Delay di Frances (/viewuser.php?uid=50802)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I - Captivity ***
Capitolo 2: *** Parte II - Prince ***
Capitolo 3: *** Parte III - Beginning//Surrender ***
Capitolo 4: *** Parte IV - Inconsistency//Prison ***
Capitolo 5: *** Parte V - Magnolia//Loveless ***
Capitolo 6: *** Parte VI - Handcuffs//Deception ***
Capitolo 1 *** Parte I - Captivity ***
Odi et
amo. Quare id faciam, fortasse requiri;
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Forse ti chiederai come sia possibile;
Non lo so. Ma sento che accade e mi tormento.
- Carme
85, Catullo
Parte
I - Captivity
Fu svegliata da un roco bisbigliare. Sembrava che le voci di due uomini
si sovrapponessero in un dialogo divertito a breve distanza da lei, ma
aveva ancora la testa troppo confusa per comprendere quanto
effettivamente fossero lontane o vicine, o cosa stessero
dicendo.
Battendo le palpebre tentò in tutti i modi di risollevarsi
in ginocchio, allontanando quel pavimento freddo e duro su cui era
stata distesa per fin troppo tempo. Avrebbe voluto capire che razza di
posto fosse quello o il motivo del dolore alla testa, del fastidio
martellante che percepiva lungo la schiena.
I muri spogli che la circondavano delimitavano una stanzetta stretta ed
angusta che sarebbe stata completamente buia se non per le fioche lame
di luce che filtravano fra le spesse sbarre allineate in cima
alla porta. Vedeva delle ombre confuse proiettarsi all'esterno in una
danza caotica, seguendo il ritmo cantilenante di quelle voci atone.
Non capiva dove si trovasse e le fitte intense di dolore che le
percorrevano il corpo facevano in modo che formulare un pensiero
compiuto fosse improvvisamente diventata l'impresa più
difficile e faticosa che le fosse mai capitato di intraprendere.
Gli abiti le si appiccicavano addosso ed i capelli le ricadevano in
ciocche sulla fronte, fradici di sudore.
Non ricordava. Le immagini più vivide prima di quelle
quattro mura grigie e di quelle voci erano solo luce, fuoco, chiasso.
Forse un'esplosione. Forse delle mani guantate che la afferravano e le
tappavano violentemente la bocca, tirandole i capelli.
Forse aveva opposto resistenza, forse no. Dei lividi ancora freschi
sulla gola e sulle braccia sembravano testimoniare una qualche
colluttazione...o se li era fatti inciampando su quella spessa condotta
di Mako?
Scosse il capo, massaggiandosi il collo mentre riusciva finalmente a
mettersi seduta. Il muro freddo e duro sembrava di colpo più
confortevole del pavimento.
Bene, si disse, mentre improvvisamente la forma di
quelle sbarre le appariva familiare. Ti hanno presa e sei in
gabbia.
Mano a mano che il respiro diventava più regolare e la sua
testa si schiariva, le voci maschili oltre la porta si fecero
più distinte. Sembravano attutite, forse soffocate dagli
elmi stretti della divisa regolamentare.
«...ha detto di restare qui, il rosso.»
« Un giorno glielo ficco in gola quel maledetto tesserino che
sventola in giro. Per non dire altro.» il disprezzo e la
rabbia nel loro tono era palpabile.
« Ma che vuoi farci, se parla un Turk devi stare zitto e
obbedire.» uno dei due fece una pausa, tirando su con il naso
« Anche se si tratta di assecondare la loro pigrizia. O la
prepotenza.»
« Se no ti scordi lo stipendio.» aggiunse l'altro,
come a mettere fine alla discussione.
Rimasero per qualche istante in silenzio, riflettendo sui loro
personali dilemmi riguardo tutto ciò che riguardasse lavoro,
superiori ed incarichi sgraditi.
« Beh, per lo meno non ci ha ordinato di fare la guardia ad
uno di quei bestioni della resistenza di Corel.» un
sorrisetto malizioso apparve sulle loro labbra mentre il più
alto dei due faceva un cenno del capo in direzione della spessa porta
alle sue spalle « E' una gattina con gli occhi grandi e le
unghie affilate...»
«...e in quanto a curve fa invidia alle apine sfacciate
dell'Honeybee Manor.» i loro risolini sommessi si
sovrapposero disgustosamente l'uno all'altro.
« Quando pensi che il Presidente verrà a
vederla?» la domanda era un po' seccata.
Il più alto dei due sistemò il lungo fucile in
una posizione più comoda, facendo scorrere la sottile canna
lungo la spalla:
« Due, tre giorni. Forse una settimana. I pezzi grossi non
trovano mai il tempo necessario ad occuparsi di ragazzine ribelli
quando se ne stanno già interessando altri pezzi
grossi.»
L'altro sbuffò, frustrato:
« Ciò significa altre noiose seccature Turks. O
magari peggio.» si guardarono:
« Siamo in buona compagnia, almeno...»
Il boato alle loro spalle li fece sobbalzare, mentre le sbarre e la
porta fremevano, scosse improvvisamente da profondi e violenti tremiti.
Balzarono in avanti, ingoiando un'esclamazione ed il fiato: due mani
graffiate avvolsero le sbarre dall'interno, stringendole con tanta
forza che le nocche sbiancarono.
« Le api di Wall Market?» la voce della prigioniera
echeggiò fra le pareti della cella, la rabbia la distorceva
tanto da farla quasi assomigliare ad un ringhio « Gattina?
Avete altri nomi con cui chiamarmi?» un fragore secco scosse
nuovamente la porta della cella « Fareste meglio a tenere la
boccaccia chiusa, cani della ShinRa! Potrei graffiarvi troppo a fondo
una volta che sarò fuori di qui!»
Dopo un attimo di silenzio, i due soldati scoppiarono a ridere:
« Cosa vuoi farci, micetta?» biascicò
uno dei due, sporgendosi verso l'apertura « Dovresti avere un
po' di rispetto ed essere contenta che non apriamo il
lucchetto.» scambiò un'occhiata invisibile con il
compagno « Ci sono solo due modi per uscire di qui, con noi o
senza.»
Un altro ruggito infuriato venne da dentro la cella assieme ad un
ennesimo colpo alla porta.
« Provateci, bastardi! Dovete solo provarci!»
« Non provocarci.» le voltarono le spalle
« Cerca solo di non fare troppo rumore fino a che non finisce
il nostro turno.»
« Fatemi uscire!» nonostante tutto,
continuò a tormentare il portone robusto e la forza dei suoi
colpi non diminuì. Non smise di sbraitare e dimenarsi,
aggrappata alle sbarre, fino a quando non si sentì troppo
stanca per fare qualsiasi altra cosa se non lasciarsi andare nuovamente
sul pavimento freddo.
Dare calci ai muri ed alla porta non sarebbe servito a niente, e le
facevano troppo male le ginocchia e le dita per rimanere appesa alle
sbarre. Non poteva permettere che i graffi aumentassero.
Batté un ultimo forte pugno sul metallo.
Accidenti! Accidenti, accidenti!
Non poteva fare nulla. Un'ennesima missione al vento e lei imprigionata
nei sudici sotterranei della ShinRa. Privata dei guanti e delle Materia
o di qualsiasi altra cosa se non dei vestiti.
L'AVALANCHE non sarebbe tornata a prenderla. Doveva sopportare e
sopravvivere. O magari semplicemente sperare che il giudizio di quei
maledetti parassiti della ShinRa si limitasse a mandarla in ergastolo
alla Prigione nel Deserto.
Era una terrorista. Aveva fatto esplodere la nuova tecnologia di
Scarlet. Aveva cercato di fuggire e l'avevano presa.
Si rannicchiò su sé stessa, stringendo la testa
fra le mani, quasi strappandosi i capelli.
Avrebbe voluto gridare
(xxx)
« Tifa Lockheart.» là fuori continuavano
a pronunciare il suo nome, intervallato ad AVALANCHE e Barrett Wallace.
Volti sconosciuti la guardavano di sfuggita, scambiandosi brevi parole
mentre le guardie si davano il cambio e occhi Mako di varie
tonalità le davano un'occhiata e poi si allontanavano.
La puzza di medicinale e di Materia le dava il voltastomaco e le faceva
girare la testa; non riusciva a sentire odore diverso da quello
metallico del disinfettante. Anche in quella cella buia e asciutta,
sembrava che quel fetore di esperimenti e Mako permeasse non solo le
pareti, ma anche tutta la gente che andava avanti e indietro per i
corridoi della prigione.
Si stringeva in sé stessa, cercando di isolarsi da tutto.
Dalla puzza dei SOLDIER, o dall'impazienza che quel maledetto
Presidente andasse a vederla.
Non voleva neanche farsi illudere da quella sottile speranza che ogni
tanto la abbracciava, quando pensava ai compagni con cui aveva
cercato di fuggire dal bunker del Settore 2, subito dopo l'esplosione.
Barrett sarebbe venuto a prenderla?
Sapeva di non doverci contare troppo.
Se non riusciva a fuggire da sola, allora probabilmente sarebbe tutto
finito lì.
Una voce familiare lungo il corridoio le preannunciò una di
quelle solite visite poco gradite.
I due occhi verdi leggermente colorati dal Mako apparvero davanti alle
sbarre proprio mentre i soldati di guardia si congedavano.
Tifa li sfidò con un'occhiata, mettendosi in piedi. Non
avrebbe ceduto e non si sarebbe mai concessa il lusso di mostrare a
chiunque di quei bastardi della ShinRa che stava soffrendo, o che le
facevano troppo male le gambe, a forza di stare inginocchiata sul
pavimento di quella cella.
Non gli avrebbe dato occasione di accorgersi che se non mangiava nulla
di tutto ciò che le era offerto, non era esattamente
perché il suo stomaco lo rifiutava. O che le notti insonni
stavano intaccando la sua resistenza.
Per loro, Tifa Lockheart era forte, troppo ostinata e cocciuta per
assecondarli in qualsiasi cosa. E non sarebbe stato facile
ammaestrarla, o ammansirla, come forse speravano di fare quando le
offrivano le coperte per la notte.
Se qualcuno avesse allungato la mano fra quelle sbarre, l'avrebbe morsa
con tutta la rabbia repressa e con tutto il disgusto che provava per la
ShinRa. Se avessero aperto la cella, sarebbe saltata addosso a chiunque
fosse oltre la porta, a pugni chiusi. La conseguenza di uno sguardo
troppo malizioso sarebbe stato solo uno sprezzante sputo in pieno
volto.
Dopo un attimo di silenzio, una ciocca di capelli rossi
scivolò davanti a quel volto leggermente incavato.
« Allora, cosa devo fare con te?» chiese il Turk
mentre, sospirando, chiudeva gli occhi e poggiava un braccio sopra le
sbarre « Sai che se non mangi, muori?»
Tifa non rispose, anzi pensò che dare un energico calcio al
piatto ricolmo di zuppa raffreddata fosse la risposta più
appropriata. La portata di metallo si ribaltò con un
tintinnio sordo, mentre tutto il cibo si spargeva sul pavimento.
« Bene.» sentenziò freddo l'uomo, dando
poca importanza al suo gesto « Se vuoi cambio
domanda.»
« Prova pure, la risposta sarà sempre la
stessa.» la voce le gorgogliava in gola, sorgente di una
furia incontrollata.
« Cioè, quale, esattamente?»
ribatté l'altro, sarcastico, ed i suoi occhi assunsero di
colpo un'espressione aggressiva « cerco di essere cordiale,
ragazza. Ma non ti nascondo il fatto che se lo faccio è solo
perché se muori, mi levano lo stipendio di una
vita.» il volto tornò tranquillo « Bene,
ora. Se vuoi posso portarti del pane e posso chiamare Hojo per farti
curare. Posso tenere lontana Scarlet fino a quando il Presidente non
verrà - e già così ti evito di essere
massacrata e pestata più di quanto non ti sia già
stato fatto da quegli idioti che ti hanno acciuffata dopo
l'attentato.» fece una pausa, sospirando nuovamente di noia
« Posso anche farti compagnia, se non ho nulla di meglio da
fare, e posso procurarti qualsiasi cosa ti serva, nei limiti del
permesso. In breve, non voglio avere problemi né con te,
né con chiunque altro. Ma devi capire...» il tono
divenne più teso « che se non collabori non ne
esce nulla. Nulla.» rimarcò
l'ultima parola sollevando la voce.
« Non mi serve niente, Turk.» tagliò
corto Tifa, lanciandosi contro le sbarre. Il rosso non ebbe nessuna
reazione e rimase fermo immobile dov'era « Mi serve solo il
tempo necessario a pensare tutto ciò che vi farò
non appena sarò uscita da qui.» colpì
con un pugno la porta, ma anche questa volta l'uomo non
batté ciglio « e che Scarlet continui pure a
piangere il suo Reattore o la sua nuova creatura. Un giorno sarete voi
a mangiare la polvere dei bassifondi, parassiti della
ShinRa!»
Il Turk tirò su con il naso:
« Bene, signorina Lockheart.»
concluse, con una sorta di pigra rassegnazione nella voce
« Non ho molto tempo per le negoziazioni, né la
voglia. Dopotutto qualsiasi cosa il Presidente decida di fare di te non
rientra nelle mie competenze.» se ne
andò impartendo ordini lungo il corridoio, mentre
due soldati tornavano a sorvegliare la cella di Tifa.
Lei continuò ad avventarsi contro la porta con tutte le sue
forze, lanciando maledizioni a lui e a tutta l'azienda per cui lavorava
fino a quando la stanchezza non la portò ad addormentarsi in
un sonno profondo sullo scomodo cemento.
Non avrebbe mangiato. Non avrebbe permesso a nessuno di compatirla.
Voleva solo vedere il presidente, quel grassone che se ne stava nel suo
ufficio a fumare il sigaro mentre Midgar ed il Pianeta venivano uccisi
sotto i suoi occhi.
L'avrebbe guardato senza paura e si sarebbe presa la soddisfazione di
lasciargli un occhio nero, di rompergli qualche arto prima che la
immobilizzassero e decretassero la sua condanna.
Ormai valeva la pena di farlo.
(xxx)
Nota
dell'autrice:
Una fanfiction che risale al 2007, ma a cui
tuttivia sono molto affezionata .
Ho deciso di riproporla qui e di lasciarla
invariata, per rispetto alla me stessa di allora xD
E se vi state chiedendo "perchè un
pairing simile?", beh mi incuriosiva. Nel prossimo capitolo capirete,
forse xD
Chiamiamola sfida <3 Un tuffo nel passato
mentre lavoro ad altri pairing strani <3
Perchè l'universo di Final Fantasy VII
non finisce mai di affascinarmi.
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Capitolo 2 *** Parte II - Prince ***
Parte
II - Prince
Voci,
occhi, passi. Ormai il suo mondo era quello, tutto ciò che
colorava quella stretta grata nella porta, illuminando la cella con un
fioco fascio di luce.
Aveva
imparato a riconoscere il passo cadenzato del Turk dai capelli rossi
quando si avvicinava, anche se ormai le sue visite erano sempre meno
frequenti. Un giorno aveva visto soffermarsi su di lei un paio di scuri
occhiali neri, un altro le era parso che la voce che sbraitava di
volerla fare a pezzi poco lontano lungo il corridoio fosse proprio
quella di Scarlet.
Tifa non
era riuscita a trattenersi dal sorridere. Quella donna se l'era
meritato.
Quando
sentì il brusio dei soldati sostituirsi al silenzio, stava
cercando per l'ennesima volta di ignorare il cemento sotto la schiena
che sembrava conficcarsi in ogni centimetro della sua pelle scoperta.
Erano
sussurri concitati che manifestavano un'agitazione generale.
«
E' davvero una maledetta ispezione?»
«
Non ci voleva!»
«
Senza preavviso!»
«
Dicono che il Presidente abbia mandato il principe in persona! Non
bastavano i Turks e i dannati SOLDIER di Prima Classe! Il vecchio
Presidente manda pure Rufus in carne ed ossa, qui a Midgar
e...!» quelle parole si persero fra le altre pronunciate
più ad alta voce.
Tifa si
sedette in un angolo, mentre osservava tutte quelle sagome che si
affrettavano da una parte all'altra nel vano tentativo di sistemare le
cose in quel sudicio corridoio di celle, e sentiva i lamenti seccati
degli altri prigionieri che si ritrovavano già svegli ad
un'ora così insolita.
Non venne
nessuno a svegliare lei, né a dirle di darsi un contegno,
invece di starsene così accucciata nell'angolo lurido della
cella. Forse avevano davvero imparato ad ignorarla e si erano abituati
ai continui colpi che scuotevano l'ingresso della sua prigione.
Quella
mattina si sentiva troppo sfinita per dare sfogo alla sua frustrazione,
chiunque fosse venuto a supervisionare l'ala delle prigioni. Se fosse
stato il Presidente in persona, non avrebbe trovato neppure un briciolo
di forza per piazzargli in faccia il pugno che si meritava.
Beh, per
sua fortuna, non si trattava di nessun Presidente.
I passi
svelti che animarono l'andito qualche ora dopo le fecero battere le
palpebre. La luce guizzava fra le sbarre dandole fastidio agli occhi ed
il chiasso faceva male alle orecchie.
Ma erano
voci che biascicavano suoni incomprensibili, voci di uomini che
chiedevano di essere apprezzati anche per il lavoro che non portavano a
termine correttamente.
Eppure ce
n'era una nuova.
Era una
voce giovane che incuteva un timore genuino ed imponeva un rispetto
quasi assoluto. Le sue domande erano concise ed esigevano risposte
immediate.
Nessuno di
quegli uomini che si trovavano dalla parte scomoda di dover rispondere
osava usare modi troppo colloquiali e sembrava quasi che anche in
quelle risposte stringate in cui decidevano di mentire, la
verità uscisse fuori comunque, loro malgrado.
«
Va così nelle prigioni, signore.» stava dicendo
uno dei soldati, con tono servile « Si lamentano e aspettano.
Dormono e mangiano. Noi facciamo la guardia.»
«
Fate la guardia?» l'esigente esaminatore interruppe una serie
di passi. La domanda improvvisa sembrò lasciare tutti di
stucco.
«
...si.» il tono con cui il soldato rispose diede l'idea che
la risposta gli sembrasse fin troppo ovvia « E' il nostro
lavoro. Facciamo ciò che ci viene ordinato.»
«
Mi sembra giusto.» sentenziò il nuovo arrivato,
riprendendo ad avanzare « Per quante ore di seguito
ciascuno?»
Ci fu una
pausa imbarazzata prima che una delle guardie iniziasse:
«
Sett...» si interruppe da solo, deglutendo «
Cinque.»
Quell'interrogatorio
durò fin troppo perché Tifa riuscisse a seguirlo
tutto con attenzione. Parlavano con troppa disinvoltura dei nauseabondi
affari della ShinRa, e si rifiutò di starli ad ascoltare.
Eppure non
poté fare a meno di sollevare lo sguardo quando vide la
sagoma sconosciuta avvicinarsi, e raggiungere infine la sua cella: il
giovane si fermò un attimo di fronte alle sbarre, in
silenzio. Uno dei soldati farfugliava qualcosa di imprecisato riguardo
a stipendi e Turks senza voglia di lavorare, e quest'ultimo particolare
veniva accennato con un palpabile timore nella voce, e non si accorgeva
neppure di essere completamente ignorato.
Tifa colse
per un attimo un leggero bagliore in due grandi ed ambiziosi occhi
azzurri, ma il principe, così lo avevano chiamato, le
concesse solo un'occhiata distratta, e mentre lasciava che lo sguardo
vagasse verso il pavimento ai suoi piedi, sembrò essersi
già completamente dimenticato di lei.
Il
contatto con Rufus ShinRa si interruppe fin troppo in fretta
perché Tifa riuscisse a classificare l'espressione decisa
che si leggeva nei suoi occhi.
Eppure,
mentre sentiva che i suoi passi si allontanavano mischiandosi
all'arrancare viscido dei soldati, si sentiva fermamente convinta di
poter riconoscere quello sguardo fra qualsiasi altro.
E si
chiese perché riuscisse a sembrarle così
inspiegabilmente attraente e disgustoso al tempo stesso.
Lo odio. Lo odio quanto la ShinRa e
tutto il resto.
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Capitolo 3 *** Parte III - Beginning//Surrender ***
Parte
III - Beginning//Surrender
Giorni che passavano senza che riuscisse a ritrovare la cognizione del
tempo. Si era sbucciata le nocche oltre che le ginocchia, e temeva che
a forza di prendere il muro a pugni qualche dito della mano destra si
fosse rotto.
Cercava di pensare a qualsiasi cosa che non fosse la ShinRa, il Mako, o
gli occhi inquietanti del maledetto figlio del Presidente. Il tanfo dei
soldati e l'odore nauseante di quella zuppa che si ostinavano a
proporle ogni giorno la facevano deprimere, e non c'era bisogno che
nessun'altra cosa si aggiungesse a peggiorarle l'umore.
Eppure l'unico pensiero consolante che le veniva alla mente non
riguardava Barrett o il 7th Heaven, il locale dove finalmente sarebbe
stata al sicuro da qualsiasi cosa; era un ricordo sbiadito che parlava
di stelle, SOLDIER, infanzia e dello scrosciare dell'acqua in un pozzo.
Sentì un vuoto allo stomaco peggiore di quello provocato
dalla fame e smise di pensarci.
Non sapeva neppure più da quanto tempo non mangiava, e
nonostante la sua ostinazione era logico che quel Turk avesse ragione.
Prima o poi avrebbe dovuto arrendersi, o sarebbe morta prima che il
Presidente dell'accidenti fosse andato a vederla.
Sembrava che quell'incontro venisse posticipato di proposito, giorno
dopo giorno. Il capoccia della ShinRa aveva sempre nuovi impegni, nuove
riunioni, e i Turks bastavano a tenere a bada una sporca terrorista
rinchiusa nelle fredde celle del suo palazzo di Midgar.
« Cos'ha fatto lei?» il tono autoritario del
principe della ShinRa le giunse alle orecchie di sorpresa, dopo un
lungo silenzio. Alzò faticosamente gli occhi e si sorprese
nell'accorgersi che quegli occhi disgustosi erano di nuovo fissi su di
lei, e questa volta sembravano studiarla con attenzione.
Sostenne quell'occhiata fissa assumendo l'espressione più
orgogliosa ed ostile di cui fosse capace.
L'uomo non sembrò fare caso all'evidente sfida che Tifa
cercava di trasmettergli e si limitò ad attendere la
risposta alla sua domanda.
« Sono dell'AVALANCHE.» interrompendo il soldato
che stava aprendo bocca in quel preciso istante, le parole di Tifa
fecero in modo che quell'azzurro limpido e denso si colorasse di un
pacato stupore.
« Dell'AVALANCHE?» si accertò l'altro,
rivolgendosi direttamente a lei, ignorando il soldato che gli guardava
le spalle.
« Sei duro d'orecchi quanto tuo padre, Rufus
ShinRa?» Tifa avrebbe voluto avventarsi contro le sbarre
anche in quest'occasione, ma le gambe e le braccia le facevano troppo
male « Sono una di quelli che hanno fatto esplodere il nuovo
carro armato della Ricerca Militare, si. Sono
dell'AVALANCHE.»
« Da quanto sei qui?» il repentino cambio
d'argomento la lasciò leggermente spiazzata, ma non era
granché difficile rispondere a quella domanda.
« Non lo so. Perché non chiedi ai vermi che ti
fanno da scorta?» il soldato parve sentirsi messo in causa e
commentò l'insulto con un sommesso gorgoglio, ma nessuno dei
due lo prese davvero in considerazione.
Tifa avrebbe voluto vedere di più. Avrebbe voluto che la
visione di quel volto austero non fosse limitata ai suoi occhi che la
mettevano in soggezione. Avrebbe voluto confrontarsi con lui faccia a
faccia.
Era un desiderio stupido per una prigioniera che insultava il
carceriere. Eppure ne sentiva il bisogno, e non riusciva neppure a
comprenderne il motivo.
« Mio padre è a Junon, e ha mandato me qui per
sostituirlo. Non potrà venire da te almeno fino alla
settimana prossima.»
« Non mi interessa. Perché non te ne torni da dove
sei venuto?» Tifa digrignò i denti « Hai
fatto la tua maledetta ispezione alle tue luride prigioni. I tuoi
subordinati ti hanno leccato i piedi abbastanza da ritenerti
soddisfatto.»
Il soldato sembrò scosso più di Rufus di fronte a
quella provocazione.
« L'ispezione è terminata due giorni
fa.» precisò questi, ma le sopracciglia non
disegnavano alcuna curva di rabbia o soggezione sugli occhi chiari
« Sono tornato perché i soldati pensano che
morirai presto se qualcuno non fa qualcosa.»
Era tornato.
Tornato per vedere lei.
La cosa la fece infuriare ancora di più.
« Sono addolorata che abbia perso del tempo a causa mia,
signor principe.» urlò, furiosa « Non mi
interessano le attenzioni di nessuno di voi! Non accetto aiuto da
nessuno di voi ipocriti della ShinRa che galleggiano nel
Mako!» strizzò gli occhi mentre aggiungeva, con la
voce che le si strozzava in gola in un grido rabbioso « Odio
il tanfo delle vostre Materia! Odio la puzza che infesta tutto
ciò che toccate!»
Rufus parve soppesarla da capo a piedi, fissandola bieco. Seminascosta
dalle ombre che le sbarre proiettavano nella cella, Tifa fu quasi
sollevata che quell'uomo disgustoso non potesse vedere i suoi lividi,
le dita incrostate di sangue o i capelli sudici che le si appiccicavano
alla fronte ed alle guance.
« Dovresti mangiare, Tifa Lockheart.» concluse
infine, con un breve sospiro che tuttavia non gli mutò
l'espressione.
« Cosa te ne importa?»
« Nessuno qui vuole che tu muoia.» il tono
dell'uomo non somigliava affatto a quello insofferente del Turk con i
capelli rossi. Tifa sentì un fastidioso groppo alla gola
quando si accorse che sembrava addirittura che gli importasse davvero
della sua incolumità.
Rispose con un sommesso risolino:
« Almeno fino a che non sarete voi a deciderlo?»
Il soldato ebbe uno scatto e parve intenzionato a puntarle il fucile,
ma Rufus sollevò una mano e questo bastò a
fermarlo.
Ci fu un attimo di silenzio rotto solo da bassi cigolii metallici.
Poi la porta ruotò pesantemente sui cardini, e la luce
inondò la stanza, ferendole gli occhi abituati al buio.
Distinse appena la sagoma di Rufus che entrava a passi decisi,
controluce, e si chinava su di lei per afferrarle un braccio.
Per quanto provasse, Tifa sapeva che ormai tutto il corpo le si era
fatto troppo pesante perché riuscisse a divincolarsi.
« Ora stammi a sentire.» scandì il
giovane, serrando le dita con maggior vigore intorno al polso della
ragazza « Ora ti alzi di qui, ed esci da questa cella che
puzza di sangue e sudore. Se non esci da sola, ti trascinerò
io con la forza.»
« E dopo che sarò uscita? Cosa farete? Mi
sposterete in un'altra?»
« Forse.» la risposta fu netta « O in
qualcosa di simile.»
Tifa avrebbe voluto ribattere, ma la gola le si era seccata
all'improvviso. Anche se sapeva con certezza di potergli tenere testa,
le parole iniziarono inspiegabilmente a sfuggirle, facendola rimanere
in silenzio, le labbra dischiuse ed immobili, inerme sotto quello
sguardo che le faceva scendere il latte alle ginocchia.
C'era un che di sbagliato nel modo in cui quell'uomo la guardava, ma
non riusciva a capire cosa fosse esattamente. Quale fosse il
particolare nel volto di Rufus ShinRa che le impediva di pensare in
maniera coerente per più di qualche attimo.
Inspirò profondamente, senza cedere, gli occhi fissi e pieni
di sfida che speravano di intimorire quell'uomo almeno quanto lui
irritava lei. Non sapeva quanto fossero fruttuosi quei tentativi.
« Cos'hai deciso, Tifa Lockheart?» la voce del
principe sembrava vibrare « Obbedisci di tua
volontà? O cosa?» strinse con maggiore forza la
mano attorno al polso sottile della ragazza, premendo le dita con tanta
forza da farle male.
In un'altra occasione avrebbe potuto divincolarsi con
facilità, gli avrebbe tappato la bocca per sempre e avrebbe
anche trovato il modo di impedire che la guardasse. In un'altra
occasione, se non avesse avuto il corpo in pezzi, lo stomaco vuoto e la
sgradevole sensazione di quegli occhi sui suoi lividi, sui suoi capelli
sporchi ed i vestiti strappati
Lui se ne stava lì, seduto sui talloni davanti a lei, in
perfetto equilibrio, gelido ed immobile. Dava l'idea che non si sarebbe
mosso fino a che non avesse ottenuto ciò che voleva. La luce
che gli lambiva le spalle larghe non gli raggiungeva il volto, si
limitava a disegnare una pallida curva bianca sulla sua fronte e sul
naso.
Tifa deglutì. Cercò ancora di allontanarsi, ma la
presa sul suo polso era ferrea.
« Non mi piegherò.» riuscì a
sibilare infine, digrignando i denti. Si sorprese di quanto fosse stato
difficile pronunciare quelle parole « Perché tuo
padre non si limita ad uccidermi, invece di mandare te a
controllarmi?»
Rufus rimase immobile. Sembrò esitare per qualche istante
prima di sancire, con voce atona:
« Non ti riguardano le procedure di mio padre.
Deciderà lui cosa fare di te.» si alzò
in piedi facendo leva sulle ginocchia, e Tifa si sollevò
vicino a lui. Le aveva strattonato il braccio con tanto vigore che per
un attimo le era parso che glielo volesse strappare.
« Non uscirò di qui.»
continuò lei, soffocando il dolore acuto che le aveva
percorso la spalla e tutte le gambe indolenzite « Non
uscirò. A meno che prima non mi uccidiate.»
« No.»
Perché
no? Tifa avrebbe voluto gridarlo, ma di nuovo la lingua
sembrava essersi attorcigliata su sé stessa. Non
voglio il loro aiuto, la loro pietà! Sarebbe
morta pur di mantenere il proprio onore intatto, lo stesso onore che
l'aveva condotta a compiere quei gesti, i gesti sicuri con cui aveva
collegato i fili colorati dell'ordigno al prototipo di Scarlet. Non si
sarebbe mai...!
Un'altra fitta al polso la fece gemere. Rufus glielo stava torcendo.
La guardava dall'alto in basso, la testa di Tifa non gli arrivava
neppure alle spalle.
« Bene, AVALANCHE.»
sottolineò il nome con tono perentorio « Se non
hai nient'altro da dire, prendo il tuo silenzio come una resa
incondizionata.»
Tifa sollevò gli occhi in un ultimo patetico tentativo di
ribellarsi. Ormai sapeva che non ci sarebbe mai riuscita.
« Mi ha chiamato, signore.» una voce strascicata
provenne improvvisamente dal corridoio, accompagnata da alcuni passi
altrettanto flemmatici.
« Si, Reno.» Rufus annuì debolmente,
senza distogliere un attimo gli occhi dalla prigioniera «
Trasferiamo la signorina Lockheart.»
« Oh, bene.» il tono del Turk non sembrava
granché entusiasta, ma Tifa lo sentì comunque
avvicinarsi a loro a passo leggermente più deciso. Lo vide
apparire al fianco di Rufus; erano entrambi così tanto
più alti di lei che per un attimo Tifa ebbe paura di loro.
Il principe le concesse solo qualche altro istante della sua attenzione
e del suo silenzio, poi le lasciò andare il polso e le
voltò le spalle senza un'esitazione, uscendo a passi svelti
dalla cella. Tifa l'osservò mentre la luce gli inondava di
colpo il volto e le spalle, delineando con chiarezza i contorni della
sua sagoma, ma lo vide sparire dietro l'angolo fin troppo rapidamente
per poterli studiare. Il soldato all'uscita sobbalzò
d'imbarazzo quando il principe gli passò al fianco, si
cimentò in un saluto impacciato mormorando una qualche
scusa, forse riferendosi al rozzo ed irrispettoso comportamento della
prigioniera, ma non fu degnato d'attenzione.
Tifa fece appena in tempo ad accorgersi che il suo polso era libero,
poi si sentì afferrare da un altro tipo di presa, molto
più tenue, ma non per questo più confortevole.
Il Turk la guardava con un'espressione indecifrabile dipinta sul volto.
Forse era irritato. Come se a causa sua fosse stato appena distolto da
qualche occupazione molto più divertente.
« Ma guarda un po'.» biascicò, scuotendo
appena il capo « Per farti ingoiare un boccone scomodi tutta
la gerarchia della ShinRa.»
Tifa sentì la lingua sciogliersi nuovamente e divenire
più pungente di prima:
« Non mi pare che il Presidente si sia ancora mosso da quella
sua maledetta poltrona a Junon.» sibilò, decisa a
riversare su quel maledetto Turk tutta la rabbia che non era riuscita
ad esprimere con Rufus.
Il rosso sospirò, chiudendo gli occhi in un'espressione
rassegnata:
« Ritardi.» si strinse nelle spalle «
Capita. Per tua fortuna nessuno qui
può torcerti anche solo un capello senza infrangere gli
ordini del Presidente. Almeno non fino a quando sarà lui a
giudicarlo opportuno.» si infilò una mano nella
tasca dei suoi pantaloni blu leggermente stropicciati « Per nostra
grande sfortuna dovremo occuparci di te fino a quel
momento.»
Tifa non riuscì ad opporre resistenza mentre veniva
strattonata fuori dalla cella, ma questo non la fermò dal
ribattere:
« Cosa gliene importa al Presidente di una maledetta
terrorista?» muovendo leggermente il braccio, si accorse che
la presa intorno al suo polso era molto meno potente di quella di Rufus
che le aveva quasi impedito di muovere l'intero corpo « Sono
dell'AVALANCHE. Non dovrebbe volermi morta e basta? A cosa gli serve
vedermi e giudicarmi?» la sua furia non sembrava avere fine.
Se solo non fosse stata così maledettamente sfinita, allora
forse avrebbe anche continuato a menare calci e pugni.
A quel punto anche Reno sembrò esitare, mentre sul volto gli
si disegnava un sorriso sghembo e furbesco. Aprì la bocca
per rispondere, ma sembrò cambiare idea riguardo le parole
da usare solo qualche istante prima di parlare:
« Cosa vuoi che ne sappia?» al contrario, il
sorriso gli dava l'aria di saperla lunga « Il Presidente non
ci informa dei suoi piani, tranne forse quando è davvero
necessario. Forse gli piace far buon uso dei suoi prigionieri, anche se
sono terroristi.»
Di colpo Tifa ebbe la visione particolareggiata di ciò che
le stava succedendo.
Era fuori dalla cella. La porta era aperta, lei era fuori, il corridoio
e le scale che l'avrebbero portata verso la libertà erano
davanti a lei, sgombere. Rufus ShinRa era andato via, liberandola di
quel peso insopportabile che i suoi occhi le imponevano su tutto il
corpo. E non c'era niente a tenerla ferma tranne che le sue gambe
tremanti e la mano indolente del Turk.
Una speranza tenue le infiammò i sensi e fece ardere gli
occhi.
Poteva riuscire ad ignorare le gambe stanche e le ossa rotte delle
mani, almeno per qualche passo, per qualche minuto di corsa. Liberarsi
di Reno sembrava ancora più facile.
Forse poteva farcela.
Svuotò completamente la mente, così come faceva
tutte le volte che, davanti al nemico, doveva concentrarsi per sferrare
il colpo decisivo, contraendo e rilasciando i muscoli in gesti talmente
veloci che dopo sentiva tutto il corpo fremere. Questa volta aveva
già superato la soglia del dolore e si trattava solo di
correre.
Si liberò di Reno con la facilità che aveva
previsto. Bastò un movimento veloce e rigido del braccio e
la mano del Turk abbandonò la presa sul suo polso. Si
voltò senza fare caso a niente, neppure alla faccia
sconvolta del soldato che aveva appena imbracciato il fucile e corse
verso la salvezza con tutta la forza rimastale in corpo.
Mancava un solo passo, poi le scale...per un attimo si illuse veramente
di esserci riuscita.
Sentì un dito picchiettarle una spalla, poi fu costretta a
voltarsi, le orecchie quasi assordate dallo schiocco metallico con cui
sentì qualcosa chiudersi intorno ai suoi polsi: un attimo
dopo le sue mani erano unite da una corta e spessa catena, legate fra
loro in maniera tanto stretta che non le riuscì di muoverle.
Un altro dito di Reno scivolò lungo la curva metallica delle
manette, quasi stesse carezzando un suo piccolo, ennesimo lavoro ben
fatto.
« Eh, no.» la ammonì con tono tranquillo
« Questo non si fa, signorina Lockheart.»
Tifa lo avrebbe volentieri bruciato con un solo sguardo, se solo avesse
potuto. Non lo aveva neppure visto muoversi, eppure adesso era di nuovo
la prigioniera sporca e ferita che per un attimo si era illusa di non
essere più. E lui aveva ancora le mani in tasca, come se
effettivamente non si fosse mai mosso.
Ma in fondo cosa si aspettava? Quel maledetto uomo era un Turk. Non
importava quanto potesse sembrare magro o svogliato.
« Bene, vedi, Tifa.» il tono colloquiale con cui
Reno esordì le diede fastidio, ma non poteva fare nulla. Il
suo patetico insuccesso le aveva tolto quell'ultima stilla di energia
che le era rimasta.
« Se avessi provato a fare una cosa simile con qualsiasi
altro mio collega, beh, ora saresti stata appena risbattuta in cella
senza troppe cerimonie.» indicò dietro di
sé sollevando un pollice oltre la spalla « Ma sei
fortunata.» un sorriso sereno gli attraversò il
volto per un attimo prima di sparire nuovamente in un'espressione
annoiata « Io obbedisco e basta. Ti consegno a Rufus e me ne
lavo le mani. Consideralo un regalo di "a mai più
rivederci", okay?» concluse con voce accomodante, afferrando
la catena delle manette per trascinarla con sé oltre le
scale.
« Dove stiamo andando?»
« Te l'ho detto.» mentre soffiava per lo sconforto,
alcune ciocche rosse si sollevarono dal viso del Turk « Ti
consegno al principe e adieu.»
Tifa si lasciò guidare ancora per qualche rampa. Anche
volendo, sapeva di non potersi opporre..
Ma c'era qualcosa in ciò che stava succedendo che non
suonava nella giusta maniera.
«...mi consegni al principe...?» l'idea di rivedere
Rufus le faceva salire il sapore della bile in bocca.
E inspiegabilmente le faceva scorrere un brivido d'impazienza lungo
tutta la colonna vertebrale, fino all'attaccatura dei capelli.
« Ah- ha.» la risposta del Turk fu veloce ed il
tono del tutto assente « Ti ho già detto anche
questo. Scomodi il principe per farti imboccare. Che
vergogna.»
Tifa lo guardò con gli occhi sgranati, non era sicura se
fosse per l'orrore o per la sorpresa. Una piacevole ed inaspettata
sorpresa.
Tu lo odi, Tifa. Ricordati di questo.
Lasciandosi quasi trascinare dalle mani grandi del Turk, smise di
pensare a qualsiasi cosa.
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Capitolo 4 *** Parte IV - Inconsistency//Prison ***
Parte IV - Inconsistency//Prison
Tifa deglutì, battendo le palpebre velocemente.
Sperò solo che il rumore rimbombante che proveniva dal suo
stomaco vuoto non fosse abbastanza forte perché altri tranne
lei potessero sentirlo.
Rufus ShinRa era seduto all'altra estremità del tavolo, i
gomiti puntati sul legno e le dita che si intrecciavano fra loro a far
da sostegno al suo mento appuntito. La guardava con la testa
leggermente inclinata, come in una sorta di paziente attesa.
Troppo paziente. Tifa deglutì ancora, mentre sentiva la
salivazione aumentarle in bocca.
Per quanto si sforzasse di tenere il mento alto ed un'espressione del
tutto immobile, l'odore speziato del cibo le solleticava il naso in
maniera insostenibile. Non aveva il coraggio di abbassare lo sguardo,
perché aveva l'impressione che sarebbe bastato quello - il
semplice contatto visivo con il piatto che fumava davanti a lei - a
farle perdere completamente il controllo.
Era una prova di resistenza. Certo, non mangiava da quasi due
settimane, o forse di più. Aveva bevuto, ma era riuscita a
resistere fino a quel momento...non avrebbe ceduto proprio adesso.
Anche se quella carne sembrava così maledettamente
gustosa...
Rufus sospirò, modificando l'intreccio che univa le sue
dita, poi tornò a fissarla con quel suo sguardo
insopportabile. La sua attesa era diventata trepidante.
« Mangia.» ordinò, con voce piatta.
In risposta, Tifa si limitò a serrare con più
forza le labbra.
Cercava in tutti i modi di resistere, tenendo le mani sul grembo, sotto
il tavolo, decisa a non mostrare a nessuno che stava stropicciando fra
le dita la stoffa del vestito. Era un modo per distrarsi, anche se il
tintinnio metallico delle manette che cozzavano fra loro le ricordava
immediatamente che era ancora prigioniera.
E che era una prigioniera che veniva trattata come una maledetta principessa.
L'espressione tranquilla di Rufus non subì un solo
cambiamento:
« Ho detto di mangiare.» ripeté, lo
sguardo che diventava ancora più penetrante. I suoi occhi
azzurri erano spaventosi. Tifa aveva l'impressione che potesse
trafiggerla con lame di ghiaccio solo guardandola.
O magari poteva costringerla ad obbedirgli con un solo battito di
ciglia, facendole credere di non aver mai desiderato fare altro fin da
quando era nata.
Lo odi, Tifa. Odi lui e tutto ciò che rappresenta.
Doveva ricordarsi di ripeterselo, ogni volta che lo guardava. Lei lo odiava.
Quegli occhi minacciavano di farla diventare completamente pazza.
« No.» scosse violentemente il capo ed alcune
ciocche scure le ricaddero armoniosamente sul petto. Per un attimo il
profumo di vaniglia dei suoi capelli le obnubilò l'olfatto,
ma non seppe dire quale dei due odori fosse più sgradevole:
quello del cibo che non avrebbe mangiato, o
quello del bagnoschiuma con cui era stata lavata da quelle donne di cui
non conosceva il nome e ricordava a malapena il volto.
Il principe della ShinRa sospirò ancora, questa volta
sembrava stanco:
« Qual è esattamente il particolare che non ti
è chiaro, signorina Lockheart?» le mani si
divisero e si poggiarono elegantemente sul tavolo, l'una sull'altra
« Ho il compito di assicurarmi che tu sopravviva.
E se non mangi morirai. Cosa dovrei fare?» scosse il capo;
una ciocca di capelli biondi gli scivolò sulla fronte,
sfuggendo alla sua impeccabile acconciatura impomatata. Tifa non aveva
mai sopportato quel genere di cose, il modo affettato con cui quegli
untuosi uomini d'affari si tiravano indietro i capelli solo per
sembrare più affidabili. Eppure c'era qualcosa di diverso,
qualcosa che non le dava affatto fastidio nel modo in cui quei capelli
biondi carezzavano il collo di quell'uomo e nobilitavano il suo volto.
Tifa ricambiò lo sguardo, per quanto odiasse guardarlo negli
occhi. Sapeva che almeno il proprio cipiglio era rimasto lo stesso,
anche se le guance le si erano fatte leggermente più
incavate. Sapeva di aver stampata in volto solo cinica ostinazione.
« ...devo imboccarti?» il tono con cui Rufus le
pose quella domanda la fece quasi arrossire. Sembrava pronto a farlo
davvero, se si fosse rivelato necessario.
« Ti morderei.» si affrettò a dire con
rabbia, cercando di convincersi che l'idea di farsi imboccare come una
bambina dalle mani di quell'uomo disgustoso non
fosse affatto invitante. Eppure quella carne era così...
Era una situazione insopportabile che si ripeteva ormai da
più di sette giorni. Il principe non mangiava mai con lei,
si limitava a guardarla mentre se ne stava immobile sulla sedia,
ammanettata, aspettando che cedesse ed afferrasse le posate d'argento.
Tifa ancora non riusciva a capacitarsi di tutte le assurdità
che si stavano susseguendo così rapidamente in quelle lunghe
e sofferte settimane. Non capiva perché ogni mattina,
svegliandosi fra le lenzuola vaporose di quel letto fin troppo grande,
non trovasse altri abiti da indossare se non quei vestiti lunghi ed
attillati che le mettevano in risalto le forme, lasciandole scoperte le
spalle. Non capiva perché venisse trattata con tanto
riguardo, perché sembrava che tutti si sforzassero di
compiacerla o di renderle il soggiorno più piacevole, a
cominciare dalle donne che le facevano trovare la vasca ricolma di
acqua e di schiuma alla mattina presto e poche ore prima del tramonto,
o che si offrivano di dipingerle le unghie e di truccarle gli occhi, di
pettinarle i capelli fino a farli rilucere.
Tutto ciò la irritava; odiava il frusciare dei lembi di
quegli abiti che le sfioravano le caviglie, odiava svegliarsi la
mattina e ricordarsi di aver dormito nel letto di una regina, con le
mani immobilizzate dalle manette. Odiava guardarsi allo specchio e
vedere le labbra rosse, le guance un po' smunte rese più
vivaci da un lieve rosa artificiale, gli orecchini di brillanti che le
ricadevano sul collo rifrangendo la luce ovunque intorno a lei.
E odiava il modo in cui Rufus la guardava. La
costanza e l'impegno eccessivo con cui inspiegabilmente si assicurava
che lei non morisse. Le sembrava così assurdo che lui stesse
facendo tutto ciò solo per preservarla...per essere certo
che suo padre potesse riceverla viva.
Non era sicura che l'attuale situazione fosse preferibile a quei giorni
trascorsi nella cella di Midgar. Almeno lì la trattavano
com'era giusto che fosse, la ignoravano, non si preoccupavano dei
graffi sulla sua pelle chiara o dei vestiti sudici.
Gli occhi le si ridussero in fessure mentre continuava - provava - a
sfidare il suo improbabile e raffinato carceriere.
Era una criminale. Aveva violato la legge in qualsiasi modo possibile:
perché quell'uomo cercava si trasformarla nella fanciulla
imprigionata nella torre più alta del castello?
La cella...la fame...la morte. Era quello che
meritava. A che scopo rinchiuderla in una prigione di velluto?
Tirò su con il naso mentre lo guardava sollevarsi dalla sua
sedia, lasciando scivolare le mani grandi sul legno levigato e
soffocando un gemito di insoddisfazione.
« Vorrà dire che ti lascerò
sola.» annunciò in un soffio, con una sorta di
pacato rimpianto a velargli la voce « Pensi di riuscire a
buttar giù anche un solo boccone? Forse il fatto che io sia
qui ti mette in...» fece una pausa
«...soggezione?»
Per fortuna le guance di Tifa erano già rosse per il trucco.
Ma il sangue le era salito al volto per la rabbia, ne era certa. Per lo
sdegno. Tutta quella gentilezza era insolita.
« Non toccherò niente lo stesso.»
Gli angoli della bocca di Rufus si incurvarono appena verso l'alto. I
suoi sorrisi erano rari e non duravano più di qualche
istante, ma ogni volta che le labbra scoprivano appena i denti bianchi,
disegnando sul suo volto di marmo una dolce linea obliqua, Tifa si
dimenticava per un attimo di respirare.
I suoi sorrisi la uccidevano. Erano indecifrabili, seducenti, perfetti.
Irresistibili.
Cercò disperatamente le giuste parole per insultarlo ancora,
per convincerlo definitivamente ad andare via. Distraiti,
Tifa Lockheart, pensò, mentre stropicciava con
più forza la stoffa plissettata dell'abito bianco. Ignoralo.
Se non lo avesse fatto, probabilmente sarebbe caduta definitivamente
vittima del suo maledetto sorriso.
« Non è mia intenzione turbarti più del
necessario.» l'altro la zittì con voce vellutata,
senza farle neppure aprir bocca « Tornerò fra
qualche ora, rischio di ritardare alla riunione.» diresse
svogliatamente un dito verso di lei mentre le voltava le spalle
« Non uscirai di qui fino a quando quel piatto non
sarà vuoto.»
Fu colta dall'impulso incontrollato di alzarsi dalla sedia e corrergli
incontro, forse per prenderlo alle spalle e fuggire dalla porta aperta.
Tuttavia rimase immobile dov'era, seguendolo con gli occhi mentre le
ampie porte si chiudevano dietro di lui, anche se l'odore della carne
le faceva girare la testa.
Un'interferenza fastidiosa le faceva cambiare idea ogni volta che
pensava ardentemente di deturpargli il viso a suon di pugni.
Rimase in silenzio per qualche minuto, decisa a non farsi tentare dalla
stanza vuota. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di trovare quel
piatto vuoto. Rufus ShinRa non aveva ancora capito di che pasta era
fatta.
Continuava fermamente a crederci mentre senza neppure pensarci lasciava
che le sue mani scivolassero sulla forchetta e sul coltello d'argento,
carezzandoli.
...quella carne era davvero buona come sembrava. O forse era la fame a
farla sembrare la cosa più deliziosa che avesse mai...
« Finalmente.» una voce le fece sollevare lo
sguardo di scatto, allarmandola.
Non lo aveva visto entrare, non aveva sentito un solo rumore, eppure lui
era di nuovo lì, seduto su di una sedia, questa
volta molto più vicino a lei. Si teneva il mento con una
mano, la guardava con gli occhi azzurri seminascosti dalle ciglia
lunghe e folte, un leggero ghigno divertito a increspargli le labbra.
« Continua pure.» le concesse facendole un rapido
cenno del capo, quando si accorse che si era bruscamente interrotta,
« E' bello constatare quanto fossi effettivamente affamata,
sai?» il sorriso maligno si fece più ampio e
soddisfatto « Pensavo che davvero avresti resistito fino a
morire.»
Tifa sentì un improvviso bisogno di rimettere, ma non
poté fare altro che mandare giù frettolosamente
la forchettata di carote che si era poco prima messa in bocca. Le
posate tremarono nelle sue mani ammanettate, collidendo e tintinnando
appena contro il bordo del piatto.
Quel uomo era così. Sotto quella maschera di affascinante
uomo d'affari, si celava un mostro. Un mostro che le avrebbe affondato
gli artigli nella carne per farla gridare di vergogna e dolore fino a
che non le fosse rimasto fiato nei polmoni. Un mostro dagli occhi
azzurri e la bocca invitante che la spingeva sull'orlo della perdizione
ad ogni sguardo.
Si trattenne dallo sputargli in faccia.
« Dov'è finita la tua riunione urgente, signor
ShinRa?» ringhiò, lasciando ricadere la forchetta
ed il coltello nel piatto ormai vuoto. Alla fine Rufus aveva ottenuto
ciò che voleva e lei non se n'era neppure accorta. Il morso
della fame si era leggermente attenuato, ma anche adesso sentiva che lo
stomaco ne pretendeva ancora.
Gli occhi chiari dell'altro si fecero di colpo ingenui:
« Mi perdoneranno un ritardo, non credi?»
Tifa digrignò i denti:
« Tutti i maledetti ShinRa se la prendono comoda con i
ritardi, non credi?»
Rufus ci mise qualche istante ad afferrare a cosa si riferisse, poi si
passò una mano sul volto, fermandola sulla bocca come a
voler nascondere qualcosa.
« Il ritardo di mio padre è eclatante. Hai davvero
ragione.» mormorò, soprappensiero, dopo qualche
istante d'esitazione « Ma almeno tu sopravvivrai ancora
qualche giorno.» Lei avrebbe voluto semplicemente sollevare
il coltello a usarlo come un pugnale.
Poi lui allungò una mano in un gesto quasi casuale. La prima
reazione di Tifa fu quella di ritrarsi, ma poi lasciò che
quelle dita lunghe le sfiorassero la guancia. Batté le
palpebre più volte. Non sapeva come e perché non
riuscisse a muoversi.
Il pollice di Rufus seguì lentamente la linea dolce del suo
zigomo, poi scese a toccarle l'angolo della bocca. Tifa si
sforzò di tendere le labbra, ma sembrava che delle spesse
catene le avvolgessero tutto il corpo, non solo i polsi.
« Dovevi essere davvero affamata, Tifa.» le
pulì delicatamente la pelle, sporcandosi i polpastrelli di
farina. La polverina bianca che ricopriva quel pane fresco che lei
aveva mandato giù senza neppure sentirne il sapore. Tifa si
chiese se quel bastardo fosse mai uscito davvero dalla stanza...e se
l'avesse osservata fin dall'inizio, per il semplice gusto di assaporare
quella prima vittoria.
« Non è servito imboccarti, dopotutto.»
il suo tono era basso, quasi intristito.
Quando quelle dita la lasciarono, Tifa si sentì di colpo
più leggera. Le catene si erano dissolte.
Non smise di fissare le pieghe brusche che faceva assumere al vestito
mentre lo stringeva nei pugni. Quell'abito così ridicolo ed
elegante che lui la obbligava a indossare.
Fece finta di non vederlo mentre la salutava e scompariva nuovamente
fuori dalla stanza. Si alzò in piedi di scatto, rossa di
vergogna, oltraggiata e sconfitta, furente di rabbia. Evitò
di incontrare gli occhi di tutti quegli inservienti apparsi dal nulla
che si proponevano di accompagnarla nella sua stanza.
Ci si chiuse da sola, girando la chiave nella toppa. Un altro
privilegio offerto a quella principessa prigioniera. Peccato che Rufus
fosse l'unico ad avere una chiave identica alla sua.
Si sfilò il vestito bianco dalla testa, gettandolo sul
pavimento e calpesatandolo a piedi nudi. Senza curarsi di mettersi
addosso qualsiasi altra cosa, afferrò le lenzuola fresche
del letto e le tirò via con un solo strappo deciso. Le
lasciò ricadere assieme ai cuscini, poi si
trascinò fino al piccolo bagno privato, ignorando le
mattonelle gelide che le ferivano le piante dei piedi.
Si chinò sul lavandino, aprendo il getto d'acqua e
mettendovi sotto le mani a coppa. Si lavò la faccia con
furia, strofinando forte. Ignorò il trucco che lentamente le
si scioglieva dalle labbra e dagli occhi, disegnandole delle cupe
lacrime nere lungo le guance.
Non voleva che la puzza del Mako contaminasse anche lei. Non voleva.
Non voleva avere addosso quell'odore stomachevole.
Poi, guardandosi allo specchio, si accorse di ogni cosa. Ogni
particolare andò al suo posto in quell'intricato maledetto
quadro di incongruente prigionia.
Quanto ancora doveva aspettare, prima che potesse andarsene da
lì? Prima che potesse togliersi le manette, anche solo per
trasferirsi alla Prigione del Deserto?
Continuando a quel modo, Rufus non avrebbe smesso di guardarla, di
contemplare la sua opera.
La
stava lentamente trasformando nella sua personale, bellissima bambola
di porcellana.
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Capitolo 5 *** Parte V - Magnolia//Loveless ***
Parte V -
Magnolia//Loveless
C'erano
giorni durante i quali Rufus ShinRa non la degnava di un solo sguardo
dalla mattina alla sera. Tifa si sentiva sollevata e delusa al tempo
stesso, infastidita da quanto contrastanti fossero quei suoi sentimenti
e da quanto fosse assurdo ed insensato il suo bisogno continuo di
trovarsi un attenuante.
Lo
odi, Tifa. Tu lo odi.
Lo
odiava quando era costretta ad indossare quegli abiti da nobildonna o
stare chiusa in quella stanza enorme per tutte e ventiquattro le
maledette ore, le mani in mano ed assolutamente nulla da fare.
Lo
odiava quando guardava le manette chiuse intorno ai polsi o quando si
chiedeva il motivo per cui l'avesse tirata fuori da quella cella dove -
le capitava spesso di pensarci - si era trovata molto più a
suo agio.
Lo
odiava profondamente quando appariva dal nulla
per tenerle compagnia. Per giocare con lei.
Però
c'erano altre occasioni in cui doveva fare in modo che la sua parte
razionale frenasse quella opposta. Non piegarti, Tifa. Tu
vivi per combattere la ShinRa. Sei qui perché volevi
distruggerla. Era sempre più indispensabile
ricordarselo. C'erano dei momenti in cui veramente, rischiava di non
farci più caso.
«
Ti sta bene questo vestito, sai? Il bianco ti dona.» decise
d'un tratto Rufus, seduto in fondo alla stanza. Affondava in poltrona
con una gamba sull'altra ed un gomito sul bracciolo, mentre girava
svogliatamente le pagine di un libro che sembrava leggere senza troppa
attenzione.
Tifa
si limitò a lanciargli un'occhiata del tutto inespressiva,
voltandosi appena.
«...grazie.»
disse infine, senza trasporto. Spostò nuovamente
l'attenzione verso l'enorme finestra che si apriva davanti a lei,
lasciando che gli occhi vagassero sui profili disuguali dei palazzi di
Midgar. La luce del mattino le investiva il volto, poteva vedere il
proprio riflesso nel vetro circondarsi degli arcobaleni dei suoi
orecchini.
Purtroppo
a Midgar non era più capitata una giornata di cielo terso da
moltissimi anni: guardare quella città dall'alto del palazzo
della ShinRa le infondeva una sensazione di malinconia ancora
più profonda di quella che la bruciava quando alzava lo
sguardo verso le piattaforme dei settori, affacciata alla finestra del
suo bar nei bassifondi.
Anche
in quel momento, dal piano più alto di quella costruzione,
non poteva fare nulla per salvare quella città.
Sfiorò
con le dita ed un gesto impacciato la superficie liscia del vetro, non
ancora del tutto abituata alle unghie smaltate e limate già
molto più lunghe del solito. Con le unghie ridotte in quel
modo non avrebbe più potuto dare i pugni che voleva.
Cercò
con gli occhi la piattaforma del settore 7, individuandola
immediatamente, ma i bassifondi erano del tutto nascosti dalle
abitazioni dei piani alti.
Cosa
stavano facendo i suoi compagni in quel momento? Erano ancora vivi?
Spero
solo che siano vivi e liberi continuava a ripetersi,
tormentando gli anelli di metallo delle sue manette. Il fatto che non
fossero andati a prenderla non significava che fossero morti. E
comunque, perché tentare di salvarla? Ormai era ammanettata
e rinchiusa in una cella più sicura di quella nelle prigioni
di Midgar. E c'era il principe della ShinRa in persona a farle da
guardia, quando non aveva altri impegni più urgenti.
Sentì
il frusciare sommesso degli abiti di Rufus alle proprie spalle, poi i
suoi passi tranquilli rintoccare sul pavimento come le lancette di un
pigro orologio.
Tac.
Tac. Ancora un altro secondo, un altro passo, e lui avrebbe
varcato il confine invisibile entro il quale Tifa iniziava a perdere il
controllo.
La
prigioniera premette con maggiore forza le dita sulla finestra,
tendendosi. Un qualsiasi contatto fisico, anche solo sentire per un
attimo la propria mano toccare la sua per sbaglio, l'avrebbe fatta
impazzire. Con quelle unghie poteva graffiare a fondo, almeno.
Ci
fu ancora qualche istante di silenzio, poi Tifa vide il suo riflesso
opaco nel vetro: lo guardò sfogliare una pagina del libro
che teneva aperto in una mano, il capo chino su di esso. Si sfiorava il
mento e la bocca in gesti inconsapevoli, assorto, continuando ad
avanzare verso di lei a passi lenti.
«
‘...ed i suoi petali di neve cercarono
disperatamente il sole, con immenso dolore ed una profonda impazienza.
Era troppo bello, troppo brillante, ed i suoi raggi non erano mai stati
così pieni di vita, di luce e di calore. Lei si protese,
bruciando per quel suo amore devoto e impossibile, e non vedeva niente
oltre il suo Sole. E non si curava della rugiada che discendeva il suo
stelo, tintinnando come ghiaccio'»
La
voce di Rufus si spense in un soffio e Tifa lo scorse con la coda
dell'occhio mentre le si fermava al fianco. I suoi occhi spaziavano nel
vuoto, leggermente assenti, mentre l'eco delle sue stesse parole faceva
turbinare le screziature delle sue iridi in una danza misteriosa.
Tifa
lo studiò per un attimo, ripensando a ciò che
aveva appena detto con quella sua voce cadenzata e dal bell'accento: il
suo tono era stato stranamente dolce, quasi malinconico.
«
Che cos'era?» chiese infine, con un sussurro, cedendo alla
curiosità.
Rufus
ShinRa batté appena le palpebre:
«
Una favola.» spiegò, facendo scivolare il
segnalibro di stoffa fra le dita prima di adagiarlo con calma sulle
pagine bianche.
«
Di cosa parla?»
Lui
la guardò, voltandosi lentamente nella sua direzione. Chiuse
il libro con calma, carezzando la rilegatura di pelle blu:
«
Una storia di amore e morte.» continuò «
La storia di una magnolia bianca perdutamente innamorata del
sole.»
Tifa
dischiuse appena le labbra. Le era sembrato di voler dire qualcosa, ma
le parole le si erano fermante a metà strada, lungo la gola.
«
Cosa le capita?»
Rufus
non rispose subito. Per qualche momento rimase in silenzio, con gli
occhi che si erano nuovamente spostati al panorama uggioso di quella
Midgar sfruttata e sofferente.
«
Cerca di raggiungerlo aprendogli i suoi petali, offrendogli tutta la
sua grazia e la sua vita, donandogli tutto ciò che possiede.
Ma non si accorge che i raggi che tanto ama la stanno lentamente
consumando, seccando le sue foglie e bruciando la sua
bellezza.»
Le
labbra di Tifa si inaridirono improvvisamente.
La
luce fioca giocava con le ombre sul volto di Rufus ShinRa. Delineava il
profilo nobile del suo naso dritto e perfetto, si soffermava sul
sottile labbro superiore, sulla curva volitiva del mento e su quella
più morbida delle guance.
«...povera
magnolia...» le parole di Tifa scivolarono via lentamente, un
po' incerte, soffocate. Non riuscivano ad esprimere il sentimento di
profonda tristezza - un'inspiegabile autocommiserazione - che era
sbocciato nel suo petto nei confronti di quel fiore così
fragile, schiacciato dalla sua bellezza, dalla sua stessa perfezione,
dal suo sogno irrealizzabile. Non le riuscì di dire
nient'altro. Le si era improvvisamente aperto un buco nello stomaco.
Poi
l'attenzione del giovane ShinRa tornò su di lei, le sorrise
appena, scoprendo giusto la porzione di denti necessaria a farle
bollire il sangue nelle vene.
«
E' una storia che mi piace molto. E' molto triste, ma trovo sia la
più bella di tutte. Molto...malinconica.» le
sventolò il libro davanti al volto «Loveless.»
Tifa
battè le palpebre qualche volta prima di allungare le mani
verso la copertina su cui brillavano lucenti caratteri dorati. Rilesse
distrattamente il titolo un paio di volte, comprendendolo appena.
«
E' una raccolta di poesie. Sono sicuro che ti piaceranno.»
gli occhi di Rufus brillarono per un attimo fra quelle sue ciglia
lunghe « E' un regalo. Per passare il tempo.»
«...g
- grazie.» era la seconda volta che diceva quella parola
così assurda. Due volte nel giro di pochi minuti.
No,
Tifa.
Strinse
il volume fra le mani, sfiorando con un dito il segnalibro morbido che
spuntava fra le pagine. Non aveva avuto niente da fare per troppi
giorni perché riuscisse a rifiutare quel genere di regalo.
Anche se era Rufus a farglielo.
«
Leggerò.» gli assicurò, evitando di
restituirgli lo sguardo per più tempo del necessario. Non
era più sicura di quanto fossero aggressive le sue occhiate.
Ormai era troppo stanca e rassegnata per farci caso.
«
Bene.» l'altro annuì con aria tranquilla
« Poi se ti fa piacere mi parlerai delle tue storie
preferite. E io potrei dirti delle mie.» lo aggiunse alla
fine, poco prima di andarsene senza dire una sola parola.
Ma
lui era così, entrava ed usciva come se niente fosse, le
teneva compagnia, la sorvegliava per il tempo
che riteneva necessario, poi fuggiva senza preavviso non appena
ricordava di essere ancora - dopotutto - il vicepresidente di un'enorme
azienda.
Tifa
sfogliò le prime pagine del libro facendo attenzione a non
rovinare la carta, girando i fogli lentamente.
La
mente le si era affollata di tante immagini confuse e distratte, gli
occhi volavano sui caratteri neri di quel volume stampato con
attenzione.
Non
era sicura di cosa esattamente stesse pensando in quel momento, e nelle
ore che seguirono, mentre si immergeva in quel mondo fiabesco di
leggende, poesie, fate che morivano al sorgere del primo sole, immobili
nel ghiaccio di una notte invernale, punite ingiustamente per il loro
essere troppo buone.
Rufus
che leggeva, la magnolia che appassiva - bruciata d'amore - Rufus che
guardava oltre il vetro spesso della finestra, i chiaroscuri disegnati
sul suo volto come su quello di una scultura. Rufus che di colpo la
guardava, Rufus che accennava uno dei suoi sorrisi assassini e
bellissimi.
Povera
magnolia.
[***]
Lo
guardò senza capire mentre girava la piccola chiave nella
minuscola fessura, faceva fremere le catene e gli anelli metallici ed
infine sfilandole le manette ormai aperte.
Si
sforzò di mantenere la bocca chiusa, anche se il mento
sembrava essere diventato di colpo più pesante.
Seguì i suoi gesti tranquilli e del tutto consapevoli con in
volto stampato un cipiglio che gli domandava silenziosamente se per
caso fosse impazzito.
«
Cosa stai...?»
«
Dovrò farti portare uno scialle. Avrai freddo con queste
spalle scoperte.» la ignorò del tutto, facendo
sparire le manette negli ampi pantaloni bianchi. Allontano le mani da
quelle di Tifa senza neppure sfiorarle e si rivolse immediatamente alla
donna che le aveva appena intrecciato i capelli.
Tifa
attese che Rufus le riconcedesse la sua attenzione, osservandosi quasi
incredula i polsi liberi leggermente segnati dalla pressione del
metallo.
Manette
che non le erano mai state tolte neppure per
fare il bagno o per dormire.
Non
appena l'uomo si voltò ancora verso di lei, lo
aggredì - con le parole - senza neanche prendere fiato:
«
Cosa sta succedendo?» un'idea le balenò in mente e
le riempì la voce di un'eccitata speranza « Tuo
padre è finalmente riuscito a venire?» aveva
aspettato, sopportato in attesa di quel momento...sembrava
impossibile...
Rufus
le rivolse un'occhiata priva d'espressione:
«
No, non ancora.» ...difatti lo era.
La
sorpresa e lo sconcerto ebbero il sopravvento sulla delusione.
«
Ti porto a fare una passeggiata.» annunciò il
principe, con tono più allegro del solito « Sei
stata rinchiusa qui dentro troppo a lungo...non mi sembra giusto
lasciare che le tue belle guance perdano più colore di
così.» questo bastò a farle ricolorare
almeno un minimo.
Sei
una stupida, Tifa. Controllati. Controllati, accidenti!
Lo
lasciò fare mentre si sporgeva per posarle lo scialle color
panna sulle spalle e le girava attorno per sistemarle la lunga treccia
- non le era mai piaciuto tenere i capelli legati a quel modo, ma non
poteva far nulla se era lui a volerli
così - su di una spalla. Le ricadde sul seno non appena lui
si allontanò e d'impulso lei si strinse nella stoffa
sfrangiata. Quando lui era così vicino, anche se non le
sfiorava neppure un centimetro di pelle, iniziava davvero a fare molto
freddo.
«...ma
allora non mi stai liberando?» si accertò, con un
bisbiglio.
Rufus
parve trattenere una risata, guardandola con le labbra premute fra
loro; poi fu incredibilmente bravo a sostituire quel cipiglio sospetto
con qualcosa che gli si addicesse maggiormente. Lo sguardo di uomo che
non doveva mai chiedere nulla.
«
Per il momento accontentati di questo. » non aveva risposto
alla domanda, ma la eluse con maestria invidiabile.
Tifa
si ritrovò a seguirlo ciecamente lungo i corridoi del
palazzo ShinRa, quasi in preda all'ipnosi. Pensava che non avere
più le manette la potesse aiutare a sentirsi più
libera, che le potesse dare la sensazione di poter fuggire
più facilmente, ma senza nulla a fermarle le mani si sentiva
ancora più inspiegabilmente costretta, rinchiusa, impotente.
Sapeva
che anche volendo non sarebbe mai riuscita a scappare, che non sarebbe
stata in grado di sottrarsi a lui, al suo
personale burattinaio. Quello che tendeva ed allentava i suoi fili con
la forza di una semplice occhiata.
Respirò
a pieni polmoni quando, raggiunta la terrazza dell'ultimo piano,
sentì il vento schiaffeggiarle il volto. Lasciò
che le sferzasse la schiena, mentre ciocche sfuggite all'intricato
gioco di intrecci le lambivano le guance congestionate.
«
Soffri di vertigini?» le domandò di colpo Rufus;
si voltò verso di lui di scatto, si era quasi - stranamente-
dimenticata della sua presenza. Se ne stava lì immobile nel
vento, gli abiti bianchi che gli si gonfiavano intorno alle braccia e
le gambe, le mani in tasca ed i capelli appena più
disordinati del solito.
«
No.» Tifa rispose semplicemente, senza degnare di uno sguardo
il baratro di sessanta piani che le si apriva davanti, un enorme canyon
di ferro e luci, di persone, miseria e nuvole.
Rufus
non disse nulla, o forse Tifa si rifiutò semplicemente di
ascoltarlo.
Il
vento la depurava. Forse poteva illudersi di dimenticare tutto e
levarsi dalla mente lui e la sua paradossale
prigionia per almeno i cinque minuti che sarebbero seguiti
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Capitolo 6 *** Parte VI - Handcuffs//Deception ***
Parte
VI - Handcuffs//Deception
Non
le rimisero più quelle insopportabili manette.
Tifa
non capiva perché.
Non
riusciva a comprendere il motivo per cui gliele avesse tolte solo
adesso, dopo tutti quei giorni, tutte quelle settimane.
A
che scopo levargliele? Forse Rufus era sicuro che non avrebbe
più tentato la fuga? A che scopo obbligarla a tenerle
fino
a quel momento, se non le permetteva neanche di schiudere la porta
della sua stanza? Se la sorvegliava in continuazione e non smetteva di
minacciarla di sequestrarle la chiave?
Era
una cosa che aveva notato da relativamente poco tempo, ma rimuginando,
sfogliando le pagine di Loveless - lo aveva letto
e riletto almeno una ventina di volte ormai - aveva iniziato ad
intravedere nei suoi gesti dei sospetti messaggi
cifrati, sentire parole non dette, scorgere cose che lui
sembrava volerle tenere nascoste.
Ma
erano quelle manette, quei cerchi rossi leggermente sbiaditi che
ancora le turbavano la pelle bianca dei polsi a renderla sospettosa.
Forse
in fondo, ciò che l'aveva tenuta lì andava
aldilà dell'enorme ritardo di quel maledetto Presidente.
Rufus
entrò nella sua stanza senza bussare, come al solito. Le
chiese se aveva mangiato, se voleva qualcosa in particolare, poi
uscì
chiudendosi la porta alle spalle.
Tornò
a sera tarda, per darle la buonanotte, come ai bambini.
Tifa
gli aveva permesso di comportarsi in quel modo sin da quando si
era stancata di combattere e aveva iniziato a sopportare passivamente,
senza reagire.
Ma
quella sera non aveva intenzione di andare a letto presto, di spegnere
la luce quando veniva lui a premere l'interruttore.
Si
alzò dal letto con uno slancio incontrollato, qualche
istante
dopo averlo visto richiudersi la porta alle spalle per lasciarla
dormire. Le avevano sciolto i capelli e le avevano fatto indossare un
abito di un colore scuro che si coordinava armoniosamente ai suoi
occhi, ma non le importava più nulla. Lasciò che
la vestaglia
trasparente frusciasse intorno alle sue caviglie e spalancò
la porta,
correndogli incontro a piedi nudi, inseguendolo, cercando di indovinare
la direzione che avevano preso i suoi passi.
Voleva
delle risposte. Voleva capire esattamente cosa stesse
accadendo in quel posto di cui vedeva solo quattro mura, una finestra,
un letto.
Quando
lo raggiunse, fece appena in tempo a sgusciare in una stanza
sconosciuta assieme a lui, accelerando la veloce chiusura della porta
poggiandoci sopra la schiena.
Clack.
Chiusa.
La
sala era ampia e ancora buia, l'unica fioca luce proveniva dalla
luna pallida che filtrava oltre l'enorme finestra di fronte
all'entrata; gli unici elementi di mobilia erano un divano, un tavolo
da lavoro ed una lunga libreria. Sembrava un ufficio.
Spiò
le spalle larghe di Rufus che la sovrastavano, chiedendosi se
stesse semplicemente giocando a tenerla sulle spine. Era impossibile
che non si fosse accorto di lei.
Non
gli diede il tempo di accendere la luce o di pronunciare una singola
parola:
«
Ora tu mi ascolterai, Rufus ShinRa.» scandì a voce
alta, la gola che le vibrava.
«
Non mi sono mai rifiutato di farlo.» rispose lui
semplicemente,
voltandosi a guardarla. Sul suo volto non c'era alcun tipo di sorpresa.
«
Voglio che tu mi parli sinceramente.» aggiunse, minacciosa,
facendo
qualche passo verso di lui. Non le importava di essere in vestaglia, di
essere mezza svestita, di avere un abito adatto solo alle tende
discrete del suo letto da principessa. Non le importava di essere
così
vulnerabile, piccola e bassa in confronto a lui. Voleva delle risposte
e le avrebbe ottenute in un modo o nell'altro. Non poteva dare pugni o
calci, ma poteva graffiare.
Lui
non arretrò di un solo passo, rimase immobile nella luce
lunare, aspettando.
«
Non ricordo di averti mai mentito prima d'ora. Almeno...»
sembrò
sorridere appena, nella penombra «...non l'ho mai fatto di
proposito.
Mai per ferire i tuoi sentimenti.»
«
Non lo faresti mai, vero?» lei completò la frase
con sarcasmo, la
voce tremante che cominciava a riprendere il suo vecchio calore, quello
che le aveva infiammato la gola durante quei giorni in
cella.
«
Mai.»
Sembrava
in qualche modo sincero, ma Tifa non aveva intenzione di farsi
interrompere o ingentilire. Inspirò fino a riempirsi
completamente i
polmoni.
«
E allora, dimmi, signor ShinRa.» scandì
perfettamente le sillabe,
una ad una « Perché tuo padre non è
ancora qui? Perché hai cercato di
eludere l'argomento in tutti questi giorni? Voglio una
risposta!»
Il
suo urlo bisbigliato venne inghiottito da un silenzio pesantissimo.
Dapprima
sul viso di Rufus non apparve alcun tipo di emozione. I
suoi lineamenti rimasero immoti, la bocca ferma nell'atto di dire
qualcosa. I suoi occhi, per il maledetto Pianeta,
i suoi occhi brillavano come pietre preziose, liquidi e pericolosi come
il mercurio, un alternarsi continuo di azzurro, verde, ambizione,
egoismo, divertimento.
Tifa
resistette. Stoicamente.
«
Credo sia arrivato il momento di spiegarti qualcosa, Tifa.»
cedette lui infine, mentre un sorriso rassegnato gli increspava le
labbra. Un rimpianto falso quasi quanto la gentilezza delle sue parole,
un sentimento artificiale che neppure gli sfiorava gli occhi.
Lei
intrecciò le braccia sul petto, in attesa, le unghie che le
si
conficcavano nei palmi fino quasi a farli sanguinare. Ormai era ovvio
che i suoi sospetti fossero certezza.
«
Sono tutt'orecchi.» annunciò, respirando
profondamente.
Rufus
ebbe un'ultima esitazione prima di riprendere. Si stava divertendo.
Si stava divertendo troppo e non avrebbe permesso che tutto quello
finisse troppo in fretta.
«
Da dove potrei iniziare...» si finse soprappensiero per un
attimo,
massaggiandosi svogliatamente il collo «...come
dire.» alzò di colpo
gli occhi verso di lei, una luce spaventosa ad illuminarglieli
« Mio
padre ha sempre odiato i ritardi. Li considera inappropriati.»
Tifa
batté le palpebre, confusa.
«...cosa
vuol dire?»
Rufus
sorrise. Un sorriso tagliente, un sorriso che sfiorava il sadico.
Tifa strinse forte i denti.
«
Significa che mio padre non si concede alcun tipo di ritardo.
Semplicemente, non verrà mai a vederti.» scosse il
capo nel ripetere «
Mai.»
Tifa
si morse un labbro, affondando i canini nella carne e nel rossetto che
sapeva di ciliegia. Attese che lui finisse.
Il
principe parve voler studiare la sua reazione prima di
riprendere. Era così maledettamente disgustoso e seducente
il modo in
cui piegava la testa di lato, la forma della sua bocca che la
scherniva, il modo suggestivo con cui i raggi lunari mostravano e
nascondevano il taglio elegante delle sopracciglia e degli occhi. Tifa
si morse anche la lingua.
«
Il Presidente non verrà per un semplice motivo.»
quelle parole
suonarono come una condanna « Ispezioni a nord. Impegni,
appuntamenti.
Gli rimane giusto il tempo necessario a delegare al suo giovane vicepresidente
di adempiere ai compiti che lui, sfortunatamente,
non può portare a termine.»
Tifa
rimase immobile. Il suo cuore perse un battito.
Rufus
si lasciò andare in quella risata tranquilla che aveva
trattenuto fino a quel momento: durò giusto un istante.
«
Toccava a me giudicarti. In questo caso, toccava a me. E l'ho
fatto.»
sollevò le sopracciglia in un'espressione ingenua
« Ti ho liberata il
giorno stesso in cui ti ho vista là distesa in quella cella.
Sei libera
da allora.»
Tifa
aprì la bocca, sconvolta, ma lui la precedette, guardandola
fisso negli occhi:
«
Potevi andartene da allora.» fece una pausa, il suo sorriso
divenne terribilmente malizioso « Ma sei rimasta.
Sbaglio?»
E
poi accadde.
Tifa
scoppiò. Tutta la rabbia, tutta la vergogna, tutto il
dolore, tutto
ciò che aveva accumulato, trattenuto e soppresso dentro di
sé durante
quei giorni, le esplose nel petto con una furia tale che le parve di
poter vedere le sue mani bruciare assieme ai vestiti.
Senza
più riuscire a distingue la parte razionale da quella
irrazionale, si lanciò contro Rufus, gli afferrò
con rabbia una manica
dell'abito, tirandolo così forte che avrebbe potuto
strappare la
stoffa. Lo strattonò, la voce che le gorgogliava in gola, lo
spinse con
tutta la sua forza contro lo stretto divano di pelle nera.
Lui
non si oppose, la lasciò fare, ricadde pesantemente sui
cuscini,
il volto tanto tranquillo da sembrare quasi soddisfatto, compiaciuto;
la attendeva, seduto scompostamente sul divano, attendeva solo che lei
lo raggiungesse.
E
lei non si fece attendere.
Si
avventò su di lui, a piedi nudi sulla pelle liscia e scura
come
la notte, intrappolò le sue gambe fra le proprie,
afferrandogli con
foga e furia combinate il bavero bianco della giacca. Lo avrebbe
colpito con tutta la sua forza.
Avrebbe
davvero voluto farlo.
Le
loro labbra si scontrarono violentemente, affamate, bollenti,
arrabbiate, in una ricerca ossessiva e continua di farsi male e
soddisfarsi a vicenda. Quelle di lui la provocavano, la invitavano, si
impossessavano di lei improvvisamente, la guidavano e si lasciavano
guidare per prenderla in giro. Quelle di lei lo rincorrevano,
reclamavano con prepotenza la sua attenzione, cercavano di morderlo per
fargli male ma poi si smarrivano e lo baciavano semplicemente.
Lo
baciavano con rabbia, con rimpianto, con dolore, bruciando di un
amore morboso e carnale che la consumava dall'interno, facendole
sentire solo un disperato ed insensato bisogno di ricevere quello
stesso amore in cambio del proprio, riceverlo e donarlo, donarlo e
riceverlo all'infinito.
Sentì
improvvisamente le braccia di Rufus cingerle i fianchi,
possessive, cercare la sua schiena, cercare quel contatto fisico che
gli aveva negato così strenuamente fino ad allora. E non si
era neppure
resa conto di aver già avvolto le sue braccia al suo collo
con lo
stesso identico vigore, le mani che si insinuavano fra i suoi capelli,
glieli tiravano fino quasi a strapparglieli, una vendetta dolce, lenta
e crudele.
Si
avvicinò ancora a lui, stringendo le gambe ai suoi fianchi,
guidata solo dal desiderio incontrollato che i loro corpi si
toccassero. Anche quel vestito da camera, quell'abito tanto sottile da
sembrare quasi trasparente, quello attraverso il quale lui poteva
sentire ogni cosa di lei, non era mai stato così comodo come
in quel
momento.
Tifa
trattenne il respiro mentre lasciava che le labbra di lui
dischiudessero le sue, intensificassero la passione ed il bisogno con
cui le loro bocche si univano e si allontanavano, si assaggiavano a
vicenda senza fermarsi mai a riprendere fiato. Gemette appena mentre
seguiva la curva della sua mascella tesa, intrecciava ancora le dita
alle ciocche bionde sulla sua nuca, si rendeva conto di averlo
desiderato con quello stesso rovente tormento fin dal primo sguardo,
dalle prime parole, dal primo istante.
Poi
furono costretti ad interrompersi, con rammarico, con la stessa rabbia
con cui si erano uniti.
Il
volto in fiamme, la gola scossa da bassi sospiri, Tifa lo
cercò
nella penombra, consapevole solo delle sue mani grandi e calde sulla
sua pelle, del suo ansimare accaldato che le sfiorava il collo.
E
lui era lì, cercava lei, gli occhi socchiusi ed un sorriso
stanco
sulle labbra, un sorriso che sapeva di soddisfazione, autocompiacimento
ed irrequietezza.
«
Ero preparato ad affrontare la tua rabbia assassina...»
glielo
bisbigliò all'orecchio, con voce un po' roca
«...ma questo in fondo è
molto meglio.»
Lei
si chinò sulla sua spalla, arcuando appena la schiena contro
le sue
dita che continuavano a cercarla, avide, incontentabili, sempre
più
lente; si nascondevano oltre i lembi del suo vestito, le sfioravano il
collo, si insinuavano dolcemente tra i suoi capelli, discendevano le
sue braccia scoperte, rasentavano lembi di pelle proibiti lasciandola
senza fiato.
Nascose
il volto nell'incavo del suo collo, chiudendo gli occhi, mordendosi le
labbra per ritrovare quel poco del suo sapore che
vi era rimasto sopra.
Ormai
sapeva di appartenere a quelle mani, sapeva di essere sua
e di non poter più scappare, sapeva che gli avrebbe donato
tutta sé stessa senza che lui dovesse chiedere nulla. Ora
non servivano le manette a tenerla prigioniera.
Gemette
ancora, sommessamente, cercando la sua bocca. Lui si mosse appena per
facilitarla, carezzandole il naso con una guancia.
«
Sei un maledetto, imperdonabile bastardo.»
glielo disse
in un basso rantolo, con le labbra sovrapposte alle sue, tesa come le
corde di un violino nel momento in cui venivano pizzicate dal
musicista.
Sentì
solo qualche parola confusa e fioca prima di accogliere ancora
il suo respiro dolce fra le labbra, desiderando solo che quel secondo
bacio durasse più a lungo, fosse più intenso e
più straziante.
«
...ma tu puoi sopportarlo, vero...?»
Tifa
si strinse con più forza alle sue spalle, corrugando la
fronte,
colmandosi di lui fino a che non le parve che il cuore potesse
scoppiarle in petto.
Era
una risposta abbastanza chiara.
[End]
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