Vedo la gente morta

di Scarlatta93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'è qualcuno nel buio ***
Capitolo 2: *** Senza scampo ***
Capitolo 3: *** Ricordi. ***
Capitolo 4: *** Una ragazza particolare ***



Capitolo 1
*** C'è qualcuno nel buio ***


Capitolo 1. C'e' qualcuno nel buio

Andate fiduciosi nella direzione dei vostri sogni, vivete la vita che avete sempre immaginato
(Henry David Thoreau)

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Si passò una mano tra i capelli scompigliati, contrastando l’intento del vento che glieli gettava alla rinfusa sul viso. Un’intensa aria impregnata di umidità portava con sé l’inconfondibile odore della pioggia. L’arrivo di un temporale era imminente, tuttavia rimase ancorato alla finestra, ascoltando il fruscio delle foglie che si dimenavano sulle fronde degli alberi. Il buio inghiottiva ogni cosa e impediva ad occhi umani di scorgere oltre il limitare del giardino.
Roxas tamburellò nervosamente le dita sul cornicione, domandandosi per la millesima volta il motivo per cui si erano trasferiti in quello sputo di terra, situato in chissà quale zona dell’America.
La risposta la sapeva eccome, ma in situazioni come quelle se ne dimenticava sempre.
Correva l’anno 1943 e gli orrori della guerra imperversavano ovunque. Assieme a suo fratello maggiore, era stato allontanato dalla città natia, nella speranza di ritrovare un po’ di quiete nell’inoltrata campagna fino a che non fosse finita.
L’arrivo dei nuovi venuti aveva suscitato un’immensa sorpresa negli abitanti del paese che con il loro esagerato calore, avevano subito insinuato in Roxas il dubbio che stessero nascondendo qualcosa.
Ovviamente, per i genitori era tutto il contrario. Sorridevano radiosi e il ragazzo si stupì nel constatare che era da tempo che non li vedeva così felici.
-Disgustoso. Non capisco quali motivi si possa avere per andare fieri di un trasloco simile. Qui c’è il nulla!- Sentenziò Riku, riavviandosi una ciocca di capelli azzurri, lunghi fino a poco oltre le spalle.
Il biondino non rispose e si limitò ad osservare, ma non ci mise molto ad ammettere che il fratello aveva ragione. Serio e cupo, fissò il paesaggio e si domandò se era quello il luogo dove avrebbero trascorso l’immediato futuro.
Il vento soffiava continuamente, emettendo sibili sinistri ogni volta che spirava sulle chiome degli alberi e scuoteva i loro rami simili ad artigli dalla forma minacciosa, che nemmeno i germogli dal colorito verde acceso riuscivano a nascondere.
Le case sorgevano tutte vicino al paese, distante a qualche centinaio di metri dalla villetta dove si erano stanziati i nuovi venuti.
-Sei pronto ad iniziare una nuova vita, Roxy?- Disse fra sé –Pensa te che culo-

***

Richiusa la finestra, lo assalì un senso di inquietudine. Si impose di rilassarsi, ma non riuscì a reprimere quella sensazione.
“Ma che diavolo mi prende?” Si domandò, chiudendo gli occhi e sospirando. “devo smetterla... andrò a farmi un bagno, è quello che ci vuole.”
Poco dopo, privatosi dei suoi indumenti, il ragazzo entrò nell’acqua calda e fumante della vasca, avvertendo immediatamente un senso di piacere. Avvolto dalla dolce fragranza del bagnoschiuma, immerse gran parte del corpo, lasciando scoperta solo metà della fronte e gli occhi.
“Ora va molto meglio... è solo questione di abitudine e...”
Non finì il pensiero.
Con la coda dell’occhio, catturò un movimento oltre la soglia del bagno, in corridoio. 
Si mise a sedere e voltò la testa, ma non vide nulla. Udì solo un rumore di passi felpati, quasi impercettibili.
Era sicuro di avere scorto qualcuno camminare lungo il corridoio...
Una cosa era certa: dopo il bagno, non vi erano altre stanze se non la sua, quindi, chiunque fosse, era diretto lì. Gettò velocemente un’occhiata all’orologio appeso sopra la parete e vide che segnava la mezzanotte e mezza.
“Sveglio a quest’ora è senz’altro mio fratello...che vorrà mai?”
Si alzò e si avvolse l’asciugamano sui fianchi, rivelando un petto poco muscoloso ma ben scolpito.
Punti interrogativi si fecero largo nella sua mente, non appena notò la porta chiusa della sua camera.
“Ma che strano...avrei dovuto sentire se l’avesse chiusa...” Il cuore iniziò a battergli forte senza un motivo preciso e strinse l’asciugamano con forza.
“Devo essermi proprio rincoglionito...Ma che vado a pensare?” Scosse la testa e proseguì lungo il corridoio, tenendo gli occhi fissi sul legno scuro e scrostato della porta per poi tendere una mano e cercare a tentoni la maniglia. Esitò un attimo, poi la abbassò con decisione e, come un corridore che scatta al segno di partenza, varcò l’uscio della sua camera.
Gli occhi blu come il mare del ragazzo percorsero ogni metro della stanza, guizzando velocemente da un muro all’altro per scorgere -sperando nell’intento-  l’alta e atletica figura del fratello.
L’unico movimento che però colse fu quello frenetico delle tende, frustate dall’impetuosa corrente del vento.
“Ero così sicuro...Roxas, sei un emerito deficiente!” Pensò, dandosi un paio di timidi pugni sulla testa. 
La scarica però cessò quando rivolse di nuovo lo sguardo alla finestra e nella mente gli balenò un pensiero, veloce e tagliente come la linea che separa la luce dall’ombra: “Ma io avevo chiuso la finestra!” Spalancò gli occhi e a dispetto del volere del loro padrone, le gambe iniziarono a indietreggiare fino a indurre Roxas a voltarsi e a correre fuori.

Fine! Perdonatemi se è corto, ma il primo capitolo è sempre così ù.ù Pubblicherò una volta alla settimana, per un pò non dovrebbe essere un problema :3

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Capitolo 2
*** Senza scampo ***


Capitolo 2. Senza scampo.

Anche la sensazione di morte era reale, in quell'universo di inchiostro.
(Cornelia Funke "Veleno di inchiostro")
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Prima che avesse il tempo di focalizzare cosa stesse facendo, un’ombra che non vide si mosse alla sua sinistra. In due balzi raggiunse il biondino e gli afferrò le spalle, emettendo di proposito un soffio di fiato caldo sul suo collo, che giunse nell’orecchio di Roxas come il rantolo di uno spettro. Lo spavento fu tale che credette di aver intravisto la falce del Tristo Mietitore a causa degli eccessivi battiti che gli squarciavano il petto.
Per la foga e la velocità con cui si voltò, l’asciugamano svincolò dai fianchi e cadde ai suoi piedi, scoprendo il corpo nudo e gocciolante. La scena provocò una risata divertita all’aggressore, il quale avanzò di qualche passo,  portandosi accanto alla finestra. Il volto di Riku venne svelato dall’abbaglio di un lampo.
-Tu!- Ringhiò il malcapitato, quando riconobbe il fratellastro. Anche se gli costava ammetterlo, però, in cuor suo era contento che si trattasse di lui. Stava per escludere la possibilità che si fosse trattata di una presenza umana, quella che aveva scorto nella penombra del corridoio.
Non appena la paura passò in rassegna, il rossore della vergogna gli punzecchiò le pallide gote e istintivamente si rialzò, stringendo l’asciugamano con il quale si affrettò a ricoprirsi.
-Cretino!- Sbraitò, cercando di mostrare una sicurezza che non aveva.
Fece per tirargli una gomitata sul petto, ma il più grande scattò nella direzione opposta e arrivò nuovamente alle sue spalle, per poi bloccargli le braccia dietro la schiena. Inutile dire che al panno bagnato toccò la sorte precedente, abbandonato sul pavimento come muto testimone degli eventi.
-Ahahahah! Ah, Roxas, vedessi la tua faccia! Questa è la più bella dell’anno! No, anzi, del secolo, anzi, del millennio!-
-Sei un coglione, lasciami andare!- Intimò il biondino, dimenando gli arti imprigionati.
La salda presa, però, si strinse maggiormente e Riku continuò le sue intimidazioni: -Ti ho osservato, lo sai? Ma che cavolo stavi facendo? Eri già spaventato a morte prima che arrivassi io! Non ho saputo resistere dal fartene prendere un altro!-
-Eri tu, non è vero? Sei stato tu...!-
La frase gli morì in gola, in quanto un intenso dolore alle braccia gli strappò un gemito lamentoso.
-Lasciami, mi stai facendo male!-
-Non accetto false accuse. Cosa avrei fatto, io?- Chiese l’altro, facendo intendere che aveva intenzione di torturarlo ancora per un po’.
-Non prendermi in giro! Sei passato davanti alla porta del bagno e ti sei diretto in camera mia! Non negarlo. E hai anche aperto la finestra.- Affermò quelle cose per convincere più sé stesso che altro, per scacciare definitivamente quell’assurda credenza che ancora persisteva nella sua testa.
In tutta risposta, Riku aggrottò le sopracciglia e rimase serio a guardarlo. Roxas sollevò il mento e lo scrutò dal basso, nel profondo delle sue iridi acquamarina, celate da un’ombra di zaffiro a causa del buio, cercando di strappare loro una confessione o di scorgervi la verità racchiusa.
Un’altra risata che fece accapponare la pelle a Roxas, ruppe i pochi attimi di silenzio che si erano creati.
-Hai preso un gran bel granchio, stronzetto. Non ho messo piede in camera tua! Perché poi avrei dovuto aprire la finestra? Ma per chi mi hai preso?!-  
“Non è mai entrato in camera mia...? Non è possibile!”
-Menti!- Replicò subito, azzardando un secondo tentativo di fuga. -Se non eri tu, allora chi era entrato prima di me?-
Si ritrovò finalmente faccia a faccia con l’argenteo, il quale aveva abbandonato la presa.
-Ti rendi conto che sei tale e quale a un bambino di cinque anni? Hai le visioni!-
Fece per circondarlo in un abbraccio di falso affetto, ma stavolta la rabbia di Roxas fu più rapida. Scivolò al suo fianco, raccattando nel suo percorso l’umido telo bianco, che non si degnò di indossare.
Prima che raggiungesse la soglia della sua stanza, sentì una sfilza di pizzicotti martoriargli il lombare. Avvampò e sfoderò un pungo che aveva come obbiettivo la guancia di Riku, ma fu bloccato a mezz’aria, assieme all’altro.    
Venne poi spinto con violenza contro il muro, i polsi bloccati sopra la testa e il corpo del fratellastro premuto contro il suo.
- Ahi!- Gemette,  avvertendo un bruciante dolore alle vertebre.
-Sei proprio un pappamolle.- Sussurrò l’altro, avvicinando il viso al suo orecchio per sfiorargli il lobo con le labbra. Fece scorrere l’altra mano lungo il torso di Roxas, carezzandolo con coi polpastrelli velati di malizia.
“Oh, no...non di nuovo. Non ora!” Pensò tremando il più piccolo, cercando inutilmente di sottrarsi a quell’umiliazione.
-a quattordici anni... sei ancora un pappamolle.- Ripeté Riku, scandendo le parole, ormai ridotte a un filo di voce che però sentì perfettamente, tanto la bocca era vicina al suo orecchio.
Si distaccò dal lobo e cercò nella penombra gli occhi blu del fratellastro più piccolo che però li teneva fissi a terra, incapaci di incontrare quelli di chi lo stava infastidendo.
-A me piace questo tuo aspetto, però...lo sai?-
Roxas non rispose. L’imbarazzo gli impediva ogni replica e smise di dimenarsi, arrendendosi al suo volere.
Soddisfatto del risultato ottenuto, Riku riprese le sue carezze lungo il petto, fermandosi appena sotto l’ombelico per poi dire: -Hai la pelle liscia...proprio come quella di un neonato...Sarebbe davvero bello poterla sentire su tutto il mio corpo...-
Non finì il discorso perché improvvisamente Roxas alzò lo sguardo e lo guardò con rabbia.
-Siamo fratelli! Come puoi farmi una cosa del genere?!-
Riku sostenne quello sguardo carico di odio con un’espressione di scherno e rispose: -Fratelli? Noi non siamo mai stati fratelli, e lo sai bene!-
Roxas abbassò di nuovo le iridi color cielo.
-Fratelli, fratellastri...per me la cosa non cambia molto, ti conosco sin da quando ero molto piccolo, non posso vederti come qualcosa di più!-
-Un vero peccato...Sarebbe così divertente...- Rispose leccando appena le labbra di Roxas, che le serrò immediatamente a quel contatto estraneo e non voluto.
-Lasciami andare! Posso sempre urlare e chiamare aiuto!– Esclamò alzando la voce e scostando la testa di lato, in direzione della sua camera, che mai fino a quel momento le era sembrata un rifugio così sicuro.
Il silenzio calò sovrano per un paio di minuti, durante i quali Riku non violò oltre il corpo del poverino. Lentamente, sciolse la presa che bloccava i polsi del ragazzo e si staccò dal muro, concedendogli la tanto sospirata libertà. Per quella notte.
-Un giorno ti avrò. È una promessa- Sussurrò impercettibilmente, seguendolo con gli occhi.
Afferrata quel’ancora di salvezza che era la maniglia, il biondino l’abbassò e richiuse velocemente la porta dietro di sé. Si gettò sul letto, esalando un sospiro di sollievo; l’aveva scampata per un pelo. Sperava che finalmente fosse cambiato, ma a quanto pare le cose stavano diversamente e questa volta pareva motivato a spingersi molto in là.
Nonostante l’imbarazzo lo avesse sopraffatto, il pensiero non poté evitare di dirigersi verso un’inquietante sicurezza: non era Riku che aveva attraversato il corridoio ed era entrato nella sua camera.

uff...con la scusa che ho corretto e raticamente riscritto il capitolo, questo è stato un pò un parto. Ci vediamo la prossima settimana e grazia delle visite!!! ^^

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Capitolo 3
*** Ricordi. ***


 

Capitolo 3. Ricordi.

I ricordi ci uccidono. Senza di essi, saremmo immortali
(Gesualdo Bufalino)

 
Strinse forte il guanciale, inveendo contro di esso ad ogni pensiero rivolto a Riku. In verità era arrabbiato con sé stesso per non essere riuscito a imporsi alle sue incestuose voglie e ciò rincarava la dose dell’umiliazione subita.
Scavò nei recessi di un passato non così lontano e la mente vagò a quando erano bambini, nel periodo in cui l’innocenza nei loro occhi era così vasta che ci si annegava dentro e l’ingenuità ignorava quel che sarebbero diventati crescendo.
Riku, figlio di Larxene, la matrigna di Roxas, era un ragazzo sveglio, intelligente, dotato di fascino e carisma.
La numerosa fila di ragazze era attirata principalmente dai suoi occhi penetranti, azzurri come la superficie del mare in estate e dai suoi capelli, di un particolarissimo azzurro simile al celeste. Tra le ciocche risplendevano curiosi riflessi argentei che brillavano come pagliuzze di platino ai raggi del sole, il che gli conferiva un aspetto angelico e aggraziato.
Tutti quelli che per un motivo o l’altro avevano avuto a che fare con lui, lo definivano un angelo.
 “Sì... un altro angelo scacciato dal Paradiso” Aveva pensato Roxas quando aveva scoperto il diavolo che si celava in lui, nascosto sotto uno scudo di sentimenti impenetrabili e da un aspetto solo apparentemente innocuo.
Nessuno, infatti, sapeva meglio di lui ciò che Riku in realtà amava veramente. Il sadismo si accendeva sul suo viso, mentre si accingeva alla lettura dei suoi libri, di certo non adatti ad un ragazzino come lui. Passava tutto il tempo in un angolo della sua stanza e Roxas, sbirciandolo ogni tanto, poteva vederlo chino su libri che ancora non conosceva, Miltron e Lovercraft, Poe e Petrus Borel, Nodier, Blake, De Sade, Swinburne, testi di magia nera e demonologia. Restava lì per ore a leggere, con la fronte corrugata e le dita bianche premute contro le tempie, in una posa di assoluta concentrazione. Le illustrazioni che accompagnavano quei testi erano a dir poco mostruose. Fra le tante, ne ricordava una in particolare: una reggia orientale dove due tigri sbranavano fanciulle e fanciulli sotto l’occhio divertito di un sultano.
Quando si accingeva alla lettura dei suoi libri, Roxas correva fuori in giardino, alla ricerca del suo amato rifugio, costituito da un piccolo spazio verde nascosto fedelmente da una frangia di edera.
Col passare degli anni, Riku manifestava sempre più apertamente il suo amore per il sadismo verso il fratello, che quasi ogni giorno subiva da parte sua svariate forme di soprusi. Gli faceva tenere in bocca dei cervi volanti morti, lo costringeva a bere da un calice di vetro ricolmo del sangue di numerosi animaletti sgozzati, lo obbligava ad appiccare fuoco alla coda degli scoiattoli che, impazziti dal dolore, scalpitavano per un lunghi tratti di strada prima di concludere il loro orribile tragitto stramazzando al suolo. Più di una volta, questo tipo di tortura aveva causato incendi su diversi appezzamenti di terra.
Un giorno si spinse più in là del solito. Circa quattro anni fa, Riku lo prese da parte e, costrettolo a sdraiarsi sul letto, salì sopra di lui e gli sollevò la maglietta, avvicinando la sua bocca a quella del fratellino, mentre quest’ultimo lo fissava atterrito, implorandogli di lasciarlo andare.
Riku gli tappò la bocca con un bacio che non nascondeva le sue intenzioni, facendo penetrare senza pudore la lingua nella sua bocca, ricercando la sua, che però non intendeva accogliere in alcun modo l’intrusa.
Roxas morse quel muscolo invadente e serrò le labbra, sigillandone l’accesso.  
Emettendo un gemito di dolore, il ragazzo lo osservò con malizia, mentre sul suo viso si dipingeva un sadico sorriso che ormai il più piccolo conosceva bene.
-Tu mi piaci, fratellino mio. Sei l’unico con cui sto condividendo i miei interessi e le mie passioni, credo che sia anche ora di condividere qualcos’altro...- dichiarò senza smettere di sorridere.
-Che intendi dire?- Chiese ingenuamente Roxas, ignaro delle sue intenzioni e già con gli occhi lucidi e traboccanti di paura e sorpresa.
Quella domanda scatenò le risate di Riku, che però non gli rispose e si limitò a fare ancora più pressione sul corpo dell’altro, che emise un gemito soffocato. 
Quest’ultimo prese a urlare e a dimenarsi, ma il fratello era molto più forte di lui e il peso del suo corpo non gli permetteva di muoversi.
Ritentando di nuovo l’accesso alla sua bocca, iniziò poi a sfilargli i pantaloni, deciso a raggiungere il suo scopo.
Appena interruppe il bacio per cercare aria, Roxas riprese a urlare con quanto fiato aveva in gola.
-Sta buono!- Disse con tono minaccioso. –Sta buono e lasciati toccare!-
-Non posso! Sei mio fratello, mio fratello!-
-Fratellastro.- Sorrise maligno Riku, sfilandogli le mutande e toccando con irrefrenabile gola quel corpo nudo e tremante, ch ancora non aveva conosciuto la pubertà.
Il bambino, giunto al limite della disperazione, smise di singhiozzare e accasciò la testa sul cuscino, inondandolo di lacrime. Aveva abbandonato ogni tentativo di ribellione.
-Così va molto meglio!- Ghigno il fratello. Gettò con impazienza per terra la sua camicia, scoprendosi il petto e strusciandolo contro quello di Roxas.
In quel momento, la porta si spalancò e la madre di Riku entrò furibonda nella stanza, apparendo agli occhi del ragazzino come il ritratto della salvezza.
La voce della giovanissima e bellissima donna era fremente di rabbia mentre afferrava il figlio per la spalla e lo scaraventava sul pavimento, coprendolo di insulti e sberle. Col respiro affannoso, Roxas si alzò e osservò l’inferno che si stava scatenando davanti a lui: per la prima volta assistette finalmente alla meritata punizione del fratellastro.
Nei momenti che si susseguirono, non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo dalle iridi della donna, verdi come le fronde degli alberi, nelle quali balenavano la luce della pazzia e la stessa vena sadica che riconosceva in quelli di suoi figlio.
Provò paura per quella donna che nonostante stesse castigando Riku, la avvertiva più che mai vicino a lui e si convinse che si stava fingendo dalla sua parte solo per apparire giusta a quegli occhi che avevano visto troppo in un solo giorno.
-Oh, tesoro mio...devi perdonare Riku, sta passando un momento difficile da quando suo padre è morto! Cerca di dimenticare quello che è successo oggi!- Disse poi la donna, rivolgendo il viso dipinto di un vivace rosso a Roxas, che era rimasto immobile senza battere ciglio.
Annuì lentamente, ricacciando indietro nuove lacrime che cercavano di farsi strada scorrendo sulle paffute e arrossate gote.
-S-sì...Larxene...-
-No, piccolo- Replicò gentilmente lei, sollevandogli il mento con l’indice e il pollice e sorridendogli quando i loro occhi s’incontrarono. –Chiamami mamma! È quello che sono per te ora, no?-
-Sì.- Rispose senza troppa convinzione.
-Ecco, quindi sono sicura che non dirai nulla a papà di ciò che è accaduto. Dico bene?- Nella sua voce filtravano note di minaccia e ciò non lasciò molta scelta al povero ragazzino, che annuì freneticamente.
- Bravo, il mio figlioletto!- Aggiunse lei, avvolgendo le lunghe braccia sul corpo di Roxas, che non ricambiò il gesto, avvertendo il freddo e il distacco con cui Larxene aveva cercato di dimostrargli il suo falso amore.
Gli anni passarono, e Riku non lo toccò più, rimanendo fedele alle raccomandazioni della madre.
-Se per caso va a spifferare quello che hai tentato di fargli, stai certa che Cloud mi butta fuori di casa, e tu con me! Voglio ben vedere poi come vivremmo senza un soldo!- Aveva detto una volta a Riku, convinta che nessuno la stesse ascoltando.
Anche Roxas mantenne la promessa. Non parlò, né accennò più a quella storia, si guardò perfino dal farla riaffiorare dalla sua mente, tanta era la paura delle conseguenze negative che sicuramente avrebbe subito.
Per i giorni che si susseguirono, Riku cominciò a comportarsi come un vero fratello, tanto che Roxas cominciò quasi a dimenticare l’avvenuto.
Fino a quella notte.
L’incantesimo che aveva tenuto a freno le sue voglie perverse si stava spezzando, e prima o poi avrebbe studiato un piano per portarselo a letto senza che nessuno scoprisse nulla.
Le immagini di quei ricordi lontani ma scolpiti ormai nella coscienza, riemersero nella mente offuscata di Roxas che, sfinito dagli avvenimenti di quelli sera, cadde ben presto nelle braccia del dio del sonno, senza nemmeno notare la figura che lo osservava a pochi metri dal suo letto.

 
***

 
Il dolce tepore del sole colpì il viso disteso e rilassato di Roxas, il quale accolse con gemito di piacere quel dolce risveglio. Pochi secondi dopo, però, cacciò la faccia sotto le coperte ed emise un brontolio infastidito quando la sveglia iniziò la sua solita routine mattutina, diffondendo in tutta la stanza un suono simile allo starnazzo di una gallina.
“E teoricamente dovrebbe essere il verso di un gallo...Non la sopporto!” Incapace di alzarsi, ritirò la testa sotto il cuscino, nel tentativo di attutire inutilmente il rumore.
Poco dopo, Larxene fece irruzione nella camera, convinta che fosse entrato un animale in agonia.
“Ha cambiato di nuovo sveglia!” Osservò tappandosi le orecchie e dirigendosi verso il comò per spegnerla.
“Grazie, Larxene!” Disse mentalmente Roxas, lieto di poter riprendere il sonno rubato.
Ma le coperte furono sollevate e i cuscini tolti, cosicché Roxas vi dovette rinunciare e pigramente si alzò.
-Pronto ad accogliere questa nuova giornata? - Chiese allegramente Larxene.
-Direi di si!- Rispose il ragazzo, senza nascondere la sua poca convinzione.
La giovane donna sorrise e chiuse la finestra, rimasta ancora aperta dalla notte prima.
I suoi capelli lunghi fino al collo e del colore del sole, emanavano riflessi che risplendevano in diverse sfumature di giallo vivo e luminoso. Roxas osservò i due notevoli ciuffi sbarazzini che le ricadevano dietro la testa.
“Sembrano le antenne di un’ape curiosa”. Disse ridendo fra sé e scendendo le scale, dirigendosi verso la cucina.
Anche Larxene aveva cambiato atteggiamento e ora sembrava a tutti gli effetti una madre affettuosa e affaccendata, anche se probabilmente quel cambiamento (o forse quella maschera) le dovevano aver richiesto non pochi sforzi.
Roxas notò subito la casa vuota, a parte la sua matrigna.
Suo padre probabilmente era in paese per firmare i contratti che prevedevano la vendita del locale dove avrebbe collocato il suo negozio di orologeria, mentre Riku...beh, Riku era imprevedibile, poteva essere dovunque.
Alla sua immagine, Roxas ebbe un brivido.
Si affrettò a finire la sua colazione e decise di uscire ad esplorare la zona, sperando così di incrociare il meno possibile il fratellastro, per quel giorno.
Prese distrattamente il leggero giubbino di pelle marrone e dopo pochi secondi camminava lungo il viottolo di pietra, dirigendosi nella direzione opposta al paese.
“Che io sappia, la nostra dovrebbe essere l’ultima casa. Dove può portare, quindi, questo sentiero?”. Si domandò curioso, affrettando il passo.
Man mano che procedeva, il vento cominciò a diminuire, affievolendosi poi del tutto, come l’ultimo brillio di una candela che si spegnava soffocata dall’assenza di ossigeno.
I rami degli alberi interruppero improvvisamente la loro danza col vento, tornando immobili e curvi presso il ragazzo, che sentiva come se tutto si fosse fermato per osservare il suo arrivo, unico passatempo in quella natura morta e desolata.Se fino a quel momento non aveva provato nulla, ora sentiva il cuore salirgli in gola e il respiro farsi affannoso.
“Questo posto...sembra quasi vivo. Morto e vivo allo stesso tempo.” Pensò, senza accorgersi che stava iniziando a correre.
Anche se il sole era alto e la primavera era sul punto di mostrare il suo splendore, Roxas sapeva che non avrebbe mai ridato veramente la vita a quel luogo; avrebbe solo nascosto temporaneamente la bruttezza e la sinistra essenza che emanava.
“Forse sto impazzendo veramente. Ma questa sensazione è così opprimente e così concreta, che non può essere una semplice paura!”
Smise di correre, quando si accorse che il sentiero era finito e lo aveva condotto sino a un cancello, che dava all’entrata di un enorme giardino, delimitato da un recinto circondato da un muro di pietra biancastro.
*La vegetazione aveva invaso quel luogo e lo aveva trasformato in una piccola jungla, dalla quale emergeva qualcosa che a Roxas parvero delle figure: delle figure umane.
Era un giardino abbandonato. Un giardino di statue. Quello strano spettacolo delle statue braccate dalla vegetazione, gli fece pensare che fosse un piccolo cimitero di paese.
Un portale di lance di metallo sigillate da catene arrugginite, impediva l’entrata. Lontano, oltre al giardino, si ergeva il profilo di un folto bosco che sembrava prolungarsi per molte miglia.
Roxas, ipnotizzato, appoggiò il viso fra le lance della porta ed esaminò l’interno. La sterpaglia, con gli anni, aveva invaso tutto il terreno e conferiva al luogo l’aspetto di una serra abbandonata.
“Probabilmente nessuno mette piede qui dentro da un bel po’ di tempo.” Osservò.
Non riusciva a distinguere la forma e il volto di nessuna statua e la curiosità lo incitava a scoprirlo.
Si guardò intorno, alla ricerca di un sasso che potesse permettergli di rompere il lucchetto che tratteneva le catene.
Trovò una pietra grossa quanto la sua mano e piuttosto pesante e cominciò a dare colpi ripetuti al lucchetto, finché non sentì l’anello cedere e rompersi. Le catene penzolarono libere dalle sbarre come trecce di una capigliatura metallica, per poi cadere pesantemente a terra, lasciando finalmente libero l’ingresso al giardino.*
Nonostante l’aspetto macabro e lugubre del posto, la curiosità vinse, reprimendo ogni forma di timore. Fece per spingere le sbarre ma una voce lo bloccò. Una voce femminile, vicinissima e dietro di lui.

Fine.

_Beh...meglio tardi che mai, no? *tirano cartaccie* lo so, lo so, sono vite che non posto qui su EFP e francamente non so come sia resuscitata dall'oltretomba °A° In questo capitolo c'è moltissimo di Zafon. La descrizione del giardino di statue è praticamente copiata dal libro. Non dovrei, però mi piaceva moltissimo e ho voluto metterla. Specifico quindi che la parte del giardino NON è di mia invenzione. Questa non è altro che una fan fiction costruita sulla sua storia, con una serie di elementi nuovi che (almeno quelli XD) ho aggiunto io. Spero vi sia piaciuto, ho unito due capitoli :3 Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Una ragazza particolare ***


 

Capitolo 4. Una ragazza particolare.

Sulla mia fronte si posa il freddo metallo, ragni mi frugano nel cuore. C’è un lume che nella mia bocca si spegne.
(George Travi – De profundis)

Si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia con una gracile ragazza bionda, di delicata bellezza, così vicina al suo viso che Roxas poteva distinguere il colore dei suoi occhi. Erano di un azzurro tenue e penetrante, dai quali gli era difficile distogliere lo sguardo. Dalle iridi si sprigionavano note di malinconia e tristezza che li solcavano da tempi sconosciuti.
I capelli biondi e sottili, fini come il portamento della padrona, ricadevano quasi tutti su una spalla, circondandole il viso assai pallido e magro.
Due labbra sottili risaltate grazie al colore rosso acceso del rossetto, spiccavano in quel pallore così irreale e si curvavano continuamente in un sorriso privo di malizia e furbizia.
Doveva avere pressappoco la sua età, ma il suo corpo, esile e snello, era ancora somigliante a quello di una bambina e sembrava inconsistente come l’aria al tatto, nonché sul punto di sciogliersi come neve.
In quella ragazza vi era raffigurato, come in un quadro, il ritratto dell’innocenza.
Forse fu per questo che Roxas non ebbe alcun sussulto quando la vide, benché fosse apparsa all’improvviso, come materializzatasi dal nulla.
Strabuzzò gli occhi quando si accorse però che era vestita solo con un leggerissimo vestitino bianco, il quale nascondeva a malapena le cosce quasi della medesima bianchezza.
-Perdonami, ti sto mettendo a disagio?- Domandò la misteriosa ragazza, intrecciando le mani dietro la schiena e ridendo debolmente, come se le costasse uno sforzo immenso.
-N-non preoccuparti- Balbettò lui, sollevando gli occhi al cielo e passandosi una mano sulla nuca, imbarazzato.
-Benissimo!- Esclamò, cercando di assumere un tono allegro. Con una mano, si mise a giocherellare distrattamente con una catenina che aveva al collo, mentre con l’altra estrasse uno specchietto da una borsa che teneva con sé, penzolante da un fianco.
Osservò la sua immagine, volgendo il viso in diverse direzioni. Tenendo sollevato lo specchietto davanti a sé, tirò poi fuori un piccolo tubetto di metallo e lo aprì: rossetto.
Si passò velocemente un spesso strato di colore rosso, nonostante le labbra fosse già esageratamente dipinte, e con un pennello ricoprì il viso con un’elevata dose di fard.
“Una ragazza così starebbe bene acqua e sapone. Perché tutto quel trucco? Non ce la vedo per niente!” Pensò Roxas, mentre la contemplava, sorpreso e leggermente disgustato da tutto quello spesso strato di trucco, che deteriorava la vera bellezza della ragazza.
-Scusami...ma non sopporto questa cera- Disse lei, quasi come se avesse letto nei suoi pensieri.
-Ehm, figurati. Mi chiamo Roxas!- Disse il ragazzo, tendendo una mano in avanti.
-Piacere mio. Namine.- Rispose lei, osservando la mano senza però stringerla.
Passarono pochi secondi di assoluto silenzio, durante i quali Roxas sprofondava sempre più nell’imbarazzo; ritirò timidamente la mano, infilandosela in una tasca dei pantaloni.
“Strana forte, la ragazza.”
-Sei nuovo di qui, vero?- Domandò dolcemente Namine, rompendo appena il silenzio.
Roxas si sentiva una specie di gigante sgraziato, di fronte a quella creatura leggera e delicata.
-Si, sono arrivato una settimana fa-
-Ti piace qui?-
-Oh, moltissimo!- Mentì spudoratamente il ragazzo, ma sperava che quella risposta allietasse la ragazza dal viso colmo di tristezza.
-Capisco- Rispose Namine, abbassando lo sguardo e sospirando, come delusa dalla risposta.
“Non ne faccio una giusta!”. Disse fra sé Roxas. “Deficiente che non sei altro!”
-A te qui piace, invece?-
-Beh... Sai, dipende molto dalle persone che ci vivono.-
-Sei qui da quando sei nata?-
-Mh, non proprio– Lentamente sollevò la testa, gettando un’occhiata oltre le spalle di Roxas, in direzione del giardino di statue.
Roxas se ne accorse e fece un passo verso di lei.
-Ti va di entrare? L’ho scoperto da poco e mi piacerebbe vedere cosa c’è dentro!-
Namine ebbe un leggero sussulto e indietreggiò.
-Perché non facciamo una passeggiata?- Domandò con un sorriso al quale Roxas non seppe dare una risposta negativa.
Si allontanò assieme a lei, camminando lungo il viottolo di pietra. Era così svelta che faticò a starle vicino e dopo qualche minuto, boccheggiava già come un pesce appena pescato.
-Sto andando troppo veloce per te?- Chiese, sentendo il respiro affannato dell’amico e rallentando leggermente.
-Figurati! È che... Ho corso prima e mi sento un po’ stanco!-
“in parte è vero!” Pensò Roxas. “Certo, non posso dirle che correvo dalla paura!”
-Ah, capisco- Rispose atona.
“è così strana...sembra quasi indifferente a tutto. Ma cosa ci faccio a spasso con questa? Eppure mi incuriosisce”
Camminarono per un tempo che gli parve infinito. Voleva sapere tutto di Namine: cosa le piaceva, cosa odiava, perché sembrava sempre così triste e tanto altro. Ma le parole si scioglievano come cera quando si perdeva in quelle iridi azzurre come il cielo, anche se spesso cosparso di nuvole.
Amore a prima vista? Macché. Pura curiosità e scarsissimo carisma, nonché un’esagerata timidezza.
-Perché volevi così tanto entrare nel giardino?- Chiese tutto ad un tratto, cogliendolo di sorpresa.
-A dirti il vero non lo so... era annoiato, tutto qui.- Rispose stringendosi nelle spalle.
-Ma ci sarà pure un motivo particolare.- Insistette.
Roxas rise. –Credimi se ti dico che a parte questo, non ce n’era proprio nessuno!-
Calò il silenzio per alcuni secondi.
Infine, Namine riprese la parola.
-Non entrarci mai- Sussurrò, osservandosi i sandali azzurri.
-Scusa, ma... Perché?-
Namine alzò lo sguardo e gli lanciò un’occhiata infastidita.
-è proprietà privata, non hai alcun diritto di entrarci, mi sembra un motivo più che sufficiente!-
-Sembrava disabitato da anni, così ho pensato che non avrebbe creato un fastidio a nessuno, se...-
-Lo creeresti, invece!- Scattò irritata la ragazza. Il labbro inferiore iniziò a tremarle mentre le mani si strinsero in due pugni e le braccia lungo i fianchi si irrigidirono.
Roxas la osservò sbalordito, incapace di aprir bocca.
-D’accordo, d’accordo... Se questo è quello che vuoi, non andrò oltre al cancello, te lo prometto-
Namine sembrò riacquistare il controllo che stava per perdere e gli donò un sorriso.
-Scusami, a volte non mi contengo proprio... Grazie di aver capito.- Estrasse dalla borsa un orologio da taschino e controllò l’ora.
-Oh, no! È tardissimo, devo proprio andare! Piacere di averti conosciuto, Roxas.-
-Piacere mio! Quando ci rivediamo?-
Non ricevette risposta. La ragazza stava già correndo in direzione del paese, saettando veloce come una lepre inseguita da un cacciatore, tra gli alberi.
“Mio dio...tutte a me devono capitare!”. Aveva molte domande nella mente, ma nessuna risposta che avesse un senso sembrava poterle soddisfare.
Non riusciva a spiegarsi in alcun modo la rabbia improvvisa che aveva colto la ragazza, così come non riusciva a spiegarsi perché provava un’indefinibile attrazione per lei, molto diverso dal dire che le piaceva o addirittura che ne era innamorato.
C’era qualcosa di misterioso in lei, qualcosa che la distingueva da qualunque altra ragazza.
“Ma che cosa?”.
Fece scorrere lo sguardo lungo il sentiero, quasi come se sperasse di poter giungere al giardino con la sola forza del pensiero.
Nonostante la curiosità si fosse fatta ancora più intensa, decise di tener fede alla sua promessa, da bravo ragazzo che era. Forse avrebbe fatto meglio ad incrociare le dita, mentre giurava di non metterci piede.
“Cosa mi vuoi nascondere, Namine?”
A fatica, distolse lo sguardo dal viottolo di pietra e riprese a camminare, affondando il mento nella giacca a collo alto e con lui, immerse la mente nei suoi pensieri.

 
***

Quando fu sicura che nessuno stesse seguendo i suoi movimenti, Namine tornò sui suoi passi, verso il giardino di statue.
Corse verso il cancello e incatenò di nuovo le sbarre, serrandole con un nuovo lucchetto che aveva conservato nella sua borsa, nel caso si fosse presentata l’occasione di doverlo utilizzare.
Sorrise soddisfatta e si incamminò verso la fitta vegetazione, abbandonando il viottolo di pietra e inoltrandosi nel fitto del bosco, verso una meta che conosceva bene.

Chiedo scusa se il capitolo è corto, ma l'altro è da rivisionare e adesso non ho voglia di farlo XD grazie per aver letto!

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