Saint Antoine

di Ariadirose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Verità nascoste ***
Capitolo 2: *** Licenza poetica ***
Capitolo 3: *** Le mani sul cuore ***



Capitolo 1
*** Verità nascoste ***


Verità nascoste

“Andiamo a Parigi”, disse Oscar rivolgendosi al cocchiere.

“Ma perché a Parigi, non mi sembra che il generale viva lì”.

“Hai ragione André, ma stasera il generale andava all’Opera”.

“Posso chiederti una cosa... senza rischiare per questo che mi infilzi con la tua spada?”.

“Se lo sai già che è una domanda che non ti compete”, rispose Oscar senza turbarsi, “perché intendi farmela… e poi”, aggiunse ripensandoci bene, “non mi risulta tu abbia mai corso un rischio simile a causa della mia impulsività o difetto”. E riandava con la memoria ai loro duelli di un tempo, in cui Oscar, se pure godeva di un vantaggio, gli riconsegnava la spada e incitava l’amico a proseguire. Erano momenti semplici da gestire, quelli, in effetti, in cui la loro complicità non le appariva intaccata da complicazioni sentimentali.

“È vero, hai ragione. Ti ho detto una cosa meschina… non dimentico certo che hai offerto persino la tua vita per salvarmi”, si limitò a risponderle.

Oscar stette in silenzio, con gli occhi chiusi, perché così si lasciava andare quando non era lei al galoppo, e si faceva condurre in carrozza. Assorta, come cogliendo il pretesto per potersi distendere o rifugiare in qualcosa, almeno in quei momenti. E ripensava a quanto avvenuto tempo addietro, rievocato dalla frase di André. Lei non sapeva nulla dell’amore provato da lui... e chissà se allora già lo nutriva. Ad ogni modo non si rendeva conto del perché erano legati: però era vero, avrebbe preferito farsi uccidere piuttosto che lasciar morire il suo attendente. E come in un lampo, si insinuò velocemente in lei il sapore di quelle sue labbra… non ciò che era accaduto quella sera, non lo scontro, lo schiaffo, la stoffa strappata o le lacrime di entrambi. Solo il sapore di quel bacio scaturito dalla volontà di André senza un preavviso.

“Allora? Cos’è che mi volevi chiedere, ti ascolto”.

E lui, deciso: “Volevo sapere chi è il nobile che aveva chiesto la tua mano: Girodelle, non è vero?”.

“Sì, si tratta di lui”. Oscar rispose subito, ma non era infastidita dalla domanda.

“Tuo padre sarebbe stato favorevole, avrebbe sicuramente apprezzato che il prestigio e le sostanze dei due casati potessero arricchirsi vicendevolmente, e tu hai scartato subito questa eventualità”.

“Mio padre ha sbagliato, se crede che avermi educata alla gestione di me stessa possa coincidere con il mio consenso a un matrimonio imposto contro la mia volontà”.

“Però non ha voluto imporsi, dato che con quella storia del ricevimento organizzato da Bouille aveva in mente di farti scegliere un pretendente, non è così?”.

“Non ci sono andata al ballo, lo sai. Voglio dire, sì, mi ci sono intrattenuta solo per un istante, per non essere del tutto disubbidiente al volere di mio padre, visto ciò che gli era accaduto. Non ho ritenuto fosse il caso di fare delle questioni, così in apparenza mi sono mostrata consenziente”.

André non ebbe il coraggio di chiederglielo, dal momento che lei stessa gli aveva impedito di accompagnarla come invece aveva ordinato suo padre… ma fu Oscar ad andare al punto che a lui interessava e, dopo una breve pausa, continuò a dirgli:

“Non ci sono andata in abito da sera, se ci tieni a saperlo. Non mi sarei mai abbigliata in modo da compiacere quei nobili presenti, proprio perché era mia chiara intenzione sottrarmi a quella iniziativa che non incontrava il mio volere”.

Lui sorrise leggermente, ma avrebbe voluto ridere di gusto, senza sentirsi frenato. Era come inorgoglito da quella decisione di lei, come a volersi convincere e compiacere che lui stesso c’entrasse con questa scelta di non volersi trovare un marito; e poi quel messaggio gli era giunto così, mentre lei usciva dalla porta dell’ufficio, dicendo che non si sarebbe sposata tanto presto.

André era divertito da questo atteggiamento di lei, che in un sol colpo si era sbarazzata di tutti quegli aristocratici famelici della sua bellezza, del suo candore, che probabilmente non avevano un grammo della sua fibra, del suo ingegno, della sua magnanimità di cuore. Pura, elevata, al di sopra di tutti i loro appetiti e le mire egemoniche sulla sua natura femminile. E lei li aveva lasciati così, a bocca asciutta, rovinando loro la festa. André risplendeva dentro di sé, perché questo era quel genere di cose che di lei lo faceva letteralmente impazzire.

Quando, come insinuandosi in questo suo sotterraneo compiacimento, lei ruppe il suo silenzio e intervenne dicendo:

“E tu invece?”.

“Io cosa: a che ti riferisci”.

“È vero quello che andava dicendo Alain? Che avresti desiderio di sposare sua sorella Diane?”.

“No, non è affatto così”.

“È una ragazza molto graziosa”.

“Sì certo, e i soldati sono rimasti tutti alquanto delusi perché, è vero, sì sta per sposare. Alain inventa storie, è fatto così, cerca di spingere le persone sul proprio limite, per sfida, per metterle in difficoltà. Lui è piuttosto forte e sua sorella è proprio il suo tallone d’Achille. Così cerca di stuzzicare gli altri, per trovare anche il loro punto debole. Ma è una persona genuina che dice ciò che pensa, senza doppi fini”.

“E anche con te fa così?”.

“No, con me no, con me non attacca. Ha capito ormai che ciò che secondo lui è una assurdità, per me non lo è affatto e non se ne capacita. E così mi lascia alle mia sconsideratezza”.

“Tu non sei affatto sconsiderato, e sembra ironico che proprio un cantastorie come lui lo pensi”, subito puntualizzò lei.

Sorrise, invece, André, perché l’amico si riferiva all’azzardo e all’irragionevolezza del sentimento provato verso di lei. Ed era un amore folle, non aveva tutti i torti.

Dopo un certo attimo di silenzio, Oscar aggiunse: “Dunque lui ritiene che il mio tallone d’Achille sia tu”.

A quelle parole André sgranò gli occhi. Non ci aveva pensato. Ma non ebbe il tempo di rendersi conto, che una folla di parigini cominciò a colpire e scuotere la carrozza. Ebbero paura, non sapevano come difendersi e come difendere l’altro: vennero estratti fuori dai finestrini, prima che i popolani, dopo aver colpito il cocchiere, finirono col rovesciare e dare fuoco alla carrozza.

A nulla valsero le grida di Oscar, che discolpavano André dall’accusa di essere un nobile. Oscar poté constatare che l’appartenenza al popolo non escludeva André dai rischi che era disposto a correre, standole sempre accanto. Quelle parole superbe con cui anni addietro aveva cercato di farsi forte, “Tu non hai da temere, tu non sei nobile”, le si ritorsero contro. E adesso si chiamavano, allontanati dalla folla che li separava in direzioni opposte. Poco dopo, lei esanime, veniva persa in quell’abisso, e calpestata dagli anonimi disperati nella moltitudine.

Non passò molto tempo, fortunatamente, poiché il colonnello Hans Axel di Fersen, su indicazione del generale Bouille con cui si trovava in un palco dell’Opera, raggiunse la zona di Saint Antoine con alcuni suoi uomini, e riuscì rapidamente a disperdere la folla, portando Oscar in salvo, riparandola in un vicolo in discesa.

Ripresi rapidamente i sensi, la sua esclamazione non lasciò dubbi: lei stessa si rese conto, riascoltando le sue parole replicate dal conte, quale fosse il suo sentimento, sgorgante dal profondo. Il proprio pensiero non era rivolto che al “suo” soldato:

“Non avete visto André, lasciatemi, il mio André è in pericolo”, si dimenava gridando forte, nell’atto di scuotere lo svedese per le braccia con tutta la forza che le era rimasta.

“Voi avete detto il mio André”, si stupì il conte, spiazzato da quell’autentica appartenenza. Forse neanche più di tanto ci mise a realizzare la natura di quella unione, poiché subito la rassicurò:

“Non preoccupatevi, Madamigella, andrò io a salvare il vostro amico”.

Come se un’altra lei avesse parlato, rimase disorientata, stupita, sconcertata da se stessa. Alain aveva ragione. Aveva colto nel segno, in effetti. Il punto debole di Oscar si chiamava André Grandier.

 

 

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Capitolo 2
*** Licenza poetica ***


Licenza poetica

Era rimasta immobile, sentendo che il pericolo era passato, insieme alle grida del popolo che si allontanava dalle strade. Fissava il chiarore proveniente dall’alto, come sentisse da cosa proveniva quella luce. Da lui: quella luce proveniva da lui. Là, poco distante, così come dentro al suo cuore; sempre rimasto al buio, fino ad allora. Oscar aveva bisogno di riprendersi ancora, di insorgere e guardare verso quella direzione, quel silenzio. Si avviò poi rapida a cercarlo, sapendo che anche lui l’avrebbe fatto. Ma stavolta voleva giungere lei a trovarlo per prima…

Uscita fuori dall’angolo, approdata al livello della strada, lo vide ancora seduto, non molto lontano rispetto al riparo dove l’aveva lasciata il conte.

“Cosa ti hanno fatto André?”, disse Oscar raggiungendolo nella piazza.

“Oscar”, la chiamava lui vedendola arrivare.

Era ancora scosso, piuttosto malconcio per le botte ricevute, mentre provava a far leva sulle gambe semiaperte.

“Ti hanno legato… Dio mio, ma ti avrebbero impiccato!”: lei posò gli occhi sul laccio, ancora penzolante, dall’asta del lampione, e si fiondava su di lui, a terra, con le braccia serrate dietro la schiena. “Vieni, faccio io…”, tentava di rompere quei nodi di duro spago che bloccavano le mani del suo soldato.

“Tu stai bene, Oscar?”, replicò di nuovo il suo nome, reclinando un po’ la testa indietro, verso di lei: “Non ti hanno fatto del male, vero?”.

Proprio mentre poneva quella domanda, lei riuscì a sciogliere le braccia di André e, liberati i polsi, le venne istintivo inginocchiarsi di fronte a lui, e massaggiare quelle giunture tanto sacrificate. “André, è tutto a posto”, lo rassicurò passando a guardargli dalle mani il volto, così come lui l’aveva seguita nei suoi movimenti.

Poi proseguì con tono pacato: “Sono stata risucchiata da quella folla, ho perso la spada… o forse me la hanno portata via”.

“Temevo potessero capire che sei una donna… e io, qui, non potevo proteggerti, difenderti in alcun modo…”.

Lei ritirò le mani dai polsi di lui, come rendendosi conto d’un tratto di un incontro prolungato, esibito, dichiarato nella sua manifesta vulnerabilità. Restò invece ipnotizzata dal suo occhio verde: ardente, vivissimo, aperto su di lei. Forse acceso di più da quel dolce contatto spontaneo. Ed Oscar si sentì morire, perché André aveva rischiato molto di più, e come sempre si preoccupava prima di tutto per lei.

Non riusciva a non pensare che se il conte non fosse sopraggiunto per tempo...

“Fersen era qui, e dopo avermi portato in disparte, gli ho detto che eri in pericolo: è stato lui a impedirmi di venirti a cercare, dicendomi che ti avrebbe salvato. Ho avuto paura per ciò che poteva accaderti”.

“Si è trascinato via tutti: sono corsi tutti dietro al suo cavallo al galoppo, un fiume in piena...”.

“E se tornassero? Se qualcuno si rendesse conto dell’impossibilità di raggiungerlo? Via, andiamo via di qua”.

“Sta arrivando qualcuno, in effetti…”.

Non fecero nemmeno in tempo a dirlo e a sollevarsi, che André si sentì chiamare da una voce maschile che giungeva a cavallo… Non era il conte di Fersen, come si poteva ipotizzare. Si trattava invece di Alain che, seguito dal compagno Gerard Lasalle, era venuto a controllare la situazione: informato dal loro quartiere generale della sommossa, e preoccupato del trasporto a Parigi di André e del comandante con la carrozza nobiliare della famiglia di lei.

“Soussons, Lasalle: siete voi”, disse Oscar, mentre André la aiutava a sollevarsi.

Confortato dall’averli trovati vicini, anche se ammaccati, come non era la prima volta, Alain scese da cavallo e si mise a scherzare: “Ma come, noi eravamo così in pena per voi, e vi troviamo qui, sottobraccio, al chiaro di luna?”.

“Non è proprio il momento, sai Alain!? Stavano per mettermi un cappio al collo!”.

“Accipicchia André, ti hanno conciato per benino…”, e poi, più da vicino: “Amico, lo sai che ogni momento può essere giusto”. Tornando poi più serio per tutti: “Era la vostra carrozza che hanno assalito, non è vero? Capita di frequente, in questo periodo. Non è da voi commettere simili imprudenze, comandante”.

“Hai ragione Alain. É evidente, ormai, che questa città giorno dopo giorno cambia il suo volto, presentando nuove insidie. André rischiava di essere impiccato, se non fosse stato per il colonnello Fersen che ci ha salvato, trascinandosi dietro la folla”.

“Via, comandante, l’importante adesso è che si sia risolto tutto per il meglio”, aggiunse Lasalle, lieto di vedere entrambi fuori pericolo.

“Ora vi riportiamo noi a palazzo Jarjayes… Anzi: ho un’idea migliore”, puntualizzò Alain: “André, pensi di essere in grado di condurre il cavallo e provvedere al comandante, riportandola a casa?”.

“Sì, certo”.

“Allora facciamo così: ti presto il mio cavallo. Ritorno con Lasalle in caserma, ma prima io e lui facciamo un sopralluogo. E vediamo se c’è traccia delle vostre armi, anche se la vedo difficile. Quando vi avranno assalito, una volta fatto caso alle uniformi, sicuramente ci saranno andati a nozze, perché i parigini fanno di tutto per armarsi”.

“Già”, riprese Oscar. “È meglio che noi andiamo via, André. Avrai bisogno di alcuni giorni per ristabilirti e resterai con me, a casa. Penserò io a mandare un messaggio al generale Bouille. Quanto a voi due, soldati, avrete diritto a godere di una licenza come ricompensa per la volontaria collaborazione. A questo proposito, Alain, potrai aggiungerla a quella da te richiesta per motivi familiari. Se fosse possibile, vi chiedo di rintracciare notizie del nostro cocchiere. Ad ogni modo passate pure da me domani per gli aggiornamenti sulla vicenda”.

“State tranquilla, comandante”, si misero sull’attenti facendo il saluto militare, mentre Oscar si sistemava sul cavallo e, in forma composta, si appoggiava tuttavia alla schiena del soldato che la scortava.

“Sarebbe meglio mi prestiate comunque un fucile”, disse André.

“Ecco, ti do il mio”, provvedé Gerard: “stavolta me ne privo per una buona causa, sperando comunque che non ne abbiate bisogno. Potrai restituirmelo domani, quando verremo a fare rapporto”.

“Mi spiace dobbiate stare un po’ stretti, comandante, ma è il solo mezzo che abbiamo per consentirvi di giungere a casa, adesso. E senza postiglioni e stemmi nobiliari, non penso corriate altri pericoli, per cui andate senza fretta, che siete tutti indolenziti”, si raccomandava Alain, strizzando l’occhio all’amico. “Se dovessimo incontrare il conte di Fersen, riferiremo che siete sani e salvi, e che il comandante si trova in buone mani”, aggiunse inoltre con risolino malizioso.

“A domani”, rispondeva serio André, in quale, cercando di non ridere allo sfrontato appoggio spiattellato dal compagno, scandiva nettamente, ma solo col labiale, la parola “idiota”.

“Hai capito, il comandante, come si stringe il soldato Grandier”, commentava Alain, accentuando volutamente forse più di quel che vedeva. “Sarebbe bello, per lui, se la sua Oscar la licenza me l’avesse concessa per questo, anziché perlustrare la zona!”, pensava a voce alta, vedendoli dirigersi verso la strada di Versailles.

“Hai detto qualcosa Alain?”, domandava Gerard che si guardava intorno furtivo.

“No, niente soldato, non preoccuparti, io parlo da solo ogni tanto, non te ne eri mai accorto? Vediamo se c’è traccia dei cavalli... Chissà che fine avrà fatto quel cocchiere, poveraccio. Fersen, col cavolo che si è preoccupato di lui! Se non troviamo niente, mi fermo direttamente a Parigi: vado a dormire a casa”.

“Ma come, non avevi detto che tornavi insieme con me in caserma?”.

“Ah, smettila. Di’ un po’: ma tu hai i capelli biondi per caso?”.

“No, Alain”.

“E saresti mica una damigella?”.

“No di certo”.

“Allora te lo scordi, Lasalle, che divido la sella con te”.

“E se il comandante se ne accorge?”.

“Che vuoi che ti dica, speriamo che abbia altro per la testa, buon per noi… e pure per qualcun altro. Dai su, qui non c’è niente, andiamo, che ti offro da bere”, si strinse le spalle, girando all’angolo dell’isolato. “Il comandante ha di meglio a cui pensare, te lo dico io, amico”.

 

 

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Capitolo 3
*** Le mani sul cuore ***


Le mani sul cuore

 

Dopo aver riavuto il suo fucile, e aggiornato il comandante sui non molti sviluppi della sera prima, a Saint Antoine, il soldato Lasalle veniva accompagnato all’ingresso dai suoi due compagni:

“Gerard, comincia pure ad avviarti in caserma: io devo trattenermi un momento con André”, gli disse Alain, con l’intenzione di fermarsi ancora a Palazzo Jarjayes.

“Va bene ragazzi, ci vediamo in caserma”.

“Ciao Gerard, torno tra pochi giorni, il tempo di ristabilirmi; e grazie di tutto”, lo salutò cordialmente André.

Rimasti soli, i due amici si andarono ad appartare, seduti a un angolo della sala, per poter parlare più liberamente:

“Allora André, come è andata poi ieri, sulla strada di casa?”, domandò Alain morendo dalla curiosità.

“Oscar è stata serena, nonostante l’accaduto. Silenziosa, ma piuttosto serena. La cosa bella è che l’ho sentita così vicina, anche se taciturna, e poi mi è rimasta abbracciata per tutto il tempo”.

“Che sentimentalone che sei… e grazie, era a cavallo: ti cingeva il torace! E certo, pure lei, poteva tastarti un po’ più altrove”.

“E dai, Alain!”.

“E che avrò detto mai. In definitiva, seduta dietro di te, non arrivava alle briglie, e doveva pur attaccarsi a qualcosa. Comunque io l’avrei fatta sedere davanti...”.

“Non essere così grezzo, lo sai che non mi va quando parliamo di lei. E poi Oscar non cavalca mica all’amazzone...”.

“… E tu te la saresti trovata tra le cosce, certo, non si fa: non sta bene”. Prendendo fiato, fece un sospiro: “È che anche te, svegliati un po’ con lei, datti una mossa, su… ma quando ci concludi qualcosa altrimenti. Bella è bella, per carità: acida, sì, ma buona come il pane, lo riconosco. Però non è che potete passare le giornate così: tu la difendi, lei ti comanda… tu che la guardi, lei che ti guarda”.

“… Dici che mi guarda?”, si affrettò subito nel chiedere conferma.

“Ma certo che ti guarda! E poi ieri, secondo me, va bene le botte, eravate tutti sporchi, acciaccati: però mi pareva cotta quasi a puntino. Ecco perché dovresti prendere un po’ più di iniziativa… va bene è nobile di famiglia: e fregatene…”.

“Tu la fai facile, Alain”.

“Eh ho capito, vecchio mio, ma se non te la vuoi levare dalla testa, non c’è altra maniera, allora devi trovare il modo di fart… va bene, va bene, scusa, non si può dire. Ma lo vedi: piantala di venerarla come fosse la Madonna!”.

“Ma quale Madonna, Alain… Sapessi a sentirla così vicino, la scorsa notte, che le avrei fatto nonostante le legnate. Che mani che ha… e quella sua riposta dolcezza, i suoi sguardi: mi hanno punto più i suoi occhi, in questi anni, che la lama della sua spada. E poi era così eccitante il contatto con lei ieri sera… L’avrei presa in braccio, scendendo da cavallo, e me la sarei portata di filato in camera, da me, chiusi tutta la notte”.

“Oh, questo è parlare: è così che dovresti fare… e allora perché non osi un po’ di più”.

“Perché: perché tu non sai quello che è successo, quello che le ho fatto prima che diventasse comandante di noialtri soldati”.

“Tu? E che mai le avrai potuto fare, al massimo ti sarai scordato di strigliare il suo cavallo, una mezza volta”.

André faceva cenno di no con la testa. Proseguì secco:

“L’ho buttata sul letto”.

“Oh-oh!”.

“Dopo averla baciata con la forza, fermandola per i polsi… l’ho spaventata”.

“Non ci credo”.

“L’ho sopraffatta spingendola sul letto e le ho strappato la camicia di dosso”.

“Che cosa? ma che sei, una bestia: e poi quello grezzo sarei io?!”.

“È così”, rispose mortificato, ammettendo i suoi sbagli.

“Scusa, amico mio, ma anche te, lasciatelo dire, con lei non ne azzecchi una. Ma invece di passare da un estremo all’altro, una salutare via di mezzo? Che so, quelle cose da gentiluomini del tipo: la faccio un po’ ridere... un po’ faccio l’idiota; un po’ la faccio scaldare...”.

“È che ero furente... Lei mi aveva dato il bel servito, mettendomi alla porta come un estraneo qualsiasi, quando noi abbiamo condiviso non sai quanto, abbiamo fatto sempre tutto insieme: non ero il suo servitore e basta. Però all’improvviso mi ha detto che non voleva più il mio aiuto, e mi ha trattato come una scarpa vecchia”.

“… Lo dicevo io che di fondo resta un po’ stronza”.

“No ma che dici: non lo è affatto. E lo sai anche tu! È che era ferita, molto ferita. C’era rimasta male non sai quanto, a causa di Fersen...”.

“Ah, già il conte: si era innamorata”.

“Sì, ma cerca di capire, lei non è come le altre...”.

“La solita storia: e tu ti affanni tanto a difenderla”.

“No, non la difendo. E infatti si era comportata malissimo con me quella volta, mi aveva alzato le mani, e per istinto l’ho bloccata. Magari lei si aspettava che la schiaffeggiassi anch’io, invece… Però di fatto lei non ha avuto una vita semplice, sempre a reprimere le sue emozioni, gli slanci, e contenere la sua vera natura di donna… e hai visto, poi, che donna”.

“...E quindi voleva liquidarti, allontanarti”.

“Sì, e già mi era caduto il mondo addosso per questo. Poi mi ha provocato dicendo che lei era come un uomo, un uomo, non ha fatto che ripetermelo dopo avermi afferrato con una tale forza e portato vicino al suo viso… e avevo quegli occhi di fuoco davanti a me, la sua bocca accesa… In quel momento non ci ho visto più… ed è andata come ti ho detto. Mi sono sentito un essere spregevole”, imprecava contro se stesso. “Le ho giurato che non le avrei più fatto una cosa del genere, confessandole i miei sentimenti… lei piangeva. E io pure”.

“Per la miseria André”, deglutì Alain: “certo su voi due si potrebbe scrivere un romanzo! Che storia che siete, diamine! Lei poi, secondo me... sì, è tanto inflessibile, riottosa, però... però chiede quasi di essere domata: trovare chi arresti questa sua fuga irriducibile”, e con il pollice oscillante, indicava verso la direzione dell’amico. “E tu che sembri tanto per benino, cavolo, e invece sei un assatanato!”, e le dita di Alain stavolta si aprivano ciondolando come a sventolare la sua mano scottata: “E pensare che io ti volevo far uscire con mia sorella, ma per l’amor di Dio!”.

“Sono stato spregevole, lo so...”.

“Dai su, ora non esagerare, stavo scherzando... E poi non mi sembra che lei ce l’abbia tanto con te”.

“È ciò che mi aveva detto”.

“Lo vedi? Se no mica potrebbe guardarti così, o volerti sempre intorno. Evidentemente questo non ha intaccato mica la considerazione che ha di te. E poi il comandante non è una stupida, si sarà resa conto anche lei di avere esagerato”.

“Sì, ma le ho fatto una cosa terribile… Mi raccomando, ora non fare le tue solite battutine su questo, davanti a lei”.

“Ma stai scherzando, così mi offendi Grandier!”.

Restarono un istante a riflettere in silenzio. Poi Alain riprese a parlare aggiungendo:

“Però credo di capirti. Ti misuri sempre col fatto che le hai mancato di rispetto: e non te lo perdoni. Tu sei molto nobile, André, altro che bestia”, gli diede un gancio sull’unico punto che non presentava fasciature.“Da molto tempo, sai, ho capito quanto tieni a quella donna. E non mi stupisce, in fin dei conti. Per come è lei, e per come sei fatto tu”.

André abbassò lo sguardo, sorridendo tra sé e Alain. Il quale restando sorprendentemente serio, proseguì ancora dicendo: “Per quel che conta, da uno come me, lo vuoi sentire un consiglio che non passa mai di moda?”.

“Lo so cosa stai per dirmi: dimenticala”.

“No, stavolta non dicevo questo. So che tanto non te la levi dalla testa. Però ignorala ogni tanto, dammi retta. Quanto ti sta intorno, o si aspetta che lo faccia tu, sul più bello non darle corda. So che in fin dei conti questo ti succederà già: non sei certo un cagnolino da compagnia, né lei potrebbe rispettarti come ti rispetta se tu lo fossi. Io lo so che vuoi essere presente, vigilare su di lei, proteggerla. Però su certe cose di poco conto, che non faresti niente di strano a farle con lei, ecco tu lasciala perdere. Io credo che questo aiuti, di tanto in tanto: falla cuocere un po’ di più nel proprio brodo”.

André annuiva, facendo intendere di meditare sulle parole del suo compagno, e di prenderle come un buon consiglio: “Sai essere anche saggio, dunque, Soissons”.

“Ma basta che non lo dici troppo in giro. Bene”, si alzò dalla sedia della sala, “adesso è meglio che vada anch’io. Ah, prima ho dimenticato di dire al comandante che Fersen ha portato tranquillamente le chiappe a casa, ieri sera. Diglielo tu: certo sta sempre in mezzo, quel pennellone svedese, ma una volta tanto almeno si è rivelato utile a qualcosa”.

“Sì, certo”, sorrise André, divertito dall’amico rientrato nel solito ruolo di giullare.

“Ci vediamo tra qualche giorno, stammi bene”.

“Grazie Alain. E ancora tante congratulazioni per Diane”.

Così André si congedò dal compagno con un abbraccio appena fuori dal portone.

Poi sospirò dirigendosi verso la loggia, per riferire ad Oscar il messaggio riportato da Alain, mentre la sentiva ridere di gusto con sua nonna.

“Ho appena saputo che il conte di Fersen ieri sera è tornato sano e salvo nei suoi alloggi”.

“Mi fa piacere”, rispose lei, interessata molto di più a proporgli: “Vuoi un po’ di cioccolato, André?”.

“No, ti ringrazio Oscar”. E si ritirò senza aggiungere altro, con l’impronta delle sue mani ancora sul petto. E, indelebili, sul proprio cuore.

 

 

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