano la temperatura mite anche all’esterno -
per prendere un po’ d’aria, mentre Mulder andava a prendere due cocktail, tanto
per passare il tempo.
Si
appoggiò con le braccia alla balaustra di ferro battuto e osservò una New York
ancora perfettamente sveglia e attiva sotto di sé.
“Le
posso offrire da bere?”, chiese una voce di uomo, leggermente rauca, alle sue
spalle.
Scully
si voltò, trovandosi di fronte l’ennesimo scocciatore della serata.
“No,
grazie”, rispose cortese, ma con una punta d’irritazione nel tono, “Ci ha già
pensato mio marito”.
L’uomo
le rivolse un sorriso rammaricato e si allontanò.
Scully
si girò nuovamente verso il parapetto, sbuffando leggermente tra sé e sé. Era
tutta la sera che uomini, più o meno giovani, le lanciavano occhiate
lussuriose, o le offrivano da bere indifferenti del fatto che avesse un
accompagnatore.
C’era
da dire, che Mulder la tirava fuori d’imbarazzo in maniera impeccabile,
mettendo bene in chiaro, senza essere scortese o offensivo, ma con una certa
determinazione, che lei era sua, e
che non gradiva che le venissero rivolti certi complimenti per nulla
disinteressati.
L’aria
fresca che le soffiava sul viso era un rigenerante piuttosto gradito.
All’interno della sala l’atmosfera era diventata irrespirabile, c’erano
veramente troppe persone. Forse, nell’impeto della loro idea, McErny e Finnigan aveva esagerato
con la pubblicità.
Sentì
un fruscio alle sue spalle, poi vide un bicchiere pieno di un liquido
arancione, con un ombrellino colorato come ornamento, comparire davanti ai suoi
occhi.
“Madame!”,
le disse Mulder, mentre lei si girava verso di lui, prendendo il bicchiere che
le offriva.
“Grazie”,
disse Scully, prima di sfilare il cappellino e di prendere una sorsata di quel
cocktail analcolico alla frutta.Mulder
aveva la stessa bevanda, ma non la sorseggiava. Guardava fisso l’uomo che prima
aveva tentato di adescare Scully.
Mulder
lo indicò con un gesto del viso. “Quel tipo ti guarda e poi sussurra qualcosa
ai suoi compagni, ridacchiando…”, lo disse con una nota infastidita nella voce.
Scully
annuì, distrattamente. “Si… è venuto a offrirmi da bere… probabilmente starà
prendendo in giro mio marito con quel
branco di idioti… aspetta!”, lo bloccò con una mano sul braccio, perché si era
mosso nella loro direzione con un cipiglio che non prometteva nulla di buono.
“Lascia
perdere, non ne vale la pena”, cercò ditranquillizzarlo Scully.
Mulder
non parve molto convinto, ma le dette ascolto e li lasciò alle loro irritanti
risatine.
“Però…”,
aggiunse dopo un po’, guardandola con uno sguardo intenso, negli occhi una
scintilla maliziosa, “…non posso dare ai tuoi spasimanti di stasera tutti i
torti. Sei la donna più bella in sala. E sono serissimo”, aggiunse, vedendo che
lei sollevava leggermente gli angoli della bocca, in un’espressione scettica.
Si
guardarono negli occhi per qualche istante.
Scully
era troppo lusingata e felice del bel complimento che le aveva rivolto per la
seconda volta durante la serata, per riuscire ad articolare qualche frase che
non risultasse banale o petulante.
Mulder,
dal canto suo, era completamente ammaliato da lei. Non era una novità che la
sua collega fosse una bella donna, ma vederla, quella sera, così elegante, così
sensuale, così sé stessa, come forse non si era mai permessa di essere, l’aveva
spiazzato. E l’averla sotto gli occhi, abbracciarla e toccarla, erano diventate
delle necessità fisiche così potenti, che ad un certo punto aveva avuto la
perversa idea di portarla via da quella farsa, di trascinarla in camera e fare
l’amore con lei fino a quando il fiato glielo avesse permesso.
Fortunatamente,
o sfortunatamente, a seconda del punto di vista dal quale si guardava, c’era
sempre la voce di Skinner, o di Fowley,
o di qualche altro agente, ad urlargli nelle orecchie che erano lì per cercare
di assicurare alla giustizia due pazzi psicopatici.
Mentre
erano immersi in uno dei loro tipici silenzi, con i quali comunicavano meglio
che con le parole, la musica cessò e il leader del gruppo annunciò l’arrivo di
una canzone lenta per permettere alle coppie di ballare guancia a guancia.
Mulder
alzò un sopracciglio, sfilò dalle mani di Scully il cocktail e lo posò, assieme
al suo, su di un tavolino poco lontano, poi tornò da lei, con le braccia tese.
“Permetti?”,
le chiese galante.
Lei
fece una risatina imbarazzata, scuotendo leggermente la testa. Posò una mano
sulle sue forti spalle, e l’altra tra le dita calde di Mulder. Lui le mise un
braccio attorno ai fianchi e la avvicinò di più a sé.
Cominciò
a dondolare sul posto, facendola ruotare lentamente, e guardandola negli occhi.
I
loro movimenti erano lenti e insicuri, ma a loro non importava, erano troppo
immersi nell’inaspettato benessere, derivante da quel ballo così impacciato,
per curarsi della forma estetica dei loro ondeggiamenti.
“Bravissimi!”. La voce di Skinner li fece quasi sobbalzare.
“Qualsiasi cosa stiate facendo, continuate!
Anzi, intensificate i gesti d’affetto! I Fresty sono
poco lontano da voi e vi stanno fissando con attenzione!”.
Mulder
strinse più forte Scully, facendo aderire completamente il suo esile corpo
contro il suo. Abbassò la testa, in modo da trovarsi guancia a guancia con lei.
Chiuse
gli occhi, gustandosi l’inebriante profumo di lei, e la morbidezza delle sue
curve premute contro il petto.
Non
lo fece perché glielo aveva detto Skinner. L’avrebbe
fatto in ogni caso. Non si perse nemmeno a chiedersi il perché dei suoi
desideri, si lasciò solo andare alle sensazioni che gli dava il poter stringere
Scully tra le braccia.
Lei,
sentendo il calore della sua guancia sulla pelle, si strinse più forte alle sue
spalle e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare tra le sue braccia forti e
rassicuranti, dimenticando perché erano lì, e perché dovevano fare in modo di
attirare due perfetti sconosciuti nella loro rete.
“Perfetto! Si stanno avvicinando a voi!”,
gracchiò di nuovo la voce di Skinner nelle loro
orecchie.
Mulder
ebbe l’impulso di togliersi il microfono e gettarlo in strada, ma la parte
razionale di lui, fortunatamente, ebbe il sopravvento.
Si
staccò lentamente da lei, girando la testa per guardarla negli occhi.
Scully
lo fissò di rimando, senza staccare le braccia dal suo corpo. I suoi occhi blu
erano brillanti, vivi… splendidi, e Mulder vi annegò, mentre la musica
terminava e le coppie intorno a loro si staccavano per applaudire la band.
Con
la coda dell’occhio, Scully vide i Fresty a pochi
passi da loro, che li osservavano con curiosità, come un predatore osserva con
perizia e pazienza la sua preda.
“Li avete visti?”, risuonò per l’ennesima
volta la voce di Skinner, “Fate in modo di attirarli da voi, che so… baciatevi!”.
Mulder
e Scully furono bravi a non sobbalzare sentendo l’ultima parola pronunciata dal
vicedirettore.
E
non perché reputassero l’ordine eccessivo, o perché non se lo aspettavano,ma
perché era esattamente quello che stava passando imperioso nei loro pensieri,
anche se non lo avrebbero ma ammesso, nemmeno sotto tortura.
Il
loro visi erano ancora molto vicini, perciò a Mulder bastò muovere leggermente
la testa verso di lei, per arrivare a sfiorare le sue labbra.
L’idea,
da parte di entrambi, era quella di darsi un bacio leggero e veloce, ma
qualcosa cambiò nel momento in cui le loro bocche si incontrarono.
Una
scintilla di fuoco esplose nei loro petti e le braccia strinsero con più forza
il corpo dell’altro. Le labbra iniziarono a muoversi, quasi senza volontà, le
une sulle altre, in un gioco appassionato che le travolse in un vortice di
desiderio. Fu inevitabile che le loro lingue cominciassero a duellare, ad
accarezzare, ad esplorare.
Scully
avvertì il sapore del cocktail sulla lingua di Mulder, insieme ad un altro sapore
più intenso, mascolino e inebriante che le faceva girare la testa.
I
microfoni nelle loro orecchie emisero un fastidioso ronzio che li riportò
bruscamente alla realtà.
Dandole
un ultimo, leggero, bacio a fior di labbra, Mulder si staccò da lei.
La
guardò con occhi pieni di pensieri inespressi. Aveva le guance arrossate, e le
labbra erano schiuse, congelate in quell’ultimo, tenero contatto. I grandi
occhi blu erano brillanti e confusi, e Mulder pensò che non avrebbe mai più
visto niente di più bello in tutta la sua vita.
In
quel momento così particolare, si sentì urtare violentemente la spalla da
qualcosa.
Riluttante,
si separò da Scully per capire cosa l’avesse colpito e si ritrovò di fronte
l’insignificante volto di Ronald Fresty.
Riluttante, si separò da Scully per
capire cosa l’avesse colpito e si ritrovò di fronte l’insignificante volto di
Ronald Fresty.
“Mi
perdoni!”, disse quest’ultimo con voce rammaricata, “Sono inciampato e le sono venuto
addosso. Mi dispiace!”.
Mulder
tornò padrone di sé stesso e sfoggiò un sorriso cordiale.
“Non
si preoccupi! Si è fatto male?”, chiese, assumendo un tono preoccupato.
“Oh,
no, no! Lei ha attutito il colpo!” e Ronald Fresty se
ne uscì con una risata allegra e accattivante.
Mulder
rise con lui, mentre Scully seguiva la scena con un sorriso stampato in faccia.
“Che
succede?”, la bellissima moglie di Ronald fece la sua comparsa al fianco del
marito, poggiandogli una mano su una spalla e guardando tutti con un’aria
perplessa.
Sanno recitare, non c’e che dire! Pensò Scully tra sé e sé.
“Niente
cara”, rispose Fresty, guardando Mulder
sorridendo,”Sono scivolato, non so neanche io bene come, e sono finito addosso
a questo signore. L’ho pure interrotto in un momento d’intimità!” rise di
nuovo. “Per farmi perdonare… posso offrirvi da bere?”.
Mulderaveva già visto che i loro bicchieri erano
spariti dal tavolo, probabilmente li avevano tolti loro due, mentre ballavano,
ma fece finta di non essersene accorto.
“Grazie,
ma abbiamo già i nostri…” e si voltò verso il tavolino, dove, però, non c’era
nessun bicchiere.
“Accidenti!”
esclamò allora Mulder, fingendosi stupito, “I camerieri in questo posto sono
veramente solerti!”.
Ronald
Fresty rise di nuovo, e si offrì di andare a prendere
da bere per tutti e quattro.
Mulder,
questa volta, non rifiutò.
Mentre
Ronald si allontanava verso il bancone del bar, Annebeth
si scusò con loro.
“Portate
pazienza! Lui è fatto così! Quando si mette in testa una cosa insiste, insiste,
fino a quando non convince anche gli altri!”.
“Non
si preoccupi”, le rispose Scully con un sorriso, “non è affatto un disturbo. Fa
piacere incontrare persone nuove ogni tanto”.
“Sono
d’accordo!”, disse con enfasi Annebeth, “Vi va se ci
sediamo a quel tavolo là?” e indicò un tavolino con quattro sedie in vimini,
poco lontano, alla loro destra. “Questi tacchi mi stanno uccidendo!”, esclamò
con una smorfia in viso e guardando verso le sue scarpe.
Scully
le rivolse un sorriso comprensivo e si diressero verso il tavolo, proprio
mentre Ronald tornava con quattro cocktail dal colorito verdastro, il bordo dei
bicchieri ornato con foglioline di menta e una fetta di ananas.
Dopo
che tutti ebbero bevuto il primo sorso, anticipato da un brindisi cordiale,
Mulder pensò che era arrivato il momento di farsi dire il loro nome.
“Bè” esordì quindi, in tono allegro, “a questo punto
potremmo anche presentarci! Io mi chiamo Peter, e lei…”,passò un braccio attorno alle spalle di
Scully, “… è mia moglie Janette”, e la avvicinò a sé,
per darle un leggero bacio sulla fronte. Ma poi non la lasciò andare, la tenne
stretta contro il suo petto, a favore della finzione certo, ma soprattutto
perché, seduto davanti a quei due assassini, stava nuovamente percependo quello
stato d’ansia che lo rendeva estremamente protettivo e preoccupato nei
confronti di Scully.
“Molto
piacere!” disse Ronald sorridente, “Invece, io sono Ronald”, e si batté una
mano sul petto per sottolineare la sua frase, “e lei è Annebeth”,
e le poggiò una mano sulla spalla.
Annebeth
piegò leggermente il capo in segno di saluto.
“Siete
di New York?”, chiese poi la sposa assassina, sorseggiando un altro po’ di
bibita.
“No”,
rispose prontamente Scully, scostandosi dal petto di Mulder, ma senza
interrompere il contatto col suo braccio attorno alle spalle, “Siamo di Little Falls, circa a 4 ore di auto da qui”.
Mulder
fece una smorfia.
Scully
lo osservò e si mise a ridere.
“Lui
non è molto felice di essere venuto qui!”, e rise di nuovo.
Mulder
la guardò storto, ma le sorrise in modo complice.
“Come
mai?”, chiese, incuriosito Ronald.
Mulder
fece spallucce. “Diciamo che non amo molto le occasioni mondane, preferisco la
tranquillità di casa nostra”.
“Ma
è per una buona causa!”, obbiettò Scully, una nota divertita nella voce.
“Infatti
sono qui!”, ribatté Mulder, “Anche se..” aggiunse abbassando il tono di voce e
sporgendosi verso i Fresty, come se dovesse confidare
loro qualche importante segreto, “… mi ha puntato una pistola alla tempia!”.
Scully
rise, dandogli un buffetto affettuoso sulla spalla.
Ronald
e Annebeth risero sinceramente.
“Come
avete saputo della festa di beneficenza?”, chiese Annebeth,
arrotolandosi una ciocca di capelli sul dito.
E
da lì il dialogo proseguì per gran parte della nottata, seguendo varie
direzioni negli argomenti di conversazione.
Parlarono
dei loro rispettivi lavori, delle loro passioni, di viaggi, di fatti divertenti
accaduti quand’erano fidanzati e al loro matrimonio, e di politica, anche se
per poco.
Mentre
parlavano Scully ebbe modo di studiare attentamente l’aspetto e l’atteggiamento
dei Fresty.
Ronald
era più basso rispetto a Mulder, probabilmente era pochi centimetri più alto di
lei e indossava un semplice completo grigio, con una camicia azzurra e la
cravatta nera. I capelli brizzolati gli conferivano un’aria saggia e
rassicurante, e mentre parlava, con una voce calda e morbida, dava
l’impressione di essere una persona molto affabile e disponibile.
Annebeth
era alta circa come lui, con i tacchi almeno, ed era veramente bella. Il viso
aveva qualcosa di angelico che ipnotizzava. Quando parlava, con una voce dolce
e leggermente acuta, le labbra si muovevano in modo sensuale e quando sorrideva
le spuntavano due allettanti fossette ai lati della bocca. Indossava un vestito
verde acido, che le segnava le forme e metteva in risalto il biondo caramello
dei suoi capelli, che aveva raccolto in una coda di cavallo, fermata alla base
da un fiocco di un verde più scuro rispetto all’abito.
Pur
essendo innegabilmente bella, il suo atteggiamento non era affatto provocante,
anzi, sembrava non essere affatto interessata a ciò che la gente pensava del
suo aspetto.
Scully
rifletté che, se non avesse saputo chi in realtà erano, avrebbe concesso loro
massima fiducia e non avrebbe avuto problemi ad approcciarsi a loro anche al di
fuori della festa, perché sprizzavano disponibilità e simpatia da tutti i pori.
Mulder,
che mentre parlava, rideva e scherzava con loro, stava studiandoli con la
stessa attenzione della collega, si ritrovò a pensare che, seppure l’aspetto di
Annebeth era decisamente attraente, non si avvicinava
nemmeno alla bellezza e alla classe di Scully. E soffocò un sorriso soddisfatto
quando si rese conto che probabilmente era stato l’uomo più invidiato di tutta
la sala.
Senza
rendersene conto, avevano parlato con i Fresty per
almeno due ore, infatti l’orologio segnava l’una meno qualche minuto.
Scully
rabbrividì leggermente e Mulder si girò a guardarla, accarezzandole il braccio
ritmicamente.
“Hai
la pelle d’oca”, disse con voce leggermente preoccupata, “Hai freddo?”.
“Un
po’”, rispose Scully, non riuscendo a reprimere un altro brivido.
Mulder
si sfilò la giacca e gliela posò sulle spalle.
Lei
gli rivolse un tenero sorriso di ringraziamento, un sorriso che non era rivolto
a “Peter”, ma era rivolto a Mulder.
Ronald
guardò l’orologio.
“Mio
Dio!”, esclamò. “E’ già l’una!”
Tutti
guardarono automaticamente il proprio orologio da polso.
Annebeth
si rivolse a suo marito. “Che ne dici se torniamo a casa?” chiese con voce
stanca, soffocando uno sbadiglio.
Ronald
assentì, poi, mentre tutti si stavano alzando dal tavolo, assunse
un’espressione raggiante, come se avesse appena avuto un’idea geniale.
“Quanto
avete detto che vi fermate a New York?”, chiese, rivolto a Mulder e Scully.
“Ripartiamo
lunedì mattina”, gli rispose Mulder, mentre sistemava meglio la giacca sulle
spalle della sua compagna, per ripararla dal freddo notturno.
“Bè, ma allora?”, propose Ronald, “Perché non ci vediamo
domani sera per un aperitivo!”, il tono di voce elettrizzato.
“Si!”,
esclamò, allora, Annebeth, “E’ una splendida idea!”.
Mulder
e Scully si irrigidirono senza darlo a vedere. Ecco, alla fine c’erano
arrivati. I Fresty avevano lanciato l’amo.
Inizialmente
Mulder esitò, per cortesia, adducendo la scusa che non volevano disturbarli.
“Nessun
disturbo! Ci siamo trasferiti da poco, non conosciamo ancora molte
persone,e ci fa piacere avere un po’ di
compagnia!”.
Scully
alzò il viso ad osservare Mulder, con un sorriso.
Mulder
le sorrise di rimando. “Bè… se la mettete così…
d’accordo!”.
“Perfetto!”,
concluse Ronald, battendo le mani. “Ci troviamo verso le 7.30 di sera, sulla
54esima strada, c’è un lounge bar che si chiama Millenium, offre
degli ottimi stuzzichini assieme agli aperitivi. Volete che vi disegni una
piantina?”.
Passarono
altri cinque minuti ad accordarsi, dopodiché si salutarono e Mulder e Scully
proseguirono verso l’ascensore.
Quando
furono al piano della loro stanza da letto la voce di Fowley
riecheggiò nelle loro orecchie.
“Mi congratulo con voi agenti”, anche se dal tono si poteva dedurre che fosse
piuttosto irritata, e non contenta per la riuscita dell’imboscata, “Domani, nel corso della giornata, riceverete
il kit con il trasmettitore satellitare ed eventuali nuove direttive. Vi auguro
una buona nottata”, e chiuse la comunicazione con un crepitio, che fece
capire ai due agenti che i loro microfoni erano stati disattivati.
“Mmm” commentò Mulder, “Non mi sembrava precisamente soddisfatta…
anzi… sembrava piuttosto seccata…”.
Scully
era d’accordo con lui, ma non lo disse, anche perché aveva una mezza idea del
motivo per cui Fowley aveva usato un tono così
risentito.
Il
bacio che si erano scambiati poche ore prima poteva essere definito in svariati
modi, ma di sicuro non era stato una finta. Forse Skinner
poteva non essersi accorto che erano stati trasportati in quel bacio, come se
fossero stativeramente due innamorati,
forse non se n’erano accorti neanche gli altri agenti di New York, ma Fowley era una donna, e una donna certe cose le percepisce.
Sicuramente
si era accorta che il loro bacio era stato qualcosa di reale e travolgente, di
profondo, e la cosa l’aveva probabilmente disturbata parecchio.
Scully
si dette della stupida, ma l’idea di averla fatta ingelosire, la rendeva
infantilmente euforica e fiera di sé stessa.
Osservò
Mulder inserire la chiave nella toppa e aprire la porta.
Appena
furono dentro si tolse dalle spalle la giacca dello smoking e la posò
delicatamente, per non sgualcirla, sullo schienale di una poltrona.
“Scully”,
le disse Mulder mentre si levava dall’orecchio il microfono, “Ti dispiace se
uso il bagno per primo?”.
“Fai
pure”, gli rispose, accompagnando le parole con un gesto che indicava la porta
della camera da letto.
Mentre
sentiva l’acqua della doccia al di là della parete, Scully si tolse il vestito
e indossò un comodo pigiama di seta blu e un paio di ciabatte di spugna. Prese
dalla valigia alcuni batuffoli di cotone e del latte detergente e si posizionò
davanti allo specchio dell’armadio per struccarsi.
Quando
Mulder uscì, con addosso una maglietta a maniche corte e i pantaloni della
tuta, la trovò seduta sul bordo del letto, intenta a risistemare il microfono
nella sua scatoletta.
“Tutto
tuo!”, le disse, rivolgendole un sorriso.
“Grazie”,
rispose Scully alzando il capo e riponendo la scatola dentro la valigia.
Prima
che lei sparisse dietro la porta del bagno, le chiese se le andava di fare il
punto della situazione.
“Rimandiamo
a domani, ti spiace? Sono stanca…”.
“Nessun
problema, sono stanco anch’io… Buona notte, Scully”, aggiunse, una mano sulla
maniglia della porta.
“Buona
notte, Mulder”.
Ma
per quanto fossero stanchi, entrambi rimasero svegli a fissare il soffitto per
un bel pezzo.
Il
ricordo di quel bacio tormentava i loro pensieri e non permetteva loro di
rilassarsi.
Scully
si tirò le coperte fino al collo e sospirò, seccata da quel dolce tarlo che non
le dava tregua.
Altre
volte, guardando parlare il suo collega, aveva desiderato baciare quelle labbra
piene e sensuali, ma mai si sarebbe aspettata di provare emozioni così intense.
Appena le loro bocche si erano sfiorate,qualcosa di primitivo e potente l’aveva travolta, annullando ogni
pensiero coerente e razionale, e trasportandola su dolci onde fatte di
sensazioni e di desideri. Era stato un bacio gentile, eppure profondo. Lui era
stato incredibilmente tenero, ma allo stesso tempo aveva percepito tutta la sua
passione scorrerle nelle vene, nei muscoli, sotto i pori della pelle. Non aveva
mai provato un trasporto così totale verso un uomo, mai.
Accaldata
- non capì bene se per il ricordo di quel bacio, o se per l’irritazione di non
riuscire a prendere sonno - arrotolò il copriletto ai suoi piedi, e si coprì
solo con il lenzuolo. Si girò su un fianco, portandosi le ginocchia fino al
petto, in posizione fetale, e chiuse gli occhi, sperando di riuscire a dormire
un po’.
Mulder
si girò irrequieto su un fianco.
Era
innegabile che avesse desiderato Scully per tutta la sera, e, volendo essere
onesto fino in fondo con sé stesso, non era nemmeno la prima volta. Erano anni
che la sete di lei lo tormentava durante le ore lavorative assieme, e durante
le sue notti solitarie, steso su quel logoro divano. Ma le sensazioni che aveva
provato quella sera, quando aveva toccato quelle morbide e accoglienti labbra,
non le aveva previste. Andavano al di là del desiderio fisico. Era stato
qualcosa di più intimo, quasi spirituale, che li aveva travolti e cullati
mentre le loro bocche si fondevano in quell’intimo gesto. Un pensiero cominciò
a picchiettare fastidiosamente dentro la sua testa, un pensiero così vero, così
sincero e semplice, che lo spaventava a morte. Scosse la testa per scacciarlo,
ma ormai una piccola radice aveva attecchito ed estirparla, d’ora in avanti,
sarebbe risultato estremamente complicato. Si girò sull’altro fianco, provando
a riflettere sul caso.
Dopo
un po’ si ritrovò in un'altra stanza, che riconobbe immediatamentecome la sua camera da letto, anche se non si
era guardato attorno.
Dalle
tapparelle abbassate filtrava la luce del tramonto.
Era
steso sul letto, completamente nudo.
Al
suo fianco c’era qualcuno.
Una
donna.
Una
donna nuda che gli premeva le morbide curve contro il fianco, e gli
mordicchiava maliziosamente l’orecchio, mentre con una mano gli arrotolava i
peli del petto.
Dalle
sue labbra uscì un gemito e si girò verso di lei per baciarla.
Non
si stupì vedendo che si trattava di Scully.
Iniziò
a fare l’amore con lei, con lentezza e dolcezza, assaporando ogni centimetro
della sua pelle vellutata, lasciandosi accarezzare eroticamente dalle sue mani
e dalle sue labbra. Era bellissima, sembrava emanare un alone di luce, come
fosse un angelo. E in effetti lo era. Lei era il suo angelo personale.
Nel
momento di massimo piacere, quando i corpi di entrambi si tesero, pronti a
lasciarsi travolgere dalla marea dell’estasi, la scena cambiò.
Si
ritrovò in una stanza buia, illuminata sommariamente da una piccola lampadina
appesa al soffitto. Le pareti erano vecchie, l’intonaco scrostato e nell’aria
aleggiava un potente odore di muffa.
Si
guardò attorno, spaesato, cercando di abituare gli occhi a quell’improvvisa
oscurità.
Nell’angolo
di destra scorse qualcosa, sembrava la sagoma di una persona, ma non riusciva a
capire in che posizione fosse.
Si
avvicinò con cautela, stupendosi, non si sa perché, di riuscire a camminare.
Quando
fu a pochi passi dalla sagoma, vide che si trattava di una donna, seduta su di
una sedia, le braccia legate dietro lo schienale.
La
veste bianca era sporca e strappata. Dall’interno delle cosce, alcuni rivoli di
sangue scendevano a formare una pozza rosso scuro sotto i piedi nudi.
Rabbrividì
d’orrore.
Si
avvicinò ancora di più, notando che la donna aveva un profondo taglio sopra il
seno sinistro. La testa era reclinata all’indietro.
Si
sporse ancora un po’ e quello che vide gli gelò il sangue nelle vene.
Il
volto di Scully, quasi irriconoscibile, era orrendamente tumefatto e ferito.
Gli
occhi erano sbarrati e vitrei.
Era
morta.
“NOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!”.
Mulder
si svegliò ansimante e sudato nella stanza d’hotel. Nelle orecchie aveva ancora
l’eco lontana del suo urlo disperato.
Si
mise a sedere, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore, cercando
di calmarsi, di rallentare i battiti frenetici del cuore.
Girò
la testa verso la finestra, e vide che le prime luci dell’alba cominciavano a
fare capolino attraverso le imposte abbassate.
Prese
alcuni respiri profondi e si impose di tranquillizzarsi.
Era
stato solo un sogno. Un terribile, maledettissimo incubo.
Ma
quella strana ansia che aveva già provato due volte da quando aveva accettato
di prendere parte a quel caso, ritornò prepotente a mozzargli il respiro.
Lentamente,
cercando di non fare rumore, si avviò verso la porta che lo separava da lei.
Sentì
il freddo pavimento sotto i piedi nudi, ma non gli importò. Aveva bisogno di
vederla, di assicurarsi che stesse bene…
Abbassò
lentamente la maniglia e aprì il battente.
La
stanza era illuminata da una lieve penombra, e il corpo di Scully era
rannicchiato sopra il materasso e gli dava le spalle.
Girò
attorno al baldacchino, perché la voleva vedere in viso. L’ansia che lo
attanagliava non se ne stava andando, anzi, si stava stratificando all’interno
della sua coscienza.
Molto
lentamente, salì sul letto, e si sdraiò al fianco della collega, il viso
rivolto verso d lei.
Dormiva
profondamente, una mano sotto il cuscino, l’altra piegata davanti al petto. Il
lenzuolo la copriva solo fino ai fianchi, e le sue spalle si alzavano e
abbassavano al ritmo del suo respiro profondo.
Sembrava
una bambina. Un’innocente creatura che, ancora, non conosceva l’orribile natura
umana, e che ancora era immune dalle sue malvagie azioni.
Mulder
le scostò delicatamente una ciocca di capelli dalla fronte, dove poi posò un
lieve bacio. Ebbe la tentazione di sfiorarle anche le labbra, ma aveva paura di
svegliarla, e non era sicuro di volerle spiegare perché si trovava lì, e quale
angosciante sensazione gli stava opprimendo il petto.
Scully
si mosse leggermente, ma non si destò. Schiuse solamente un po’ le labbra,
traendo un profondo respiro.
Mulder
rimase immobile a fissarla per un tempo indefinito, la luce dell’alba si faceva
sempre più nitida sulle pareti colo crema della camera, e, all’esterno, i
rumori di una città che si svegliava cominciarono ad arrivare attutiti al suo
orecchio. Piano, piano, il peso sul petto si allentò e Mulder scivolò nel
sonno.
Scully
cominciò a prendere coscienza della realtà lentamente. Stiracchiò piano le
gambe e aprì gli occhi.
Trattenne
a stento un urlo di spavento, quando vide la sagoma addormentatadi fronte a lei.
In
pochi istanti il suo cervello registrò il viso di Mulder e Scully si
tranquillizzò, anche se il cuore ancora batteva forte nel petto e non riusciva
a capire perché lui fosse lì.
Aggrottò
le sopracciglia, allungando una mano verso di lui. Appena sfiorò il suo braccio
nudo, si accorse che era freddo. Rimase per un attimo a riflettere se
svegliarlo o meno, poi si allungò verso il fondo del letto, srotolò la coperta
e lo coprì con cautela, per cercare di riscaldarlo.
Rimase
a fissarlo per un po’.
Una
strana sensazione la prese alla bocca dello stomaco, una specie di euforia,
mista ad agitazione. Le parve quasi di essere ritornata un’adolescente insicura
al suo primo appuntamento.
Scosse
la testa, dandosi della stupida, poi scese dal letto e andò in bagno.
Scully
sorseggiava il suo caffè bollente, seduta su una poltrona, mentre leggeva le
istruzioni sul caso che erano state recapitate da un fattorino mezzora prima,
assieme agli orecchini. Erano due semplici pendenti placcati oro. Il
segnalatore era incastrato in quello che andava al lobo sinistro, ma erano
perfettamente uguali, nessuno avrebbe potuto sospettare che in realtà
nascondevano un dispositivo di rilevamento.
Mulder
aprì la porta tra le due camere e si appoggiò allo stipite con un braccio, i
capelli scompigliati, lo sguardo assonnato.
“Ciao..”
le disse, la voce leggermente rauca.
Scully
alzò lo sguardo su di lui e gli rivolse un sorriso.
“Allora
non scherzavi ieri!”.
Mulder
la osservò perplesso, gli occhi due sottili fessure ancora addormentate.
“Scusa?”,
le chiese, scuotendo la testa.
Scully
ridacchiò. “Ieri, dopo aver visto il letto, avevi detto che saresti venuto a
farti dare il cambio a metà notte… bè, almeno hai
avuto la cortesia di non svegliarmi!”, aggiunse sorridendo.
“Ah!”,
fece Mulder sorridendo appena. Si sedette di fronte a lei e prese di buon grado
la tazza di caffè che gli offriva. Era ancora piuttosto stordito.
Sorseggiò
la sua bevanda, temporeggiando.
“Scusami…
non so neanche come spiegarti…”. Continuò a rigirarsi la tazza tra le mani,
guardando il liquido scuro sbattere contro la ceramica.
Scully
non si aspettava di vederlo così esitante. Lei l’aveva buttata sull’ironico,
anche se, comunque, non capiva perché fosse andato da lei e si fosse messo a
dormire al suo fianco.
“Ho
fatto un incubo…”, confidò Mulder dopo un po’, “… mi sono svegliato che ero
terrorizzato… avevo l’impressione che ti fosse successo qualcosa di brutto, così
sono venuto a controllare”.
Alzò
gli occhi sul viso di Scully, che aveva un’espressione indecifrabile.
“Devo
essermi addormentato mentre ti guardavo… scusa”.
Scully
rimase in silenzio ad osservare i segni della stanchezza sul viso di Mulder.
C’era qualcosa che non andava.
Sembrava
tormentato, quasi spaventato, e capì che non voleva continuare a ricordare
quello che gli era capitato durante la notte. Non insistette, gliene avrebbe
parlato quando si fosse sentito pronto.
“Bè…”, cercò allora di sdrammatizzare, “… che ti sembra? Era
comodo il letto, no?!”.
Mulder
fece una breve risata, tenendo la testa bassa, lo sguardo assorto a guardare
ancora il caffè nella tazzina.
“Si…
era comodo… Ma, toglimi una curiosità”, disse poi, animandosi un attimo e
alzando il viso per guardarla, negli occhi un lampo divertito, “Come mai non
avevi sulla faccia quel cerone verde che ti eri messa ad Arcadia?”.
Scully
inarcò un sopracciglio. “Se te lo dico poi… dovrei ucciderti!”. E sorrise divertita.
Passarono
la mattinata chini sul pacco di fogli che erano stati recapitati in camera,
soffermandosi sui passaggi che indicavano come si sarebbe svolta l’operazione
di arresto da parte di Skinner, Fowley,
McErny e circa un’altra decina di agenti, come
avevano intenzione di irrompere sulla scena del crimine e di come presumevano
si sarebbe svolto il rapimento.
Nelle
istruzioni, gli agenti preposti, si raccomandavano di recarsi all’appuntamento
utilizzando i mezzi pubblici e non l’auto, sia per evitare che i Fresty si insospettissero vedendo la targa di Washington,
sia per agevolare il sequestro di Peter e JanetteClabert.
Secondo
le poche informazioni di cui erano in possesso,infatti, erano stati invitati in
quel lounge bar per avere l’opportunità di far
ingerire loro qualche tipo di droga, o sonnifero, ad effetto ritardato.
Successivamente, avrebbero proposto di andare a mangiare in qualche ristorante
lontano dal bar, offrendosi di dar loro un passaggio visto che erano senza auto.
Durante
il tragitto, il sonnifero avrebbe fatto effetto e, incoscienti, sarebbero stati
portati nel luogo dove avevano intenzione compiere il sadico test.
Gli
agenti avrebbero seguito il segnale del rilevatore dal quartier generale
dell’FBI di New York, avrebbero atteso che i Fresty
raggiungessero il luogo adibito a scena del crimine, poi sarebbero intervenuti,
giusto in tempo per evitare danni agli agenti infiltrati, ma cogliendo gli
assassini in flagranza di reato.
Sarebbero
entrati a pistole spianate, li avrebbero ammanettati e portati in centrale. Da
lì in poi sarebbe stato compito della magistratura assicurare alla giustizia
quei pazzi criminali, e il lavoro di Mulder e Scully sarebbe finito.
Letta
così, l’operazione sembrava estremamente semplice e per nulla rischiosa, ma
quello strano senso di pericolo accompagnò Mulder per tutto il giorno, e una
morsa gli serrava il petto ogni volta che guardava Scully.
Più
di una volta il volto tumefatto e privo di vita del suo sogno andava a
sovrapporsi al viso rosato e sorridente che lei aveva nella realtà. Scuoteva la
testa per liberarsi della falsa immagine, ma l’ansia che provava non voleva
saperne di lasciarlo solo.
Quando,
verso le 6.30 di sera, lasciarono la camera per recarsi all’appuntamento,
Mulder cominciò ad essere sinceramente preoccupato. Era abituato a fidarsi dei
propri istinti e delle proprie sensazioni, e l’angoscia che lo pervadeva da tre
giorni doveva essere un segnale d’allarme che lo metteva in guardia da un
imminente pericolo. Il fatto che la sensazione si intensificava ogni volta che
pensava, guardava o toccava Scully, lo spaventava ancora di più, perché
significava che quella ad essere in maggior pericolo era lei.
E
lui non riusciva a pensare a che cosa avrebbe fatto se le fosse successo
qualcosa, se non fosse stato in grado di proteggerla…
Gli
tornò in mente quel caso a cui lei partecipò assieme a quel novellino, circa un
anno prima, quando erano ancora fuori dagli X-Files.
Ancora adesso, quando ripensava al pericolo mortale che aveva corso Scully,
quando ricordava che se ci fosse stato lui al suo fianco non l’avrebbe mai
lasciata sola, le avrebbe coperto le spalle sempre e ovunque, provava un
sentimento di rabbia cieca nei confronti di quell’agente. Fortunatamente non
avevano molte occasioni di incontrarsi, perché, tutte le volte che lo vedeva,
Mulder provava il pressante bisogno di mettergli le mani addosso.
Per
questo non sopportava l’idea di non riuscire a proteggerla. Lei era diventata
la sua ancora di salvezza, la sua connessione con il mondo. La vita senza di lei
sarebbe stata vuota e senza significato.
Per
questo, mentre attendevano l’arrivo dei Fresty in
quel freddo angolo di una New York in piena attività domenicale, le passò un
braccio attorno ai fianchi e la attirò al suo fianco, stringendola leggermente.
Voleva sentirla viva accanto a sé.
La
osservò, mentre lei si guardava intorno, cercando un segno dei Fresty, anche se erano arrivati con circa un quarto d’ora
d’anticipo.
Quella
sera aveva optato per un paio di jeans dal taglio a sigaretta, un maglioncino color
nocciola a collo alto e un cappotto nero che le arrivava sotto i fianchi.
Era
bellissima anche vestita in maniera così semplice.
Il
tempo, durante il pomeriggio, era cambiato. Nuvole sempre più fitte avevano
oscurato il cielo terso, il calore del sole aveva lasciato il posto ad un’aria
gelida e umida che penetrava nelle ossa e in quel momento, mentre il crepuscolo
stava lentamente volgendo verso la sera,
pesanti nuvole nere minacciavano pioggia.
“Che
cosa c’è Mulder?”, gli chiese Scully, sorprendendolo.
Il
suo tormento era dunque visibile? O solo lei riusciva a percepirlo, perché lo
conosceva così bene?
Decise
che era giusto metterla al corrente dei suoi dubbi.
“Scusami
se non te l’ho detto prima, è che…”, trasse un profondo respiro, “… pensavo
fosse una cosa passeggera, ma più si avvicina il momento dell’incontro con i
psicopatici, più questa sensazione mi opprime”.
Scully
si spostò per mettersi di fronte a lui, scostandosi dal calore del suo corpo,
ma Mulder non la lasciò andare. Mise anche l’altra mano attorno ai suoi fianchi
e la riavvicinò a sé, poggiando la fronte sulla sua.
“Mulder…”,
sussurrò Scully, preoccupata suo malgrado. L’aveva visto stare così male solo
quando si imbattevano in casi che avevano a che fare, in qualche modo, con la
sorella scomparsa. Non riusciva a capire cosa fosse che lo tormentava in quel
modo.
Ad
occhi estranei, Mulder sarebbe parso tranquillo e sereno, come sempre, ma per
lei era come un libro aperto, e aveva capito fin dal mattino che qualcosa in
lui non andava.
Aveva
la mascella contratta, gli occhi guardinghi e cercava il contatto con lei in
modo quasi morboso.
“E’
da venerdì, durante la riunione…”, iniziò a spiegarle Mulder, ad occhi chiusi,
la fronte ancora poggiata a quella di Scully, “… che ogni tanto mi prende una
specie di ansia, di paura… che ha a che fare con te”, e aprì gli occhi per
guardarla.
“Stanotte
ti ho sognata morta, eri ridotta in uno stato…”, chiuse di nuovo gli occhi e un
brivido gelato gli attraversò la schiena, “… e oggi questa angoscia è
insopportabile. Continuo a vederti morta!”, la strinse di più a sé.
“Ho
la sensazione che qualcosa andrà storto, che ti succederà qualcosa di
terribile… e la sola idea mi manda letteralmente in panico”.
Non
riaprì gli occhi, si limitò a serrare le labbra, come per trattenere un urlo.
Scully
gli posò le mani ai lati del viso.
“E’
stato solo un sogno Mulder”, gli disse con voce deliberatamente bassa e dolce,
“E’ normale che tu sia preoccupato, lo sono anch’io. Ma siamo protetti! Vedrai
che non ci succederà nulla di male, e che riusciremo ad assicurare alla
giustizia due criminali”.
Staccò
la fronte dalla sua e appoggiò la guancia contro il viso di Mulder,
circondandogli le spalle con le braccia e stringendolo a sé.
Mulder
non fu per nulla rassicurato dalle sue parole. Se lei avesse potuto percepire
quello che lui sentiva in quel momento, non si sarebbe sognata di dire che non
sarebbe successo nulla di male.
Aprendo
gli occhi, si accorse che i Fresty stavano arrivando
dall’altro lato della strada.
“Stanno
arrivando”, sussurrò all’orecchio di Scully, dandole un bacio sulla guancia,
anche a favore della recita.
Scully
si separò dal corpo del collega, gli dette un’ultima occhiata rassicurante e si
preparò all’incontro.
Dopo
mezzora erano ancora seduti ad un elegante tavolino in vetro all’interno del
bar, e stavano amabilmente conversando tra loro, davanti agli occhi il secondo
aperitivo della serata.
Scully
lo portò alla bocca, annusando senza farsi vedere, e le parve di sentire un
leggero odore di medicinale, ma poteva essere solo suggestione. Quel secondo
giro era stato offerto dai Fresty, che si volevano
sdebitare dei primi aperitivi, offerti da Mulder.
Era
stato Ronald ad andare al bancone a prenderli, ed era plausibile che, durante
il tragitto al tavolo, agevolato dalla folla che chiacchierava, avesse aggiunto
i sonniferi alle bibite.
“E
così le dico che era proprio un bel pigiama! Lei mi ha fulminato con lo
sguardo… mettendomi al corrente del fatto che era un vestito da sera!!!”,
concluse il suo divertente aneddoto Ronald.
Mulder
e Scully scoppiarono a ridere. C’era da ammettere che le risate con erano mai
troppo forzate, Ronald sapeva essere un ottimo intrattenitore.
Quella
sera i Fresty apparivano piuttosto stanchi. Entrambi
avevano profonde occhiaie e gli occhi erano arrossati, come se avessero passato
la notte in bianco. Ma allo stesso tempo nel loro sguardo brillava una
scintilla di eccitazione.
Mulder
trangugiò l’ultimo sorso del suo aperitivo, dopo aver preso una tartina dal
piatto di spuntini e si appoggiò allo schienale della sedia, allungando un braccio
sulle spalle di Scully.
Cominciava
a sentirsi più rilassato rispetto a prima e si chiese se l’effetto fosse dovuto
alla mano della collega poggiata sul suo ginocchio, o se era merito di qualche
tranquillizzante che aveva ingerito assieme all’aperitivo.
“Che
ne pensate di andare a mangiare qualcosa?”, propose Annebeth,
con sguardo acceso.
Mulder
e Scully si guardarono, trasmettendosi con lo sguardo parole completamente
diverse da quelle che invece pronunciarono le loro bocche.
Ovviamente
accettarono l’invito, e non si stupirono quando i Fresty
dissero loro che sarebbero andati, con la loro auto, una vecchia Volkswagen
verde bottiglia, probabilmente rubata, in un ristorantino dall’altra parte
della città.
Mulder
e Scully salirono nei sedili posteriori, ascoltando altre chiacchiere dei due
coniugi.
Dopo
un po’ sentirono la testa pesante, i rumori arrivavano alle loro orecchie
ovattati e distorti.
L’ultima
immagine che gli occhi di Mulder videro furono le luci della città scorrere
velocemente al di là del finestrino.
Mulder
dovette sbattere le palpebre alcune volte, prima di riuscire a tenere gli occhi
aperti.
Si
sentiva la testa molto pesante e la sua percezione della realtà era sfuocata e
distorta.
Lentamente,
i contorni dell’ambiente che lo circondava cominciarono a delinearsi e iniziò a
percepire un nauseante odore di chiuso e stantio, misto a un acre fetore di
urina stagnante.
Strizzando
gli occhi nella penombra della stanza, si rese conto di trovarsi in un ambiente
quadrato, piuttosto ampio, ma molto vecchio e decadente. Quattro deboli torce,
posizionate strategicamente ai quattro angoli della camera, illuminavano
sommariamente le pareti sporche e scrostate.
Alzò
gli occhi e si accorse di essere legato, per i polsi, ad una corda che pendeva
da una trave dal soffitto. I suoi sensi e le sue percezioni erano ancora
rallentate dalla droga che gli era corsa nelle vene e solo nel momento in cui
vide la sua scomoda posizione, si rese conto del dolore bruciante, dove la
corda stringeva e segnava la pelle. I piedi toccavano a malapena un pavimento
sporco e ricoperto di terriccio.
A
parte i boxer, era completamente nudo. L’aria nella stanza era fredda e umida e
il gelo gli penetrava nelle ossa, rendendo la sua situazione ancora più
spiacevole.
Girò
di scatto la testa non appena sentì un rumore provenire dalla sua destra.
Quell’angolo
non era illuminato dalle torce e dovette strizzare gli occhi per riuscire a
vedere nell’oscurità una sagoma umana che si muoveva.
Quando
le pupille si abituarono al buio, si rese conto che si trattava di Scully.
Era
seduta su di una sedia, di legno gli sembrava, e aveva le braccia immobilizzate
dietro lo schienale.
Indossava
una lunga camicia da notte bianca, con le spalline sottili, i piedi erano nudi.
Il
suo viso era voltato dalla parte opposta rispetto alla sua posizione e, per
quel che riusciva a capire, stava cercando di liberarsi dalle corde che le
stringevano i polsi.
Reprimendo
un brivido di terrore, perché la scena che gli si parava davanti agli occhi era
tragicamente simile al suo incubo della sera prima, stette in silenzio ad
ascoltare se arrivavano altri rumori, sia dall’interno, che dall’esterno.
Quando
si fu accertato che erano soli, la chiamò a bassa voce.
Scully
si voltò di scatto verso di lui.
“Mulder!”,
disse con il sollievo nella voce, “Finalmente ti sei svegliato! Stavo
cominciando a preoccuparmi”.
“Da
quanto siamo qui?”, le chiese in tono cupo.
“Io
mi sono svegliata circa 20 minuti fa, ma presumo che ci abbiamo portati qui
almeno un’ora fa… ho i piedi congelati… ”.
“Stai
bene? Sei ferita?”, le chiese.
“No,
sono solo legata a questa maledetta sedia, e… non… riesco ad… allentare… le
corde!”, sputò le parole a labbra serrate, i denti stretti, mentre cercava di
liberare i polsi.
“Da
quando sono sveglia non ho ancora avuto il piacere di vedere i Fresty…” aggiunse, “… e nemmeno i nostri…”.
Mulder
lasciò che le parole di Scully si depositassero nel suo cervello.
Stava
bene, e questa era la cosa più importante, ma non era affatto tranquillo
all’idea che quelli dell’FBI non si fossero ancora fatti vivi.
Se
era vero che li avevano pedinati fin lì, non capiva perché non li avessero già
liberati. Forse stavano aspettando il ritorno dei Fresty,
per prenderli nel momento esatto in cui avrebbero compiuto il crimine… ma
questa spiegazione non lo soddisfaceva per nulla.
La
terribile sensazione di imminente pericolo esplose con un’intensità tale nel
suo petto, da fargli quasi male. Cominciò a sudare freddo e la terribile vista
del volto senza vita di Scully tornò a sovrapporsi alle immagini reali.
C’era
qualcosa che non andava, qualcosa non funzionava… e lui era legato come un
salame e non poteva far nulla per impedire alla tragedia di avverarsi.
“Ho
ancora i miei orecchini?”, chiese Scully dal suo angolo buio.
Mulder
si sforzò di guardare, ma tutto ciò che vedeva era il colore chiaro della sua
veste e i suoi movimenti per tentare i liberarsi. I lineamenti del viso erano
confusi, c’era troppa oscurità, tutto appariva incerto e senza netti contorni.
“Prova
a voltare la testa verso la luce di una torcia, se ci riesci”, le suggerì
rendendosi conto che non sarebbe mai stato in grado di distinguere un dettaglio
piccolo come un orecchino senza una fonte, seppur minima, di luce.
Scully
mosse lentamente la testa a destra e a sinistra, tentando, nel contempo, di
spostarsi con la sedia un po’ più avanti.
Ad
un certo punto, Mulder vide un piccolo riflesso di luce brillare sul lobo
dell’orecchio destro di Scully e capì che si trattava del finto gioiello. Ma
non riusciva a capire se quello di sinistra era ancora al suo posto. Non vide
alcun bagliore, ma non significava per forza che non ci fosse, l’oscurità era
impenetrabile.
“Ho
visto quello sull’orecchio destro, l’altro non riesco a capire…”.
Scully
pregò che ci fosse, perché era proprio il sinistro che conteneva il
trasmettitore...
All’esterno
scoppiò improvvisamente un fragore assordante.
Un
tuono. Seguito subito dopo da una pioggia battente e da altri tuoni.
Scully
si immobilizzò e guardò verso il volto di Mulder, con uno sguardo tra il
preoccupato e l’infastidito.
“Che
cosa facciamo se…”, ma le parole di Scully furono interrotte da un suono di
voci provenienti dall’esterno.
Anche
Mulder le percepì esuoi nervi si
tesero, in allerta.
Ascoltarono
in un silenzio teso il suono di passi che scendevano delle scale.
Mulder
voltò la testa verso la provenienza del rumore e sul suo volto si dipinse
un’espressione di puro odio quando vide comparire Ronald Fresty,
seguito dalla moglie.
Entrambi
erano vestiti con delle tute intere, di quelle bianche di carta, usate
soprattutto dagli imbianchini, con il cappuccio alzato a coprire i capelli. Due
sacchetti di plastica azzurri coprivano le scarpe, ed erano legati alle
caviglie con del nastro isolante, mentre alle mani avevano guanti da chirurgo.
Anche la mascherina che portavano sulla bocca era del tipo utilizzato negli
ospedali.
I
grandi e glaciali occhi di Annebeth erano sbarrati e
luccicavano di eccitazione, mentre quelli di Ronald erano beffardi.
“Come
stanno i nostri gentili ospiti?”, chiese ironico, spostandosi la mascherina
sotto il mento. Poi si accorse dello sguardo assassino che gli stava rivolgendo
Mulder e scoppiò a ridere.
“Che
c’è Peter? Non ti è piaciuta la cena?”. La risata riecheggiò minacciosa tra le
pareti scrostate e un topolino, spaventato dal sinistro rumore, sgattaiolò
veloce all’interno di un provvidenziale buco nel battiscopa.
“Che
diavolo vuoi da noi?”, ruggì Mulder, guardando Ronald negli occhi, mentre si
metteva di fronte a lui.
“Nulla
di grave, non temere. Vogliamo solo capire se avete il diritto di possedere
l’amore”.
Mulder
sbarrò gli occhi. “Cosa?!”.
Annebeth
fece una risatina alle spalle del marito.
Ronald
la prese per i fianchi e la avvicinò a sé.
“Vedi…”,
disse in tono lento, come se fosse un professore alle prese con una lezione
particolarmente importante e difficile da capire, “… al mondo esistono tante
persone che dicono di amarsi, di essere innamorate della loro dolce metà, di
appartenere l’uno all’altra… ma quanti di loro dicono la verità? Quanti possono
affermare, senza ombra di dubbio, di possedere un amore incondizionato, puro e
sincero? Quanti di loro sarebbero disposti a dare tutto quello che possiedono
per quell’amore? E sai qual è la risposta?”.
Mulder
non rispose, continuò a fissarlo con gli occhi sbarrati, come se non credesse a
ciò che stava ascoltando.
“Ti
ho fatto una domanda!”, sottolineò con tono adirato Ronald, mollandogli un
ceffone in piena mascella.
Mulder
lo guardò di nuovo con odio, poi rispose che non lo sapeva.
“Pochi!
Molto pochi! Per non dire praticamente nessuno!”, e mentre pronunciava le
ultime due parole, la voce si fece più acuta, frustrata.
“Nemmeno
voi?”, chiese allora Mulder in tono beffardo.
Ronald
piegò gli angoli della bocca in un sorriso sprezzante.
Fece
un cenno ad Annebeth, che accese una grande lampada
portatile e la fissò ad un gancio arrugginito che pendeva dal centro del
soffitto.
Subito
una luce più intensa si sparse per la stanza, anche se non riusciva ad
illuminare proprio tutti i suoi decrepiti dettagli.
Scully,
che fino a quel momento, approfittando della distrazione dei Fresty, aveva continuato a torcere i polsi, strizzando gli
occhi per la luce improvvisa, si accorse di un punto della camera che prima non
aveva notato, perché era situato nell’angolo più buio.
Appena
lo vide, prese a contorcere i polsi con più foga, riuscendo in minima parte ad
allentare le corde, anche se la rabbiosa frizione le stava segando la pelle,
procurandole fitte di un bruciante dolore.
Mulder,
come lei si accorse, di quell’angolo.
Un
rigurgito acido gli salì in gola e lo stomaco si contrasse, preda del terrore.
Un
tavolino di legno, con le gambe mezze marce, si trovava nell’angolo di destra,
rispetto a Mulder. Ma non era il tavolino in sé a spaventare, bensì quello che
vi era poggiato sopra.
Una
serie di strumenti di tortura facevano bella mostra di sé, brillando minacciosi
alla luce della lampada. C’erano coltelli di varie misure, due seghe, forbici,
pinze e cesoie, uno strano oggetto che dava l’impressione di essere una siringa
di metallo, che Mulder riconobbe come un antico strumento usato durante
l’inquisizione per dilaniare i genitali alle presunte streghe, pezze di varie
misure e lacci emostatici.
“Voi
siete pazzi…” disse Mulder a voce bassa, come se l’orrore gli impedisse anche
di parlare.
“Ed
è proprio qui che vi sbagliate! Perché nessuno si sforza di capire?”, disse
Ronald, in tono leggermente frustrato.
“Capire?!”
chiese Scully. “Che cosa non capiamo? Che con quei coltelli ci farete solo il
solletico?”. Stava urlando, ma un tuono più forte degli altri sovrastò la sua
voce.
Ronald
e Annebeth si guardarono con uno sguardo complice e
particolarmente ammirato.
“Avete
del fegato”, disse rivolto a Scully, “A quest’ora gli altri avevano già iniziato
a supplicare e piangere… patetici!”, sputò, chiudendo gli occhi e scuotendo il
capo.
“Forse
siamo sulla strada giusta stavolta…” aggiunse cauta Annebeth.
“Forse…”
concesse con un sorrisetto Ronald. “Quello che nessuno capisce è che la nostra
è una missione!”, si accalorò poi, “Noi non ci divertiamo a torturare e
uccidere le persone, anzi! Ogni volta è una sofferenza rendersi conto che tutti
i nostri tentativi sono stati vani, che abbiamo incontrato solo persone
ipocrite ed egoiste che credevano di possedere l’amore e invece possedevano
solo una mera illusione. Noi saremmo i primi ad essere felici di poter asserire
che due persone si amano, che due persone meritano di vivere!”, fece una pausa,
leggermente ansimante per l’enfasi che aveva messo nel suo monologo, “Sarebbe
splendido se la gente riuscisse a superare la prova a cui viene sottoposta e dimostrasse
la forza del proprio amore! Se ci fossero più persone che si amano
sinceramente, il mondo sarebbe un posto migliore…”, concluse con voce stanca.
Ci
fu un momento di silenzio in cui Scully notò che Annebeth
aveva le lacrime agli occhi e assentiva debolmente, come a sottolineare la
profondità delle parole del marito.
La
situazione si prospettava terribilmente tragica. Come avrebbero potuto uscire
di lì illesi se non fossero arrivati quelli dell’FBI? Come potevano sperare di
riuscire ad ingannarli?
“Il
mondo sarebbe un posto migliore, se non esistessero persone come voi!”, li
provocò Mulder.
All’esterno
un tuono squarciò il silenzio teso e Ronald assunse un’espressione
terrificante.
“Direi
che possiamo cominciare”, disse con voce glaciale, rimettendosi la mascherina
sulla bocca.
Sia
lui che la moglie si diressero al tavolo con gli inquietanti strumenti, e
Ronald prese un coltello, mentre Annebeth gli accarezzava
un braccio egli sussurrava qualcosa
all’orecchio.
Quando
si voltò, guardò Mulder dritto negli occhi.
“Visto
che sei così indisponente, comincerò con la tua dorata mogliettina”, la voce di
Ronald, attutita dalla mascherina, risultava terribilmente minacciosa.
“NO!”,
gridò Mulder, allora.
Il
suo incubo cominciava a diventare sempre più reale. Non poteva credere di
essere stato lui a mandare quel pazzo assassino da Scully… sarebbe stata colpa
sua…
Non
lo poteva permettere!
“Non
ci provare! NON LA TOCCARE! O GIURO CHE TI FACCIO PENTIRE D’ESSERE NATO!”, la
voce si fece più acuta ad ogni parola.
“Ah
sì?!”, replicò in tono di scherno Ronald, mentre si posizionava dietro Scully.
“E come intendi farlo?”, e scoppiò a ridere.
Scully
non si mosse, per timore che si accorgesse che le corde erano leggermente
allentate, ma fissò intensamente Mulder. Lo conosceva bene, sapeva che per
proteggerla si sarebbe fatto ammazzare seduta sante, che avrebbe sopportato le
pene dell’inferno, purché fossero risparmiate a lei. Ma per lei era lo stesso,
non sopportava l’idea di vederlo soffrire, perciò, seppur terrorizzata, era masochisticamente sollevata all’idea che, almeno per il
momento, lui non avrebbe subito le torture.
“Non
mi interessa come e quando lo farò, figlio di puttana, ma giuro che dovrai
implorarmi di ucciderti!”. La rabbia di Mulder sembrava uscire a ondate dal suo
corpo, ma la cosa non scalfì la fredda determinazione dei Fresty
a sottoporli al loro test.
“Se
hai finito di far prendere aria alla bocca, io inizierei”, disse sprezzante
Ronald.
Annebeth
si infilò un guanto di pelle, con le nocche rinforzate, e si avvicinò a Mulder.
Era
paralizzato dal terrore, gelide gocce di sudore gli colavano dalla fronte e il
cuore gli batteva all’impazzata. Non vedeva via di scampo. Se non fosse
arrivato nessuno non sarebbe finita affatto bene.
Davanti
agli occhi continuava ad esplodergli l’immagine di Scully morta, e questo non
lo aiutava affatto a concentrarsi.
Nel
suo cuore si sentiva già rassegnato. E colpevole.
Lui
lo sapeva. Sapeva che sarebbe successo qualcosa di tragico, era stato
avvertito, aveva avuto delle visioni, eppure non aveva mosso un dito per
evitare di cadere in questa situazione.
Ronald
giocò un po’ con il coltello affilato davanti agli occhi di Scully, poi lo posò
sopra il suo seno sinistro.
“Che
ne diresti…”, chiese a Mulder, lo sguardo rivolto alla lama, “… se le tagliassi
questi splendidi e floridi seni?” e fece penetrare la punta del coltello sulla
bianca pelle, facendone fuoriuscire una minima quantità di sangue, che scese a
macchiare la veste.
Scully
chiuse gli occhi e trattenne un urlo di dolore, terrorizzata.
Mulder
serrò i denti, pronto a vomitare addosso a quel bastardo tutte le offese che
conosceva, ma il pugno chiuso di Annebeth si infranse
sulla sua mascella. Sentì chiaramente la carne della bocca tagliarsi a contatto
con i denti, e il caldo sangue inondargli la lingua.
Sputò
per terra, guardando Annebeth e ignorando il dolore
alla guancia.
Ma
si voltò di scatto verso Scully, quando la sentì sussultare.
Ronald
aveva abbassato la mano che impugnava il coltello, ma aveva infilato l’altra
nella scollatura della camicia da notte.
Con
un luccichio perfido negli occhi, disse a Mulder che aveva cambiato idea, e che
sarebbe stato un delitto sprecare tutto quel ben di Dio, e che, magari, prima
avrebbe potuto divertirsi con la sua compagna.
Dalle
labbra di Mulder esplose un ruggito rabbioso.
“NON
LA TOCCARE, LURIDO BASTARDO!”. Un altro pugno si infranse sulla sua mascella e
sputò altro sangue sul pavimento.
Ma
stavolta tentò anche di assestare un calcio alla moglie di Fresty,
che, però, fu svelta e si scansò, con un’espressione esterrefatta negli occhi,
così Mulder la colpì di striscio e senza forza alla coscia.
Si
girò a guardare Ronald e provò un perverso piacere nel vedere che si era
immobilizzato, troppo sconvolto e arrabbiato per riuscire a muoversi.
Lo
vide prendere un profondo respiro, mentre toglieva la mano dal seno di Scully.
“Non
siamo noi ad essere sotto esame, Peter”, disse con voce calma, ma terribilmente
minacciosa, “quindi non provare più a fare del male a mia moglie!”. Camminò
fino a trovarsi di fronte a Scully e le assestò tre pugni, uno di seguito
all’altro, sulla guancia sinistra.
Quando
si spostò, Mulder vide che le aveva rotto un labbro, che perdeva copiosamente
sangue lungo il mento.
Respirò
affannosamente, cercando di restare lucido per poter ragionare.
Ma
la vista di Scully col volto ferito gli mandava il cervello in tilt, l’unica
cosa che sentiva era un odio cieco e una paura soffocante.
“Ti
prego, ti prego”, disse allora, provando a cambiare tattica, in tono
supplichevole, “lasciala stare. Non farle più del male. Prenditela con me.
Fammi quello che vuoi, ma non farle più del male, ti prego”.
Vide
Ronald scambiare uno sguardo strano con Annebeth, e
vide gli occhi di Scully sbarrarsi terrorizzati.
Scosse
la testa velocemente, a dirgli di no, di non farlo, ma lui le rispose con uno
sguardo duro e risoluto.
Ormai
aveva deciso.
Preferiva
di gran lunga morire, piuttosto che sapere di averla persa.
Lei
continuò a supplicarlo con lo sguardo, gli occhi le si riempirono di lacrime
disperate che le scivolarono sulle guance e andarono a mescolarsi al sangue che
le usciva dalla bocca.
“No,
non farlo!”, gli disse infine, la voce resa rauca e debole dal taglio al labbro
e dai singhiozzi trattenuti. “Maledizione!!! Non sacrificarti per me!”, urlò
disperata.
Mulder
distolse lo sguardo, risoluto a farsi uccidere, era l’unico modo che aveva per
sperare che, nel frattempo, qualcuno capisse dove erano e le fosse risparmiata
la vita.
Ronald
e Annebeth erano ancora intenti ad osservarsi, muti,
ma Mulder era sicuro che stessero comunicando,proprio come facevano lui e
Scully, senza parlare.
Nei
loro sguardi lesse dell’incredulità, nonché della speranza, ma non era sicuro
di aver interpretato correttamente l’espressione del loro viso, era ancora
troppo sconvolto per pensare lucidamente.
Scully,
intanto, aveva ricominciato a muovere le mani, con rabbia, spinta dal terrore
cieco di vederlo morire davanti agli occhi, tra atroci sofferenze.
Non
si fermò a riflettere sul perché le sembrava impossibile riuscire a vivere
senza di lui, continuò a torcere i polsi, pregando silenziosamente che
arrivassero i soccorsi.
Ronald,
dopo aver dato un bacio a fior di labbra alla moglie, si rimise la mascherina e
andò al tavolo, dove posò il coltello e prese le pinze.
Si
fermò davanti a Mulder, negli occhi un luccichio eccitato.
Mulder
sostenne il suo sguardo penetrante.
“Saresti
davvero disposto a soffrire, a morire, per lei?”, chiese Ronald, mentre Annebeth si avvicinava con una forbice.
“Si!”,
rispose Mulder risoluto.
“Ne
sei sicuro?”, disse Ronald, prendendogli il mignolo della mano sinistra e
schiacciandoglielo con le pinze.
Mulder
trattenne un urlo, stringendo i denti, fino a sentirli scricchiolare. Fece un
respiro spezzato, poi rispose nuovamente di sì.
“Sicuro?”,
ripeté Ronald assestandogli un violento calcio alle parti basse.
Mulder
gridò, mentre un dolore pulsante, che partiva dai testicoli, gli attraversava
lo stomaco, i polmoni, il petto e gli esplodeva nel cervello.
Aprì
la bocca, per cercare di riprendere il fiato che gli era mancato durante il
colpo, e riaprì gli occhi, tremante.
“Si…”,
sibilò con voce stanca.
“Anche
se te lo tagliassi?”, la perfidia nello sguardo dell’assassino. La beffa nella
voce.
E
dicendolo gli diede un'altra potente ginocchiata.
Mulder
gridò di nuovo, il dolore raddoppiato rispetto a prima.
Gli
occhi gli si riempirono di lacrime, i polmoni si rifiutarono di ricevere aria e
sentiva il suo basso ventre come fosse avvolto da fiamme vive.
Ma
si sforzò di parlare.
“Senza…
di lei… non… me ne… farei… niente…”, riuscì infine a dire, la voce rauca e
spezzata.
Anche
se aveva gli occhi velati di lacrime, gli parve di notare una scintilla di
entusiasmo negli occhi dei Fresty, ma non ebbe tempo
di soffermarsi su di loro, perché un movimento alla sua destra lo distrasse.
Scully
era riuscita a liberarsi.
Le
urla di dolore di Mulder l’avevano colpita nel profondo, facendola sussultare e
piangere di disperazione, ma l’avevano anche resa determinata. Si era messa a
tirare senza sosta, slogandosi un polso, ma non gli importò. Quando sentì la
corda cedere del tutto sotto le dita, provò un sollievo immediato. Almeno
avrebbe potuto provare ad ucciderne uno.
Lentamente,
si arrotolò le estremità ai polsi, poi, senza fare rumore, passò la corda sul
collo di Ronald e iniziò a tirare più forte che poteva, ignorando il dolore
lancinante alla mano.
Annebeth
rimase per un attimo interdetta, e Mulder ne approfittò. Raccolse tutte le sue forze,
anche se non fu semplice muovere la gamba, e le assestò un violento calcio in
pieno stomaco.
Annebeth
cadde a terra, ansimante, lasciando cadere la forbice e portandosi le mani al
ventre.
Scully
continuava a tirare, mentre Ronald cercava di liberarsi di lei, divincolandosi
e prendendole i polsi.
Ad
un certo punto buttò indietro la testa con rabbia, ma Scully fu svelta ad
abbassarsi, perdendo, però, la presa salda sul suo collo.
Mulder
osservava la scena inerme, il dolore alle parti basse, se possibile, era
aumentato, ma quello non sarebbe stato un problema. Non aveva la possibilità di
aiutarla legato com’era!
Poi
successe tutto in fretta.
Ronald
si accasciò a terra, cercando di riprendere fiato, mentre Annebeth
si rialzava e afferrava una lunga sbarra di ferro, nascosta sotto il tavolino.
Scully era piegata sul marito, nel tentativo di strozzarlo di nuovo e non la
vide arrivare.
“NOOOOOOOOOOOO!!!”, gridò Mulder.
Scully
alzò lo sguardo appena in tempo per vedere la spranga incombere su di lei.
Si
scostò un poco, ma Mulder vide ugualmente la sbarra infrangersi sulla sua
tempia destra, dalla quale cominciò a sgorgare una notevole quantità di sangue.
“NOOOOOOOOOOO!!! SCULLYYYYY!!!”, gridò di nuovo, la disperazione e il terrore
avevano preso possesso di tutto il suo essere, mentre guardava Scully cadere a
terra, priva di sensi, come fosse al rallentatore.
Mulder
registrò solo in parte quello che gli accadeva intorno.
Annebeth
che lasciava cadere la sbarra di ferro e si portava le mani alla nuca, Ronald
che veniva ammanettato, mentre tentava ancora di respirare normalmente, le pistole
spianate, le urla degli agenti, le sirene delle volanti all’esterno …
I
suoi occhi continuavano ad essere fissi sul corpo di Scully, immobile, steso
sul freddo e sporco pavimento, il sangue che le sgorgava dalla ferita alla
tempia stava formando una piccola pozza sotto la testa e le stava imbrattando i
capelli e il volto. Dal labbro tumefatto continuava ad uscire altro liquido
scuro e denso, e l’immagine era così crudele da dilaniargli il cuore.
“Fox!”,
la voce preoccupata di Fowley gli arrivò alle orecchie
acuta come un fastidioso fischio.
Poi
il suo viso, con le sopracciglia contratte e lo sguardo allarmato, gli si parò
davanti al viso, costringendolo a tornare al presente, ad ascoltare quello che
gli succedeva attorno e a vedere il trambusto che si stavacompiendo nella stanza.
“Fox!
Stai bene?”, la voce di Fowley non faceva nulla per
nascondere la pena che provava.
Mulder
la guardò risoluto, “Liberami!”, le disse duramente, in preda ad un ansia
sempre più pressante.
Era
morta? Era ancora viva?
Perché
nessuno degli agenti che le stavano attorno diceva nulla?
Fowley
e un altro agente di cui non ricordava il nome, presero un paio di forbici dal
tavolo delle torture e tagliarono di netto la corda che lo teneva legato.
I
polsi lanciarono un muto grido di dolore quando vennero liberati e il sangue
ricominciò a scorrergli nelle vene impetuoso, provocandogli un fastidioso
formicolio lungo le braccia.
Fece
per correre da Scully, ma il dolore all’inguine si fece sentire con tutta la
sua violenza e le gambe gli cedettero, facendolo finire carponi sul pavimento.
“Fox!”,
Fowley cercò di afferrargli un braccio per aiutarlo a
rialzarsi, ma lui se la scrollò di dosso e avanzò a quattro zampe verso il
corpo della partner, sbucciandosi le ginocchia e graffiandosi i palmi delle
mani.
Ma
non gli importava nulla del dolore, l’unica cosa importante era lei.
Lei.
La salvezza della sua vita.
Lei.
Il suo angelo custode.
Lei.
Che lui non era riuscito a proteggere.
Calde
lacrime colme di rabbia e dolore si riversarono sulle sue guance, mentre una
mano si posava sulla guancia gonfia di Scully e la accarezzava dolcemente,
sporcandosi di sangue.
“Scully…”
disse piano, “Scully, rispondimi ti prego!”.
Si
avvicinò ancora di più al suo corpo esanime. Gli agenti che erano accorsi al suo
capezzale si scostarono, rispettosi del suo dolore.
“Scully!!!”,
disse a voce più alta. “Scully!!!”, continuò ad urlare senza sosta, la voce
rauca e spezzata, la disperazione che lasciava il suo corpo attraverso le
lacrime.
Ormai
non ragionava più.
Non
seppe dire perché - non si era nemmeno accertato che respirasse ancora - ma
dette per scontato che il suo sogno fosse stato premonitore e che Scully fosse
morta.
“SCULLY!!!”,
urlò per l’ennesima volta, negli occhi uno sguardo allucinato, preda di un
dolore troppo grande da sopportare.
“Fox,
calmati!”, provò a tranquillizzarlo Fowley, ma lui
non le dette ascolto.
“Mulder!”,
tuonò allora la voce imponente di Skinner, mentre si
avvicinava a lui. “Si calmi! E’ ancora viva!!! L’ambulanza sarà qui a
momenti!”.
Le
parole di Skinner si insinuarono a fatica nella
nebbia dei suoi pensieri colmi di disperazione.
Mulder
piegò la testa verso il naso di Scully e avvertì un lievissimo e appena
percettibile respiro.
Era
viva.
Era
viva!
ERA
VIVA!!!
Ma
il momentaneo sollievo provocato dalla notizia, fu scalzato da una rabbia
sorda.
“No
che non mi calmo!”, urlò rivolto verso Skinner, che
torreggiava sopra di lui. “Dove diavolo eravate finiti? Poteva morire!!!”. Il
respiro si fece affannoso nell’impeto dell’accusa.
Skinner
assunse un’espressione quasi colpevole, aprì la bocca per rispondere, ma un
flebile gemito interruppe la spiegazione.
Mulder
si voltò di scatto verso Scully e vide che muoveva debolmente le labbra, nel
tentativo di parlare, e che gli occhi sotto le palpebre ancora chiuse roteavano
velocemente.
“…
hhh… ul… er…”.
Mulder,
il cuore che gli scoppiava di mille emozioni contrastanti - dalla felicità per
vederla reagire, alla rabbia verso l’FBI - gli poggiò di nuovo una mano sulla
guancia, stando attento a non farle male, e portò il viso a pochi centimetri
dal suo.
“Sono
qui, sono qui. Shhh, non ti sforzare di parlare”,
aggiunse vedendo che lei tentava di dire qualcosa, “Tra poco ti porteranno in
ospedale. E’ tutto finito, tutto finito…”.
Scully
riuscì ad aprire leggermente le palpebre.
La
sua vista era terribilmente sfuocata, ma riuscì comunque a vedere il volto di
Mulder, che le sorrideva rassicurante.
Poi
perse nuovamente i sensi.
“Scully!”,
Mulder abbassò la testa, rughe di preoccupazione gli segnavano la fronte.
“Resisti, ti prego, resisti”.
“Agente
Mulder”, una voce di donna lo chiamò esitante.
Mulder
si voltò e vide l’agente Thompson china su di lui.
“Ronald
Fresty vorrebbe dirle una cosa…”, le guance le si
tinsero di rosso, come se si vergognasse.
Mulder
si voltò verso l’uomo ammanettato, in fianco all’agente McErny,
e gli rivolse uno sguardo carico d’odio.
“Agente
Mulder”, disse allora Fresty, con un tono di voce
secco e sincero, “mi dispiace che la sua compagna stia male… se non mi si fosse
avventata contro non sarebbe andata così”. Smise un attimo di parlare per
rivolgergli un sorriso, “Sarebbe stata la prima volta che avremmo lasciato
vivere due persone… voi lo meritavate. Forse più di quanto lo meritiamo io e
mia moglie… le chiedo perdono”. E con questo abbassò il capo e si lasciò
portare fuori dall’agente McErny.
Mulder
rimase per qualche istante immobile, concentrato a tentare di capire le parole
di Fresty, ma in lontananza si sentirono arrivare le
sirene dell’ambulanza, e Fowley gli posò una mano sul
braccio, stringendo leggermente.
Lui
si voltò a guardarla, stanco.
“Fox…”,
si rivolse a lui con voce bassa e dolce, “… dovresti farti curare anche tu. Hai
un taglio sulla guancia e il mignolo completamente nero… Lei starà bene”,
aggiunse vedendo che aveva di nuovo abbassato la testa sul viso di Scully.
Mulder
guardò di nuovo Fowley, e annuì distrattamente.
New YorkHospital
Ore 11.26 p.m.
Mulder
si incamminò con passo incerto e dolorante lungo la corsia della terapia
intensiva.
Gli
avevano fasciato il mignolo e i polsi e suturato un taglio poco fondo alla
guancia, dove ora c’era una garza bianca a proteggerla dai batteri esterni.
Il
dolore all’inguine cominciava lentamente a diminuire, ma lo percepiva ancora
vivo e pulsante.
Era
stato sottoposto ad una accurata visita urologica e il medico gli aveva
assicurato che il dolore era dovuto solo alla violenza dei colpi subiti e che
non c’erano lesioni.
“Almeno
una buona notizia…”, aveva commentato in tono disinteressato Mulder, facendo
ridere il dottore.
Quando
girò l’angolo di sinistra, vide circa a metà corridoio, la lucida pelata di Skinner.
Si
avvicinò a lui lentamente.
“Agente
Mulder”, lo salutò il vicedirettore, “Come sta?”.
“Io
bene, grazie. Lei?”, chiese voltando lo sguardo verso la vetrata dalla quale si
vedeva la stanza dov’era ricoverata Scully. In quel momento un dottore e un
infermiera stavano attorno al letto e controllavano alcuni monitor e la
cartella medica. “Le hanno detto qualcosa?”.
Skinner
scosse la testa. “Non molto, a dire il vero. Hanno detto che ha una commozione
cerebrale, ma che non è grave e che potrebbe svegliarsi presto, ma dipende da
come reagisce il suo corpo. La mascella è a posto, però le verrà un gran
livido, ed è facile che per qualche giorno non riesca ad aprire l’occhio
sinistro, e faccia fatica a parlare. Il taglio, fortunatamente, era pulito e
non si è infettato. Dobbiamo solo aspettare che trovi la forza di svegliarsi…”.
Mulder
non replicò, rimase fermo ad osservare la sagoma immobile di Scully, riparata
dalle deprimenti coperte bianche dell’ospedale.
“Si
può entrare?”, chiese dopo un po’.
“Immagino
di si, ma è meglio chiedere al dottore”.
Mulder
fece un cenno d’assenso. Sperava che lo lasciassero stare con lei per tutta la
notte. Non se la sentiva di lasciarla sola… o forse era lui che non voleva
restare solo, senza di lei.
“Ho
chiamato la sua famiglia”, disse Skinner. “Saranno
qui domani”.
Mulder
annuì.
“Mi
dice ora, per favore, cos’è andato storto qualche ora fa? Perché siamo
ricoverati in questo ospedale, vivi per miracolo?”.
Skinner
trasse un profondo respiro.
“Un
intoppo… Un maledetto intoppo!”. Si girò a guardare Scully al di là del vetro.
“Abbiamo capito che eravate saliti in macchina quando il segnale ha cominciato
a spostarsi velocemente per le vie di New York. Abbiamo fatto fatica a capire
dove volevano portarvi, perché hanno girato in tondo per un bel pezzo, forse
volevano essere certi che foste addormentati. Ad un certo punto il segnale si è
fermato alla periferia della città, abbiamo controllato il luogo esatto e,
quando abbiamo visto che corrispondeva ad una zona isolata e abbandonata siamo
saliti immediatamente sulle volanti”, si voltò di nuovo verso Mulder, che lo
osservava con espressione concentrata.
“Ma
quando eravamo già a metà strada, dall’FBI hanno chiamato comunicando che il
segnale si era rimesso in movimento. Un po’ spiazzati, ci siamo comunque recati
nel luogo dove prima vi eravate fermati, ma non abbiamo trovato nulla, nemmeno
dentro gli edifici fatiscenti. Così siamo rimasti in contatto col quartier
generale, che, a seconda delle svolte del segnale, ci indicava le strade che
dovevamo percorrere
Abbiamo
girato a vuoto per un bel pezzo, prima che ci venisse comunicato che i Fresty si erano fermati. Siamo corsi sul luogo indicato, e
abbiamo trovato l’auto”, abbassò un attimo il capo, passandosi una mano sulla
testa calva.
“Nell’auto
abbiamo trovato i vostri vestiti… l’orecchino col segnalatore era rimasto
impigliato nel maglione di Scully. Ci trovavamo in una zona disabitata, c’erano
due edifici abbandonati, ma risultarono vuoti”.
Alzò
di nuovo il viso su Mulder. “Mi creda, ero sconvolto. Ero terrorizzato all’idea
di lasciarvi soli nelle mani di quei due pazzi, ma non sapevamo dove foste! Non
avevamo nemmeno idea di cosa i Fresty avessero fatto.
Dove eravate? Quando vi avevano tirati fuori dall’auto? Chi aveva portato
l’auto in quel punto? Mille domande senza risposta”.
Mulder
si passò la lingua sulle labbra secche.
“Abbiamo
brancolato nel buio non so nemmeno io per quanto. L’agente Fowley
continuava a fare congetture, a cercare di capire dove poteste essere, ma tutte
le idee si rivelavano infruttuose. Ad un certo punto hanno chiamato dall’FBI,
dicendoci che avevano ricevuto una chiamata anonima, nella quale si diceva che
dall’altra parte della città, in un edificio fatiscente, avevano sentito
qualcuno gridare.
Poteva
essere qualunque cosa, due drogati, due barboni che litigavano, qualunque cosa,
ma pensammo che valeva comunque la pena andare a dare un’occhiata… e abbiamo
avuto fortuna… se così si può dire… Ci siamo resi conto di essere sulla strada
giusta quando abbiamo visto un’auto che risultava rubata davanti ad una
palazzina. Voi eravate nella cantina.”
Skinner
appariva stanco e provato e Mulder lo fissò per qualche istante, prima di posargli
una mano sulla spalla, in segno di comprensione.
“Non
me la sento di dirle che non fa niente, ma non si prenda colpe che non ha.
Nessuno poteva prevedere che tutto sarebbe andato a monte per un imprevisto
così stupido”.
Interruppero
la loro conversazione, perché l’infermiera e il dottore uscirono dalla stanza.
“Dottore!”,
lo bloccò Mulder, “Come sta?”.
“Le
sue condizioni sono stabili, il che, per la brutta ferita riportata, è un buon segno.
I valori del sangue sono nella norma e Dana mi sembra una donna forte, vedrà
che si sveglierà presto”, aggiunse con un sorriso rassicurante.
“Posso
rimanere con lei?”, chiese con fare remissivo, quasi volesse implorarlo di
dargli il permesso.
Il
dottore lo osservò per un attimo, soffermandosi sulle varie bende che gli
fasciavano il corpo.
“Sto
bene”, disse Mulder, anticipando la domanda del medico.
“Penso
che non ci siano problemi. Ma mi raccomando”, e sottolineò le parole on sguardo
severo, “Mi chiami se nota qualcosa di strano in Dana, e se lei si sente stanco
vada a riposare. E’ in buone mani!”.
Mulder
annuì secco. Si congedò in fretta da Skinner, che
declinò l’invito ad entrare, asserendo che doveva andare al dipartimento per
l’interrogatorio ai Fresty.
Mulder
varcò la porta, lasciandosi alle spalle il corridoio asettico e silenzioso.
Prese
una sedia e si sedette vicino al letto, prendendo le dita di Scully tra le sue.
I
polsi erano bendati, uno era stretto in una fascia elastica, e Mulder li accarezzò
dolcemente con il pollice.
La
guardò in viso e si sforzò di sorriderle, anche se lei non poteva vederlo.
La
guancia sinistra,già gonfia, aveva cominciato ad assumere un colorito violaceo.
L’occhio era già piuttosto nero e il labbro aveva un brutto taglio rimarginato
che la faceva apparire imbronciata.
Attorno
alla testa le girava una benda bianca, un’ombra più scura si stava allargando
nel punto dell’impatto con la spranga. Mulder rabbrividì leggermente al ricordo
del suo corpo che cadeva…
Mosse
l’altra mano ad accarezzarle i capelli umidi, evidentemente avevano ripulito il
sangue rappreso con una pezza bagnata.
Non
le parlò, non serviva. A lui bastava soltanto stare accanto a lei, farle
sentire la sua presenza, sperando di vederla riaprire gli splendidi occhi blu
al più presto.
New YorkHospital
Ore1.36
a.m.
Mulder
voltò il viso verso la finestra della stanza, quando sentì due piccoli colpi di
nocca contro il vetro.
Fowley
gli fece cenno di uscire.
Seppur
riluttante, Mulder lasciò la mano di Scully e andò nel corridoio, camminando
con le gambe leggermente aperte.
“Come
stai?”, gli chiese Fowley a bassa voce.
“Meglio,
grazie. Cosa ci fai qui, a quest’ora?”, le chiese incuriosito.
“Sono
stata fino a poco fa al dipartimento ad interrogare i Fresty,
ma ero in pensiero per te, così appena mi sono liberata, sono venuta qui”. Lo
osservò attentamente, nell’espressione una dolcezza che non ricordava di averle
visto in viso da molto tempo. “Sembri stanco”, aggiunse passandogli una mano
sulla guancia libera dalla garza.
“Non
così tanto”, replicò Mulder, dando una rapida occhiata al corpo immobile di
Scully.
Fowley
abbassò la mano e sospirò, un suono leggermente rassegnato.
“Come
sta Scully?”, chiese girandosi anche lei verso il vetro.
“Stabile…”,
rispose Mulder, “Dicono che dovrebbe svegliarsi presto e che la commozione
cerebrale dovrebbe ritirarsi nel giro di pochi giorni… ma ancora è
incosciente…”.
“Fox”,
disse allora Fowley, prendendogli una mano tra le
sue, “Abbi pazienza. Ha preso una bella botta, è già molto che dicano che sta
bene, lasciale il tempo di riprendere le forze”.
Mulder
osservò in silenzio la sua mano tra quelle di Diana, poi, lentamente, sciolse
il contatto. Non sapeva bene perché l’aveva fatto, in fondo lei stava solo cercando
di confortarlo, ma si era sentito a disagio, come se le mani che lo toccavano
fossero quelle sbagliate.
Fowley
assunse uno sguardo ferito.
Mulder,
per non dover dare troppe spiegazione al suo gesto – non aveva proprio voglia
di mettersi a discutere con lei di argomenti spinosi – le chiese
dell’interrogatorio ai Fresty.
“Hanno
confessato tutto senza problemi”, spiegò Diana. “Sono convinti di aver agito
nel migliore dei modi”, scosse la testa, “Dicono che sapevano che prima o poi
sarebbero stati arrestati, ma che hanno fatto del loro meglio per riuscire a
trovare l’amore nel mondo. Devo dire che hanno parlato in modo così cristallino
e sincero, che ti veniva voglia di credere che quello che hanno fatto fosse in
nome di qualcosa di superiore…”.
Mulder
rifletté un attimo sulle parole di Diana. Anche lui aveva avuto l’impressione
che la loro pazzia e il loro sadismo fossero mossi dalla profonda convinzione
di riuscire a salvare il mondo dall’odio.
“Ci
hanno raccontato che vi hanno drogati e poi portati in auto, girando per un po’
a vuoto, per la loro sicurezza e per essere certi che foste completamente
addormentati, prima di fermarsi davanti in quella zona abbandonata, dove c’era
un’altra auto che avevano rubato la notte precedente, una vecchia Ford nera.
Vi
hanno spogliati e trasportati nell’altra macchina. Poi Ronald si è messo alla
guida della Ford, e vi ha portati nell’edificio abbandonato dove poi vi abbiamo
trovati, mentre Annebeth ha girato a vuoto, fino a
quando Ronald non l’ha chiamata con un cellulare, sempre rubato, e le ha detto
che stava arrivando. Si sono dati appuntamento dove abbiamo trovato l’auto con
i vostri vestiti, poi sono venuti insieme da voi. Il resto… lo sai meglio tu…”,
accennò un sorrisetto, per sdrammatizzare, ma quello che le uscì fu più che
altro una smorfia di dolore. E posò nuovamente le mani sulle sue.
Mulder,
dopo la spiegazione, capì perché i Fresty li avevano
lasciati soli così tanto tempo: si stavano ricongiungendo, dopo aver sistemato
loro due per bene, a chissà quanti km di distanza.
Quello
che era successo non era stata una mancanza da parte di nessuno. Se
quell’orecchino non si fosse impigliato nel maglione, loro non avrebbero corso
alcun pericolo.
Eppure
non riusciva a non provare un fastidioso senso di colpa. I suoi sogni, le sue
paure, avevano cercato di avvertirlo, di fargli capire che sarebbe successo
qualcosa di spiacevole, ma, evidentemente, non aveva dato abbastanza peso alla
cosa. Probabilmente avrebbe dovuto intervenire in qualche modo, togliersi
dall’operazione, controllare meglio i dettagli, stare più attento a Scully. Si
era spaventato, aveva capito che quelle visioni non gli erano arrivate per
caso, ma non ne era stato abbastanza colpito. Non aveva creduto fino in fondo
alle loro previsioni.
Per
una volta in vita sua aveva dato poco credito ad un fenomeno di preveggenza, e
aveva dovuto pentirsene.
Sorrise
tra sé e sé. L’avrebbe detto a Scully appena si fosse svegliata: “Vedi? Credere conviene sempre!”.
Si
immaginò l’espressione scettica e divertita con cui l’avrebbe guardato.
“Che
cosa c’è da sorridere?”, gli chiese Fowley, sperando
che il suo sguardo, per un momento sereno, fosse dovuto al suo goffo tentativo
di rassicurarlo.
“Niente”,
rispose Mulder guardandola, l’ombra del sorriso che ancora aleggiava sulle sue
labbra, “pensavo a una cosa”.
Mulder
scosse la testa. “Era una scemenza… Niente di che”.
Fowley
tolse le mani e assunse uno sguardo rassegnato.
Mulder
tornò a guardare al di là del vetro.
“Tieni
tanto a lei, vero?”, esordì Fowley dopo qualche
minuto di silenzio, in cui entrambi si erano persi nei propri pensieri.
Mulder
si voltò lentamente verso di lei, nello sguardo un’espressione stupita.
“Certo
che tengo a lei! E’ la mia collega, e amica, soprattutto”, disse con una nota
acida nella voce.
Fowley
scosse la testa. “Ma tu tieni a lei molto di più di quanto si tiene ad una
collega… o ad una amica”, sottolineò.
Mulder
la fissò con un’espressione assorta.
“Dove
vuoi andare a parare?”.
“Da
nessuna parte, Fox, sto solo dicendoti quello di cui tu non ti sei ancora reso
conto… o non vuoi accettare”.
Mulder
avvertì una stretta alla base dello stomaco, una sensazione strana, come se
fosse spaventato da quello che gli stava per essere rivelato, ma allo stesso
tempo ne fosse completamente consapevole… e felice.
Piegò
leggermente la testa di lato e fissò Diana, cercando di capire cosa gli stava
dicendo, ma vide solo due occhi scuri fissarlo di rimando, null’altro.
Fowley
si girò a guardare la sagoma immobile di Scully al di là del vetro.
“Vedo
come la guardi… sono gli stessi occhi con cui guardavi me una volta… anzi”,
aggiunse abbassando il capo, “… ammetto che sono molto più luminosi”.
Mulder
aggrottò le sopracciglia. Vide gli occhi di Diana diventare lucidi, ma non si
mosse. Si sentiva terribilmente a disagio, non voleva farla star male, ma non
capiva nemmeno perché lei stesse soffrendo.
Tra
loro era finita da un pezzo ma, dalle sue parole, trapelava una sofferenza
antica, una gelosia immotivata. Mulder sospirò.
Diana
lo guardò, gli occhi ancora lucidi.
“Tu
sei innamorato di lei…”. Le sue parole, seppur sussurrate, uscirono in maniera
dolorosamente diretta e Mulder ebbe un tuffo al cuore.
Quel
pensiero che aveva attecchito nel suo cervello quasi 24 ore prima, crebbe a
dismisura e occupò ogni suo pensiero razionale.
Ma
la paura esplose prepotente nelle sue viscere e gli fece scuotere la testa.
Fowley lo fissò intensamente, poi gli dette un bacio sulla
guancia sana e se ne andò, lasciandolo, fermo immobile, nel corridoio.
Mulder
stava guardando il viso di Scully, ancora immobile.
Quando
era rientrato in camera, poche ore prima, aveva fatto in modo di lasciarsi dietro
le spalle la verità con la quale Diana l’aveva costretto a scendere a patti.
Non
se l’era sentita di smentirla completamente, almeno non con sé stesso. Era da
troppo tempo che il pensiero di Scully occupava le sue giornate, troppe volte
lei aveva abitato i suoi sogni, troppe ore erano state spese nell’idea di lei,
per poter negare che il suo sentimento si fermasse all’amicizia.
Ma
aveva scelto di non fare nulla. Troppe variabili erano in gioco nel loro
rapporto e la paura di perderla, la paura di non essere corrisposto, avevano
scelto per lui.
Non
avrebbe cambiato nulla nel rapporto con Scully. Il suo sentimento avrebbe
vissuto solo nella sua testa, nel suo cuore, nella sua anima.
Era
codardo? Forse, ma, per ora, si sentiva più al sicuro ad agire così.
Ma
si permise di cullarsi nel vivo ricordo di quel bacio. Lei l’aveva corrisposto
con tutta la sua folgorante passione, ma cosa lo rendeva così certo che non
fosse stato un momento di debolezza, di follia? Nulla.
Un
movimento impercettibile solleticò il palmo della sua mano.
Il
ricordo evaporò come una nuvoletta di fumo e Mulder si sporse verso Scully,
stringendole delicatamente le dita.
“Scully…
Scully, mi senti?”, chiese a bassa voce.
Un
altro movimento sotto la sua mano.
Mulder
sorrise felice.
“Sono
qui, Scully. Mi senti?”.
Le
palpebre fremettero e le labbra si mossero.
Mulder
si alzò dalla sedia e si sedette sul bordo del letto.
Sempre
tenendo la mano di Scully stretta nella sua, si sporse verso il suo viso e le
posò l’altra mano sulla guancia senza lividi.
Mosse
impercettibilmente il pollice ad accarezzarle la tiepida pelle.
Molto
lentamente la palpebra destra di Scully si aprì, l’altra era troppo gonfia e
rimase chiusa. La fece sbattere un paio di volte, cercando di mettere a fuoco
il volto di Mulder.
“Scully”,
disse di nuovo lui con voce allegra e sollevata.
Lei
si inumidì le labbra e cercò di dire il suo nome, ma le uscì soltanto un suono
rauco e scoordinato.
“Shhh, non ti sforzare troppo”, le rivolse un sorriso
radioso, “Ora chiamo il dottore, ok?”.
Lei
fece un cenno affermativo col capo, e Mulder si diresse verso il pulsante per
chiamare il personale medico.
Il
dottore e l’infermiera si trattennero in camera per almeno un quarto d’ora,
mentre Mulder camminava su e giù per il corridoio, fremente.
Quando
gli dettero il permesso di ritornare in camera gli assicurarono che le sue
condizioni erano ottimali, che era in grado di capire quello che gli si diceva
e che riusciva a farsi capire, anche se la voce era debole e il labbro gonfio
le impediva di articolare perfettamente le parole. Gli raccomandarono anche di
non stancarla troppo; ora che si era svegliata ed era fuori pericolo, aveva il
diritto di riposare tranquillamente.
Quando
ritornò in camera e si sedette sul bordo del letto, in fianco a lei, Scully gli
rivolse unvago e buffo sorriso. Lui le
rispose raggiante, le prese una mano e se la portò alle labbra.
“Bentornata!”,
la canzonò, “Cominciavo a pensare che stessi troppo bene nel mondo dei sogni e
che non volessi più tornare tra noi!”.
Scully
accentuò il sorriso, poi si inumidì le labbra.
“No…
sto meglio qui”, la voce era bassa e debole, leggermente roca e Mulder dovette
chinarsi verso di lei per riuscire a sentirla.
“Come
ti senti?”, le chiese dolcemente, passandole una mano sui capelli, stando attento
a non toccare la tempia ferita.
Scully
fece una specie di smorfia, si inumidì di nuovo le labbra e prese un respiro.
“Stordita…
e mi sento debole, ma non mi posso lamentare”, piegò le labbra in una smorfia.
Rimasero
qualche minuto in silenzio. Mulder non voleva farla stancare troppo, e poi era
felice solo vedendo di nuovo i suoi occhi blu scrutarlo, espressivi. O meglio,
il suo occhio. Sentì una stretta al petto pensando al dolore che doveva provare
se non riusciva a tenere aperti entrambi.
Continuò
ad accarezzarle i capelli, dolcemente. Lei raccolse tutte le sue forze e
strinse la mano di Mulder.
Si
sentiva estremamente debole e confusa, ma era felice di essere in sua
compagnia. Si considerava ingiusta verso la sua famiglia, ma nemmeno la vista
di sua madre o dei suoi fratelli, l’avrebbe resa così tranquilla e serena
quanto la vista di Mulder al suo capezzale.
Lui
era molto protettivo e immaginò avesse fatto il diavolo a quattro quando li
avevano portati in ospedale. Immaginò che, almeno inizialmente, si fosse
rifiutato di farsi medicare per restare accanto a lei.
Aveva
un vago ricordo della sua voce disperata, quando era stesa su quel freddo
pavimento. Era stata quella voce profonda e spaventata, che chiamava il suo
cognome, a riportarla alla realtà per pochi istanti. Era come se il suo corpo
avesse reagito al suo urlo di dolore, come se avesse sentito il bisogno, il
desiderio, di rassicurarlo almeno per un momento, di fargli sapere che era viva
e che avrebbe lottato… fosse solo per non fare un torto a lui.
Raccolse
di nuovo a rapporto tutte le sue forze e alzò la mano a toccare la garza sulla
guancia di Mulder.
“Tu
come stai?”, gli chiese, schiarendosi la voce.
“Niente
di serio! Due cerotti e sono come nuovo!”.
“E…
là sotto?”, gli chiese con un sorrisetto. Le guance presero un po’ di colore.
“Oh…”,
Mulder fece spallucce, “Neanche questa volta riuscirò ad entrare nel coro delle
voci bianche!”.
Scully
rise. Fu una risata spezzata, roca e flebile, ma per Mulder fu un suono
bellissimo.
Le
rispose sollevando un angolo della bocca, un sorriso sghembo che lo fece
apparire, agli occhi di Scully, come un ragazzino che ha appena combinato una
marachella.
“Che
ore sono?”, chiese Scully dopo un po’.
Mulder
dette una rapida occhiata alla finestra, che aveva le imposte abbassate.
“Sono
le 5 e poco più. Vuoi vedere l’alba?” le chiese galante.
Lei
lo fissò un momento, poi annuì leggermente col capo.
Mulder
si alzò e aprì un po’ le imposte, lasciando entrare nella stanza in penombra,
la tenue luce di un sole primaverile che nasceva. Scully strizzò per un attimo
la palpebra, ma poi aprì gli occhi verso l’immagine che simboleggiava, per
eccellenza, la vita.
“Troppa
luce?”, le chiese Mulder.
Lei
scosse la testa. Era bello vedere le cose intorno a sé inondate del tenue bagliore
di una giornata ai suoi albori.
Mulder
tornò da lei.
“Non
sei stanco?”, gli chiese.
“Un
po’ si… ma non mi muovo di qui, quindi non sforzarti a dirmi di andarmene”.
Alle
parole di Mulder, la Scully medico storse la bocca, non era saggio che, seppur ferito
lievemente, perdesse ore preziose di sonno; aveva bisogno di riprendere le
forze. Ma la Scully donna tirò un sospiro di sollievo.
Era
stupido, ma non aveva voglia di rimanere sola, o meglio, non aveva voglia di
separarsi da Mulder. Le piaceva immensamente il senso di protezione e di calore
che lui era sempre riuscito a trasmetterle, e in quel frangente, lo apprezzava
più che mai.
Mulder
tornò a sedersi sulla scomoda sedia di metallo e plastica e le riprese le dita
tra le sue.
Lei
girò la testa verso di lui e le sfuggì un gemito, seguito da una smorfia di
dolore.
Mulder
sfoggiò un’ espressione preoccupata e dispiaciuta. “Forse restare qui è
egoistico da parte mia… ti sto stancando troppo… ”. Ma lei cercò di
rassicuralo, almeno in parte. “Colpa mia. Ho girato la testa troppo in fretta.
Resta un altro po’ per favore…”.
Mulder
la guardò con uno sguardo poco convinto “Il medico si è raccomandato di non
stancarti”.
“Non
mi stai stancando… e poi te l’ho chiesto io… e i desideri di un malato vanno
esauditi”, concluse con una debole alzata di spalle.
“Viziata!”.
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, poi Scully prese un respiro e gli fece una
domanda.
“Posso
sapere… che cosa significava la frase che hai detto a Ronald?”.
Mulder
aggrottò le sopracciglia. “Quale?”.
“Cito
testuale”, e si inumidì di nuovo le labbra, riprendendo fiato, “Non me ne farei
nulla senza di lei…”, e piegò gli angoli della bocca in un sorriso che voleva
essere malizioso.
“Ah,
già…”, Mulder distolse lo sguardo. “Ho solo pensato che un uomo innamorato
della sua donna avrebbe risposto così…”.
Scully
aggrottò le sopracciglia, soffocando una smorfia di dolore, per non
preoccuparlo.
“Sai…”
gli disse seriamente, “… per quanto innamorato, non credo proprio che un uomo
avrebbe acconsentito a farselo tagliare così, di punto in bianco…”.
Mulder
la guardò intensamente. “Se si fosse rivelato necessario per salvarti la vita…
ma non credo che saremmo arrivati a tanto…”.
“In
che senso?”, chiese lei, il cuore che le batteva a mille per quello che Mulder
le aveva appena detto.
“Prima
di essere portato via, Ronald ha voluto farmi sapere che, se tu non l’avessi
attaccato, ci avrebbe lasciati andare… Ha detto che saremmo stati le prime due
persone che reputavano meritevoli di continuare a vivere… forse più di quanto
lo meritavano loro… come coppia…”.
Scully
assunse un’espressione stupita. “Vuoi dire che eravamo riusciti a ingannarli?
Non c’avrei mai sperato…”.
Mulder
la guardò con occhi strani, come se non fosse d’accordo con l’idea di Scully
che a convincerli fosse stata la loro recita, bensì qualcos’altro, ma non fosse
propenso a condividere con lei le sue reali supposizioni.
Scully
si mise a riflettere sulle parole che Ronald Fresty
aveva detto a Mulder, ma dopo un po’ le palpebre cominciarono a farsi pesanti e
non riuscì a trattenere uno sbadiglio, che le procurò una fitta di dolore al
labbro ferito e alla guancia tumefatta.
Mulder
le passò la mano sui capelli. “Riposa un po’, ora. Avremmo tempo per parlare di
questo”, le disse con voce bassa e tenera.
Lei
lo guardò per un attimo, poi chiuse gli occhi e sospirò.
Mulder
si allungò a darle un bacio leggero sulla guancia sana.
Poggiò
le braccia sulla sponda del letto e vi appoggiò il mento.
Rimase
a guardarla abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, mentre la stanchezza
cominciava a pervadere tutto il suo corpo. Le palpebre cominciarono a farsi
sempre più pesanti e scivolò nel sonno senza accorgersene, mentre un cielo
limpido e chiaro faceva capolino dalle fessure dell’imposta.
Dormì
un sonno senza incubi, né sogni.
Un
sonno un po’ nebuloso, ma sereno e senza preoccupazioni.
Scully
stava scaldando dell’acqua sul fornello. Una bustina di camomilla attendeva di essere
messa in infusione, solitaria, sul ripiano della cucina. Indossava il suo
morbido accappatoio bianco di spugna e aveva intenzione di passare la serata
stesa in divano a guardare un po’ di tv, prima di buttarsi a letto, tra le
familiare e morbide coperte che non vedeva da più di sette giorni.
Era
tornata a casa quella stessa mattina. Mulder l’aveva accompagnata, non
fidandosi a lasciarla sola.
Aveva
passato tutta la precedente settimana nell’ospedale di New York, sotto stretta
osservazione dei medici, di Mulder, di sua madre e di Charlie.
I
suoi familiari erano arrivati la mattina seguente alla disavventura, scusandosi
per Bill e Tara che non erano riusciti a trovare qualcuno che tenesse loro la
bambina mentre erano via.
Sua
madrel’aveva osservata per tutto il
tempo con un’espressione sconvolta sul volto e aveva continuato a chiederle se
era certa di sentirsi bene, mentre guardava con occhi lucidi i lividi e i
gonfiori sul viso della figlia.
Mentre
Charlie non aveva fatto altro che sparare battute a raffica nel tentativo di
distrarre la madre e Scully stessa. I suoi tentativi erano stati sicuramente
apprezzabili, ma non avevano fatto altro che irritare ancora di più la madre,
mentre Scully, che si era sinceramente divertita ascoltando le ironiche parole
del fratello, era riuscita a ridere a tratti, perché la faccia le doleva per
ogni movimento.
I
primi tre giorni, i medici l’avevano obbligata a letto, con suo grande
disappunto, ma erano stati irremovibili. Aveva potuto iniziare a camminare da
sola, almeno per andare in bagno, a partire dal quarto giorno. Sua madre
l’aveva tenuta sempre d’occhio, con sguardi severi e preoccupati, ma Scully non
le aveva prestato molta attenzione. Aveva continuato a ripetere all’infinito a
tutti che si sentiva bene - almeno per quanto si può sentire bene una persona
che ha ricevuto una botta in piena tempia, che le ha provocato una commozione
cerebrale – ma sembrava che nessuno le avesse creduto fino in fondo.
Avevano
continuato tutti a trattarla come una bambina bisognosa di cure e la cosa, dopo
qualche giorno, aveva cominciato a irritarla parecchio, fu per quello che la
sera precedente, aveva gongolato silenziosamente, perché era riuscita a
convincere il suo medico a mandarla a casa, con la promessa di non ritornare
subito al lavoro e di strapazzarsi poco.
Scully
aveva accettato senza troppi tentennamenti. Da medico qual’era, sapeva che
avrebbe dovuto riposarsi e sottoporsi ad alcuni controlli per qualche tempo, ma
l’idea di potersene ritornare a casa, nel suo ambiente, l’aveva resa euforica.
Ma
ora, sola tra le familiari mura, si sentiva vulnerabile e a disagio. E non
riusciva a capire perché.
Uno
psicologo, probabilmente, avrebbe dato la colpa alla brutta esperienza che
aveva appena vissuto, ma lei non era del tutto certa che fosse l’unico motivo.
Di brutte esperienze, in sei anni di X Files, ne aveva fatte parecchie, se
avesse dovuto essersi sentita così tutte le volte, ormai non avrebbe avuto
nemmeno più il coraggio di fare due passi da sola.
Era
vero che questa era stata un’esperienza diversa dal solito, non li aveva
segnati soltanto nel fisico, ma anche nello spirito. Le parole che Ronald
Fresty aveva detto a Mulder, in quella maledetta cantina, sottintendevano
qualcosa che lei non aveva il coraggio di affrontare.
Nei
giorni passati in ospedale, Mulder non ne aveva più fatto parola, e lei si era
ben guardata dal tirare fuori l’argomento. Aveva la netta impressione che lui
non fosse molto propenso a parlarne.
E
se lei aveva interpretato correttamente il significato recondito di quelle
parole, come probabilmente lo aveva interpretato Mulder, capiva perfettamente
perché non avesse più cercato di riflettere con lei sulla questione, e di
questo era contenta. Non avrebbe saputo con che faccia affrontare un argomento
così delicato, che implicava una profonda indagine dei loro sentimenti più
intimi e inconfessati.
Un
bussare sommesso alla porta la distolse dalle sue congetture.
Andò
ad aprire, senza guardare dallo spioncino, tanto sapeva che era Mulder, le
aveva detto che sarebbe passato a vedere come stava.
Lo
fece accomodare, chiudendosi istintivamente con le dita la scollatura
dell’accappatoio.
“Ciao!
Come stai?”, le chiese appena entrato in casa.
“Mulder,
sono sette giorni che non pronunci altre parole”, gli disse in tono ironico,
“Stai diventando monotono”.
Lui
fece spallucce. “Come stai?”.
“Bene…”,
rispose allora Scully in tono accondiscendente, sbuffando leggermente.
Mulder
la osservò. Il livido sulla guancia era diventato di una sfumatura giallognola,
ma il gonfiore si era sicuramente attenuato. Il labbro aveva ripreso la sua
dimensione normale, restava solo una brutta cicatrice a ricordare il taglio.
L’occhio, invece, si era sgonfiato come la guancia, ma era ancora piuttosto
tumefatto e Scully faceva ancora fatica ad aprirlo del tutto.
Attorno
alla tempia non aveva più la fasciatura, ma un semplice quadrato di garza che
le copriva e proteggeva la ferita. Ora era perfettamente bianca e pulita, e
Mulder sospirò tra sé e sé, perché la paura dei medici era che la ferita si
riaprisse e ricominciasse a sanguinare.
Era
accaduto il secondo giorno di degenza.
Era
andato in hotel per una doccia veloce e, quando era ritornato in ospedale,
aveva visto la madre di Scully ferma in corridoio, i denti che tormentavano le unghie,
in uno stato di evidente preoccupazione. I punti di sutura avevano ceduto e la
ferita alla tempia di Scully aveva ripreso a sanguinare copiosamente, tanto che
i medici si erano chiesti se non fosse il caso di farle una trasfusione, per
aiutarla a ricostituire un numero adeguato di piastrine, per la coagulazione
del sangue.
Fortunatamente
non si era rivelato necessario e la ferita non si era più riaperta, ma la paura
di Mulder riguardava il suo ritorno a casa. Temeva che il trambusto avrebbe
potuto provocare un altro trauma, in fondo lei non si era ancora rimessa
completamente in forze, ma fu felice di constatare che i suoi timori erano
infondati.
Scully
appariva in buone condizioni, un po’ provata e stanca di sicuro, ma comunque
serena e rilassata. Probabilmente l’aria di casa stava giovando alla sua
convalescenza.
“Mi
stavo preparando una camomilla. Ne vuoi una?”. Scully lo riscosse dai suoi
pensieri, dirigendosi verso la cucina e tirando via dal fuoco una teiera
fumante
“Basta
che poi non mi addormenti al volante…”, rispose con il suo solito tono
canzonatorio. “Vuoi una mano?”, aggiunse avvicinandosi a lei.
“No,
grazie… direi che posso ricominciare a cavarmela da sola, no?”, nelle parole
c’era dell’ironia, ma anche una punta di frustrazione. Non le piaceva affatto
sentirsi così controllata in ogni suo movimento, era abituata ad essere una
donna adulta ed indipendente e tutte quelle attenzione morbose le stavano dando
ai nervi. Era vero che lui lo faceva col cuore, perché teneva a lei e alla sua
sicurezza, ma a volte aveva l’impressione di soffocare.
Si
sedettero al tavolo e sorseggiarono la bevanda bollente.
“Sai…”,
disse Scully! “… oggi pomeriggio è passato a trovarmi Skinner…”.
Mulder
deglutì e posò la tazza sul piattino. “Cosa voleva?”.
“Sapere
come mi sentivo, principalmente. Ma poi mi ha informata sul caso dei Fresty”,
prese un altro sorso di camomilla, “Mi ha detto che sono detenuti
provvisoriamente nel carcere di New York e che il loro processo è previsto tra
tre mesi, nei quali contano di raccogliere più prove possibili per avvalorare
la loro confessione. Sperano di riuscire ad ottenere l’ergastolo… anche se
Skinner era più propenso per un esecuzione capitale”, sorrise leggermente alle
sue ultime parole.
Mulder
alzò un sopracciglio. “Davvero? Non credevo che Skinner fosse un fervente
sostenitore della pena di morte”.
“Infatti
non lo è… credo che in questo caso giochi un ruolo importante la rabbia nei
loro confronti per averci messi in pericolo. Forse è un modo contorto di
sentirsi meno in colpa per non essere venuto in nostro aiuto subito…”.
Mulder
finì la sua camomilla e iniziò a raccontarle di un caso in cui si era
imbattuto.
Luiera rientrato in ufficio la mattina stessa,
dopo averla accompagnata a casa, e aveva iniziato a sistemare un po’ di scartoffie,
quando gli era balzato agli occhi un caso risalente al 1956, che non era mai
stato risolto. Le raccontò i dettagli, le indagini, i risultati delle autopsie
e disse, limpidamente, che secondo lui era stata una bella gatta da pelare, per
quegli anni, perché implicava la presenza di fenomeni paranormali, come il
poltergeist e lo spiritismo. Scully sorrise e gli rispose che secondo lei una
spiegazione razionale avrebbe sicuramente potuto risolverlo senza tanti
problemi.
Con
una punta di soddisfazione, Mulder la indusse a ragionare assieme a lui al
caso, scuotendo rassegnato la testa ogni qual volta lei liquidava le sue
fantasiose teorie con congetture noiosamente scientifiche e scontate.
“Andiamo
Scully! Un po’ di fantasia!”, la canzonò dopo una mezzora buona di botta e
risposta scettici, da parte di lei, e inverosimili, da parte di lui.
Lei
sorrise, scuotendo la testa.
Le
mancava quello squallido e minuscolo ufficio del seminterrato. Dopo sei anni
vissuti lì dentro era diventata come una seconda casa. Non l’aveva mai
veramente detto a Mulder, ma quando fu incendiato, circa un anno prima, aveva
sofferto quasi quanto aveva sofferto lui.
Il
dolore che gli aveva letto negli occhi, mentre il fumo gli si rifletteva nelle
iridi, le aveva stretto il cuore in una morsa. Quell’ufficio, quei casi, quelle
strane foto… il suo poster, erano la sua vita, lei lo sapeva perfettamente.
Avergli portato via gli X Files, per Mulder, significava avergli portato via
una ragione di vita.
Ma
non si sarebbe mai aspettata di provare anche lei una sofferenza così radicata.
Ormai,
la crociata di Mulder eradiventata
anche la sua…
Sarebbe
tornata al lavoro il lunedì seguente, e, in quel momento, i sei giorni che la
separavano dal rientro, le parvero immensamente lunghi e vuoti. Sospirò
leggermente.
“Cosa
c’è?”, le chiese Mulder.
“Niente...”,
disse guardando le nervature del legno del tavolo da cucina, “Pensavo solo che
mi manca il lavoro”, sollevò il viso verso di lui con un sorriso triste sulle
labbra.
Mulder
la guardò per qualche istante, leggendo nei suoi occhi la sofferenza di
doversene stare pressoché chiusa in casa con le mani in mano. Era una donna
dinamica, intelligente, amava il suo lavoro. Capiva come doveva sentirsi.
Le
coprì il dorso della mano, dal polso slogato, con la sua.
“Devi
rimetterti bene in forze”, le disse serio. Poi tolse la mano dalla sua e si
posò, a braccia incrociate, allo schienale della sedia. “Non voglio una partner
più di là che di qua, che non mi riprende ogni volta che provo ad esporre una
teoria leggermente fuori dagli schemi!”.
Scully
alzò il sopracciglio sano. “Leggermente
fuori dagli schemi?”, fece una risatina, “Riduttivo direi!”.
Si
stuzzicarono un altro po’, battibeccando maliziosamente sui loro differenti modi
di guardare alle cose, poi Mulder buttò l’occhio sull’orologio e pensò fosse il
caso di lasciarla dormire.
Si
offrì di sciacquare le tazze, ma Scully gli disse che lo avrebbe fatto lei
l’indomani.
Prese
il cappotto dallo schienale del divano e si diresse alla porta.
Nel
momento in cui Scully lo vide in procinto di andarsene, provò una forte
sensazione di abbandono, che la lasciò momentaneamente spiazzata.
Non
voleva stare sola, questo era stato chiaro fin dal mattino. Ma che cosa voleva
fare? Chiedergli di restare a dormire sul divano?
Avrebbe
pensato che aveva paura a restare sola e si sarebbe preoccupato, continuando a
soffocarla di attenzioni, sincere senza dubbio, ma troppo pressanti.
Ma
perché non voleva restare sola? Non era paura, era qualche altro sentimento che
la faceva sentire inadeguata, ansiosa e l’unica cosa che le risollevava il
morale era l’idea di averlo vicino a sé.
“Bè…
buona notte Scully”, disse Mulder, una mano sulla maniglia della porta, “Ci
sentiamo domani”.
Scully
esitò un momento.
“Mulder…”,
ma si pentì immediatamente di averlo chiamato con quel tono quasi supplicante.
“Qualcosa
non va?”, chiese subito lui preoccupato.
“No.”,
si sforzò di rispondere prontamente Scully. “No, niente. Vai pure”, e gli
sorrise per rassicurarlo.
Lui
la fissò per qualche istante, tentando di capire se era vero che non c’era
nulla, ma lei abbassò il capo e gli negò l’accesso ai suoi pensieri e alle sue
emozioni.
Mulder
sentì l’impulso di andare da lei, stringerla e tenerla nel suo abbraccio tutta
la notte. Ma non ebbe la forza di farlo, né il coraggio. Se glielo avesse
chiesto lei sarebbe stato diverso, non se lo sarebbe fatto ripetere due volte.
Ma,
a quanto sembrava, lei non aveva intenzione di chiedergli una cosa del genere.
Non
sarebbe stato in stile Scully.
Lei
aveva sempre affrontato i suoi demoni da sola, raramente aveva chiesto aiuto…
Decise
di lasciarle i suoi spazi. Lei sapeva che se aveva bisogno di lui, sarebbe
accorso immediatamente.
Così
abbassò la maniglia della porta, pronto ad uscire.
“Ok…”,
disse infine. “Allora… buona notte Scully”.
Scully
alzò il viso su di lui e gli rivolse un sorrisetto.