Positive Blood

di Kokky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo | Pillole | I positivi ***
Capitolo 2: *** Vampiro | I ***
Capitolo 3: *** Nuova | Informazioni | Forestiera ***
Capitolo 4: *** L'incontro | Un nuovo acquisto | Vecchiaia ***
Capitolo 5: *** Ricordi di primavera | Rosa| Adam ***
Capitolo 6: *** S.S.E.V. | Compromesso | 5 ***
Capitolo 7: *** Sogno | Nuovi amici | ***
Capitolo 8: *** Mappa | Un insolito compleanno | ***
Capitolo 9: *** Piano | Umanità ***
Capitolo 10: *** Armelia | Sei innamorata? ***
Capitolo 11: *** Un soldato perfetto | Il gigante e l'alchimista ***
Capitolo 12: *** Il nuovo volto di Logan | Put your hands into the fire ***
Capitolo 13: *** Lettere | Party ***
Capitolo 14: *** Ballo ***
Capitolo 15: *** Rivelazioni | La mia Juliet ***
Capitolo 16: *** Il ciondolo di Sylvester | Cambiamenti ***
Capitolo 17: *** La decisione di Juliet | Quarzi rosa ***
Capitolo 18: *** Comprensione ***
Capitolo 19: *** Hassan del deserto ***
Capitolo 20: *** Buttando tutto fuori | Red Eyes | I'm breaking out ***
Capitolo 21: *** Dannati | Discorso ***
Capitolo 22: *** And dreaming I'm alive ***
Capitolo 23: *** Brindisi fra vampiri | Only a Kiss | Il nostro tempo sta finendo ***
Capitolo 24: *** Simpatia | Donne ***
Capitolo 25: *** L'arrivo e l'inizio | Addio ***
Capitolo 26: *** Scappa! | Fragments of war ***
Capitolo 27: *** Nemmeno una speranza | Incubi ***
Capitolo 28: *** Incontro | Dietro la foresta, sotto le rocce ***
Capitolo 29: *** Viaggio in carrozza | Una notte molto lunga ***
Capitolo 30: *** Un nuovo giorno | La scomparsa ***
Capitolo 31: *** La nuova stanza | Abbandono ***
Capitolo 32: *** L'unica scelta | I fiori di ghiaccio ***
Capitolo 33: *** Proseguire senza sosta ***
Capitolo 34: *** Notizie di dolore e gioia ***
Capitolo 35: *** You set my soul alight ***
Capitolo 36: *** Oh, boy! So stupid ***
Capitolo 37: *** Sirene ***
Capitolo 38: *** Il cambiar è cosa assai ardua ***
Capitolo 39: *** To live and not to breathe | Requescant in pacem ***
Capitolo 40: *** Alesia e i Burnside ***
Capitolo 41: *** Il rapimento ***
Capitolo 42: *** La Paura ***
Capitolo 43: *** Mai perdere di vista il proprio obbiettivo ***
Capitolo 44: *** Addii ***
Capitolo 45: *** Dietro di sé ***
Capitolo 46: *** And my spirit is crying for leaving ***
Capitolo 47: *** Maximilian ***
Capitolo 48: *** E mi lascio indietro ciò che pesa ***
Capitolo 49: *** For you I bleed myself dry ***
Capitolo 50: *** Risvegli spiacevoli ***
Capitolo 51: *** La Dieta del Consiglio ***
Capitolo 52: *** The first one | New born ***
Capitolo 53: *** Gelidi Tramonti | How you remind me ***
Capitolo 54: *** L'attuazione del piano ***
Capitolo 55: *** Il rapimento (visto dagli altri) ***
Capitolo 56: *** I will fight for all that is real ***
Capitolo 57: *** Echoes ***
Capitolo 58: *** Le ovvie conseguenze del rapimento ***
Capitolo 59: *** Incamminandosi verso la battaglia ***
Capitolo 60: *** Lo scontro ***
Capitolo 61: *** L'alchimia del dolore ***
Capitolo 62: *** Il racconto ***
Capitolo 63: *** Il tripudio dei vampiri | The End ***



Capitolo 1
*** Prologo | Pillole | I positivi ***


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Salve!!Positive blood è molto importante per me perchè l'ho iniziata in terza media cioè due anni fa circa... i primi 3 cap li ho scritti in 3 media, dal 4 al 7 in prima liceo, gli altri ora... metto più di un cap perché non sono molto lunghi ^^"
Sono stati corretti e ripostati.

Positive Blood

Prima parte

01 – Prologo

 

La ragazza camminava con aria assorta in un viale alberato, con colline ai lati riscaldate dal sole.

Aveva appena salutato le sue amiche, e non vedeva l’ora di scoprire perché sua madre le avesse detto di tornare presto a casa.

C’era un via vai di persone. Alcune chiacchieravano animosamente, mentre altre camminavano in silenzio, godendosi l’aria primaverile.

La ragazza svoltò l'angolo, quando... sentì qualcuno chiamarla per nome.

« Sofia... Sofia? »

Sofia si svegliò di colpo, i capelli spettinati le caddero sulla schiena, gli occhi cercarono di capire il perché di quel risveglio. Una donna di mezza età la fissava dall’alto in basso, con aria materna. Aveva i capelli neri e gli occhi scurissimi, ma caldi e pieni di amore. Sorridendo le disse: « Sono pronte, il professore ha detto che sono pronte! »

Sofia si alzò di scatto dalla sedia a dondolo, si sistemò velocemente i capelli e si mise un giubbotto verde militare.

« Sbrigati, lo sei già! » la incitò la donna, di nome Ginger.

« Non ti preoccupare, ci metto solo due minuti. » la tranquillizzò Sofia.

La ragazza scese le scale, era già sul vialetto di ciottoli bianchi quando si voltò. La donna era lì, sul balcone, e la guardava preoccupata. La giovane le sorrise. Dopotutto Ginger era sempre stata buona e dolce con lei.

Corse via verso la villa barocca, dove stavano tutti i “positivi”.

Sofia era assorta nei suoi pensieri, mentre cercava di raggiungere la villa più veloce possibile. “Umh... non riuscirò mai ad abituarmi! Qui le persone con l'RH positivo sono rarissime, al contrario che da noi.”

Arrivò alla villa, mostrò il suo lasciapassare, salutando la guardia come faceva tutti i giorni, ed entrò.

C’era un immenso giardino pieno di fiori colorati, alberi grandissimi e centenari, con chiome folte e rigogliose, piccoli animali veloci come il vento. Il sentiero si snodava tortuoso come un serpente fra il sottobosco molto folto. Dopo un po’ si arrivava alla villa vera e propria. Era vastissima, dalle pareti esterne bianche, con l’edera che si arrampicava imperterrita, colorando i muri. Il cortile lastricato era molto ampio, bianco anch’esso.

Due bambini vennero a salutarla.

« Ciao, Sofi. »

I due gemelli le sorrisero ironici, fluttuando. I corti capelli erano biondi, quasi bianchi, e gli occhi azzurri venivano messi in risalto dalla pelle chiarissima.

« Ciao, Rupert. Ciao, Ryan. Ci vediamo fra poco, vado di fretta. » li salutò lei velocemente.

Andò via correndo, quando si scontrò con Adam. Era un ragazzo dai capelli dorati, con qualche riflesso castano, raccolti in una coda di cavallo, gli occhi blu mare e un bellissimo fisico.

« Scusa. » esclamò Sofi, prima di entrare nella villa.

“Uh... non è possibile, lei non...” pensò lui, girandosi per vedere i capelli castani di Sofia sparire dentro la villa. Sul suo volto apparì un misto di stupore e di un’insolita allegria. Il primo si sostituì subito a una nuova consapevolezza, poi sul suo viso affiorò un sorriso sarcastico.

*

 

 

02 – Pillole

 

Sofia, dopo aver percorso qualche corridoio della villa, entrò in uno studio dalle pareti azzurre. Vi erano pochi mobili di stile gotico, qualche quadro di paesaggi e un grande tappeto variopinto che ricopriva quasi tutto il pavimento. Dietro una scrivania possente e piena di carte, c’era il professore, seduto su una sedia antica e massiccia, molto alta e con zampe di leoni come piedi.

Lui, vedendola arrivare, le disse: « Sei in ritardo! » Poi sorridendole le lanciò un pacchetto verde scuro. « Tieni! »

Sofia lo aprì subito e prese una pillola arancione, mettendosela in bocca. Aveva un gusto dolce, fruttato.

« Grazie mille! Sono positiva già da un po’, Ginger si stava preoccupando. Mi ero addormentata. » lo informò lei.

« Non hai avuto problemi? »

« Per fortuna no. Comunque ora vado a giocare con i gemelli, ci vediamo la prossima volta. » concluse lei.

Uscì dalla stanza e iniziò a cercare i gemelli, mentre il professore tornava a sistemare le sue scartoffie. Sofia trovò i bambini nel giardino dietro la villa. Iniziarono a giocare correndo, saltando, rotolando dappertutto.

Sofia era così presa dai gemelli che non notò il pacchetto di pillole uscito dalla sua tasca fluttuando. Così non si accorse neppure che esso scivolò nelle mani di qualcuno lì vicino.

Qualcuno che li stava osservando...

*

 

 

 

03 – I positivi

 

Ore 12.30, laboratorio scientifico.

Nella grande sala gremita di gente, seduta a livelli sui gradoni, vi era un pannello appeso a una parete che mostrava un DNA in continuo movimento.

« Come tutti sapete, voi siete positivi. » spiegò il professore con aria seria. « E siete molto rari. Possedete una caratteristica molto particolare, una vitamina in più che si sviluppa ai raggi del sole. » L’immagine sul pannello cambiò. « Grazie a questa vitamina siete molto più sviluppati sia nella forza fisica sia in quella intellettuale. Ma siete anche molti ricercati... i “superiori” sono sulle vostre tracce. Per questo abbiamo inventato questa pillola. » Con la mano indicò il pannello, dove troneggiava una piccola pillola arancione. « Questo farmaco blocca la vitamina per 12 ore circa, rendendovi come dei negativi. Tutto ciò è molto utile se volete andare all’esterno della villa, visto che se siete positivi i “superiori” vi troveranno subito. »

Il professore guardò la platea. C’era una caratteristica a cui la pillola non poteva rimediare: la loro pelle, i loro occhi, i loro capelli... erano chiarissimi!

Un’altra cosa preoccupava il professore: i “superiori”... i vampiri “superiori”.

 

Alla fine della spiegazione, Adam si avvicinò al professore.

« Allora queste pillole riescono a bloccare la vitamina? » chiese con naturale curiosità all’uomo.

« Sì, anche se sarà molto improbabile che voi positivi uscirete dalla villa. Ancora non si sa bene a cosa puntano i “superiori”. Sappiamo solo che sono superiori ai vampiri normali: possono specchiarsi, stare al sole, mangiare aglio. Assomigliano molto ai positivi. Ma comunque la pillola non nasconde i vostri caratteri genetici, comprendi Adam? Questo è un problema da risolvere. »

« Ma il sangue rimane uguale? » domandò il giovane.

« Uh?! Beh, sì, rimane uguale. I “superiori” possono berlo e nutrirsi benissimo come se fosse un positivo attivo. Ma non riescono a riconoscerlo, a percepirlo... Perché questa domanda? »

« Curiosità. » Adam mostrò la sua dentatura perfetta con uno splendido sorriso. « Capisco. »

« Cosa? » chiese Arthur, non capendo la parola sussurrata dal biondo.

« Niente di importante, ero soprapensiero. Arrivederci, professore. »

Adam si allontanò. Sul suo volto era stampato un sorriso che era un misto tra sarcasmo e allegria. E nella sua mano c’era un pacchetto... un pacchetto verde scuro.

*

 

 

 

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Capitolo 2
*** Vampiro | I ***


Che la storia abbia inizio seriamente!*w* come al solito vi auguro una Buona e Piacevole lettura ^^
Capitoli corretti e ripostati

04 – Vampiro

 

Tarda sera. A casa di Sofia si stava per andare a letto, quasi tutte le luci erano spente tranne quelle della sua camera.

La stanza non aveva molti oggetti, era ariosa, con un grande letto, un armadio e una scrivania. Alle pareti vi erano alcuni quadri, e un ritratto fatto da Sofia, non senza difficoltà.

Era sua madre.

I lunghi capelli castani le cadevano soffici sulla schiena, i suoi occhi color nocciola, come quelli di Sofi, sorridevano come le sue labbra. Erano carnose, a forma di bocciolo che si stava schiudendo in un sorriso, dal colore rosa scuro e brillante. Indossava un vestito estivo azzurro, ricamato con piccoli fiori color non-ti-scordar-di-me. Era bellissima.

Sofia aveva messo a soqquadro la sua stanza, non riusciva a trovare le sue pillole.

“Uffa! Ma dove sono finite?” Sofia guardò per l'ennesima volta sotto il letto. “Ma certo! Devono essermi cadute mentre giocavo con i gemelli. È meglio sbrigarsi.” si disse, alzandosi da terra.

Sofia prese una giacca blu notte, per mimetizzarsi meglio, e uscì dalla stanza senza produrre alcun rumore.

“Se mi scopre Ginger mi chiude a chiave in camera. Ma io DEVO riprendermi le pillole! Tanto ormai sono positiva... non sarà un problema per me, riuscirò subito a trovarle.”

Sofia era già sul vialetto di ciottoli.

Iniziò a correre velocissima, come una saetta, e si inoltrò subito nel bosco della villa. Saltò cespugli, scansò i grappoli di fiori che pendevano, corse a un palmo da terra. Proprio come una positiva.

“Ecco il cortile!”

Sofia avanzò cauta. Aveva una brutta sensazione, come un brivido che le saliva sulla schiena e le attanagliava la mente. Non riusciva a liberarsene, quel brivido le era dentro.

“Ma cosa?!” Sofia vide una figura avvicinarsi. I suoi lunghi capelli erano raccolti in una coda di cavallo.“È Adam!”

« Adam! Per caso hai visto un pacchetto verde scuro nei dintorni? » chiese lei.

Lui non le rispose. Non si mosse neppure.

“Ma lui che ci fa qui a quest’ora?” si disse Sofia incuriosita, con quella strana sensazione di paura che la tormentava.

Il volto di Adam si sollevò.

Il suo aspetto era un po’ diverso dal solito. I lunghi capelli si sciolsero per magia, diventarono scuri, neri, i suoi occhi cambiarono colore, diventando rossi, dalla pupilla più sottile e allungata.

Il suo volto pallido si illuminò con un sorriso. Ma quello non era un normale sorriso.

“I suoi denti sono... appuntiti?!” Sofia ne rimase sconcertata. “Lui è...”

« Stai cercando queste? » domandò mostrando la sua mano. Nelle sua dita affusolate dalle unghie lunghe e nere si intravide un pacchetto verde scuro.

Le sorrise beffardo, guardandola con quegli occhi rossi, inumani.

“Lui è...”

« Tu sei un vampiro superiore?! » esclamò lei, conoscendo già il responso.

Un sorriso fu la sua unica risposta.

*

 

 

05 – I “superiori”

 

« Ma non può essere! Tu sei un positivo, non un vampiro superiore! Sei come i positivi, hai i loro pote...» Sofia si bloccò come se fosse stata punta da un'ape. “I vampiri superiori sono più forti dei vampiri, sono come noi!”

« Già. » rispose lui calmo, con un tono diverso dal solito, bramoso e basso. « Noi siamo molto simili ai positivi, in fondo mi sembra logico... noi eravamo positivi. »

“Ma cosa sta dicendo? I vampiri superiori sono... erano positivi?!” pensò Sofi, prima di ribattere. « Tu stai mentendo. I positivi sono persone buone, non diventerebbero mai dei pipistrelli che succhiano sangue, puoi starne certo, preferirebbero morire! »

Sofia riprese fiato… sentiva un’aria grave e pesante su di lei, e pur essendo positiva da un po’ era stanca, come se qualcuno le stesse succhiando la sua linfa vitale.

« Ahahah! » Adam scoppiò in una risata acuta, forte, ma Sofia riuscì a percepire anche una certa amarezza. In questo modo i suoi denti erano in bella mostra, bianchi e lucenti, affilati come una lama di rasoio.

« Noi non siamo diventati così per nostra scelta. » ribatté lui. « Molto tempo fa un vampiro assaggiò il vostro sangue, il sangue positivo, e gli piacque moltissimo, divenne la sua ossessione! Così vampirizzò alcuni di voi, che si dimostrarono da subito “superiori”. Però loro si nutrivano di sangue positivo. Da allora i vampiri positivi, detti superiori, bevono il vostro sangue, il più dolce! »

Sofia rimase impietrita, senza riuscire a parlare, sul suo volto c’era un'espressione disgustata.

Vide Adam davanti a sé così diverso, irreale. Ma notò un’altra cosa: nel buio della notte c’erano tre ombre veloci, scattanti, che si muovevano verso di loro.

Al chiaro di luna le vide avvicinarsi. Le tre ombre non erano altro che... “Altri tre?! Ci sono altri tre vampiri superiori!”

I tre vampiri erano alti ed imponenti, dalla pelle ancora più bianca a causa dell'oscurità, erano snelli, con le mani affusolate dalle unghia lunghe nere. Avevano i capelli scuri come la notte, lunghi e sciolti sul corpo perfetto. Ciò che colpiva di più era il loro volto, bellissimo, con gli occhi rossi che risaltavano come lava sulla neve sulla bianca pelle; la loro bocca era perfetta, se non che fornita di denti bianchi, aguzzi e taglienti.

Sofia arrossì di fronte a tanta bellezza, ma sapeva che essa nascondeva malignità e brama, ossessione, di sangue. “Il mio sangue!”  pensò impaurita.

Loro le sorrisero beffardi, poi si girarono verso Adam e uno dei tre, probabilmente il leader, parlò: « Basterà per tutti e quattro? Io ho voglia di sangue e non mi piace spartirlo! »

« Non sono io che vi ho chiamati. » ribatté Adam « Questa è la mia preda! » e a queste parole di voltò verso Sofia, squadrandola dall'alto in basso. « E ora via! La sicurezza si accorgerà subito di voi, via!!»

« Bah! E noi che eravamo venuti per uno spuntino sicuro… » esclamò uno, e con qualche sbuffo scomparirono, inghiottiti dal buio pece.

« Io non mi farò succhiare il sangue! » gridò subito dopo Sofia al vampiro.

« Non ne sarei tanto sicuro, mia prelibatezza. » le rispose sarcastico Adam. « Anche se ora sei positiva io non sono un normale vampiro e sono più forte di te! »

« Questo lo dici tu! » le rispose beffarda la ragazza, che cercava di nascondere la paura.

« Staremo a vedere! » Adam fulmineo come un lampo si avvicinò a Sofia. « Presa. » sussurrò afferrandola per le braccia.

« Tu non sai con chi stai parlando! » gli gridò lei e con inumana potenza lo scaraventò dall'altra parte del cortile. « Io non sono una ragazza inerme. »

Adam si bloccò a mezz’aria, un po’ stupito. “Io non ho mai visto un positivo così forte! Ma come può essere così potente? Io sono fra i superiori più forti eppure...”

La guardò con finta indifferenza. « Non male! Ma io avrò il tuo sangue! »

Provò ad attaccarla, ma non riuscì a colpirla. Sofia era cambiata: il suo sguardo era deciso, forte, fiero. Più tempo non prendeva pillole più diventava potente.

Parò un colpo, un altro, un altro ancora e ancora, sempre di più.

“Ma come può essere?” Si chiese Adam mentre provava e riprovava a colpirla.

« Tu non sei una normale positiva! I positivi sono sempre più deboli, il loro sangue si è mischiato con quello dei negativi rendendoli più vulnerabili. Tu sei una positiva... pura?! Non ne esistono più da molti secoli, ormai! »
Non sapeva ancora che Sofia era una positiva pura, e anche che era anche proveniente da una altro mondo... il nostro mondo...

*

 

 

06 – Sofia

5 anni prima

 

Mezzogiorno. L’ora di Geografia come al solito portava sonnolenza, erano tutti un po’ addormentati, qualche sbadiglio qua e là era l’unico rumore oltre il monotono suono della voce della professoressa.

Sofia si addormentò sul banco, la compagna allarmata cercò di svegliarla, ma lei aveva fin troppo sonno. Non si sarebbe svegliata neanche con un colpo di cannone.

« Ehi Sofi!! » le sussurrò la compagna di banco. « Svegliati! Dai, prima che se ne accorge la prof! » e così dicendo le toccò il braccio e lo scosse. « Dai! »

« E-emh! Cosa stai facendo Maria? »

Maria si voltò lentamente, come in quelle scene dei film dove il protagonista si gira e dietro si ritrova un mostro. La ragazzina vide la professoressa incuriosita che si stava avvicinando pericolosamente. « Ah... ecco... » sillabò Maria.

« Sta dormendo! Sofia sta dormendo! Come si permette, piccola impertinente! » esclamò l’adulta. Il volto della prof era corrucciato, con un’espressione torva e cupa. « Svegliati! Sofia!! Svegliati! Come ti permetti?... SOFIA!!! »

Con quest’ultimo urlo, la ragazza si svegliò di colpo, con i capelli un po’ scompigliati.

« TU!! » le urlò la prof inviperita, facendo sbarrare gli occhi nocciola della bambina.

“O-ops stavolta l'ho fatta grossa! Non dovevo vedermi quel film che finiva alle 2 e mezza...”

 

« Uffa!! Mi sono beccata una nota! »

Era appena finita la scuola e Sofia stava passeggiando con Maria e Giulia, un'altra compagna.

« È davvero una vecchia bacucca, stupida prof! » continuò Sofia.

« Già, però non dimenticarti che stavi dormendo! » le ribadì Giulia.

« SÌ, SÌ!! Però non è certo colpa mia se le sue lezioni sono soporifere come un sonnifero! Ogni volta che parla mi viene da sbadigliare! Comunque vi saluto, io giro a destra. » concluse Sofi.

« Ciao! » Le dissero all'unisono le due, che presero la strada a sinistra.

Sofia camminava con aria assorta in un viale alberato, con colline ai lati riscaldate dal sole.

Aveva appena salutato le sue amiche, e non vedeva l’ora di scoprire perché sua madre le avesse detto di tornare presto a casa.

C’era un via vai di persone. Alcune chiacchieravano animosamente, mentre altre camminavano in silenzio, godendosi l’aria primaverile.

La ragazza svoltò l'angolo, quando...

Vide un enorme depressione che girava e assorbiva tutto ciò che aveva attorno: foglie, pezzi di carta, legnetti.

“Ma cosa diavolo è?”

La frattura spazio-temporale, questo era il suo nome, attirava poco a poco Sofia verso di sé, senza che la ragazza se ne accorgesse minimamente.

“Che strano! Assorbe tutto ciò che c'è intorno. Ehi un mome...”

Sofia era ormai vicinissima al risucchio, il vortice aumentava sempre di più di potenza e la stava trascinando inesorabilmente.

« AHHHHHH!!! » urlò quando si accorse di essere ormai in trappola. Il ciclone era così vicino che riuscì a scorgere un altro... “C'è un altro mondo?! Si vede qualcos'altro... un giardino?!”

Era ormai a un palmo dall'occhio del ciclone.

« Aiuto!! Qualcuno mi aiuti! » urlò più forte che poté, cercando di salvarsi.

Ma la strada era deserta e nessuno la sentì gridare.

Venne assorbita dal vortice che si richiuse con un rumore di risucchio, come fa l’acqua quando scende nel buco del lavandino.

“Spero solo... spero solo di non morire.”

E dopo quest’ultimo pensiero, Sofia cadde svenuta in un lungo sonno, cullata dal movimento del vortice.

*

 

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Capitolo 3
*** Nuova | Informazioni | Forestiera ***


Capitoli corretti e ripostati ^.- Buona rilettura xD

07 – Nuova

 

Sofia si svegliò.

Nel tunnel buio vide che qualcosa stava cambiando. Sentì rumori, canti di uccelli, lo stormire delle foglie.

Notò che intorno a lei tutto si stava rischiarando e che tutto prendeva colore. C’era un bosco folto e rigoglioso dall’altra parte, pieno di alti alberi con grandi chiome verdi; c’era il vento che faceva muovere e fischiare le foglie, producendo un fruscio simile alle parole umane.

Sofia si ritrovò catapultata a terra, arrivando sul sedere.

« Ahia!! » si lamentò involontariamente.

“Che bel posto! Era da tanto che non vedevo qualcosa. È tutto così colorato e profumato. Degli uccellini stanno fischiettando! Ed è tutto così verde!” pensò subito, estasiata.

Sofia si guardò intorno e mosse qualche passo incerta nella radura.

Da un lato si sentì un fruscio.

« Oh! E tu chi sei? » le chiese una donna dai capelli e occhi scuri, apparsa da un cespuglio. « Hai capelli e la pelle chiara... sei scappata dalla villa, eh? Beh in fondo state sempre chiusi li dentro, ma è pericoloso, capisci? » le spiegò gentilmente.

Sofia la guardò incuriosita. “Capelli e pelle chiara? Villa? Ma di che sta parlando questa signora?”

« Dai vieni, ti riporto io! » le disse, prendendole la mano e tirandola leggermente con dolcezza. «Dai su, per caso non hai la lingua? »

« Ma signora sta sbag... » cercò di ribattere la bambina.

« No signora! Il mio nome è Ginger! E tu? Come ti chiami? » chiese la donna, curiosa.

« Sofia. Ma Ginger vedi... » tentò lei, dandole del tu.

« Shhhh. Non ti capita spesso di uscire, no? Apprezza la natura e ascolta tutti i suoi suoni rimanendo in silenzio. » Le disse, sorridendo.

« Ma... »

« Shhhh. Dopo cara. » E detto questo la trascinò nel bosco fino ad una villa.

Una villa barocca bianca.

 

« Ciao, Arthur. Come va? » domandò Ginger, entrando in uno studio azzurro.

Il professore, un po’ più giovane, sorrise e le rispose in modo garbato.

« Guarda chi ho trovato nel bosco? Dovreste migliorare la sicurezza! » E così dicendo indicò Sofia. « È facile scappare per loro e i bambini sono i più tentati! »

« Ma... Ginger cara... questa non è una nostra positiva! » esclamò il professore.

« Co-cosa? E tu, gioia, perché non me l'hai detto subito? » chiese Ginger, voltandosi verso la ragazzina.

« Io ci ho provato. » disse Sofia, fissandola scocciata. « Mi sembra logico, io non sono una po-positiva. »

« Certo che lo sei! Hai capelli e la pelle chiara! » esordì il professore interessato da questa nuova ragazzina.

« Che centra, mi scusi, il colore della pelle e dei capelli dal fatto che io sia una positiva? E poi cos’è una positiva? » domandò lei, leggermente curiosa e stupita.

« Scherzi! Certo che conta! Se sei chiaro sei positivo, se sei scuro sei negativo, come noi due. Tutto questo accade a causa della vitamina. Come fai a non saperlo? I positivi, appunto, hanno l’RH positivo e quindi la vitamina speciale in più, qui tutti lo sanno! » rispose Arthur, con l’irritante modo di parlare come se tutto fosse ovvio a questo mondo.

« Vitamina speciale? » Sofia li guardò sospettosa e molto sorpresa. « In effetti io ho l’RH positivo, ma da me non c’è questa distinzione... capelli, pelle, vitamine...tutto è uguale per tutti. » affermò convinta e informata. Amava le lezioni di scienze e le ore passate a studiare il corpo umano o a fare esperimenti strani.

« Da te? » chiesero all'unisono Arthur e Ginger.

« Sì. » esclamò lei convinta.

Sofia non sapeva se dirgli il suo segreto, il fatto di provenire da un altro mondo, ma alla fine cedette.

« Voglio sapere più cose sui positivi e la vitamina, in cambio vi dirò una cosa. Voi lo sapete tenere un segreto? »

*

 

 

08 – Informazioni

 

« Prima, però, parlate voi! » disse Sofia ai due, mostrandosi decisa.

« Ok. » le rispose il prof, scettico. « Da noi ci sono i positivi e i negativi. I primi hanno una vitamina speciale che si innesca con le radiazioni solari. Rende l’essere umano molto più forte ed intelligente. »

« Mmm... » sussurrò Sofi. « E che centra con la villa? »

« I positivi » continuò il prof « Sono rarissimi. Ce ne saranno due migliaia su questo mondo. Si raggruppano in ville. Qui ce ne sono circa una centinaia. » esclamò soddisfatto del gran numero.

« Ma perché si riuniscono? » chiese curiosa Sofia.

« Ovvio! Per difendersi dai “superiori”. » rispose lui prontamente.

« Eh?! E chi sono ‘sti superiori? » ribatté lei.

« Come chi sono?! È impossibile che tu non lo sappia! » le disse il prof esasperato da quella ragazzina e le sue inutili domande.

« Ma Arthur... » ribadì Ginger, intervenendo per la prima volta. « Se non sapeva dei positivi, figuriamoci di loro! »

« Mmm... va beh... sono i vampiri che si specchiano, mangiano aglio e si espongono al sole. Bevono il sangue dei positivi. Per questo si riuniscono. Per riuscire a batterli. » rispose il prof con fare annoiato.

« VAMPIRI? MA I VAMPIRI NON ESISTONO! » gli disse Sofia stupefatta, quasi urlando.

« Esistono eccome! Insomma, non è possibile che tu non sappia tutto questo! Anche se non fossi positiva, sapresti dei vampiri normali che si nutrono di negativi! » le sbraitò il prof. « Insomma... tu chi sei? » domandò infine, ponendole una semplice domanda dalla risposta decisamente difficile.

*

 

 

 

09 – Forestiera

 

« Il mio nome è Sofia. Ho 11 anni e faccio la prima media. Sono B positivo. Provengo da un altro mondo. » rispose lei come una macchinetta.

« Eh? » gli scappò al professore sbigottito. « Stai scherzando? »

Sofia, incerta, alzò lo sguardo verso di lui. « No, sono seria. Non so come dirlo... sono arrivata con... era una specie di... » le si spezzò la voce. Ginger le diede piano una pacca sulla spalla, sussurrandole: « Su, su. »

Sofia si sedette su una delle sedie dello studio. Si guardò i piedi. Rimase lì, in quella posizione, così tanto tempo da non saper più se fosse passata mezz’ora o di più. Il groppo alla gola non sembrava sciogliersi.

Una tazza fumante di cioccolata, ecco ciò che le offrì Ginger dopo un po’. Sofia ne bevve un sorso. La bevanda calda le scese giù per la gola, fino al cuore e la riscaldò tutta.

« Allora...? » la incitò il prof, che per una volta non si era spazientito in fretta.

« Beh... non so bene... stavo andando a casa e... ho visto un vortice... che mi ha risucchiato. » Sofia continuò a guardarsi i piedi. “Sembra inverosimile!” pensò mestamente.

« È un po’ difficile crederci. » le disse il prof scettico, confermando la sua idea.

« Perché dovrei mentire? » gli ribadì Sofia alzando il volto e giocando le sue carte.

« Mmm. » L’uomo si grattò la barba rada. « In effetti non hai alcun motivo... visto che sei positiva, però, sarebbe meglio per te se tu rimanessi qui. »

« NO! » rispose Sofia decisa. « La prego! Non voglio essere rinchiusa qui, per favore! » affermò convintissima, quasi come se già sentisse il peso della futura “prigionia”.

« Ragazzina, rischi la vita rimanendo fuori! » ribatté Arthur, con gli occhi scuri lampeggianti.

« Arthur. » Ginger si intromise dolcemente. « Potrei tenerla con me: sono vicina alla villa e se ci fosse qualche problema... » Spostò gli occhi da Sofia al professore. « E poi... non stai provando quel medicinale? »

« Ginger... ci vogliono ancora alcuni anni per metterlo a punto! Non vorrai rischiare di... »

« Di cosa si tratta? Io non voglio rimanere qui! » si fece sentire Sofia.

« Beh, dura poche ore... non ha effetti collaterali, almeno in teoria. Ancora però non l’abbiamo provato. Dovrebbe essere in grado di rendere i positivi in negativi... bloccare la vitamina per 2-3 ore... è ancora poco... » la informò lui.

« Mi va bene! Vorrà dire che verrò qui spesso, per prendere questo medicinale. Se siamo vicini... però non voglio essere reclusa... e poi penso che con Ginger... sì, vivere con lei non sarebbe male! » affermò decisa Sofia. Ginger le sorrise.

« E va bene... puff » sbuffò il professore, per poi sibilare un qualcosa simile a “Le donne sono tutte uguali, si fa sempre ciò che loro vogliono, desiderano e comandano!”. « Tieni qui un pacchetto. » disse prendendone uno dal cassetto della scrivania.

Era un pacchetto di pillole... un pacchetto verde scuro.

*

 

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Capitolo 4
*** L'incontro | Un nuovo acquisto | Vecchiaia ***


Salve!!Ho deciso di mettere i verbi al passato che è meglio... i cap precedenti li ho tutti modificati (solo i verbi)^^... vi auguro una Buona Lettura!
Capitoli controllati e corretti e ripostati xD

10 – L’incontro

 

Sofia girava per la villa maestosa e grandissima. C’erano, al primo piano, tantissimi salotti, sale da pranzo, saloni, sale da the... era finita dentro un salotto con divani azzurri con intarsi d’oro, dal tetto decorato con angioletti e fantasie floreali, con alte finestre e un lampadario con fiori. C’erano dei vasi dipinti a mano sul camino della sala. Sofia si avvicinò per guardarli meglio... SBAM!

L’alta porta si spalancò.

« Non mi prendi! » urlò una voce.

« E invece sì! » rispose un’altra, simile alla prima.

« Guarda che faccio! » si vantò la prima. La cosa fece una piroetta.

“Ma che... sono dei bambini di circa 3 anni... e... volano?!” pensò stupita Sofia.

« Ora ti prendo! »

I due continuarono a rincorrersi.

« AHHH! » urlò uno dei due.

Il bambino finì su un vaso blu sopra il camino e lo ruppe. CRASH!

« Ops » disse l’altro. « Tutto bene, Rupert? »

« Si, Ryan. Sto bene. » rispose il bimbo.

“Ma sono due gemelli! Hanno i capelli quasi bianchi...” pensò Sofia involontariamente.

« INSOMMA! » urlò una voce alle loro spalle, spezzando lo strano silenzio che si era frapposto fra i tre.

Si girarono. Davanti a loro c'era una delle governanti della casa.

« SEMPRE VOI! RYAN, RUPERT! È SEMPRE COLPA VOSTRA! VENITE QUI! SIETE IN PUNIZIONE! »

I due, col faccino triste, s’incamminarono verso la governante.

“Poveri...” si ritrovò a pensare Sofia. « È stata colpa mia, signora! » disse di botto, stupendo tutti i presenti, compresa sé stessa.

« Eh? » esclamò la governante.

« Stavo guardando il vaso e per sbaglio mi è caduto. » si giustificò la ragazzina.

« Mmm... » sussurrò sospettosa la signora « Va beh... vieni con me signorina...? »

« Sofia. » affermò lei prontamente.

Si incamminarono verso l’ala sud della villa, quella che un tempo era la parte addetta al dormitorio della servitù, adesso trasformata in uffici.

“Cavolo... ora mi tocca una punizione per nulla! Ma giurerei di essermi fatta due nuovi amici...” pensò lei con un sorrisetto stampato sul volto.

Rupert e Ryan osservarono sorridendo le due che si allontanavano.

« Sofia... ci ricorderemo di te. » sussurrarono insieme, con gli occhi azzurri allegri.

*

 

 

11 – Un nuovo acquisto

 

2 anni prima

 

Come al solito Sofia, Rupert e Ryan stavano giocando insieme.

« Ho fatto scopa! » gongolò allegra la ragazza.

« UFFA! » esclamarono i gemelli, spazientiti.

« In pratica ho vinto, sono arrivata a 11! » gioì Sofi, beccandosi due occhiatacce gemelle.

« Basta! Mi sono stufato. » esclamò Ryan.

« Va bene. Ora a che giochiamo? » gli chiese Rupert, leggermente più calmo del fratello.

« Mmm... » mugugnò l'altro, pensandoci sopra.

« UN RAGAZZO! C’È UN RAGAZZO FERITO! ALL’ESTERNO DELLA VILLA! AIUTATELO! » gridò una guardia, interrompendo i loro pensieri sul prossimo gioco. « AIUTO!! »

Il dottore si precipitò a soccorrerlo.

« Andiamo a vederlo! » suggerirono i gemelli.

« Ok. » rispose lei.

Si avvicinarono al gruppo che circondava il ragazzo, lavorando febbrilmente per salvargli la vita.

« È STATO ATTACCATO DAI VAMPIRI SUPERIORI, HA DETTO COSÌ! » urlò il dottore all'infermiere appena accorso. « Non è stato morso. » continuò il dottore all’altro infermiere che scriveva su un foglio. « È riuscito a batterli, ma non ne è uscito illeso. »

« C’è troppa folla. » annunciò Sofia ai due, poco curiosa. « Lo vediamo domani, ok? »

« NO! » le sbraitò Rupert deciso.

« Se li ha battuti è un positivo. Fra poco sarà a posto. » affermò Ryan, sorridendo.

« Va bene. » disse Sofi rinunciando. “Ah! La curiosità non è donna, è bambino.” pensò convinta.

 

Dopo tre quarti d’ora il gruppo si diradò, e rimasero solo il dottore e i due infermieri.

« Stanno andando verso la villa. » affermò Sofia, per poi urlare: « SVEGLIA! »

I gemelli si svegliarono di colpo, in tempo per vedere il gruppo di quattro, che passarono proprio davanti a loro.

Il ragazzo aveva i capelli lunghi e lisci, color dell'oro tendente al castano, la pelle rosa era già semi-guarita; i suoi occhi erano blu mare, profondi ma persi nel vuoto.

« È piuttosto alto. » disse Rupert.

« Già. » sussurrò Sofia. “È... bellissimo! Quei capelli di seta dalle sfumature dorate. E gli occhi... quegli occhi.” si disse fra sé e sé.

« Mi sa che qui qualcuno ha avuto un colpo di fulmine. » mormorò Ryan osservandola, ironico.

« Ehi! » sussurrò Sofi, guardandolo male.

Il forestiero di voltò un attimo. Gli occhi di lui e di lei si incrociarono. “Ah! ”  Sofia arrossì un po’.

« Pff. » riuscirono a sussurrare i gemelli, prima di essere colpiti dai pugni di Sofia.

I quattro continuarono a camminare, imperterriti, anche se intanto era scoppiata una rissa.

« Ma... » disse il forestiero sconcertato. « Signore... »

« Non ti preoccupare, fanno sempre così. » il dottore sorrise « Ma in verità sono grandi amici... beh... lei è amica di tutti, ma i gemelli soltanto di lei e la vogliono solo per loro. Ah! I gemelli sono Rupert, quello con la maglia rossa, e Ryan, l’altro... e poi la ragazza è Sofia. »

« Sofia... » ripeté il ragazzo « Io sono Adam. »

 

 

In seguito Sofia non si innamorerà di Adam, anzi non gli parlerà molto, perché è proprio un tipo taciturno. Ma sotto la sua bellezza si scoprirà che vi è celato il suo vero essere... Adam è un vampiro. O, almeno, lo scoprirà Sofia. Adam cercherà di bere il suo sangue e... beh... questa è un’altra storia. Una storia che adesso racconteremo.

*

 

 

12 – Vecchiaia

 

Sento il sangue ribollire nelle vene. L’aria che sferza i miei capelli. Una voce dolce lontana. Una casa con il pavimento di legno.

Adam mi da un pugno. Volo. Sbatto. Rotolo.

« Maledetto! » sussurro sottovoce. Mi rialzo lentamente. Mi ha fatto male. Diamine!

Forse... se provo a chiamare la sicurezza... Adam è più veloce e mi blocca. Porca miseria. Io non...

« Sei stata svelta. » Mi dice sorridendo.

« Beh... quando c’è in gioco la propria vita si deve essere svelti. » affermo lapidaria.

« Sai... » mi sussurra lentamente. « Non avrei mai potuto immaginare che tu fossi positiva... la medicina fa miracoli. Purtroppo per te ti ho scoperto... ho fame, è da 85 anni che non mangio. » La sua voce bramosa si insinua nella mia mente.

85 anni... è così vecchio... è pazzesco pensare che Adam non abbia la mia età, che sia così anziano in un corpo da giovane.

« Io non voglio. » lo guardo dritto dritto nei suoi occhi rossi. « Non mi farò mangiare... devo vivere... e tornare da mia madre. Io voglio questo. »

Mi libero con facilità, lo spingo via senza troppe remore. Cade.

Prendo il pacchetto verde nella tasca della sua giacca. Corro via senza voltarmi, supero il cancello e vado giù per il vialetto di ciottoli bianchi. Solo allora prendo una pillola arancione. Sento i poteri svanire. Il corpo è calmo, vedo e sento in modo normale. Mi infilo nell’anticamera, poso lì il giubbotto e salgo verso la mia camera. Ah!, il mio dolce letto!

Sono tranquilla, distesa sul mio comodo letto. Non c’è alcun rumore sospetto.

Ma il mio cuore batte a mille, rullando e ottenebrandomi la mente.

*

 

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Capitolo 5
*** Ricordi di primavera | Rosa| Adam ***


Capitoli corretti e ripostati



13 – Ricordi di primavera

 

Quest’episodio è successo tempo fa... non ricordo più quando. Dovevo essere arrivato da poco.

 

La primavera sta giungendo con il suo dolce calore. Il prato davanti alla villa è verde, ancora umido perché da poco si è alzato il sole. Poggio la giacca a terra e mi corico, con il sole che mi riscalda pelle. Qualcuno sta arrivando. Faccio finta di dormire.

La persona si avvicina verso di me, mi si siede accanto. Apro gli occhi con studiata lentezza.

Sofia ha una camicia violetta e dei pantaloncini neri.

« AH! Sei sveglio? » chiede vedendomi con gli occhi aperti.

« Mmm... » mormoro, poi mi alzo facendo leva sulle mani.

« Scusa. » sussurra lei, mordendosi il labbro inferiore.

« Non sei stata tu a svegliarmi. » dico, sistemandomi la camicia.

« Ah... » mi sorride. « Hai... » mi prende i capelli, cerco di non mostrarmi troppo infastidito da quel gesto « dell'erba fra i capelli. » Mi toglie un po’ di foglie secche ed erba.

« Mmm... » mugugno altezzoso.

« Ho notato... » mi dice Sofia dopo aver finalmente tolto le mani. « Che non ti sei fatto amici... potresti venire con noi se vuoi... con me e i gemelli. » La sua faccia è rossa.

« Mah, sai... non mi piace più di tanto stare con le persone... sto bene già così. »

 Mi alzo e mi pulisco i pantaloni. Non mi interessa chi non è positivo. Ha un sangue così amaro.

Sofia si alza, con le labbra sottili stirate in una smorfia. « Ah... ok... ci vediamo in giro. » mi sibila.

Si gira e se ne va via. La guardo camminare per il bosco, poi mi volto e me ne vado anch’io.

Nella mia testa non c’è niente. Solo vuoto. Un vampiro non prova nulla, il suo è un cuore di ghiaccio, è questo di cui tutti sono convinti; ci credono solo bestie e io non ho mai provato quei decantati sentimenti umani che a volte i vampiri sentono verso i loro simili. Allora perché... sento che qualcosa mi sfugge?

*

 

 

14 – Rosa

 

Le accarezzava i capelli. Le pettinava le ciocche ribelli. Il suo odore sapeva di rose appena sbocciate. Aveva occhi color nocciola.

 

« Mmm... che sonno... » sussurrò Sofia, che si girò e si rigirò nel suo letto. Non avrebbe voluto mai uscire da sotto quel soffice lenzuolo.

« Buongiorno, mamma! » disse Sofi al quadro della madre, svegliandosi definitivamente.

Dopo essere andata in bagno, si fece una coda alta con i capelli castani e si affacciò dal suo balcone. Fuori c’era quiete, non vi era vento e il sole splendeva alto nel cielo, neanche un cinguettio spezzava il silenzio.

“Cosa devo fare?” si chiese Sofia preoccupata. “Come faccio? Non posso andare alla villa, per oggi non è un problema, ma prima o poi dovrò tornarci... se lui uscisse fuori per prendermi?Cosa devo fare?”

Una lacrima solcò il suo viso. Lei l'assaggiò con la punta della lingua: era salata e calda. Come ogni volta che si trovava in una situazione difficile, Sofia si rivolse a sua madre. “Mamma... cosa devo fare, ora? Non posso tornare indietro, non più. Devo dire di Adam al professore... ma chi mi dice che Adam non mi bloccherebbe prima? Converrebbe rimanere positiva a lungo, per essere abbastanza forte. Se ha sete, esiterà a bere sangue da qualcun'altro? Forse anche i suoi compagni hanno sete... è da anni che non ci sono attacchi in questa penisola.”

Uscì fuori dalla casa e andò verso il giardino pieno di verdure e fiori.

Si sedette nel suo posto preferito, fra un cespuglio di margherite in fiore e l'albero di olive. Osservò con attenzione i boccioli delle rose che si stavano schiudendo, con la rugiada che gocciolava lenta, scivolando sui petali per poi cadere veloce verso terra. Una farfalla stava appollaiata su una margherita, riscaldata dal sole caldo, piena di calore; poi si sollevò lentamente, per spiccare il volo.

Sofia chiuse gli occhi, perdendosi nei suoi pensieri.

Passò del tempo, ora era calma.

Si lasciò riscaldare dal sole ancora un po’. Era il momento giusto per prendere un’altra pillola, ma non aveva voglia di alzarsi. Aveva solo voglia di lasciar vagare la mente veloce verso mete lontane, verso ricordi di un'altra epoca.

 

« Sofia! Ma come hai i capelli?! Li hai pettinati? Su vieni che te li pettino io! » urlò la donna castana.

« No, tu no! Mi fai male, mi tiri i capelli, fai male. » ribatté la bambina.

« Su, da brava vieni qua. Non possono stare così, fra poco arrivano gli ospiti. » le disse gentilmente.

« Va bene, mamma. » si arrese Sofia.

Le pettinò i capelli con la spazzola. Le ciocche ribelli si sciolsero sotto la sua forza. Sofia serrò i denti alla mano. Lo faceva da sempre... si concentrava sul dolore della mano  per non sentire quello alla testa. Fissò il pavimento lucido, appena lavato.

« Ho fame... » si lamentò Sofia, fissando la madre.

« Aspetta ancora un po’ e poi mangerai le lasagne che ti piacciono tanto. » le rispose.

« Mmm! Buone! » disse, sorridendo spensierata.

La mamma la ricambiò, con gli occhi nocciola pieni di felicità.

 

Sofia si tirò su e uscì dal giardino della casa.

Non sapeva cosa fare, ma lo avrebbe saputo al momento. Per ora doveva solo percorrere quel viottolo di ciottoli bianchi, doveva solo arrivare alla villa per vederlo.

*

 

 

15 – Adam

 

Adam passeggiava per il bosco della bianca villa barocca, accarezzando le foglie verdi, i fiori bianchi e lillà... una camelia rosa interessò maggiormente le mani bianche dalle dita affusolate; la strappò con un solo colpo e continuò a camminare, toccando quel fiore di seta.

Osservò con calma il bosco molto particolare, pieno di piante esotiche, e si fermò sotto un castagno.

Si buttò a terra, arrivando come sempre in modo aggraziato e fulmineo sull’erba verde. Deciso a non fare nulla, si impose di stare li coricato per far passare un po’ il tempo.

Per i vampiri il tempo è infinitamente lungo... sono molto più veloci di qualunque altra cosa e stanno lì ad osservare i lenti movimenti di ciò che li circonda... per loro il tempo, pur scorrendo, non ha molto significato se non trovano qualcosa che li distragga, poiché vivono per sempre, anime dannatamente immortali, intrappolate in quel corpo perfetto. Basta trovare qualcosa d’interessante per non morire di noia. E lui l’aveva trovata, la sua preda non avrebbe avuto più scampo... bastava solo attendere.

Dopo un po’ si alzò, annoiato ancora di più, per tornare alla villa.

Andò direttamente al piano superiore, verso la sua camera dall’alto tetto con angioletti sorridenti e fiori di tutti i tipi e dimensioni che lo adornavano. Verso est c’era un grande letto a due piazze, intarsiato, decorato, barocco, dalla testata piena di fronzoli dorati, putti, fiori e piante; il materasso era ricoperto da una trapunta scarlatta di broccato, e da cuscini più chiari, sull'arancio. Di fronte al letto, fin troppo carico e rotondeggiante, vi erano delle poltroncine dello stesso tessuto della trapunta e un tavolino di marmo e oro, con l’unica gamba piena degli stessi motivi del letto, con un putto per ogni lato. E sul pavimento bianco e lucido c’era un tappeto rosso e oro... poi, di lato, vi era un armadio in puro stile barocco, chiaro, con sei ante decorate, due con un disegno intrecciato, più scuro e rossiccio dell'armadio stesso, e accanto una cassettiera con un pesante e grande specchio circondato da una cornice abilmente lavorata, nell’altra parete un quadro raffigurante un paesaggio di... insomma una camera sfarzosa, carica e barocca, che piaceva poco al suo padrone.

Adam poggiò la sua testa sul cuscino più grande, intento a rimanere lì finché lei non si sarebbe presentata. Tenne le orecchie tese, pronte a un suono, una voce... attesi.

Dentro la sua testa il piano era già pronto: l’avrebbe afferrata e, celere, l’avrebbe portata via dalla villa, pronto a bere il suo sangue dolce.

Sembrava un quadro perfetto ed immobile, quella stanza lussuosa con quel ragazzo da sogno coricato sull'antico letto. La luce filtrava dal balconcino, colorando la scena... era tutto perfetto, innaturale.

Ma poi lui si mosse, aggraziato e flessuoso, alzandosi di fretta dal letto e correndo alla ringhiera del balcone, affacciandosi con slancio. I capelli d’oro colato coprirono per un secondo la sua visuale, ma tanto lui lo sapeva. Lo sentiva.

La sua preda era arrivata.

*

 

 

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Capitolo 6
*** S.S.E.V. | Compromesso | 5 ***


Capitoli corretti e ripostati


16 – S.S.E.V.

 

Sofia arrivò alla villa bianca. Si guardò attorno preoccupata, pronta ad un attacco improvviso. Mosse incerta un passo e poi un altro, ma non accadde nulla. Vide Rupert e Ryan avvicinarsi volando.

« Ciao Sofi! Sei in ritardo! Andiamo, su! » disse Ryan prendendole la mano.

« Non oggi Ryan, non oggi. » gli rispose, mesta, pronta ad andare al patibolo.

« Mmm... okay, soltanto stavolta, Sofia. » disse Rupert, come se lei fosse di loro proprietà.

Si allontanarono scontenti di aver perso un compagno di giochi, ma felici di poter giocare volando, cosa impossibile con Sofia, visto che era un normale essere umano.

Sofi li seguì con lo sguardo e poi si girò verso la villa. Lui era lì.

I capelli d’oro sciolti scivolavano sulle spalle larghe, indossava una maglia blu come i suoi occhi, la pelle diafana risaltava con quel colore, il viso perfetto era increspato da un sorriso ammaliatore.

« Ciao. » disse lui con aria falsamente indifferente.

« Ciao... » rispose lei, decisamente preoccupata e confusa.

« Ti stavo aspettando. » l’informò lui semplicemente.

« Sono venuta apposta per te, Adam. » gli ribatté lei.

Lui le sorrise beffardo.

Sofia lo squadrò truce.

 

 

« Buongiorno, professore! »

« Ehilà, Logan! » rispose Arthur, sorridente.

Il giovane, dai capelli scuri e corti, si sedette di fronte alla scrivania del professore. Si tolse il cappello azzurro e lo poggiò sulle ginocchia.

« Allora, a cosa devo la tua visita? » chiese Arthur curioso. « Di sicuro non sei qui per darmi una buona notizia. » affermò amaro.

« Infatti, professore... » allungò la mano sul piatto di biscotti al cioccolato sulla scrivania. « In tutta la penisola ci sono stati attacchi di vampiri a positivi... era da un bel po’ che non attaccavano, dovevano aver fame. »

« Mmm... » sussurrò il professore « Capisco... dobbiamo aspettarci degli attacchi anche qui, giusto? »

« Sì... dovrete stare attenti e aumentare la vigilanza. » ordinò il soldato, calmo.

« Sì, certo, Logan. » gli rispose Arthur mentre prendeva un biscotto.

« Bene! » disse il giovane compiaciuto.

« Ci manderete degli aiuti, Logan? » chiese Arthur con gli occhi scuri pieni di una luce insolita. Il professore sapeva essere autoritario quanto infantile.

« Come al solito, professore. » rispose il giovane sergente dalla divisa azzurra.

« Perfetto. » Arthur si portò alla bocca l'ennesimo biscotto.

 

I positivi hanno due scelte.

Possono rimanere tranquilli in una delle ville dove sono collocati o possono affinare le loro capacità e lavorare con l'esercito. Nessuna delle due è veramente allettante, ma lavorando nell'esercito si può incontrare altra gente e viaggiare. Anche per questo ci sono ancora dei positivi... molti si sono uniti ai negativi nel corso dei secoli.

I positivi in un esercito sono utilissimi, poiché hanno capacità molto speciali e servono moltissimo in caso di guerre. Lo spionaggio è una delle loro principali attività... possono spiare molto più facilmente e non farsi mai scoprire. In più fanno parte della Squadra Speciale per Eliminare i Vampiri (S.S.E.V.), visto le loro abilità speciali e la forza superiore.

Così l’esercito aiuta sempre le ville in difficoltà, poiché sono spesso aiutati dai positivi. In questo modo ricambiano il favore.

 

 

“E ora che ce l’ho di fronte, cosa faccio?” Pensò preoccupata Sofia. “Che sciocca sono stata...”

*

 

 

 

17 – Compromesso

 

Sofia guardò il vampiro determinata. Ormai aveva preso una decisione.

« Adam... chiacchieriamo un po’, ti va? » chiese lei.

Lui la guardò sospettoso, ma poi acconsentì con un cenno. Sofia si avviò verso il fianco destro della villa.

« Adam, tu perché sei qui? » domandò la ragazza.

Lui non le rispose. Sofia si voltò verso di lui e vide i suo occhi blu socchiusi in una morsa di ferro, la bocca contratta in una smorfia.

Comprese che non era disposto a parlarne, così cambiò argomento.

« Io non dirò quello che so su di te. » affermò, semplice e dritta fino alla questione.

« Eh? » disse allibito.

« Hai capito bene... però voglio una cosa in cambio... » continuò Sofia.

« Qualunque cosa, dolcezza... » a quanto pare era tornato normale, sfacciato e impertinente come al solito.

Sofia lo fulminò con lo sguardo per un attimo, poi riprese a parlare « Vedi... io non dirò nulla se tu non berrai il sangue... di questa villa. »

Sapeva che era egoistico, ma non avrebbe sopportato vedere degli amici morti per mano di Adam.

Lui sembrò pensarci per un po’.

« Okay... anche perché in quel modo mi farei scoprire. » disse, parlando più con sé stesso.

« Allora... non sei qui solo per succhiare sangue. » azzardò lei deducendolo dalle sue parole.

Lui la fissò per un attimo feroce, poi si dileguò.

“E mi lascia qui tipo una scema?”

Sbuffando, ma dentro felice, Sofia si incamminò verso la casa di Ginger.

 

 

« Allora, ci rivediamo fra qualche giorno, professore. »

Logan si era rimesso il cappello azzurro in testa. Si tolse le briciole di biscotto dalla divisa.

« A presto, Logan. » gli disse Arthur, salutandolo.

Il sergente uscì dalla villa bianca con passo svelto.

Sofia lo notò, mentre stava salutando la guardia all'entrata. “Un soldato! Questa cosa non mi sembra di buon auspicio...” pensò lei.

Logan salutò i due alzando la visiera del cappello. La guardia e Sofia ricambiarono.

Lui si trattenne a chiacchierare con la guardia, così Sofi se ne andò, percorse il vialetto di ciottoli bianchi e ritornò da Ginger.

« Gingerucciaaaaaaa bella!!! » esclamò vedendola.

« Ehi, Sofi che hai? Sembra quasi come se non ci vedessimo da moltissimo tempo... va tutto bene? » disse l’altra, iniziandole a toccarle la fronte per misurare la febbre.

« Sono solo felice di vederti, Ginger! » rispose la ragazza, spostandogli la mano con leggerezza.

« Ma se abitiamo pure insieme... » ribatté la signora, però poi l’abbracciò forte, felice dei sentimenti di Sofia. « Non sei di certo andata all'inferno e poi tornata indenne! »

Ginger non sapeva che quella mattina aveva rischiato di perdere la sua Sofia per mano di un abitante della villa, proprio per questo non poté capire.

*

18 – 5

 

I giorni passarono in fretta per Sofia, fra Ryan e Rupert e Ginger che aveva bisogno di aiuto per la casa. In pratica non ebbe un attimo di pace.

L’estate si avvicinava sempre di più, portando con sé la calura.

Sofia era in maglietta a maniche corte, pronta a battere gli acari del tappeto. Ginger la raggiunse.

« Sofi... alla villa sono arrivati dei soldati! » disse con l’aria da comare stampata in volto.

Sofia le sorrise. « Chissà perché sono qui in questa località sperduta... » rispose la ragazza.

« Arthur mi ha detto... » iniziò la bruna « che ci sono stati molti attacchi in questa zona, è preoccupato. In più l’altro giorno un sergente è venuto a fargli visita... a quanto pare vogliono difendere la nostra villa. »

Sofia annuì pensierosa. “E così gli attacchi dei “superiori” sono ricominciati...”

 

 

Logan osservò i suoi uomini.

“Sono pochi e giovani... ma preparati e forti.”

« Bene, ragazzi, qui è dove staremo per i prossimi mesi. » disse indicando la villa. Ci furono commenti d’apprezzamento. « Avremo a disposizione delle camere al piano terra da usare come base. Una stanza per dormire... anzi due, c’è Elisabeth, e poi una stanza per le riunioni. Mi sembra un buon alloggio... che ne dite di andare a posare i bagagli? »

Il gruppo annuì.

Entrati nella villa, i 5 ragazzi si sistemarono.

Nella camera più grande c’erano due letti a castello, per i maschi, e due armadi. Francis, ragazzo dai capelli biondi e ricci e di media statura, si buttò sul suo letto per riposare. Jack come al solito non si lamentò di nulla e, in qualche modo, riuscì a piazzare i suoi 190 centimetri nel letto di sopra. Daniel prese l’altro letto in basso; aveva i capelli quasi rasati, castani, ed era molto muscoloso. Logan rassegnato si prese l’ultimo letto. Tacitamente erano tutti d’accordo a riposare un po’.

Intanto nell’altra stanza Elisabeth caratterizzava la camera con quadretti, libri, foto... fischiettava una melodia dolce, aveva i capelli rossicci e ricci, gli occhi verdi come quelli del fratello Francis, le lentiggini sul viso. Anche se era alta solo un metro e sessanta, si faceva subito notare per il suo taglio sbarazzino e il carattere allegro.

“Non ho voglia di dormire come quei pelandroni” pensò osservando i quattro compagni. “Mi farò un giretto!”

Decise di andare nel bosco circostante.

 

Sofia stava giocando con Rupert e Ryan.

« Ti prendo! » urlò contro Ryan. Peccato che era molto più veloce di lei.

« Uffa! » sbraitò esasperata Sofi, dopo averlo rincorso per almeno 10 minuti. Il gemello gli fece una linguaccia.

Sofia stava per dargli un bel cazzotto quando qualcuno si rivolse al terzetto.

« Posso giocare anch’io? »

I due gemelli e Sofi osservarono la ragazza dai capelli rossi e l'aria simpatica.

« Okay... » le rispose la più grande, incuriosita.

I gemelli sbuffarono, scontenti di aver un nuovo fastidio fra i piedi.

Sofia li squadrò sussurrando: « A volte siete davvero antipatici... e avete solo 8 anni! »

« Ok, ok ci giochiamo. » sibilarono i due.

Rupert fissò Elisabeth per un attimo, poi le disse: « Prova a prendermi! » e fece un sorrisetto sbieco.

Incominciò a correre velocemente, impossibile da raggiungere per un essere umano, ma Elisabeth lo afferrò per il collo della maglietta quasi subito.

« Preso. » gli disse sorridendo.

« Wow, come sei veloce! » rispose il bambino sinceramente sbalordito.

Ryan trattenne a stento un'espressione stupita, coprendola con uno sguardo indifferente mal riuscito. « Come ti chiami? » gli chiese il primo.

“È la prima volta che li vedo interessati a qualcuno che non sia io!” pensò Sofia, compiaciuta fra sé e sé.

« Il mio nome è Elisabeth, piacere! »

*

 




Ciao a tutti!^^ Oltre al 19 ho finito con i cap già scritti... quindi ci vorrà più tempo per postare, sorry ^^"

rispondo alle recensioni:

Serenade:Sono contentissima quando Sofia paice!E' bello vedere che un proprio pg ha successo *_* Adam è curioso sese xD,non si sa ancora molto di lui... Grazie mille per i complimenti! Un bacio!

Owariani yume:Grazie mille!!*__*la prima recensione *__*(rimane nel cuore xD)un bacio!!

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Capitolo 7
*** Sogno | Nuovi amici | ***


Corretti


19 – Sogno

 

Sofia si accoccolò accanto a un albero frondoso, mentre osservava Elisabeth e i gemelli rincorrersi. Erano così veloci che sembrava quasi una danza dai movimenti sfocati.

Dopo un po’ Sofi si addormentò, perdendosi in sogni colorati e non molto piacevoli, sogni di madri sorridenti e vampiri ghignanti.

Era tutto confuso e sbiadito, scolorito, come un pezzo di carta troppo vecchio e che troppo a lungo era stato al sole.

Ma fra tante immagini sovrapposte e indistinte si delineò un volto. Sentì che era familiare, eppure non riuscì a riconoscerlo.

Poi scomparve. Provò a cercarlo... girò nel buio che la circondava.

Quel volto l’aveva già visto... ma dove?

Chi era?

Vide una donna di spalle, luminosa nel buio del sogno. Sofia la afferrò per il braccio e la fece voltare.

Il volto era vuoto.

Aveva i capelli castani, un po’ più scuri di Sofi, lunghi e mossi. Ma la sua faccia era vuota. Una distesa di carne rosa. Niente occhi, naso, bocca.

Sofia ammutolì.

Eppure, senza neanche poter vedere il volto, quella donna le era familiare.

Sofia si mise a piangere, capendo l’identità della sconosciuta.

« Ma... mamma. » sussurrò piano.

Le toccò il volto. Appena ci fu il contatto, un grande vortice sotto di lei la risucchiò.

 

Sofi cadde in una radura verde. Anche questo era familiare.

Solo che non venne Ginger a prenderla, ma qualcun’altro.

« Ciao, Sofia. »

Lei si girò in direzione della voce. Adam era tranquillamente seduto su una sedia pieghevole.

Aveva i capelli sciolti e neri, gli occhi rossi dalle pupille sottili, le unghia nere e affilate.

Anche se trasformato era calmissimo. Si alzò e le porse una mano.

Sofia si rialzò da sola.

« Che ci fai tu qui? » gli chiese brusca.

Lui ghignò piano, si passò una mano fra i capelli scuri e poi la guardò ironico.

« Mi tratti male anche nei sogni? E io che ero venuto qui per farti divertire... » le disse sardonico.

« Immagino. » gli rispose Sofi, poi si voltò e se ne andò. “Meglio andarmene da qui e allontanarmi da lui.”

Purtroppo per lei, Adam fulmineo le si parò davanti.

« Oggi sarò la tua guida nel Sogno. » sussurrò con finta dolcezza.

« Non ci tengo. » ribatté lei.

Lui per risposta la prese sottobraccio e canticchiò qualcosa.

La guidò in un’altra radura, dove sorgeva una scuola. Eppure Sofia era certa che in quel luogo non ce n’erano, di radure e di scuole.

« Ti ricordi? » le chiese Adam piano.

Lei alzò lo sguardo cercando i suoi occhi rossi. Quando li trovò per un attimo rimase in silenzio, poi annuì leggermente.

« Qui... questa è la mia scuola elementare, Adam. » rispose lei, con la voce flebile.

« Te lo ricordi il suo viso? » le domandò il biondo, ora nero per dir la verità.

« Non più. » sussurrò lei mesta.

« E di lei, Sofia? » le sussurrò all’orecchio « Di lei ti ricordi il viso? »

Sofia piegò le sopracciglia, lo guardò per un attimo con occhi tristi, poi abbassò la testa.

« Non... non lo so, io... »

« Allora? » la incalzò il vampiro.

Lei rialzò la testa e vide il suo “nemico” ghignare sotto i baffi.

« Certo! » sbraitò Sofia, poi girò la testa di lato e...

 

Sofia si svegliò accanto all'albero. Non doveva essere passato troppo tempo; Rupert, Ryan ed Elisabeth stavano ancora rincorrendosi.

Tremante, si alzò veloce e scappò via correndo. Nemmeno si accorse di Logan, uscito a cercare Beth, che scontrò nel cortile davanti la villa. Continuò a correre noncurante.

Salì le scale a due a due, si precipitò nella sua camera e lì la vide: il suo quadro era appeso, come sempre, e la ritraeva sorridente.

“Di lei ti ricordi il viso?”

« Sì, per ora... »

Avvicinò le mani verso il volto della madre e accoccolò la testa sulla tela.

*

 

 

 

20 – Nuovi Amici

 

Logan scosse la testa, confuso, e cercò nel bosco Elisabeth, la “scomparsa”.

Alla fine, quasi arreso, tornò sui suoi passi e vide la rossa giocare con due bambini candidi. Si stavano rincorrendo.

“Rincorrendo!” pensò sbalordito Logan “Con tutto quello che c’è da fare, lei gioca con due bambini!”

« Beth » la chiamò lui, con voce da chi comanda. Lei si voltò e sorrise al suo capo.

« Ciao, Logan! Piacevole il riposino? » disse senza ironia.

« Sì, grazie... » rispose lui, incupito. « Vieni, abbiamo tante cose da fare! »

« Okay... ciao Ryan, ciao Rupert! » salutò lei.

« Ciao, Eli! » risposero i bimbi.

Lei, sempre sorridendo, si avviò con Logan verso l’entrata principale della villa.

« Possibile che tu sia così? » domandò lui, ma non con tono brusco, mancava solo un litigio.

« Così come? » ribatté lei, gelida.

« Giocare... giocare con dei positivi! Perdere tempo, quando siamo in un periodo così particolare. » cercò di spiegarle.

« Non vedo alcun problema nel giocare con due bambini, Logan! E poi voi stavate dormendo. Non ho saltato una riunione importante, un’esercitazione o qualcos’altro. Ho solo giocato con Rupert e Ryan. »

« Okay, okay... non ti scaldare, Beth. » disse lui con tono accondiscendente.

« E tu prova a capirmi, Logan. Sei il nostro capitano. » mormorò la rossa.

Lei, con i suoi centosessanta centimetri di dolcezza -appena scomparsa-, si allontanò nel corridoio, poi entrò nella sua camera e richiuse dietro di sé la porta, che sbatté molto, molto forte.

 

 

Adam doveva nutrirsi.

Aveva fame. Sentiva dei crampi alla pancia, una sete continua su per la gola, sopportava a malapena l’odore di un sangue negativo, a causa dei positivi stava impazzendo.

Erano passati tre lunghi giorni dalla promessa fatta a Sofia.

L’unico problema era che trovare positivi era quasi impossibile... avrebbe dovuto avere un colpo di fortuna sfacciata.

Vicino alla villa non c’erano città. Una fitta foresta di faggi, betulle e castagni ricopriva la penisola e la loro villa ne era proprio al centro.

Qualche villaggio sparuto resisteva sulla costa. Adam si diresse verso uno di essi.

Le case di legno avevano, all’esterno, dei pesci appesi ad essiccare, indice di un villaggio di pescatori.

Due bambini giocavano alla campana, tirando il sassolino sulla sabbia dorata.

Uno aveva i capelli neri e ricci, raccolti in treccioline sotto il collo, la pelle scura, le labbra carnose sempre sorridenti. Aveva addosso uno straccio a mo’ di vestito che copriva la sua nudità, i piedi scalzi che battevano la sabbia, lasciando impronte di piedini piccoli.

La bambina che gli stava accanto era simile a lui. Aveva un vestitino a fiori, un tempo doveva essere arancione, e due trecce lunghe sulle spalle; ciuffi ribelli e ricci le incorniciavano il viso tondo e paffuto, per quanto poteva esserlo nelle loro condizioni, dalle guance arrossate. Anche lei era scura.

Niente da fare con loro, non erano cibo adatto a lui. Si era ridotto a considerare gli umani solo del cibo. Non che ne avesse una grande considerazione in generale, ma almeno di solito non desiderava azzannare chiunque.

Passò una mano bianca e pulita fra i lunghi capelli sciolti che svolazzavano al vento, coprendogli il viso.

Si avvicinò alle case del villaggio, cercando disperatamente qualcuno dalla pelle bianca e i capelli chiari, troppo povero ed ignorante per andare in una villa di protezione.

Niente di niente, ma poi notò un movimento.

Da una casa uscì una ragazza chiara, davvero chiara.

“Finalmente” pensò ghignando Adam.

Andò verso di lei, poi le poggiò una mano sulla spalla e lei si voltò, curiosa.

Aveva le lentiggini sul suo naso a patata, comunque piccolo, e gli occhi verde chiaro; i capelli erano biondo ramato e lisci, coperti da una bandana a fiori blu.

Era esile, dalle unghie spezzate e rovinate dai lavori di casa, e raggiungeva a stento le spalle di lui.

« Sì? » chiese lei vedendo quello sconosciuto bellissimo.

« Ecco, mi sono perso... vorrei dirigermi verso Leluar, la città a nord. Sono partito da un paesino più a sud, ma ora non so la strada per arrivare alla città. » spiegò lui con tono convincente.

« Non si preoccupi, le indico io la strada. Venga con me. » rispose lei, gentile.

« Dammi del tu. » disse sorridendo Adam. “Ormai è mia.”

« Certo... signor... »

« Adam, il mio nome è Adam. »

« Io sono Giselle. » disse lei con un sorriso dolce ad illuminarle il viso.

Superarono una collina dietro il villaggio di casupole, dove ricominciava la foresta. Per terra c’era un sentiero largo come una carrozza.

« Prosegui da qui! Questa è una strada diretta per la città, mi hanno detto i pochi che sono tornati. Stai attento, la foresta è pericolosa. » affermò lei, premurosa.

« Grazie. Prima però vorrei un assaggio... » sibilò lui.

« Cosa? »

Lui si chinò su di lei velocemente, e sporse i suoi denti bianchissimi che sfiorarono la sua pelle chiara.

I capelli di lui diventarono improvvisamente neri, i denti si allungarono e premettero sul collo fino a raggiungere la meta: il sangue incominciò a uscire e ne bevve un poco.

La ragazza cercò di allontanarlo, ma era impossibile sconfiggerlo in quel momento.

I positivi sono sempre più deboli, il loro sangue si è mischiato con quello dei negativi rendendoli più vulnerabili!”

« È di mio gradimento... mi sa che prenderò tutta la torta. »

 

« Chissà dov'è finito Adam... » chiese ingenuamente Rupert a suo fratello Ryan.

« Sarà uscito un po’, magari è nella foresta a divertirsi o è andato in città. » rispose il suo gemello.

« Adam? » domandò Elisabeth, che era seduta con loro a giocare a carte, visto che aveva un po’ di tempo libero.

« Sì, è un positivo arrivato qui tre anni fa. » rispose pronto Rupert, per poi prendere il sette bello e fare un gridolino di gioia.

« Capisco. Ora, purtroppo, devo andare, riunione col capo. » li informò lei, alzandosi. I tre la salutarono e la guardarono allontanarsi.

« Sofi… stai bene? » chiese Ryan, premuroso.

Lei non rispose, aveva lo sguardo vacuo che fissava un punto indefinito del bosco attorno alla villa.

“È andato a caccia... a bere il sangue di qualche innocente!”

Sofia rabbrividì al solo pensiero.

*

 

 





Ciao a tutti!!Questa volta solo due capitoli,perchè per ora ho fatto questi e sono anche abbastanza lunghi!!(soprattutto il 20,mi sono infervorata xDD)...spero vi piaccia,il carattere,la storia di Adam a poco a poco verranno svelati!(penso xD) un ringraziamento a owarinai  yume (sono contenta che Adam ti piaccia uhuhuhu)!!E ai preferiti^^

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Capitolo 8
*** Mappa | Un insolito compleanno | ***


Capitoli corretti e ripostati


21 – Mappa

 

Adam prese in braccio il corpo, ancora caldo e colorito, e lo trasportò nella foresta.

La lasciò fra le felci verdi, senza curarsi di nascondere ben il cadavere, tanto era lontano dal sentiero principale e dai piccoli villaggi.

Poi ricominciò a correre rapidissimo, la sua immagine scomparve per la troppa velocità, se non che parte il sottobosco era schiacciato e a volte si sentivano dei passi riecheggiare.

Si fermò solo davanti al cancello della villa, salutò le guardie ed entrò.

Guardò i suoi vestiti vecchi e rovinati, indossati per ingannare gli umani di quel villaggio, poi andò a cambiarsi, schifato da quelle luride pezze.

 

 

Logan guardò i suoi quattro compagni seduti su sedie di legno scuro.

Poi li copiò, sedendosi anche lui, ma – accorgendosi che in quel modo non riusciva a ragionare – tornò subito a camminare per la stanza.

« Dobbiamo stare attenti, potrebbero attaccarci oggi o fra un anno... » disse infine « è normale che a volte attacchi qualche vampiro “superiore”, ma mi sembra davvero molto strano che abbiano attaccato così tante ville in così poco tempo... possiamo aspettarci di tutto! »

« Anche a me sembra molto insolito... » aggiunse subito dopo Francis.

« Sì, Fra... sembra quasi che sia organizzato. » esordì Elisabeth.

« Concordo con Lisa. » disse Jack, che solitamente non parlava mai. Un’aria pesante si espanse per la stanza, oscurando i loro pensieri.

« Perché? » chiese Daniel con il suo accento nordico. « Perché si sono organizzati? A cosa puntano? »

« Questo mi sembra un mistero, di sicuro non è un motivo bello e buono. » puntualizzò Logan, fermandosi per un attimo.

« Già. » concluse Francis, insoddisfatto.

« Forse al quartier generale lo sanno... magari sanno qualcosa in più su questi attacchi. » disse Elisabeth, dopo qualche minuto di silenzio.

« Non penso che ci direbbero qualcosa, non siamo abbastanza importanti. » si lamentò Logan, che si era finalmente seduto accanto a Francis e Jack. Quella era la verità, purtroppo.

« Ha ragione... »

« Quindi ci arrendiamo così? » chiese Lisa, prendendo dal suo zaino una mappa. Gli altri quattro si guardarono negli occhi, poi sorrisero.

« Certo che no » rispose calmo Logan, gli occhi che gli brillavano. « Non saremo importanti, ma siamo forti, in più stiamo proteggendo una Villa! Più ne sappiamo, meglio è... »

« Sì, ma non abbiamo informatori, chiedere al quartiere è difficile e troppo lento! » ribatté Francis.

Intanto, Elisabeth aveva steso la mappa sul tavolo, che stava al centro della camera, e con un pennarello rosso stava segnando delle X.

« Cosa stai facendo? » le domandò Daniel, piegandosi verso di lei.

« Sto segnando le ville già attaccate. Voglio vedere quante ne mancano, almeno qui ad Aiedail! »

« Beh, nell'Impero ne sono rimaste poche, questa è una di quelle. » l’informò Logan. « La Villa vicino a Leluar non è stata ancora attaccata. » continuò, indicandole con un dito una zona della mappa.

Lisa continuò per un po’, poi prese la mappa e l'appese su un muro libero, vicino alla porta della stanza.

« Perfetto! » esclamò suo fratello.

« Grazie, Fra. »

La mappa mostrava tre grandi isole.

Quella più a Nord era formata da quattro stati, era montuosa e in alcuni punti c’era il ghiacciaio perenne. Daniel proveniva da Lichte Maan, lo stato centrale dei Paesi del Nord.

Molto più in basso c'erano i Paesi del Sud, da dove proveniva Jack. Vi erano quattro paesi, era un’isola piuttosto collinare, con qualche lago e dei boschi di piante tropicali.

In mezzo, verso est, c’era Aiedail, conosciuta come l’Impero, l’isola più vasta riunita sotto la mano dell’imperatore. La villa era in una punta molto a sud, vicina ai PdS (Paesi del Sud), circondata da boschi, e non vi erano città vicine.

« Se solo avessimo catturato un vampiro, ci avrebbe potuto dare qualche informazione... purtroppo qui se ne vedono di rado. »

 

Molto vicino a loro, a solo qualche metro di distanza, muri inclusi, un vampiro “superiore” si stava cambiando.

Nascose in un sacco i vestiti logori e sudici e lo buttò in fondo all'armadio. Poi prese una camicia verde e dei pantaloni di velluto neri, li indossò e spazzolò i suoi capelli biondi, che si erano leggermente annodati quella mattina. Con un laccio li legò in una coda, lasciando liberi alcuni ciuffi davanti.

Era soddisfatto della sua bevuta.

Certo era stato più complesso del solito, non potendo bere il sangue di Sofia, ma tanto non era un problema.

Fra breve anche la sua villa sarebbe stata attaccata.

*

 

 

 

22 – Un insolito Compleanno

 

Ricordava i suoi occhi grandi e viola che osservavano tutto velocemente e che captavano tutto con insolita facilità. Anche i suoi capelli erano viola, chissà forse tinti, raccolti in un codino laterale e lasciati liberi di dietro.

Aveva un orsacchiotto nella sua borsetta rosa a fiori.

 

Adam si stiracchiò le braccia, poi prese il suo bicchiere di metallo pieno di brandy, che giaceva immobile sul fondo, lanciando riflessi dorati.

Il liquido color ambra scese giù per la gola velocemente.

« Ottimo! »  esclamò Adam dopo la bevuta, facendo un sorriso estasiato.

« Amico, ne vuoi ancora? » gli chiese il ragazzo accanto a lui.

Aveva i capelli neri e corti, la pelle scura che spiccava accanto al positivo. Erano amici quei due, amici di vecchia data. Si conoscevano sin da quando erano bambini ed ora lavoravano insieme come contadini sotto lo stesso signore.

« Grazie, Fred, ma basta così, mi sento già un po’ brillo. » disse il biondo, sorridendo di nuovo.

« Bisogna festeggiare! Oggi compi 18 anni, Adam! La tua maggiore età, ora puoi bere quanto e quando vuoi! » sguaiò l'altro.

« Okay, ma solo un altro bicchiere, hai capito, Fred? »

Ma l’altro già se la rideva di gusto, vedendo un moscone svolazzare per la stanza.

 

Qualche ora dopo, Adam uscì dal pub, la testa che gli girava fortissimo.

« Per l’alcol c’è un solo metodo, ragazzo! » gli disse un vecchietto seduto su una sedia sgangherata, poggiato su un cuscino a fiori « Immergi la testa nell'acqua, vedrai che effetto! » gli urlò, ridendo e mostrando i suoi due unici denti sopravvissuti.

« Grazie, signor Arcibald! » gli rispose il biondo, cortese « Lo faccio appena arrivato a casa! Buonanotte. »

« Notte, figliolo! E stai attento... »

« Attento? » gli chiese Adam, incuriosito e conscio dei deliri del vecchio.

« Si aggira qualcosa nella notte, nell’oscurità più profonda. Non pensare che questo sia il peggio, il peggio sta dopo. Sento puzza di non morto! »

« Sì, certo signor Arcibald, starò attentissimo. » gli rispose Adam senza ironia, ma deciso a non seguire il consiglio di un vecchio pazzo.

« Stai attento! Uomo avvisato, mezzo salvato. » ripeté Arcibald, con sguardo deciso e fiammeggiante.

« Di nuovo buonanotte. » disse, lasciandolo perdere, Adam.

« Sì, sì, buonanotte... » rispose un po’ scorbutico il vecchio Arcibald.

Quando il ragazzo si allontanò, ricominciò a borbottare fra sé e sé scongiuri di ogni tipo.

 

Ad Adam mancava poco per arrivare alla sua casupola, di sicuro sua madre lo stava aspettando sveglia ed ansiosa.

Camminava su una strada sterrata, con cespugli indefiniti e fiori chiusi ai lati. Fischiettava una melodia conosciuta all'epoca, diffusa molto fra i contadini.

Vide un’ombra pararsi davanti.

Era una piccola e graziosa bambina sui dodici anni, dai capelli e gli occhi violetti. Indossava una gonna di seta e una maglietta ricamata con fiori, più delle scarpe lucenti. Era tutto molto costoso.

Aveva, appesa sulla spalla, una borsa a tracolla rosa a fiori, da dove sbucava un tenero orsetto marrone, che aveva al collo un nastro rosso.

La bambina ricca gli sorrise dolcemente, era davvero bellissima.

« Ciao. » disse lei, iniziando la conversazione.

« Ciao... » rispose Adam. Notò che la pelle della bambina era chiara come la sua, chissà... forse anche lei aveva dei “poteri” come lui?

« Dimmi, cosa fai nella vita? Vedo che hai delle mani piene di tagli e con qualche vescica... è un peccato, hai delle belle dita. » gli domandò la bambina. Adam non si chiese come poteva vedere quei particolari al buio.

« Sono un contadino... » rispose lui, un po’ reticente.

« Forza lavoro... va beh, non sarai una gran perdita » gli disse tranquilla.

« Eh? » chiese lui, confuso da quello strano discorso e da quella bimba particolare.

All’improvviso si ritrovò la bambina accanto. Il suo volto era di fronte a quello di lei, ad un’altezza anormale per una della sua età.

« Ma come...? » sussurrò Adam.

« Però, non sei affatto brutto. Sì, sei decisamente carino. » esclamò lei guardando gli occhi blu mare. « Ti dispiacerebbe diventare vampiro? »

« Cosa? » esclamò lui, stupefatto. Non era mai stato stupido, ma quello era troppo. Cosa diamine stava dicendo quella bambina?

« So che voi della plebaglia non sapete molto e noi cerchiamo di essere riservati, ma sai cos’è un vampiro, no? »

Lui rimase in silenzio, incerto sul da farsi.

« Uffa, basta! » disse lei annoiata « Io faccio quel che voglio, addio buone maniere. »

Allungò la testa sul collo, mordendo la pelle fino alla vena. I suoi capelli da viola erano diventati neri, come un cielo senza stelle e senza luna.

Adam si lamentò, ma fu tutto invano. Non era abbastanza forte, pur essendo un positivo; non si era mai applicato e interessato troppo dei suoi poteri.

« Buon viaggio... » gli sibilò lei all'orecchio.

Adam perse i sensi.

 

... Si aggira qualcosa nella notte, nell’oscurità più profonda.

Non pensare che questo sia il peggio, il peggio sta dopo.

Sento puzza di non morto ...

*






Ciao a tutti!!*_*...ho appena finito il cap 22...ed eccomi subito a postarlo XDD
owarinai yume: Grazie! Il sogno di Sofia è semplice da interpretare... ha paura di perdere e dimenticare la madre, mentre quel Lui sconosciuto è un'altra storia che prima o poi affronterò! Sono contenta che ti piacciano i gemelli!!Grazie ancora ^^
darkrin:Ciaooo xDDD, non ti lamentare che ho aggioranto pure xD Ma com'è che Adam ha sto successo? (anche Lisa >.>)Ma cosa ha mai di bello?(biondo, occhi blu, magro, vampiro *ççç* XDDD)...e non mi insultate Logan che è troppo puccioloso *_* dovreste vedere come l'ho disegnato!!>w< ...va beh, grazie!E leggiti sto cap e shut up *_*

Spero vi sia piaciuto, un piccolo commentino non farebbe male *_*(anzi fa paicere davvero davvero!!!XDD)
kokò

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Capitolo 9
*** Piano | Umanità ***


Capitoli corretti e ripostati

E questo lo dedico a i miei più cari amori, che mi aiutano e amano Positive Blood, mio compagno di vita. Chissà cosa farei senza questa storia e i mille personaggi che mi affollano la mente.
A Livia, a Lisa, a Mariasole, a Costanza e a Gabriella...
E a te, Lettore!

23 – Piano

 

Quei occhi viola lo perseguitavano ancora nei suoi incubi peggiori, lo fissavano leggendogli dentro; occhi violetti e rossi, color del sangue.

 

Una folata di vento portò fino al suo naso l’odore di dolce e caldo sangue che scorreva ignaro dentro l’umana di fronte a lui.

Aveva i capelli rossi amaranto mossi, quell’umana. E la bocca carnosa, gli occhi azzurri e profondi, qualche lentiggine sul naso.

Poteva avere vent’anni, o forse diciotto o venticinque.

Non aveva paura, non ne aveva alcun motivo.

Gli occhi dell’umana si abbassavano incrociando quelli suoi, le guance si imporporavano un po’, facendo affiorare dolce sangue.

Adam ghignò fra sé e sé, poi si rivolse all’umana.

« Signorina Lucy, vi andrebbe una passeggiata? »

« Padre… » disse lei rivolgendosi al signore, elegantemente vestito, seduto accanto a un tavolo da giardino.

« Ma certo, va pure con il signor Ryan, accompagnalo per i nostri giardini. » acconsentì bonariamente.

« Grazie... » sussurrò lei, poi si incamminò per il giardino, seguita da “Ryan”.

Adam, cioè Ryan, l’affiancò sorridendo.

Quel giardino era davvero ben curato, con tanti alberi rigogliosi e aiuole ordinate.

« Guardi, lì abbiamo le rose rosse dei Paesi del Sud, sono molto resistenti al caldo. » disse orgogliosa Lucy, indicando un cespuglio lì vicino.

« Fantastiche » disse falsamente estasiato “Ryan”, anche se aveva una vera passione per i fiori, così belli eppure brevi nella loro mortale vita.

Lei allungò una mano per prenderne una, ma si punse il dito.

Dal piccolo graffio uscì una gocciolina di sangue che scivolò via, verso terra.

Adam serrò la bocca, digrignando i denti, poi l’abbracciò impulsivo.

« Signor… Ryan! » disse lei rossa come un peperone.

« Questi umani sono solo carne, troppo stupidi e lenti… è arrivata la tua fine, Lucy. »  Sibilò lui gelido.

« Co-cosa? »

Celere gli morse il collo, assaporando il gusto dolce da positivo.

Eppure anche lui, anni prima, era stato un umano.

 

« Bentornato. » Gli disse una bambina dai capelli e gli occhi violetti.

« Ciao, Violet... » rispose Adam mentre si toglieva la giacca di velluto nero.

« Come è andata?» chiese lei, posandosi su una sedia vicino alla scrivania.

Erano nella camera di Adam, nella villa di lei – bambina ricca e viziata – .

« Bene, aveva un buon gusto. » la informò il vampiro, atono.

La bambina ghignò soddisfatta.

« Tieni, Adam » disse porgendogli un libro rilegato in cuoio « È  un classico di Aiedail, leggilo. »

« Grazie... » rispose lui, osservando il drago rosso impresso sul cuoio marrone.

Lei sorrise di nuovo, poi lasciò la stanza.

Adam si buttò sul letto, stringendo a sé quel libro antico.

Le serviva. Lei lo stava aiutando, gli aveva insegnato a scrivere, leggere...

Era lei ad averlo trasformato.

Un sorriso caldo,

labbra rosa e virili,

pelle scura perennemente,

capelli neri.

 

Un sorriso caldo.

 

Cos’era quella sensazione?

Adam si passò le dita affusolate sulle tempie dolenti.

Aveva ricordato qualcosa... ma cosa?

Chi gli sorrideva così?

Era... una sensazione strana, di calore, ormai persa da tempo.

Un sorriso caldo,

un sorriso d'amico,

di fratello mancato.

 

Ma chi?

Chi gli sorrideva così?

 

Adam non ricordava molto della vita passata... sapeva di essere stato un contadino e poi dell'attacco di Violet, i suoi occhi grandi e viola.

Erano passati anni... era un ricordo lontano, la sua umanità non esisteva più.

Adam si guardò riflesso nello specchio del bagno adiacente alla camera.

Vide un diciottenne biondo e attraente, dagli occhi blu mare.

Non era cambiato, mai più sarebbe cambiato.

Forse prima aveva odiato questo. Forse aveva maledetto Violet, un tempo. Forse –  in passato –  aveva rimpianto la sua umanità.

 

 

« Adam... » lo chiamò la bambina, troppo sveglia e astuta per la sua età.

« Dimmi, Violet... cosa c’è?»  chiese lui, mostrandosi gentile.

« Devo affidarti una missione... sai, i nostri piani stanno andando avanti. » lo informò Violet, spostando continuamente lo sguardo, non sapendo come l’avrebbe presa.

« Sì? » disse lui per esortarla a continuare.

La bambina mosse la testa di lato, girandosi verso di lui, guardandolo negli occhi blu.

« Devi infiltrarti... infiltrati fra gli umani, Adam... abituati a bere sangue normale, a non farti riconoscere dai positivi. Se bevi sangue di negativi, di persone qualunque per... non so, intanto preparati, quando saremo pronti... tu ti infiltrerai, va bene? »

« Certo. » disse esitante lui. Non poteva dire di no.

« Perfetto. »

Adam se ne andò, lasciando la bambina a mille scartoffie e pensieri.

*

 

 

24 – Umanità

 

Erano passati 85 anni... i vampiri “superiori” erano ricercati, i positivi erano importanti.

Anni passati a nascondersi e a bere sangue amaro, schifosissimo sangue di negativo.

A prepararsi per il piano.

Bisognava scendere in campo, dopo aver piazzato bene le trappole.

Secoli di congetture, congiure, delitti, castelli in aria e piani perfetti.

Ed ora che tutto era pronto, bisognava azionare la leva, attivare la parte del piano più difficile e vincere.

Trionfare o arrendersi.

Uccidere o perire.

E lui non si sarebbe tirato indietro, mai.

Doveva ucciderla. Uccidere Sofia.

Era un incomodo intralcio, una macchia sulla camicia di seta, un’incrinatura in un calice di cristallo.

Ma lei era forte...

“Colpirò quando non avrà i suoi poteri, allora si che non potrà ribellarsi” pensò Adam riguardando per la quarta volta la pagina di un libro antico.

Ghignando, mise un segnalibro e lo poggiò sul letto.

“Ma ho ancora tempo... devo aspettare ancora un po’.”

E, ridendo con perverso piacere, uscì dalla camera.

 

 

Sofia rabbrividì.

Ginger la guardò stranita, in giardino c’era caldo anche all’ombra.

« Uff... » si lamentò la signora « C’è fin troppa afa, ormai l’estate è arrivata. »

Sofia rimase in silenzio, poi le domandò: « Che ne dici di fare una passeggiata? ».

Ginger ci pensò su un momento, mentre sventolava il ventaglio decorato, poi negò con la testa. « Non me la sento di camminare con questo caldo! » si giustificò.

« Allora vado lo stesso, non ho voglia di stare seduta. » rispose Sofia, alzandosi dalla panchina in giardino. « Ci vediamo dopo! »

« Sì, Sofi. » rispose Ginger, continuando a sventolare il ventaglio.

La ragazza uscì dal giardino, per immergersi nella foresta che circondava tutto.

Passeggiò un po’ fra gli alberi, poi si sedette in una radura fresca e riparata da faggi.

Portò le gambe al petto e le strinse fra le braccia, accoccolando la testa sulle ginocchia, e iniziò a cantare.

 

I would die if you let me
Drowning in sorrow
Baby don’t kill me tonight
Would you hold on to me, girl?
And love me tomorrow
Love me tomorrow again

Adam stava passeggiando per la foresta, non avendo null’altro da fare. In più il verde lo rilassava e camminando si concentrava meglio.

Sentì una voce che dolcemente cantava in mezzo al bosco, così si avvicinò velocemente alla cantante sconosciuta.

Guardando fra i faggi, scorse una ragazza dai capelli castani seduta in una radura.

Sofia cantava in una strana lingua, con gli occhi chiusi e il volto verso il cielo.

Il vampiro rimase ad osservarla, stringendo con una mano un tronco d'albero.

Lei riaprì gli occhi e si stiracchiò, per poi buttarsi sul prato.

Dopo un po’, vedendo che Sofia non si muoveva, oltre alla gabbia toracica che faceva su e giù, Adam si avvicinò.

Si inginocchiò e squadrò per bene e per la prima volta Sofia.

Aveva il naso un po’ all'insù e tondo – notò –  le labbra chiare e sottili, le guancia rosee di vita.

Forse chi la vita l’ha persa prova un moto d’invidia per chi ancora la tiene stretta a sé, e non può che rimanere incantato dalla vita stessa. E cos’è più “vivo” di un essere vivente?

Si accovacciò, avvicinando la mano verso quel calore.

Chissà cosa si provava... ad essere caldi, a vivere e non essere immortali, perfetti.

Gli umani erano fragili, ma sorridevano così spesso, fondando la loro vita sull'ottimismo e la speranza, bramavano l’amore e l’affetto più di qualunque altra cosa. I vampiri, invece, avevano solo una grande aspirazione: bere. C’era chi cercava legami, legava con altri vampiri. Legami d’amore, di odio, di semplice affetto. Come un riflesso di quella vita che mai sarebbe tornata.

Ma lui era solo.

Squadrò un’altra volta Sofia, tentennando. Una ciocca bionda scivolò sulla ragazza, che dormiva leggermente, in una semicosciente dormiveglia.

Adam sussultò, poi si chinò ancora di più, sentendo sulla pelle fredda il respiro della giovane.

Toccò le sue labbra calde. Sofia al contatto con le labbra gelide si ridestò, aprendo gli occhi castani.

Vide Adam, stupito quanto lei, che si scansò in un movimento impercettibile.

Lei rimase a guardarlo, interdetta.

Con un filo di voce gli parlò: « Adam? Cosa stavi facendo? » gli chiese, pur sapendolo benissimo e non capendone la ragione, la folle ragione.

« Io... non lo so. » rispose lui, e in quel momento a Sofia sembrò un adolescente qualunque.

Ma poi tornarono preda e predatore, come i giochi di ruolo che si fanno in compagnia, con gli amici, per passare tempo.

Lei era la preda, lui era il predatore.

Nulla di più.

Eppure non era ancora arrivato il momento giusto, Adam sapeva pazientare, l’aveva fatto per 85 anni.

« Provavo. » gli disse, facendo un ghigno.

Poi, proprio com’era venuto, scomparve.

*






Dopo un po' di attesa, rieccomi con Sofia & Co! A poco a poco entreremo nel loro mondo e nel mondo dei vampiri. Aspettatevi di tutto, commentate da bravi ragazzi XD ( Magari... mi farebbe davvero molto piacere! *.*) e appassionatevi XD... il capitolo 24 l'ho finito in questo momento e mi soddisfa abbastanza. Spero di riuscire a muovere un personaggio complesso come Adam.
Violet si pronuncia Vaiolet, mi raccomando! Voglio che si pronunci così XDD... coomunque...
Io non lo so come si evolverà il tutto, dopo sto bacio °_° Chi vivrà vedrà!
Mi sono dimenticata cosa volevo dire ç_ç Va beh, non era di sicuro qualcosa d'importante!... ora me lo ricordo! La song è Don't kill me Tonight dei Di-rect.
owarinai yume Grazie mille e scusa per l'attesa! *w*
A presto!!

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Capitolo 10
*** Armelia | Sei innamorata? ***


Capitoli corretti e ripostati

Grazie mille a Lisa che mi aiutato con il 26!
Buona lettura!


25 – Armelia

 

Una piccola figura incappucciata si mosse agilmente sul pavimento scivoloso e consunto. I suoi leggeri passi risuonavano per la sala del palazzo, rimbalzando fra i muri spessi e possenti.

Una donna sulla ventina l’aspettava, seduta su una poltrona rossa, alla fine della stanza.

Era ritta e attenta, gli occhi così chiari da sembrare bianchi, con la bocca molto carnosa dura e impassibile. I capelli neri incorniciavano il viso candido e un po’ spigoloso, ma molto bello, della ventenne vestita da uomo.

La figura col mantello le si sedette di fronte, spavaldamente.

« Su, scopriti. » ordinò la donna, poggiando un fascicolo sul tavolino accanto alle due poltrone.

L’altra figura si sfilò il cappuccio.

Sotto il mantello c’era una dolce bambina dai capelli e gli occhi violetti, con un sorrisetto ironico sul volto e un fiore che reggeva la coda laterale.

« Ciao, Armelia! » esclamò la bambina, estraendo dal mantello il suo orsacchiotto marrone.

« Violet. » rispose l'altra, calma.

Erano in una stanza abbastanza grande, dalle pareti tappezzate di libri, con una scrivania di lato e in fondo due poltrone rosse. Era lo studio di Armelia, quella dura ventenne.

« Allora... come procede, Lia? » le chiese Violet, giocando con l'orsetto.

« Abbastanza bene, sta andando tutto come previsto. » le disse la mora.

Violet ghignò e anche Armelia sorrise leggermente.

« Bene! Brindiamo, ti va? » domandò la bambina, gaiamente.

Armelia assentì con un leggero movimento del capo, poi si alzò e sfilò qualche libro da un ripiano in altro. Nascoste dai volumi polverosi c'erano delle fiaschette.

« Il migliore » sussurrò Armelia, porgendo una fiaschetta alla bambina « Ed il più fresco. »

Stapparono e bevvero quel liquido scarlatto e dolce di nome sangue.

 

Armelia era un vampiro “superiore”.

Mostrava circa vent’anni e ne dichiarava venticinque. I suoi capelli corvini erano tinti.

Aveva molto successo per la sua bellezza, ma lei non ci badava affatto, anche perché lei era lì, in quel palazzo, semplicemente per copertura.

Controllava e guidava i positivi della S.S.E.V.

Era un ottimo soldato, molto capace in combattimento ed abile stratega.

Purtroppo per gli uomini, quella era solo finzione: lei era un vampiro, niente poteva renderla benevola agli uomini se non la sua missione.

Violet la salutò con un bacio veloce sulla guancia, poi si rimise il cappuccio sul volto ed uscì dal palazzo.

Quel palazzo era una delle sede più importanti dell'esercito, si trovava a Leluar.

La bimba uscì dal grande portone e si ritrovò in una strada importante della città.

Il viale brulicava di vita, una moltitudine di persone chiacchierava e passeggiava noncurante che li stesse osservando un vampiro “superiore”, alcuni guardavano entusiasti le vetrine, delle signore ridacchiavano e parlavano delle proprie case di proprietà al mare.

« Oh, sì... io ne ho una sulla costa est, dovreste vederla, vicino a Ilshabar! » esclamò entusiasta una, vantandosi con le amiche.

Violet le fissò schifata, poi si mischiò tra la folla e si lasciò trascinare.

Sul suo volto, ripensando a quelle smorfiose, apparì un sorriso maligno, come se fossero destinate a qualche terribile pena.

Ma quelle non potevano saperlo e continuavano a ridere e a punzecchiare, forse per l’ultima volta.

*

 

 

26 – Sei Innamorata?

 

Adam apparve nella sua stanza da letto così velocemente che la porta nemmeno si mosse, almeno per chi possedeva occhio umano.

Si buttò su una delle poltroncine scarlatte e si slegò nervosamente i capelli.

Le ciocche bionde ricaddero sulla schiena e si disposero in modo disordinato, come se volessero rispecchiare lo stato d’animo del vampiro.

Il ragazzo si passò una mano sugli occhi e sbuffò, fin troppo arrabbiato con sé stesso.

“Ma che diamine mi è successo?” si chiese toccandosi le labbra gelide.

Ripensò a quel brevissimo contatto con la sua bocca calda e voltò di scatto la testa, cercando di dimenticare.

Ma quando si prova qualcosa di piacevole non si può far altro che sperare e combattere per averlo, è nella natura umana.

E, pur essendo un vampiro, Adam aveva ancora una parte umana, come tutti i suoi simili, sepolta in fondo al suo cuore di pietra.

Purtroppo per lui, a poco a poco quella parte stava riaffiorando, trascinandolo nell'inferno dell'emozioni umane.

Perché quando si prova qualcosa di piacevole, si desidera poter riaverlo, riprovare quella sensazione, non è forse questa la dura realtà?

 

 

Sofia si guardò in giro spaesata, cercando il vampiro fra gli alberi, ma di lui non si vedeva neanche l’ombra.

Rimase un momento interdetta, poi tornò al suo giardino.

“Perché qualcuno che mi vuole sicuramente morta mi bacia?”  pensò Sofia, mentre correva verso la casa di Ginger.

“Non ci capisco più nulla! Questo è un mondo troppo complesso... vampiri, positivi, soldati... pillole e “superiori”.”

Sofia cercò di calmarsi, facendo un respiro profondo, ed entrò nel giardino, dove Ginger riposava sulla panchina all'ombra.

La giovane si rassenerò vedendo la signora dai capelli neri che pigramente muoveva il suo ventaglio, cercando di sfuggire al caldo opprimente di quell’estate.

Sofi si sedette nuovamente accanto a lei e le sorrise leggermente. Ginger rispose per poi guardarla con un'aria un po’ divertita e un po’ maliziosa.

« Sofia... dimmi, cosa sta succedendo? Ti vedo turbata. » le disse la signora, con gli occhi neri che la squadravano leggermente preoccupati, pur mantenendo un’aria divertita, come se lei già sapesse.

« A me? Nulla! » rispose velocemente Sofia, rimanendo sull’evasivo.

« Sì certo... ti ho osservato, sai? Sei qui da cinque anni, penso di conoscerti almeno un po’. » ribatté Ginger.

Sofia incominciò a sudare, impallidendo all’idea che la donna sapesse di Adam.

« Ti piace qualcuno, eh? Dillo alla tua Ginger! » le disse tutto d’un fiato la signora, guardandola con occhi sognanti.

« Ehhhh? » sbraitò Sofia, senza contengo.

« L’ho capito... sei ansiosa, pensierosa... è l'amore, è la tua età, Sofi! » continuò Ginger, sventolando con più energia, sorridendo gaia.

« Ma... non è vero, Ginger! » le rispose Sofia, arrossendo leggermente.

« Uff... si certo, come no! Io che ti voglio aiutare e tu che non mi dici niente. » si seccò la signora, voltandosi dall’altro lato, dando le spalle alla giovane.

« Su... non ti arrabbiare. » disse Sofia, al limite. Stava per scoppiare a ridere.

Ginger la guardò negli occhi.

« Me lo diresti se tu fossi innamorata? » le chiese, con fare talmente materno da far intenerire Sofia.

« Ma certo! » rispose lei, sorridendo.

Ginger era proprio un amore, con tutte le sue preoccupazioni e i suoi dolci scatti d'affetto.

Però rimaneva in sospeso la questione di nome Adam.

*








Salve a tutti! Non avendo lo scanner ho fatto alcune foto ai miei disegni dei personaggi! Vi metto Adam e Sofia, in seguito anche gli altri ^.-

E questo me l'ha fatto Lisa *_* :

Mikybiky: Io non mi accorgo dei miglioramenti, ma grazie grazie grazie!! Sei fantastica *__* Mua *w* 24 cap in un colpo °_°" xDD Grazie ancora, eccoti il seguito! Un bacio
owarinai yume: Anche secondo me *w* XDDDDDDD Garzie mille!! Questo cap è arrivato presto ^^ Un bacio
LisettaH: Ammmorè *ç* XDDD Grazie di tutto!!Si è la tua song XDD è il tuo disegno xDD... sono celere, dici te -.-"
Grazie a tutti!! Alla prossima!

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Capitolo 11
*** Un soldato perfetto | Il gigante e l'alchimista ***


Capitoli corretti e ripostati (anche se in questi ultimi cambio si e no 4 o 5 parole e il font xD)

So che Logan può sembrare Edward di FMA, me l'ha fatto notare Lisa... però non centrano nulla, quindi va bene così! ^^


27 – Un soldato perfetto

 

Jack non parlava spesso.

Semplicemente non aveva niente di speciale da dire, almeno lui la pensava così.

Era alto, 192 centimetri esatti, e molto muscoloso. Era preparato a combattere, nulla l'avrebbe fermato.

Proveniva dai Paesi del Sud, infatti aveva la pelle molto più scura del suo collega Logan.

Questo si poteva trovare sulla sua scheda, oltre qualche altra informazione necessaria.

Ma non siete curiosi di conoscere la sua storia?

 

L’aria calda ed umida distorceva i lineamenti, rendendo tutto sfocato, e sembrava di essere in un inferno senza fiamme. In cielo non c’era nemmeno una nuvola, il loro Dio era proprio malevolo quel giorno di agosto, e il sole spandeva i suoi raggi, picchiando così forte che c’erano già stati 5 svenimenti.

I bambini salivano e scendevano, portando con sé carriole piene di metalli.

Non era proprio la giornata adatta per lavorare in una miniera, ma cos’altro potevano fare?

Jack portava carriole da due anni, ancora la sua schiena era dritta e forte, ma a breve si sarebbe piegata per lo sforzo. Non  poteva di certo ribellarsi.

Quella mattina degli stranieri avevano fatto visita al cantiere, guardando con attenzione fra i lavoratori, in cerca di chissà cosa.

C’era una signora fra di loro, aveva capelli lunghi e lisci, color ebano, e la pelle olivastra.

La donna si avvicinò ai bambini, squadrandoli uno ad uno, poi rivolse un bel sorriso a Jack.

« Dimmi, bambino... » esclamò guardandolo « Hai dei genitori? »

Jack negò con la testa, troppo stupito per risponderle. Lui non li aveva più. Lo avevano venduto, erano dei genitori quelli?

« Allora... che ne dici di venire con noi? » chiese lei, indicando i suoi compagni.

Jack sbarrò gli occhi dallo stupore e alzò leggermente lo sguardo fino ad incontrare gli occhi di lei.

« Hai il fisico perfetto, bambino! Ci saresti molto utile. » Continuò la donna, adulandolo.

Lui rimase in silenzio, così lei si abbassò e gli porse una mano.

« Ti istruiremo, ti alleneremo e diventerai un perfetto soldato, che ne dici, bambino? »

Jack la fissò dritto negli occhi decorati da una matita blu, poi annuì a mo’ di risposta.

Meglio diventare soldato che rimanere lì, no?

La signora gli sorrise di nuovo, ritirando la mano, e lo prese con sé.

Sarebbe diventato un soldato. Un perfetto soldato.

 

Jack si era mostrato da subito un ottimo militare.

Era deciso, preciso, silenzioso, forte.

Il suo soprannome era Gigante Buono, perché cercava di risparmiare più persone possibili, ma se l’ordine era di uccidere, lui uccideva.

I suoi superiori l’aveva preso in simpatia, pur non conoscendo molto del suo passato.

Un giorno Jack fu chiamato dalla signora che lo aveva scelto alle miniere.

Lei lo aspettava nel palazzo principale dell’esercito, nella capitale del Fryan.

Era rimasta bellissima, e appena lo vide gli fece uno dei suoi soliti sorrisi.

« Buongiorno, Jack. »

Lui rispose con un inchino e poi attese che lei parlasse.

« Sei diventato un ottimo soldato, Jack. Mi hanno richiesto alcuni militari da mandare all’Impero ed io ho pensato a te. »

Lui sussultò, lei notandolo gli chiese: « Non ti va bene? »»

« No signora, è perfetto. Andrò ad Aiedail. »

« Bene! » esclamò lei, sorridendo di nuovo.  « Ti diranno tutto al tuo arrivo, va a prepararti per il viaggio. »

« Sì signora. » Rispose lui, prima di uscire dalla stanza.

Sarebbe partito, gli ordini erano ordini.

 

Arrivò a Leluar una mattina di maggio.

Ormai aveva 17 anni, era quasi un uomo.

Il palazzo che aveva di fronte era imponente e Jack rimase un attimo intontito dalla folla che passeggiava per il viale. Subito dopo, lui e i suoi compagni di viaggio entrarono nella sede dell’esercito.

Jack, silenziosamente, guardava tutti i decori dei possenti muri; non aveva mai visto qualcosa del genere.

Un generale gli spiegò che ognuno di loro doveva difendere il proprio compagno che gli sarebbe stato affidato, poiché se erano impegnati a fare alchimie erano vulnerabili.

Gli alchimisti erano importanti, come i positivi, per combattere i vampiri che si aggiravano sulla terra, in particolare ad Aiedail.

Jack trovò il suo compagno appollaiato su un albero nel giardino del palazzo.

Aveva i capelli lunghi e raccolti in una treccia che finiva a metà schiena, una frangetta sbarazzina gli ricopriva la fronte e arrivava sino agli occhi castani ed intelligenti.

Quel ragazzino, che doveva avere quindici anni, aveva la pelle olivastra ed indossava una casacca blu dai bottoni rossi e dei pantaloni che coprivano a stento le ginocchia sbucciate.

Il giovane si girò verso Jack e rimase a fissarlo negli occhi per un tempo che sembrò infinito.

« Tu sei Jack, eh? » gli chiese con tono spavaldo il quindicenne.

Lui fece di sì con la testa e aspettò che quel ragazzino dicesse qualcos’altro.

« Bene... » esclamò il giovane « Il mio nome è Logan. »

*

 

 

 

28 – Il gigante e l’alchimista

 

Jack si accorse subito che quel ragazzino era speciale.

E si accorse anche, dopo un po’ di tempo, che aveva di nuovo qualcuno a cui volere bene.

 

Era passato un anno circa da quando Jack era arrivato a Leluar ed aveva incontrato Logan, quello strano ragazzino dai capelli lunghi raccolti in una treccia.

Era giunta l’ora di partire per una missione, Jack aveva già 18 anni e Logan 16, quindi erano pronti.

Partirono al crepuscolo, diretti verso nord, dove i vampiri spopolavano indisturbati.

Durante il viaggio non ci furono problemi, oltre qualche lamentela da parte del giovane che voleva la sua frutta esotica e la stanchezza dei compagni.

Dopo due settimane riuscirono ad arrivare, soprattutto grazie ai cavalli resistentissimi e molto veloci.

« Finalmente! »  esordì Logan, stiracchiandosi la schiena e sbadigliando.

Jack mugugnò un sì e piantò la loro tenda in una zona piatta, togliendo prima i sassi acuminati.

Erano in un accampamento piuttosto piccolo, non c’era una vera guerra in corso, ma bisognava controllare gli attacchi dei vampiri e qualche alchimista e positivo servivano.

Logan cominciò a girare in lungo e in largo, cercando disperatamente la sua frutta, mentre Jack si lamentava fra sé e sé di quanto fosse viziato quel ragazzino.

Accadde la quarta notte dopo il loro arrivo.

Era appena scesa la notte sul campo e Logan e Jack, come tutti gli altri, erano nella loro tenda, pronti a farsi una bella dormita ristoratrice.

Ci fu un urlo che spaccò il silenzio in mille pezzetti di vetro che si conficcarono nei loro cuori come frecce.

« Cos’è successo? » chiese Logan a Jack, alzandosi di scatto, seguito dal compagno.

Uscirono dalla tenda e videro il caos.

I soldati erano tutti fuori, alcuni correvano ed altri urlavano, come se fossero attaccati da qualcosa... qualcosa che non si vede.

« Vampiri! » gridò finalmente qualcuno alla loro destra, rendendo veritieri i loro pensieri peggiori.

Logan incominciò a tremare e a voltare velocemente la testa, cercando di scorgere un segno.

Il suo compagno lo sentì sussurrare: « Sono troppo giovane, troppo giovane! » e cercò di rincuorarlo con dei colpetti sulla schiena. Ma non c’era tempo da perdere in convenevoli, erano attaccati da vampiri.

Jack, in cuor suo, sapeva che Logan non era un fifone, ma anche che la prima volta in una vera battaglia tutto sembra un brutto sogno e la paura ha spesso il sopravvento.

Così se lo trascinò nella parte più tranquilla dell'accampamento, provando a salvare il suo giovane compagno.

Logan alzò lo sguardo e incrociò gli occhi neri di Jack.

« Dimmi... cosa dobbiamo fare? » gli chiese il sedicenne.

« Ora dobbiamo combattere, Logan. Ma per la tua incolumità sarebbe meglio di no. » rispose il gigante.

Logan assentì con un piccolo cenno del capo, anche se ancora tremava e non sembrava voler smettere.

 

Un fruscio ridestò i loro sensi, Jack si mise in posizione di difesa e l’alchimista congiunse le mani, pronto a combattere.

Il più grande fece un cenno al giovane e l’alchimista velocemente poggiò le palme a terra.

Prese una pietra bianca che era lì vicino ed incominciò a tracciare il cerchio alchemico, mentre Jack rimaneva in guardia.

Sul terreno il bianco spiccava incontrastato ed assumeva la forma di una stella a cinque punte inscritta in un cerchio, ad ogni punto vi erano tracciate delle parole in un’antica lingua.

Logan sussurrò qualche parola incomprensibile ed il cerchio si illuminò.

« Sto finendo, Jack! » urlò al compagno.

Ma l’altro non lo sentì nemmeno, intento com’era ad osservare tre brillanti figure uscire dall’ombra.

Erano tre donne, bellissime, dai capelli corvini e gli occhi a mandorla. Ghignavano mostrando i canini affilati e bianchi.

Jack si preparò a fronteggiare dei nemici che erano molto, molto più potenti di lui e per un attimo si scoraggiò.

Ma almeno sarebbe morto per qualcosa... per qualcuno.

Una delle tre si avvicinò flessuosa, raggiungendolo in un battito di ciglia.

« Maledizione! » imprecò Jack, proteggendosi il busto con le mani.

Lei si fletté, cercando di raggiungere il collo, ma lui fu abbastanza veloce da scansarsi.

Purtroppo i canini morsero la guancia sinistra, ferendolo in volto.

Ma il cerchio di Logan era pronto.

Una luce bianca le travolse e spinse lontano i corpi ormai immobili delle vampire, lasciando un Logan ansimante e un Jack disteso a terra, con la faccia piena di sangue e il veleno di vampiro in circolo.

*





Eccomi qui, aggiorno appena finisco 2 cap, per questo sono molto scostante! Jack e Logan mi ricordano Alphonse ed Edward... non che poi centrino molto!
Spero che vi piaccia, grazie per chi legge, grazie anche (e soprattutto xD) a chi resencisce!! Ora vado, sono di fretta.. ma vi lascio i disegni di Jack e Logan (e Daniel) ^^




A presto!

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Capitolo 12
*** Il nuovo volto di Logan | Put your hands into the fire ***


Capitoli corretti e ripostati

29 – Il nuovo volto di Logan

 

Sangue gocciolava dalla ferita a forma di mezzaluna e scendeva a bagnare il terreno.

Logan tremò per l'ultima volta, quella notte.

Non poteva rimanere un ragazzino viziato e fifone, ne andava della salute di Jack e degli altri soldati. Poteva fare lo spavaldo, ma poi non doveva tirarsi indietro, tentennare, perdere tempo.

Doveva essere svelto, combattere ammaestrando la paura.

Così si chinò sul volto di Jack e tracciò con un gessetto azzurro un cerchio alchemico.

Poi pronunciò qualche parola della sua strana lingua.

Il sangue infetto e il veleno uscirono dalla ferita, scivolando sulla pelle scura, grazie ai poteri di Logan.

Solo dopo essere certo che Jack fosse fuori pericolo, l’alchimista si lasciò sfuggire un sorriso.

 

Jack si risvegliò la mattina dopo in un lettino nel capannone dell’infermeria.

Guardò spaesato in giro e trovò un’infermiera che lo stava controllando accuratamente.

Aveva due codine nere e una piccola frangetta sulla fronte ampia, gli occhi grandi e sorridenti e la pelle olivastra.

Si assicurò che Jack stesse bene e poi lo lasciò andare, in fondo si era solo ferito alla guancia.

Il morso bruciava, pizzicava, richiedeva la sua parte, ma Jack non sarebbe diventato un vampiro, quella volta l’aveva scampata. L’infermiera gli aveva raccontato che era stato Logan a estrarre il veleno.

Era felice che Logan stesse bene. Era contento che lo avesse aiutato, rendendosi utile.

Il gigante vagò per il campo che lentamente si stava riprendendo dall’attacco. C’era chi aiutava i feriti, chi riparava le tende, chi scorrazzava qua e la aiutando un po’ tutti.

Jack avrebbe fatto la sua parte, ma prima doveva trovare il suo compagno.

Cercò fra le persone che lavoravano  una treccia lunga e nera, ma non riuscì mai a trovarla.

Vide un gruppetto di uomini indaffarati a perlustrare l’accampamento poiché c’erano dei dispersi. Uno di questi uomini era stranamente familiare a Jack, e tutto ciò gli sembrava strano, perché ancora non conosceva nessuno.

Eppure il suo fisico l’aveva già visto.

L’uomo si voltò, rivelandosi un ragazzino sedicenne, dallo sguardo deciso e fiero.

Jack rimase a fissarlo per due minuti buoni, poi esclamò semplicemente il suo nome « Logan! »

L’alchimista aveva tagliato i capelli fino all’attaccatura del collo, lasciando libera la schiena, e aveva accorciato la frangia.

« Ti sei tagliato i capelli. » constatò Jack, sorridendogli leggermente.

« Erano scomodi, così sono più agile. » rispose Logan, rispondendo al sorriso.

Ma Jack sapeva che quel taglio di capelli significava altro... Logan era cambiato, era deciso, forte... e il nuovo taglio era la prova tangibile del cambiamento.

Era cresciuto e maturato.

Il ragazzino spavaldo era del tutto scomparso.

A Jack riaffiorò sul viso una sorriso amaro, ma sapeva anche lui che quel cambiamento era in meglio.

 

 

Jack seguì con l’indice la cicatrice sulla sua guancia, tracciando una mezzaluna perfetta.

Si soffermò su quella parte di pelle più chiara, ripensando alle tre vampire e allo scontro avvenuto sette anni prima.

In tutti quegli anni, lui e Logan avevano combattuto molti altri vampiri, avevano vinto ed erano anche diventati famosi fra i militari.

Erano tornati al palazzo di Leluar, per un breve stacco.

Logan si era immerso nella lettura di metà biblioteca privata, e così Jack si era messo a girare per i corridoi dai tetti alti.

Fischiettava un motivetto che aveva imparato qualche mese prima, osservando i fregi preziosi e i mobili possenti e carichi di decorazioni. Lui preferiva uno stile spartano, si era abituato agli accampamenti. Aveva proprio una mente da militare.

I giorni erano passati lenti e noiosi per il gigante, intrappolato fra quelle mura spesse.

Preferiva il campo di battaglia, l’aria che sferzava i capelli, Logan che tracciava cerchi alchemici e pronunciava strane parole, i compagni di guerriglia contro i vampiri.

Finalmente fu chiamato dal capo dei positivi del S.S.E.V.

Armelia li aspettava nel suo ufficio, seduta dietro la scrivania piena di carte e cartellette ordinate.

Jack e Logan entrarono e fecero il saluto militare.

Si accomodarono sulle sedie e Armelia incominciò il suo discorso.

« Logan... tu partirai per la villa bianca, in fondo alla penisola, pronto a difendere i positivi da eventuali attacchi. I vampiri si stanno muovendo. Con te porterai Jack e altri tre elementi preparati e forti. Prima andrai a parlare con il professor Arthur, che già conosci, e poi farai entrare la tua squadra nella villa. Non fare preoccupare i positivi inutilmente e rimani attento e pronto. »

Logan assentì chinando il capo.

« Bene. Domani vi presenterò gli altri tre, ora potete andare. » concluse lei.  

Jack e Logan uscirono dallo studio e al gigante affiorò un sorriso sul volto.

Sarebbero partiti, pronti di nuovo a combattere.

*

 

 

30 – Put your hands into the fire

 

Ginger aveva preparato il pranzo: un’insalata di pomodori e cetrioli, pane nero e frutta in quantità. C’era fin troppo caldo per cucinare qualcosa.

Sofia l’aiutò apparecchiando la tavola nella fresca cucina. La sala da pranzo era esposta a sud/est e quindi era molto più calda della cucina situata a nord.

Mangiarono in silenzio, assaporando i cibi leggeri e rinfrescanti.

« Dopo vai dai gemelli? » chiese Ginger, spezzando la sua fetta di pane.

« Sì... mi aspettano, vogliono esplorare il boschetto intorno alla villa, cercano gli scoiattoli. » rispose Sofia, posando le posate sul piatto ormai vuoto.

La signora fece un cenno della testa, concordando. Sofia sorrise falsamente spensierata.

Lei però non andava alla villa per Rupert e Ryan... ci andava per incontrare Adam.

 

Nel primo pomeriggio Sofia uscì di casa, dirigendosi verso la villa bianca.

Salutò, come sempre, la guardia che squadrava con attenzione l’ingresso ed entrò nel folto bosco.

Arrivò finalmente nel cortile, dove rimase un attimo a guardare preoccupata la villa bianca e l'edera che ne ricopriva una parte.

Sofia entrò dall’entrata principale, un grosso portone di legno scuro, e si diresse al primo piano.

Non sapeva qual era la stanza di Adam, così bussò alla prima porta a sinistra. Ne uscì un uomo sulla quarantina di nome Albert, se Sofia non errava. Aveva i capelli rossicci e disordinati, come se si fosse appena alzato, e gli occhi acquosi e cerulei.

« Oh, ciao. » esordì lui, sbadigliando sonoramente.

« Ciao... mi potresti indicare la stanza di Adam, per favore? » chiese gentile Sofi.

Lui assentì chinando la testa, poi le disse le indicazioni. « Mmm... dovrebbe essere la terza... no, la quarta! La quarta porta a destra dopo che il corridoio svolta! » esclamò Albert, mimando il tutto con le mani.

« Okay, grazie! » rispose Sofia, sorridendo.

Lui ammiccò con i suoi occhi acquosi, ghignando. « Da Adam, eh? Ahh... beata gioventù! »

Sofia gli lanciò uno sguardo allibito, poi si dileguò per il corridoio senza fare i dovuti commenti; non voleva perdere tempo a convincere Albert, tanto non ci sarebbe mai riuscita, conosceva abbastanza le persone.

Svoltò l’angolo e alla quarta porta bussò.

“Oddio, oddio, oddio! Chi me l’ha fatto fare? Maledetta me e la mia innaturale curiosità.”

La porta si aprì con uno scatto, velocemente, e le si parò davanti Adam.

Lui corrugò le sopracciglia per un istante, ma poi mascherò la sua sorpresa con un ghigno beffardo e la scrutò attentamente.

Lo sguardo di Adam su di sé la fece rabbrividire, ma... “Questi sono brividi di paura, vero? O forse... no, nulla.”

« Ciao. » le disse, con tono ironico e derisorio.

« Ciao. » rispose lei in modo brusco.

« Come mai qui? » chiese lui, facendo in modo che lei non vedesse la stanza alle sue spalle.

« Io... sono curiosa. »

« Come tutti gli effimeri esseri umani. » disse lui ghignando, poi notò una donna incuriosita che si affacciava dalla porta accanto e continuò. « Che ne dici di entrare in camera? Qui non c'è l'adeguata privacy; buongiorno Clodovea! » disse salutando la vicina, poi agguantò Sofi e la fece entrare.

« Bene, qui possiamo parlare. » fece Adam, sedendosi sul letto intarsiato.

Sofia si guardò intorno, stupita da tanta ricchezza, e si sedette su una poltroncina.

« Sono curiosa. Perché un mio nemico mortale, uno che mi vuole morta... mi bacia, Adam? Perché l’hai fatto? » chiese lei, alzando lo sguardo deciso e puro sul vampiro biondo.

Lui sogghignò a tale domanda, poi la fissò con i suoi splendidi occhi blu mare.

« Voi umani vi illudete così facilmente... siete proprio degli sciocchi. Forse ti immaginavi chissà quale motivazione... amore, infatuazione o quant’altro. La verità è che volevo assaggiare il sapore della mia futura preda. Pensi che non berrò il tuo sangue, un giorno? »

Sofia rabbrividì, stavolta per paura, per il cosiddetto istinto umano di sopravvivenza.

« Certo... » continuò lui, beandosi della visione di un'umana impaurita « Il morso è simbolo di amore, il primo gesto d’attrazione. L’amore primordiale e passionale. Ma questo non significa nulla. » concluse, passandosi una mano fra i capelli.

« O-okay, ma l'ho già detto e lo ribadisco... io non mi farò succhiare il sangue! » esclamò Sofia, ritrovando la decisione.

« Il momento giusto arriverà. » disse Adam, sorridendo maliziosamente.

La ragazza aprì la porta, pronta ad uscire.

« Sarò pronta e vigile. » sussurrò prima di andare nel corridoio.

« Non aspetto altro... » mormorò il biondo ironicamente.

*










Ciao! Nell'ultimo cap Adam è tornato sul vampiresco, a differenza di quando bacia Sofi.... ma no disperate °_° XDDD Ringrazio Lisa e Livia per avermi aiutato con il 29 e 30 quando avevo poca ispirazione o ero sul depressiforme XDDD
Ringrazio i preferiti, le recensioni e i lettori *_*
Indico un sondaggio... ditemi i vostri 3 personaggi preferiti e chi non vi piace!
Sono curiosa.... garzie in anticipo *_*
Rispondo alle recensioni:
Niis: Waaa, grazie mille *_* Adam riscuote successo perché l'ho voluto io XDD Nel senso... volevo creare un personaggio intrigante e sbavoso ed eccolo qui XDD Grazie mille *_* Un bacio!!
lisettaH: No, non lo è XDDD Grazie! Un bacio, mia Lisa *_*
mikiybiky: XDDDDDDDDD Anche io me l'ero immaginato forte (Jack), poi non sapendo che scrivere ho fatto la storia... PB va avanti così o.o""" Però so la fine XDDD Logan ha 23 anni *_* XD Muhahaha grazie mille >w< Un bacio!!

Altri disegni fatti da me sui personaggi:
Armelia:


Violet:


I gemelli:

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Capitolo 13
*** Lettere | Party ***


31 – Lettere

 

Niente può cambiare il mio mondo.

Non esiste qualcosa che fa paura a vampiro, nulla che possa far battere il nostro cuore di pietra. Forse solo il brutto può infastidirci, essendo creature estremamente vanitose.

Adoro stuzzicare gli stupidi esseri umani, sono divertenti nei loro atteggiamenti esagerati ed esasperati. Si credono chissà cosa, si vantano pure della loro intelligenza, si ammirano di nascosto.

Vederli spaventati, supplicanti, arrabbiati; ciò mi piace. Hanno una vasta varietà di espressioni, di modi di fare e di parlare, di muoversi. Ma sono tutti uguali, prede a cui bere il sangue, dolce sangue.

Eppure non me l’aspettavo qui... alcuni umani si mostrano coraggiosi, in modo stupido ed eroico. Ma in fondo lo fanno per la fama, no? Però... lei non aveva un pubblico. Non aveva nessuno che l’accompagnasse, c’erano solo lei e la sua stupidità umana.

Però gli esseri umani sembrano felici, nella loro ignoranza.

Proprio perché non sanno.

Sì, ma... l’umanità ti attrae. Il calore della pelle, il gusto del cibo, la paura della morte.

Sta zitta.

Quella ragazza castana aveva le labbra calde e umide, vive. Ha avuto il coraggio di andare da un vampiro.

C’è chi ha poca considerazione della propria vita.

O forse sapeva che non l’avresti toccata, Adam?

 

Un ragazzo biondo scosse la testa con veemenza, odiando la maledetta vocina che contrastava ogni sua certezza. Ma anche le certezze possono essere false.

 

 

Violet era dentro una carrozza rivestita con una tappezzeria floreale, avente morbidi sedili con cuscini ricamati; era una di quelle per ricchi e benestanti.

Il cocchio percorse un grande viale che finiva in una villa rosa pallido, con due scalinate che si incontravano sul portone e le luci accese nel buio della sera. La carrozza si fermò di fronte all’edificio e Violet scese subito, senza guardare il cocchiere e la villa, salì in fretta da una delle scale, fino ad entrare dal grande portone. 

Lasciò cadere annoiata il suo cappotto bianco sul pavimento ricoperto da uno sfarzoso tappeto, che fu prontamente raccolto da una cameriera. Camminò altezzosa calpestando tutto con degli stivali di camoscio, girando e dirigendosi alla sua camera.

Appena arrivata si sedette elegantemente su una poltrona nella stanza, che faceva da anticamera alla camera da letto vera e propria. Con un cenno d'occhi fece entrare la cameriera che aspettava ansiosa di portare le lettere della “signora”.

Porse le buste a Violet e poi si ritirò, dopo un profondo inchino. La bambina aprì tutte le lettere, poi prese la prima, la più importante, ed iniziò a leggere. 

“... È arrivata l'ora, mia cara Viola.

Prepara i fratelli di gelo, portali dove devono.

Prendi ciò che dev’essere preso. Fatti aiutare dal biondo.

Entro un mese tutto deve essere pronto.

A presto, nel nuovo sogno!...”

Sul sorriso della viola apparve un ghigno, che poco si addiceva ad una bimba di quell’età. Ma lei era molto più vecchia di quanto dimostrasse, come ogni suo simile e fratello di gelo.

 

 

« Adam, ti è arrivata una lettera! » disse bussando il professore, che portava con sé alcune buste  per i positivi. La porta si spalancò e il biondo prese velocemente la sua lettera, poi con un sorriso congedò Arthur.

Seduto nella sua stanza poté subito aprire la busta gialla e sottile. Lesse tutta la lettera in un minuto scarso, poi buttò il foglietto per terra, coricandosi con foga sul letto.

... Doppiogiochista sei pronto?

I fratelli stanno arrivando a farti visita.

Prepara loro un bel banchetto, una festa indimenticabile.

Hai un mese.

A presto, nel nuovo sogno!...

Adam scacciò con facilità il viso di Sofia dai suoi pensieri, doveva prepararsi. Si leccò le labbra, ghignando, e chiuse i suoi bei occhi blu mare un’altra volta.

*

 

 

 

 

32 – Party

 

Sofia non prendeva la pillola arancione da due giorni, e già si sentiva strana. I suoi sensi si acuivano sempre di più, rendendole quasi fastidioso guardare ciò che la circondava, mentre le orecchie soffrivano per l’aumento improvviso dell’udito. E il suo cervello lavorava febbrilmente, come se prima fosse stato in vacanza per troppo tempo, ed ora avesse un mucchio di roba da fare.

Non provava alcuna paura per i vampiri che si aggiravano all'esterno, lei era molto più forte. Lei aveva paura di quell’unico vampiro “superiore” infiltrato fra le sue prede preferite.

Per questo non prendeva più le pillole, non poteva farsi trovare impreparata. Ciò che si era completamente dimenticata era il fattore festa. Proprio per questo si stupì di vedere Ginger tutta agghindata e sorridente, prima di squadrare Sofi e di fare una smorfia scocciata.

« Ma non sei ancora pronta!? » chiese la signora, mettendosi un po’ di profumo.

« Per cosa, Ginger? » rispose Sofia con un’altra domanda.

« A volte mi stupisci davvero... oggi è il tuo compleanno, possibile che te ne sia completamente dimenticata? » ribatté Ginger, aprendo l’armadio di Sofi, cercando un indumento adatto.

« Diamine, hai ragione! » esclamò Sofia, ricordandosi che le avevano organizzato una festa alla villa.

« Sei senza speranza, ma ora... vediamo di vestirti per bene, oggi si balla! » disse Ginger, con uno strano luccichio negli occhi.

 

Le due donne camminavano lentamente sul vialetto di ciottoli bianchi. La più anziana, Ginger, indossava un vestito bianco, che contrastava con la sua pelle ed i capelli, lungo fino alle caviglie, decorato e con qualche balza. Dietro di lei Sofia inciampava e la malediceva. Aveva i capelli castani sciolti sulla schiena ed indossava un abito blu mare lungo, con una balza di dietro, e sottili spalline. Era decisamente scollato.

« Mi chiedo dove tu abbia trovato questo! » disse a Ginger, indicando sé stessa e il vestito.

« È mio, di quando ero giovane. Noto che sta benissimo, risalta con la tua carnagione chiara. » esclamò felice la signora.

« Un’altra cosa... da dove ti è uscita l'idea del ballo? E come hai fatto a coinvolgere tutti? » chiese Sofia, stralunata. Ginger le rispose con un occhiolino.

« Hai già sedici anni, da oggi... è l'età adatta per un ballo. » spiegò la signora, sorridendo ampiamente.

« Ah. » sillabò Sofi, rinunciando a far cambiare idea a Ginger, ormai era già tutto prestabilito.

 

 

La villa bianca brulicava di vita. Tutti i positivi si erano concentrati in un gran salone, il Salone delle Camelie, e chiacchieravano amabilmente. Sofia nemmeno li conosceva tutti, ma salutò ad uno ad uno gli invitati, sorridendo. C’era anche Elisabeth, con un bellissimo abito verde, come i suoi occhi.

Sofia si rifugiò dalla rossa e dai gemelli, vestiti tutti e due elegantemente, che progettavano scherzi a non finire.

« La vedi quella signora là...? » chiese Ryan, sorridendo malizioso a Rupert.

« Quella con l’abito bianco? » esclamò il suo gemello. L’altro assentì chinando il capo. « E allora? » chiese Rupert.

« Che ne dici di... renderle più colorato l’abito? » disse Ryan, furbamente.

I due si allontanarono poco dopo, con un sorrisetto angelico stampato sul volto.

Sofia e Lisa scossero le teste, divertite. Si trovavano d’accordo spesso, come se fossero amiche da sempre. La loro era un’amicizia naturale.

In fondo al Salone, poggiato sul muro decorato con foglie e rilievi di marmo, c’era un ragazzo. I suoi occhi blu mare vagavano per la stanza, mentre il suo respiro cessava. C’erano troppi positivi per potersi controllare alla perfezione, ma resisteva.

Si toccò i capelli biondi, raccolti in una coda con un nastro di raso. Indossava un completo nero e una camicia bianca, sbottonata sul petto in modo irriverente.

Senza voltarsi, notò che qualcuno si stava avvicinando, diretto proprio verso di lui.

« Adam! » esordì l’altro, mentre il biondo si girava svogliatamente.

« Sì, Albert? » chiese cortesemente, squadrando il quarantenne dagli occhi acquosi.

« Non fare il timido... non la inviti a ballare? » gli sussurrò Albert, indicando prima le persone che danzavano nella sala e poi due ragazze, messe di lato, che chiacchieravano. Erano quella nuova e Sofia.

“Ma cosa...?”  pensò Adam, rivolgendo uno sguardo interrogatorio al suo interlocutore.

« Lo so. Sofia è andata nella tua camera, ha chiesto le indicazioni a me. » disse Albert con tono di chi la sapeva lunga, sorridendo maliziosamente.

“Oh. Sembra quasi una vecchia zitella.”  si lasciò sfuggire Adam, fra mille pensieri. « Capisco. » esclamò soltanto.

« E allora vai, no? » disse Albert, dandogli una pacca sulla schiena.

“Non dirà sul serio...”  pensò Adam, scrollando le spalle, prima che Albert lo prendesse per un braccio e lo cercasse di trascinare.

« Ci vado da solo, grazie, Albert. » sibilò allora, trucidandolo con lo sguardo.

Il signore sorrise incoraggiante, mentre il vampiro si incamminò verso Sofia con fare indifferente e sprezzante.

 

« Ciao. » esclamò una voce alla loro sinistra. Elisabeth e Sofia si girarono nello stesso instante, ritrovandosi di fronte Adam ghignante.

Sofi strabuzzò gli occhi, mentre Lisa salutò educatamente il bel ragazzo.

« Posso avere l’onore di questo ballo, signorina? » chiese lui, porgendo la bianca mano alla festeggiata. Sofia rimase immobile a guardare quella mano tesa di fronte a sé, finché Beth non la spinse gentilmente verso Adam, con fare eloquente.

« S-sì, certo. » rispose Sofi. “Sono capace di andare nella tana del nemico e poi mi imbarazzo così? Mah...”  pensò lei, prendendo la mano di Adam e avvicinandosi al vampiro.

“Forse... non mi aspettavo questa gentilezza, se così la si può chiamare.”

Adam mise una mano sulla schiena di Sofia, avvicinandola ancora di più a sé. Poi ghignò compiaciuto.

*








Bonjour! *w* Ho appena finito il 32! Lo posto subito e in fretta, visto che devo andare a studiare...
Ringrazio i preferiti, e soprattutto mikybiky!
Che recensione lunga e stratosferica! Devo dire la verità... dopo averla letta mi sono messa a saltare e a ballare per la stanza, sconcertando non poco mia madre (già provata da altre cose xD)... "ogni capitolo in più segna una maturazione" Qui mi sono commossa, sisi! E poi anche: "ma ad ogni capitolo aggiungi qualche particolare alla scrittura (aggettivi, sostantivi ecc) che rendono la storia, già di suo bellissima, ancora più interessante!"... Waaa >w< Grazie, cara! Io i miglioramenti non li noto (i miei, soprattutto xD), ma se lo dici tu mi fido *w*
Logan piace °_° Beh, bene! XD... la storia continuerà per un bel po', come da programma. So già cosa accadrà, quindi stanne certa xD
Sai... se le protagoniste non sono curiose e coraggiose non si va avanti con la storia. Poi un animo coraggioso piace sempre, se non si esagera. Ogni protagonista di fantasy ha una dose di coraggio, sisi xD
Adam deve essere fascinoso, lo voglio così *_* XDDD
Sono contenta che Sofi ti piaccia così tanto. Adam ha successo °_° (mah xD)... Armelia è fatta per non piacere, mi sa. Va beh, io li adoro tutti xD
Comunque grazie mille! *__*

Alla prossima. E commentare non fa mai male xD

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Capitolo 14
*** Ballo ***


Oh... lo so che dovrebbero essere 2, ma fatto questo l'ho voluto subito postare, quindi eccomi qui. Spero vi piaccia, commentare non fa mai male (si lo so che l'ironia non è il mio forte, quindi dico sul serio ù.ù). Soprattutto sono curiosa di sapere cosa ne pensa la Liv, che di solito si legge tutto in anteprima e mi aiuta pure (cum Lisa).
Ora BUONA LETTURA!!


33 –  Ballo

 

Gioca le  tue carte. Mostrati buono e dolce, poi cattura. Ammalia.

E capisci cosa – diamine –  ti sta accadendo.

 

Il Salone delle Camelie era la sala più grande della villa. Ci stavano tranquillamente trecento persone, nel salone sfarzoso. Le camelie erano ricorrenti in tutte le decorazioni laterali e del tetto, risaltava soprattutto il giallo dei muri ed i lampadari di cristalli che gravavano sugli ospiti. I positivi ballavano ridendo, contenti della festa, mentre qualcuno si infuriava con due sfuggenti gemelli.

Adam e Sofia volteggiavano in silenzio, né troppo vicini né troppo lontani. Lei non alzava lo sguardo e anzi lo volgeva di lato, verso le altre coppie. Lui la guardava.

Era impossibile osservare altro. Il vestito blu, fin troppo scollato secondo Sofia, i capelli castani, le guance rosee. Adam sentì una fitta dove ci doveva essere il cuore.

Gli umani e il loro maledetto sangue. La vita che si tenevano stretti, mentre cercavano di ordinare il mondo.

Ma il mondo non si piegava al loro volere, e presto una nuova calamità sarebbe avvenuta. I vampiri si muovevano.

Il biondo scacciò tutto con un veloce movimento del volto, tornando alla festa. Sofia si era soffermata sul suo viso assorto, così vedendolo di nuovo lucido, scansò lo sguardo nuovamente, arrossendo. “Arrossisco troppo stasera.” si disse duramente Sofi.

« Sto ballando con uno zombie? » chiese Adam con fare annoiato « Di solito sei sempre arrabbiata e devo dire che sei divertente. »

« Ah... forse ciò che tu ritieni divertente, per me è spaventoso. » rispose Sofia, lanciandogli un’occhiataccia. « Cosa sarà mai sapere che fai quello che fai? »

Adam ghignò con piacere. « È il ciclo naturale della vita. » rispose.

« Non ci trovo niente di bello. Non vedo l’utilità dei vampiri in un ciclo naturale. » esclamò Sofia, fissando il ragazzo negli occhi blu mare. Non li avrebbe abbassati lei, stavolta.

« Ci deve pur essere un cacciatore dell’uomo. Come il leone e la gazzella, predatore e preda. »

« E allora perché non c’è il cacciatore dei vampiri? » domandò lei, irritata.

« Hai mai visto un animale che caccia un leone? » rispose lui, sorridendo e mostrando i denti bianchi, che fecero scorrere un brivido sulla schiena di Sofia.

Poi lui allontanò lo sguardo sopra il volto di Sofi e le si avvicinò di più. Erano distanti pochi centimetri, Sofia rimase a guardare il petto di Adam.

La musica cessò, il ballo era finito.

Adam prese svelto la mano di Sofia, inchinandosi leggermente e baciando la pelle. La ragazza ebbe un fremito, e lui sollevò lo sguardo blu ghignando. Sofi girò di scatto il volto, allontanandosi di qualche metro.

“Gli umani sono così deboli di fronte alla bellezza e alla perfezione.”

Pur con il cicaleccio e la musica di un nuovo valzer, Adam riuscì perfettamente a percepire il battito accelerato di Sofia.

 

 

Alla fine della festa Sofia era stanchissima. Non aveva avuto un attimo di respiro, tutto il tempo era stata invitata per balli su balli, rendendola agitata ed impacciata. Per giunta durante i balli si lasciava trascinare dalla musica, così che la sua mente era libera di pensare, finendo sempre sull’argomento che la tartassava da settimane... Adam.

Possibile che ormai la sua vita si riducesse ad Adam?

Era sempre lui a condizionarle la giornata, a renderla felice o ansiosa, triste o arrabbiata. Era nelle sue mani, senza nemmeno farlo apposta. Quasi come se il Destino si prendesse gioco di lei...

Odiava che tutto andasse così, alla deriva. La sua vita iniziava e finiva con Adam, non riusciva a vedere altro, e questo la innervosiva terribilmente. Lei era una persona fondamentalmente indipendente, affettuosa e decisa. Le sue decisioni le prendeva da sola. Era cresciuta abbastanza in fretta, purtroppo.

Per questo non sopportava che tutta la sua vita si riducesse ad un vampiro, che in fondo non significava nulla per lei. Perché era così, vero?

Non vedeva il motivo di farsi influenzare in questo modo... le sue giornate ed il suo umore erano legate al vampiro, con un filo stretto e indistruttibile. Non lo tollerava.

Se fosse stata innamorata, allora sarebbe stato un altro paio di maniche.

Quando si ama qualcuno... quella persona può mandarti in Paradiso con un semplice sorriso e spedirti all’Inferno con poche parole. Ma quella era un’altra questione.

Lei non era influenzata dall’amore, ne era certa. Era più la paura razionale della morte che si ripercuoteva sulla sua intera vita.

Però doveva ammettere che il vampiro era affascinante nella sua immagine di bevitore di sangue, immortale ed intaccabile dal tempo, con quegli occhi blu che sembravano leggerti l’animo e la forza indomabile da vampiro.

Ma lei quella forza ce l’aveva già, non aveva nulla da invidiare. Forse era attratta dalla bellezza leggendaria e unica dei vampiri. O forse chissà...

 

*








Salve a tutti, o lettori! Si sono di buon umore.. ho visto Jumper con Hyden bello *^*
CMQ... torniamo a PiomBo o PB (che è il piombo sisi...)
Ovviamente ringrazio tutti. Ma i recensitori (recensitrici xD) me li sposerei tutt *_* Ahh, vi Adoro per il fatto che perdete due minutini per scrivere ciò che pensate... che poi Silvia ci impiega mezz'ora è un altro paio di maniche xDDD (quanto adoro sta frase? XD)
Rispondo alle recensioni? Ovvio *^*
Partiamo da EgabryT, o mia madre! *__* Tesoro! Io Adam nudo te lo faccio quando voglio, ma in uno spin off! XDD Così in mezzo alla storia non ce lo vedo.. immaginati la popolazione femminile stesa a terra con il sangue dal naso che fuoriesce! XDD Grazie. Ti voglio bene, scemotta! >w<
Passiamo a Lisetta che è più breve... é degnissima la fic.. non posto il link perché sarebbe... diciamolo... spoiler °_° xD Ti adoro e ti adorerò èer sempre, Lis. Un bacione! Grazieeee!
Ed ora... mikybiky, Silvia!!!
Ohh tesora. Le tue recensioni sempre più lunghe mi fanno ballare di gioia *o* Sta volta ti dimezzo il lavoro xDD La prossima volta tornerò con 2 cap, si spera xD
Addirittura in crisi d'astinenza? Ma io ti amo!! *o* Vieni quiii xDD
Ancora miglioramenti? Mi faccio paura da sola xD (scherzo.. uhuh meglio *w*)
"perché la precedente mi era sembrata così perfetta da credere che non si potesse fare di più! " Qui mi sono commossa *_* waa
Oh Adam è orgoglioso. Eccome! L'hai descritto bene *_* Si è come dici tu!
Soprattutto la cosa dei vampiri... hai ragione. Per i vampiri è solo sangue. Non hanno il senso della vita, ne sono attratti alcuni, altri sfuggono. Gli umani cercano l'ordine, come sempre. *_* TI ADORO!
Si un mese è poco ç__ç
Io Ginger la amo.. quella donna è un genio! XDDD
Naa Adam non la tocca, come hai visto sopra xD
"Comunque, non vedo l'ora che arrivi il prossimo capitolo! E sono contenta che la storia duri ancora per tanto, perché è bellissima!!" Grazie grazie grazie. Ti adoro. Un bacione grande!

A presto. Commentate? *_* XDD

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Capitolo 15
*** Rivelazioni | La mia Juliet ***


Aggiorno dopo pochi giorni perché sono riuscita a fare due capitoli. Il 35 è il cap più lungo di PB ù.ù
Ne sono soddisfatta.
Ringrazio di cuore Lisa che mi sta facendo il template per il blog di splinder su... Positive Blood. L'immagine del template (che ancora sta facendo xD) mi ha ispirato tantissimo. Grazie sorellina. *^*



34 – Rivelazioni

 

« C’è qualcosa che mi sfugge. » esclamò Elisabeth, mentre i ricci ramati le coprivano gli occhi, spostati da un colpo di vento.

Francis le si sedette accanto, guardando l’erba che cresceva rigogliosa. Erano su una panchina nel grande bosco attorno alla villa, che aveva alcuni sentieri tracciati dove erano state messe delle panchine.

« Anche a me. » disse il fratello unendo le mani forti.

« Non capisco cosa, purtroppo. » continuò Beth stiracchiandosi le braccia.

« Nemmeno io. Forse non siamo abbastanza intelligenti. » rispose Francis, sorridendo leggermente.

« O non abbiamo abbastanza informazioni? » chiese la rossa, girandosi verso il fratello.

« Questa è una domanda retorica, Lisa. » esclamò il biondo, serio per una volta. Era di sua natura fare il buffone, lanciando battutine e frecciatine ironiche, ridendo e scherzando sempre. Illuminava con i suo sorriso gioioso. La sorella era molto più pacata e dolce, a confronto.

O così sembrava... in realtà spesso, soprattutto da piccoli, si alleavano e combinavano marachelle di tutti i tipi.

La sorella sbuffò, poi si diede due colpi sulle guance, cercando di svegliarsi, di avere un’idea brillante.

« Ricapitoliamo. » disse Beth, ripassando tutto ciò che sapevano. « I vampiri in questi mesi hanno attaccato, a poco a poco, le ville di Aiedail. Quello che non sanno i civili, per fortuna, è che pochi positivi hanno resistito all’offensiva. Alcuni sono stati uccisi, altri sono scappati, mentre pochi hanno vinto. E la maggior parte è scomparsa. »

« Questo non è un caso. Si sono messi d'accordo. Ma cosa vogliono fare? » sbuffò Francis, massaggiandosi le tempie.

« Catturare i positivi non ha senso. » affermò Lisa convinta.

« Tranne se li usassero come scorte. Vogliono forse preservarli e bere il sangue poco a poco?  » disse Francis gesticolando.

« È strano lo stesso... non sta arrivando una carestia. L’agricoltura è al massimo in questi anni! » disse la rossa. Ci furono dei minuti di silenzio pesante e opprimente, mentre le due menti lavoravano febbrilmente.

« Forse stiamo prendendo la questione da un punto sbagliato. A loro i campi e il cibo non interessa, in più i positivi sono sempre trattati benissimo. In fondo i positivi servono solo... » Lisa si bloccò, incapace di dire la verità più importante.

« ... a difendere gli umani dai vampiri. » concluse Francis sconcertato.

Si guardarono negli occhi verdi, per poi alzarsi di scatto e correre velocemente alla villa.

 

Logan osservava la mappa appesa sul muro da Elisabeth una settimana prima. Le X troneggiavano indiscusse dove c’erano le ville attaccate. Il sergente si mise una mano fra i capelli, preoccupato.

« Vedrai che andrà tutto bene. » gli disse Jack, seduto al tavolo che stava al centro della stanza.

« Grazie... ci spero davvero. » rispose Logan, voltandosi verso il gigante. Si sedette accanto al compagno.

La porta si spalancò con violenza, mentre Elisabeth e Francis entravano celeri. Erano stati velocissimi, in meno di un minuto erano arrivati dai loro compagni.

In fondo erano positivi.

« Beth, Fra... che c’è? » chiese Logan squadrandoli curioso. Anche Jack li guardò con interesse, intanto che Daniel si catapultava nella stanza dietro i due fratelli.

« Io e Lisa abbiamo pensato ad una cosa... mentre eravamo nel bosco. » disse Francis, fermandosi perché troppo emozionato.

« E quindi? » chiese Daniel con il suo accento nordico.

« Ecco... » iniziò Elisabeth « Abbiamo pensato che c’è un motivo ben preciso per le sparizioni dei positivi. I “superiori” li hanno rapiti per avere libertà di movimento. »

« Cosa?  » domandò Logan, alzandosi in piedi.

« Sì... sono i positivi che difendono gli umani dai vampiri, sono loro l’arma principale del S.S.E.V! Lo sai bene, Logan... » disse Francis, cercando con lo sguardo verde gli occhi castani del compagno.

« Merda. » imprecò sottovoce Jack, iniziando a camminare per la stanza.

« Già. » esclamò Daniel, chiudendo la discussione che si trasformò in un silenzio carico di tensione.

*

 

 

35 – La mia Juliet

 

I gemelli avevano portato fuori la loro scacchiera.

Giocavano ghignando una partita infinita, a causa delle capacità identiche, mentre Sofia li guardava distrattamente, leggendo un libro romantico di Ginger. Era fin troppo melenso per i suoi gusti.

Rupert stava vincendo. Sofi alzò lo sguardo per vedere le battute finali, così riuscì a notare Adam che li guardava da una finestra della villa bianca.

Lui ghignò. La vista di Sofia era migliorata ancora di più, non prendendo la pillola.

Alla ragazza il battito accelerò, mentre abbassava gli occhi tornando alla scacchiera dei gemelli. “Maledetto cuore... non va come dovrebbe!”

Rupert riuscì a vincere con altre tre mosse.

« Dannato! » gli disse suo fratello, prima di scoppiare a ridere.

« Questa vittoria la devo dire al professore... è due anni che proviamo a batterti senza risultati! » esclamò allegro Rupert, alzandosi di scatto. « Andiamo, su! »

Gli altri due lo seguirono, uno sorridente e l’altra turbata.

 

Arthur stava scrivendo tranquillamente nel suo studio, quando la porta si spalancò per far posto ai gemelli e Sofia. Avevano delle strane espressioni in volto.

Si alzò dalla suo scanno dalle zampe di leone e girò la scrivania per raggiungere i tre.

« Rupert, Ryan, Sofia... è successo qualcosa? » chiese sinceramente curioso.

Sul volto di Rupert si dipinse un sorrisetto trionfante. « Ho vinto a scacchi contro Ryan! » esclamò contento.

« Oh! E come hai fatto, birbante? » rispose Arthur sbalordito.

« Ognuno ha i propri segreti, professore. » disse compiaciuto Rupert, prima di farsi una risatina.

« Sempre i soliti, eh? » domandò Arthur acido.

« Sì. » risposero all’unisono i gemelli. Il professore li guardò male, prima di prendere un pacco sulla sua scrivania. Lo sventolò di fronte agli occhi chiari dei ragazzini.

« È per voi... secondo voi cos'é? » affermò Arthur, ghignando.

« Le Cronache dei Paesi del Nord! » esclamarono insieme, lanciandosi verso il pacco, che fu tolto dalla loro portata dal braccio levato in alto del prof.

« Daccelo!! » dissero furiosi. Aspettavano quel libro da mesi, era il continuo della loro trilogia preferita. Sofia squadrò malamente il prof, sibilando: « Non ha più dieci anni, prof. » e « Glielo dia, prima o poi Rupert ti dirà il segreto. Sa com’è fatto. »

Arthur gli diede il pacco di mala voglia, mentre quelli lo scartarono in un secondo.

Erano due copie dello stesso libro dalla copertina bella ed intrigante. Alzarono lo sguardo su Sofi. « Noi andiamo a leggerlo. Scusaci, ci vediamo domani. » esclamarono, prima di scomparire per il corridoio.

Sofia riuscì a scorgerli benissimo, nei loro movimenti più veloci del normale.

 

Erano rimasti solo lei e il professore. Sofi si voltò a guardare Arthur, che era tornato alle carte con aria seria ed impegnata.

“Ora che faccio?” pensò Sofi, prima di sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania.

« Come va? » chiese Arthur, guardandola di sottecchi.

Come rispondere a questa domanda? Sofia finiva per dire sempre bene... almeno superficialmente stava bene, poteva ritenersi abbastanza felice. Forse. Ma dire male come risposta era come aprirsi al proprio interlocutore, e allora avrebbe dovuto dire tutto.

Però... forse le serviva proprio un confidente.

« Così, così. » mormorò Sofi, facendo alzare definitivamente gli occhi scuri di Arthur.

« Forse anche peggio di quanto dici. » esclamò il professore, scrutandola nel profondo. Sofia sussultò.

« Non a causa di Ginger. » disse la ragazza, rispondendo a una futura domanda di Arthur.

« Bene... mi sembrava strano, è una brava donna, dolce ed affettuosa. » affermò il professore, convinto. Sofia concordò pienamente.

« Allora? » domandò Arthur con fare noncurante, quasi come se avesse gettato la domanda a caso, aspettando che il pesce abboccasse all’amo.

« Ecco... non lo so nemmeno io. » si sfogò la ragazza, guardandosi le mani chiare. « Secondo lei... si può provare attrazione per qualcosa che conosciamo come diabolica, cosa che è veramente, e crudele? »

« È solo una possibilità, vero? » domandò il professore, serio.

« Certo. » rispose un po’ troppo in fretta Sofia.

« I vampiri non sono fatti per essere amati, Sofi. » esclamò Arthur acuto, guardandola con quegli occhi scuri che leggevano fin troppo in fondo. « I vampiri sono creature maligne, pensano solo a bere il sangue, progettano solo la morte degli esseri umani. » disse, fermandosi un istante per poi riprendere. « Sofia... i vampiri non hanno un'anima, capisci? Sono come animali, pronti a succhiare la linfa vitale. Non hanno nulla di buono, tranne la loro bellezza fin troppo perfetta, diabolica oserei dire. » concluse il professore.

Eppure non poteva essere così. Adam non era così.

Era il professore ad essere in fallo? Aveva una mentalità molto ristretta, cosa che sembrava stranissimo a Sofia.

Era la sua concezione di Adam che era sbagliata? Eppure, anche se lui aveva sempre mostrato la volontà di berle il sangue, non l’aveva mai fatto. Sembrava avere delle idee molto chiare e una missione da compiere.

No. Non era un animale.

Era raffinato, intelligente, bello. Diabolico. Era al di sopra degli umani, con o senza anima. E forse anche lui aveva qualcosa di buono.

« Sofia... non te ne andare. » sussurrò Arthur, paterno. Sì... era stato lui il padre tanto cercato, come Ginger la madre.

« Professore? » domandò Sofia incredula.

« Non seguire anche tu i vampiri, non lo fare. I vampiri l’hanno presa... »

« Ma chi? Chi hanno preso? » esclamò Sofia, preoccupata dalle frasi senza senso del professore.

« Juliet, la mia Juliet. » disse Arthur in un affanno, prima che alcune lacrime sgorgassero dagli occhi scuri. « Tu sei come una figlia per me. » continuò il professore, dicendo l’evidente verità. « Non andare. I vampiri sono solo degli animali. »

« Ma... era una possibilità inimmaginabile, professore! » cercò di calmarlo.

« Ne sei certa, Sofia? » domandò Arthur, porgendole la domanda che si faceva da giorni.

 

 

Dalla vasca di marmo uscì una donna venticinquenne, dal corpo magro e perfetto, con curve morbide e seducenti. La cameriera si affrettò a coprire la nudità con un accappatoio, anche se la sua signora non avrebbe certamente sentito freddo.

La donna uscì dalla sala da bagno, dirigendosi alla sua camera da letto. Lì l’aspettava un giovane dai capelli castani, con qualche riflesso biondo, che la guardò con gli occhi azzurri divertiti.

La donna dai capelli castani/rossicci domandò con lo sguardo il perché della sua presenza.

« Hai mandato le lettere a Viola e al Doppiogiochista? » chiese giulivo il giovane, alzandosi e avvicinandosi a lei.

« Oh, sì. Saranno già arrivate. » rispose la donna, con gli occhi verdi che brillavano di gioia, mentre le labbra carnose e rosse ghignavano.

« Bene. » disse il castano, poggiando la bocca su quella della donna. Erano perfetti nel loro bacio, sembravano una coppia qualunque in quell’espressione d’amore.

« Perfetto... ora non ci resta che aspettare, come sempre, mia Juliet. » concluse il giovane.

*








Ciao! Anzi buongiorno a tutti/e. Questa storia è sempre la più importante per me, il mio primo pensiero. Spero che stia venendo bene... io credo che sarà sempre nel mio cuore. Tutta la storia con tutti i personaggi.
Non sto dicendo che sta finendo xD Ancora c'è tanto tempo e ce ne vorrà ancora tanto xD
Ringrazio chi ha aggiunto la storia in preferiti. (Si è aggiunto qualcuno +.+), chi legge e chi commenta *____*
Chiedere di commentare anche agli altri mi sembra scontato, ma lo faccio lo stesso: commentate! xD
Passo a rispondere alle recensioni *w*
EgabryT-> Ciao tesorina. Adam nudo sta diventando un'ossessione, o sbaglio? °_° XD Grazie, và! xD Bacino!
lisettaH-> Tesoro mioo! Oh mia Lisa, musa ispiratrice! Tu che mi stai facendo quel capolavoro di grafica *o* xD Ma il romanticismo dove lo vedi? XD Ti è piaciuto partiolarmente? *___* "Ci sono molte belle frasi" ù.ù grazie!! La tua ff è spoiler sai perché *ghigna*
mikybiky->Silvia! *w* Cara dolce recesitrice *___* xD "Mi ero presa stra bene, io, ed essere staccata proprio nei punto in cui diceva: “Adam sentì una fitta dove ci doveva essere il cuore è stato come un trauma!!! Cioè, ormai io sono PiomboDipendente XD " Povera piccola! Ti hanno interrotto sul più bello o.o"
PiomboDipendente *o* Come suona bene la parola xDDD Silvia sei dolcissima *///* Io arrossisco, come sempre. E sorrido di gioia xD
Adam è sostenuto da troppe persone in codesto mondo °_° E da poche nel suo xD *corre via* Va beh, come si fa a resistere al vampirone assetato di sangue? XD
Ho riletto la descrizione della Sala, visto che la citavi tu e Liv, e mi sono stupita che vi sia piaciuta tanto (°_° Bohhh xD)... Balliamo tutti con Adam appassionatamente! Però non spingete.. c'è la fila con il turno con il biglettino xD
CMQ Grazie per il discorso ù.ù Mi sono impegnata xD Ho pensato al leone perché amo i leoni e sono pure il mio segno zodiacale xD
Grazie mille *__* Una bacione!!
darkrin->Liv! Mi hai appena chiamato xD Cooomunque rispondo alla recensione +.+
Mi odi? >.> Non ti spoilerizzo perchè non ti sento xD E cmq così te lo leggi per benino *__* Ti ho distrutto il cuore! Ho qualcosa di cui vantarmi xD
Scherzo ù.ù
Grazie per ipassi da gigante xD Sono apsati due anni e mezzo *__* qualcosa doveva capitare xD
Quella scena arriverà... penso, non so xD
"E cosa ci sarebbe di più piacevole per Adam vedere Sofia piegarsi finalmente di fronte a lui" in effetti... xD Sotto di lui, eh? >.< Sporcaccion! XDDDDDD
"In fin dei conti orgoglioso com'è trovo difficile immaginare che lui sopporti facilmente il modo che ha Sofia di opporsi a lui, quasi eroico appunto. Quindi da idioti. " concordo ù.ù Penso che ciò che voglio fare, se ci riuscirò, ti stupirà. Spero. Comunque sarà difficile da fare, ma devo farlo in qualche modo! >.<
"Ma in fondo la ragazza è umana e in quanto tale cerca l'ordine peccato che per trovare l'ordine dovrebbe avere il mondo nelle sue mani. E per farlo i vampiri non dovrebbero esistere. " Anche questo è vero *_* Brava bimba! XDDD
"Ma anche quel finto ordine di cui si circonda lei come tutti gli esseri umani. Un modo come un altro per fingere di avere tutto sotto controllo. Che poi ovviamente non è così. C'è sempre quell'imprevisto, quell'incognita che fa saltare tutta l'equazione e allora a quel punto o ti arrendi o ricominci da capo." Sei sempre tu, non ti smentisci mai. Sai fare un analisi perfetta. Grazie per dire la verità, Livia.
Adam l'adori. Buon per te *w* (e per me xD)... se vuoi ballare con lui prendi il biglietto, Caaara! XD
*_* Sofia nega perchè non è normale ciò che prova. E' come me, la mia Sofi. xD
Anche a me Violet intriga *o* xD "Adoro i personaggi eternamente bambini hanno sempre quella fina innocenza che affascina e poi non c'è nessuno che sappia essere crudele come i bambini. U.U " Vero. ù.ù Concordo a pieno xD
Ho aggiornato presto. xD Sai che ho urlato quando hai scritto "so dove abiti."
E' vero, maledizione! XDDD
Grazie, Liv *__*

A presto, cari lettori. Commentare non fa mai male, non ha mai fatto mai male a nessuno e mai male farà ù.ù

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Capitolo 16
*** Il ciondolo di Sylvester | Cambiamenti ***


So che solo due giorni fa ho messo il cap, ma già ne ho scritti 2... sono molto irregolare xD

A Mamma L.
che si è commossa con Sylvester
piangendo qualche lacrima.
A Papà F.
in silenzio
e di nascosto.

36 – Il ciondolo di Sylvester

 

Adam era nella sua stanza, che in fondo non gli era mai appartenuta. Tutta quella sofisticata bellezza apparteneva a lei, era lei che viveva in una villa da sola, cercando sfarzo e ricchezza.

Lui amava ciò che era bello e perfetto, anche se non riusciva ancora del tutto ad accettarsi, ma quella camera era troppo. Pesante e carica, ricca. E bianca e rossa, quasi come la sua pelle e il sangue di cui si nutriva.

C’era un oggetto che però amava, di quella stanza barocca. Era blu intenso, simile ai suoi occhi tanto apprezzati dalle ragazze. Era un cofanetto blu con la montatura dorata, con un coperchio di una strana forma a tronco di piramide. Dentro teneva alcuni anelli e orecchini, bracciali e collane che non usava quasi mai. E poi c’era un ciondolo.

Grigio, di ferro battuto, tondo e sottile, appeso a una catenella argentata. Il ciondolo era un drago visto da dietro pronto a spiccare il volo, con la testa rivolta a sinistra, mentre la coda formava il cerchio seguendo il profilo delle ali.

L’aveva ricevuto tanti anni prima, da lei.

 

Violet e Adam guardavano la Stanza dei Tesori, piena di cimeli e ricchezze accumulate nel tempo. La bambina gongolava fra quelle collane, diamanti, cofanetti, coppe e tutte le altre cose che vi si trovavano; mentre Adam stupito osservava tanta ricchezza.

« Adam... prendi qualcosa. Ciò che vuoi sarà tuo, ma puoi prendere solo una cosa. » esclamò la bambina dai capelli viola.

« Okay... » disse scettico il biondo, iniziando a cercare. Era tutto troppo sofisticato per i suoi gusti.

Poi notò il ciondolo di un drago.

« Prendo questo. » affermò sollevando la sottile catenina del ciondolo.

« Oh... potevi scegliere qualcosa di più costoso, Adam. » rise lei avvicinandosi al vampiro « Sei proprio un sentimentale. »

« Eh? » domandò lui non capendo cosa volesse dire.

« Quello è il ciondolo di Sylvester. Narra la leggenda che un umano, di nome Sylvester  ovviamente, amasse una donna del suo paese, ma che suo padre non volesse che si sposassero. Così Sylvester e la donna provarono a fuggire, ma il padre di lei li fece inseguire. Riuscirono a prendere la donna e bastonarono l’uomo, ordinandogli di non tornare mai più al paese. Sylvester si ribellò e lo picchiarono ancora. La donna lo vide morente, prima di essere trascinata a forza da suo padre. Immaginò che Sylvester fosse morto, perché era da solo nella natura crudele, così decise che non avrebbe più amato. Suo padre cercò di darla in sposa a un signore della sua stessa posizione sociale, ma ella si rifiutò categoricamente. Alla fine, afflitta dal dolore e con la voglia di smettere di combattere, si uccise.

Sylvester tornò qualche notte dopo nel paese, travestito da mendicante, chiedendo della sua donna in giro. Gli dissero che era morta, trafitta da una lama avvelenata. Si era tolta la vita perché non riusciva a dimenticare il suo Sylvester.

Sylvester, straziato dal dolore della perdita, scappò a gambe levate. Fuggì per molto tempo fra le montagne, vivendo di stenti. Non aveva più alcuna ragione per vivere. Chiese di essere trasformato in drago, per poter volare libero nel cielo e perdersi nell'infinito.

E così fu. È ancora la sopra, nel firmamento, a cercare una stella che prima era donna. A cercare la sua amata. » raccontò Violet con enfasi.

« Capisco. » sussurrò Adam, colpito dalla storia di Sylvester.

« Quel ciondolo, mio bell’Adam, simboleggia amore. Amore allo stato puro, sofferto ma bramato. È degno di essere indossato solo da chi si reputa innamorato. Si dice anche che, per chi ha le idee confuse su una donna, aiuti nella scelta dell’amata. Indossalo soltanto quando sarai confuso o innamorato, Adam. » concluse la bambina, donandogli poi un cofanetto blu.

« Ma non era uno solo il dono, Violet? » scherzò lui.

« Consideralo il porta ciondolo, Adam. » disse lei, facendogli una linguaccia.

 

Adam guardò con interesse il ciondolo.

“Indossalo soltanto quando sarai confuso o innamorato.”

Toccò con le dita sottili e forti le ali del drago, delineando la creatura leggendaria.

Ora puoi fare solo due cose, Adam. Scegliere di fingere e continuare a comportarti da sciocco o scegliere la verità. Ma ricordati che la verità non è sempre bella o dolce, Adam. La verità è semplicemente ciò che è successo e accade tutt’ora.

Oh, se lui era orgoglioso! Avrebbe forse accettato di dire la verità a sé stesso, ma non ad altri.

Perciò si mise il ciondolo al collo, ma a nessuno avrebbe spiegato il significato della sua scelta. In fondo era solo confuso.

*

 

 

 

37 – Cambiamenti

 

Arthur si era calmato un po’. Sofia fece un sospiro di sollievo, preoccupata dal professore.

Non l’aveva mai visto in quello stato penoso.

Qualche lacrima rigava ancora il viso dalla pelle scura, e si teneva fra le mani il volto, disperato.

Juliet era un argomento tabù, si disse Sofia decisa.

« Professore, sta bene? » chiese Sofia, pur sapendo che fosse una domanda stupida.

« No. » rispose sincero lui. Tanto non avrebbe potuto fingere altro.

« Ma... questa Juliet, scusate la curiosità, che fine ha fatto? » azzardò Sofi, guardandolo cautamente.

Lui alzò lo sguardo scuro su Sofia, sorridendo mestamente. « Se hai tempo e voglia ti racconterò la sua storia, Sofi... così che tu non faccia lo stesso errore. »

« Ma... io, era solo un’ipotesi! Quante volte lo devo dire? »

« Non si fa un’ipotesi del genere per caso. » disse sapientemente Arthur. « Comunque... ti racconterò la mia storia. Una parte, la più importante, Sofi. »

« Sì. » esclamò lei convinta, invitandolo a continuare. Il professore si stropicciò gli occhi.

« Avevo venticinque anni quando mi sposai una donna di qualche anno più giovane. Il suo nome era Juliet. Aveva i capelli rossicci, li ricordo ancora ora con il loro profumo di bosco, e gli occhi verdi e accesi di vita. Era bella, Sofia. Bellissima. Ma aveva scelto me, che non ero niente male all’epoca. Così ci eravamo sposati... l’avevo incontrata al S.S.E.V., di cui facevo parte. »

Fece una pausa, prendendosi un po’ d’acqua che teneva sulla scrivania. Poi continuò.

« Juliet ed io eravamo felici. Erano passati tre anni e lei finalmente aspettava una bambina. Ma poi arrivò lui... lo conobbe un giorno al mercato. Divennero amici. Poi si innamorò, non so nemmeno io come. Era un vampiro, ma questo lo seppi dopo. »

Sofia deglutì forte, aspettando con ansia un seguito che già immaginava.

« Mi lasciò un biglietto. Soltanto un misero biglietto, dove si scusava di tutto. Era dispiaciuta, lo capii dalle sue parole. Ma se ne andò e non tornò più. La incontrai qualche anno dopo, per caso. Era bella, bellissima. Ancora più di prima... e soprattutto uguale a prima, eppure diversa. »

Sofia tremò, capendo inconsciamente la verità.

« Capii quasi subito che cos’era. Una vampira... le chiesi della bambina. Ma lei mi rise in faccia, dicendomi che si era trasformata prima che nascesse. Era mostruosa, diabolica. Non era più la mia dolce Juliet, capisci? Aveva sdegnato la vita e si era rifugiata nelle braccia della morte per un vampiro. » concluse Arthur, mestamente.

« Mi... mi dispiace. » disse Sofia balbettando. Era scossa dalla storia di Juliet, che aveva tradito il mondo per un vampiro.

« Sì, lo so. » esclamò il professore. « Tu sei la figlia che non è mai nata, Sofia. Non voglio che accada come con Juliet... ma lei aveva un uomo, tu non hai nulla. Ginger e i gemelli, forse. Non so... sono terribilmente stanco, Sofi. »

La ragazza annuì, poi si alzò dalla sedia. « Credo che sia ora di andare... arrivederla, professore. »

« Arrivederci, Sofia. »

Lei uscì dalla stanza velocemente, chiudendo la porta e dirigendosi a casa.

“Fa che non diventi un addio, figliola.”

 

*








Il cofanetto è questo.
Il ciondolo del drago è stato ispirato dall'immagine di Adam nel mio template, dove indossa una collana. Non capendo bene cosa fosse ho immaginato un drago.
Ringrazio Lisa per il template su Positive Blood. Mi ha ispirato molto l'immagine. Per un'idea ve la faccio vedere QUI
Altra immagine da vedere è questa, sempre di Lisa.

ù.ù Sono fantastiche, lo so xD
Comunque... ringrazio i preferiti e i lettori.
Le recensitrici sono adorabili *w*
lisettaH Grazie di tutto. Immagini, template, incoraggiamenti! J&L *__*
mikybiky Ciao, cara Silvia! *w* Vivi di PB? Me commossa *__________* (xD)
Io adoro Eli e Fra! (forse si nota, boh xD)... alcuni fratelli si "odiano", ma in sotto sotto si vogliono bene. Loro sono legati!
"Se i "superiori" preferiscono il sangue dei positivi a quello dei semplici umani, perchè vogliono rapire tutti i positivi e avere gli umani a loro disposizione senza nessuno che li protegga?"
Chiedi troppo, Silvia! Pfff xD Aspetta e vedrai *___*
W i gemelli ù.ù "questa vittoria di Rupert non avrà nulla a che fare con gli ulteriori sviluppi della storia, vero? " No °_° xD Era una cosa così... superflua.
Come scopri ora Juliet non era la figlia, ma la moglie. Pfff.
Le camelie sono bellissime. Le adoro come fiori... le ho citate anche in un altro cap xD
Prima o poi scoprirai chi è il giovane *_* Grazie davvero! Un bacione! >w<
darkrin Ciao Liv! "Ooh, finalmente le carte in tavola cominciano a scoprirsi una dopo l'altra." Prima o poi dovevano scoprirsi... xD
Beth ha successo. Se tu sapessi cosa ho in mente forse mi picchieresti. Non so nulla sul suo eventuale ragazzo, non è periodo per l'amore >.<
Si. Sono preda della passione, sia noi che i vampiri lo siamo. E questo non si può cambiare. Ghgh
Beth e Fra sono gemelli? °_° Non l'ho mai detto xD (Però è vero... si scoprirà forse dopo >.< Anticipatrice! xD)
I gemelli sono n'Amoreee xD Le categorie ferre è un pretesto. Tu sei Buono, tu Cattivo, finito di ragionare xD Come i bianchi e i neri. "In situazioni come questa, in cui ci si trova comunque invischiati in una guerra" (si vedrà se è una guerra.
Sofia è di fuori. Sofia non comprende tutta questa divisione e, si, merita xD
Gli umani sanno essere bestie. Quindi non possono parlare poi sui vampiri ù.ù
Juliet è una sorpresa xD
Grazie mille. Bacino baciò

A presto. Commentate, è davvero davvero bello ricevere segni di vita dai lettori!

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Capitolo 17
*** La decisione di Juliet | Quarzi rosa ***


Liv, poi mi devi dire cosa ne pensi dello scorso cap! xP


38 – La decisione di Juliet

 

« Juliet. » la chiamò con voce emozionata, rompendo il silenzio.

Lei non rispose, cercando la bocca del giovane dai capelli castani. Era fredda, come sempre, come – ormai da tempo – la sua.

Potevano baciarsi all’infinito, senza aver bisogno di respirare. Potevano cercarsi e ritrovarsi per sempre, annegando nei loro ricordi e peccati. Erano immortali ed eterei.

E dannati per l’eternità.

Le mani della donna strinsero l’uomo spasmodicamente, trattenendolo vicino a sé. Poi alzò lo sguardo verde, colorato d’oro, e sorrise. Non un ghigno o un sorriso sardonico, ma uno di quelli dolci e allo stesso tempo passionali. Prendimi ora.

« Gabriel. » scandì lei, venticinquenne da ormai tanto tempo.

« Sì? » domandò lui, facendo scivolare via la vestaglia della rossa.

« Amami e sussurrami parole dolci. E io sarò convinta e decisa per ciò che stiamo facendo. Non ci penserò più, mai più. Ma tu amami. » esordì lei, accarezzando le gote gelide di lui.

« Ti amo, Juliet. Tu sei mia, come io sono tuo. E finalmente potremo vivere liberi, avremo ciò che ci spetta, mia Juliet. » sussurrò lui al suo orecchio, abbracciandola.

« E allora attendiamo un altro po’, siamo abituati a farlo. Poi calerà il sipario. » concluse Juliet, lasciandosi andare fra le braccia del castano.

 

 

Guardava il suo biglietto scritto di fretta. Parole che giustificavano vanamente il suo gesto. Non avrebbe capito, o forse sì. Ma non avrebbe mai accettato la sua scelta.

L’aveva amato quando aveva acconsentito di sposarlo, quando avevano scelto la casa e poi avevano fatto l’amore. Tante, tante volte le aveva sussurrato il proprio amore.

Tante, tante volte avevano combattuto i vampiri insieme.

Ma lei aveva perso di fronte alla bellezza del suo “succhiasangue”. Era caduta con gentilezza accompagnata da Gabriel, il suo amante, il suo destino.

E mille volte si era chiesta se stesse sbagliando... ma poi lo rivedeva e non poteva dire che tutto ciò era sbagliato o giusto, semplicemente era così.

Poggiò il biglietto dove lui l’avrebbe potuto trovare con facilità. Già immaginava e sentiva il suo dolore... avrebbe perso una moglie e una figlia.

Si voltò di scatto, fuggendo dal suo amore passato con le lacrime agli occhi.

 

 

« Sei sicura di volerlo fare ora, Juliet? » domandò lui con espressione perplessa. Ogni volta che pronunciava il suo nome lo faceva con amore.

« Sì, Gabriel. » esclamò convinta lei, sistemandosi i capelli rossicci con sfumature castane.

« Ma la bimba morirà... » continuò lui, seriamente stupefatto della crudeltà della sua amante.

« Non voglio farla nascere, Gabriel. » concluse lei lapidaria.

Non voglio mettere al mondo una bimba che non potrà vedere sua madre e che non saprebbe come fare per vivere e dove andare.

Non voglio che suo padre la tratti con i guanti, o la odi. Non voglio che Arthur abbia qualcosa di mio... per poi piangerci sopra.

Non voglio che una bimba nasca, se poi non potrà essere amata... perché sarebbe solo un riflesso di me, e io non potrei volerle bene. Perché non potrei più vederla... se no continuerei a pormi domande su domande.

Non voglio dubbi.

« Okay, Juliet. Però poi non lamentarti con me. » disse lui scherzoso.

Lei ghignò e gli diede un buffetto.

« Allora lo faccio? »

« Sbrigati Gabriel, non ho tutto il giorno! » esclamò lei fingendosi esasperata.

« Sì, certo... però non ti potrai muovere per un po’, tesoro. » ribatté lui sorridente.

« Su!" ordinò Juliet.

Lui si abbassò su di lei, mentre i capelli castani cambiavano in neri, e gli occhi diventavano rossi.

« Pronta? »

« Sì... sbrigati. »

Toccò la pelle bianca prima di morderla piano con i denti affilati. Bevve un po’ di sangue, mettendo il veleno in circolo. Poi morse i polsi e il seno sinistro.

« Così si dovrebbe diffondere in fretta, dolcezza. » esclamò lui, leccandosi le labbra.

« Non vedo l’ora. » sibilò lei, mettendosi a letto.

Quella notte Juliet rinunciò per sempre alla sua umanità.

*

 

 

39 – Quarzi Rosa

 

« Ancora non capisco il perché. » sbraitò Logan incrociando le braccia sul petto.

« Uffa! » esclamò Lisa in risposta, corrucciando le sopracciglia.

« Dai, calmiamoci, se no non concludiamo niente. » disse Daniel, pacato.

Jack annuì in silenzio, poi lanciò un’occhiata alla mappa che aveva appeso Beth. « Allora... » prese la parola, stupendo un po’ tutti. « I vampiri hanno preso i positivi per avere libertà di movimento, okay. Da questo segue che... possono fare tutto ciò che vogliono, e questo è spaventoso. »

Logan guardo i suoi uomini diventare allarmati e preoccupati.

« Solo gli alchimisti sono rimasti a proteggerci. » disse Daniel, con gli occhi azzurri puntati in quelli di Logan, il loro capitano.

« Non potranno farcela... è una battaglia persa in partenza. » esclamò il sergente, incupendosi.

« Non dobbiamo perdere la speranza, Logan. » ribadì convinta Beth.

« Non c’è la speranza, Elisabeth. Senza positivi siamo... persi, o come direbbe qualcuno fottuti. » continuò lui, mostrando tutto il suo sconvolgimento.

« Tranquillizzati, Logan. » gli sussurrò Jack, posandogli una mano sulla spalla. Il più basso piantò gli occhi marroni in quelli color pece del gigante.

« Okay. Non dovrei essere io a perdere la calma, eh? » ironizzò il sergente.

Jack sorrise leggermente, poi esordì: « Dovremmo informare il S.S.E.V., che ne dici, Logan? »

L’altro annuì.

Uscirono dalla stanza per poter fare un cerchio alchemico nella terra del bosco circostante.

Logan prese un bastoncino spesso e tracciò un pentacolo inscritto, poi mise su ogni punta una pietra di quarzo rosa che aveva sempre in tasca, da bravo alchimista. Poi guardò Jack.

« Cosa gli diciamo? » domandò Logan.

« Beh... fagli un piccolo riassunto del nostro discorso. »

« Ok. » disse, iniziando a formulare il rituale. Con le parole di un’antica lingua ormai dimenticata impresse il suo messaggio sulle pietre rosa, che poi scomparvero inghiottite nel terreno.

« Le ho mandate al S.S.E.V. Penso che prenderà il messaggio Armelia. » sussurrò Logan, alzandosi, seguito da Jack.

« Dimmi... cosa dobbiamo fare? » gli chiese Logan, voltandosi verso il compagno di lotta, con la stessa domanda di molto tempo prima. « Anche se non abbiamo capito lo scopo principale dei “superiori”, non va bene ciò che abbiamo compreso. »

Jack come al solito non parlò, ma gli prese la mano, stringendola.

« Andrà tutto bene... e torneremo a combattere, Logan. » sussurrò guardando il cielo azzurro.

 

 

La pietra nera sovrastava il giardino interno di quel possente palazzo, risaltando sul verde e i colori delicati dei fiori. La guardia quel pomeriggio notò cinque pietruzze rosa spuntare sul masso.

Era un messaggio da qualche alchimista in missione. Chiamò in fretta qualcuno che potesse comprenderlo.

Armelia arrivò dopo qualche minuto, silenziosa e dura come sempre. Osservò con cura il quarzo e poi si mise in mano i cinque pezzettini, dirigendosi verso l’ufficio.

Scrutò con attenzione il messaggio, posandolo sulla sua scrivania. Di sicuro era stato un bravo alchimista a mandarglielo, perché arrivava dalla Villa bianca, al centro della penisola.

“Dalla villa bianca, gruppo di controllo e protezione n. 7” recitava la prima pietra, quella più piccola. Passò alla successiva.

“Abbiamo pensato spesso agli attacchi dei “superiori” e siamo arrivati a una conclusione.”

Prese la terza con più interesse, visto che la riguardava... lei e i suoi simili.

“Secondo noi sono organizzati. Lo spiega il fatto che rapiscono i positivi, non è una cosa normale!”

Squadrò la quarta pietruzza di quarzo.

“Vogliono sbarazzarsi degli ostacoli e avere il campo libero.”

Armelia maledisse mentalmente i suoi sottoposti, poi prese l’ultima pietra, tremando leggermente.

“Ma non capiamo bene il perché. Se avete idee mandatecele, a presto. Gruppo 7”

Finiva così. Non erano riusciti a capire il loro intento, e questo era un bene per i vampiri.

Armelia cercò di trovare le parole per rispondere, ghignando piano con le labbra carnose.

Poi prese cinque quarzi rosa da una scatolina che aveva sulla scrivania, si fece chiamare un alchimista e uscirono nel giardino. Poggiò le pietre e l’alchimista tracciò il pentacolo.

Dopo il rituale, Armelia gli disse cosa doveva scrivere in risposta.

“Dal quartiere generale, con sede a Leluar. Non dovete preoccuparvi, ce ne occuperemo noi del quartiere generale. Voi pensate a difendere per bene la vostra villa, andrà tutto per il meglio. I vampiri non hanno una mente così complessa, sono solo rozzi animali assetati di sangue. Fate il vostro lavoro. A presto.”

Quando l’alchimista finì il suo lavoro, si dileguò e Armelia rimase sola di fronte a quella pietra. Tornò nella sua stanza, dove i cinque quarzi rosa erano ancora lì, sulla scrivania, testimoni di una verità che sarebbe per sempre stata occultata.

Infatti Armelia prese fra le mani quei quarzi, facendoli volare e rotolare fra la fredda pelle, e poi, stringendo leggermente il pugno, li distrusse, riducendoli in polvere.

*

 

 

 






Adoro Armelia *__* (°_°)
Cooomunque! Eccomi ritornata con PiomBo! *w*
Ringrazio tutti quanti, chi legge, chi ha messo la fic in preferiti (<3), chi recensisce (<333), le musiche che mi ispirano (Queen, Green Day, Muse), le mie amiche sceme *___* xDDd
C'è Dottor House e me lo sto perdendo, quindi mi sbrigo! xD
lisettaH Grazie! Ma non piangere, shore! Ti voglio bene, un bacino *^*
mikybiky Ciao, Silvia *___* Ohh il commento veloce e quello degno di te >w< xD Oookay..
Lei è Violet, sisi ^^ Si è la villa bianca °_° La villa di lei è quella rosa, accennata tempo prima xD
W il cofanettoooo! facciamoci un fan club! xD
"Già, è bellissima la leggenda che hai proposto te" Grazieee *__*
"come tu riesca a rendere perfetta la storia " Ohhhhh, ti adoro *___________* xDDD
Grazie xD
Eh, magari uscisse il libro "Positive Blood" chissà come andrebbe in libreria, fra i lettori °_° XD
Ora hai visto e capito un po' di più Juliet.. non la biasimo o giustificò, però xD
Buffy.. xD se dico che ho visto 2 o 3 puntate di Buffy è tanto °__° xDDD
Ehhhh i misteri della vita! ^^ XD
Grazie mille tesora *__* Spero ti piaccia codesto cap xD


Commentare non mai fa male alla salute, anzi credo che vi si sgranchierebbero le dita °__° xD Corro che è meglio?
Però tra tutti i lettori poi commentano sempre le stesse (adoratissime recensitrici)! Non comprendo perché non lo fate, sarebbe davvero un piacere immenso.
Mah. Mi ritiro a vedere House è.é A presto

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Capitolo 18
*** Comprensione ***


Ahhh, finalmente, gente!
Non potete capire cosa sto blaterando... vi conviene leggere.
E comunque mi prendo una piccola pausa di una settimana, compresa la gita che sto per fare.
Mi schiarirò un po' le idee sulla trama e compagnia bella.
Buona lettura.

40 – Comprensione

 

Elisabeth, Francis, Jack e Daniel videro il loro capitano raggiungerli nella stanza delle riunioni con in mano cinque pietre rosa, sorridendo leggermente.

« Mi hanno risposto. Vedo subito cosa c’è scritto. » esclamò, iniziando la lettura dei quarzi.

A poco a poco tradusse tutto, e quando finì ripeté le parole di Armelia.

« Non voglio mettere zizzania, ma sembra solo che ci voglia assicurare. Quasi come se ci volesse tenere al nostro posto. O forse sono io che esagero. » disse Elisabeth per prima, guardando suo fratello Francis.

« Io penso che Lisa potrebbe avere ragione. » affermò il biondo. « Cos’è che ci dicono sempre? I vampiri sono animali, rozzi e assetati. Il loro istinto prevale su tutto. Ma se non fosse così? In fondo... prima erano uomini. »

« Non puoi dire questo! Ci attaccano, cercando di rompere la pace e l’ordine! » ribatté convinto Jack, passandosi involontariamente la mano sulla cicatrice a mezzaluna.

« E dici che lo fanno solo per bere il sangue? L’hai visto anche tu... sono organizzati. » sibilò Daniel, con gli occhi azzurri accesi d’interesse.

« Sì, ho visto. Però io mi sono sempre fidato del Quartiere Generale, dell’esercito. Loro mi hanno accolto e mi hanno istruito. » rispose Jack, parlando più del solito. Aveva qualcosa da difendere.

« Questo non significa molto, Jack. » ribadì il suo compagno di sempre. « Non tutto l’esercito è pulito, come ogni cosa. Ci sono persone giuste e corrette, e persone corrotte. Comunque questo discorso non ci porterà a nulla. »

Gli altri annuirono in silenzio.

Beth e Francis si scambiarono qualche occhiata, prima di tornare a pensare febbrilmente.

« Perché, fratello? » chiese lei, sottovoce.

« Il perché... è questo che dobbiamo trovare, Lisa. »

« Lo so. Però non è facile. » esordì la rossa.

« O forse lo è. E siamo noi che ragioniamo troppo e in modo errato. » ribatté il biondo.

« E va bene. Ce la faremo, ce l’abbiamo sempre fatta, Fra. »

Lui rise, poi chiuse gli occhi verdi, concentrandosi.

Erano loro il cervello del gruppo, collegati da un legame incomprensibile agli altri. Si comprendevano con uno sguardo di quegli occhi di giada che li accomunavano, sembravano parlarsi senza muovere le labbra.

Poi c’era Daniel, il più bravo a combattere, e Jack, da sempre compagno di Logan, l’alchimista del gruppo.

Ma loro pensavano e raggiungevano sempre a una soluzione.

« Se stanno prendendo i positivi è perché gli alchimisti da soli non potranno mai sconfiggerli. Questo vuol dire che si preparano a combattere, o qualcosa del genere. » disse Francis, dopo qualche ragionamento.

« Allora possono solo volere... conquistare. » affermò Lisa, girandosi sconvolta verso il fratello.

« In che senso? » chiese lui, con gli occhi sbarrati.

« Pensaci! Così tutto questo avrebbe una logica. È per questo che stanno indebolendo le nostre difese... per conquistare Aiedail. O forse per governarci. »

Lui sbatté gli occhi verdi confuso, poi aggiunse « Sei ottimista. Non penso che faremo una bella fine, Lisa, se vogliono davvero prendere il possesso dell’Impero... e credo proprio che sia così. »

« Allora siamo messi peggio di quanto pensassi. »

Francis annuì.

Se avevano ragione erano perduti. I vampiri volevano Aiedail, e non apprezzano gli umani che cercavano sempre di eliminarli. Quindi li avrebbero bloccati e sconfitti, perché era questo il loro volere.

E i vampiri progettavano questo piano da molto, molto tempo, e finalmente si stava per realizzare.

Di sicuro un gruppo di cinque ragazzi non sarebbe riuscito a fermarli.

 

 

 

***

Fine Prima Parte






Questo è un capitolo molto importante, perciò ho cercato di fare del mio meglio >.< Spero sia venuto decente. Se no non so xD
Ringrazio con oll mai art (tutto il mio cuore xD) i preferiti, che sono aumentati °_° xD, le letture e le recensitrici <3 Mia AmoVeeee xD
EgabryT-> Si, il 38 ti è piaciuto proprio tanto °° *___* Adam per ora rimane vestito ù.ù Poi non saprei xDD
kiromi-> Ciao Kira! Ce l'hai fatta a leggere! Grazie mille ** Poi mi devi dire i tuoi pg preferiti è.é xD
mikybiky-> Ciao Silvia! Rimani in vita, ti prego!
Oddei, la filosofiaaaa xD Io l'anno prox >.>
"lei non deciderà di ucciderli, vero?" ci avevo pensato °__° Non saprei, vediamo cosa penserà la mia mente diabolica. xD
Vai col 7 in filooo!
Comunque grazie di tutto *___* Visto? Ora è finita la prima parte! xD (Non so da quando fosse diviso in aprti °° XD)
A pretto! <3
darkrin-> Ciao Liv! Io ho aspettato ç__ç Un po' xD
Grazie di tutto *__* Si ho capito la cosa della bilancia. XDDD
L'ultimo cap era una come dire... un cap di movimento xD
Grazie tesoraH. A presto <3 è.é
lisettaH-> Yee, vaffamoccia! XDDDDDDD Io scrivo sisi, ma tu fallo pure è.é xDDDD Grazie *^*

Commenta anche tu!
Riceverai in omaggio una cartolina disegnata e colorata (di merda... emh) dall'autrice! *^*
Perché anche tu sei in prima linea!


Buahahahh xDD Mi defilo!! A presto, ragazzuoli.

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Capitolo 19
*** Hassan del deserto ***


Ho corretto i primi 3 capitoli (quindi dal 1 al 9)... a poco a poco correggerò anche gli altri e li posterò. Ho optato per le freccette per il discorso diretto e il Times come font.


E questo lo dedico
a tutti voi che mi appoggiate.


Mariasole, Lisa, Livia, Costanza, Gabriella, Anto, Silvia. Grazie.


41 – Hassan del deserto

 

Aiedail era davvero fantastica.

Da quella collina lui poteva vedere una vasta distesa verde che spandeva i suoi bracci in tutte le direzioni. Alberi si susseguivano, tutti forti e dritti, con una loro storia alle spalle. E poi c’erano gli animali dediti alla caccia notturna. Li sentiva frusciare ovunque, alla ricerca di un rifugio o di una succulenta preda.

Lui, a differenza di loro, non aveva fame. Si era appena cibato e si sentiva in ottima forma.

Così si godeva quella vista notturna dell’Impero. Nemmeno un uomo circolava a quell’ora, tutta quella vasta area era selvaggia, libera dalle costrizioni degli esseri umani.

Si stiracchiò le braccia, poi si voltò verso i suoi compagni di corso.

Erano tanti, un centinaio circa. Ed erano una mescolanza fra giovani e anziani. I più capaci insegnavano ai più giovani cosa fare, come e in che modo. Insegnavano loro a resistere a quel dolce richiamo e a combattere semplicemente.

Perché loro avrebbero attaccato una villa di positivi. E questo non era facile come rubare un lecca lecca a un bambino indifeso, in fondo quei dannati umani era potenti.

Quindi venivano addestrati.

Combattere e non bere sangue.

Lui osservò la luna che irradiava freddi raggi biancastri su quel mondo contaminato, senza fare alcuna eccezione. Umani, alchimisti, vampiri... che importava alla luna? Lei continuava senza condannare nessuno.

Si voltò verso Maximilian, intento a fare un solitario, e lo raggiunse silenzioso. L’amico alzò il volto scuro sull’altro, senza sorridere e guardandolo svogliato.

« Che facciamo? » domandò Max alzandosi repentinamente, alto quanto lui.

« Non so... tu cosa vuoi fare? Abbiamo già bevuto. » rispose, ripensando all’umana che avevano diviso.

Max socchiuse gli occhi a mandorla, blu come la notte, e sbuffò sonoramente. « Non ne ho idea! Abbiamo ancora un’ora prima che inizino i corsi. Potremmo farci, finalmente, un giretto per la foresta. Magari troviamo qualcosa d’interessante, che ne dici? » gli sussurrò con stanchezza dovuta alla noia.

« Ma sì, dai. » affermò l’altro, senza alcuna alternativa in mente.

« Allora andiamo, Hassan! » esclamò Max, pronto a correre.

Hassan annuì e sfrecciò celere, scendendo velocemente il fianco della collina, seguito da Maximilian che rideva sguaiatamente.

 

 

Ad Hassan non era mai andata bene qualcosa.

Era lui quello debole di costituzione della famiglia, quello che non poteva portare i soldi a casa lavorando.

Ed era anche lui quello che si era innamorato di una ragazza che aveva una cotta per il suo migliore amico. E lui, ovviamente, aveva lasciato perdere per non far finire l’amicizia. Il suo amico non aveva mai sospettato nulla.

Così ora, in una di quelle giornate secche e soleggiate, si era ritrovato a passeggiare distrattamente per il paese. Hassan non aveva sogni.

Lui non avrebbe mai potuto realizzarli, quindi non sperava nemmeno. Ma non poteva neanche morire, perché per quanto fosse un peso, sua madre lo amava per quello che era.

Eppure lui era troppo cieco per vedere tutto questo. Riusciva solo a intuire che sua madre lo volesse con sé per qualche strana ragione.

Vedeva solo il buio, e mai la luce. Ma al mondo esistono mille sfumature di grigio, e presto anche lui avrebbe capito che in fondo la sua vita poteva cambiare.

Era così distratto che salì un poco della strada per la montagna. Si fermò quando il suo corpo iniziò a lamentarsi, e il suo respiro divenne pesante.

Guardò stupito il panorama da quell’altezza. Era da molto tempo che non vedeva qualcosa che non fossero i suoi piedi o i suoi parenti e la sua casa.

Il deserto si estendeva ovunque, e spiccava lì vicino il suo paese di qualche migliaia di abitanti. Le case erano bianche e rosse, e risaltavano sull’ocra della sabbia. Alcune rocce spuntavano fra le dune, fatte dallo stesso materiale della montagna.

Era tutto magnifico. Hassan scoprì di amare i paesaggi naturali, così lontani dagli esseri umani e dagli animali.

Si sedette su una pietra levigata dall'acqua, fissando il deserto.

Dopo qualche minuto, o forse di più, arrivò una figura incappucciata. Hassan si era accorto che era calato il sole già da un pezzo, intento a guardare le stelle, ma non si faceva molti problemi, quel giorno. Voleva approfittare del suo stato di salute buono.

Vide quella figura e la salutò cortesemente, poi si alzò pronto a scendere al paese.

Ma lui in quel paese non tornò mai più.

Di sicuro non da mortale.

*





Recensite, o scellerati! Orsù, non vi tocco nemmeno con un fiore! Quindi, per cortesia, lasciate un segno. Fatto di fumo o scritto con penna. Una cacca o un leccalecca. Decidete voi, ma fatevi sentire.
Rispondo alle recensioni *__*
mikybiky-> Ciao, Silvia!!
Buahahah, grazie!
Armelia è poco apprezzata °__° XDDD, va beh cooomunque... grazie di tutto, Silvia *__* Un bacione!
lisettaH-> Viva le Lisa! Grazie tesshò *^*
kiromi-> è.é Se ci sarai vedrai... non andare in Cina ç__ç
EgabryT-> Buahaahh, tu sai tutta la storia ^.- ... dannata xD... si anche io ti lovvo *^*

A presto!!

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Capitolo 20
*** Buttando tutto fuori | Red Eyes | I'm breaking out ***





42-Buttando tutto fuori

It's bugging me                                                                                   Mi sta disturbando
Grating me                                                                                          Mi sta straziando
And twisting me around                                                                       E si sta insinuando attorno a me
Yeah I'm endlessly                                                                              Si, io mi sto definitivamente
Caving in                                                                                            Scavando dentro
And turning inside out                                                                          E buttando tutto fuori

{Muse - Hysteria}

 

Adam contava i giorni del loro arrivo. Ne mancavano venticinque. Venticinque giorni per capire ciò che provava, o che pensava di provare.

Sentiva il ciondolo diventare sempre più pesante, e non riusciva bene a capire il perché.

In più era bollente. Non che lo infastidisse, ma era un fenomeno davvero strano. Non si capacitava dei poteri insoliti del ciondolo... esso si riscaldava e pesava perché non aveva più visto Sofia?

E se l'avesse vista... come si sarebbe comportato il drago di metallo?

Non lo sapeva nemmeno lui, Violet non gli aveva rivelato nulla, ma in qualche modo quel monile l'avrebbe aiutato a comprendere qualcosa di quell'assurda situazione.

Eppure lo sentiva dentro di sé. L'aveva intuito quando era rimasto per dieci minuti a guardare i gemelli giocare a scacchi, mentre Sofia leggeva tranquilla.

Solo con lui era sempre irritata e preoccupata?

Ma in fondo era normale. Lei era la sua preda, non poteva che provare paura di fronte al predatore.

Però era rimasto li per tutto quel tempo, senza mai spostare lo sguardo da lei e i suoi piccoli e involontari movimenti: l'espressione che cambiava mentre leggeva, il gesto delle mani che si muovevano su una tastiera immaginaria, le volte in cui faceva ruotare il collo.

Si, lo sentiva. Non riusciva a smettere di pensarla. E non sempre la immaginava come futura preda da cui bere il sangue.

Era questo che lo preoccupava.

Era normale provare questo? Era giusto o sbagliato? Non si era mai posto questi problemi. E non aveva mai sentito parlare di casi simili al suo. I vampiri, se lo facevano, amavano dei loro simili. Non si era mai sentito parlare di un'umana e un vampiro.

Non sapeva quanto si sbagliasse... che il suo capo aveva amato una donna umana e poi l'aveva fatta sua. Per sempre.

Però di questo lui non era a conoscenza.

E soprattutto... da quando sentiva tutto questo? Lui non doveva solo divertirsi?

Non era lui il cattivo? Quello che uccideva le principesse per il loro sangue e poi rideva come un folle, allegro della sua bevuta? Non era lui il mostro?

Forse questa sua umanità stava riaffiorando proprio a causa di Sofia. Era lei che lo aveva svegliato dal sogno. O dall'incubo?

E cosa poteva fare lui, ormai? Odiava, odiava ammettere tutto questo. Era lui il mostro strafigo, no? Quello che catturava le sue prede con la malizia e la bellezza caratteristiche. Occhi blu mare e capelli biondi, lunghi e morbidi.

Ed ora... ora desiderava lei. Senza un motivo apparente.

Forse perché era testarda, anzi cocciuta come un mulo? O perché era coraggiosa, intraprendente e dannatamente calda? Era umana in tutte le sue reazioni, ma la sua curiosità superava la paura. E questo era unico e strano, diverso dal solito essere umano fifone.

Lei era forse diversa? Non lo sapeva nemmeno lui.

Ma ora ai suoi occhi probabilmente si.

In effetti non era nemmeno brutta, anzi come umana era deliziosa, almeno fisicamente. E sicuramente aveva un sangue dolc... cioè anche lei aveva una parte dolce e romantica, come tutte le ragazze.

Ma lui cosa doveva fare?

E poi perché questo “dovere”, si chiese rigirandosi fra le mani il ciondolo scottante.

La domanda giusta non era quella, ma un'altra più semplice.

Ma lui cosa voleva fare?

*

 

43-Red Eyes

La figura incappucciata si era avvicinata. Ansimava e si muoveva con passi pesanti.

« Signore, come si sente? » domandò Hassan, cercando di sorreggere la figura. Purtroppo era troppo debole e caddero tutti e due sulla dura roccia.

« Perché mi capitano sempre prede deboli? » si lamentò l'altro, guardando da sotto il cappuccio il corpo accanto al suo.

Hassan cercò di alzarsi, ma fu bloccato dalla mano tesa della figura, che lo afferrò per un braccio.

« Aiutami. »  sussurrò ad Hassan. « Sono troppo debole, lo vedi anche tu, no?»

Il ragazzo annuì e si alzò, trascinandosi anche l'altro.

L'incappucciato fermò con la forza rimasta Hassan, che sentì un'irrazionale paura sorgergli dentro. L'altro sporse il volto, avvicinandolo al collo del ragazzo.

Hassan sentiva l'alito gelido dell'incappucciato sul collo scuro. Era forte, molto più forte del normale, e Hassan era un ragazzo debole più del normale. Non c'era partita.

L'incappucciato fremette un istante, poi poggiò i suoi denti affilati sulla pelle del giovane.

« Mia madre mi ha sempre raccontato dei vampiri, ma non immaginavo che la mia vita sarebbe finita così. Pensavo di morire di malattia, essendo malaticcio di natura. » disse Hassan tutto d'un fiato, ritrovandosi con la voglia di parlare almeno per un'ultima volta.

« Ho vissuto questi 20 anni senza fare nulla, stando semplicemente a letto o a casa. È giusto questo? » continuò lui, mentre i denti penetravano la carne, alla ricerca del sangue.

Il vampiro si mosse leggermente verso di lui, poi parlò. Aveva una bella voce, calda e sensuale, da giovane diciottenne.

« Preferisci che io mi sfama abbastanza e poi ti lasci trasformare, ragazzo? » gli chiese, staccandosi dal collo. « Mi basta bere un po', poi troverò del sangue migliore, da positivo. »

Hassan si stupì da quella proposta.

Il vampiro l'avrebbe trasformato? Era meglio morire o vivere come un mostro?

... Ma almeno avrebbe vissuto, finalmente sarebbe stato forte ...

Non avrebbe più visto il sole. Non avrebbe più guardato occasionalmente il cielo azzurro e mangiato il riso.

Però sarebbe stato vivo e vegeto.

« Va bene. Però voglio vedere il tuo volto. » esclamò Hassan.

Il vampiro rise leggermente, poi si scostò il cappuccio.

I capelli neri risplenderono con la Luna, lunghi e sottili, e gli occhi rossi dalla pupilla verticale ghignarono. Era bello, fin troppo per essere umano.

« Ho bevuto già abbastanza. Starai un po' con me, non posso lasciare un vampiro nuovo da solo. » affermò prendendo Hassan per le braccia. Il ventenne era troppo stanco e aveva perso sangue, quindi il vampiro lo poggiò a terra e lo coprì col mantello.

« Dimmi come ti chiami... » sussurrò flebile Hassan.

« Prima tu, umano. » ribatté il vampiro.

Hassan stava per lamentarsi, quando i capelli dell'altro diventarono biondi e gli occhi blu scuro.

« Hassan... quando starò meglio mi devi dire come fai con i capelli. » esclamò stupefatto lui.

« Sei curioso, Hassan. Comunque il mio nome è Adam. »

Il moro chiuse gli occhi, prima che il veleno incominciasse a fare effetto. Sentiva caldo, anche peggio della febbre, e tutto il suo corpo era in fermento.

Adam gli rimase accanto, lo lasciò solo per sfamarsi con un positivo.

Quando Hassan si svegliò, i suoi occhi erano rossi.

*

 

44-I'm breaking out

'Cause I want it now                                                               Perché lo voglio ora
I want it now                                                                           lo voglio ora
Give me your heart and your soul                                             dammi il tuo cuore e la tua anima
And I'm breaking out                                                               e mi sto sfogando
I'm breaking out                                                                      io sto sfogando
Last chance to lose control
                                                                        l'ultima possibilità di perdere il controllo

{Muse-Hysteria}
 

Il giorno dopo Adam rivide Sofia.

Il vampiro ormai sentiva il suo sangue positivo, il suo potere, ribollire nelle vene. Da quanti giorni lei non prendeva la pillola?

Sofia stava riposando con Rupert e Ryan sul prato verde di fronte alla villa, Elisabeth se n'era andata da poco.

Adam non poteva avvicinarsi. Non sarebbe riuscito a trattenersi, ne era certo. Avrebbe forse mostrato una facciata sfacciata, ma poi sarebbe caduto. E questo lui non poteva permetterselo.

Mai.

Così si sfogava strappando dei fili d'erba dietro un albero, non visto dai tre. Ma il prato era fin troppo debole di fronte alla sua forza, troppo delicato in confronto al vampiro.

Si mosse leggermente, mettendosi in una posizione più comoda, frusciando con i vestiti, e Sofia lo sentì. Ora anche lei aveva un udito più sviluppato, e a differenza dei gemelli non si era addormentata.

Si alzò e camminò fino ad Adam. I due si guardarono un istante che parve lunghissimo. Poi lei piegò il volto, incuriosita, e si sedette di fronte a lui.

« Non hai più paura? » domandò Adam, ghignando e mostrandosi deciso. Ma lui non lo era.

« Mmm... vedi, Adam, io non smetterò mai di avere paura. Però ora mi sento molto più protetta. » disse, alludendo alle pillole arancioni e fruttate.

Il vampiro annuì in silenzio.

« Da quando sei così silenzioso, Adam? » chiese lei, giocherellando con dei fiori estivi. Era molto più sicura di sé, eppure il suo cuore martellava ancora. E non per paura.

Cosa doveva rispondere? Dire per una volta la verità? Fingere?

E in fondo avrebbe potuto farlo?

Si, ne era certo. Ma perché non tentare? Anche se lui era un vampiro, e lei lo odiava... lui doveva provarci. Non era codardo, non si sarebbe arreso e messo da parte.

Era da stupidi.

E lui non era stupido, nemmeno un po'.

In fondo gli amori impossibili hanno sempre avuto successo nel passato, no?

Romeo e Giulietta, Heatcliff e Caterina, Abelardo e Eloisa.

Così rispose con ciò che sentiva, guardando fa un'altra parte. « Non aspettarti che io sarò sincero un'altra volta, quindi ascolta per bene, perché non mi ripeterò. Sono silenzioso perché ho da pensare, Sofia. Lo voglio ora, ma non posso, non posso averlo, capisci? Non posso desiderare il tuo cuore, la tua anima. Non sarebbe giusto. Però è così... e non te lo dirò mai più, sta pur certa. » sibilò, prima di alzarsi velocissimo.

Il suo orgoglio era andato. Rotto, incrinato, caduto, crollato.

Ma solo una volta, una sola.

Stava a lei decidere cosa fare, lui non si sarebbe piegato più. Una volta era anche troppo.

Corse vicino a un albero e si sfogò su di esso, stringendolo forte con le mani e lasciando segni indelebili.

“Sono un cretino. Buttare tutta la mia facciata così, proprio ora che stanno arrivando. Mancano solo 23 giorni, sono pochissimi. Ma era questo ciò che sentivo, no? In fondo sono ancora intrappolato nel corpo di un adolescente, non sono mai cresciuto in questi anni.”

Ora sarebbe tornato il vampiro, quello che ghignava e stuzzicava Sofia, quello che non ragionava ma semplicemente agiva.

Aveva detto la verità, poteva tornare su i suoi passi e rimostrarsi cattivo. Sofia lo sapeva che non si sarebbe ripetuto.

Era pronto.

Però qualcuno era arrivato alle sue spalle, qualcuno di potente, un positivo puro.

E lì nella villa se ne trovava uno solo.

Sofia.

*




Secondo me Adam si è rammollito. Tornerà quello di prima, la verità l'ha detta una sola volta. Mai più.
Per Kira: leggiti Lock, la trovi nella mia pagina d'autrice.
Non ce la faccio proprio a rispondere alle recensioni, sono stanca >.< Grazie di cuore a Mikybiky, lisettaH e kiromi, per tutto il loro appoggio. Vi amo <3
Commentate. Non smetterò mai di dirlo. *^*

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Capitolo 21
*** Dannati | Discorso ***


45-Dannati

 

Violet guardava con relativo interesse i suoi simili composti e ordinati di fronte a lei, mentre con una mano stringeva il suo orsacchiotto.

I vampiri erano un centinaio, e fra di essi Maximilian spiccava per i suoi occhi blu scuri e i capelli dello stesso colore. Hassan gli stava accanto e guardava con interesse il suo amico, rivolgendo di tanto in tanto occhiatine anche alla bambina violetta.

Max e Violet avevano qualcosa in comune, questo lo avevano compreso tutti.

Erano diversi, con quegli occhi e capelli dai colori strani. Risultavano “normali” solo quando attaccavano e le pupille diventavano rosse.

Hassan li scrutò attentamente e intese che già si conoscevano, o che erano così simili da essersi capiti in un istante. Loro erano sempre stati diversi.

Anche da vivi.

 

 La luna piena splendeva alta nel cielo, illuminando il mondo con una luce spettrale e flebile. Quella era la notte migliore per fare alchimie complesse, per la nascita di nuovi mostri. I Dannati si incontravano ogni mese, proprio nelle notti di plenilunio, per festeggiare la loro nascita.

E quella notte era nata lei, Violet. Quella neonata dai capelli viola e gli occhi dello stesso identico colore.

Sua madre aveva gridato di dolore e odio, vedendo la natura di sua figlia.

La sua bambina... era una Dannata, e come tale avrebbe portato sciagura al mondo degli uomini. Se fosse morta subito avrebbe potuto non adempire al suo destino.

Ma come... come togliere la vita a un infante?

Così la maledizione che gravava su Violet e il mondo intero era perdurata per undici anni.

Ora una bella bambina, dai capelli violetti raccolti in una coda di cavallo, correva, saltava e fluttuava ridendo. Aveva raccolto dei bei fiori per la sua mamma.

Gli amaranti gialli li teneva in una mano, nell'altra stringeva un orsacchiotto.

Violet era stata viziata, circondata dai parenti e dai giocattoli. Così che non uscisse mai dalla proprietà della sua famiglia, così che non fosse mai vista dal mondo.

Se lei fosse rimasta lì, non avrebbe recato alcun danno agli umani, no? E nessuno l'avrebbe voluta sopprimere, poiché nessuno l'avrebbe vista.

Quanto si sbagliavano nella loro ingenuità.

I genitori di Violet non avevano calcolato un fattore: i vampiri “superiori”.

Erano apparsi da qualche anno, dilagando pericolosamente ad Aiedail. Bevevano il sangue dei positivi ed erano molto, molto più forti dei vampiri normali. Imbattibili per i negativi. Per questo la famiglia di Violet aveva delle guardie addestrate e possenti, e anche un alchimista. La loro era una famiglia di positivi.

La prima cosa che notò Violet fu il silenzio, la totale assenza di rumore. Nell'aria non c'era nemmeno una battutina delle guardie, che chiacchieravano spesso fra loro.

Avvicinandosi vide anche altro. Qualcosa di ancora più esplicito. Sangue.

Sangue dappertutto.

E corpi senza vita di chi doveva proteggere la sua famiglia.

Violet aveva sempre avuto una vena macabra, fin troppo anche per una bambina, a causa della sua natura di Dannata. Ma in quel momento aveva tremato, mentre i fiori cadevano a rallentatore sopra il liquido scarlatto.

Tonf.

“Gli amaranti gialli significano dolore.„

Le passò in mente ogni nozione sui fiori, studiate la settimana prima con suo padre. Alzò gli occhi viola sulla villa rosa, rabbrividendo.

Poi salì una delle due scalinate e entrò nell'atrio, respirando irregolarmente, pur non essendosi sforzata. Lo sapeva, lo sentiva. Era inutile sperare, ma anche lei era umana, e in fondo era pur sempre una bambina.

Percorse i corridoi della villa, aprendo ogni stanza e cercando di captare un suono, un gemito, un sibilo. Dov'erano i suoi genitori?

Nel suo pugno di ferro torturava il suo orsacchiotto, sfogandosi. Dove?

Dove?

Non riusciva più a capire bene, correva e basta, ormai persa nella sua stessa casa. Era una sua impressione o li c'era già passata? E perché era tutto così maledettamente chiuso e soffocante? Perché, perché quella casa era così in ombra?

Si era mosso qualcosa nel buio?

Violet aprì un'alta porta bianca, debolmente riuscì a scostarla ed a entrare. Di nuovo sangue. Ferro e sale pungente al suo naso da bimba.

Ancora corpi, tutti morti. Ma alcuni di loro si muovevano, contro ogni legge della natura.

Vampiri!

 

*

 

 

46-Discorso
Violet fremette.
No, non aveva paura, non provava angoscia, non più. I suoi genitori erano morti, li vedeva distesi a terra. Ora era sola, con dei vampiri che si erano accorti subito della sua presenza.
No, lei tremava di euforia.
Erano belli, bellissimi, e perfetti. Anche con le bocche insanguinate e gli occhi scarlatti, loro erano stupendi. E anche loro erano strani, diversi.
Certo, in un modo differente da quello di Violet, ma lo erano.
Finalmente vedeva qualcuno simile a lei. Da quanto aspettava questo momento?
Scacciò i suoi pensieri, mentre la sua gioia improvvisa si sostituì a dolore... era pur sempre una bambina, avrebbe detto sua madre.
Corse vicino ai cadaveri, chinandosi a vedere il volto dei suoi genitori. Accarezzò con le dita sottili le labbra ancora calde, i capelli chiari, e chiuse per sempre gli occhi sbarrati di paura.
« Una Dannata. » sibilò un vampiro, adocchiando la bambina.
« Ehi, tu non dovresti essere morta? » domandò un altro, dai capelli castano chiaro e gli occhi azzurri.
Violet alzò lo sguardo d'ametista sui vampiri superiori. « Una Dannata, avete detto? E cos'è una Dannata? » sussurrò lei, accarezzando la madre e macchiandosi le mani di sangue.
« Non lo sai, bambina? Non ti sei mai chiesta perché hai quegli occhi e quei capelli? » ribatté il vampiro castano « Perché sei una Dannata, sei stata maledetta sin dalla nascita. È qualcosa di antico quello che ti ha reso i capelli e gli occhi di un colore innaturale, qualcosa per marcarti a vita. Tu porterai la sciagura sul mondo, bambina. È strano che tu sia ancora viva. »
Violet apprese la sua vera natura stupita. Ecco... ecco perché si sentiva diversa sempre, in ogni istante. Ecco perché aveva delle strane tendenze, perché era viola.
Ed era ancora viva, salvata dai suoi genitori.
« Ma ora morirò, no? Quindi non sarò mai una minaccia. » rispose lei, mostrandosi più adulta di quanto fosse. Almeno così avrebbe seguito i suoi genitori nell'oltretomba.
Il castano guardò gli altri vampiri, sogghignando. « Sarebbe divertente vedere come peggioreresti il mondo, bimba. Toccherà agli umani penare per la tua nascita, quindi perché non portarti con noi? »
« Gabriel... ma in un covo di vampiri farebbe una brutta fine. » esclamò un vampiro rossiccio. Ora che non erano trasformati sembravano innocui, a parte il sangue che aveva macchiato il loro collo.
« E allora rendiamola come noi, non ha un altro destino. » disse il castano. Era sicuramente lui il leader.
« Ma io devo seguire i miei genitori... » si lamentò la bambina. Purtroppo nessuno più la stava ascoltando, i vampiri ora erano concentrati su di lei e sul suo corpo, decidendo dove morderla.
E anche a causa di questo il mondo degli umani sarebbe stato messo alle strette dai “superiori”.


Era passato tanto tempo, e le storie sui Dannati erano andate perse per sempre, poiché ad Aiedail non ne nascevano più. Così Maximilian era ancora “vivo” e camminava su quella terra, senza sapere bene perché si sentiva diverso.
E ora guardava con interesse la sua simile, chiedendosi se avrebbe potuto spiegarle qualcosa sulla loro natura.

Intanto i vampiri bisbigliavano fra loro, discutendo sull'apparsa di Violet. La diretta interessata li osservava con sufficienza, preparandosi a parlare. Si schiarì la gola e li intimidì di fare silenzio.
« Fra una ventina di giorni attaccheremo la villa bianca, nella penisola. Dovrete essere addestrati e pronti, combatterete pur sempre con dei positivi. Nella villa abbiamo un infiltrato... » disse, guadagnandosi l'attenzione di tutti. « Ci aprirà lui il cancello, per non fare scattare l'allarme troppo in fretta. Non uccidete i positivi, tranne se combattono e non hanno intenzione di smettere... gli altri li dovete catturare. L'infiltrato ci ha detto che nella villa si trovano 5 militari, ma non saranno un grosso problema. In questi giorni allenatevi al massimo. Ora vorrei parlare con gli insegnanti. » concluse altera Violet.

*

 





Recensite. Per dio Spongebob, insomma! Non ditemi che i "miei" lettori sono mummie! Non ci credo manco morta.
Se avete la forza di legger fin qua lasciate un commentino!


Per la storia dei Dannati leggete (e recensite ù.ù) I Dannati.

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Capitolo 22
*** And dreaming I'm alive ***


47-And dreaming I’m alive

It's holding me                                                                                    Mi sta tenendo
Morphing me                                                                                      Mi sta mutando
And forcing me to strive                                                                      E mi sta obbligando a lottare
To be endlessly cold within                                                                  Per poter essere infinitamente freddo

And dreaming I’m alive                                                                       E poter sognare che sono vivo

{Muse - Hysteria}

 

Adam si voltò ghignando.

“Una sola volta la verità, poi mai più. Non ti lascerò la soddisfazione di vedermi “umiliato” un’altra misera volta, perché la sincerità non è roba per vampiri. Solo una volta, e poi di nuovo il gioco.”

« Cosa c’è, Sofia? Troppo toccata dai miei nobili sentimenti? » ironizzò il biondo.

« Da quando mi chiami per nome? Non sono una prelibatezza, io? » sussurrò lei « Comunque non centra. Tu mi hai detto tutto questo, per poi andartene... che senso ha tutto ciò? Si, questa è una domanda inutile, l’hai detto anche tu che saresti stato sincero solo una volta. Non so... » si lamentò Sofi, lasciando la frase a metà, sospesa nell’aria e fra la tensione tangibile tra i due.

« Non mi seguire se non hai niente da dirmi. » ribatté Adam, intento ad andarsene, ma senza la forza necessaria per farlo.

« Io faccio quello che voglio. » contestò lei decisa, come sempre.

« E allora perché sei qui? » domandò lui, colpendola sul vivo.

« Perché... perché sei tu che fai discorsi senza senso, poi cosa pretendi da me, misera e comune mortale? » rispose lei con ironia amara. Ma sia Adam sia Sofia sapevano benissimo che erano tutte scuse, inutili e banali scuse per cercare ancora una sorta di dignità al loro attaccamento. Perché non era normale che un umano parlasse così a un vampiro, come non era normale il comportamento di Adam. Nessuno dei due voleva rinunciare alle facciate. Eppure il vampiro aveva mostrato per un breve istante la verità.

E ormai non si poteva più tornare indietro.

« Io faccio discorsi senza senso? » ripeté Adam, guardando in volto Sofia. « Non è che sei tu che non vuoi capire? Ahh, per un’unica volta che ho detto la verità... vuoi un disegnino che ti spieghi, o devo passare ai fatti? » gli disse lui, lanciandogli più d’una frecciatina.

« Te lo dirò chiaro e tondo: odio le persone che parlano soltanto, senza poi fare niente. Vuoi passare ai fatti? Fallo, ti do il permesso... tranne se vuoi bere il sangue a qualcuno, ma mi hai promesso che non lo farai, e su questo devo fidarmi. Quindi fa quello che devi fare, se non mi va a genio ti fermerò, lo sai anche tu questo. » esclamò lei, mostrandosi naturale e dura.

Gli occhi blu mare di Adam brillarono, una luce li accese di nuova speranza, mentre si avvicinava a Sofia. I suoi occhi erano castani, ma con qualche pagliuzza dorata e verde, come mai non l’aveva mai notato? E sul naso c’erano delle piccole lentiggini, che si potevano vedere solo da molto, molto vicino.

Il suo sguardo non era impaurito, come le altre volte, ma era stranamente forte, deciso, pronto. Lo stava aspettando.

« I fatti... » sussurrò il biondo sulla pelle bianca di Sofia, per poi ghignare di fronte a quella testarda.

Improvviso silenzio, mentre tutti i sensi si acuivano. E poi caldo, formicolio, leggera elettricità.

E le labbra morbide sotto le sue.

Adam mosse le braccia senza nemmeno accorgersene, stringendo Sofia e attirandola verso di sé. La ragazza allungò le mani sul suo torace, appoggiandole sulla schiena del vampiro.

Erano agli opposti, su due estremità di una stessa linea, le due facce di una stessa medaglia.

Lei era calda, il suo cuore pulsava nel petto, in lei sgorgava la vita.

Lui era gelido, con un cuore ormai spento, portatore di morte.

Si potrebbe continuare all’infinito. Però... però stavano bene, dopo tanto tempo. Perché lui poteva mostrarsi forte e indifferente, e lei dolce e disponibile; ma la verità è che erano soli.

Anche se c’erano delle persone attorno a loro, anche se Ginger preparava a Sofia la colazione e le voleva bene, anche se Arthur era come un padre.

Loro cercavano qualcuno che li facesse stare meglio, almeno un po’. Qualcuno che li accettasse.

E non avrebbero avuto scrupoli per guadagnare un pezzo di agognata felicità.

Loro erano già morti, per poi risorgere. Chi fisicamente, chi spiritualmente.

E se significava rischiare, loro lo avrebbero fatto. Perché questo li avrebbe portati a qualcosa di unico.

*







Shiaooo! Si lo so che è uno, ma che capitolo però! Importante sisi, ce chi lo aspettava da tempo °__°
Comunque... per ora non ho ispirazione, ma vedrete che continuerò presto a crivere +.+
Ringrazio i preferiti e i lettori.
W i recensitori (<3):
mikybiky-> I vampiri sono paurosi, Silvia cara *^* Però so figosi *annuisce convinta* xDD
Violet è superiore. Deve apparire così, sisi.
Non per forza l'ha trasformata Gabriel, comunque è collegato alla sua trasformazione.
Grazie *^*
lisettaH-> Grazie xDD Anche a me I Dannati piacciono °__°

per favore recensite >_< Suuu! Al lavoro, tiche tiche tichete, scrivete! Graziee xD

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Capitolo 23
*** Brindisi fra vampiri | Only a Kiss | Il nostro tempo sta finendo ***


48-Brindisi fra vampiri

La seta nera frusciava sulla sua candida pelle, mentre labbra gelide si appoggiavano sul suo collo.

Gabriel baciò quel candore perfetto e irreale, scendendo sino alla clavicola; Juliet lo strinse a sé, cercando un calore che mai più avrebbe potuto possedere. Le labbra di lui risalirono, umide e così fredde che un'umana avrebbe rabbrividito al contatto, ma non Juliet, che le sentiva roventi sul suo corpo.

I capelli di Gabriel divennero neri, mentre allungò la bocca sul collo, mordendolo con i denti affilati. Il sangue sgorgò placido, scuro e denso, bagnando il vampiro e la pelle dell'amante.

Bere il sangue di un altro vampiro è simbolo di possessione, ossessione, passione.

Il morso è il primo gesto di desiderio, l'istinto primordiale di dimostrare amore.

« Gabriel... » sussurrò Juliet, con voce rauca. « Dobbiamo prepararci, fra un'ora arriveranno gli invitati. »

Lui annuì, scostandosi, con un'espressione vogliosa ancora dipinta sul volto, facendo sorridere la vampira che allungò una mano per tastare il morso. La ferita si sarebbe rimarginata poco dopo, ne era certa.

Gabriel, con i capelli nuovamente castani, si spostò silenzioso nella grande stanza da letto, arrivando alla imponente cassettiera di mogano e estraendo uno scrigno. Con le mani virili prese una collana d'argento, con una tonda pietra nera come ciondolo, lucente e lucida, così perfetta e scura da potersi immergere con lo sguardo, rimanendone incantati.

La mise al collo di Juliet, chiudendo la catenella con estrema facilità. Baciò il segno del morso inflittole che stava velocemente guarendo, lasciando la pelle rosata e liscia. Juliet tremò di piacere.

 

La musica del pianoforte suonava decisa e diabolica, come una litania in crescendo prima della morte, riecheggiando nel salone del castello. Alcuni violini e violoncelli accompagnavano il piano nel suo predominante suono, più dolci e ingannatori, con una nota mesta che si riproponeva spesso, trillando sopra le altre.

Gli invitati chiacchieravano a bassa voce, a gruppi di due o tre elementi, nascondendo i sorrisi dietro una mano rigorosamente guantata. Sorridevano, e brindavano con i calici pieni di liquido denso e scarlatto, dolce e fruttato. I vampiri lo sorseggiavano discutendo con calma.

Juliet osservò i suoi ospiti con gli occhi rossi, invece che verdi, mostrandosi nella sua vera forma da “superiore”. La festa andava piuttosto bene, non vi erano né scontri fra clan, né risse fra vampiri negativi e positivi.

Lì, davanti a lei e il suo consorte, si trovavano i vampiri più illustri e potenti dell'Impero, dei Paesi del Sud e del Nord. Erano tutti agghindati: le donne con abiti lunghi che fasciavano il corpo perfetto da vampire, gli uomini con i completi neri e le cravatte eleganti.

Erano una sessantina, per lo più positivi, ma anche qualche vampiro negativo anziano ancora si faceva valere nella società, perlopiù statica, dei vampiri.

Il conte Aaron, per esempio, pur avendo la pelle color cioccolato, veniva guardato con rispetto e timore da tutti, persino Gabriel si inchinava di fronte a lui, riconoscendone l'autorità. Juliet notò il cote avvicinarsi e si preparò a fare gli onori di casa, pronta alle battute del vampiro.

« Buonasera, mia signora. » mormorò il vampiro, così anziano da far trasparire un'aria saggia e colta. Si chinò a baciarle la mano.

« Conte Aaron, è mio piacere vederla alla festa. » rispose lei, sorridendo e mostrando involontariamente i denti affilati e perfetti.

« Che sta andando veramente bene. Sono tutti in brodo di giuggiole, a quanto pare. » ghignò il conte, guardando i suoi simili scambiarsi occhiatine. « Il nostro antico piano sta per essere completato, finalmente. Gabriel mi ha detto che va tutto a gonfie vele. »

« Si, è tutto incastrato alla perfezione. In fondo era già tutto programmato da tempo, anche lei ha fatto parte della progettazione, conte. » disse lei, gentile e dolce, come ogni signora che si rispetti. Era stato difficile per lei... all'inizio non era del tutto benvista, i vampiri pensavano a un suo tradimento, a un suo ritorno all'umanità. Ma il conte stranamente li aveva sempre appoggiati, avendo una predilezione per Gabriel.

« Dominare il mondo. Sono i nostri ultimi sentimenti da umani che ci spingono, mi sa, Juliet. È l'uomo a voler possedere, nevvero? Credo che però potremmo ancora giustificarci dicendo che non sopportiamo più gli esseri umani, e questo è vero. » affermò lui, guardando con gli occhi rossi il soffitto abilmente decorato dai migliori artisti di quattro secoli prima.

« Conte Aaron... presto non ci sarà qualcuno a cui giustificarci, forse non c'è mai stato. Godiamo di questo momento, le va bene? Celebriamo la nostra futura vittoria. »

« È per questo che sono qui, anche se devo dire che il sangue pregiato che offrite mi ha sempre tentato! Però... non è l'ora di portare i donatori? Il sangue conservato tramite alchimia non sarà mai eguale a quello fresco, mia signora. » disse il conte.

Quasi come se qualcuno l'avesse sentito, entrarono da una delle alte porte degli umani, che si guardavano spaesati, spostando talvolta lo sguardo su quei affascinanti invitati.

Ma loro... erano inquietanti, con quei occhi scarlatti e i denti rilucenti e lunghi.

Un brivido percorse la schiena degli umani, capendo che quella era la loro ultima notte.

*

 

 

 

49- Only a Kiss

And I want you now                                                                            Perché ti voglio ora
I want you now                                                                                   ti voglio ora
I'll feel my heart implode                                                                      sentirò il mio cuore implodere
I'm breaking out                                                                                  mi sto sfogando
Escaping now                                                                                     scappando ora
Feeling my faith erode                                                                         sentendo la mia fede consumarsi

{Muse - Hysteria}

 

Adam carezzò i capelli castani di Sofia, avvicinandola ancora di più, baciandola con urgenza. Quasi come se avesse paura che potesse scomparire da un momento all'altro, che lei lo avrebbe lasciato impaurita dai suoi denti.

Ma Sofia non l'avrebbe fatto, ormai era abbracciata a lui.

La ragazza lo spinse leggermente, facendolo scostare e dividendo le loro labbra. Adam la guardò incuriosito, prima di notare che respirava affannosamente. Giusto. Lei doveva respirare, ne aveva bisogno... se l'era dimenticato, preso dalla foga.

Sofia alzò lo sguardo nocciola, incrociando quello blu mare di Adam, e sorrise leggermente, mentre le guance si imporporavano di rosa.

Tu - Tum.

Il cuore di Adam batté involontariamente, spasmodicamente, nella gabbia toracica. Uno solo, un solo battito. Poi di nuovo il silenzio.

Ma aveva battuto. Era da così tanto che non accadeva che Adam non capì subito di cosa si trattava. Quindi solo un minuto dopo poggiò la mano sul petto, e ghignò a Sofia.

« Vuoi proprio cambiarmi a tutti i costi, eh? » sibilò, scombinandole i capelli.

« Non per forza. Sai, non sei male così. » rispose lei sorridendo. Solo un bacio ed era cambiato tutto?

Ora non lo guardava male, non aveva paura, in linea di massima. Forse aspettava solo il momento giusto. C'erano troppi forse nei suoi pensieri.

Lei aveva accolto i suoi sentimenti, ricambiando. Cosa voleva di più?

Ahhh... era davvero scocciante provare emozioni umane. Sempre a chiedersi “e se? ...e se forse? ...ma non è che?”

Era stufo di sentire che tutto il suo mondo crollava per un'umana, che l'umanità si faceva strada in lui. Però non ne poteva fare a meno, e questo lo sapeva benissimo. Era una contraddizione bella e buona.

Circondò con un braccio le spalle di Sofia e si chinò verso di lei, baciandola.

« Non abbiamo di certo finito. » sussurrò Adam al suo orecchio.

« Non abbiamo nemmeno iniziato. » ribadì Sofia seria. Poi però si aprì in un timido sorriso.

 

Rupert e Ryan si svegliarono e non trovarono Sofia. Così iniziarono a cercarla, trovandola poco dopo lì vicino, abbracciata con il biondo Adam.

« Finalmente si sono dati una mossa!» sogghignò Ryan, guardando con gli occhi chiarissimi il gemello.

« C'è ne voluto di tempo. » rispose sorridente Rupert, felice per i due.

« Anche troppo. I grandi sono sempre così storti, non dicono mai ciò che pensano. » si lamentò Ryan, sedendosi sull'erba e comportandosi da perfetto curiosone. Anche il fratello si mise sul prato, accanto a lui.

« Sono pieni di misteri, gli adulti. E già all'età di Sofi non si scherza! Non capisco dove sia il problema... » affermò Rupert stranito.

« Boh. » esclamò Ryan « Che ne dici di andare a disturbarli? » ghignò poi verso il fratello.

« Ottima idea! Andiamo!! » rise Rupert, alzandosi e correndo verso i due, seguito a raffica dal gemello.

« Siamo Ryan e Rupert, paladini dei baci rubati! » urlarono in coro, buttandosi su Adam e Sofia, che - stupiti - finirono per ruzzolare sul prato con i gemelli.

« Voi due! » sibilò a denti stretti Adam, socchiudendo gli occhi blu mare e guardandoli con odio.

Sofia rise, vedendo i bambini leggermente spaventati e il vampiro carico di istinto omicida, e gli diede un buffetto a testa.

Ah, se quella felicità e spensieratezza fosse durata per sempre.

 

Intanto, qualcuno guardava la scena da una finestra al piano terra della villa bianca. Sorrise a quella vista, invidiosa che Adam e Sofia potessero baciarsi in pubblico, mentre loro... loro non potevano farlo, non sarebbe mai stato accettato.

Il loro era un amore ingiusto, sbagliato, malsano.

Lui la prese fra le braccia, cullandola e cantandole sottovoce una canzoncina.

Ma come resistere a tanta dolcezza?

*

 

 

50- Il nostro tempo sta finendo

Sofia osservò il vampiro riposare sulla panchina, con gli occhi chiusi e le labbra piegate all'insù, mentre i capelli biondi che sfuggivano alla coda gli incorniciavano il viso perfetto. E pensare che era stato lui a farla rabbrividire più volte poco tempo prima. E in effetti Sofi rimaneva sempre attenta con lui, non fidandosi mai al cento per cento. In fondo ciò che più desiderava era il sangue, no?

E lei ne era ben fornita.

Allungò l'indice verso il volto, toccandogli la punta del naso e scendendo sino alle labbra, che si piegarono immediatamente in un ghigno mentre gli occhi blu mare si aprirono di scatto, fissandola. Sofi non aveva mai negato che Adam gli piacesse fisicamente, fin dal suo arrivo lo aveva pensato, ma ora... era in piena tempesta ormonale, in fondo aveva 17 anni, no?

Stare con lui significava il battito accelerato, una buona dose di guance arrossate e caldo sul volto, e a volte perdeva anche il filo del discorso. Stava iniziando a perdere il conto delle figuracce fatte in quei giorni.

Sofia fece una boccaccia, mostrando la lingua ad Adam e pizzicandogli la guancia. Lui ricambiò il buffetto, prima di avvicinare velocemente il suo volto a quello di Sofi, sospirando e carezzando la sua pelle con il suo respiro gelido. « Sei così tenera, a volte. Nessuno noterebbe mai il tuo carattere deciso, guardandoti solamente, ma vedrebbe... » sussurrò Adam al suo orecchio, giocando con una mano fra i capelli di Sofia, arricciandoli e girandoli attorno alle dita affusolate.

« Cosa? » domandò lei, sorridendo a fior di labbra e poggiando la sua bocca morbida vicino a quella di Adam, allontanandosi poi scherzosamente, baciandogli il collo bianco. Lui quel gesto non l'avrebbe mai fatto, ne era certa; la prudenza non era mai troppa.

« Vedrebbe una bella ragazza e cercherebbe sicuramente di abbordarla, anche se avrebbe poi contro un vampiro non proprio carico di buone intenzioni, mi sa. » concluse lui, mostrando i denti affilati e perfetti. Sofia si lasciò fuggire una risatina, posando involontariamente gli occhi sui canini di Adam.

Anche quelli erano bianchi, splendenti, attraenti. Tutto in un vampiro era così, no? E anche questo, pur procurandole un brivido sul collo, l'attirava ineluttabilmente, costringendola a fidarsi di lui. Perché non poteva far altro, ormai. 

Scacciò quei pensieri e poggiò le labbra morbide e calde su quelle di Adam, circondandogli il collo con le mani. Lui sorrise senza farsi vedere, mentre il ciondolo di Sylvester brillava di luce propria sotto la camicia di seta.

 

Adam si poggiò sul letto bianco, socchiudendo gli occhi blu mare e ripensando a quei giorni, trascorsi insieme a Sofia.

Si girò e rigirò, scuotendo la testa, smuovendo i bei capelli biondi - sciolti dalla solita coda - sul copriletto rosso fuoco.

Ripensò a lei, mentre nervosamente si torceva le dita affusolate, rendendo bianche la pelle diafana. Sofia che lo batteva. Che lo guardava con lo sguardo impaurito, che lo apostrofava con coraggio. I suoi occhi castani, la sua bocca - morbida, profumata -.

Quel pacchetto verde scuro... era nato tutto grazie a quello.

Sofia che lo odiava, e poi... lo amava.

Sei qualcosa di bellissimo

Una contraddizione

 

Sofia, dopo aver lavato i piatti della cena, salutò con un bacio Ginger, dandole la buona notte, e salì veloce in camera da letto.

Si mise la camicia da notte, azzurrina con qualche fiocchetto rosa sul petto, e si sedette sul letto, incrociando le gambe nude. Guardò il quadro di sua madre, più bella che mai, passandosi un dito sulle labbra... quelle labbra che poco prima avevano baciato Adam.

Sofia sorrise inconsciamente, per poi infilarsi sotto il lenzuolo.

Tu sarai la mia morte

Si, tu sarai la mia morte

 

Adam tuffò il volto nel cuscino, sbuffando e stringendolo fra le braccia forti. Come poteva fare?

Mancava così poco, così poco! E poi sarebbe finito tutto, no? Questo solo perché era un vampiro, e lei una positiva. Beh, presto neanche i negativi se la sarebbero passati bene. Si voltò di lato, cercando inutilmente una posizione più comoda per il suo corpo freddo.

E il nostro tempo sta finendo

E il nostro tempo sta finendo

Avrebbe dovuto smetterla subito; era ancora meglio non iniziare, in fondo. Ora come poteva rinunciare a lei?

Come poteva farle fare... quella fine?

Gli umani avrebbero avuto qualcosa di disastroso, era la loro “fine”, almeno come dominio su Aiedail.

Adam ringhiò nella notte, mostrando i denti affilati al buio.

Ho cercato di rinunciare a te

Ma sono drogato

 

Sofia guardò il soffitto bianco e semplice, poi - pur sentendo un po' di caldo a causa dell'afa - si coprì la testa con il lenzuolo, lasciando uno spiraglio per respirare l'aria “fresca”. Si sentiva rassicurata, sotto quella sottile tela che la copriva tutta; si sentiva a casa, accoccolata nel letto sotto il lenzuolo bianco.

Pensò ad Adam un'ultima volta, poi si addormentò, chiudendo gli occhi nocciola con un sorriso.

 

Come si è arrivati a questo?

Si, mi succhierai la vita

 

Come si è arrivati a questo?

 

 

 

 

 

[Time is running out - Muse]

*






Ce l'ho fatta! Era da una settimana che provavo a concludere il 50! Madonna, che fatica! E che sdolcinati sti due... per fortuna c'è "l'angoscia" della futura separazione, che rende buono il mondo *__* (non sopporto le cose dolci - sdolcinate - zuccherate).
Le parole in rosso del 50 sono di "Time is running out" dei Muse, perché decisamente ci stavano con la loro storia!
Ringrazio i miei amorini che mi stanno sempre vicino (cotty, gabry, lisa, livia, mari, mastrolindo - sgrassatoreee (lui amorino non lo è, ma cmq) -, gaetano da lontano, kira dalla Cina, silvia, antonella - mia amoraaa -, lulù con la mente)!

Comunque... voglio assolutamente (e dico assolutamente) sapere cosa minchia (ecco le parolacce da incazzamento è.é) pensate di questa storia, perchè va bene che la leggete, ma se siete arrivati fin qui: commentate! E che cacchio! Non c'è più mondo, ma secondo voi, io cosa dovrei fare? Secondo voi un misero commento non mi farebbe stare meglio, non mi inciterebbe a scrivere, non mi aiuterebbe (se fosse una critica), non mi farebbe sapere chi e cosa preferite nella storia?
Bene. E allora cliccate li sotto e divertivi, perchè voglio sapere. Pretendo. Perchè si!


Grazie. xD A tutti, lettori, recensitori (L), preferiti.
Stancamente ringrazio:
mikybiky: Adam è il mio Adam, non lo voglio sdolcianto +...+
Grazie mille tesoro, davvero. Ti voglio bene, Silvia!
lisettaH: Viva il coro angelico, cicciolina! (non chiedermi da dove mi è uscito... forse dal cappello da Cappellaio? XD)
Stampate e appese (o_o)? TI AMO!! *////*
Eh, le cose sconcie xDDDDDD Grazie, tesò xD
kiromi: Mia cara Kira - kiruccia!
Anche dalla Cina (con furore) ti fai sentire, che dolsheeeee!
Anche a me Hassan e Adam mi sapevano di yaoi >.> Siamo troppo influenzate xD
Non diventare analfabeta ç__ç Istruisciti con PB! XDD
Grazie per aver recensito tutti i cap (wow!) *w* Ti adoro!


A presto -miei poveri- lettori! Vi ringrazio di tutto ù.ù [Recensite +.+"]

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Capitolo 24
*** Simpatia | Donne ***


Scusate il ritardo, non sono molto ispirata °-° Il bello è che so come deve finire, ma non viene proprio voglia di scrivere! Bah.


Questo capitolo lo dedico a Lisa,
che domani compie 17 anni.
Auguroni tesora mia, shore puccia!
Ti voglio bene ù.ù



51- Simpatia

Qualche giorno prima, al campo d'allenamento dei vampiri

 

Hassan si alzò dalla brandina, sbadigliando, e con voce impastata chiamò il suo compagno di tenda. « Maximilian, sei sveglio? »

« Mmh... si, mi alzo. » sussurrò rocamente il vampiro, poggiando i piedi a terra e sollevandosi dalla brandina, con gli occhi ancora appannati di sonno. Sorrise ad Hassan, poi uscì dalla tenda, seguito dal compagno, e si stiracchiò i muscoli rilassati dopo il sonno.

Hassan guardò la luna splendere in cielo, nivea e distante, spandendo una fioca luce bianca su Aiedail. A volte provava nostalgia per il sole cocente, che illuminava il suo paesino bruciando la pelle... lui non lo aveva mai guardato troppo lungo.

Scosse la testa e si voltò verso Maximilian, che fissava imbambolato un punto del campo. Hassan seguì il suo sguardo e incrociò una bambina dai capelli violetti che chiacchierava animosamente con il loro addestratore. Lei, “quella strana”. La vampira simile a Maximilian.

Hassan gli si avvicinò e gli sussurrò all'orecchio: « Va da lei, Max! Chiacchieraci un po’, scopri se sa qualcosa su di voi... sai, ecco... hai capito! »

Max gli sorrise e annuì, allontanandosi da Hassan di qualche passo. Poi lo guardò, torcendosi le mani e deglutendo, e allora anche Hassan gli sorrise, urlandogli contro « Scemo, e sbrigati! Ho fame, oggi! »

« Guai a te se non mi aspetti. Vado, vinco e torno. » soffiò Maximilian, iniziando a camminare verso la bimba. Violet lo aspettava lì, immobile e rigida, pronta a spiegare quella notizia che le aveva per sempre cambiato la vita.

Maximilian le si parò davanti, cercando inutilmente di sorridere, indeciso su cosa dirle. La bambina alzò un sopracciglio, gli prese il braccio e se lo trascinò per il campo, uscendone fuori.

Il vento spirava leggero e fresco, ma i vampiri non sentivano quel ristoro dopo una calura opprimente, loro erano incuranti a quelle sottigliezze che non li intaccavano nemmeno. Violet guardò il terreno ricoperto da erba un po' ingiallita e preferì rimanere in piedi, piuttosto che sporcarsi la sua costosa gonna bianca; Maximilian la imitò, desideroso di potersi muovere.

« È strano che tu sia nato. » mormorò lei, stupendo Max « Vorrà dire che parteciperai attivamente al declino degli esseri umani, mi sa. » affermò fra sé e sé, cercando di spiegarsi il perché di un nuovo Dannato.

« Non ti capisco. » disse Maximilian, confuso. Le frasi di Violet non avevano senso logico!

Violet gli scoccò un'occhiata obliqua con i grandi occhi ametista, poi parlò velocemente « Noi siamo portatori di sciagure, siamo stati designati come Dannati, e a causa nostra gli umani avranno sfortuna. Siamo marchiati da questi insoliti colori, vedi? » disse sbrigativa indicando i suoi capelli blu.

Odiava dover spiegare le cose, le persone potevano informarsi da sole! Però i Dannati non si trovavano sui libri, o nei discorsi frequenti della gente, quindi poteva perdonarlo per la sua negligenza. « Sei qui per chiedermi questo, no? »

« Io volevo solo sapere perché siamo diversi! Non c'è bisogno di fare così... di essere così autoritaria e seccata. » sibilò Maximilian. I vampiri che avevano quell'atteggiamento gli davano terribilmente fastidio. « Quasi come se non fossi degno di parlare con te. » concluse lui.

« In effetti non lo sei, e dovresti pure usare il Lei con i vampiri più anziani di te. Ma farò un'eccezione, visto che mi stai simpatico. Sarà che sei diverso anche tu, non so. » affermò la bambina, incamminandosi verso l'accampamento « Ah, il mio nome è Violet. » disse infine, dileguandosi fra le tende.

Maximilian scosse la testa, stranito, e tornò da Hassan, pronto a bere il sangue di un'altra di quelle belle ragazze succulente che si trovavano nei villaggi lì vicino.

*

 

 

52-Donne

Il vento estivo rinfrescava ben poco la cittadina, circondata dall’afa di inizio agosto. Una donna, sulla quarantina, camminava con lo sguardo spento e gli occhi gonfi, pieni di pianto e disperazione.

Lei non poteva ancora crederci, non ce la faceva. Eppure era di nuovo passato il diciotto luglio, lei aveva compiuto gli anni e... un singulto scosse la donna, che si ritrovò subito dopo a piangere in mezzo alla strada deserta.

Piangeva e continuava a camminare, andando avanti solo per forza d’inerzia, distrutta. Aveva i capelli castani e un po’ lunghi, raccolti in una coda di cavallo, e gli occhi – se pur pieni di lacrime – erano color nocciola, intelligenti.

Si fermò e si sedette su una panchina, guardando con leggero interesse una coppia che gli si avvicinava. Erano giovani e belli, quei due ragazzi: uno biondo, con gli occhi blu, e l’altra con dei capelli neri corti.

La ragazza si abbassò verso la signora, tendendo le braccia e stringendola a sé, mentre il ragazzo biondo rimaneva a guardarla. E lei ormai era “vecchia”, adulta... e sua figlia, la sua adorata figlia aveva la stessa età di quei ragazzi, così giovani.

« Signora, sta bene? So che per lei questi sono giorni... strazianti. La capisco. » le sussurrò dolcemente la ragazza all’orecchio, cullandola nell’abbraccio.

« Maria, oh Maria... grazie. » mormorò lei, aggrappandosi alla giovane e alzandosi dalla panchina, lasciando che le lacrime si asciugassero da sole « Maria, lo so che mi comprendi. Era la tua migliore amica, in fondo, no? » disse con voce strozzata la madre di Sofia.

« Si, lo era. » rispose lei, con voce un po’ rotta. Aveva odiato la sua migliore amica, con tutto il suo cuore. Perché... perché era scomparsa?

Perché se n’era andata, era sparita? Era viva o morta? Lei sentiva ancora la sua mancanza?

Sofia... non doveva andare in quel modo.

Eppure era accaduto. Di colpo, come un soffio improvviso di vento che ti scompiglia i capelli, distruggendoti la pettinatura che avevi fatto con cura ed impegno. Lei era volata via, scomparendo da tutto e da tutti, lasciando solo cuori straziati dietro di sé.

Probabilmente non era colpa sua. A 11 anni non scappi di casa né per amore né per voglia di libertà. A 11 anni sei ancora piccola, dolce, infantile, spensierata.

Chissà dov’era, se c’era, se li pensava.

Maria deglutì a vuoto, stanca, e guardò Rosa, debilitata e sfiancata. Era l’ombra della bella donna di un tempo, solo un riflesso della madre di Sofia. Perché ormai Sofia non c’era più, e si era portata con sé il cuore di quella donna.

« Ma ora non stia qui, al caldo. Che ne dice di un bel gelato? » affermò con dolcezza Maria, cercando di essere gentile con la donna, comprendendo che era giusto fare così. Guardò con eloquenza il suo ragazzo, il bel biondino, che si defilò subito, baciandola sulla guancia e salutando le due.

« Va bene... Maria. » biascicò Rosa, iniziando a camminare verso un bar lì vicino, affiancata subito dalla ragazza mora, che sorrise mestamente e la prese per mano.

Loro si potevano capire, pur avendo età differenti. Maria aveva nuovi amici, ma la bambina che le chiedeva aiuto per i compiti, quella che l’abbracciava di slancio, quella con cui divideva la merenda le era rimasta impressa nel cuore, per sempre.

Sofia era stata una parte importante della vita di quelle due donne.

*

 

 






Fra poco arriverà l'azione *___* Finalmente! xD Non se ne poteva più di sto mortorio, che però ci doveva essere è.é
Sto scrivendo il 53, in questi giorni, e cercherò di fare più in fretta, se no intanto invecchiamo! XD
Ringrazio i preferiti, lettori, recensitori
In particolare mikybiky (grazie mille *__*), 3mo_is_love (Benvenuta *-* XD Adam è romanticone fino a un certo punto, perché se diventa troppo dolce inizio ad odiarlo xD Grazie *^*) e lisettaH (tesoro, grazie! Ti adoro ^.-)

Pubblicizzo anche:
N e v e r L a n d
Il sito mio e di LisettaH dove posteremo le storie, le curiosità, i disegni... *-*


A presto!! Commentate recensite apprezzate. E' il sale della vita di Kò, ergo fatelo, perché se no sta ragazza sviene! xD Grazie +.+

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Capitolo 25
*** L'arrivo e l'inizio | Addio ***


C'è l'azione, l'azione! Finalmente un po' di movimento in questa storia!
XD
Buona lettura, va!

Questi capitoli li dedico a Costanza.
Finalmente ci vedremo, tesoro
Mi sei mancata tantissimo.


53-L'Arrivo e l'inizio

« Bene, vedo che siete pronti. » esclamò il capo della spedizione, facendosi sentire da tutti i vampiri, con Violet affianco che giocherellava col suo orsacchiotto.

Un centinaio di persone lo ascoltò con attenzione, volgendo lo sguardo verso il capo, che fece un colpetto di tosse e iniziò a parlare: « Fra qualche minuto partiremo, diretti alla villa bianca che sta a sud da qui, dove dovremo sbrigarci e catturare i positivi. Gli altri possono anche morire. »

I vampiri annuirono in silenzio, concordando il piano semplice ed efficace. Sapevano tutto: quante guardie facevano il perimetro, chi poteva entrare, dov'era posizionato il cancello, quanto positivi vi erano e chi era più forte, i cinque soldati di cui tre positivi che controllavano la villa...

Erano pronti, macchine da guerra con una stessa idea in mente, desiderosi di poter finalmente essere liberi di vivere senza aver paura del S.S.E.V., senza che gli umani governassero Aiedail. In fondo loro erano dei vampiri, perché farsi controllare da una specie inferiore quale gli esseri umani?

Hassan e Maximilian si sorrisero, stiracchiandosi e preparandosi a partire.

« Finalmente qualcosa d'interessante, mi stavo annoiando! » affermò Max contento, mentre il capo e Violet chiacchieravano e i vampiri posavano le tende negli zaini.

« Anch'io. » rise Hassan, prendendo la borsa scura e mettendosela a tracolla.

Ci fu un improvviso silenzio, qualche istante dopo: i cento non parlavano più fra loro, notando il capo in posizione. Hassan ghignò involontariamente, e partirono con uno scatto, veloci più di qualunque umano, avanzando nella foresta fino a quella villa bianca e barocca.

 

C'era già buio quando Sofia uscì dalla camera dei gemelli, al secondo piano della villa, che era piena di libri e giochi di abilità. Sbadigliò quietamente e salutò con la mano i bambini, già in pigiama, che si erano affacciati alla porta.

« A domani... » disse lei dolcemente. Se ci fosse stato un domani, ma questo né lei né i gemelli dai capelli quasi bianchi potevano saperlo. Così Sofia camminò felicemente nel corridoio semibuio, ripensando alla giornata passata e ad Adam, che si era comportato in modo ambiguo quel giorno.

A momenti era distante, a momenti la stringeva fino a farle male, quasi come se... se poi lei sarebbe potuta scappare, scomparire come una figura evanescente, sciogliersi al sole.

“Forse aveva paura lui di svanire, non so...” pensò con stanchezza Sofi, sbadigliando nuovamente.

Scese le scale larghe, di marmo bianco con venature grigiastre, attenta a non scivolare, con gli occhi aperti per forza di volontà. Raggiunse il piano terra, dove sgusciò fuori dal portone, godendosi l'aria fresca e frizzante della sera.

La luna era grande, piena, tonda nel cielo scuro e pieno di stelle; Sofia si trovò a sorridere, pensando a sua madre e quando, le sere di plenilunio, uscivano sul terrazzo e guardavano quel satellite bianco, chiacchierando del più e del meno. Chissà come stava.

Si diresse al cancello senza fretta, canticchiando sottovoce, dove una guardia aspettava diligentemente la fine del suo turno. Sofia lo salutò con un cenno, mostrando il pass che teneva in tasca, uscendo dalla villa bianca.

“Almeno lei sarà salva... se solo avesse preso le pillole, in questo modo potrebbe essere percepita da qualcuno.” pensò Adam, nascosto nel bosco dietro la guardiola. Sbuffò piano, continuando ad osservare l'uomo che a breve avrebbe ucciso.

Adam ghignò.

 

Hassan e Maximilian correvano, affiancati dagli altri vampiri, con un sorriso di felicità che solo la libertà, quella portata dalla corsa ad alta velocità, poteva dare. Rallentarono un poco, fermandosi del tutto un minuto dopo, fra gli alberi alti del bosco.

Il capo e Violet si voltarono verso sinistra e anche i cento li imitarono, guardando le mura alte e grigie che circondavano la villa bianca, la strada che collegava il cancello all'esterno.

Adam, all'interno, percepì i suoi compagni, scattò veloce in avanti, mentre i suoi capelli diventavano scuri e gli occhi scarlatti, e aprì la bocca, mordendo la pelle della guardia. Poi tappò velocemente la bocca della vittima con una mano, e con l'altra gli prese il collo, stringendo leggermente e rompendogli le ossa, lasciandolo cadere a terra. Aprì il cancello con facilità e uscì fuori dalla mura, dove loro lo aspettavano.

Da una parte c'erano quei cento vampiri ancora calmi, dall'altra Adam trasformato, già in preda alla follia della morte, dell'assassinio, del sangue. E dietro di lui una villa bianca, nascosta dagli alberi folti e dall'oscurità, piena di persone ignare che dormivano pacificamente.

*

 

 

 

 

 

54- Addio

Sofia entrò nella casa piano, sospettando che Ginger fosse già a letto, salì le scale e si fiondò sul letto, pronta a farsi una bella dormita.

Si tolse la canotta e i pinocchietto, infilò la camicia da notte estiva e si lavò i denti, poi si coricò sul lenzuolo pulita, certa che si sarebbe addormentata di lì a poco. Dopo qualche minuto passato a girarsi nel letto, si rialzò di scatto, mettendosi a sedere sul materasso. Era incredibile! A volte aveva così sonno e poi, appena si era coricata, gli passava tutto e si sentiva sveglia e fresca.

Stiracchiò le braccia e cominciò a camminare per la stanza, il sonno le sarebbe arrivato presto. Prese un libro e iniziò a sfogliarlo senza passione, indifferente, poi sbuffò e lo chiuse con un colpo secco.

« Ahhh! Basta! » sbraitò, dirigendosi verso l'armadio e prendendo i primi vestiti che le capitarono a caso « Ora vado a parlargli! » mormorò verso il quadro di sua madre.

Non si era potuta addormentare perché si era ricordata che, poche ore prima, Adam gli aveva sussurrato una cosa, così piano che per poco non era riuscita a sentirla, lontana com'era, e a cui lei non aveva fatto troppo caso in quell'istante. Ma ora, a sera inoltrata, quel ricordo gli era riaffiorato, conscia che si poteva realizzare di lì a poco. Lo sentiva, era il brivido che percorreva la sua schiena ogni qualvolta che stava per accadere qualcosa di spiacevole.

 

Sofia distese le braccia, circondando il collo di Adam, e poggiò il volto chiaro sulla sua spalla, socchiudendo gli occhi color nocciola. Respirò piano, inspirando quel buon odore del vampiro, che le ricordava un po' quello dei fiori. Aveva la parvenza della freschezza e della pulizia, non che qualcosa di gelidamente bello.

Adam piegò le labbra verso il basso, sofferente, e le passò una mano fra i capelli castani sciolti sulle sue spalle da ragazza. Sospirò impercettibilmente, ricambiando il suo abbraccio, e la strinse forte, inalando l'odore di Sofia, un miscuglio fra sangue e il buon profumo della pelle umana, finché lei non sussurrò « Mi fai male, così... »

Lasciò la presa serrata, sorridendo stentatamente. Si era aggrappato a un'umana, tanto forte da poterle quasi spezzare le ossa, se non l'avesse avvertito. Lui, il vampiro. Si era mostrato scostante, quel giorno, combattuto dentro di sé fra il nuovo arrivo dei vampiri e Sofia, che lo stava fissando in quel momento con naturale curiosità.

Ghignò falsamente, la baciò sulle labbra morbide e calde, poi si allontanò di un passo.

« Vado in camera, ho un po' di cose da fare. Ci vediamo domani, va bene? » chiese con voce distante, cercando di sorridere. Lei annuì piano e lo salutò, incamminandosi verso la villa per incontrare la villa.

Fu un attimo, un istante veloce in quei Adam si lasciò sfuggire un « Addio. » triste, così piano che fu certo che lei non lo avesse sentito. In effetti lei non se n'era accorta, ma le sue orecchie e il suo cervello l'avevano percepito, tenendo per sé l'informazione.

Sofia aveva continuato a camminare, e Adam aveva sorriso - quella volta sinceramente - a quella figura di spalle che stava entrando nella villa, sicuro che quella notte non avrebbe fatto avvicinare nessuno alla casa di Ginger e Sofi.

Purtroppo non conosceva bene l'indole di Sofia di andare a cacciarsi nei guai, seguendo stupidamente il suo cuore.

 

Sofia rabbrividì un istante per l'aria fresca della notte, anche se erano ad agosto si trovavano sempre in un bosco e quando calava il sole tornava una temperatura normale. Camminò nel buio, pensando a Ginger... se si fosse svegliata e non l'avesse trovata nel letto sarebbe stata una brutta storia e una ramanzina piuttosto lunga. Era proprio come una madre.

Finito il sentiero di ciottoli bianchi, iniziò a percorrere quello della villa, più grande e sterrato, tendendo le orecchie. Sentiva qualcosa, dei rumori venire da oltre le mura, urla, schiamazzi. Rumori di battaglia che lei ancora non conosceva, essendo vissuta in una zona pacifica dell'Impero.

Avanzò cauta fino al cancello, entrando nel bosco della villa e si tappò la bocca per non urlare. La guardia... era a terra, con la testa in una posizione innaturale e del sangue secco sul collo, illuminato dalla luna bianca e tonda. Sofia sbarrò gli occhi, indietreggiando istintivamente. Chi poteva aver fatto quella cosa orribile?

Si fermò un attimo, incerta su cosa fosse giusto fare, poi pensò che lì dentro, nella villa bianca a pochi metri di distanza, c'erano i gemelli, Elisabeth, Arthur... tremò per un istante e poi corse verso di loro, con una nuova forza che le riempiva il cuore.

Sofia raggiunse poco dopo il cortile, dove imperversava la lotta fra positivi e vampiri, che continuarono a scontrarsi senza accorgersi della sua presenza, finché un ragazzo dai capelli scuri e la pelle marrone le si avvicinò celere, affondando un pugno non troppo potente, che fece balzare via Sofi. Si fermò lì vicino, ansimante e preoccupata, e guardò quegli occhi rossi e spietati.

“Maledizione.”

*





Ahhhh... l'azione è il profumo della vita. Inizia la parte più "bella" di PB, quella più movimentata diciamo, perché inizia la battaglia... beh poi accadrà quel che accadrà, ma per ora, comunque, c'è movimento. Anche negli altri cap... e chissà perché mi viene più facile scrivere, più veloce, ci devo ragionare di meno, sapete?
Ovviamente non so descrivere scene di combattimento, ma cercherò di fare del mio meglio >.<
C M Q Adam se ne voleva andare, salvarla bla bla bla, ma Sofi è sempre Sofi °-° Essendo la protagonista non può che essere coraggiosa e altruista xD e curiosa, se no non si farebbe un cavolo.
A parte questo ringrazio i preferiti e i recensitori:
lisettaH Bentornata su EFP, tesoro! "Scrivi meglio ogni giorno che passa <3" se lo dici tu... xD Grazie! E anche tu sei la mia shory, spero ti piacciano anche questi cap di cui avevi letto in anteprima il flashback! Un bacio *^*
mikybiky: Sono ritornata u.ù Anche perché ho pronti altri due cap quindi potevo aggiornare benissimo *-*
Sì, è il carattere di Violet, diciamolo XD
"però sono curiosa di sapere se nel giorno in cui Sofia è scomparsa la madre aveva da dirle una cosa veramente importante"... nella fase iniziale, in terza media, la storia aveva qualcosina di diverso e c'erano più cose tipo: Sofia eroina del mondo, bla bla bla; per fortuna ho accantonato le idee. Era il periodo delle supereroine mi sa... mmm, però non ci ho mai pensato su quello che lei doveva dirle, ci ragionerò su xD
Grazie mille, un bacione ^*^


Recensite e mi renderete felice, felice, felice. Che vi costa perdere due minutini e rendermi felice? Non è una buona azione? XDDD
Insomma, cliccate lì sotto e ditemi cosa ne pensate, sono curiosa.


A presto, Kocch

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Capitolo 26
*** Scappa! | Fragments of war ***


55-Scappa!

Hassan e gli altri entrarono silenziosi nella villa, superando la guardia morta e il boschetto prima del palazzo bianco. Non c'era alcun rumore, oltre qualche fruscio che proveniva dagli alberi, e la luna illuminava a giorno nella sua pienezza, rendendo visibile tutti i particolari del cortile.

Entrarono con naturalezza, attenti a non far rumore, scivolando sinuosi per i corridoi, seguendo la scia dolce del profumo di umani. Adam li guidò su, per le scale, fino al primo piano, facendo introdurre un vampiro in ogni stanza.

Hassan seguì la chioma bionda del vampiro “superiore”, entrando in una camera a sinistra, dove riposava quietamente una donna sulla trentina. Senza farsi sentire si avvicinò e la bloccò con le mani, prendendola in braccio e scendendo in fretta le scale, per portarla al capo.

La donna non si svegliò neppure quando venne trasportata dall'altro lato della villa, dove c'era un altro ingresso e delle carrozze aspettavano i “superiori”. La lasciarono in uno degli scompartimenti, ricoperto di tessuto verdastro e ripieno con un'imbottitura scarsa.

Hassan vagò nel cortile, tornando verso la villa bianca, ma delle luci si accesero in alcune stanze, qualcuno si era svegliato.

Due piccole ombre scapparono da una finestra, sfuggendo al vampiro che li inseguiva, saltando dal secondo piano e fluttuando fino ad atterrare senza problemi in cortile. Ma lì c'erano ancora più nemici: Hassan e qualche vampiro intento a trasportare quei positivi che si erano fatti prendere senza problemi.

Le due piccole ombre si avvicinarono, stringendosi fra di loro, pronti all'attacco. Nessuno si mosse, così fu Hassan a incamminarsi verso i due, con passi lenti e lo sguardo rosso calmo.

I bambini tremarono, vedendo quel vampiro più alto di loro avvicinarsi inesorabile, forte e selvaggio nei suoi capelli scuri mossi dal vento. I gemelli si guardarono negli occhi chiari, azzurri e dilatati da una crescente paura, cercando di tranquillizzarsi.

In alto la luna guardava divertita la scena, accarezzava con i suoi raggi il cortile, distante da tutto. Rupert e Ryan prepararono i loro muscoli a una corsa spericolata, decisi a vincere, e Hassan - con velocità sovrannaturale - si piegò in avanti tendendo le mani, per prenderli dalle esili braccia.

Ma loro sogghignarono e si spostarono insieme, rendendosi irraggiungibili, e fuggirono nel bosco della villa, inseguiti dal vampiro. Correvano a perdifiato.

Per la vita, per la loro vita.

Ryan e Rupert ragionavano velocemente, intrattenendo il vampiro con la corsa, utilizzando tutta l'intelligenza sviluppata grazie alla loro vitamina in più, cercando una soluzione. Una trappola. Qualcosa che fermasse quella macchina da guerra e morte.

Ma cosa potevano fare? Non potevano certo tirargli un globo di fuoco in testa, come faceva Golear nell'Epopea, non avevano quei poteri; loro potevano correre e colpirlo tanto forte da spezzarlo, ma lui sarebbe stato più forte e preparato.

« Ryan scappa! » mormorò Rupert in un solo soffio, parlandogli vicino, correndo ad altissima velocità mentre Hassan cercava inutilmente di acciuffarli.

« Eh? » sbraitò l'altro non capendo.

« SCAPPA! » urlò Rupert, fermandosi di botto dalla corsa, lasciando che Ryan continuasse per alcuni metri fermandosi poco dopo, allibito.

Rupert serrò i pugni, gli si avvicinò e con forza lo spinse via « Ti ho detto di scappare. Che cosa aspetti, che sorga il sole? » gli ordinò duramente il bambino « Va via. Non ti voglio! » sbraitò veemente, colpendo il tasto giusto, intanto che Hassan lo raggiungeva, fermandosi a guardarli.

Ryan strinse gli occhi inviperito, mormorando un « Okay, ci vediamo all'inferno. » e scappando via. Hassan scattò verso di lui, ma un piccolo pugno deciso lo fermò a mezz'aria.

Rupert alzò gli occhi azzurri chiaro, con un'espressione decisa. Era suo fratello quello più maligno, ironico e strafottente, lui era più gentile e sensibile, ma nessuno... nessuno poteva toccare Ryan senza il suo permesso.

« Tu di qua non passi. » disse il bambino di soli otto anni, cresciuto troppo in fretta a causa della vitamina e di quella notte strana.

Hassan ghignò piano, avrebbe vinto lui.

 

Tornò nel cortile con un bambino sottobraccio, un graffio sul volto e i capelli spiegazzati. I bambini a volte potevano essere davvero delle pesti, ma erano ancora troppo deboli per ferirti. Così Hassan diede al capo quel bimbo biondo e guardò per un lungo istante i combattimenti e le urla in quello spazio lastricato di bianco. Combattevano i positivi, svegliati dal letto e buttati nell'incubo.

A volte anche un vampiro poteva provare pietà, ma Hassan serrò i pugni e strinse i denti appuntiti con forza, voltandosi da un'altra parte.

C'era una ragazza nel sentiero che avanzava verso la villa, i capelli castani si muovevano ondeggiando e i suoi occhi marroni erano sbarrati, troppo pieni di immagini di lotta. Era lì, ferma e immobile all'inizio del cortile, a guardare come lui i vari combattimenti, mentre la speranza per gli umani diminuiva.

Hassan la guardò spietato, deciso a vincere, e scattò in avanti, tirandole un pugno non troppo forte che la fece balzare via. Si fermò lì vicino e guardò preoccupata i suoi occhi rossi, lampeggianti.

Sofia si sforzò di rimanere calma e piegò un po' le gambe, preparandosi a saltare. Spinse i piedi, cercando di andare non troppo in alto, affondando le mani serrate, per colpirlo.

Lei non sapeva combattere.

Hassan schivò all'ultimo istante, ma Sofia prontamente tirò un calcio puntando alla pancia, mettendoci tutta la forza che possedeva. Non poteva perdere, doveva trovare gli altri...

Gli occhi rossi la squadrarono un istante, poi il vampiro balzò verso di lei, catturandole il collo con le mani scure, stringendo forte.

Era quello combattere con un vampiro: qualcosa di davvero incredibile, veloce, scattante, pericoloso. E pur avendo battuto Adam, quella volta non vedeva via di uscita.

*

 

  

 

56-Fragments of war

Ryan correva a perdifiato, dopo aver scavalcato le alte mura con i suoi poteri, scappando da quella villa, dove si presagiva la morte o qualcosa di ancora peggiore. Si fermò solo dopo aver percorso qualche chilometro, accasciandosi sull'erba bagnata dall'umido della notte.

Spalancò gli occhi cerulei verso la villa, che ormai non si vedeva più ma ricordava in posizione nord/est, e ripensò al suo gemello, che era rimasto lì a combattere.

“È proprio uno sciocco!” pensò repentinamente stringendo i pugni “Ora è lì, in pericolo, e io... io sono qui, salvo. Forse dovrei tornare.”

Ryan si accovacciò, poggiando la testa sulle ginocchia.

Cosa doveva fare? Era abbastanza coraggioso per andare di nuovo in quella villa, a combattere?

“No, non lo sono” pensò tristemente fra sé e sé “Però lui è mio fratello. E se prendessero anche Sofi?!”

Ora doveva solo trovare la forza per alzarsi da lì, perché non bastavano quei pensieri a smuoverlo.

Inspirò lento, facendo un gran respiro, e poi si spinse alzandosi. Anche se suo fratello aveva detto « Scappa! » lui non gli avrebbe obbedito. Se poteva fare qualcosa l'avrebbe fatto.

 

Due vampiri entrarono silenti nella camera dei quattro soldati, che dormivano beati nei loro letti: uno biondo, due scuri... ma il quarto dov'era?

Daniel li sorprese da dietro, urlando per svegliare i compagni, attaccandoli con una spallata dritta nella schiena. I due vampiri si voltarono irritati, mostrando i denti bianchi lucenti e affilati, pronti a combattere in quell'angusto spazio. Il soldato ghignò e prese la sua spada d'argento; non avrebbe di certo combattuto senza armi!

Anche Jack si era svegliato, avendo un sonno piuttosto leggero, e anche Logan stava bisbigliando qualcosa di simile a un « Ma andatevene a dormire, cretini » che fece sorridere il compagno, ma Francis era nel mondo dei sogni, beato come un bambino. Il gigante scese dal letto, andando a svegliare il biondo, mentre Daniel inseguiva i due vampiri per il corridoio.

« Tanto vi prendo! » urlò sadicamente il positivo.

Francis si scosse dal sonno, sbadigliando e alzandosi di malavoglia, seguito da Logan poco dopo.

« Che c'è di tanto importante? È morto qualcuno? » chiese il biondo, prendendo l'arma che gli passava Jack.

« Non saprei, però siamo attaccati da vampiri e direi che è l'ora di svegliarsi e lavorare. » sorrise il gigante, passando un kit ben fornito per l'alchimista. « Andiamo, va! »

I due annuirono e uscirono in corridoio. « Prima controlliamo se Eli sta bene. » disse preoccupato suo fratello, spalancando la porta accanto alla stanza dei maschi.

Elisabeth troneggiava su una ragazzina quindicenne dagli occhi rossi come braci, stesa a terra e bloccata con una delle possenti gambe della rossa.

« Ciao. » esclamò con noncuranza, mentre Logan si precipitava dalla vampira, faceva velocemente un cerchio alchemico, bloccandola. Non si sarebbe potuta muovere nemmeno con tutta la sua forza, fermata da bracci di argento che la stringevano forte al pavimento.

I quattro si guardarono e uscirono dalla stanza, pronti alla vera battaglia. Quello era stato solo il risveglio.

 

Sofia aveva battuto Adam perché lui l'aveva sottovalutata e perché lei era decisissima a sconfiggerlo, mossa dall'istinto di sopravvivenza e anche dalla paura. Ma ora, mentre Hassan la stringeva, era troppo occupata a pensare se gli altri erano vivi, a vedere se combatteva qualcuno che lei conosceva bene e se Rupert e Ryan erano lì, oppure li aveva già catturati.

Non poteva concentrarsi sulla battaglia, pensando a tutto quello, e così si era condannata. E poi Hassan era ben addestrato e anche se lei non prendeva più la pillola arancione, non aveva mai combattuto. Se si concentrava però... aveva sconfitto un “superiore”...

Ma le mani la stringevano inesorabilmente, facendola annaspare alla ricerca d'aria e non poté che arrendersi: « Ba... basta ti prego. » mormorò con un filo di voce.

Hassan allentò la presa, stringendola alla vita con forza, per non farla scappare. Sofia si mostrò docile e buona, si fece condurre verso le carrozze, che la aspettavano nel buio della notte, fu affabile, salì con un piede sul mezzo, poi... diede una gomitata ad Hassan nella pancia, vicino com'era per stringerla e non farla fuggire via. Ma lei non voleva farlo, desiderava solo tornare alla villa.

Colpì con precisione, affondando con il gomito nei duri muscoli, scese con un balzo e corse più velocemente possibile verso la villa, irraggiungibile per lui che era solo un normale vampiro. Doveva vedere con i suoi occhi, Sofia voleva scorgere due piccole figure bionde che combattevano decise, un uomo negativo che in qualche modo viveva, una ragazza dai boccoli rossi troneggiare sopra un mucchio di vampiri... una chioma bionda fra di essi, gli occhi blu mare sorridenti, intatto.

Adam centrava probabilmente qualcosa con loro, ma lei non voleva pensarci, non ci credeva così, in fondo era solo una sua supposizione.

Arrivò nel cortile dove Daniel stava infilzando un vampiro, con precisione e forza, ed Elisabeth correva veloce fra i focolai di lotta, dando qualche colpo deciso ai nemici, con accanto Francis che faceva la stessa cosa. Jack fronteggiava una vampira, mentre Logan preparava un cerchio alchemico. Almeno loro erano vivi.

Sofi entrò senza farsi notare nella villa, diretta allo studio del professore, proprio come quel giorno quando era iniziato tutto, dimenticandosi di prendere la pillola. Aprì la porta e vide Arthur piegato sotto la scrivania, raccolto su sé stesso e tremante. I vampiri non l'avevano toccato, per fortuna.

« Professore sono io! Esca fuori che la porto da Ginger, lì dovrebbe essere al sicuro. » disse Sofia avvicinandosi e facendolo uscire dal nascondiglio, provato. Arthur annuì stancamente e insieme uscirono da una porta laterale, inoltrandosi nel bosco.

« Io devo trovare i gemelli e Adam, lei continui su questa strada e stia attento. » mormorò piano la ragazza, all'orecchio del professore, che la strinse forte ringraziandola.

« Ho la sensazione che non ci rivedremo mai più, Sofia. » sussurrò Arthur, con tono preoccupato.

« Che dice! Certo che ci rivedremo, dopo che questa battaglia sarà finita io tornerò a casa e lì ci incontreremo e faremo colazione insieme. » ribatté Sofi immaginandosi la scena: lei, Ginger e Arthur, come una vera famiglia.

« Io non credo... sarò pessimista, non lo so, ma lo sento dentro, Sofi. Sta attenta a non fare la scelta sbagliata. » disse infine, incamminandosi verso la casa di Ginger. Sofia scosse la testa, incredula, e tornò alla villa più lentamente del dovuto, ripensando a quelle strane parole.

Stava per uscire dal boschetto, dopo aver guardato con attenzione i combattimenti che ancora perduravano, quando qualcuno le tirò la manica, facendola sobbalzare.

« Ryan non lo fare mai più, mi è preso un colpo! Poi così, di notte, con la battaglia a pochi passi... » si lamentò infuriata la ragazza, mentre il bambino la ascoltava senza troppo interesse.

« Sei viva. » mormorò invece il gemello, con una vena di felicità nella voce. Sofi annuì sorridendo.

« E tuo fratello? » chiese lei, vedendo che era da solo, cosa piuttosto insolita.

« Non è in mezzo a quelli che stanno combattendo, quindi l'hanno preso. » soffiò iracondo Ryan, socchiudendo gli occhi azzurri tristemente.

Sofia sentì qualcosa spezzarsi, apprendendo quella notizia, e strinse di slancio il bambino, confortandolo e rincuorando anche sé stessa. Doveva andare tutto bene, Rupert era vivo, vivo, vivo. Non potevano lasciarlo lì, chissà cosa gli avrebbero fatto... Sofi poggiò il volto, inginocchiandosi, sul petto del gemello, sospirando con voce rotta.

Rupert... ma anche Adam. Adam dov'era?

*






Ave, miei cavalieri delal tavola rotonda °-° Il 56 è il cap più lungo di tutti quelli scrittixDD... comunque posto perché il 57 è pronto, quindi non dovrei tardare a fare il 58 e posso anche farlo *-*
Ringrazio i preferiti e i recensitori (L):
Nausicaa 212-> Ohh, bevenuta *_* XDD Grazie per non considerarmi una bimbaminkia *.* Sì, solo Sofi e Adam sarebbe proprio noioso xD Quindi roteo un po'. Rivelerò tutto, credo xD Grazie mille per il tuo commento, mi ha fatto molto paicere *_______*
lisettaH-> Shore tesorina *-* E basta con sti gemelli morti O__O *si incazza xD* E tu dici che vinceranno gli umani? Mmh... chissà *rotola* Non finirà così presto, PB xD Grazie mille
mikybiky-> Cara Silvia, ciao *w* la battaglia aleggiava da tempo, finalmente eccola qui! C'è ancora molto da fare prima che la storia finsica, ghgh. Beh, l'esito lo sapremo presto (nel prossimo cap)... grazie di tutto, cara!

recensite numerosi *-*
Kocch

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Capitolo 27
*** Nemmeno una speranza | Incubi ***


57-Nemmeno una speranza

Sentiva il profumo di positivo, quell'odore che li differenziava dai negativi, nella casa di Ginger. Anche da lì fuori lo percepiva, però... non riusciva a fiutare la sua presenza, Sofia non era lì.

Per esserne certo, Adam si avvicinò alla casa, balzò con uno scatto al primo piano, atterrando agilmente su un balcone, e entrò nella camera di Sofi, aperta per far entrare l'aria fresca.

Avanzò silente, non producendo alcun rumore con le sue scarpe, e volse lo sguardo al letto disfatto, dove non c'era nessuno. Solo la sua essenza profumata, ma quelle lenzuola erano vuote, e il quadro delle madre accanto sorrideva inflessibile, sapiente.

Adam sbarrò gli occhi blu mare, ringhiando piano, non sentito da Ginger che dormiva lì accanto, e poi saltò dal balcone, fuggendo da quella casa verso la villa bianca. Lei doveva essere là, se no... chissà, non poteva essere fuggita, e lui dopo aver condotto i vampiri era andato subito lì... quindi poteva solo essere alla villa, magari intercettata da qualche “superiore”.

Corse, Adam, più veloce possibile, sino a raggiungere il cortile, dove ancora qualcuno combatteva testardo: c'erano ancora in piedi i soldati, più addestrati e valorosi degli altri positivi, che stringevano fra le mani le spade.

Ma Sofia non c'era, intenta a una missione di salvataggio con Ryan, e Adam si trovò catapultato nella lotta, ma Elisabeth non lo colpì, riconoscendolo, e si fermò a chiedergli « Ehi, stai bene. Scappa finché sei in tempo e... Sofia? »

Eppure anche Adam era un vampiro, ma non la fermò nella sua battaglia e lasciò che la rossa non avesse risposta, correndo via verso le carrozze.

Lì Sofia e Ryan stavano cercando il gemello, posto su una di quei mezzi, in fretta, cercando di non farsi notare troppo.

« Dov'èèè! » sbraitò Ryan non trovando Rupert da nessuna parte.

Sofia gli tappò la bocca, avvicinandosi a un'altra carrozza e aprendola con attenzione. Vide una testa bionda chiaro e sorrise di gioia, ma una mano la bloccò, stringendola sulla spalla.

Sofi si voltò, mentre Ryan veniva scaraventato nella carrozza sul gemello svenuto, cadendo malamente. Sbarrò gli occhi nocciola, ritrovandosi davanti un vampiro dai capelli stranamente blu elettrico.

« Dove credi di andare? » mormorò gelidamente Maximilian.

La prese dai fianchi e la fece entrare con forza nella carrozza, chiudendo poi la porta e salendo al posto del guidatore.

 

Adam vide solo le carrozze, ma nessuna testa castana era lì in mezzo, ed ormai era ora di partire, i soldati si erano ritirati fuggendo, non c'erano più umani a combattere. Affiancò una dei calessi, guidati ognuno da un vampiro, e corse con i cavalli, attento che i positivi dentro le carrozze non uscissero o provassero a scappare. Lì scortava, pronto a delle ribellioni e fuggite improvvisate.

Sospirò flebilmente, accompagnando quei positivi alla loro prigione.

 

Elisabeth e Francis, madidi di sudore e sporchi di sangue, arrancarono fino alla casa di Ginger, con alle spalle Jack, Logan e Daniel stanchi quanto loro. Arthur era arrivato poco dopo che Adam aveva corso verso la villa, e ora era sulla porta, a bussare inutilmente. I soldati si coricarono accanto a lui, sul viottolo di ciottoli bianchi, troppo sfiancati per fare altro, chiudendo gli occhi lentamente.

Rivedevano ancora le immagini di pochi istanti prima, i vampiri, i denti bianchi e affilati, il sangue, i positivi portati via. Scorrevano nei loro occhi come un fiume in piena, irrefrenabili. E il messaggio era un solo: avevano fallito miseramente.

*

 

 

 

 

 

58-Incubi

Elisabeth e Francis si addormentarono abbracciati, come facevano da bimbi, sognando le medesime cose.

Erano ancora piccoli, lei dai boccoli rossicci e lui ancora più biondo, e correvano fra il grano, ma sul loro volto non c’era felicità, bensì paura. Scappavano da vampiri, scuri e senza volto, indefiniti nella loro mortale veste nera.

Ed Elisabeth e Francis erano terrorizzati... quella non era la realtà, loro da bimbi non avevano mai visto vampiri, ma... era tremendo.

Potevano solo fuggire via. Come codardi. E non avrebbero mai potuto vincere.

Elisabeth e Francis si mossero nel sonno, stringendosi forti, impauriti. Era un incubo terribile.

 

Lì accanto Logan non se la passava meglio, addormentato con il volto su un braccio di Jack. Tremava, perfino, rivedendo suo padre che gli parlava aspramente.

C’era caldo ed erano nello studio del genitore, Logan con la sua treccia lunga sulla schiena e gli occhi abbassati, suo padre con cipiglio austero. Lo guardava con astio.

« Padre... »

« Logan sei un vero fallimento. Io avevo delle aspettative su di te, e tu mi hai profondamente deluso. »

Il ragazzo sentì un groppo alla gola, che premeva e non gli faceva respirare... avevano perso, era stato sconfitto... e suo padre ora cosa avrebbe fatto?

 

Jack piegò la testa con uno scatto, sbuffando nel sonno. Vedeva Logan morto, eppure era certo che era accanto a lui e si era salvato nella battaglia.

C’era sangue sparso, e Logan aveva ancora una lunga treccia di capelli neri, gli occhi castani chiusi per sempre.

I vampiri erano scomparsi, Elisabeth e Francis stavano parlando, Daniel gli era accanto e cercava di confortarlo.

Ma il suo compagno di sempre era morto, immobile, senza vita. Come poteva fare ora?

Per cosa avrebbe combattuto?

 

Daniel era accanto a Jack, distante da lui solo pochi centimetri, ed era l’unico a sognare qualcosa di piacevole.

Vedeva, nella neve che vorticava bianca, un cappotto rosso da donna. La ragazza che lo indossava gli sorrideva e lo chiamava con il suo accento nordico.

Lui si avvicinò e l'abbracciò felice, finalmente la poteva rivedere.

Ma questo significava che la guerra era finita... ma chi, chi l'aveva vinta?

 

Arthur aveva smesso di bussare invano e ora dormiva poggiato sulla porta.

C'erano Juliet e Ginger che chiacchieravano prendendo un tè. Erano buone amiche, l'una sempre bellissima ed eterna, l'altra invecchiata ma con un viso carino e gli occhi gentili.

Chi delle due?, gli sussurrava una voce fastidiosamente nasale nella mente.

Chi delle due, Arthur?

Chi? Chi, chi?

Il professore gridò e la visione scomparve.

 

Dormivano tutti, stanchi, scossi, distrutti. Con la consapevolezza nel cuore che tutto era diverso, dopo quella notte. Che avevano perso e non c'era più nulla.

I cinque soldati cosa avrebbero detto ai loro superiori? Una sconfitta era pur sempre una battaglia persa, un disonore, e in questo caso dei positivi in mano del nemico.

Erano proprio messi male, e non solo la squadra 7, ma in generale. Il mondo che conoscevano stava crollando a poco a poco, per mano di bestie.

*







Mah... non mi convincono più di tanto, ma Lisa mi diceva di postare, quindi eccoli qui.
Dal prossimo spero di fare bene, perché capiteranno cose importanti ù.ù
I titoli dei cap già dicono tutto, eh! *-*
Ringrazio i 15 preferiti (vi amooo) e i recensitori che sono la gioia della mia vita (senza esagerare xD):
mikybiky-> Ciao Silvia! Divertiti al mare! *-* Grazie di tutto... e così la battaglia finisce, finalmente, lasciando strascichi di paura ù.ù A presto, allora! un bacio
Nausicaa212-> Anche a me piaccion le scen d'azione, ci volevano xD Grazie mille *-* un bacio!
lisettaH-> Shore tesorina! Visto che hanno vinti i vampiri? I gemelli sono viviiiiiii, e basta! xDD ù.ù E grazie *-* Un bacio!

Recensite numerosissimi ù.ù
Kocch

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Capitolo 28
*** Incontro | Dietro la foresta, sotto le rocce ***


59-Incontro

Gabriel si muoveva nervoso avanti e indietro, mentre la sua consorte lo guardava preoccupata. Ogni volta che attaccavano una nuova villa, lui diveniva impaziente, insicuro. Era da secoli che progettava la conquista dell’Impero, e... voleva che tutto andasse per il meglio.

Prima aveva dovuto convincere i suoi amici, trovarsi gli alleati, parlare a tutti i vampiri, sia negativi che positivi, e spiegare che sarebbe stato un’ottima cosa controllare Aiedail.

Niente più fughe, combattimenti, paura di coloro che in fondo erano solo prede. Gabriel li aveva convinti, appoggiato anche dal conte Aaron e qualche altro vampiro fra i più antichi. Si era messo a capo dei vampiri, organizzando la dipartita degli umani.

Era quello il suo destino, e il loro.

Incontrare Juliet era stato un imprevisto. Qualcosa che non si sarebbe mai aspettato, in effetti.

 

Gabriel socchiuse gli occhi, guardando lo spettacolo davanti a sé. C'era una folla di persone, al mercato mattutino, in cerca dell'offerta migliore. Lui era lì per incontrare un suo “amico”, gli doveva parlare.
Studiò con poco interesse la gente che gli passava accanto, alcuni adocchiandolo per la sua innaturale bellezza: donne anziane, bambini senza i denti da latte, uomini nullatenenti, donne di casa. Ad una di quelle cadde un pomodoro dal cestino, rotolando sul selciato.
Gabriel si chinò, prendendolo e porgendolo con indifferenza alla donna, che sorrise subito cortesemente. Era bella, bellissima, più di qualunque umana, e Gabriel pensò stupidamente per un attimo che poteva essere una sua simile, se non che le si imporporarono le guance di rosso.
Gabriel fece una smorfia, e lei si rattristò subito, non comprendendo. Non poteva provarci con un'umana.
Ma poteva chiederle il nome: « Come ti chiami? »
Lei esitò un istante, poi sorrise di nuovo: « Juliet, signore. »

E in quel modo si erano incontrati. Gabriel rimase incantato sin da subito dagli occhi verdi della giovane donna. Era una positiva, per giunta, quindi la sua preda preferita, la delizia per il palato.

Eppure ne fu affascinato, e la settimana dopo ritornò al mercato, fingendosi uno degli acquirenti abituali. Comprò patate, cipolle e anche il pane nero, solo per vederla. Era accanto a lui, con un sorriso gentile sul volto e le guance rosate d’imbarazzo.

Gabriel le offrì un pezzo di torta e iniziarono a chiacchierare. Del più del meno, discorsi senza troppa importanza che però li facevano ridere. Stava bene con lei, provava uno strano senso di pace... era la prima volta che non beveva il sangue a una positiva.

La bellezza l’aveva ereditata dalla madre, gli spiegò Juliet una di quelle volte che lui si faceva trovare al mercato. Anche lei aveva i capelli rossicci e la pelle chiara.

Gabriel si ritrovò a parlare con lei sempre più spesso. Aveva l’irrefrenabile voglia di vederla, fremeva se qualche giorno doveva sbrigare delle faccende e quindi non dirigersi a quel mercato.

Non aveva mai pensato di trovarsi una compagna. Le vampire che avevano mostrato interesse per lui non lo avevano mai entusiasmato.

Così un giorno le disse sottovoce, all’orecchio, quelle due fatidiche parole.

« Ti amo. »

Lei sorrise e poi fuggì via, incerta su cosa fare. Gabriel la fermò e gli spiegò tutto.

Tutto ciò che aveva in programma di fare, ciò che era, cosa lui poteva offrirle. L’immortalità.

Anche quella aveva un prezzo.

Juliet non sapeva più cosa fare... anche lei provava quello strano sentimento chiamato amore, ma non era giusto ne per Arthur che per il bimbo che aveva in grembo.

Eppure Gabriel era una sirena, con il suo canto ammaliatore e l’amore dalla sua parte, ed era troppo forte... da battere. Non ce l’avrebbe mai fatta.

Era egoista, alla fine, come tutti gli esseri umani. E così aveva sigillato quell’amore in un corpo eterno. L’immortalità poteva fare paura, a volte. Ma poi si ricordava che era impossibile tornare indietro.

 

Gabriel si sedette accanto a Juliet, e lei gli diede un bacio dolce sulle labbra, per rincuorarlo.

Cercava di farlo calmare con carezze e parole sussurrate in una triste canzone. Non c’era motivo di essere così nervoso. Avrebbero saputo presto l’esito della battaglia.

*

 

 

 

60-Dietro la foresta, sotto le rocce

Violet sedeva composta sulla prima carrozza, in punta e con lo sguardo d’ametista rivolto dinanzi alla carovana. Il vento le soffiava in faccia flebilmente. Guardò giù, dove Maximilian guidava il calesse con noia, e sorrise invisibile agli altri, più in alto di qualcun’altro.

« Continua in questa direzione per altri due chilometri. » gli disse Violet dalla sua postazione sopraelevata. Da lì, girandosi a guardare indietro, poteva scorgere le altre carrozze. Poco lontano vedeva una testa bionda... era da molto che non lo vedeva e non l’aveva ancora salutato.

Si alzò e si mise ritta sul tetto della carrozza, poi, con una piccola spinta, balzò su quella dietro, correndo veloce sino a quella scortata da Adam.

Scese con un salto accanto a lui, con un ghigno stampato sul volto infantile.

« Ciao. » disse.

Lui mugugnò qualcosa in risposta e continuò a puntare lo sguardo sulla carrozza accanto, pronto a movimenti sospetti da parte degli umani.

« Qualcosa non va? Hai svolto il tuo compito egregiamente... ci serviva una spia in una villa con così tanti positivi e tu ci hai dato le informazioni necessarie. Allora? » chiese lei.

Lui sorrise e gli passò una mano fra i capelli.

« Fai tanto la dura e poi, sotto sotto, sei dolce come lo zucchero! » ghignò Adam, trattandola come una bambina (qual era). Lei ringhiò sottovoce, dandogli un pugno nella pancia, poi salì velocemente sulla carrozza.

« Ti ho insegnato bene l’ironia e il comportamento dei vampiri. Ma tu hai qualcosa di strano... non mi hai guardato negli occhi, e sono certa che ci vedrei qualcosa, in quel blu mare. » soffiò lei, tornando poi alla prima carrozza, guidata da Maximilian.

« Fra poco gira a destra, troverai una stradina. » gli spiegò dopo qualche minuto. Il Dannato annuì e Violet rimase a guardargli la schiena, con lo sguardo fisso e la mente che vagava. Chissà cos’era successo ad Adam...

Nelle sue lettere scriveva solo quanti positivi erano, se c’era qualcuno più forte, i soldati, la piantina... null’altro, solo quello che interessava ai capi della missione.

Solo una volta aveva scritto a Violet una pagina personale, dove le raccontava delle giornate noiose passate lì, del suo problema con il sangue positivo, che lo tentava spesso. Accennava pure a una certa pillola arancione, voleva scoprirne di più... ma poi non le aveva detto di cosa si trattava.

Violet sbuffò. Alle volte era un mistero capire ciò che pensavano i suoi simili.

La carrozza entrò nel sentiero tracciato e scivolò veloce; Maximilian incitava i cavalli, per sbrigarsi ad arrivare alla meta.

Percorsero tutta la stradina, fino a trovarsi su uno spazio aperto, libero dai fastidiosi alberi della foresta che coprivano le stelle con le loro foglie. C’era una pianura rocciosa, di fronte a loro, più ad est della villa bianca e distante una decina di chilometri dal mare. La luna, che aveva visto la battaglia, riposava tranquilla nel firmamento, attorniata da piccole luci di varia intensità; tutto era calmo.

A prima vista quella era una pianura, ma c’era una cavità al centro. Quella era una cava, scavata anni prima alla ricerca di minerali preziosi. La vena si era esaurita e ora quello spazio era inutilizzato.

Al centro, in fondo alla cavità, c’era una grande struttura controllata da vampiri. Era così vasta da poter contenere tremila persone, quindi tutti gli umani positivi. La musica era cambiata e una nuova era sarebbe iniziata, questo ripeteva Gabriel nella sua mente.

E tutti i vampiri erano d’accordo con lui.

Gli altri umani sarebbero rimasti allo sbaraglio, divisi, sorpresi da quell’attacco. Prede per i vampiri dalla pelle scura come Hassan.

Le luci della struttura, composta da quattro edifici, erano accese ed illuminavano lo spiazzale. Violet fece un cenno ai compagni, che aprirono le porte delle carrozze.

Era l’ora, per i positivi, di vedere il nuovo luogo dove avrebbero passato la vita.

In un certo senso era meglio essere umani “normali”... almeno loro sarebbero stati allo sbaraglio, ma liberi di rifugiarsi in luoghi più protetti. Alcuni avrebbero potuto avere una vita normale e un po’ felice.

Ma i positivi, che erano un problema per la loro forza, erano condannati a stare in quel luogo.

*






Salve! In estate Pb non va mai in vacanza e quindi ecco un altro aggiornamento. Come al solito con titoli idioti (Liv me ne mandava un sacco ma non centrava nulla) e poi... boh °-°
Insomma fate voi.
Come sempre i cap non mi convincono al cento per cento, però... non saprei come farli meglio xD
Ringrazio i preferiti e i recensitori!
mikiybiky-> Eccoti tornata dal mare! Viva le tragedie greche! Purtroppo devi sapere che... io amo molto le storie drammatiche ç_ç Quindi credo che questo mi influenzerà anche su PB. W Ginger! E grazie *___* *abbraccia*
lisettaH-> Ohhh, shore >w< Buahahah... non doveva vederla, Adam ù.ù Il sogno di Daniel non puoi ancora capirlo O__O (cioè... io su di lui so solo che è fidanzato *coff coff*) Grazie tesoro xD Lock for evah
capra tibetana-> Tesò! Miglioro sempre di più? *___* Accieee! Davvero >w< Ti adoro!!
(il famigerato ritorno di) darkrin-> Ciao *-* Sei buonissima xD Ti piace come sta continuando? Bene. Mi interessa il tuo parere, molto. Sì lo so che fra Adam e Sofi è stato un po' veloce... ma doveva andare avanti >.<
Ahhh... Violet e Maximilian. Io li adoro *-* E anche tu! Beh, la storia dei Dannati, la persecuzione... credo che la farò, ma non in questa storia ^^ Grazieeee >w<


Recensite numerosi! Ora che siamo in estate c'è più tempo, eh! Quindi perdete due minutini e rednetemi felice...

A presto!

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Capitolo 29
*** Viaggio in carrozza | Una notte molto lunga ***


61-Viaggio in carrozza

Rupert riaprì gli occhi poco dopo che Sofia e Ryan furono scaraventati nella carrozza. Si guardò intorno impaurito, non capendo cosa stava accadendo, poi vide i due volti familiari e si tranquillizzò un pochino. Eppure sentiva il cuore pulsargli forte nel petto... era una strana sensazione, quella, una paura piena di coscienza. Sapeva cosa sarebbe accaduto, in un certo senso.

Sentiva la pelle d’oca sulle braccia. E un groppo alla gola.

Non era l’unico, comunque, a stare all’erta: anche suo fratello era molto preoccupato.

I gemelli si avvicinarono istintivamente, rincuorandosi, mentre Sofia cercava di sbirciare dall’apertura della carrozza sullo sportello di legno. Vedeva il buio della foresta, dove la luna non riusciva a rischiarare con i suoi raggi algidi, e un vampiro scuro che controllava che fosse tutto a posto, con i suoi occhi rossi che scrutavano attenti.

« So... Sofia dove andremo, ora? » mormorò Rupert, avvicinandosi alla ragazza. I suoi occhi, cerulei e sbarrati, erano pieni di paura che quella volta il bambino non riusciva a nascondere; in fondo aveva solo otto anni e una alta dose d’ironia sviluppata grazie alla vitamina speciale. Potevano essere intelligenti e fuori dal comune, ma i gemelli rimanevano sempre dei bambini.

Lei lo guardò triste, sorridendo flebilmente. Poi gli passò una mano fra i capelli, rendendoli ancora più disordinati.

« Non lo so. » disse con voce rotta.

I gemelli si sedettero di fronte a lei, silenziosi, e Sofi continuò a guardare con occhi lucidi la foresta, che passava veloce tutta uguale. Chissà se anche Adam era lì, in mezzo ai vampiri... molto probabile, in effetti.

Era lì per un motivo, nella villa, e probabilmente era quello di aiutare gli altri ad entrare. E lei si era fidata, aveva promesso, quando poi... i gemelli erano in pericolo. Adam aveva accettato quel compromesso solo perché sapeva che sarebbero arrivati presto i rinforzi.

Ma Sofia non voleva credere che anche gli avvenimenti successivi fossero stati calcolati. No, il vampiro non aveva alcun motivo preciso per... baciarla.

“Forse lo faceva solo per ridere un po’ di me?” pensò Sofi, stringendosi fra le braccia il torace. Chiuse gli occhi e vide la figura bionda impressa nella mente; sorrideva e parlava di qualcosa che centrava col giardinaggio. E poi il giorno in cui... le aveva detto tutto.

« Sofi, potremmo scappare. Siamo abbastanza coraggiosi per tentare, e tu lo sei più di noi. » affermò Rupert, facendola sobbalzare.

« No... non possiamo, siamo circondati! » sbraitò lei, dandogli un colpetto sulla testa.

« Uff... però allora verrà Adam a salvarci, ne sono certo. » ghignò Ryan, calmatosi un po’.

« Eh? » chiese Sofi.

« Sì, abbiamo letto in un libro che l’amore è più forte di qualunque cosa, e quindi lui verrà a prenderti. Se noi stiamo con te, salverà anche noi. » spiegò l’altro, mostrandole il loro ragionamento.

« Amore? » domandò scettica lei, guardandoli con una nuova luce. Forse avevano sbattuto la testa.

Loro annuirono convinti ed ingenui.

Sofia sospirò, richiudendo gli occhi.

Amore... come suonava bene quella parola. Chissà se Adam provava qualcosa di simile a quel fantomatico sentimento. Lei sentiva che non era solo quello, c’era una sorta d’attaccamento fra di loro. La solitudine spingeva a molte cose.

E lei odiava rimanere sola... anche se aveva i gemelli e Arthur e Ginger. Non sarebbero mai bastati, loro erano futili umani. E gli esseri viventi possono essere spazzati via da un soffio di vento appena un po’ più forte; i vampiri no.

Beh... non era così opportunista, Sofia. Lei cercava solo qualcuno che non la lasciasse mai, e ora l’aveva trovato.

E il fortunato avrebbe ricevuto tutto il suo amore.

Adam, d’altro canto, era sempre stato solo. Sin dalla sua trasformazione era stato lontano dai legami fra vampiri, impegnandosi in altre cose.

Sofia sorrise nella notte.

“Non era solo per divertirsi. Non con me. Era qualcosa di più.” Pensò, schiudendo gli occhi nocciola.

*

 

 

 

 

62-Una notte molto lunga

E’ la vita in cui abiti
niente meno e niente più
sembra un posto in cui si scivola

Luciano Ligabue – Cosa vuoi che sia

 

La carrozza si fermò qualche minuto dopo.

Sofia e i gemelli si sentirono la gola secca, mentre il vampiro dagli occhi scarlatti apriva lo sportello. Aveva dei denti bianchi lunghi, appuntiti, lucenti, che fecero tremare i tre, lo sguardo era serio e indifferente. Li guardò e quelli scesero in fretta, cercando di sbrigarsi. Non volevano farlo arrabbiare.

Il vento soffiava dolce sui volti chiari, spostando i capelli. Sofia vide gli altri positivi scendere dalle carrozze, in religioso silenzio, muovendosi con falsa tranquillità, mentre dentro tremavano come una foglia. Loro erano usciti di rado dalla villa, alcuni avevano vissuto sempre dentro quelle quattro mura bianche, e ora si ritrovavano in un largo spiazzo roccioso, sotto la volta celeste che ammiccava splendente. In un luogo largo e senza rifugi e nascondigli, circondarti da vampiri, nel buio della notte.

Sofia strinse a sé i gemelli, guardando decisa il vampiro accanto a sé. Non li dovevano toccare.

Nemmeno con un dito.

Il capo della spedizione, affiancato da Violet, diede l’ordine di riunirli in modo ordinato, così che avrebbe potuto fare un breve discorso sulla loro nuova vita lì.

« Questa sarà la vostra nuova casa. Non potrete ribellarvi, scappare, cercare di sconfiggerci. Non c’è questa speranza, quindi mettetevi il cuore in pace e godetevi la vita finché non sarà il vostro turno. Ogni vampiro ha una preferenza, in fatto di sangue, quindi sarete scelti dal “superiore” stesso. » spiegò calmo, senza ironia né ilarità. Freddo ed impassibile, come se parlasse della ricetta per fare la torta al cioccolato.

I vampiri annuirono lievemente, d’accordo con il capo, mentre gli umani sentirono il sangue ghiacciarsi nelle vene e il corpo tremare spasmodicamente. Ryan serrò gli occhi azzurri, digrignando i denti.

Sofia lo bloccò per una spalla, abbassandosi alla sua altezza. « Non ti muovere. Non cercare nemmeno di fare qualche sciocchezza, Ryan. » sussurrò lei, con tono deciso.

Anche Rupert lo fermò, stringendogli una mano con dolcezza. Era meglio non farsi notare e non rischiare, quella sera. E neanche in futuro, in effetti.

Sofia vagò fra i positivi, cercando la chioma bionda di Adam, mentre scendevano dentro la cava. Gli umani guardavano con puro terrore quelle strutture illuminate e circondate da pattuglie di pochi elementi ma efficaci. Anche i gemelli, che la seguivano nei suoi spostamenti, osservavano gli edifici con un misto di odio e tristezza; lì avrebbero passato la loro vita, se nulla fosse cambiato.

Erano vino pregiato, pensò Sofia, vino costoso e allo stesso tempo pericoloso, raro e unico. E quella era la loro cantina.

Scesero in profondità, arrivando nello spiazzale dove le sentinelle li guardavano sardonici, così belli e allo stesso tempo ferini nei loro lineamenti perfetti spezzati da denti affilati.

Sofia si voltò un’ultima volta verso la salita ed il cielo, notando un ragazzo dai biondi capelli, gli occhi blu mare che la guardavano duri. Aprì la bocca, come a volerlo chiamare, guardandolo piena di indecisione.

Adam piegò la testa di lato, avanzando verso di lei, poi le sussurrò piano – sempre distante mezzo metro – poche parole : « Aspettami. Solo qualche giorno. »

La guardò deciso, forte, poi continuò a camminare, dirigendosi verso Violet.

Sofia osservò quella strana bambina dai capelli e gli occhi d’ametista, che spiccava fra tutti gli altri vampiri per il suo aspetto e la sua eterea eleganza. Ed indossava anche dei vestiti costosi, un vestito bianco che arrivava a metà ginocchia fasciato da una cintura; i capelli erano tirati in una coda laterale.

Violet, sentendosi forse osservata, lanciò uno sguardo nella sua direzione, poi tornò a guardare Adam, chiacchierando sottovoce.

« Sofi... » la chiamarono i gemelli, prendendo ognuno una sua mano e stringendola forte. Avevano bisogno di lei, in quel momento.

I vampiri fecero un cenno, avanzando verso l’edificio all’estrema destra, immenso ed imponente. Era il dormitorio, diviso da un corridoio centrale; a sinistra le donne e i bambini, a destra gli uomini.

« Venite con me. » disse Sofia, stringendo forte i bambini a sé. Un “superiore” la spinse, dicendo di sbrigarsi, visto che il sole doveva sorgere dopo solo mezz’ora e non avevano molto tempo.

Sgusciò veloce, prendendo una stanza di tre posti. C’era un letto a sinistra con un armadio a tre ante accanto, dall’altro lato un letto a castello, dove i gemelli sarebbero stati benissimo, e una scrivania con due sedie.

Rupert e Ryan pensarono solo un secondo allo sfarzo della villa, facendo una smorfia, poi si catapultarono nel letto, addormentandosi subito. Sofi li guardò con un dolce sorriso sulle labbra. Erano il futuro, i bambini.

Sbadigliò e si mise sul copriletto, sentendo troppo caldo. Sentiva gli occhi dolenti e aveva voglia di dormire, ma non poteva farlo. Doveva ragionare. Non poteva finire in quel modo, non l’avrebbe mai permesso.

Lei doveva rincontrare sua madre, magari con Adam accanto... no, lui era un vampiro, Rosa si sarebbe presa un colpo.

Sbuffò spazientita. Cosa avrebbe dato per la libertà. Tutto, forse anche quelle due speranze che dormivano lì accanto. No, stava solo delirando.

Era meglio dormire, quella notte era stata molto lunga... la più lunga della sua vita.

*









Non ho tempo per rispondervi uno a uno, ringrazio con tutto il mio cuore i 16 preferiti e le recensitrici che io amo: Livia, Silvia, Gà e Lisa.

Recensite, recensite, recensite. Per favore, oppure non per favore. E porca puzzola xD Perchè la recensione è il profumo della vita, e io non voglio una giornata inodore!

Grazie xP

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Capitolo 30
*** Un nuovo giorno | La scomparsa ***


63-Un nuovo giorno

Nel tuo piccolo mondo

 fra piccole iene
anche il sole sorge

solo se conviene.

Ballata per la mia piccola iena - Afterhours

 

Violet sedeva composta su una roccia, ispezionando ogni tanto il suo vestito bianco per vedere se si fosse sporcato. Da quella postazione poteva osservare la cava immersa nell'oscurità notturna.

Era sullo strapiombo, seduta sul bordo del precipizio con regale eleganza e non curanza.

Il cielo, osservò alzando gli occhi d'ametista, stava diventando azzurro, rischiarato dai raggi del sole ancora invisibile.

« Ti piacciono proprio le altezze, vero? » chiese una voce dietro di lei.

Violet si voltò sorridendo, si spostò per lasciare dello spazio sulla roccia a Maximilian e annuì.

« Sono eccitanti. Vedere che puoi cadere da un momento all'altro, stare in bilico, in alto su tutti. » rispose lei, lisciandosi il vestito. Una tracolla era appesa alla sua spalla, il suo orsetto guardava il mondo dalla borsetta.

« Interessante. » acconsentì l'altro, rimanendo indietro. Lui non era così entusiasta di quella altezza.

« Hai mai volato? » domandò Violet, alzandosi di scatto. Poteva cadere in ogni instante, era così vicina al bordo.

« Volare? ... No, non credo sia compreso nel pacchetto “superpoteri da vampiro”. » frecciò lui, osservandola preoccupato.

« Allora dovresti iniziare a farlo. » ribatté lei con un ghigno sul volto. Maximilian avrebbe sentito un brivido salirgli sulla schiena, se solo fosse stato umano, ma essendo un vampiro rimase impassibile di fronte a quella vista.

« Il sole. » annunciò poco dopo, nella stessa posizione di prima: Violet a qualche centimetro dallo strapiombo della cava, lui lì vicino, in un posto più sicuro.

Violet guardò la sfera di fuoco salire lentamente nel cielo, ardendo e spandendo i suoi raggi caldi. Una luce così forte avrebbe ferito gli occhi di due umani o semplici vampiri, ma loro fissarono il sole con intensità, vedendo quella rinascita che avveniva ogni giorno, in qualunque situazione, anche se il mondo che conoscevano sarebbe cambiato presto.

« Max... mi prendi? » chiese la Dannata, sorridendo.

Lui la guardò incerto. Non c'era da fidarsi, quella bambina era così... imprevedibile. Inafferrabile e crudele.

« Okay. » disse, non capendo cosa volesse significare quella domanda. Violet ghignò.

Poi saltò.

Si gettò dalla roccia, cadendo in quella oscura cava velocemente. La vide sprofondare a rallentatore, scivolare con un sorriso nel buio, con stampato sul volto: “Sei troppo codardo”.

Maximilian la seguì. Solo un istante dopo.

Tese la mano pallida e afferrò il braccio della bambina, cadendo di molti metri.

Era profonda, quella cava, lontana dalla maledetta luce e vicina al caro e caldo Inferno.

Violet rise e urlò, mentre l'aria le sollevava i capelli e la borsetta sbatteva sulla sua schiena. L'aveva seguita, e questo bastava.

Il volo era libertà.

L'aria forte che sferzava il volto, la sensazione di cadere, la mancanza apparente di peso, la velocità. Il buio attorno come una dolce coperta. Violet lì accanto, attaccata a lui... era fenomenale.

Volare era indescrivibile.

Poco dopo arrivarono sul fondo, atterrando dolcemente grazie ai poteri della bambina.

« Hai volato. Hai ancora paura dell'altezza? In fondo è così divertente! »

Max sogghignò, notando quanto ciò che è divertente varia da soggetto a soggetto.

« No, non più. È stato pazzesco. » mormorò soltanto, alzando gli occhi al cielo.

La luce del sole non arrivava agli edifici dei positivi, come nei piani dei vampiri. Era quella la forza degli umani, il sole e la vitamina, e sarebbe bastato non farli esporre e... tutto sarebbe stato perfetto.

« Dannazione! » sbuffò Violet scocciata, interrompendo i suoi pensieri.

« Che è successo? » chiese Max, voltandosi.

« Mi si è sporcato il vestito! » si lamentò la bimba, stringendo il tessuto bianco con un'espressione seria e corrucciata.

Maximilian si ritrovò a ridere.

*

 

 

  

 

64-La scomparsa

Quando Ginger aprì la porta di casa, quel caldo mattino di agosto, rimase immobile con le cesoie in una mano, i guanti nell'altra e un capello a tesa larga sulla testa.

C'erano sei persone sul suo viale di ciottoli bianchi.

Arthur riposava appoggiato allo stipite, russando leggermente; lì vicino c'erano i cinque soldati del Team 7 in missione alla villa bianca.

Dallo stupore, la donna passò alla preoccupazione.

Quella mattina, qualche minuto prima, aveva chiamato Sofia da dietro la porta della sua camera, ma nessuno aveva risposto. Aveva pensato che era meglio lasciarla dormire, ma ora... Sofia era nella sua stanza?

Era accaduto qualcosa?

Con poca eleganza diede uno strattone al professore, per svegliarlo; quello aprì gli occhi, stralunato, e la guardò con l'aria assonnata.

« Arthur, che ci fate qui? » chiese lei rapida, con voce dura e decisa, iniziando l'interrogatorio.

« Vorrei dell'acqua. » rispose lui con voce impastata dal sonno, non avvertendo l'umore di Ginger.

« Arthur. » lo minacciò lei.

« Oh, ciao cara! » sussurrò, percependo il tono della donna. « Cosa mi stavi dicendo? »

Ginger alzò gli occhi al cielo. « Che ci fate qui? » ripeté paziente, indicando i soldati appisolati lì vicino.

Arthur fece una smorfia, mormorando pianissimo la risposta, tanto che la donna non sentì nulla.

« Cosa? »

Lui esitò. « ... C'è stata una battaglia alla villa. » disse, sviando lo sguardo scuro di Ginger, stringendosi su sé stesso.

« SOFIA! » urlò lei, tornando di corsa in casa, fregandosene delle motivazioni del combattimento di altri dettagli futili. Ora le interessava solo sapere che la sua ragazza stava bene ed era lì, nella sua stanza.

Salì le scale più velocemente possibile, mentre il cuore le batteva all'impazzata, dolente in quel petto di donna da mezza età. Si diceva di tranquillizzarsi, però non riusciva a rallentare il battito; era molto ansiosa di natura e quella volta... percepiva un presentimento di rovina. Anche se cercava di convincersi che Sofia era ancora lì.

Percorse gli ultimi metri di corridoio col respiro affannato. Lasciò le cesoie e i guanti a terra, strinse il pomello fra le mani sudate e aprì.

La porta-finestra era spalancata ed essa entrava l'aria calda e estiva, accompagnata dai chiari raggi del sole. Il pigiama di Sofia era sul letto disfatto, tutto nella camera appariva in ordine, anche se mancava la cosa più importante: Sofi.

Ginger capì subito che non l'avrebbe trovata in quella casa. Si sentì male e crollò a terra, sul pavimento del corridoio, di fronte alla sua stanza.

Il professore, che l'aveva seguita con calma, la fece alzare da terra e la strinse a sé, per confortarla.

« Su, su... » le disse, carezzandole i capelli corti e scuri.

« Ahahah... » rise lei istericamente, prima di iniziare a piangere forte. Le lacrime scivolavano salate e amare sulle sue guance sfiorite, scendendo rapide, infinite.

« Sofia non c'è. » disse con voce bagnata. « Non c'è più. »

Era la seconda donna che perdeva la stessa figlia per inusuali motivi.

*












Siamo già al 30! Sono shockata da me stessa xD Io che mi secco facilmente... invece con PB è da anni che continuo! Forse perché so che voi aspettate e perché già so la fine e voglio continuare questa storia. Sì, perché io amo Piombo e non potrei lasciarlo a metà.
Comunque ... trovate le foto dei personaggi di Positive Blood (anche se Violet è solo provvisoria, finché non troverò veramente lei!) nel primo post di questa pagina del mio blog: Here.
voglio ringraziare le commentatrici *__*
lisettaH-> Shore mia! Sofia è... come me xD Io non sono così forte, ma sono combattiva, quindi diciamo che ... lei crede. Combatte. I gemelli io non li tocco... e mi odierai, sì, ma vedrai perché. Grazie *__* a presto!
mikybiky-> Silvia, grazie *___* vedrai poi cosa accadrà fra Adam e Sofia. Purtroppo è molto difficile sfuggire ai vampiri, soprattutto in 3. >.<
3mo_is_love-> Dici che miglioro a scrivere? Grazie ^^ Sono felice che ti piaccia PB!
Nausicaa212-> Ciao *__* Beh, hai buoni motivi, decisamente xD In estate ho più tempo per scrivere e ragionare, per questo ho aggiornato spesso. Amo sapere che Violet piace, forse perché io l'adoro xD Beh... Grazie!!

Io sto morendo di caldo, e anche voi, ovviamente. Però sono sicura che le vostre recensioni sarebbero un bel venticello fresco molto molto piacevole, perciò fatevi sentire!
A presto! Kò

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Capitolo 31
*** La nuova stanza | Abbandono ***


 

 

65 – La nuova stanza

 

Sofia si svegliò stanca, con le gambe indolenzite e un leggero mal di testa. Aprì gli occhi, guardò la stanza spaesata, poi riconobbe i due bambini che dormivano nel letto a castello.

Si erano sistemati senza fiatare, quella notte.

Ora ci pensavano i vampiri ad organizzare le stanze.

La porta si aprì qualche minuto dopo, e una donna sulla trentina fece la sua apparizione. Aveva i capelli castano scuro, ricci, legati dietro la testa; i suoi occhi rossi osservavano tutto con attenzione, in mano teneva un taccuino e una penna.

« Tre positivi, due gemelli dagli otto ai dieci anni, un’adolescente sui sedici anni… » borbottò segnando tutto sul foglio, mentre Sofi l’apostrofava dicendo che lei aveva già diciassette anni compiuti.

« Emanano un’aurea abbastanza forte, la ragazza in modo spropositato. Sembrerebbe una pura, cosa utopistica, in effetti. » sentenziò la donna, scribacchiando quelle annotazioni sul taccuino.

Poi cambiò pagina, scrisse qualcos’altro e iniziò a domandare: « Nome e cognome, età, sesso, tipo di sangue. Cercate di sbrigarvi, non ho tutta la giornata. » sbottò.

Sembrava una donna normale, notò Sofi. Solo che quando apriva la bocca si vedevano una sfilza di denti appuntiti, e i suoi occhi non erano propriamente normali.

In più andava di fretta, avrebbe morso qualcuno se non si sbrigavano.

« Sofia Ramsey, Rupert e Ryan Lytton. Diciassette anni, loro ne devono compiere nove. Femminile, maschile » rispose Sofia indicando i gemelli, anche se era una cosa ovvia. « B positivo… voi? » chiese ai bimbi, che dissero prontamente: « AB. Ce l’ha detto il professore. »

La donna annotò tutto, poi si rivolse ai gemelli: « Chi di voi è nato per primo? »

« Ryan. » mormorò Rupert non capendo il senso di quella domanda.

« Bene. » disse la signora, lapidaria. Chiuse la penna, mise il taccuino sotto il braccio, poi guardò i gemelli. « Voi venite con me. Lei non è vostra madre, starete nella zona bambini. » comandò la donna. I bimbi scesero subito dal letto: quella vampira incuteva terrore… aveva qualcosa di strano nel suo sguardo scarlatto.

« Ma… » si lamentò Sofia. Se li toccavano, se gli facevano del male…

« Niente da fare, umana. » ribatté la donna, uscendo dalla stanza con i gemelli.

Sofi si affacciò per vederli andare via, affiancando la vampira che si muoveva agile nel corridoio. Li osservò camminare tesi, con le testoline bionde alzate e i corpi fasciati negli abiti del giorno prima.

Sofia vide la speranza allontanarsi.

 

 

Delle vampire fecero uscire le donne positive in corridoio. Le ispezionavano con attenzione, leggendo le loro schede e ragionando con fredda calma. Erano tutte negative, dalla pelle scura e gli occhi rossi.

La donna di prima squadrò Sofia, poi parlò con un’altra vampira sulla sua sistemazione.

« Non mi piace la sua aurea, è troppo forte. Meglio darle una stanza senza finestre basse… in più ha avuto il coraggio di lamentarsi. » borbottò sottovoce la donna all’altra.

La vampira annuì.

Sofi notò i bei capelli pieni di boccoli neri che le incorniciavano il volto, tenuti da forcine per non disturbarle gli occhi scarlatti. Aveva qualche ruga di vecchiaia, la bella vampira. Doveva essere stata morsa a quarantacinque anni circa, eppure possedeva lo stesso una bellezza glaciale. Era il fatto di essere una vampira, si disse Sofia.

« Sarebbe divertente vederla come noi… immaginala vampira “superiore”. Piegherebbe tutto. » disse con voce suadente e calda la bella vampira.

« Che dici, Marianne. Comunque sarebbe meglio darle la stanza in fondo al corridoio. » affermò la donna con fare pratico.

« Sì. » rispose Marianne. Poi fece un risolino, che risuonò terrificante fra gli umani.

« Una bella regina, dopo Juliet. » sussurrò la bella vampira, camminando agile verso Sofia, che drizzò le orecchie sentendo il nome singhiozzato da Arthur. La donna la squadrò con gli occhi rossi, poi la intimò di seguirla. Le doveva mostrare la sua nuova stanza.

 

« Ti chiami Sofia. » disse la vampira avanzando per il corridoio. Non era una domanda.

« Che aura. » ghignò Marianne, voltandosi a guardarla. Era bella e terrificante. Una ruga solcava la sua fronte spaziosa. « Se ne deve essere accorto anche l’infiltrato. » continuò lei, facendo tremare Sofi a quelle parole.

« Peccato sia così giovane… è bello, vero? » chiese la vampira, loquace.

Sofia annuì in silenzio.

« Poteva ucciderti… sarebbe stato meglio, sei ancora troppo forte. » si lamentò con voce improvvisamente infantile « Sono un insetto, così. »

Sofi non disse nulla. Adam aveva provato a bere il suo sangue, ma lei l’aveva battuto… era stata fortuna, o probabilmente lui aveva deciso di rimandare tutto. Meglio non farsi scoprire. Dopo era cambiato “qualcosa”.

« Siamo arrivate. » disse la vampira. Le indicò una porta chiusa, incrociò le braccia sotto il seno e la guardò attentamente. Tese il volto, come ad annusare l’aria. Poi sorrise.

« Sì? » chiese allora Sofi.

« Sento odore di ghiaccio sulla tua pelle. È solo un’essenza leggera, una parvenza, ma c’è ancora. Sei stata circondata da vampiri, eppure un soffio delicato è rimasto sulle tue labbra. Capisco perché sei ancora viva. » sussurrò Marianne con un ghigno sul viso.

Sofia sbarrò gli occhi.

« Non vedo l’ora di scorgerti potente. Piegherai e distruggerai tutto. » chiocciò allegra la vampira. Poi fece scivolare le braccia ai fianchi e si incamminò nel corridoio, ancheggiando leggermente.

Sofia la guardò svanire nella folla di donne.

*


66 – Abbandono

 

And nothing else matters

 

Sofi si mise sul letto.

La stanza non era né piccola né grande, aveva un letto al centro con accanto un comodino, di lato un armadio a due ante. Una sedia e un piccolo scrittoio stavano di fronte al letto, appoggiati al muro distanti pochi centimetri dalla porta. Due finestre alte erano aperte per far entrare l’aria, costruite apposta per non far arrivare raggi diretti dentro la stanza.

Sofia sbuffò e si coricò. Quella Marianne le dava da pensare… era convinta che sarebbe diventata una vampira. L’idea stuzzicava poco Sofi, non le piaceva l’idea di vivere bevendo sangue. In effetti Adam era un vampiro.

Questa semplice concezione era stata smussata, nella mente di Sofi. Aveva visto umanità in Adam, così aveva dimenticato che la sua natura era quella di bere sangue. Di odiare gli umani.

Sofia si rigirò nel letto, sospirando. Uscire di lì da essere umano era improbabile. Perché i vampiri l’avrebbero lasciata andare? E come faceva con i gemelli?

« Uffa! » sbottò.

“Cosa costa ad Adam lasciarmi qui?” pensò con un moto d’ansia. Poi si diede della sciocca… ma rimaneva tutto complicato.

Sofia, che aveva preferito prendere pillole invece che rimanere in una villa bianca, non avrebbe retto quel posto. Tutto era ordinato, sistemato dai vampiri negativi, ognuno aveva la propria stanza e la propria vita. Era una prigione piena di noia e insoddisfazione.

E tutto era freddo, buio, solitario.

Sofia guardò il muro bianco, ripensando ai gemelli, gli unici che avrebbero potuto alleviare quella prigionia. Sofi odiava stare da sola.

Si strinse fra le braccia, sentendo improvvisamente gelo.

Non voleva rimanere lì. Non ce l’avrebbe fatta… le serviva Adam. Adam e i suoi occhi blu mare, i suoi capelli biondi… Sofia ne aveva bisogno.

Per non sentire più quel senso d’abbandono.

 

Fu così che decise il suo futuro e la sua vita. Si mise fra le braccia di un vampiro e non pensò più a niente e a nessuno. C’erano solo lei ed Adam.

 

 

 

 

10 anni prima

 

La campanella suonò, interrompendo le lezioni. La maestra assegnò gli ultimi esercizi di lettura, poi ripose il libro nella borsa e si alzò. Gli alunni la imitarono, posando tutto nella cartella: portacolori, diario, quaderni…

Sofia sistemò lo zainetto sulle spalle e salutò Maria, che rimaneva a pranzo perché i suoi genitori potevano prenderla solo alle due, poi uscì dall’aula.

Nel corridoio largo bambini dai sei agli undici anni camminavano, chiacchierando rumorosamente. Sofi scivolò fra di loro, salutò la bidella che stava al portone e andò in cortile, dove i genitori aspettavano impazienti i propri figli.

Cercò fra di essi una testa nera dagli occhi grigi, ma non vide suo padre, così si appoggiò al muretto e aspettò diligentemente. Doveva essere in ritardo. “Magari c’è traffico” pensò la bambina.

Osservò gli altri bambini con i loro genitori.

C’era una di terza, dai capelli biondi legati in due codine con dei nastri e il viso perfetto, che affiancò una giovane signora, con capelli scuri e mossi, che faceva girare tutti i papà al suo passaggio. Si incamminarono schizzinose verso la loro macchina costosa.

Poi vide un bambino grassoccio di seconda, dai capelli e gli occhi chiarissimi, che fu abbracciato da una donna possente e alta. Era tedesca. Se ne andarono anche loro.

Sofia salutò le gemelle del quarto anno (loro madre era amica di sua mamma), vestite elegantemente con un abitino grigio e bianco, troppo smorto per i gusti di Sofi. Salutò anche la signora, che le chiese di suo padre. La bambina, ancora con la testa biondo scuro, alzò le spalle.

Infine rimasero solo lei e un bimbo di prima, con occhiali grandi sul piccolo naso e capelli scuri e lisci. Si guardava le scarpe con aria annoiata.

« Ciao. » mormorò Sofia, avvicinandosi.

« C-ciao. » biascicò lui, alzando il viso. Aveva gli occhi azzurri, grandi e vispi.

« Io sono Sofia. » si presentò lei.

« Leo… Leonardo. » rispose lui, con tutta l’aria di odiare quel nome.

La bambina sorrise. Chiacchierarono un poco sui cartoni animati, il preferito di Leo era Dragonball, gli piacevano i personaggi forti.

Poi arrivò il padre di Leonardo, e così si salutarono.

Sofia rimase ad aspettare, seduta sul suo zainetto. Guardava il cielo azzurro, macchiato da qualche nuvola biancastra, che si muovevano lentamente modificando la loro forma.

Il tempo passava, ma suo padre non arrivava. Sofi iniziò a preoccuparsi.

« Sei ancora qui? » chiese Maria, uscendo dal portone. Aveva pranzato e ora aspettava sua madre.

Sofi annuì.

Alla fine tornò a casa con Maria e suo madre. Le ringraziò, corse veloce verso casa, scavalcò il cancello basso – chiuso a chiave – ed entrò dalla porta già aperta.

« Mamma? » chiamò la bambina.

Rosa era seduta a terra stancamente, con un’espressione vacua sul volto e gli occhi gonfi.

« Se n’è andato… se n’è andato via. » mormorava la donna. Sofi sbarrò gli occhi. « Ha preso le sue cose e si è dileguato… è scomparso. »

Il castello di sogni si sfaldava, la sua vita intera crollava.

Sofia cadde a terra.

*


 










Sì, sono finalmente tornata "a lavoro", per così dire. Vi prego di accettare la mia di Sofia ma anche di non parteggiare troppo per lei; insomma... è solo umana, capite?
E tanto tanto così.
Comunque ora sono definitivamente al lavoro, anche se ancora non mi sono messa sotto, e quindi il prossimo aggiornamento sarà più vicino xD
Voglio e devo ringraziare i mitici 19 preferiti! Mi rendete una pasqua!
E poi chi ha recensito, ovviamente:
Oasis: Grazie mille *___* Quali sono i tuoi personaggi preferiti? Sono curiosa!
lisettaH: W la Violet Damnation, tesò >w< Accie shori!
mikybiky: Sì, Viò è proprio come dici tu; una bimba un po' strana effettivamente xD Ahhh! Non ricordi che i poteri di positivi si svilupano con il sole, Silvia? Male! (scherzo xD)
Eccoti il cap,finalmente ^.-
capra tibetana: Mami! Come sei dolce >w< Grazie!

O anche fatto un wallpaper su Positive Blood e la coppia Adam e Sofia, spero vi piaccia: Wallpaper

A presto!
E recensite, rendete migliore il mondo... tutte le disgrazie spariranno, il... va beh sì, avete capito xD Anche che è una balla, ovviamente. Ma mi rendereste felice perciò recensite!

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Capitolo 32
*** L'unica scelta | I fiori di ghiaccio ***


67 – L’unica scelta

 

Nella mente di Sofia si era formata un’immagine.

Un uomo di spalle, che camminava allontanandosi e che non si riusciva mai ad afferrare. Questo era suo padre, e il suo volto si era cancellato nel tempo. Tutto era addolcito dal passare degli anni.

Ma l’era rimasto quel senso di abbandono… la speranza e l’attesa si erano trasformate in veleno, l’odio aveva corroso i bei ricordi. I momenti passati insieme erano volati via; non riusciva più a ricordarsi la sua voce, i suoi gesti, il suo modo di fare. Eppure era certa che, se l’avesse incontrato per strada, l’avrebbe riconosciuto fra la folla. Era l’istinto.

La sua paura più grande era rimanere sola. Cercava di piacere a tutti, perché così non l’avrebbero abbandonata. Provava, sorrideva, alla fine viveva di attaccamento. Per questo aveva deciso di lasciar perdere tutto e di seguire Adam, qualunque cosa gli avrebbe proposto.

Lui l’aveva baciata lo stesso. Aveva visto la paura, l’odio, i sentimenti di Sofia, eppure aveva desiderato il suo cuore.

E questo bastava più di qualunque altra cosa.

Superava l’affetto, l’amicizia, l’amore.

Era qualcosa di diverso. Sofia l’aveva capito, aveva scorto quel che era rimasto dell’animo di Adam, della sua umanità.

Ciò era tutto.

 

 

Rupert e Ryan guardarono scettici la loro nuova sistemazione. Stavano in una stanza con tre letti, come quella di prima, e avevano un compagno. O meglio, una compagna.

A quanto pare erano ancora troppo piccoli e i vampiri non pensavano male, cioè se ne fregavano altamente se una bimba – visto che non c’erano più camere di sole ragazzine – finiva con due gemelli di otto anni.

Rupert e Ryan si erano appollaiati sul loro letto a castello, uno sopra e uno sotto, e ora la guardavano fisso con puro disprezzo.

Rupert, che stava sotto, decise che era giusto chiederle il nome. « Come ti chiami? » domandò senza neanche presentarsi.

La bimba piegò la testa color grano maturo di lato, indispettita. « È buona educazione dire prima il proprio nome e poi chiedere all’altro il suo. » disse, impettita.

« Che pizza! » si lamentò il gemello di sopra. « Io sono Ryan, lui è Rupert, ti basta? »

Lei lo fulminò con lo sguardo, poi annuì. « Mi chiamo Luna. » rispose infine, socchiudendo i suoi enormi occhi blu notte.

Rupert portò le gambe vicino al petto e accoccolò la testa sulle ginocchia. « Di che villa eri? Hai un accento particolare. » chiese più gentilmente.

« Stavo vicino al golfo di Raven, nella Villa dei Fiori di ghiaccio. »

« Wow! Lì ci sono sempre scontri fra vampiri e umani! Deve essere fantastico… » chiocciò Ryan. Rupert scosse la testa, divertito.

« Beh, sì. Una volta ho colpito un vampiro scuro proprio sulle costole, qui. » disse lei, indicando un punto della sua pancia.

I gemelli la guardarono interessati. Si era guadagnata il loro rispetto.

 

Qualche minuto dopo passarono i vampiri, chiamandoli per il pranzo.

Ryan fluttuò dal suo letto fino a terra, Rupert gli si affiancò e Luna li seguì. Camminarono dietro una vampira dai boccoli neri e una gelida bellezza, svoltando e percorrendo corridoi tutti uguali. Infine arrivarono alla sala da pranzo.

In una zona c’erano gli adulti, da un’altra parte i bambini, con i loro tavoli più bassi e le sedie più piccole. I tre si sedettero vicini; Rupert cercò di vedere Sofia e la trovò seduta fra gli adulti, con uno sguardo spento sul volto.

Arrivò il cibo. I vampiri stavano ritti, poggiati ai muri, controllandoli con gli occhi rossi.

Rupert iniziò a mangiare, imitato dagli altri bambini. Ryan era silenzioso, Luna non sembrava di molte parole in generale.

Dopo il pasto li fecero rimanere lì, seduti ognuno al proprio posto. Arrivò una bimba dai capelli violetti e gli occhi dello stesso colore, con una borsa a tracolla.

« Bene, eccovi qui. » disse quando che il silenzio calò nella sala. « Questa è la mensa. Abbiamo pensato che una libreria, una sala giochi e una stanza dove fare un po’ di ginnastica avrebbero allietato la vostra… permanenza, così abbiamo attrezzato la cava. Gli edifici sono tutti collegati e controllati, in poco tempo vi abituerete a riconoscere i corridoi. » spiegò Violet, con voce calma e cordiale.

Ryan la guardava ammirato, sentendo la potenza del vampiro e avvertendo la sua bellezza immortale. Rupert invece la osservava infastidito, serrando il pugno sul tavolo.

Si girò per borbottare col fratello e vide una strana espressione sul suo volto. Aveva gli occhi spalancati, a fotografare nella mente quello spettacolo, e sembrava... ammirazione ciò che faceva capolino sul suo volto.

Ammirazione della bellezza di un vampiro.

Rupert pensò subito che non fosse una buona cosa. Non era prudente.

Sospirò. Se Ryan si fissava non c’era nulla da fare, aveva la testa dura. Una mano gli diede un colpetto sulla spalla, quasi a compatirlo. Si voltò.

Luna guardava davanti a sé, ma era stata lei. Rupert sorrise.

« La seguo. » mormorò Ryan incantato alzandosi dal tavolo. Violet si era appena allontanata, uscendo da un corridoio a destra della sala.

Il bambino si affrettò in quella direzione.

« Maledizione. » sbottò Rupert, seguendo con lo sguardo il gemello scomparire dietro il muro. Si alzò, corse verso lui e lo bloccò con un braccio.

« Dove vai? » chiese allora con un tono che non ammetteva repliche.

« Seguivo la bambina. Ora è scomparsa, maledizione! » rispose Ryan preso guardando oltre il suo gemello.

« È una vampira. » puntualizzò l’altro.

« ... non avrei fatto nulla di male. » disse testardo Ryan, con gli occhi rivolti altrove.

« Sei scemo. Guai a te. Torniamo in camera, dai. » ribatté Rupert con calma. L’altro lo seguì di malavoglia.

 

 

Sofia si sedette nella camera, guardando mesta le pareti. Non c’era l’allegro vociare dei gemelli.

“E mai più ci sarà.” Si disse con decisione Sofi.

Si doveva abituare all’idea. Continuare a vivere in quel modo finché non se ne sarebbe andata con Adam. I gemelli non l’avrebbero mai perdonata.

Tradiva loro e la loro amicizia.

Però non aveva altra scelta, pensò. Se voleva vivere libera, se desiderava qualcuno accanto per sempre fino a quel punto... non restava altro che quello.

Il tradimento.

 

 

 

Yes, there are two paths you can go by,

but in the long run
There’s still time to change the road you’re on
And it makes me wonder

 

Sì, ci sono due strade che puoi percorrere,

ma a lungo andare
C’è sempre tempo per cambiare strada
E ciò mi stupisce

 

Stairway to Heaven –  Led Zeppelin & Pink Floyd

 

*

 

 

 

 

 

68 – I Fiori di ghiaccio

 

Luna era coricata sul letto, a guardare con intensità il soffitto. Ryan si mise sul suo con uno sbuffo, Rupert lo guardò preoccupato.

Passarono i minuti in piena noia.

« Luna... » la chiamò Ryan dopo mezz’ora di silenzio.

« Sì? » domandò lei, mettendosi a sedere.

« Hai qualcosa da raccontare? Mi sto annoiando a morte... magari una storia di vampiri, o un combattimento alla vostra villa. » rispose il gemello. Rupert tese le orecchie.

La bambina parve pensarci un attimo, poi parlò: « Beh... ci sarebbe la storia dei Fiori di ghiaccio, che è interessante. »

« Racconta, dai! » la incitò Rupert con troppo entusiasmo. Meglio ascoltare una storia che inseguire il proprio gemello per corridoi sconosciuti.

Luna lo guardò di sottecchi.

« La villa è stata costruita in una radura, dietro vi è una foresta di abeti, davanti un campo di fiori bianchi. » iniziò lei. « Si chiamano Fiori di ghiaccio perché sono proprio fatti di... ghiaccio. Se li tocchi percepisci il freddo. Ma non si sciolgono mai, neppure in estate. Rimangono lì, bellissimi e cristallini.

Mi ha raccontato la custode che questi Fiori prima erano esseri umani. » spiegò, interrompendosi per vedere la reazione dei gemelli. L’avevano fissata non troppo interessati finché non aveva detto che i Fiori erano uomini.

Cercavano le avventure.

« Mi ha detto che un tempo, quando ancora non esisteva l’Impero, gli uomini vivevano in città, ognuna aveva un proprio territorio e un re. Esistevano ancora i draghi. Sto parlando di almeno mille anni fa.

Un giorno un re del Nord volle catturare un drago che viveva nella foresta d’abeti. Desiderava conquistare il segreto della Fiamma. Così mandò dei soldati a catturarlo, ma essi non tornarono più al palazzo.

Quando il re andò a vedere di persona cosa era successo, si trovò davanti a uno spettacolo straordinario: c’era un campo di fiori, in mezzo alla foresta. Di Fiori di ghiaccio, ed erano mille, proprio come i soldati. Lì vicino dormiva il drago, con in bocca un elmo.

Il re fuggì con la sua scorta e mai più fece ritorno al campo. Quei Fiori rimasero immortali, non toccati dalle stagioni né dalla grandine.

Sono anche pericolosi, mi ha detto la custode. Se li si guarda troppo si rimane incantati, e si vorrà passare la notte con loro, dormire accanto a quella bellezza.

Se lo si fa, e questo è vero perché un positivo anziano l’ha fatto, si viene tramutati in nuovo Fiore. Per questo ora sono molti più di mille. » concluse Luna, osservando soddisfatta che i gemelli erano rimasti catturati dalla sua storia.

« Caspita. » disse Rupert. Anche Ryan annuì. Bastava saperli prendere per il verso giusto e il velo d’indifferenza e ironia calava.

« C’è qualche altra storia legata alla tua villa ? » domandò Ryan.

Il volto di Luna si illuminò di luce nuova.

« Beh... una volta un gruppo di vampiri è entrato dal giardino, erano assetati... la custode non se n’è accorta, le guardie erano state ammazzate brutalmente, e quindi i vampiri erano liberi di bere il sangue che preferivano. » disse la bimba, iniziando una nuova storia. I gemelli si tesero verso di lei, per non perdere neanche una parola.

Avevano trovato una compagna, in quella strana prigione.

C’era calma... la solita calma prima della tempesta.

 

*






















Sono tornata! E sto morendo di caldo, e siamo già a settembre (e magari qualcuno dei lettori ha già iniziato la scuola...) però qui si asfissia letteralmente. Infatti sono un po' sciolta xD

Finalmente è apparsa Luna *-* (io adoro Luna xD) ... non ho nulla da dire, solo: la pace non esiste, e in PB si nota xD Poi voglio ringraziare i preferiti, i lettori e i recensitori.

Oasis-> W i gemelli xD Grazie *__*

Nausicaa212-> Anche a me piace il poco il pesce xD E non ti preoccupare ^^ Sì, i vampiri hanno un odore particolare, freddo, ghiacciato e Adam l'ha lasciato su Sofia *w* Grazie!

mikybiky-> Non ti frustare °_° Sì, Sofia da sola e come una volpe in un luogo chiuso. Deve uscire. Sì, qui il mondo è disperato, e la famiglia di Sofia non è una famiglia - ma esistono situazioni così e Sofia doveva essere così quindi ci voleva tutto quello. Grazie mille >w<

lisettaH-> Adam tornerà, tornerà *fa patpat* w le cose sconcie xDD Beh, grazie shore *_* Yeee

A presto, mondo. Mi ritiro causa sauna infinita che mi sta fondendo. A presto e Recensite!!

Kokò

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Capitolo 33
*** Proseguire senza sosta ***


69 – Proseguire senza sosta

 

Violet guardò con interesse Adam, seduto di fronte a lei con aria guardinga.

« Umh. » disse la bimba. « Beh, lo sai che c'è un’unica soluzione, vero? » domandò sogghignante. Gli occhi d’ametista erano accesi di una luce particolare, piena d’ironia e una certa gioia.

Adam annuì. Certo che lo sapeva. Era a conoscenza di tutto, dei rischi e delle conseguenze.

Solo, sperava che il suo piano sarebbe andato bene.

« Ti deve proprio piacere. » mormorò allora lei. Annuire era qualcosa che andava oltre, per Adam... oltre il suo orgoglio, perciò non lo fece e lasciò che l’affermazione vagasse nell’aria, fra loro due.

Violet guardò con attenzione il suo viso, rivolto verso la finestra lì vicino da dove filtrava oscurità, poi parlò: « Devi assolutamente farla trasformare. Non possiamo tenerci un positivo per il mondo, anche se ti seguirà... lo farà solo per salvarsi la pelle, probabilmente, e quindi non potremo mai fidarci della sua lealtà. Se, invece, la trasformi... sarà tutto sistemato, Adam. Dovrai solo convincerla. Promettile quello che vuoi, sei tu che la desideri fuori da questo posto. È una tua responsabilità. »

Lui annuì. Sì, avrebbe richiesto Sofia come suo primo pasto... ma poi l’avrebbe lasciata viva.

Ma di una cosa era certo: non sarebbe servito nulla per convincerla. Né promesse che lei avrebbe saputo false, né grandi prospettive di eternità... solo, solamente un legame più forte di qualunque altro. L’amore? Forse, si disse Adam.

“Forse questo lo è.” pensò sbirciando il volto fastidiosamente sorridente di Violet. Oppure no.

Adam non era sicuro che l’attaccamento a una persona fosse davvero ciò che decantavano tanto gli umani. Certo, c’erano anche i baci...

Più confuso di prima, scacciò quegli stupidi pensieri dalla mente, si alzò, salutò la bimba e si allontanò da lì. Ciò che lui desiderava era sempre suo. Anche Sofia lo sarebbe stata.

 

 

Elisabeth aprì gli occhi di giada, sbatté le palpebre frastornata dalla troppa luce e scostò il volto dal torace di Francis, che si muoveva regolarmente su e giù. La ragazza si sedette sul sentiero dai ciottoli bianchi.

« Ciao. » disse Daniel con un sorriso. Era appoggiato al muro esterno della casa con le braccia conserte, vicino a Jack – seduto sugli scalini davanti al portone – che osservava tutto attentamente.

« Ciao. » rispose Elisabeth. Si sollevò da terra e raggiunse i suoi compagni.

« Come... stai? » domandò Daniel con gentilezza, grattandosi la fronte.

« Così. » affermò Beth, lapidaria. Guardò suo fratello dormire tranquillo vicino a Logan, che era rannicchiato in posizione fetale, e li trovò simile a due bambini. Non erano uomini che uccidevano, ma solo creature innocenti che sognavano; adesso.

Jack annuì impercettibilmente.

Il silenzio iniziò a infiltrarsi fra loro, accompagnato ogni tanto dal cinguettio degli uccellini, lasciandogli la possibilità di pensare alla sera precedente. Elisabeth riempì subito quello spazio: « Dov’è il professore? Ieri era con noi... »

Jack alzò lo sguardo su di lei, ma non rispose. Daniel fece spallucce.

« Mmh. » mormorò lei, facendoli ricadere nel silenzio.

La luce del sole era filtrata dalle foglie della foresta e colorava di verde tutto. La calma e la pace del giorno erano in contastro con la notte precedente. Con l’odore e il rumore della battaglia, l’aria carica di ansia, le aspettative deluse.

Elisabeth sospirò mesta. « Avremmo potuto farcela. » disse.

« Se solo i positivi si fossero esercitati in questi anni. » bisbigliò Logan alle sue spalle, ormai sveglio del tutto. Si alzò e scosse Francis che, lamentandosi rumorosamente, si mise a sedere sul vialetto con la faccia addormentata e gli occhi verdi socchiusi.

Beth fece una smorfia. « Non ci siamo riusciti. » mormorò.

Quelle parole erano vetri conficcati nel cuore, portatrici di dolore e consapevolezza. Avevano fallito la missione più importante della loro vita... e di quella di Aiedail. La loro sconfitta causava più di una semplice perdita, molto di più. Erano colpevoli di non aver salvato la speranza.

« Non ce l’ho fatta. » ribadì Logan, prendendosi tutta la colpa. Era lui il capo della spedizione.

Elisabeth non parlò, ma serrò le mani a pugno e scosse la testa, arrabbiata. « Maledizione. » gridò.

Francis la raggiunse in un secondo e la guardò preoccupato, ma gli occhi di Lisa erano serrati.

La frustrazione che avevano in corpo era compressa, quell’unico grido era quasi una liberazione.

Jack abbassò il viso, stringendo le mani sotto il mento. Daniel rimase a guardare i due fratelli. Logan alzò lo sguardo al cielo tristemente.

« Maledizione. » ripeté Beth, con tono più basso, rassegnato, carico di disperazione. Aprì gli occhi, che si specchiarono con i suoi gemelli.

« Su... » la rincuorò Francis, abbracciandola. Si aggrappavano l’uno all’altro.

Daniel sospirò vedendo quell’abbraccio. Pensava alla ragazza dal cappotto rosso del suo incubo... avrebbe voluto averla vicina.

« Informo il Quartier generale. » affermò Logan scostandosi dal vialetto. Estrasse dal suo zaino cinque quarzi rosa e preparò l’alchimia, concentrato nel proprio lavoro meticoloso.

Jack lo guardò per tutto il rituale, accertandosi che il suo compagno di sempre fosse tranquillo. Come leader si sarebbe preso tutta la responsabilità. già lo sapeva.

Ma in quel momento, Jack era certo, chi di dovere non avrebbe fatto nulla per rimetterli in riga o punirli: il Quartier generale aveva bisogno di tutti i soldati a disposizione.

Elisabeth, intanto, si staccò dal fratello e andò di fronte alla porta di casa. « Voglio vedere se Sofia sta bene, Adam non sapeva nulla. » spiegò agli altri e bussò con le nocche della sua piccola mano.

Attesero.


*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*-*

Sono tornata! Sì, ce l'ho fatta! Sono felice... tutto grazie a inglese che mi ha fatto venire un lampo di voglia. Ho chiesto il foglietto a Enry e mi sono messa a scrivere senza sosta xD

E non scrivevo da due mesi e mezzo, uh!

Comunque, voglio ringraziare i 20 preferiti e le recensitrici! (6 in un colpo, >w<)

Oasis -> Già >_< Grazie per il commento, comunque *__*

lisettaH -> Shore mia! Sofia mi assomiglia e assomiglia anche a te... è un po' tutti, diciamo, solo in versione estesa. W Luna. Poveri gemelli, teneri e dolci >_< Ryan è scemo, però! Grazie, amo creare leggende! A presto, un bacioso bacio dalla shore Kò xD

mikybiky -> Silvia cara! La cura di tutti i mali: Pb, facilmente acquistabile via net! XDD No, ecco vedi Adam? E' apparso, finalmente *_* Armelia dovrebbe apparire fra poco, i soldati eccoli qua... ci voleva un po' di tempo xD Finalmente è arrivato.. e la scuola è iniziata da un mese *_*" A presto, comunque.

Nausicaa212 -> Ye, introspezione a tutto spiano! (e Adsl che non va piano! XD) ... Ryan che si invaghisce di Viò è una bella mossa? Grazie *_* sì, è l'RH, anche se questi positivi hanno una vitamina in più che li rende ... speciali xD Grazie di nuovo >w<

3mo_is_love-> Magari Positive libro! Ehh, la calma prima della tempesta u__ù vedrai, a breve capirai il perché! Grazie per tutti i complimenti, sei gentilissima *^*

darkrin-> Liv! Sei una recensitrice che non vorrei mai perdere. Riesci a capire così bene, e ad azzeccare così tanto! Hai proprio preso tutto. Ryan (è Ryan, of course, essendo più sprovveduto dell'altro gemello xD) è in pericolo e non lo capisce. E sono felice che Luna ti piaccia! Grazie, mia zietta puccia. Ti voglio bene xP

 

Se sei triste, ti manca l'allegria... scacciare puoi la malinconia! Clicca lì sotto, scrivi una recensione... farai a me un bel regalone! Scrivi di qua e scrivi di là, crei a Kokò la felicità!

Recensisci!

(lol)

 

A presto, si spera *_*

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Capitolo 34
*** Notizie di dolore e gioia ***


70 – Notizie di dolore e gioia

 

Elisabeth incominciò a preoccuparsi dopo che ebbe bussato tre volte. Guardò Daniel con complicità e poi diede una spallata alla porta che, con un sordo cigolio, cedette alla sua forza. Si aprì sbilenca e cadde di lato.

Beth, Francis e Daniel entrarono nella casa, mentre Logan e Jack rimanevano accanto al circolo dell’alchimia.

L’abitazione era immersa in un silenzio pesante, in contrasto con il leggero cinguettio all’esterno. Si mossero incerti nella casa sconosciuta, cercando di trovare Sofia o almeno la signora Ginger.

Vagarono per le stanze del pianterreno, caratterizzate dalla luce verdognola che si infiltrava dalle tante finestre; da un lato la casa si affacciava sull’orto. 

« Le camere da letto sono di sopra. » disse Elisabeth indicando una scala. Salirono, i sensi vigili e attenti e pronti a qualunque evenienza.

« Qualcuno sta piangendo. » mormorò Francis, voltando a destra e percorrendo il corridoio luminoso.

Lisa sbirciò dallo stipite della stanza lì vicino e vide Ginger accoccolata sul letto, con in mano dei vestiti di Sofia, e Arthur, il professore, carezzarle i capelli mormorandole una nenia antica.

Elisabeth comprese subito e, tremante, si poggiò al muro. In quella stanza ariosa, dove un quadro di una donna spiccava su tutto, c’erano soltanto due persone, afflitte dalla perdita di una figlia. Era qualcosa che non si poteva spiegare, né capire del tutto. Che lasciava la morte nell’anima dei genitori, e straziava ogni giorno.

Per il professore Sofia era la figlia che non era mai nata, per Ginger quella che non aveva mai avuto.

Beth fece una smorfia di dolore.

Daniel premurosamente le sussurrò che l’avrebbero trovata... che l’esercito avrebbe lottato contro i vampiri.

Lisa annuì stancamente e lui le diede un buffetto sulla guancia, per rincuorarla.

Dietro di loro Francis serrò le labbra e gli occhi, si avvicinò e fissando Daniel abbracciò Elisabeth.

« Grazie. » sibilò rivolto al compagno. « Non preoccuparti... è mia sorella, ci penso io. » concluse, coccolando lentamente Beth, che era inerme fra le sue braccia.

Daniel accusò il colpo, annuì e attese finché Elisabeth non decise di allontanarsi da lì, da quella stanza dove c’era ancora che Ginger che singhiozzava con più calma, sommessamente.

Uscirono dalla casa in silenzio, proprio com’erano entrati.

Logan e Jack li aspettavano ancora lì fuori, e li osservarono con intesa sedersi accanto a loro stancamente.

« Aspettiamo che Armelia ci risponda, poi partiamo. » annunciò Logan.

Gli altri quattro annuirono.

Stavano per andarsene, subito dopo una sconfitta dolorosa.

« Combatteremo. » sentenziò Beth con gli occhi di giada serrati e i pugni stretti. Sembrò rialzarsi da un’enorme caduta, sempre con il volto fiero, da leonessa; come una vera guerriera. E la sua frase autoritaria risuonò come un ordine a cui nessuno di loro si sarebbe sottratto.

Avrebbero lottato un’ultima volta, di sicuro. Sarebbe stata guerra.

 

 

Un’alchimista bussò alla porta del capitano del S.S.E.V., Armelia Liddell, e attese che lo lasciasse entrare.

« Avanti. » disse la vampira, e l’uomo aprì la porta e la raggiunse alla scrivania.

Armelia lo guardò con distacco dalla sua poltrona. « Che c’è? » domandò aspra.

« Sono arrivati dei quarzi... » mormorò spaventato dalla sua aurea. Armelia annuì.

« Leggimeli. » ordinò.

L’alchimista li mise sulla scrivania in ordine, li esaminò per bene uno ad uno e lì recitò senza margine d’errore. 

“Dalla villa bianca. Cè stato un attacco da parte dei vampiri, nessun positivo si è salvato.” diceva il primo e Armelia, con un po’ di difficoltà, riuscì a celare un ghigno sulla faccia spigolosa solitamente impassibile.

“Eravamo troppo pochi e gli umani troppo poco addestrati. Io, da capitano, mi prendo tutta la colpa del fallimento.” L’alchimista fece un sospiro di tristezza, mentre Armelia gioiva in silenzio.

“Aspettiamo vostri ordini, qui non cè più nulla da fare. Potremmo tornare al Quartier Generale.” lesse l’alchimista, borbottando con malignità sottovoce: « Sempre lui... chi si crede di essere, solo perché ha un nome importante... suggerisce cosa fare... »

“Decidete voi. Qui il morale è molto basso, ma i miei commilitoni ed io saremo pronti a qualunque lavoro nuovo.” continuava Logan, concludendo con:

“Vorremmo la risposta appena letto il messaggio, Logan Mckay, sergente e capitano del Gruppo 7.”

L’alchimista rimase in silenzio, ad aspettare ordini che non tardarono ad arrivare.

« Mandagli dei quarzi... digli che possono tornare qui, non hanno più nulla da fare lì, come lo stesso sergente ha notato. Falli partire, sì, digli così. E ora va!» borbottò Armelia.

L’alchimista annuì, fece un inchino frettoloso e si allontanò dallo studio, chiudendosi la porta alle spalle, lasciando i quarzi rosa sulla scrivania del capitano.

Armelia si avvicinò a una delle libreria che tappezzavano la stanza, aprì il tomo dove teneva le sue scorte di sangue, stappò una boccetta e assaporò il liquido dolce e denso.

Sorrise, finalmente libera da una maschera a volte troppo stretta. E bevve, come a brindare.

Mancava così poco... così poco alla totale conquista!

 

*
















Intanto... rieccomi! Stavolta sono in anticipo di ben... 8 giorni (xD) dalla ormai solita data in cui posto, il 9 di ogni mese. Beh, meglio... cercherò di essere più veloce. Ma non ci riuscirò, lo so già xD

Voglio ringraziare i ben 25 preferiti! Sono aumentati di colpo, sono felicissima >w< E poi ovviamente ringrazio chi recensisce, la gioia delle mie giornate:

Nausicaa212: Carino Addie, come soprannome... molto dolce! xD Grazie per tutto *__* W i figurini della squadra, ye!

lisettaH: Shore! Grazie *///* Ma non ti preoccupare per Adam e Sofi, xD (uhuh °_°)... come sempre le nostre coppie rocks! Ya xDD Sei gentilissima... ecco vedi? Sono stata più veloce. Diciamo xD

mikybiky: E brava Silvia! Già Armelia... si rivede proprio qui! Ritirati xD Che dovevano fare, poveri cristi xDD Non ti faccio attendere troppo, credo... brava la mia novantesima! Grazie!

valevre: Ohh, come sei gentile! Hai letto tutto d'un fiato? Sono felice che ti ha preso a tal punto e che ti piace il mio stile >w< Grazie, sweet.

Voi intanto recensite: per un mondo più pulito e più dolce e più migliore! (soprattutto più migliore xD)... poiché rendereste felice Kò ed essa smetterebbe di mandare il Male nel mondo... quindi recensite, ya!

(mi sa che l'ora tarda fa male...)

Alla prossima! tornerò, oh yes *^*

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Capitolo 35
*** You set my soul alight ***


71 –  You set my soul alight

 

Logan passò un piede sul terreno utilizzato per l’alchimia, cancellando il cerchio e il pentagono iscritto.

Gli altri quattro lo aspettarono, poi si incamminarono verso la villa.

« Potremo essere di nuovo utili. » esclamò Jack, con un mezzo sorriso, parlando per la prima volta quella mattina.

Logan parve risollevarsi un po’ a quelle parole, Elisabeth scambiò un’occhiata eloquente con Francis, con forza; Daniel diede una pacca sulla schiena al gigante.

Arrivarono alla fine del via di ciottoli bianchi, percorsero la grande strada della villa fino ad arrivare all’ingresso dove, stesa a terra, c’era ancora la guardia uccisa da Adam.

Logan, con sangue freddo, si chinò e chiuse gli occhi spalancati – a guardare con orrore davanti a sé – dell’uomo. « Non è rimasto nessuno che pensa a lui, i servitori saranno fuggiti tutti, dopo l’attacco. » disse.

Daniel e Francis si offrirono di scavargli una fossa e si diressero verso il capannone degli attrezzi, immerso lì nel bosco, vicino a un sentiero che costeggiava le mura.

Logan, Jack e Beth andarono dietro la villa barocca, dove c’erano solitamente le carrozze. Ne era rimasta una sola, le altre le avevano utilizzate i servitori in fuga.

« Ci basta. » disse l’alchimista, controllando che tutto fosse apposto.

« Vado a prendere i cavalli... » affermò Lisa, allontanandosi.

Jack e Logan andarono nelle loro stanze, recuperarono gli zaini di tutti e cinque, mettendo le foto e i quadri di Beth alla buona in un borsone, e li caricarono sopra la carrozza stringendoli con delle corde.

Elisabeth arrivò poco dopo, con in mano le redini di due cavalli dal manto nero e gli occhi vispi, e li legò alla carrozza annodandoli per bene.

Lei e Jack salirono sulla carrozza e Logan si mise al posto del guidatore; fece partire i cavalli con un colpo di redini e dopo il giro attorno alla villa si fermò davanti all’entrata, dove Francis e Daniel avevano già finito.

Un mucchio di terra compatta e appena smossa ricopriva ora il corpo della guardia, morta solamente perché stava facendo il suo lavoro. Logan scese dalla carrozza, con un gessetto in mano mormorò qualche parola e tramutò una parte di terriccio in pietra grigia, dura e compatta, a indicare la sua tomba.

Francis si guardò intorno, colse dei fiori cresciuti fra l’erba giallognola e li pose accanto alla lapide, come ultimo omaggio per quell’uomo. Per quella villa dove non avrebbero più, probabilmente, fatto ritorno.

I tre salirono sulla carrozza, Logan sempre al posto del guidatore: era cresciuto in una tenuta con delle scuderie e si era allenato a condurre i cavalli, per lui non era un problema guidare un calesse; gli altri si sistemarono dentro la carrozza, un po’ stretti.

Partirono senza più guardare indietro, con lo sguardo fisso sulla foresta un po’ ingiallita dall’estate ma sempre rigogliosa, con la mente occupata dalla strada da percorrere, e la promessa – dentro di sé, da dire in silenzio – di vendicare il loro orgoglio ferito. La sconfitta pulsava fastidiosamente fra i loro pensieri, ma era scacciata da quei propositi.

Per quel gruppo, non l’unico dell’esercito ma anche uno dei pochi, quel lavoro significava dare un reale aiuto alle persone, ai positivi, all’Impero in generale. Era il loro compito, e basta.

« Bene. » mormorò Elisabeth, e gli altri asserirono silenziosamente.

Bene.

 

I fiori, su quella tomba senza bara e accanto a quella lapide creata da alchimia, illuminavano con il loro rosso chiaro, accesi in quel miscuglio marrone e giallo/verde.

Parevano narrare la risalita dopo uno scivolone accidentale di cinque poveri soldati alle prese con problemi enormemente più grandi di loro.

E se anche la speranza – non solo per loro cinque –  era molta e sepolta come quell’uomo che giaceva sotto quei fiori... quei doni colorati sembravano riaccendere la fiamma della battaglia.

I negativi, gli alchimisti, l’esercito intero; l’umanità quasi, non solamente lì ma in tutta Aiedail, si era risvegliata; gli attacchi ormai troppo frequenti e i rapimenti avevano destato anche i più sciocchi e perbene degli uomini.

Il rosso di quei fiori, forte in quell’estate, sembrava un inno alla guerra, un richiamo deciso e cristallino a cui nessuno, nessuno con a cuore il mondo intero e la propria vita, avrebbe resistito: mai più pace, solamente lotta.

 

 

Sofia si rigirò nel letto stancamene, aprendo gli occhi e fissando il soffitto. Con quell’oscurità non si vedeva nulla, sembrava quasi di soffocare in un pozzo infinito, senza aperture.

La luce della luna non filtrava a causa della profondità della cava, si disse. Non era un pozzo, non lo era...

Immersa in quel buio, Sofia sospirò: quanto avrebbe dovuto aspettare Adam?

Aveva fatto una scelta, aveva deciso da sola cosa fosse meglio per sé, ma per quanto sarebbe durata quell’attesa fastidiosamente piena di colpe?

Continuò a rigirarsi fra le lenzuola, rabbrividendo per l’aria fresca causata dalla presenza dei vampiri. Sollevò la testa, percependo dei rumori fuori dalla sua stanza, vicinissimi... un parlare conciso e sussurrato di cui lei non riuscì a carpirne le parole. Rimase in ascolto, attenta, e poi... la porta si aprì.

La luce del corridoio filtrò flebilmente, strisciante, e illuminò un po’ la camera, mentre un’ombra conosciuta avanzava, richiudendosi la porta alle spalle.

« Adam. » mormorò Sofia, mettendosi seduta.

Lui accese la luce alchemica, tirando una piccola corda bianca a sinistra della porta. Azionava una pietra che strisciava su un cerchio alchemico, posto all’interno della lampada, facendolo attivare. Il risultato era una luce ambrata, calda, che colorava tutta la stanza.

Adam sogghignò e, profondamente, Sofia si sentì subito meglio: l’attesa era terminata.

Si sarebbe lasciata ogni briciolo di risentimento indietro, sulla strada. Quello bastava.

« Ciao. » mormorò Adam, sedendosi sul letto accanto a Sofia. Lei lo salutò con un leggero sorriso. « Dobbiamo parlare. »

Sofia lo squadrò con gli occhi nocciola, e ironizzò la sua stupida paura: « Vuoi rimangiarti tutto? »

Adam ghignò di nuovo e le passò una mano fra i capelli castani, un po’ arruffati per il continuo rigirarsi nel letto, leggermente, quasi un battito d’ali di una farfalla.

« Sei diffidente, eh? No, niente affatto... sono qui per dirti come fare. »

« Bene, allora fallo. » gli sussurrò lei.

Adam le carezzò nuovamente i capelli. « Fingeremo: tu sarai la mia prescelta, la mia prima donatrice. Ti porterò con me e nessuno avrà qualcosa da obiettare. »

Sofia annuì e gli toccò la guancia fredda, rabbrividendo impercettibilmente. « Devo... devo diventare come te? » sussurrò.

« Vedo che ti sei messa di impegno e ci hai rimuginato su in questi giorni... che umana sorprendente. » celiò Adam, avvicinandosi al suo viso.

Sofia fece una smorfia. « Siamo più intelligenti di quanto pensi, vampiro. » borbottò.

« E più sciocchi di quanto pensiate. Ma siete tanto caldi... » sussurrò lui sotto voce, tappandole qualsiasi domanda con un bacio.

Sofia lasciò perdere per il momento la questione, rispondendo impulsivamente al bacio. Mosse incerta le labbra e abbracciò Adam flebilmente, mentre le guance si arrossavano e piccole scariche elettriche – fiammeggianti, calde, eccitanti – le percorrevano il corpo.

Continuò a baciare Adam, finché non dovette staccarsi per respirare. Fortuna sua, essere un vampiro e non avere bisogno d’aria.

Lo sguardo blu mare indugiò un attimo su di lei, divertito, poi Adam la spinse, con meno forza possibile, verso la tastiera del letto. Le carezzò con le labbra un po’ meno ghiacciate il viso, la bocca, il collo.

Si accoccolò un istante sull’incavo vicino alla spalla, aspirando l’aria densa di profumo. Sangue.

Adam sentì qualcosa stringersi alla base della gola, crudele e bruciante, ma ignorò tutto e la baciò di nuovo, più passionale. Con una mano sollevò un po’ la sua maglietta, risalendo dal fianco al seno.

Sofia lo guardò, per niente preoccupata, ma avvicinandosi al suo orecchio gli chiese: « Non pensi sia troppo per te, vampiro? »

Adam soffocò un risolino e la fece sdraiare sul letto. « Credo di saper resistere, umana inutilmente fragile. »  sospirò, togliendole del tutto la maglietta.

Sofia annuì e si lasciò baciare, annullandosi quasi del tutto. Sentiva solo le sue labbra sulla pelle, fredde da farle venire la pelle d’oca dove passavano, ma allo stesso tempo calde, morbide.

Socchiuse gli occhi, mentre le sue mani già esperte le slacciavano il reggiseno e la sua bocca vorace scendeva dal collo al seno...

Ed eccolo, il terzo incomodo: un leggero bussare alla porta.

Neanche la sete di Adam, fastidiosamente forte, lo aveva fermato ma... doveva andare.

Si alzò repentinamente, lasciando che Sofia si accorgesse del cambiamento. La ragazza lo guardò, irritata per aver smesso, e si rimise a sedere.

« Che cosa... » iniziò a domandare, ma lui la fece tacere con un altro bacio.

« Ti do un po’ di giorni per pensare alla mia offerta. » borbottò, sistemandosi i capelli biondi dietro la schiena.

« ... Diventare come te? » chiese lei frastornata.

Adam annuì sveltamente, le mise una ciocca ribelle dietro l’orecchio sinistro e le morsicò il lobo. « Fra poco c’è il compleanno dei gemelli, è la tua ultima occasione. » disse con voce bassa, facendola rabbrividire di piacere, e con una smorfia infantile.

Sofia lo guardò salutarla rapidamente, borbottando qualcosa contro la stupidità di legami affettivi con gli umani, e andarsene via spegnendo la luce e chiudendo la porta della sua prigione. Nemmeno un “A presto”.

Oh, beh, non importava.

Toccandosi le labbra e le guance infuocate, Sofia stiracchiò un sorriso.

L’ultimo compleanno... ci sarebbe andata, sì. Non poteva mancare.

 

Adam guardò il ghigno di Marianne con disprezzo e si allontanò nella luce ambrata del corridoio. La donna, soddisfatta, riprese a fare la guardia, attenta con occhi di fuoco che vedevano tutto quanto.

Una grande Regina!, una grande Regina!

Nessuno avrebbe retto al suo confronto.

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quante persone aspettavano questa parte? Cioè, non fanno nulla di che, ma già si sono spinti ... al senza maglietta xD. Insomma *_*

Il titolo significa Mi hai acceso l'anima, ed è tratto da Supermassive Black Hole dei Muse, che mi ha fatto da sottofondo. E' riferito sia ai soldati, alla loro risalita, che ad Adam e Sofia xD

  

Ora passo ai ringraziamenti:

lisettaH-> Shore mia *_* Me felice che ti piace Armelia, io la adoro abbastanza xD E w Francis! uhuh... pubblicarlo? magari xD Comunque, grazie *_* E non odiarmi troppo per l'interruzione fra Adam e Sofi... doveva andare xD *sadica*

mikybiky-> Niente di scandaloso, già xD Ahhh, sono felice che ora Armelia ti piaccia! Ecco, ora i soldati si sono del tutto rialzati, yee! Vedi? sono anche arrivata prima del solito xD Grazie, cmq *__*

 

E a voi altri: recensite, recensite, come regalo di Natale, Capodanno, Befana, Pasqua.. quel che volete, ma fatelo! xD

 

Sì, vado... tornerò *_*

A presto, .

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Capitolo 36
*** Oh, boy! So stupid ***


72 – Oh, boy! So stupid

 

Ryan sbatté le palpebre più volte, mettendo a fuoco il soffitto grigiastro. Si affacciò dal letto, assonnato, vedendo Rupert letteralmente spaparanzato sul letto, con il cuscino sulla pancia e una gamba penzoloni.

Luna, invece, dormiva tranquilla, in posizione fetale.

Ryan sbadigliò e si mise a sedere, incerto sul da farsi. Svegliarsi, e ricevere un cazzotto dal fratello? Oppure trovarsi qualcosa con cui occuparsi?

Optò per la seconda, stiracchiando un sorriso floscio. Con gli occhi cerulei, quasi neve, analizzò per bene la scala del letto a castello: come se servisse! Lui volava, ovviamente.

Poggiò un piede sul primo scalino, pronto a lanciarsi, e si buttò orizzontalmente verso terra... peccato che non riuscì a fluttuare.

Cadde malamente vicino al letto di Luna, salvandosi per un pelo. Boccheggiò nel rumore improvviso, causato dal tonfo del suo atterraggio, che divenne nuovamente silenzio.

“Non è possibile... io dovrei volare!” pensò esterrefatto, toccandosi il corpo per essere certo di stare bene.

Una piccola luce, un barlume di conoscenza, si accese in lui... in qualche giorno autunnale, mentre pioveva, il professore aveva spiegato qualcosa sugli effetti del Sole, che attivava la speciale vitamina... qualcosa del genere, troppo scientifico per ricordarsene.

Sbuffò, pensando che, effettivamente, là la luce del Sole non arrivava. Filtrava troppo smorta, spenta da centinaia di rocce compatte, leggera come carta velina. Un nulla.

Ryan sentenziò, vestendosi con pantaloni neri e maglietta verde, che quella non era una buona cosa. Non lo era affatto, come tutta la storia della prigionia forzata.

Avrebbe voluto ribellarsi, ma... ora non riusciva neanche a fluttuare. Si sarebbe ridotto a un bambino normalissimo, banale, senza forza per combattere.

Uscì dalla stanza, deciso a perdersi in quei corridoi bianchi colorati solo dalla presenza di vampiri. Inquietanti... ma sarebbero diventati familiari.

Col tempo.

 

Ryan sbirciò dall’entrata la biblioteca, creata per i positivi e la loro immortale noia. Era molto estesa, un edificio intero di quel complesso. Gli scaffali ricolmi si susseguivano, creando un’idea di infinito color marrone/verde/rosso, e un leggero odore di antico permeava l’aria. Vi erano dei tavolini sparsi qua e là, fra gli scaffali carichi.

Ryan sorrise a quella vista e alla quantità enorme di libri. Il silenzio era il sovrano indiscusso di quel paradiso, solo il frusciare delle pagine girate dai positivi ne spezzava la trama.

Chissà quanti libri di avventura c’erano!

Iniziò a guardare con interesse i titoli dei tomi, camminando lentamente e adocchiando ogni tanto qualche libro.

Gli Urlatori; Il lupo e la ninfa di palude; I tre alchimisti; I Fiori di ghiaccio e altre storie... l’ultimo volume, quello sulla leggenda raccontata da Luna, lo attirò particolarmente e lo prese dallo scaffale.

Aveva una copertina di pelle bianca, lucida, e vi erano intarsiati dei fiori argentati e brillanti; il titolo era vergato in oro, ma il testo era anonimo. Ryan capì che era antichissimo, un libro raro proprio fra le sue piccole mani.

Si sedette a un tavolino e aprì il tomo.

Il primo racconto era quello sui Fiori, scritto senza artifici ma in modo aulico per il bimbo, ed era quasi uguale alla fiaba raccontata da Luna... una piccola parte differiva e suonava più o meno così:

« Il re vide quei Fiori, splendenti pietre ghiacciate come stelle nel firmamento, angeli gelidi intrappolati in teche diamantine, e perse il colore in viso... che vi vide come la morte così la vita. Arretrò, ma non riuscì a fuggire, intrappolato da polveri e cristalli, e seco li altri cavalieri. Erano in stallo.

Gridarono con urla di bestie, disumani, e gridarono ancora, ma non si ebbe nulla da fare: vennero tramutati in Fiori anch’essi, ignobili angeli del Diavolo. »

Luna non aveva raccontato quella parte drammatica, forse perduta nei secoli, cancellata dalla memoria orale dopo tutto quel tempo.

Ryan voltò la pagina spessa, pura pergamena, e notò che come frontespizio del successivo racconto c’era raffigurata una Luna piena. “I figli del Plenilunio”, era il titolo. Il bambino guardò incuriosito la pagina.

« I figli del Plenilunio, altresì detti Dannati, sono un veleno maligno, un’erba infestante da estirpare, di codesto mondo. Infinite piaghe, come i vampiri, fratelli di gelo, anche i Dannati sono contro natura.

Hanno capelli e occhi di insoliti colori: lapislazzuli, giada, rubini vivi, grigi e bianchi come marmo, d’ametista. Come bestie, non provano nulla di buono, inumani... figli nati tutti al Plenilunio, che è la loro data d’incontro ogni mese. Celebrano, come barbari, la loro nascita danzando nel bosco.

Questi portatori di disgrazia, angeli neri che provano godimento nel macabro, sono crudeli come i fratelli di ghiaccio... »

Ryan guardò sconcertato la pagina, rileggendo le caratteristiche dei Dannati... capelli e occhi d’ametista... che lei fosse?

Il bimbo alzò lo sguardo dal libro, percependo nell’aria un intruso profumo dolciastro, e incrociò gli occhi sorridenti di Violet, poggiata sullo scaffale lì accanto. Sogghignava.

«Ciao.» lo salutò lei, spezzando il silenzio – imbarazzato e denso per Ryan.

Il bambino fece un cenno, non riuscendo a parlare... quanta bellezza, in un essere così mostruoso. Che senso aveva, quello?

«Che leggi?» domandò Violet, avvicinandosi e tendendo una mano candida verso il tavolino. Chissà quanti erano morti sotto le sue dita strette in una morsa di ferra; indistruttibili.

«Ah, sì... un libro di racconti.» biascicò Ryan, allungandoglielo. Lei lo afferrò e gli diede una sbirciata.

Ryan piegò il viso di lato, sorridendo flebilmente e arrossendo senza alcun motivo. Si sentiva invaso da un piacevole languore, diffuso in tutto quanto il corpo, e percepiva le sue guance in fiamme.

Che sensazione strana... non aveva mai provato vergogna, non poteva associare quel calore nemmeno ad essa.

Violet sbatté le ciglia, sfogliò le pagine fino al racconto sui Dannati e poi allibì: non immaginava che... doveva essere un libro davvero antico.

«È interessante, buona scelta.» disse allora lei, posando il tomo sul tavolino.

Ryan annuì, libero da qualunque pensiero sensato. Avrebbe voluto mostrarle tutti i giochi che conosceva, attirare la sua attenzione con qualche scherzo, regalarle un qualcosa... qualsiasi cosa.

Violet sogghignò, stirando un sorriso pallido.

Ryan la ricambiò, improvvisamente allegro.

«Vieni?» chiese la bambina. «Vieni con me, piccolo

A Ryan non diede fastidio quel piccolo, né chiese dove volesse andare; annuì e basta. E la seguì fin fuori dalla sua prigione.

 

*
















Non ho tempo per rispondere decentemente alle recensioni, purtroppo. Ma voglio ringraziare chi ha utilizzato un po' di tempo per recensirmi, perché mi ha reso molto felice. Valevre e Artemis5, grazie. LisettaH, mikibiky, Nausicaa212, un infinito grazie: a Liz per essere sempre lei, a Silvia per la sua luce scintillosa e tutto quanto, a Nausicaa così, per esserci, per Addie, perché sì! *_*

Ora, ditemi cosa pensate di questo capitolo, di questa coppia, di tutto quanto. Di tutto! Voglio un bel regalo di Natale ed esso consiste in una recensione di minimo... due righe (come sono buona *_*), perché ho sempre 30 preferiti ma nessuno si fa sentire oltre i soliti. Ditemi, parlatemi di voi, di ciò che pensate, di che ne so, parlatemi scrivendo la recensione. Regalatemela! Vi saprò ascoltare con attenzione :)

E così, con questa consueta richiesta, me ne vò. Parto più o meno fra venti minuti °_° Perciò non dite che non penso a PB, ho aggiornato solo perché non lo facevo da tempo e avreste aspettato troppo. Fino al 6 gennaio sicuro! Era tanto tempo, no? XD

Sì vado, signori *_* A presto presto. Mi aspetto di raggiungere il 100 recensioni, e al mio ritorno voglio leggere i vostri pensieri, sono proprio curiosa.

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Capitolo 37
*** Sirene ***


A MarySun ed Elvira, con tanto affetto e lacrime.


73 – Sirene

 

Il vestito leggero, di organza color panna, era una macchia chiara nella penombra della cava. Violet precedeva Ryan, muovendosi lentamente per la grande strada nella roccia.

Il bambino, felicemente, guardava la sua borsetta rosa a fiori sbatterle sul fianco, facendo andare avanti e indietro l’orsetto di pezza. Gli occhi del pupazzo, neri e senza fondo, lo fissavano inespressivi.

Ryan accelerò il passo per affiancare Violet, stando attento a non inciampare a causa dei detriti e dai pezzi sconnessi di roccia.

Più salivano, più l’aria diventava calda, e a poco a poco raggiunsero la luce del sole, che illuminava lì intorno i massi di rosso e marrone, le chiome degli alberi a lato di verde acceso e il cielo di azzurro intenso.

Ryan sorrise a quello spettacolo: era stato graziato dall’incubo di quegli edifici bianchi, che rimanevano lontani da lì, in fondo alla cava buia.

«Andiamo.» ordinò Violet, guardandolo rimirare quello spettacolo, assaporando la luce solare, che gli dava forza ed energia nuova.

«S-sì. Arrivo...» borbottò Ryan, e la raggiunse subito.

Violet ripartì, girando a sinistra e inoltrandosi nel bosco, formato da noccioli e castagni che stendevano i proprio rami verso il cielo, ricoperti da piccoli germogli verde chiaro e dagli apparati maschili e femminili per una nuova impollinazione.

I due bimbi camminarono in silenzio, fra l’erba un po’ giallognola che ricopriva la terra e i rovi che crescevano intorno ai massi e agli alberi. Più volte, fecero un giro lungo per passare, anche se Violet non si sarebbe ferita con quelle piccole spine appuntite. Voleva che Ryan non perdesse sangue, per ora.

Avanzarono per un’altra decina di minuti e poi... il rumore del mare, incessante, implacabile e perpetuo, si stagliò sul loro silenzio.

Le onde scivolavano avanti e indietro sulla battigia, piccole ed enormi, e l’oceano vero e proprio stava lì, immenso. Nella sua vastità blu mare, che a Violet ricordava gli occhi di Adam e a Ryan quelli di sua madre.

Da lì alla spiaggia c’era una discesa molto ripida, con un forte dislivello, fatta di rocce bianche e grigie, che erano ricoperte da piccoli arbusti fioriti.

Ryan sentì la meraviglia e la gioia, di fronte a quello spettacolo non intaccato dall’uomo.

«Ti piace, vero?» domandò Violet, con un ghigno a fior di labbra.

Ryan non sapeva che dirle: fare il duro e insensibile, come aveva imparato dai romanzi d’amore nascosti nella libreria del professor Arthur, o rivelarsi come faceva – alle volte – con Sofia? Anche lui... in fondo era un bambino, e sotto tutto quanto, anche lui era dolce.

Sotto molti strati di tutto, eh, e non sempre; si ripeteva con Rupert, quando si dimostravano troppo emozionati o troppo toccati da qualcosa che fosse al di fuori del loro mondo.

Al di fuori di loro due, dei loro occhi così chiari, del loro girotondo fraterno, e delle loro corse con Sofi.

Decise di dirle la verità: «È bellissimo... certo, potevo anche arrivarci da solo, se avessi voluto.» aggiunse. L’ironia e il sarcasmo non erano solo una protezione. Erano parte di Ryan e Rupert; erano davvero loro.

Violet fece un risolino e spostò lo sguardo d’ametista sull’oceano quieto, che ripeteva la sua danza di onde e schiuma bianca.

«Avrei scommesso che ti sarebbe piaciuto.» disse la bambina, giocherellando con l’orsacchiotto stretto nella mano destra. «Gli umani sono prevedibili, vedi? Questo mare è bellissimo, di una bellezza sacra, intenso e infinito, o almeno così sembra. Non esiste qualcuno a cui non piace questo spettacolo, e giustamente. Chi può resistere, chi? Sembra una culla, piena di quiete o piena di pericoli, un enorme ventre caldo e umido, che ti carezza il corpo.»

Ryan la fissò, ascoltando rapito le parole squillanti di Violet.

Lei continuò, con la loquacità che era cresciuta in quei secoli: «Ed è bello. Selvaggio e bello.» si voltò verso il bimbo, con un sorriso livido che era come quel mare, pieno, pericoloso, inumano. «E noi vampiri, siamo così. Di una bellezza pagana. Nemmeno tu, così piccolo e così chiuso, hai saputo resistere a questo viso, a questi occhi, a questo corpo e a questo profumo. Eppure c’era tuo fratello a dirti cosa fare, e l’istinto avrebbe dovuto farti fuggire via, via, più lontano possibile. Ma la bellezza, vedi?, la bellezza è troppo per un essere umano.»

Ryan piegò le labbra in una smorfia, allontanandosi di due passi da lei e dalle sue parole, che ora non erano più squillanti, ma basse e roche. Vere.

«Io...» biascicò, preso da uno spasmo di qualcosa.

Negli occhi di Violet c’era una luce nuova, nata mentre parlava dei vampiri, che ora si estendeva rapida. «Impossibile resistere. Come... una sirena tentatrice, che canta dolcemente mentre apre le sue fauci, le spalanca, ed esse sono irte di denti candidi, ma non puoi più salvarti, perché sei già fra le sue braccia secche. Anche il tuo sangue è così.» disse con emozione, e annullò la distanza fra loro due con un passo celere, sollevando una mano per carezzare la pelle di Ryan.

Il bimbo, sentendo la pelle fredda, raggelò. Incrociò gli occhi di Violet, viola e profondi, e anche troppo accesi da quella gioia demoniaca, che aumentava mentre la bimba inspirava l’aria attorno a lui. A saggiare il gusto.

Ryan gridò qualcosa d’incomprensibile e le coprì gli occhi con le mani pallide, nascondendo quello specchio dell’anima.

«Mi devi ripagare!» sbottò allora Violet, afferrandogli le mani. «Ti ho fatto uscire da quella prigione, non credi che dovresti darmi qualcosa? Un dono.»

Ryan mosse la testa con frenesia, mentre ebbe un altro spasmo di quel qualcosa che era paura, paura più intima e più infima, e pigolò: «No... no, no.»

Ma una mano ghiacciata della bambina gli afferrò il collo, stringendolo senza troppa forza, e l’altra gli bloccò le braccia. Gli occhi rossi, ora, erano di fronte ai suoi, distanti solo un battito di ciglia.

«Non ti preoccupare, non fa troppo male.» mentì Violet, abbassando il viso e lasciando gli occhi chiari di Ryan liberi di vagare sul mare di fronte a sé, mentre il suo corpo cercava di divincolarsi senza riuscirci.

Sentì il colpo.

Quei canini trafiggergli la pelle, passare con facilità giù, fino al sangue dolce e caldo.

Sentì l’aria mancargli, e la paura collimare nel cuore, che accelerò inciampando e sdrucciolando nei battiti.

Poi rimase solo l’attesa della fine.

 

Violet sfregò la mano sulla bocca bagnata di liquido scarlatto, pulendosi un po’ il viso macchiato.

Ryan era steso a terra e ancora si muoveva, strisciando piano per allontanarsi da lei. La bimba si piegò su di lui, afferrandogli il colletto sporco di sangue secco, e fissò per un istante quel corpo smorto ed esangue.

«... Non – » iniziò Ryan, così stanco in quelle parole... «Non mi hai... ucciso?»

«Evidentemente.»

Il bimbo fece una smorfia, piegando un po’ la testa verso di lei, e rantolò: «Ma... tu, io... non dovresti? ... Perché?»

Violet schioccò la lingua sul palato. «Perché è più divertente così, non credi? Ora preferiresti quasi che ti succhiassi tutto il sangue, mentre prima non volevi che ne assaporassi nemmeno una goccia. Che ironia, vero?»

Ryan imprecò qualcosa sotto voce. «Sei... peggio degli altri vampiri... quasi... com’era, Figli ... i Figli della Plenilunio... ma tu no puoi. Non devi... lasciarmi così...»

Violet fece un risolino, annuendo piano. «I Dannati! Sì, sì. Beh, potrei ucciderti... se me lo chiedi in ginocchio. Però, che peccato, non riesci nemmeno a muovere un dito, figurarti inginocchiarti.» celiò la bimba, alzandosi allora da quel corpo gelido eppure ancora vivo.

Ryan piagnucolò qualcosa di simile a un Ti prego... non voleva diventare una bestia anche lui, era meglio morire subito, ormai che poteva scegliere solo quello.

«Sei tu ad avermi seguito di spontanea volontà, sai. Servirà da monito, il tuo bel dono, per tutti i positivi che saranno troppo curiosi o troppo irriverenti. Li lasceremo marcire nel veleno di vampiro, eh, diventeranno bestie. Racconterò la tua storia.» disse Violet, scansandosi dal bimbo, ma fu fermata dalla fioca stretta di Ryan alla sua caviglia.

Con gli occhi azzurri la fissava disperato, sentendo già qualcosa bruciargli dal collo in poi, scendendo giù fino al ventre come un rogo incandescente.

«Tieni l’orsetto.» sbuffò allora Violet, lanciandoglielo sul petto. «Ti farà compagnia.»

E con un sorriso feroce si dileguò.

 

 

Rupert si svegliò mugugnando qualcosa contro il cuscino. Si stropicciò gli occhi con le mani e si alzò barcollando. Si sentiva male... come se avesse la febbre, che scottava la pelle rovente.

«Buongiorno.» gli disse Luna, facendo un cenno con la mano. Era seduta sul suo letto, ancora insonnolita.

Rupert le rispose e salutò anche Ryan, ma non ricevette risposta. Allora si voltò, trovando il letto del fratello vuoto, con le lenzuola stropicciate e spinte in fondo. «Dov’è, lo sai?» chiese a Luna, indicando il letto a castello.

La bimba alzò le spalle, quando lei si era svegliata già Ryan non c’era più.

«Che strano... di solito mi avrebbe svegliato assalendomi, e comunque non era molto mattiniero.» borbottò Rupert, sedendosi sul letto di Luna e toccandosi la fronte bollente.

Chiuse gli occhi e cercò di raffreddarsi le tempie con le mani, che erano un po’ più fredde.

«Stai male?» domandò Luna, guardandolo curiosa.

Rupert annuì flebilmente. «Mi sa che ho la febbre... e, di riflesso, anche Ryan dovrebbe stare male. È sempre così... quindi dovrebbe essere a letto, ma non è qui, e questo vuol dire solo...» disse, fermandosi per riprendere fiato. Sentì la testa cerchiata e pesante, ma continuò: «Che gli è successo qualcosa che gli sta... riscaldando il corpo, credo. Devo... devo andare a prenderlo, sbatterlo a letto e, soprattutto, incatenarlo alle assi, così non scappa.» borbottò.

«Sei sicuro? Non sembri molto in forma, aspetta che ti tocco la fronte, per vedere se hai la febbre forte e...»

Ma non concluse la sua frase.

Rupert si era alzato dal letto, aveva fatto due passi verso la porta ed era crollato a terra, stremato da quelle fiamme insondabili.

 

*

 

 

 













Purupunchan!

Sono tornata. +_+ Avevo detto a Silvia che avrei postato il 15 e oggi, in due ore, ho fatto questo capitolo perché -effettivamente- era già il 15 e se continuavo così non arrivavo a postare xD Per fortuna mi sono data una scadenza, se no *_*"

Prima di tutto: sono shockata. Da 30 a 39 preferiti con un sono capitolo, 9 persone in più! WOW! E poi: voglio ringraziare chi ha recensito (L) perché mi ha reso tanto tanto felice! E siamo arrivati a più di cento recensioni, evvai! >w<

artemis5: Come sei gentile *-* e grazie per gli auguri! Beh, vedi, questa coppia nn era destinata a durare xD Purtroppo era già tutto prestabilito! (Ryan ç.ç)

Nausicaa212: Cara! Guarda, grazie, intanto *__* E poi, Ryan Ryan... io sono la Regina dell'Angst, e questo si ripercuote sui miei scritti >.< in più, ogni cosa ha una sua ragione, e come dice Violet, è un monito, la tortura di Ryan, per gli altri umani. Mentre per i Dannati... c'è una shot su di loro nel mio account, qui!

mikybiky: *muore* Mi fai ridere! xDD I piccoli Piombi crescono potrebbe benissimo essere un libro, eh! XD Alla fine, tutti maturano, io, Sofia (in peggio, ma va beh u.u), i gemelli, il mio stile. Perciò sì, un anno di lettura e scrittura si nota! :) Grazie grazie grazie, Silvia!

lisettaH: Io sono felice. *-* E non ti buttare, che tu ti fai male! Vedi, povero Ryan? Viò è 'na (adorabile) stronza >_< (mai quanto me che scrivo di lei, xD).. alle cose sconcie, non troppo u_ù alla fine un po' xD Tu seguimi sempre, tesorio mio. Accie, megachu.

In fine: a Ryan voglio bene. Ma sono come la Rowling, mi sa, che fa morire i suoi preferiti xD (non preoccupatevi con questa frase, Adam è un vampiro robusto! u_ù)

Ahh ç_ç a presto. Mi do un limite: posto entro... il 30!

Kò kocheggiante.

Ps: Questo blend l'ho fatto pensando al capitolo 71 *-*

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Capitolo 38
*** Il cambiar è cosa assai ardua ***


74 – Il cambiar è cosa assai ardua

 

Ryan stette lì a terra per ore, che parvero giorni e mesi.

Con gli occhi socchiusi vedeva il cielo azzurro con qualche nuvola cremosa e sfumata, mentre riusciva a percepire il ronzio ripetitivo delle mosche e la canzone lontana delle onde sui piccoli scogli.

La costa era così pendente che Ryan, per qualche istante, pensò con stanchezza che forse buttandosi sarebbe morto e non avrebbe mai dato fastidio a nessuno, non diventando un vampiro.

Ma era troppo, troppo sfiancato. Quasi morto.

Non riusciva a ragionare bene, e così si concentrava sul cielo e su quei rumori ripetuti che lo cullavano dolcemente nella semi-coscienza.

Solo quando il sole era già all’orizzonte, tingendo l’oceano di rosso fuoco, Ryan percepì una nuova forza fluirgli nelle vene, costringendolo a muovere le dita ormai intorpidite.

Scosse le gambe addormentate, si sedette con fatica sul terreno e poi si alzò, sentendo un formicolio fastidioso dal piede alla coscia. Sbuffò piano, mentre metteva a fuoco ciò che lo circondava.

C’era il bosco da un lato, il mare dall’altro. E basta.

Riusciva a vedere abbastanza bene, pur essendo ormai buio, e riconobbe in questo un primo sintomo di trasformazione.

Strinse i denti per non gridare.

Non sapeva che fare... ma si toccò per prima cosa la pelle, che era calda al tatto, e poi si strinse il polso sotto l’indice e il medio, percependo fortunatamente il battito veloce del cuore. Era in sovraccarico, stressato dal veleno, ma era vivo.

Ryan accucciò la testa fra le mani, stringendosi le ciocche bionde fra le dita e pensando... mentre quella forza continuava ad aumentare e a diminuire nel suo corpo in metamorfosi, rapida.

Rimase concentrato sui suoi pensieri, cercando di trovare una soluzione a quell’energia pulsante, per almeno una decina di minuti. Era tutto troppo confuso, nella sua mente.

Ora sentiva il petto dolergli, scosso da spasmi e percorso da fitte lancinanti, che gli lasciavano addosso l’unica sensazione di non riuscire a respirare, di affogare in quel dolore a sprazzi. In più, il calore della sua pelle era aumentato, quasi come se il corpo rispondesse in ritardo all’agente estraneo, il veleno, ormai in circolo.

Traballò fino all’albero più vicino e vi appoggiò la schiena, reggendosi, e una nuova ondata di dolore gli percorse il corpo.

Desiderava sedersi a terra e morire lì, fra l’erba e i fiori: Ryan sapeva di non voler vivere in quel modo, come una feccia succhiasangue che doveva sfruttare e uccidere qualcun altro per la sua sopravvivenza. Ma non era così facile, crepare in quelle spoglie fredde, inutili ed eterne.

Sospirò e, con le orecchie che pulsavano ma sentivano molto meglio di prima, percepì un movimento lì vicino, fra l’erba secca del bosco.

Un frusciare quasi silenzioso, eppure percettibile.

E a Ryan non era sfuggito quell’aroma che il rumore si era portato dietro, con un’ondata nella sua direzione grazie a un leggero venticello. Il profumo gli riempiva il naso, assillandolo nel suo languore caldo, e gli inebriava tutti i sensi come una scossa elettrica. Non riusciva a resistere, incantato dall’odore così... così buono.

Animalesco, proprio come l’istinto che gli sorse dal ventre fino alla gola. Riuscì solo a pensare, nell’ultimo istante di lucidità, che la gola ardeva più di prima e che si era lanciato con velocità contro qualcosa di simile... a un animaletto notturno.

Un topo.

Ma non ci fece caso, né provò ribrezzo per la piccola bestia indifesa, perché i suoi denti erano già affondati nella morbida carne prima di poter semplicemente ragionare.

Così, d’istinto, iniziò a bere.

E poi fuggì via nella notte, correndo fra gli alberi nodosi e i piccoli fuscelli, lasciandosi dietro la piccola preda esangue e un orsetto di pezza, abbandonato sulle rocce sia dalla sua proprietaria che dal bambino che lo aveva ricevuto in dono, come una beffa.

Gli occhi neri e infiniti pieni di nulla, a guardare tutta la scena dal suo angolino.

 

 

Violet aveva vagato per tutto il giorno, senza alcuna voglia di ritornare alla cava, anche se doveva: per ora, lei – come ogni altro vampiro né troppo vecchio né troppo giovane – doveva dare una mano alle sentinelle. Istruire per bene, controllare tutto, dare consigli. Dopo qualche settimana se ne sarebbe potuta andare, come aveva accordato con Gabriel.

Adesso, con il vestito d’organza bianca fastidiosamente macchiato da goccioline secche di sangue, era su una sporgenza rocciosa. Sotto di lei, la cava e il suo buio perenne.

Diede una spinta leggera con i piedi e balzò qualche metro più sotto, sulla strada che scendeva nella cavità, poi si mosse velocemente fino ad arrivare davanti agli edifici chiari. C’erano le sentinelle a controllare l’oscurità tranquilla, fatta di un’immobile coltre di silenzio.

Violet fece un cenno ai vampiri ed entrò, imboccando un corridoio a destra che portava alla ‘sua’ stanza. Le era stata data una camera, così come agli altri ospiti più illustri, dove alloggiare per quel periodo.

Svoltò a sinistra, percorrendo a grandi passi il nuovo corridoio, quando una voce la chiamò. All’incrocio con un passaggio verso l’altro edificio c’era Maximilian che, dopo aver fatto da sentinella, era intento a raggiungere la sua camera, divisa con altri tre vampiri.

Infatti, i vari cambi tra guardie avvenivano a mezzogiorno e a mezzanotte, e tutti prima o poi finivano per controllare i positivi. Solo chi era in alto nell’oligarchia dei vampiri, come Violet, poteva essere esentato da questo lavoro ‘sporco’.

Comunque, le guardie erano abbastanza da poter fare dei turni più duraturi: ogni cinque anni il gruppo stanziato nella cava sarebbe stato cambiato con un altro, e così via.

Maximilian, non avendo un posto dove andare, era rimasto lì con Hassan, e ora stava proprio tornando nella stanza dove l’amico sicuramente lo stava aspettando.

Dovevano andare a caccia.

«Sei tornata... ti cercava il capitano, l’ho visto parlare con Potter, stamattina.» disse Max, osservandola con un leggero sorriso stanco.

«Ah, bene. Vorrà dire che passerò da lui prima di andare a riposarmi.» rispose Violet, pronta ad oltrepassarlo, ma fu bloccata dal suo braccio che le cingeva le spalle. «Lasciami, se non vuoi essere ridotto in poltiglia. Devi portare rispetto, insomma!» sbottò allora, ringhiandogli addosso.

Maximilian in risposta si chinò su di lei, annusando l’aria con eccitazione. «Hai del sangue... sul vestito, che buon odore...» sussurrò, concentrato su quel profumo. «Hai mangiato, ecco perché eri fuori...»

Violet fece una smorfia di sdegno, spingendo via con le mani il suo braccio. «Ti ho detto lasciami, quale concetto di queste poche parole per te è troppo difficile da comprendere?» soffiò, sollevando gli occhi d’ametista verso di lui con un moto d’ira.

«Sei lunatica. Prima fredda, poi improvvisamente piena d’interesse, adesso acida.» ribatté lui, spostando il braccio.

«Non è giornata, Maximilian, e pur essendo il primo Dannato che incontro, non rispondo di me stessa se continui a infastidirmi. Sono un tuo superiore, perciò non rivolgerti in modo colloquiale con me.» disse allora Violet.

Ma... ma se era stata lei a proporgli di volare, qualche giorno prima!

Max non si diede per vinto: «Inutile fingere, noi siamo uguali. Ogni vampiro porta una maschera, e la tua è un rigido ghigno superiore. Come se bastasse con me; l’hai detto anche tu, sono un Dannato.»

Violet sbatté il piede irritata, incrociando le braccia. Era piena di rabbia repressa, che non aveva smaltito con il vagare per il bosco.

Allora scoppiò: «È che... oh, insomma, tutto questo periodo prima di qualcos’altro è snervante, aspetto la risposta degli umani da così tanti anni che ora sembra semplicemente un’illusione. Non vedo l’ora, eppure è strano. Pensare all’odore della battaglia e del sangue... che darà alla testa a tutti i vampiri. E da oggi non ho più il mio portafortuna, ecco, e questo è terribilmente stupido.»

Fece un ghigno nervoso e si affrettò ad allontanarsi, piena di sdegno ma svuotata dall’ira di prima.

Maximilian la rincorse con una risata, che diede i nervi a Violet, perché già si sentiva stupida di suo e quell’ilarità la irritava solamente.

«Ridi di me?» chiese.

«Sì. Perché... beh, sei così infantile, sai? Ance se hai la tua età da vampira, sei proprio come una bambina umana, capricciosa e lunatica.» disse Max.

«Così sia.» ribatté lei, lasciando correre per non rispondere di nuovo male. Aveva già detto troppe cose su di sé a uno sconosciuto.

«Se non hai più il tuo portafortuna, c’è un motivo. Il resto si vedrà.» concluse lui.

Violet, inspiegabilmente, annuì. Chissà come, si era ritrovata a provare per qualche istante pietà, dopo aver mostrato la bruttezza del mondo a Ryan, e si era ricordata di lei da bimba e del suo incontro con i vampiri. Così gli aveva lanciato l’orsacchiotto, perché era un conforto, rigirarlo fra le mani.

Poi però era tornata se stessa ed era corsa via.

Ghignò con ironia. «Hai proprio ragione.» annuì. Alla fine era vero, quel Dannato le stava simpatico, e al capitano avrebbe parlato dopo. «Hai da fare?»

Maximilian disse di no, ignorando il pensiero di tornare in camera da Hassan e di andare a cacciare insieme.

«Ti va... ti va di volare un’altra volta? Di aspettare l’alba?» borbottò Violet, sfidandolo con lo sguardo.

E questa volta Maximilian disse di sì.

 

*

 




















Il titolo è riferito anche a Violet, eh XD CHe cosa strana, comprenderla! Ma mi risulta sempre molto lunatica, più che altro con i suoi sbalzi di umore, fra l'ironia allegra e la violenta ira. Perciò, così sia, come dice lei stessa xD

Grazie per le recensioni, luce dei miei occhi piccoli e castani *__*

darkrainbow-> Grazie mille Veronica! Sono felice che ti piace la mia storia, vedrai che tutto quanto si evolverà xD Continua a leggere e vedrai +_+!

artemis5-> Ehh, per Adam e Sofi ci vuole un po' di tempo. Ho una scaletta in mente e per ora tutto è incentrato su Ryan xD Ma vedrai che arriveranno anche loro *_* Grazie

lisettaH-> Nee-san, XD Ma lo sai che sono sadica, sei la mia shore!, e anche mucho angst. Rupert... oh Rupert sarà analizzato pure lui, ghgh. Per Adam e Sofi, pazientate, pazientate. Graziee!

Nausica212-> Tu sei una donna miticaH! Il discorso di Viò sul diario *saltella* Ohh, che felicità. Sì è veleno, e sì lo spin-off leggerai la prossima volta, non importa ^^ Grazie >w<

mikiybiky-> Ryan è Ryan ed è un bambino cocciuto e stupido *_* Ahh Rupert non si trasforma, no no XD Vedi, ora ho postato prima del 30! Thank you.

smallpunkrock-> Gentilissima! Ehh Ryan... perché sono come la Row, uccido i miei preferiti, però con un "senso" xD E' un monito alla stupidità umana, sì. Per il metodo di uccisione dei vampiri, vedrai fra un po' ^_^ Grazie *__*

 

Ringrazio inoltre i 41preferiti:

 

A prestooo!, Kò.

Tornerò entro... il 15, sì. Se mi do una scadenza ci arrivo, se non lo faccio invece non scrivo mai xD

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Capitolo 39
*** To live and not to breathe | Requescant in pacem ***


Alla mia moglia Lulù, semplicemente così.

E ai miei ex compagni, perché vi voglio bene, effettivamente.

 

 

75 – To live and not to breathe

 

I suoi occhi vedevano un altro mondo.

Cioè... era così e basta.

Già da positivo, Ryan Lytton aveva vissuto l’esperienza di poter essere di gran lunga superiore a un umano qualunque: fluttuava, sentiva e vedeva meglio ciò che lo circondava, la sua capacità celebrali erano migliori. Solamente grazie al Sole, che era benedizione e dannazione dei positivi.

Sapeva, avendo letto la “Grande Storia di Aiedail – Sunto per tutti i lettori”, che un tempo i positivi erano stati visti come mostri dalla gente comune. I negativi e i positivi avevano lottato fra loro, ma alla fine era prevalsa la pace.

Si erano uniti in un grande popolo.

Così, quel Sole marcava la differenza. Anche fra i vampiri.

Era a conoscenza solo di poche cose su di essi, ma fra di esse c’era l’uccisione del vampiro. Esso era il mostro di tutte le favole narrategli da sua madre, prima di andare a letto, da piccolo. Quella creatura orribile aveva fauci enormi e occhi color sangue, e incuteva timore, anche a Rupert.

La morte del mostro era semplice: si incastrava un paletto proprio nel cuore, o il Sole appariva luminoso con i suoi raggi, bruciando la creatura immediatamente.

Ma ora, lui era sotto la luce solare, con gli occhi scattanti da un lato all’altro del suo campo visivo e con la bocca spalancata in un respiro prolungato e affannato. Non ardeva nelle fiamme, come un normale vampiro.

Questo perché era un positivo. Il Sole che era benedizione e dannazione.

E i suoi occhi vedevano un altro mondo, fatto di odori più intensi, di colori più accesi, di movimenti più rapidi e più lenti. Eppure esso era lo stesso di prima: era lui ad essere cambiato.

Ryan, comunque, sentiva di non essere del tutto un vampiro. Non era ancora passato il tempo necessario alla mutazione, e per ora il suo corpo era preda di una folle febbre bruciante, unita all’arsura nella gola e gli occhi che pizzicavano fastidiosamente.

Ryan percepiva ogni parte del suo corpo mutare con lentezza. La pelle stava cambiando la sua conformità, diventando più compatta. I denti gli facevano male, squarciando la pelle della bocca. Ma era ancora umano, il suo cuore batteva irregolare, la sua pelle era arrossata, sentiva una stanchezza gravosa.

Sospirò placidamente, osservando la villa bianca davanti a lui. Così vuota e glaciale, diversa da quella villa che ricordava esistere solo pochi giorni prima.

Nell’aria c’era ancora l’odore di disperazione e di lotta, intrinseca alle pareti candide e spesse di quell’imponente edificio.

Ormai, quella non era più la sua casa.

Rupert e Sofia erano in quella cava maledetta, al buio perenne dell’ombra.

Ryan sospirò gravemente, poi si voltò, dando le spalle alla villa e dirigendosi verso il mare. Aveva avuto un’idea.

 

 

Luna osservò apprensivamente Rupert, steso nel suo letto a pancia in su, che respirava faticosamente e aveva il viso rosso acceso. Gli mise una pezza bagnata sulla fronte, facendo una smorfia.

Il dottore era – strano a dirsi – un umano molto giovane ed emotivo: si lasciava prendere da ogni cosa, con un’espressione preoccupata sul volto e un fare comprensivo. Veniva dalla parte orientale dell’impero, abbastanza vicino a Freya, la città più grande di quella zona.

« Ha qualcosa di strano, che nemmeno il Cerchio Curativo (formazione con stella iscritta, parole vergate ai lati e formula speciale) riesce a curare come dovrebbe. » borbottò il dottore, misurando il battito di Rupert. Era irregolare, un po’ in tachicardia.

Come suo fratello, solo che non potevano saperlo.

« Insomma... è una malattia insolita, davvero. Una febbre che è qui come se non fosse qui. Non so se mi sono spiegato bene. » continuò il dottore, sbirciando con apprensione il malato.

« Emh, effettivamente no. » rispose Luna, squadrandolo con i suoi occhi blu, troppo grandi nel suo piccolo viso bianco.

« Non lo so, non lo so! », disse accorato il dottore, carezzando i capelli di Rupert. « Andrò a consultare i libri con attenzione alla biblioteca, nell’edificio due. »

Luna annuì flebilmente, lanciando un’occhiata a Rupert che si rotolò su un fianco, sussurrando nel sonno: « Ryan, Ryan... » con voce dolente e tremula.

 

Sofia pettinò per bene i capelli lunghi e castani, sciogliendo i piccoli nodi che si formavano ogni giorno, si alzò dal letto e fece il giro della sua camera, una, due, tre volte. Non sapeva cosa fare, senza i gem...

Non doveva pensare.

Un leggero bussare la distrasse: andò ad aprire la porta, con un sorriso di plastica sul viso.

Dalla sua bassa statura, Luna la fissava con gli occhioni blu notte, arricciando le labbra. « So che sei amica dei gemelli. » disse la bambina, incrociando le braccia sul petto e studiandola.

Sofia annuì involontariamente, poi le fece un cenno con la mano, intenzionata a farla entrare nella stanza. Luna non esitò e andò a sedersi sul letto sfatto.

« Eri nella loro stessa villa, no? » chiese la bimba, dondolando le gambe avanti e indietro.

Sofi annuì, non volendosi dilungare in una spiegazione contorta sulla sua situazione e la pillola arancione del professore Arthur.

« Devi aiutare Rupert... devi aiutarli. » sbottò allora Luna, che aveva il viso impassibile ma un tono infervorato nella voce.

Sofia si vide sbattere in faccia ciò che cercava di allontanare: lei doveva andare con Adam e dimenticare i gemelli, non aiutarli, né salvarli, né amarli. Non c’era posto per qualcosa di mortale e di soggetto allo scorrere del tempo. « Non posso. »

Luna piegò furente le labbra, strizzando gli occhioni e fissandola con odio. « Ryan è scomparso. » disse con ira.

Sofia tentennò, sbarrando gli occhi nocciola senza farsi vedere dalla bambina – no, Ryan non poteva essere scomparso, non doveva... Sofi avrebbe voluto che, nonostante il suo tradimento, loro fossero stati sempre uniti, lì. Lei non... doveva concentrarsi sui gemelli, dannazione.

« D-davvero? » chiese.

Luna annuì grevemente, alzandosi dal letto e avvicinandosi a lei. « Dobbiamo trovarlo o Rupert... Rupert che fine farà? »

Sofia si voltò a guardarla negli occhi, due pozzi blu che ricordavano la profondità del mare o il colore della notte piena di stelle. « Ma non possiamo! » borbottò.

La bambina avrebbe voluto che Sofi, essendo più grande, avesse qualche soluzione: si dice sempre che i grandi sanno più cose, che tutto ciò che è importante è di competenza loro, e allora perché... perché hanno ancora più domande e meno risposte dei bambini?

« Io speravo che tu avessi un’idea, qualcosa! »

Sofia negò con la testa e poi si lascio sfuggire: « Andiamo da Rupert. E’ il suo compleanno. »

Luna rimase basita un attimo, non sapeva nulla di ciò, ma annuì l’istante dopo. In fondo, i gemelli erano suoi compagni di stanza da poco più di una settimana.

 

« Auguri! » esclamò Sofia con un leggero sorriso sul volto, dolcemente. Aveva l’espressione di una madre verso suo figlio, ma se fosse stato davvero così lei non avrebbe mai abbandonato i gemelli: una madre si farebbe ammazzare per i suoi piccoli; Sofi aveva la parvenza di essa e l’affetto, ma non bastava.

I gemelli avevano una loro madre che veniva a trovarli saltuariamente e Sofia aveva solo diciassette anni.

Rupert, inspiegabilmente migliorato dalla febbre in quei minuti, sorrise vuoto. Luna gli carezzò la fronte, ora fresca, e gli fece gli auguri.

« Nove anni! Stai diventando un ometto. » chiocciò Sofia, cercando di non guardarlo nei suoi occhi chiarissimi – non voleva sentirsi in colpa.

« Siamo vecchi. » sbuffò Rupert, poggiando una mano sul cuore. Lì c’era anche Ryan.

« Già... » disse Sofia scherzosamente. « Decrepiti. Fra poco non potrete muovermi dall’artrosi alle ossa. »

Rupert le lanciò un’occhiata ma non rise.

 

*

 

 

 

76 – Requescant in pacem  

 

Rupert fece uscire dalla stanza Luna, con la scusa di farle cercare il dottore.

« Sofia... ho paura per mio fratello. »

La ragazza si volse verso il bambino di nove anni, piegando il volto di lato e corrucciando le sopracciglia per simulare una domanda: Perché?

« E’ da due giorni che non c’è più, Sofia! Non possiamo ignorare questa cosa... e io ho avuto la febbre più strana al mondo. » sbraitò Rupert, guardandola con gli occhi azzurro chiaro pieni di furia.

Giusto. Sofia voleva dimenticare quel brutto argomento subito, senza remore. Chissà dov’era l’altro gemello ormai. Era meglio sbrigarsi e non pensarci più, o sarebbero affondati nella disperazione.

« Tornerà, vedrai. Non ti preoccupare. » mormorò lei, spezzando quella dura maschera d’indifferenza e cordialità che si era costruita, pezzo per pezzo. Gli scombinò i capelli quasi bianchi, cercando di mettere la questione sul gioco. Ma Rupert non demorse: era suo fratello.

« Sofi... io non lo sento più. Non è... come prima. Quasi come se fosse morto, ma allo stesso tempo vivo. Collegato a questo mondo solo da pochi fili. » le disse allucinato, con lo sguardo preoccupato e triste.

Sofia non comprese bene quelle parole, come lo stesso bambino che le aveva appena dette. Eppure Ryan non c’era, pur esistendo.

« E poi... anche tu. » mormorò lui, stringendosi fra le braccia.

« Eh? » domandò lei, stupita.

« Anche tu, Sofia... è come se non ci fossi. Sei così strana. »

Lei sbarrò gli occhi nocciola, non facendosi vedere dal bambino, poi gli scompigliò di nuovo i capelli, sorridendo falsamente.

« Ti sbagli. Io sono qui. » disse, sapendo di fingere.

 

Sparkling angel

I believed

You were my saviour

In my time of need.
Blinded by faith
I couldn’t hear

All the whispers

The warnings so clear

 

Ryan guardava il mare avanzare e indietreggiare in una danza sempre uguale, ritmica, perfetta. Le onde spazzavano via tutto nel loro blu, l’odore si spandeva sulla spiaggia colpendo il suo naso più sensibile, il sole era coperto da nuvole bianche.

Aveva provato ad affogarsi.

Però non riusciva a morire in acqua. Poteva stare senza respirare, immerso in quel sogno leggero dove non vi era alcun suono, nell’acqua calma ed infinita.

Con rabbia diede un calcio alla sabbia dorata, sbuffando. Non ce la faceva... non ce la faceva più.

Sentiva la trasformazione che accelerava, mutando il suo corpo in quello di un mostro.

La febbre persisteva e sentiva caldo, fuoco dentro le vene, mentre si alternavano momenti di grande forza e di grande debolezza; già i suoi denti più appuntiti avevano squarciato la pelle della bocca, pronti a sostituire quelli normali nella trasformazione solita dei vampiri “superiori” e riusciva a vedere di notte. Inumano.

Cosa doveva fare per morire?

Non avrebbe mai potuto vivere in quel modo, in un corpo morto e freddo che si cibava di sangue, odiato da tutti gli umani, innaturale – la Morte si era sostituita alla Vita. Lui avrebbe voluto crescere, stare sempre con suo fratello, continuare a fare scherzi, correre senza limiti.

Ora la sua vita era scappata via, catturata da mani pallide con unghia nere, da denti bianchi e lunghi, da occhi scarlatti. Che cosa poteva fare se non morire?

Era quella l’unica soluzione possibile, lo sapeva. Avrebbe voluto avere più tempo da umano... soltanto quello. Era un sogno utopistico, in quel mondo.

Si allontanò dal mare, affascinato da quella distesa blu. Forse sapeva cosa fare... combattere contro uno come lui, un vampiro.

Corse veloce verso la cava dei positivi, in cerca di qualcuno che avrebbe potuto porre fine alla sua vita.

 

All’entrata della cava non c’era nessuno, le guardie erano tutte sotto, sentinelle grevi a bloccare le porte degli edifici. Lì c’era solo Adam, appollaiato su una roccia a guardare il cielo plumbeo, di vampiri nemmeno l’ombra.

Eppure... quando passò accanto al ragazzo percepì qualcosa di diverso. Ora poteva sentire quell’odore particolare, tanto simile a quello della maledetta bambina che l’aveva trasformato. E anche al suo nuovo profumo.

« Tu sei come me? » chiese flebilmente, con gli occhi sbarrati dallo stupore.

Adam si voltò verso di lui, osservando i mutamenti che stavano colpendo Ryan. Gli occhi erano rossi, anche se il bambino non poteva saperlo, e la pelle diafana era ancora più pallida.

Il ragazzo annuì.

« E Sofia lo sa? » domandò il bimbo a voce più alta, stupito da quella rivelazione. Adam era un vampiro... ed abitava nella villa bianca, sicuramente aveva a che fare con gli altri mostri che avevano attaccato quella sera...

Il più grande ghignò.

Ryan fece una smorfia disgustata: Sofia lo sapeva, Sofia lo sapeva!

Traditrice.

Doppiogiochista.

E lui che le voleva tanto bene, quasi fosse sua madre. Sofi era sempre stata con loro, li aveva accompagnati nella vita, avevano giocato insieme tutti i giorni... e ora tutto andava in frantumi. Scaglie di vetro che facevano male sul suo cuore ancora mezzo umano.

Si ritrovò con le lacrime agli occhi per la rabbia. In fondo poteva ancora piangere, né umano né vampiro al cento per cento.

Poi ragionò: Adam poteva porre fine a quella mostruosità.

« Mi uccideresti, per favore? » chiese il bambino, alzando il suo sguardo deciso.

L’altro lo fissò stranito, non capendo bene quello che voleva dire. Ma Ryan lo guardava senza remore, serio, composto: pronto alla propria fine.

Allora Adam sorrise, gli passò una mano fra i capelli chiarissimi e poi scese al collo, dove serrò le sue eleganti dita attorno alla carotide del piccolo. Non poteva più soffocarlo, ma poteva spezzargli il collo e poi bruciarne il corpo.

Non vide paura negli occhi del piccolo, solo un po’ di ... amarezza.

« Addio Rupert. » mormorò soltanto Ryan, poi chiuse le palpebre, attendendo. “Addio Aiedail... addio Sofia. Ti voglio bene lo stesso.”

Adam strinse un po’ più forte, chiudendo gli occhi blu mare, e un gemito soffocato si levò nell’aria, a simboleggiare la sua morte prima di diventare un vero vampiro. Il vampiro scrutò quel corpo da bambino, lo bloccò a terra e tracciò un cerchio alchemico elementare che tutti i vampiri conoscevano: la Stella di Fuoco.

Qualcosa che tramutava il terreno lì sotto, accumulando materia, e successivamente si accendeva in una vampata di fiamme.

Ardere era l’unica via per perire, l’ultima risorsa per i “superiori”. Non potevano essere eliminati così facilmente come i vampiri normali, e questo fuoco rendeva un vampiro uguale ad un umano... c’era sempre una strada per morire.

Nemmeno l’eternità fermava la morte.

Così Ryan avvampò in quelle fiamme azzurrine, con gli occhi chiusi e un sorriso pacifico sulla testa piegata in modo innaturale. E si spense dopo qualche minuto, ridotto in un cumulo di ceneri, che si sparsero al primo soffio di vento, ricadendo nella cava oscura.

Adam fissò quella polvere grigia disperdersi nell’aria, volare sui positivi rinchiusi in quelle carceri. Piegò le labbra in una smorfia triste: il suo compito l’aveva svolto, ma si chiedeva se Sofia... lasciando perdere si voltò, dando le spalle ai resti dispersi di Ryan.

 

Sofia... ho paura per mio fratello.

 

 

 

***

Fine Seconda Parte

 

 

 

 















Intanto: mi spiace per il ritardo!! tantissimo! >_< Mi ero data una data (gioco di parole XD) entro cui finire, ma puff. Niente! Scusatemi ç__ç Alla fine però sono riuscita a scrivere e credo sia questo l'importante (forse XD).
Rispondo a una domanda ricorrente: Per quanto riguarda Violet e il suo gesto, un vero motivo non c'è: lei è capricciosa e in quanto tale, le è piaciuto l'interesse di Ryan per lei e l'ha voluto calpestare. Si è spinta un po' troppo in là, ma credo che la sentiremo parlare ancora di questo fatto con Max o Adam, in futuro. Insomma, Violet è strana e non la capiscono nemmeno io XD Ma è rimasta colpita dalla cosa che ha fatto lei stessa xD
Poi: il titolo del primo cap è una frase di Jesus of Suburbia dei Green Day, mentre il pezzo in mezzo al secondo capitolo è dei Within Temptation, Angel:

Angelo splendente,
Credevo
Tu fossi il mio salvatore
Nei momenti di bisogno.
Accecata dalla buona fede,
non sentivo
Tutti i mormorii,
I segnali così chiari.

Sì sì. Voglio ringraziare tantissimo i 46 preferiti, chi ha segnalato la storia ad EFP finendo così fra Storie Scelte (woooow! *__*), chi ha recensito:

artemis5: Mi piace incasinare le cose *__* XD E non avere validi motivi per farlo o per le cose che accadono nelle storie xD Grazie <3
mikiybiky: Uella Silvia :) I bambini crescono i fretta ç__ç Ahhh, mi manca Ryan - ma così era e così è xD Viò è come dici tu ò_ò Boh! Non ti preoccupà, priam o poi Adam e Sofi torneranno protagonisti XD Grazie!! *_*
Nausicaa212: E adesso come stai? Meglio? ^^ Spero di sì! Buaahha. Sono felice che Max ti sta sui cosidetti! (non è normale ò_ò) vuol dire che riesco a far appassionare, odiare, amare ecc ai lettori +__+ Bene, sono felice che ti sia piaciuto il cap. Grazie mille >w<
lisettaH: Nee-san, che sarà sarààà! XD Che bello che ti piace Maximilian +.+ Ottimo ottimo! Grazie per esserci sempre *_*

Poi voglio ringraziare in modo enorme - enorme enorme - a Livia, che ha scritto due fic su Positive Blood. E ora le pubblicizzo, naturalmente: Puzzle su Violet e Felicità su Sofia. Sono entrambe bellissime, ve le consiglio caldamente >w< E non so nemmeno se ho mai pubblicizzato le altre fic, ma Liv ne aveva scritta un'altra su Sofi e lisettaH altre due (L): Nobody's Home sul rapporto di Sofi e suo padre, A song of Storm and Fire sulla coppia JackLogan (ghgh XD), e una fic dove Liz ha usato Sofi e Adam in un altro contesto: Vicini di letto a Rating Rosso.

Ce ne sono cose da farvi vedere!, come ultima un gioiellino su Pb. (partendo dall'alto, da sinistra verso destra: Rupert, Violet, Maximilian, Adam, Sofia, Armelia, Juliet, Gabriel, Hassan)

Thanks. A presto, si spera, Kò!

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Capitolo 40
*** Alesia e i Burnside ***


Positive Blood, Terza parte

77 – Alesia e i Burnside

 

La capitale di Aiedail era molto sfarzosa: una città dai muri bianchi possenti e alti, dalle strade larghe e lastricate con piccoli ciottoli grigi, dal sorriso sulle labbra. Era lontana secoli interi dagli sparuti villaggi dell’Impero, abitati da poveri contadini e pescatori. Il suo nome era Alesia, la città degli alchimisti sin dai tempi antichi: l’Accademia per formare i nuovi giovani, istruendoli all’alchimia, era situata proprio al centro della capitale, in un largo spiazzo.

Poco distante, c’era un enorme palazzo dal giardino maestoso definito dai cittadini il Parco per le sue enormi dimensioni. La villa imponente, candida e marmorea, si ergeva su tutte le aiuole colorate e curate, su tutti i cipressi, i pini, gli abeti, le querce, le betulle del Parco. Le ringhiere dei balconi erano decorate con ornamenti floreali di metallo battuto, sui cornicioni svettavano piccoli simulacri candidi, il portone d’ingresso era riccamente lavorato, con basso rilievi che narravano l’inizio della civiltà.

Quella era la sede dell’Imperatore.

Sul tetto la bandiera svolazzava alta, segno che quel giorno egli era in casa.

Achille della famiglia dei Burnside era un uomo tarchiato, dagli occhi svegli e le labbra spesse. La sua pelle scura non era ricoperta da anelli e gioielli vari, come gli altri nobili: era un Imperatore pragmatico e minimalista, cinquantenne, pingue.

Suo figlio Richard era slanciato, come la sorella minore Eve: avevano preso da loro madre, l’Imperatrice Caterina, longilinea e bellissima, purtroppo morta dando alla luce la propria figlia.

Richard era un cuor di leone, dal coraggio ardente e la bocca piena di parole sincere e schiette. Era un suo diritto, comandare.

Eve era stata la vigilia della perdita di Caterina, Eve dagli occhi sempre pieni di preoccupazioni per i suoi parenti. Sembrava fragile più di quanto lo era davvero e la sua stessa essenza era macchiata dal suo nome. Il padre diceva che erano solo stupide superstizioni, ma ogni brutta cosa accaduta ad Eve era la vigilia di qualcosa di molto peggiore per gli altri. Lei, comunque, era fortunata e coccolata e raramente le capitava qualcosa di spiacevole.

L’Imperatore Achille, seduto sulla sua poltrona preferita nel salotto delle proprie stanze, pensava assorto assaporando un tè freddo.

Era ormai ottobre inoltrato, ma l’Imperatore non rinunciava alla sua bevanda preferita, pur essendo troppo fredda per la stagione.

Stava rimuginando sulla situazione catastrofica di Aiedail, senza sapere cosa fare. Osservò la sala: il tetto era alto, dai lampadari di cristallo, un tappeto elegante e costoso ricopriva il pavimento chiaro, le pareti bianche erano abbastanza semplici, rette, e su una vi era un grande specchio. Due servitori stavano poco lontano, pronti ad ascoltare ogni sua richiesta.

Achille, giungendo le mani tozze sotto il mento, sbuffò. «Chiamatemi il Segretario di Guerra».

L’uomo arrivò poco dopo, con i baffi simmetrici sul labbro sporgente e gli occhi incerti. «Mio signore, ho portato delle mappe...».

«Mi illustri la situazione».

Il Segretario di Guerra, carica istituita solo in situazioni difficili come quella, deglutì rumorosamente, carezzò i suoi baffi grigi e annuì gravemente. Aveva qualcosa di buffo, nel naso aquilino e nello sguardo un po’ vacuo.

«Bene, mio signore.» incominciò allora l’uomo. «Come possiamo vedere in questa mappa che... puff, un attimo, la srotolo sul tavolino.»

Davanti alla poltrona dell’Imperatore c’era un tavolo basso e anche un po’ scomodo, circondato da altre seggiole eleganti. Il Segretario stese per bene la cartina, appiattendola sulla superficie levigata.

La mappa mostrava Aiedail alla perfezione, con i suoi golfi, le sue montagne, le sue foreste e i laghi; con le città e i piccoli villaggi costieri e montani.

«Come già sappiamo, i vampiri hanno rapito i positivi, che probabilmente ora sono in questa zona ad est...» disse il Segretario, facendo un cerchio immaginario su una parte di Aiedail. «L’esercito è impegnato al nord, dove altri di quelle bestie stanno attaccando gli accampamenti, il S.S.E.V. si sta raggruppando qui vicino, dall’altra sponda del Grande Lago. I rimanenti vampiri si sono stanziati presso Ilshabar, al limitare della foresta e a sud da Alesia.»

La voce del Segretario era borbottante, simile al rumore della teiera piena di vapore. L’Imperatore lasciò perdere quell’inutile pensiero e annuì all’uomo, rimuginando sopra il da farsi.

«Beh, è una situazione davvero pericolosa, ne conviene, Segretario? E’ difficoltoso prendere una giusta decisione, poiché l’idea di quelle bestie in movimento mi rende assai nervoso. Il mio intero popolo è in pericolo, purtroppo non c’è molto su cui disquisire: dobbiamo combattere. Un compromesso mi sembra inammissibile e inimmaginabile, soprattutto con la sottospecie dei vampiri.» parlò l’Imperatore, con il solito e innato tono autoritario.

Il Segretario era d’accordo su tutto, e assentì smuovendo il capo, lisciando poi meccanicamente i propri baffi.

«Dobbiamo...» disse l’Imperatore Achille, allungandosi e squadrando la cartina. «Scontrarci in un posto che ci sia congeniale, dobbiamo spingere i vampiri sulla... sulla Piana di Fuoco, a ovest da qui, magari facendo pressione con il S.S.E.V. su Ilshabar, sì, spostandoli verso la Piana con un’azione rapida.» ordinò.

«E’ un buon piano, mio signore! La Piana ha una parte rialzata e potremmo accamparci lì, pronti all’arrivo dei vampiri. Li colpiremo dall’alto, avremo un gran vantaggio.»

Sì, era davvero un buon piano.

L’Imperatore Achille sogghignò compiaciuto, giungendo le mani sul petto e osservando nuovamente la cartina. Il Segretario di Guerra sospirò allegro, arricciando il naso aquilino con soddisfazione.

Il piano, in grandi linee, era pronto.

 

 

Intanto Eve della famiglia dei Burnside, seduta sul suo letto a baldacchino, pensava alla situazione del popolo. Aveva visto la paura crescere, nonostante il riserbo che avevano cercato di mantenere, e la notizia della scomparsa dei positivi ormai era di dominio pubblico.

Non c’era alcun rimedio alla paura irrazionale della folla, non serviva a nulla rassicurarli, e comunque gli abitanti al di fuori delle grandi città erano superstiziosi, legati alla tradizioni e alle grandi storie sui vampiri.

Qualcuna diceva che, in realtà, il vampiro era una creatura di Satana, dall’aspetto angelico e l’anima demoniaca, e soprattutto dall’intelligenza e la forza superiore. Effettivamente l’ultima era una delle loro capacità, ma gli umani col tempo li avevano sempre più additati come bestie.

Eve si chiedeva se tutto ciò in cui si credeva avesse torto o ragione, e non sapeva più cosa rispondersi.

Comunque, suo padre era fermamente convinto che avrebbero stracciato i vampiri, grazie a un piano progettato a regola d’arte. Però... però, gli ultimi avvenimenti la rendevano nervosa, irrequieta sul futuro di Aiedail.

Del suo paese.

Eve sbuffò sonoramente, chiamando poi ad alta voce la servitrice, che stranamente non rispose.

«Julia? Julia?! Perché non rispondi?» domandò, alzandosi dal letto e dirigendosi alla postazione della servitrice, una poltroncina nella stanza adiacente.

Fece qualche passo, cercando Julia senza alcun risultato: la donna era svanita nel nulla, in modo inspiegabile.

«Ehilà, sei tu Eve, giusto?» domandò scherzosamente qualcuno dietro di lei.

Eve percepì un brivido salirle lungo la schiena. Si voltò con gli occhi neri sbarrati e le labbra contratte, pronte a rispondere.

Davanti a lei c’era un uomo, la pelle scura che risaltava in contrasto al candore della stanza, i capelli arruffati e neri che scivolavano sulla testa e le guance, gli occhi che catturavano con il loro carisma.

Un sguardo... indecifrabile, un po’ divertito.

Uno sguardo scarlatto di cui avere semplicemente paura.

*

 

















Ebbene sì, sono tornata ^^
In questo capitolo c'è un salto temporale di due mesi, infatti il compleanno dei gemelli è il 22 agosto mentre adesso siamo già in ottobre inoltrato.
Non preoccupatevi degli altri personaggi, ci sarà un grande flash back occupante quasi tutta questa parte dove vedremo che fine hanno fatto e come si è arrivati a questo capitolo ^^
Ringrazio tantissimo i 52 preferiti e mi scuso per il mio ritardo, però più di così non riesco a fare... scrivere PB è un'impresa xD Spero di affrettare i tempi, comunque ò_ò"

Voglio ringraziare chi ha recensito: artemis5, Nausica212, mikybiky, smallpunkrock. Siete troppo gentili *__*! Beh... Ryan, povera stella, aveva questo "compito" da svolgere xD Mi servirà per il futuro +_+" Un futuro molto lontano che implica un'altra storia xD

Detto questo boh, Auguri di Buona Pasqua, yeeeh +__+! A presto, si spera, con il capitolo prossimo che si pregusta davvero interessante *ç*

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Capitolo 41
*** Il rapimento ***


78 – Il rapimento

 

Eve sbarrò gli occhi dal terrore, stupita dall’arrivo di quel… vampiro. Eppure, ne era affascinata fino allo stremo: ogni singola particella di quell’essere richiamava la bellezza della perfezione.

Più che altro era l’aura che emanava, così possente, piena. Sarà stata la situazione, la penombra della stanza, poiché era da poco passato il tramonto; sarà stata proprio il carisma prepotente del vampiro, ma in qualche modo Eve rimase stregata.

Lo stupore fu presto dimenticato, e l’urlo che aveva pronto in gola rimase ingabbiato nella bocca.

Hassan mosse qualche passo verso di lei, studiandola attentamente. «La tipica bellezza nobiliare, esatto?» ironizzò, squadrandola. La donna aveva un buon profumo, non troppo intenso, che riempiva la stanza con calma e freschezza.

Eve si spostò incerta, indietreggiando un po’ verso la sua camera. “E’ un vampiro, non si trova Julia, io…”, pensò con insicurezza.

«Anche il fisico longilineo che hai, e la pelle liscia e pulita. Sei proprio una nobile che non ha visto null’altro se non il proprio palazzo.» continuò Hassan, facendo scattare il braccio verso di lei, velocissimo. Ma semplicemente, con estrema lentezza studiata, le afferrò una ciocca di capelli ricci, neri come la notte senza stelle.

«Violet? C’è qualcuno che sta guardando la finestra, adesso?» disse poi, lasciando cadere il ciuffo e spostandosi un po’ verso l’apertura che dava sul balcone. Una voce che l’umana non poteva sentire gli rispose.

Eve, intanto, lanciò un’occhiata alla sua camera, con il grande letto a baldacchino. La guardia più vicino era all’entrata delle sue stanze, troppi metri in là per poter sperare di farcela.

Hassan le si avvicinò di nuovo, tendendo la mano verso di lei. «E’ ora di andare.»

Eve lo fissò sconcertata. «Ma… dove? Perché, poi?» sbottò, facendo qualche passo verso la propria camera da letto, inutilmente. Lui le afferrò il braccio, senza stringere, eppure con una forza tale da farla fermare.

«Per beffa, no? Prendere la figlia dell’Imperatore mentre lui ce l’ha sotto il naso! Creerà il terrore generale, non trovi?»

Eve cercò di divincolarsi dalla sua stretta di acciaio; tentò di aprirgli le dita serrate, graffiandole, ma non ottenne nessun risultato. Era proprio insensibile al minimo dolore.

«Violet dice che ha sistemato le guardie, perciò sbrighiamoci, prima che qualcun altro venga a ficcare il naso. Se ci seguirai non ti torceremo un capello, stanne certa, non è nostra intenzione servirci del tuo sangue. Se opponi resistenza, però, e provi ad urlare, posso sempre rompere questo tuo bel braccio.» celiò Hassan, socchiudendo gli occhi scarlatti.

Eve avrebbe voluto gridare, però non avrebbero avuto il tempo di salvarla; Eve avrebbe voluto essere abbastanza forte da sconfiggere il vampiro, che era arguto nelle sue parole e non una bestia senza cervello, eppure era impossibile. «Davvero non mi farete del male?» domandò impaurita, spostando la testa a sinistra e a destra, alla ricerca di qualunque cosa che l’aiutasse.

«Davvero. E, al massimo, fra qualche tempo qualunque umano sarà in pericolo; sarai uguale agli altri, per una volta nella vita.» Il vampiro la trascinò fino alla finestra, insieme uscirono sul balconcino, nel buio successivo al crepuscolo di Alesia. Il Parco era immerso nella quiete, con i suoi grandi alberi attraversati appena da una leggera brezza.

«Io… non capisco. Ma va bene, non c’è nessun’altra scelta da fare.» sussurrò Eve, provando un’ultima volta a sfuggire da quelle dita di metallo.

Hassan annuì. «E’ che abbiamo un gran senso dell’umorismo, noi vampiri. Brava bimba, è l’ora di andare, mentre nessuno guarda.»

Le cinse la vita e, celere, le mise un braccio dietro le gambe, facendole piegare; poi la sollevò senza sforzo, lasciandole sfuggire un’espressione di stupore, e scattò in un balzo, atterrando fra i cespugli.

Violet era lì, con le labbra piegate in una smorfia di noia. I suoi capelli viola erano raccolti in una coda di cavallo e nascosti sotto un cappello nero.

Hassan non lasciò la presa e Eve rimase in braccio al freddo, al ghiaccio. Quell’abbraccio sapeva gelare qualunque cuore.

«Le imbavaglio la bocca, non si sa mai. Sei stato molto convincente.» borbottò Violet sottovoce, stringendo un fazzoletto fra le labbra di Eve, che non provò neanche a ribellarsi – non avrebbe vinto mai.

Chissà cosa avrebbe provato suo padre, si sarebbe alterato sicuramente, con la solita ferocia che dominava la sua rabbia, e suo fratello avrebbe cercato di farlo ragionare, tentando di trovare una soluzione. E le sue cugine avrebbero pianto, e i suoi cugini avrebbero desiderato vendetta.

«Andiamo… ci stanno aspettando con la carrozza nelle scuderie, distanti solo qualche centinaio di metri. Basta correre il più veloce possibile.» ordinò Violet quasi con stizza. Fece un cenno e scomparì nella sua corsa, invisibile a Eve.

«Ti consiglio solamente una cosa: non guardare. Chiudi gli occhi, durerà pochi secondi.» le disse Hassan, e Eve obbedì.

Sentì qualcosa alla pancia, una sensazione mai provata prima, come se l’aria – che in realtà le sferzava il volto in maniera violenta – non ci fosse più, e lei stesse galleggiando nel niente. Si aggrappò al freddo corpo del vampiro, portando la testa sul suo petto.

Si fermarono qualche istante dopo. Erano all’interno della scuderia, dove i cavalli riposavano nei propri box. Da una parte, passando da un corridoio, si arrivava in uno spiazzo dove sostavano le varie carrozze degli ospiti: lì ce n’era una dove sedeva Violet, sporta dall’apertura della finestrella.

«Hassan, poggiala qui accanto a me. Dobbiamo aspettare ‘Lia.» ordinò la bimba.

“Allora lui si chiama così.” Pensò Eve scioccamente. Fu lasciata sul sedile, vicina a quella ragazzina che aveva qualcosa d’inquietante, probabilmente il viso pallido e duro, o gli occhi di ametista.

Il silenzio d’attesa pressante calò su loro tre. Solo Violet spezzò l’aria spessa e densa di quella carrozza, per un istante: «Dicono in giro che il tuo nome porta sfortuna. Se ti rapiamo, la disgrazia si abbatterà sulla famiglia imperiale.»

Poi ridacchiò cinicamente.

Hassan non disse nulla e Eve non ribatté.

La coltre pesante del silenzio ripiombò sulla loro pelle.

 

 

L’Imperatore non fu sorpreso di vedere Armelia, il capo del S.S.E.V., al suo cospetto: sicuramente voleva discutere su come organizzare il mese successivo, dove appostarsi, cosa fare. Era proprio capitata a fagiolo.

Il servitore richiuse la porta alle spalle della donna dal volto duro e spigoloso, lasciandoli soli. Il Segretario era seduto su una delle seggiole, l’Imperatore Achille stava sulla propria poltrona; Armelia fece un piccolo inchino ai due presenti e si accomodò di fronte al Segretario.

«Il suo arrivo qui è una perfetta casualità, signorina Liddell. Mancano solamente i generali dell’esercito, che sono già in viaggio e giungeranno ad Alesia al più breve. Dobbiamo discutere del nostro piano di guerra.» esplicò l’Imperatore.

Armelia annuì, sogghignando flebilmente con la bocca carnosa e sanguigna.

Si fece spiegare in grandi linee il progetto dell’Imperatore e del Segretario, e riconobbe che era abbastanza buono, anche se sapeva che i vampiri non avrebbero mai fatto ritirata da Ilshabar fino alla Piana del Fuoco. Almeno, se così volevano gli umani: la loro specie era abbastanza potente da sconfiggerli.

Però sarebbe stato divertente distrarsi con quella lotta, e fare finta di star perdendo sarebbe stato un ottimo bluff per raggiungere la meta agognata: la sconfitta degli umani, dell’esercito che li aspettava proprio alla Piana. Sì, giocare quella partita, dando la sensazione di un’imminente vittoria all’avversario, era divertente, soprattutto se si sapeva di avere la vittoria in mano.

Armelia concluse i convenevoli, annunciò di andare a riposare nella sua proprietà vicino ad Alesia, salutò l’Imperatore e il Segretario, sorrise e se ne andò via.

Alla carrozza l’aspettavano.

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Pensavo. Con 51 preferiti – essì, siamo arrivati a questo numero esorbitante – e ben 8 seguiti, perché solo 2 recensioni? (Evviva le lamentele dell’autrice XD).

Cioè… con così tante persone che seguono, come mai solo 2 recensiscono? Io non chiedo una recensione lunga 20 righe, ma un piccolo commentino mi farebbe molto piacere. Anche solo per dire “Mi piace, questo pg mi sta simpatico, questo mi sta sulle balle XD, la storia è carina, scrivi bene, scrivi male…”, cose del genere ò_ò Non mi sembra di pretendere poi così tanto!

Non vi chiedo una recensione da giornale, un commento da giornalista serio che vive di recensioni, bensì una piccola traccia del vostro passaggio, della vostra lettura. E non è una pretesa esagerata.

Anche per chi pensa “Ma non ho niente da dire”… invece ce l’ha. Potete anche solo dirmi cosa vi ha fatto provare la lettura del capitolo nuovo! Non siete robot senza sentimenti, ma persone pensanti con un minimo di opinione.

Le recensioni sono un regalo all’autore. Come esso regala la propria storia al pubblico, le recensioni sono delle piccole chicche che lo scrittore riceve. Scambio equo.

Detto questo, spero di avervi leggermente sensibilizzato. Non mi aspetto 59 recensioni, è ovvio, ma… che ne so, 5? 10, magari? Siete così tanti, qualcuno almeno mi ascolterà. Spero.

 

Ringrazio chi ha recensito, artemis5 e Gaiotta89. A presto, Kò.

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Capitolo 42
*** La Paura ***


79 – La Paura

 

Do you know the enemy?

Do you know your enemy?

(cit. Green Day)

 

Attendevano nella carrozza, Violet, Hassan ed Eve. L’umana iniziava a provare paura in quel silenzio pesante, dove percepiva accanto a sé solamente la gelida presenza stabile di due probabili assassini.

Violet e Hassan erano immobili, nemmeno i loro visi si muovevano e solo a volte – raramente – i loro occhi spaziavano dentro l’oscurità della carrozza. Erano inumani, lo si poteva notare anche solo da quella mancanza di movimenti superflui: la loro cassa toracica non si alzava né si abbassava per respirare, non avevano bisogno di smuovere le mani o le gambe, e di rado sbattevano le palpebre, più per abitudine che per altro.

Eve comprese veramente la gravità della sua situazione proprio in quegli istanti, mentre guardava Hassan, con i suoi capelli lunghi che scivolavano morbidamente sul viso, e Violet, con i suoi occhi d’ametista che sembravano due gemme piene di diabolica acutezza.

Eve non poteva urlare, non poteva scappare dalla carrozza: quelli erano vampiri e i vampiri, si sa, sono più rapidi, più forti degli esseri umani... “E forse”, pensò Eve, “anche più intelligenti”.

L’aveva notato subito in Hassan: egli non era una bestia, ma un omicida voluttuoso, un folle che ragionava nella sua pazzia. La follia consisteva, ovviamente, nel voler nutrirsi di sangue, nell’accettarsi come mostri e nel fregarsene della propria bestialità, perché comunque, pur possedendo un intelletto razionale, sui vampiri predominava il desiderio, la bramosia del sangue, della carnalità dell’uomo.

Erano una specie evoluta degli esseri umani che, però, nell’evoluzione aveva perso una parte di se stessa.

Eppure Eve pensava che qualcosa fosse rimasto, d’umano; che qualche sentimento fosse perdurato dentro Violet e Hassan, dentro quei due vampiri... lo vedeva attraverso la loro pelle diafana, i loro occhi fissi; riusciva a scorgere quasi una parte malinconica della loro anima, se così si potesse chiamare e se ce l’avessero ancora.

In definitiva, dopo che l’effetto sorpresa l’aveva abbandonata e di conseguenza anche lo stordimento, causato dagli avvenimenti successi velocemente, era svanito come neve al sole, dentro di Eve la paura aveva iniziato a crescere. E più cresceva, più comprendeva che ciò che aveva creduto reale in fondo era un’illusione: i vampiri esistevano, non erano un’ombra distante relegata al lontano Nord, e adesso primeggiavano, cercavano di sottomettere il suo mondo, quello che lei pensava fosse indistruttibile, quello che per lei era stata una casa.

Eve non riusciva lo stesso a comprendere il perché, ma il terrore le stava ormai sfocando le idee, rendendole soffuse e confuse, e il suo battito stava accelerando ansiosamente. Una scossa le percorreva il corpo: adrenalina, che le diceva di correre via da lì, di scappare da quei mostri assetati di sangue, anche se non era stata scelta come preda.

E attesero ancora.

Eve non riusciva ad essere così tranquilla da contare quanto tempo fosse passato, e quindi non seppe mai se fossero stati lì dentro una decina di minuti o più; comunque quel periodo fu costellato, oltre che dalla paura, dai sentimenti rivolti ai suoi cari. Si chiedeva se già avessero scoperto la sua assenza, o se ancora nessuno sospettava qualcosa; si chiedeva cosa stesse facendo suo padre, l’Imperatore, e se suo fratello la cercasse.

Studiava i suoi carcerieri, alla ricerca di una calma che ormai non possedeva più: l’istinto umano aveva coperto la ragione e la sua educazione regale.

Infine qualcosa accadde: Violet si mosse dalla sua postazione, tendendosi verso la finestra del calesse.

Un’ombra si avvicinava, un’ombra dai lineamenti spigolosi seppur femminili. Eve ebbe la sensazione di conoscerla, anche se non riusciva a ricollegare a chi potesse appartenere. Sicuramente era un altro vampiro, e lei non ne aveva mai incontrati – Eve li sentiva narrati nelle favole, con i loro occhi truci e i denti aguzzi, e basta – perciò quel senso di familiarità era innaturale.

L’ombra era ciò che aspettavano e finalmente, o purtroppo, sarebbero partiti: almeno qualcosa si sarebbe smosso, in quell’oscurità imperturbabile. Eve preferiva quello di un insopportabile silenzio opprimente, dove tutte le sue fisime potevano vagare divenendo reali.

L’ombra salì a bordo e, nella notte fitta che solo la flebile luce della luna rischiarava, Eve poté notare due occhi di ghiaccio.

Quello sguardo era familiare, affilato, ferino: Armelia Liddel, il capitano del S.S.E.V.!

Che cosa poteva farci lì? Non aveva alcun senso.

Armelia Liddel era un’alleata dell’Impero, una dei più importanti capitani dell’esercito, dopo i generali; non vi era alcuna logica in quella rivelazione, se non si implicasse il tradimento e l’infiltramento di un vampiro fra le file degli umani. Questo voleva dire che li aveva ingannati per tutti quegli anni.

Eve era sconvolta da quella notizia. Armelia le sorrise amabilmente, se così si può definire un sorriso diabolicamente ironico, e poi fece partire la carrozza.

Si allontanarono dal palazzo, sulla strada che conduceva verso l’esterno della reggia, e nemmeno le guardie all’ingresso, vedendo Armelia Liddel sulla carrozza, controllarono chi c’era nell’abitacolo. Eve, imbavagliata, non ebbe speranze di gridare; e in quell’istante capì che ogni cosa, anche la più ingenua, dietro di essa poteva nascondere qualcosa di terribile, poteva essere diversa da quello che appariva.

E Armelia Liddel era proprio così: una combattente forte che in realtà si rivelava uno crudele vampiro.

 

 

La carrozza si fermò sul lastricato del cortile di Villa Liddel.

La proprietà era imponente, distava solo mezz’ora di trotto dalla capitale ed era situata già in aperta campagna, su una collinetta poco scoscesa e verdeggiante. Alla luce della luna si potevano notare le aiuole curate e i grandi alberi che formavano un recinto di fronde.

I quattro scesero dalla carrozza e un maggiordomo, dal sorriso impertinente e gli occhi scintillanti, li accolse. «Bentornata alla tenuta, signorina Liddel».

Entrarono nella villa. Eve, presa dalla paura più profonda, riuscì a notare solamente che le stanze che si susseguivano erano arredate in modo normale: nulla di scabroso affiorava in superficie, non c’erano le bare appena dissotterrate che si aspettava, né ossa umane o sangue raffermo, né povere vittime esangui appese a delle catene... tutto quanto era elegante e di buon gusto.

Le favole raccontante ai bimbi, la sera tardi, piene di terrore e di mostruose congetture, in realtà era una fantasia fittizia. La leggenda non corrispondeva alla verità.

Infine arrivarono in una saletta dai divanetti bordeaux, ornati con fiori neri e un reticolo scuro. Una libreria conteneva libri di pelle, antichi di qualche secolo, e una scrivania occupava lo spazio circostante. “Lo studio di Armelia, probabilmente”, pensò Eve.

Si accomodarono sui divanetti, Hassan accanto all’umana con le sopracciglia contratte, poiché il suo buon odore risaltava sul profumo gelido e infestante dei vampiri – ricordava i Fiori di Ghiaccio, quasi; Violet su quello di fronte con Armelia.

Rimasero in silenzio, sotto lo sguardo vigilante e interessato del maggiordomo. La paura di Eve non scemava, anche se l’umana si imponeva la calma razionale.

I suoi occhi d’ebano cominciarono a scorrere velocemente da un vampiro all’altro.

«Hassan, puoi andare. Mi sembri un po’ troppo... affamato», sghignazzò Violet, congedando il vampiro.

Eve non domandò cosa avrebbe fatto Hassan per placare quel bisogno: lo guardò uscire dalla stanza, dopo aver fatto un cenno a mo’ di saluto alle tre donne, e sentì la propria anima caderle dentro. Era una sensazione strana, di terrore che scendeva verso lo stomaco.

Eve prese coraggio e chiese: «Non riesco a capire, però, il senso di tutto questo. A cosa vi porterà il mio rapimento?».

Armelia si alzò dal divanetto bordeaux e ordinò al maggiordomo di prendere una bottiglia di Positive Blood.

«Vedi…», iniziò guardando la figlia dell’Imperatore con i suoi occhi glaciali «tu sei molto benvoluta dai sudditi, ti adorano per le parole dolci che sai dire, per la tue epistole sincere al pubblico. Anche quelli che vivono in piccoli villaggi ti conoscono per la tua bontà e la tua bellezza. Sai», disse, gironzolando per la stanza «E’ come se in una partita di scacchi noi avessimo tolto la Regina. Senza di te la gente cadrà nello sconforto: si preoccuperanno per il tuo destino con empatia e per loro stessi. Tuo padre, l’Imperatore, diventerà preda del proprio affrettato orgoglio, diverrà vendicativo e agirà erroneamente. Tu non ci sarai a consigliarlo con la tua saggezza, e tuo fratello non potrà fare nulla – anche lui sarà preso dalla voglia di vendetta, anche lui vorrà riaverti il più presto possibile».

Eve lo sapeva: la vampira aveva ragione.

Qualche istante dopo il maggiordomo bussò alla porta ed entrò con una bottiglia piena di liquido scarlatto denso e scuro, posta su un vassoio accanto a due calici affusolati e decorati.

«Un’alchimia tracciata sul fondo di vetro lo rende duraturo», affermò con voce affilata Violet, per spiegare all’ospite «Positive Blood, il miglior sangue in circolazione mescolato a gustoso rhum».

I suoi occhi viola osservarono Eve divertiti.

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eve è un ottimo campione d’essere umano: cerca, nella paura, di rendere razionale tutto quanto, di calmarsi e di non lasciarsi prendere troppo dalle emozioni. Come diceva Livia in due sue lontane recensioni: denota un bisogno di semplificare le cose in Buone e Cattive. Categorie ferree e bugiarde, ma che spesso vengono sfruttate dalle persone per semplificare le cose. In situazioni come questa, in cui ci si trova comunque invischiati in una guerra è facile finire col fare queste distinzioni arbitrarie [...] dire che tutti i vampiri sono cattivi e gli umani buoni lo trovo sbagliato. Anche loro sono "umani" e anche loro hanno le loro ragioni per le azioni negative che compiono. Proprio come gli essere umani.

- Ma in fondo la ragazza è umana e in quanto tale cerca l'ordine, peccato che per trovare l'ordine dovrebbe avere il mondo nelle sue mani. E per farlo i vampiri non dovrebbero esistere. In fin dei conti i vampiri minacciano non solo la sua vita. Ma anche quel finto ordine di cui si circonda lei come tutti gli esseri umani. Un modo come un altro per fingere di avere tutto sotto controllo. Che poi ovviamente non è così.

Quella donna aveva capito tutto. Ed Eve mi piace.

 

Finalmente - più o meno xD - smetterò di parlare di Eve e tornerò al "passato", nel prossimo capitolo si torna ad agosto, ai destini dei protagonisti passati che a poco a poco si ricollegheranno alla situazione presentata in questi primi capitoli della terza parte (i vampiri che attaccano, l’esercito pronto a combattere, il S.S.E.V., la guerra).

Io posso dire solamente buona fortuna a me xD Finirò, prima o poi.

 

Ringrazio chi ha recensito, mi avete ascoltato *ò*, grazie mille! Non sapete che piacere <3:

Nausicaa212: Ma figurati *__* I pg sono tanti, nascono da soli, purtroppo, ma ognuno più o meno ha un suo perché XD Mi spiace per non aggiornare così spesso da non far perdere il filo, però boh, non ci riesco >_< ti ringrazio per la tua attenzione e beh sì, a poco a poco si spiega tutto. Grazie!

mikybiky: Yea, mi ascoltano *^* Guarda, Eve cerca di essere calma XD Si vede anche in questo cap, sì. Gli altri arriveranno, sì, fra poco; intanto ci godiamo le pazzie dei vampiri. Che si muovono da soli e soprattutto per divertimento. Grazie come sempre e bentornata!

Smufferina87: Il finale arriverà, arriverà. Me lo ripeto mille volte al giorno xD Per fortuna tua ho tutto già preparato in mente *_* Sì, Adam è carino (e anche altro xD). Grazie mille!

Lucky_Didi: Waa, grazie, gentilissima *ò*

_SonoIo_: Che bello riceve dei complimenti come tuoi, concisi e acuti. Ti ringrazio molto, >w<

Alies: Figurati, viva le faccine u_ù Grazie per la recensione, mi fa sempre piacere. Beh sì, è un ottimo sistema *w*

meris: Buahahah, violet è una bambina così deliziosamente cattiva! Per le coppiette magari, anche se non vorrei combinare tutti i personaggi... insomma, sembrano destinati e allora sfato il destino u_ù Grazie mille!

artemis5: Chissà chissà, chi vivrà vedrà l'evolversi delle coppie *ò* Sono felice di riuscirti a coinvolgerti, grazie per la tua costante presenza >w<

 

 

A presto si spera, davvero. L'ispirazione deve tornare. Kò

 

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Capitolo 43
*** Mai perdere di vista il proprio obbiettivo ***


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80 – Mai perdere di vista il proprio obbiettivo


Due mesi prima


Elisabeth socchiuse gli occhi per riparli dal sole d’agosto e li coprì con una mano. Il caldo penetrava attraverso gli alberi, si insinuava fra le fronde gialle e i vestiti leggeri dei soldati.

Logan conduceva la carrozza stancamente, mentre dal finestrino Beth cercava di trovare un ristoro col venticello causato dalla corsa.

Daniel si sventolò con un pezzo di carta, sbuffando per l’afa pesante. In quell’abitacolo si stava un po’ troppo stretti, in quattro con una trentina di gradi all’ombra.

«Moriremo prima di arrivare», annunciò Francis drammaticamente, con una faccia d’attore comico.

Jack, abituato al caldo atroce dei Paesi del Sud, mormorò soltanto che lamentarsi non portava a nulla.

«Quanto manca?», urlò Elisabeth a Logan.

«Due ore circa!», gridò quello in risposta, col vento che gli copriva la voce.

Francis si mosse sul sedile impazientemente, sbottonandosi la camicia azzurra. Jack e Daniel rimasero a petto nudo, cercando si stare il più lontano possibili.

Tentavano di sopravvivere, insomma.


Arrivarono a Leluar di pomeriggio, col sole ancora alto in cielo e il suo calore sulla pelle sudata. Percorsero le grandi vie della città, quasi vuota dal suono delle persone, persone vive con il loro vociare e il ticchettio dei passi. Il centro urbano svuotato per il caldo ricordava un miraggio, dopo il bosco lussureggiante.

Gli zoccoli dei cavalli risuonavano potenti sulle pietre che lastricavano le vie, mentre la carrozza avanzava.

Scesero dentro il cortile del palazzo del S.S.E.V., vicini alle scuderie, nel silenzio dell’estate. Attraversarono il giardino interno, che Logan conosceva a memoria, proprio lo stesso dove da ragazzino aveva incontrato Jack e aveva provato le sue alchimie; poi entrarono dentro il palazzo.

I cinque, stanchi e sudati, si riposarono nell’ombra di quei massicci muri, che donavano una notevole frescura al Quartier Generale.

«Fra poco andrò a parlare con il generale Liddel del nostro fallimento», comunicò Logan.

Gli altri rimasero in silenzio, incupiti dal pensiero del passato e incerti del prossimo futuro.

Jack diede una pacca a Logan, come ad incitarlo a fare ciò che era giusto, ma anche lui era preoccupato. Il gigante era stato un soldato perfetto fino a quel momento e ognuno di loro si era sempre impegnato al massimo; eppure adesso la loro reputazione si sarebbe macchiata, e non solo quella, che in fondo importava ben poco, ma soprattutto il valore che gli avrebbero attribuito i loro superiori.

«Non importa come finirà», sbottò Elisabeth in quel clima di sottile tensione. «Non mi interessa per niente! Io so quello che abbiamo fatto: abbiamo difeso, in pochi, un centinaio di persone che – pur avendo molte capacità dalla loro parte – sono rimaste placidamente molli non allenandosi mai; persone civili, comuni, che per le loro caratteristiche sono diventati il mirino di un piano più grande.

Io so e voi tutti sapete che non eravamo pronti ad affrontare tutto questo, non per colpa nostra né dell’esercito, così come gli esseri umani non sono pronti, stanno prendendo sottogamba questa... guerra. È una guerra bella e buona, sì!

Ce ne siamo accorti tardi, però è così, e la nostra missione da soldati, da membri del S.S.E.V., è proteggere la gente. Non ci deve importare di come ne usciremo da questo fallimento, perché abbiamo fatto il possibile, davvero. E...», Elisabeth fece un sospiro, come se non ce la facesse più a continuare, e suo fratello l’aiutò parlando al suo posto.

«E comunque, pur essendo stati vinti, non ci abbatteremo, perché così è la vita di un soldato: lottare per il proprio paese, in qualunque modo e così come ci si sente. Bisogna lasciare alle spalle il proprio orgoglio e proteggere dai vampiri la gente. Il popolo.

Eli sa quello che abbiamo fatto e il nostro valore, così come noi tutti: dentro di noi questi ricordi e questo ardore rimarrà fiammeggiante, perciò... va, sergente Mckay, e fa sentire la nostra voce.

Magari finiremo... in squadre diverse, ci divideranno, e qualcuno andrà sul fronte Nord o qualcun altro verrà mandato da un’altra parte, però non importa.

Non importa perché continueremo a fare il nostro lavoro. Non importa perché in questi mesi siamo stati davvero una squadra. E quindi... al diavolo!», concluse Francis, facendo un grande sorriso scherzoso.

Come sempre, i due cervelli del gruppo erano Elisabeth e suo fratello.

Daniel sogghignò, mentre nel suo piccolo sperava di tornare a casa, nei Paesi del Nord, anche se sapeva che quel desiderio era irrealizzabile. Jack sorrise semplicemente, lanciando un’occhiata fiera verso il suo compagno, Logan, che si era rallegrato a quelle parole.

Il leader sospirò con felicità, annuì, ricambiò lo sguardo di Jack e poi andò.

Gli altri quattro lo osservarono svanire nella penombra del palazzo, frementi nell’attesa appena incominciata.


Logan Mckay – ventotto anni sulle spalle e almeno la metà passata su complessi libri d’alchimia, sergente e capitano della squadra 7, bel ragazzo dalla mascella un po’ squadrata e la pelle dai riflessi ambrati –, sentendosi nudo come un verme, bussò.

La targhetta sopra la porta recitava: “Armelia Liddel, generale del S.S.E.V.” e da sola incuteva timore per il nome che rappresentava, o più che latro per la carica che rappresentava.

Logan comunque non era un uomo che provava paura molto spesso, però non gli andava a genio l’idea di mettere in bella mostra il suo fallimento come capitano. Non gli piaceva soprattutto poiché era orgoglio, ma anche per ciò che implicava quell’insuccesso.

«Avanti!», si fece sentire Armelia Liddel.

Logan aprì la porta ed entrò nello studio, fece un piccolo inchino e si sedette davanti alla scrivania di Armelia, la quale lo osservava con un noto interesse.

La donna sembrava ancora più dura: la sua pelle bianca era tirata sugli zigomi, producendo delle ombre sul viso, e i suoi occhi glaciali parevano più taglienti.

Probabilmente era la fantasia di Logan ad ingigantire l’aura autoritaria del generale Liddell.

«Se sei qui, sergente Mckay, non devo aspettarmi nulla di buono», spezzò il silenzio Armelia.

Lui annuì grevemente, si fece coraggio e incominciò a parlare: «Purtroppo eravamo in pochi a difendere la Villa Bianca, probabilmente sarebbero servite tre squadre di cinque elementi, ma comunque non potevamo aspettarci un tale attacco. I vampiri erano un centinaio e, pur con l’aiuto dei positivi più coraggiosi, non c’era molto da fare.

L’obbiettivo era, come sempre, la cattura dei positivi e, ahimè, i vampiri sono riusciti nel loro intento. Non rimangono molte altre ville da proteggere e... noi, come gruppo, abbiamo fallito.

Io... io mi prendo tutta la colpa, un buon capitano riesce sempre a uscire vittorioso e io non sono stato all’altezza... a noi non sono rimaste nemmeno le briciole. Oltre la notevole differenza di numero, tutta la colpa è mia.

Comunque sono... sono stati tutti degli ottimi soldati; sono stati efficienti e hanno fatto un ottimo lavoro di squadra, generale Liddel, perciò... dal mio piccolo le vorrei consigliare di utilizzarli al più presto nei fronti più caldi, perché credo che non sia il momento per... per rimare fermi».

Logan mise tutto il suo cuore e i suoi ideali in quel discorso: la lealtà verso i suoi compagni, che erano stati davvero bravi; la modesta e sempre presente verità; le sue constatazioni da sergente e capitano. Sperava che Armelia Liddel avrebbe fatto ciò che le consigliava, sperava che il S.S.E.V. si fosse accorto del rischio che l’umanità correva.

Armelia sogghignò e annuì. «Bene, sergente Mckay, comprendo perfettamente la sua situazione. I suoi colleghi avranno nuovi ruoli all’interno dell’esercito, non si preoccupi, ognuno avrà modo di rimediare.

Anche se io non dispero per questa situazione – sicuramente ripareremo presto a questi rapimenti e vinceremo quelle bestie –, so che ogni persona è utile in questa grande macchina».

Logan annuì lietamente a quelle parole, conscio che adesso sarebbe cambiato tutto, sia per loro che per il resto degli uomini.

«Perciò prendetevi qualche giorno di riposo, vi sono delle stanze libere a piano terra. La farò chiamare quando avrò deciso del vostro futuro», ordinò Armelia, sorridendo con le sue labbra carnose.

«Bene, allora a presto, generale. Riferirò il nostro dialogo ai miei compagni», salutò Logan, alzandosi dalla poltrona e facendo un inchino.


Il destino di quella squadra, silenziosamente, stava per essere scritto.


*














Vorrei ringraziare uno ad uno chi ha recensito, i tantissimi preferiti e seguiti (che superano le 70 persone, caspita! ò_ò), ma purtroppo sto postando da un internet point e non mi rimane molto tempo xD. Speriamo che il mio pc ritorni presto vivo (più che altro: cum internet)...

Perciò grazie in generale, miei cari, e non-a presto.

Parto per l'Irlanda, dal 30 giugno al 14 luglio, e sicuramente il pc non sarà aggiustato prima della mia partenza.

Alla prossima, quindi, e passate buone vacanze +_+


Kò semi-stressata! XD

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Capitolo 44
*** Addii ***


81 – Addii

 

A volte i viaggiatori si fermano stanchi

e riposano un poco

in compagnia di qualche straniero.

Chissà dove ti addormenterai stasera

(Modena City Ramblers)

 

I cinque della squadra 7 riposarono nelle stanze del Quartier Generale, ritrovando il vigore perduto e ristorando le membra e le menti stanche.

Il caldo d’agosto si infiltrava fino alle ossa, soffocando ogni voglia di fare e ogni moto d’iniziativa.

Elisabeth riposava a pancia in su, con i piedi incrociati e gli occhi di giada socchiusi; suo fratello Francis, invece, sedeva lì vicino, sventolando un foglio a mo’ di ventaglio con poca convinzione.

Daniel, nella stanza accanto, ripensava al freddo del suo paese natale, dove la neve durava un anno intero, e ne rimpiangeva il fresco; Jack aveva poca voglia di allenarsi e, stranamente, sedeva immobile sul proprio letto, mentre Logan con serenità leggeva un libro.

La pace, per un po’ di giorni, aleggiò su di loro, soldati abituati alla lotta, alla tensione del combattimento e agli allenamenti duri.

Poi, repentina com’era venuta, scomparve. Nessuno si aspettava qualcosa di diverso, d’altronde.

Logan fu chiamato dal generale Liddel e parlarono per mezz’ora sulla situazione dell’alchimista e dei suoi compagni, chiudendo così il capitolo della Villa Bianca.

Quando Logan uscì dallo studio di Armelia, gli altri quattro lo accolsero silenziosamente, con un sorriso sulle labbra e la curiosità negli occhi.

Il loro capitano ricambiò con un ghigno.

«E alla fine siamo arrivati qui, ce lo aspettavamo, no? Però alla fine speravamo in qualcos’altro, eh», incominciò Logan. Era bravo a parlare, aveva delle buone capacità da leader ed era carismatico, ma alle volte le parole gli si seccavano in gola. Quando doveva - o voleva - dire qualcosa di importante, tutto gli si bloccava in un groppo e moriva prima di uscire dalla bocca.

Eppure si faceva forza e parlava, perché comunque era un uomo schietto, uno di cui ci si può fidare; un bravo commilitone.
E anche gli altri quattro erano stati ottimi compagni.

«È un po’ strano fare questo discorso, ma tocca a me. Io... intanto vorrei ringraziarvi per il lavoro svolto e per l’affiatamento che si è creato fra noi. A voi due, fratelli Toland, Elisabeth e Francis... grazie per le vostre idee, per ciò che avete intuito sui vampiri... dovremmo cercare di scoprire qualcosa, anche se saremo divisi. E grazie anche a te, Daniel Moody, per tutto quanto e... grazie anche a te, Jack, mio compagno fedele», disse Logan, ghignando leggermente. «E ora ecco il vostro futuro, compagni in rapido addio: voi, Elisabeth e Francis, non sarete divisi. Fa sempre piacere avere qualcuno d’amico accanto a sé, anche se porta preoccupazione in più, e comunque avete quasi sempre lavorato in coppia, svolgendo un ottimo lavoro di squadra. Si vede che dentro di voi scorre lo stesso sangue, e il sangue chiama. Svolgerete servizio nelle guardie imperiali, proteggerete l’Imperatore e la sua famiglia... sono a corto di personale.

Invece tu, Daniel, andrai con il S.S.E.V., che ha sempre bisogno di positivi atletici e muscolosi; le loro truppe sono vicino alla foresta e al Grande Lago, non molto distanti da Ilshabar, anche se credo che presto si sposteranno verso la capitale.

E noi due, Jack, resteremo insieme come sempre... ci uniremo all’esercito stanziato a Nord, a combattere i vampiri che lì imperversano... ci sono delle notevoli scorribande in questo periodo, ribellioni, attacchi... è una situazione a rischio. Sarà eccitante, almeno», sogghignò nuovamente. Eppure era triste di perdere quella squadra e di dividersi da quei compagni che, a poco a poco, erano diventati amici di guerra.

«Perciò domani mattina partiremo», annunciò.

Ci divideremo.

Logan sorrise dolcemente, questa volta, e Jack gli strinse il braccio destro con una mano, come a sorreggerlo.

Rimasero in un silenzio imbarazzante, persi nei loro pensieri e ricordi.

«Allora stasera sarà la volta giusta di aprire la bottiglia di rhum che conservo per le grandi occasioni!», sbottò Francis, facendo un risolino. «Non vedo l’ora di sentire l’alcol sotto la mia lingua».

«Mi pare un’ottima idea», concordò Daniel, con l’accento nordico che sembrava affievolito.

«Divertiamoci», affermò Elisabeth allegramente. Poi lanciò uno sguardo a Logan: «Anche tu, mio caro capitano, ti sorbirai la prima sbronza della tua vita. Non si può essere sempre perfettini», e il suo sorriso ricordava la bambina che era stata, una monellaccia con le gambe sbucciate e l’arguzia divertita tipica dei bimbi.

«Oh, beh... non mi aspetto altro», ribatté lui, scompigliandole i capelli.

 

Oltre la bottiglia di rhum, si erano scolati la vodka pura di Jack - poteva sembrare serio, ma anche lui alle volte beveva un bicchierino per scaldarsi - e uno strano liquore nordico che Daniel aveva portato dal suo paese.

I cinque riposavano sul letto di Francis o su quello di Elisabeth, tutti troppo annebbiati per poter anche provare a fare qualcosa di stupido. Beth sedeva su una sedia, con lo sguardo verde e vacuo.

«Mi mancherete, commilitoni. Niente saluti spocchiosi da chi si sente chissà chi e ha un nome importante; solo saluti sinceri. Anche tu, Logan Mckay, ti sei rivalutato.

Sei figlio di un Colonnello, eppure sei sempre stato leale e giusto. Un buon comandante, davvero.

E alla fine... al diavolo i sentimentalismi, come direbbe mio fratello Fra! Dannazione», borbottò Elisabeth nella notte ubriaca, con la voce che ricordava una bambina un po’ offesa ma emozionata.

«Ih, ih. Ha ragione la rossa», concordò Francis.

Daniel, che reggeva ottimamente l’alcol, annuì e anche Jack, infine, si decise a parlare: «Sì, è vero. Cioè... arrivederci, compagni e...», poi cadde addormentato.

D’altro canto il suo compagno Logan, a cui si era rivolta Elisabeth poco prima, dormiva già da un’ora.

La mattina dopo si sarebbero svegliati distrutti, stanchi, con un cerchio alla testa e le occhiaie e gli occhi pesti, eppure non era poi così importante. Erano stati insieme fino all’ultimo, vero esempio d’umanità e di fratellanza, forse fra i pochi in quel mondo strano che ancora sapevano dire un addio con sincerità.

Faceva male, ma era la loro vita: erano soldati, gente pronta a proteggerne altra.

Poche ore dopo sarebbero partiti, disperdendosi.

E ognuno avrebbe portato avanti il proprio obbiettivo: Logan l’alchimia avanzata, Jack la scherma, Daniel il combattimento a mani nude, Francis la strategia ed insieme a lui Elisabeth.

Dentro di sé, comunque, sarebbe risaltato un altro obbiettivo: svolgere bene il proprio lavoro, proteggere.

Perché in fondo esiste anche gente così, che si dona per qualcun altro. Ci sono gli ipocriti, come quelli che stanno più in alto nell’esercito o più vicino all’Imperatore; ci sono i poveri cristi, come i pescatori e i contadini dell’Impero, che cercano solo di sopravvivere; ci sono i positivi, diversi eppure uguali, e intrappolati nelle trame della ragnatela dei vampiri; ci sono i cattivi e ci sono i buoni, se così si vuole dividere il mondo, eppure niente non è mai come ci si aspetta.

I vampiri non sono bestie e gli umani non sono tutti giusti, ma... una scintilla di bontà e onestà brillava quella notte, in quei cinque cuori.

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che stanchezza. Eccomi. Sono qua, finalmente dal mio pc e finalmente a casa (anche se l’Irlanda mi manca). Questo capitolo è pronto da un po’… oggi Silvia mi ha chiesto se aggiornavo e, beh, perché no? Il pc mi è arrivato oggi, festeggio aggiornando su EFP XD (per la felicità (?) dei lettori vari!).

Grazie a tutte le mitiche persone che lo seguono (e che mi fanno paura perché sono troppe, davvero): 49 preferiti e 19 seguiti.

Ringrazio tantissimo chi ha recensito: Silvia e Nausicaa, che abbraccio virtualmente.

E ora scappo, purtroppo la madre mi chiama.

 

Un saluto speciale a Clouddy, che arriverà, arriverà <3

Kò che suda – PB che si espande

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Capitolo 45
*** Dietro di sé ***


82 – Dietro di sé

Someday, somehow
I’m gonna make it al right

(Someday; Nickelback)

 

Ginger si svegliò nella penombra della stanza di Sofia.       

Non sapeva quanto tempo fosse passato. Aveva perso il conto delle ore – o dei giorni? – che passavano, perché non le interessava il tempo che scorreva, bensì quello che preservava dentro di sé ogni momento con la sua Sofi: Ginger si immergeva nei ricordi.

Arthur, d’altro canto, si muoveva con rabbia per le stanze di quella casa, così come un tempo aveva camminato per smaltire la perdita di Juliet. Appariva come un’ombra nella visuale di Ginger, le dava un po’ d’acqua e continuava a muoversi freneticamente.

Le lacrime si erano asciugate tempo prima.

Ginger si rigirò nel letto che profumava di Sofia, fissando con gli occhi neri il soffitto. Era stremata.

Il professore si sedette accanto a lei, sospirando.

«Ginger cara... dovremmo fare qualcosa», fiatò, guardandola garbatamente.

«E cosa?», domandò la donna. La sua voce era secca ed arrochita, poiché non parlava da tempo e l’ultima volta che l’aveva fatto era riuscita solo a singhiozzare ripetutamente e a mugolare il nome di Sofia.

«Non saprei… magari dovremmo preparare qualcosa da mangiare, o diventeremo talmente magri da non poter più vivere», e Ginger, se fosse stata quella di un tempo, avrebbe ribattuto che gli uomini pensavano sempre a riempirsi la pancia.

«Non posso sopportare l’idea di aver perso nuovamente qualcuno a causa dei vampiri! Quelle bestie… quei mostri assetati di sangue hanno preso la mia Juliet, prima, e adesso Sofia», sbottò Arthur, subito dopo.

Ginger sorrise stentatamente al professore. «Non penso che ci sia speranza per… la nostra Sofi», sussurrò, voltandosi verso la porta-finestra spalancata sulla villa bianca, dove giorni prima era avvenuta la battaglia.

«Questo non vuol dire che dobbiamo demordere… p-proverò a cucinare qualcosa, se non te la senti di farlo tu», sospirò Arthur. Solitamente era un uomo lunatico, dalle idee astratte e gli atteggiamenti tipici di un bimbo, ma nonostante tutto aveva la sua cinquantina d’anni e, dentro di sé, li dimostrava tutti in alcune occasioni.

In quel momento serviva un uomo, il professore doveva essere forte e non piangersi addosso. Avrebbe aiutato la povera Ginger, raggomitolata nei propri ricordi e immersa nella disperazione della perdita, e insieme sarebbero andati avanti, sperando per il futuro di loro figlia.

«Allora vado in cucina, aspettami», annunciò Arthur, alzandosi dal letto.

Ginger tese una mano scura e afferrò la canotta di lui, fermandolo. «Dammi solo un istante», sussurrò. Si asciugò lacrime che ormai non c’erano più, già secche da tempo, passando le dita sopra le gote morbide, e poi si sollevò dal letto di Sofia.

Barcollò un po’ sui suoi piedi e Arthur la sorresse, facendola appoggiare a sé.

«Prepariamoci il pranzo».

«Sì».

 

Ginger si mosse sulla sedia, osservando il giardino della casa che si vedeva dalle porte-finestre della cucina.

Lei e il professore erano seduti a tavola, sazi del pranzo.

«Lì si sedeva Sofia, fra quell’albero e quel cespuglio di fiori», disse ad Arthur, indicando un punto là fuori.

«E su quella panchina le ho chiesto, forse un mese fa, se si era innamorata. Mi ha detto di no, sai, però c’era qualcosa di strano nella sua voce… come se avesse trovato qualcuno che riuscisse ad interessarla e a renderla viva».

«Forse c’era qualcuno», mormorò il professore in risposta. «Mi aveva fatto delle domande strane sui vampiri… un’ipotesi. Se si potesse amare un vampiro, e io a quel tempo, scioccamente, parlai di me stesso, cercando di persuaderla ma senza troppa forza, probabilmente. E ora l’abbiamo persa a causa di quelle bestie».

«Io… non saprei, è così strano pensare che le possa essere passato per la testa di provare qualcosa per un vampiroo», mormorò Ginger. «Quello che riesco a ricordare è una ragazza forte e combattiva, con una profonda tristezza dentro di sé. Mi… mi piacerebbe rivedere il posto in cui l’ho incontrata, se solo riuscissi a camminare. Ma il mio corpo è debole, così come la mia anima affaticata», sospirò stancamente.

«Ti aiuterò io», disse Arthur, sentendosi la gola piena di sofferenza. Non riuscì più a parlare e nemmeno Ginger provò a farlo; rimasero sulle proprie sedie, immobili nella stanza ombrosa.

Infine, il professore si alzò dal suo posto e raggiunse Ginger, le porse una mano, che lei afferrò debolmente, e le sorrise.

Andarono.

 

La radura dove era atterrata Sofia era come cinque anni prima, ancora verde e ancora costeggiata da alberi dalla chioma folta. Lo stormire delle foglie era l’unico rumore che accompagnava Arthur e Ginger.

Gli occhi scuri della donna si soffermarono sul luogo dove Sofia, ancora bambina, era apparsa da un altro mondo.

E poi… poi l’aria sembrò fratturarsi.

Non era il solito effetto che produceva il caldo, quando l’atmosfera sembrava percorsa da crespe onde. Era diverso: le crepe percorrevano una parte d’aria, ingrossandosi a poco a poco.

«Cos’è?», domandò il professore, sgranando gli occhi dietro gli occhiali.

«Quello che ci ha raccontato Sofia…», disse Ginger, emozionata. «È un segno, forse?».

Arthur osservò le spaccature dilatarsi, divenire uno squarcio grande nell’aria, mentre questa iniziava a vorticare come un ciclone posto in orizzontale.

Il gorgo attirava a sé granelli di terra secca, foglie cadute a terra e rametti spezzati.

«Magari dovremmo andare. Ci attira a sé, come raccontò Sofia nel mio studio. Qui ci resta una villa vuota».

«Ma forse rimanendo qui potremmo incontrare Sofi», esclamò Ginger.

«Eppure questo non è forse un segno, mia cara? Mi sembra difficile sperare in un altro incontro in questa vita», ribatté il professore. La sua tipica curiosità da uomo di scienze si riaccendeva, e la donna capì che quel vortice portava loro la possibilità di dimenticare tutto ciò che era appena accaduto. Di scordare per sempre quella sofferenza, incominciando qualcosa di nuovo.

«Ho soltanto paura che Sofi si senta sola…», mormorò piano Ginger, afferrando la mano di Arthur.

«Andiamo via, allora, se non rimane più nulla da fare. Siamo troppo vecchi e stanchi, forse, per sperare in qualcos’altro».

Si incamminarono verso la frattura spazio-temporale, tenendosi stretti con le mani congiunte. Si guardarono negli occhi spenti, cercando di sorridere.

Nella loro mente Sofia li abbracciò, svanendo nel buio di una notte di lotta.

Anche loro svanirono nel buio di un vortice, uniti e con una fitta al cuore. Tutto rimaneva dietro di loro, all’apparenza immutato.

*

 

















Grazie a Silvia per la recensione <3. Spero di postare altri capitoli a breve, ma questo caldo mi sta uccidendo e non so quanto riuscirò a ragionare XDDD Speriamo bene +_+

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Capitolo 46
*** And my spirit is crying for leaving ***


83 – And my spirit is crying for leaving

 

 

Sofia sentì un leggero bussare alla porta. «Avanti!», esclamò.

Adam aprì e apparve sulla soglia. I suoi occhi blu mare si mossero un istante per il corridoio, a controllare la situazione, e poi fissarono Sofi con un... sorriso?

Sofia non ebbe nemmeno il tempo di scorgere quella contentezza del vampiro nel vederla, che lui ne nascose le tracce con un ghigno sardonico.

«Buongiorno», disse Adam, avvicinandosi a lei. «Hai avuto abbastanza tempo per riflettere?».

Sofia si mosse nella stanza, mettendosi di fronte a lui. Il viso affilato del vampiro era a pochi centimetri dal suo, pieno di baldanza.

«Cosa ti aspetti di sentire?», domandò lei allora, scherzandoci sopra, anche se si sentiva insicura.

«Mi pare ovvio: verrai con me», rispose lui con una sicurezza di sé disarmante. Adam sapeva che Sofia non avrebbe rinunciato a quel legame, così come lui, ed era per questo che le aveva proposto di seguirlo... di salvarla da quella prigione, lei che non sapeva rimanere rinchiusa troppo a lungo e aveva preferito una pillola alla villa bianca.

Sofi fece un sorrisetto. «Non ti è rimasto un briciolo di incertezza in questo corpo freddo, eh? Però hai ragione».

Adam alzò una mano pallida e le carezzò le gote calde. «Come farai con loro?», le chiese prima di baciarla.

«Non importa, in qualche modo riuscirò a dirgli addio. Ryan non si trova più da qualche giorno e... non c’è molto da sperare», sussurrò Sofia – e le sue parole nascondevano tanta più sofferenza di quanta lei stessa ne volesse dimostrare, perché ci teneva ai gemelli e non sapeva nemmeno quanto.

La bocca di Adam sulla sua suggellò il suo dolore, spegnendolo.

Negli occhi blu mare, però, passò la consapevolezza della morte di Ryan e il vampiro si ripromise di dirlo a Sofia il più presto possibile.

 

Rupert sedeva sul proprio letto con lo sguardo fisso su quello di Ryan. Vedeva le doghe lignee e il materasso candido, non piegati dal peso di suo fratello – non c’era, lui non c’era e Rupert esisteva in un altro modo, adesso.

Il bambino era osservato da Luna, la sua compagna di stanza che sedeva sul proprio giaciglio. La bimba era preoccupata per Rupert più che per Ryan: aveva paura che non si sarebbe mai rialzato da quella perdita, dalla scomparsa della sua metà; o che, se lo avesse fatto, non sarebbe riuscito a rimanere integro, bensì con l’anima incrinata.

Luna avrebbe voluto dirgli qualcosa di confortante, ma era solo una bambina dagli occhi enormi e color della notte, non un’adulta con le risposte sempre pronte.

Rupert si mosse e si alzò, guardandola di striscio, poi salì la scaletta del letto a castello e carezzò il lenzuolo spiegazzato del fratello.

«N-non dovresti andare a cercarlo?», domandò Luna con voce flebile. Si fece coraggio: «Insomma, Ryan è da qualche parte e tu... sembri disperso con lui, ma non è questa la cosa giusta da fare, no? »

Rupert la osservò con i suoi occhi chiari, che ora sembravano pallidi e smorti. Fece una smorfia che ricordava il ghigno che solcava i volti dei gemelli poco tempo prima e scese dalla scaletta.

«Non c’è speranza da incrementare, perché non c’è nessuno da cercare. Non... non puoi capire, ma io l’ho sentito andare via, a poco a poco. Ho saputo subito che stava cambiando, allontanandosi da noi, e poi è svanito», piagnucolò.

Luna lo fissò sconcertata: Rupert non le aveva detto nulla, da quando era stato male. La febbre era passata e, se fisicamente stava meglio, il suo umore era peggiorato gradualmente, senza che proferisse parola.

Adesso capiva perché la sofferenza non lo spingeva alla ricerca di Ryan. Lui non c’era più.

«M-mi dispiace», disse Luna e, come i bambini quando si trovano di fronte a una situazione triste, incominciò a piangere per empatia.

Rupert la guardò, guardò le sue lacrime di vetro rotto e i suoi occhi socchiudersi, mentre dalla sua bocca usciva un leggero lamento e le braccia della bimba lo abbracciavano di scatto; guardò quella tristezza provata per la sua situazione e si sentì ancora più vuoto.

L’idea che Ryan non esisteva più gli sbatté violentemente sul suo volto e, stringendo Luna a sé, si sentì solo ed abbandonato. Piccolo.

Se prima aveva provato una strana apatia, invadente ed enorme, adesso percepiva il dolore pizzicargli gli occhi.

 

Sofia squadrò il viso di Adam, pallido in quel corridoio bianco, quasi un’apparizione o un riflesso intrappolato sotto il ghiaccio. Sofi avrebbe voluto aggrapparsi a lui, per cercare conforto e una passabile giustificante delle sue azioni prossime, ma probabilmente lui l’avrebbe derisa con ironia.

La ragazza non riusciva a pensare le possibili parole che le avrebbe detto – aveva il terrore di andare avanti, però ne aveva il bisogno, e di risultare allo stesso tempo ridicola davanti ad Adam, perciò si fece forza e non proferì parola.

Il vampiro ghignò, come per incoraggiarla, e Sofia si pentì di non essersi aggrappata a lui pochi istanti prima, ma fece un passo verso la porta che aveva dinnanzi a sé e lasciò perdere. L’orgoglio, alle volte, dardeggiava beffardo nel suo cuore.

La stanza dei gemelli era a pochi metri da lei, lì davanti, e Sofia ne ebbe paura... soprattutto delle lacrime che sarebbero scese, inondando di tristezza l’aria attorno.

La presenza fantasma di Adam si sentiva nel suo silenzio, i suoi occhi blu erano l’unico colore che Sofi riuscisse a vedere in quel corridoio bianco.

“C’è un perché, non so stare da sola e ho bisogno di lui”, pensò furtivamente.

«Sarò un mostro», disse ad Adam, spezzando il suo flusso di pensieri.

«Ad andare con lo storpio, ci si azzoppa», ironizzò lui. «Vado a parlare con il mio superiore... prima di partire devo avvisarlo, mia donatrice».

Sofia annuì e fissò nuovamente la porta. Si fece coraggio  e bussò, mentre Adam andava via.

Le aprì Luna, che la squadrò con gli occhi enormi dal basso della sua statura bambinesca; Sofi entrò nella stanza,smunta in viso per ciò che stava per dire, e si bloccò quando vide Rupert seduto sul letto di Ryan.

Il suo corpicino le ricordava il desiderio di proteggerlo che aveva avuto – e che da qualche parte risuonava ancora dentro di lei –, il suo viso reclinato e coperto dai capelli quasi bianchi nascondeva i suoi lineamenti, e in quell’istante avrebbe potuto essere suo fratello.

L’odore bagnato del dolore e dell’addio profumava in quella stanza. I sensi da positiva di Sofia le permettevano di percepire quell’aroma sottile e disperato.

«Devo dirti una cosa», annunciò Sofi con voce dolce. La sua maschera d’indifferenza che aveva provato a costruire adesso l’aiutava a continuare, ma sembrava sul momento di rompersi.

Rupert si voltò verso di lei e la guardò con i suoi occhi chiari e vuoti – anche lui, come Adam, sembrava un riflesso intrappolato sotto il ghiaccio... in qualche modo lontano, ma presente.

Luna, invece, era più tangibile con la sua empatia. “Almeno”, pensò Sofia “Qualcuno di leale per Rupert è rimasto... un nuovo affetto”.

«Cosa?», chiese lui, alzandosi dal letto.

La ragazza esitò. Dietro ciò che stava per dire, c’era il desiderio egoistico di essere felice, c’era il terrore di rimanere senza qualcuno eternamente accanto a sé. Era una contraddizione, essere così eppure soffrire tanto nel lasciare dietro di sé Rupert (e Ryan)?

In fondo gli aveva voluto bene.

Forse era umano, essere contraddittori.

«Io... mi hanno scelta. M-mi hanno presa come donatrice. Dovrò dare il mio sangue a qualcun- a un vampiro», rispose.

Vide un lampo scorrere negli occhi di Rupert, prima che il bimbo corresse da lei e l’abbracciasse forte. Luna li guardava con la bocca spalancata per la sorpresa.

«Che vuol dire?», piagnucolò Rupert nell’abbraccio, sollevando il suo viso verso quello di Sofia.

«Quello che ti ho detto».

Rupert sentì le lacrime solcare di nuovo il suo volto, quel giorno, e scorrere veloci e fredde e salate.

«Ma, ma tu non puoi andare via. Chi mi rimarrà? Che fine farai? Mio padre e mia madre sono da qualche parte, là fuori, a lottare e... Ryan non c’è più. Non esiste. E tu come puoi... come possono fare questo? I vampiri, come possono farmi questo?», gridò il bambino, allontanandosi da lei. Tremava, mentre piangeva lacrime amare, e non riusciva a trattenere la sua rabbia mista alla sofferenza.

«Perderò tutta la mia famiglia per mano dei vampiri, eh, Sofi?», si lamentò. Suo fratello sotto le grinfie di Violet, adesso lei, e poi i suoi genitori che erano dei soldati e con quella situazione non avevano un futuro certo.

«Lo sai che mi dispiace», disse Sofia, con la voce rotta. «N-non sempre va come vorremmo, non posso dire di no».

Luna si avvicinò a Rupert e lo cinse con un braccio, per confortarlo come poco prima.

Disgustata da se stessa – perché così si sarebbe salvata e lei voleva questo – Sofia si mosse. «Addio, Rupert», sussurrò e scappò via da quella stanza.

Il bambino, d’altro canto, continuò a piangere per l’ineluttabilità del suo destino e dei suoi cari, stringendosi a Luna.

Era forse lei l’unica che si sarebbe salvata, quella bambina quasi sempre silenziosa? Magari lei sarebbe rimasta davvero accanto a lui, poiché nella sua stessa situazione.

«Ma un giorno... quando questo dolore sarà cancellato dal tempo, e Sofia e Ryan saranno solo ricordi lontani, mi vendicherò. E l’umanità mi seguirà nella lotta, perché non è giusto», mormorò Rupert a Luna, con le parole impiastricciate di lacrime.

 

Intanto Sofia, appoggiata ad un muro in un corridoio lì vicino, singhiozzava, aspettando che quel riflesso intrappolato sotto il ghiaccio, quel pallido viso dagli occhi color mare, venisse a portarla via.

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oplà. Mi sono dimenticata di dire, nell’altro capitolo essendo di fretta, che probabilmente (tranne che la mia mente giochi brutti scherzi sentimentali) quella è l’ultima volta che vediamo Ginger ed Arthur. Mi è parso strano vedere qualcosa finire – qualcosa che ho creato io, due personaggi davvero “vecchi”, nati subito dopo Sofia ed  Adam. Eppure è così (anche se siamo distanti dalla fine vera e propria, perché devono accadere un casino di cose ad Aiedail!).

Va beh, non facciamoci caso. Che dovevo dire? Ah… sì! Scrivendo questo capitolo spesso avrei voluto piangere (sì, sono umana pure io, anche se faccio fare cose stronze ai personaggi XD), mi veniva naturale, mi è uscita anche una lacrima quando si parla di Ryan morto… che tristezza. Spero di riuscire ad emozionare anche voi <3

Ringrazio tantissimo chi ha recensito:

mikybiky-> Chissà cosa, chissà cosa! Il mondo va avanti, mentre il caldo uccide xD Grazie mille, Silviuz

Genshi-> Sì che si nota, cara, è anzi una cosa molto assurda come cambia lo stile XDD Grazie davvero *__*

Phantom G->Grazie carissima! Sono felice che in così poco tempo hai letteralmente bevuto PiomBo! (XD)… e sono contentissima che ti piaccia Violet <3 e Francis ed Elisabeth (che adoro anche io). Non ti preoccupare, i soldati li vedremo ancora ^^ e poi… toh guarda, io mi chiamo Gaia e tu Giada e siamo tutt’e due siciliane! XD piacere, conterranea.

 

A presto +_+

E… ah, sì! Tanti auguri a me. Posto oggi che è il mio comple *_*

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Capitolo 47
*** Maximilian ***


84 – Maximilian

 

I feel cold but I’m back in the fire,
Out of control but I’m tied up tight

(The shock of the lightning, Oasis)

 

Violet e Maximilian sedevano su un divanetto di pelle color panna, l’uno accanto all’altro.

La bambina indossava un vestitino leggero, azzurro chiaro, e una cintura di cuoio, dello stesso colore dei sandali che calzava ai piedi. Il Dannato, invece, aveva la nuova uniforme dei vampiri-sentinella: pantaloni comodi, di velluto nero, e una maglietta a maniche lunghe, color grigio scuro, con una V stampata al centro del petto.

Violet non portava più a tracolla la sua borsa dai fiori rosa, non avendo più con sé l’orsacchiotto portafortuna che aveva sempre conservato con tanta cura.

Lo aveva lasciato a lui.

Stavano parlando proprio di quello, lei e Maximilian.

«Quando sono nata, i Dannati erano già estinti. Si raccontava che avessimo nel cuore, al posto dei sentimenti umani, la brutalità e la crudeltà delle fiere più selvagge: i Draghi. Oltretutto, i Dannati portavano sfiga. Cioè che li circondava finiva sempre per appassire, morire, venire disintegrato; polverizzato. Quindi furono sterminati... io nacqui dalla figlia di una Dannata sopravvissuta abbastanza da lasciare una traccia di sé nel mondo, una progenie», raccontava Violet della loro storia, e Maximilian, ignorante su tutto quello, l’ascoltava con bramosia.

«Ed è per questo che sei rimasta stupita da ciò che hai fatto?», domandò lui. Si riferiva al dono di quel pupazzo che per lei significava molto.

«No», disse infantilmente. «O forse sì. Comunque sia non mi va di parlarne, non voglio pensare a quello che ho fatto per un bambino sciocco che non sa difendere la propria pelle», borbottò acidamente. Poi sussurrò: «Tanto non avrà capito il valore di quell’orsacchiotto».

«Ma per te contava», ribadì Maximilian.

«E anche se fosse così? Sono stata io a morderlo, rendendogli la vita un inferno», ribatté con crudeltà, ridacchiando. «Siamo fatti in questo modo. Noi vampiri non possiamo fingere di essere umani!, solo una nostra parte è rimasta ancorata al passato, una parte marginale e volubile; sentimentale. E i Dannati sono sempre stati semplicemente una piaga per l’umanità, conosciuti per ciò che portano dentro il cuore... probabilmente ne sai qualcosa pure tu, non trovi?», borbottò, sviando il discorso.

Maximilian s’incupì. «So soltanto che, pur essendosi perse nel tempo le notizie dei Dannati, un ragazzino dai capelli blu elettrici non è mai ben visto. Anche gli umani sono capaci di essere dei vampiri, per i loro simili; o Dannati crudeli. Eppure io non sono stato da meno, nella vendetta», sogghignò lui sinistramente, facendo sorridere Violet.

«Mi racconteresti?», domandò la bambina che, come ogni brava ragazzina di quell’età, adorava le favole, anche quelle che finivano male e soprattutto quelle.

«Va bene», rispose Maximilian, spostandosi un po’ e ruotando il corpo verso di lei.

 

Maximilian nacque in un villaggio di cacciatori, a nord-ovest, vicino alle montagne boscose e non troppo lontano al porto da dove partivano le navi dirette ai Paesi del Nord.

Suo padre era un brav’uomo, radicato nelle sue convinzioni e credente nelle antiche tradizioni; sua madre era una massaia dalle gambe e le braccia forti, dal viso carino e le guance sempre rosse.

Nessuno si sarebbe mai aspettato da loro quel bambino. Quando nacque, in una notte di Plenilunio, Maximilian spaventò la levatrice.

Le leggende dei Dannati si erano perse negli ultimi secoli, soprattutto grazie allo sterminio che era stato taciuto negli anni a venire, facendo cancellare i pregiudizi popolari come le orme su una battigia che svaniscono grazie alle onde del mare. Eppure quel colore inconsueto fece incaponire la pelle persino al padre di Maximilian.

La madre era felice che fosse un maschietto, un neonato che appariva sano e forte, però pure lei aveva un’incertezza e inquietudine di fondo.

D’altronde, quello era loro figlio. Ben presto i genitori si abituarono agli occhi e ai capelli blu elettrici di Maximilian, anche se un vecchio detto delle loro zone diceva: “Diffida di ciò che non ti appare normale, perché probabilmente non lo è”.

La vecchia del villaggio, una savia donna che aveva vissuto i suoi novant’anni in quel paesino, volle vedere Maximilian una sola volta, quando lui aveva già dieci mesi e camminava stentatamente sui propri piedini.

Non disse nulla, lo fissò soltanto e gli posò sul capo un fiore di violetta; poi lasciò quella casa con un avvertimento per i genitori: «Non porterà nulla di buono, nemmeno a voi. Per quanto proverete ad aggiustarlo, sarà come un albero spezzato: non crescerà mai bene».

Il brav’uomo e la massaia ignorarono quelle parole, perché volevano credere in quel figlio. Erano gli unici che lo toccavano, in villaggio, gli unici a volergli bene, gli unici a parlargli con affetto. Erano i suoi genitori.

 

Maximilian crebbe incredibilmente bene. All’età di dieci anni, era già più alto di ogni bambino del paese – e di questo si lamentarono le comari, attribuendo la crescita a chissà quale malefica pozione o alchimia –, era sano e, essendo figlio di positivi, anche forte. Il problema era la sua indole svogliata... o almeno, con le cose che non gli interessavano, cioè aiutare la madre a casa, imparare il mestiere del padre... per tutto ciò che colpiva la sua curiosità, era molto sveglio e capace.

Quindi era poco utile a casa: preferiva girare per i boschi, catturando animali di piccole taglie (topolini, lucertole e simili) e studiandoli attentamente, a volte facendo degli esperimenti. Gli piaceva rincorrerli nel sottobosco, sfruttando la sua velocità innaturale, e stringerli al petto, con il potere di decidere della loro vita nelle mani.

Qualcuno avrebbe detto che era l’indole dei Dannati, quella, se soltanto avesse saputo che cosa fosse quel bimbo.

Era sempre solo e questo non l’aiutava. Non aveva contatti con gli altri bambini, e se sporadicamente succedeva che si incontrasse con quelli della sua età, loro lo insultavano per il colore dei suoi capelli.

Così correva e giocava da solo, per il bosco folto; parlava fra sé e sé, non avendo altri interlocutori, e diventava sempre più triste e burbero.

Sua madre gli riscaldava il cuore, ma non era abbastanza, e suo padre lo incitava a fare amicizia con i suoi coetanei. Eppure sapeva che il figlio non era ben accetto, ma non voleva ammettere questa verità sgradevole ed inconveniente.

Maximilian non osava contraddire il genitore, faceva di sì con la testa e il giorno dopo già aveva dimenticato il suo assenso a quelle proposte.

L’inevitabile avvenne un giorno d’aprile di qualche anno dopo.

 

Maximilian stava camminando per una stradina del suo paese, diretto verso l’erborista, dove avrebbe preso l’erbe utili a lenire i dolori della mamma.

Dall’altro lato della strada c’era un gruppo di ragazzi della sua età, tutti sulla quindicina. Con loro Max non parlava.

«Ehi, guarda chi c’è, l’alieno dai capelli blu!», disse il capobranco agli altri, i quali ridacchiarono in risposta.

Maximilian non disse nulla e continuò a camminare. Adesso era accanto al gruppo di adolescenti e cercò, inconsciamente, di andare più veloce.

«Ah, Tom, sapevi che gli alieni sono dei conigli?», esclamò uno di loro, rivolgendosi al suo capo. Le voci erano simili e Max non li distingueva, quasi fossero tutti una stessa entità. Annoiata perciò cattiva.

Maximilian non fiatò – sei contro uno! Nemmeno un folle avrebbe reagito, in quelle circostanze.

Tom gli si avvicinò e gli afferrò un braccio. Max lo fissò con i suoi occhi blu elettrico.

«Che schifo sei? Guardati, molto probabilmente ance i peli del tuo cazzo sono di questa merda di colore! Magari sei peggio dei vampiri, eh?»

Maximilian valutò che, essendo un positivo, avrebbe potuto correre abbastanza veloce da non essere acciuffato da quelle mani. E, soprattutto, valutò quanta forza ci volesse per rompere un polso: ce l’avrebbe fatta, si era allenato durante quegli anni.

Tom gli afferrò il volto, mentre gli altri cinque lo circondavano.

Quella via in cui si trovavano era fra due palazzine, nascosta agli occhi curiosi della gente. C’era un’ombra scura sul gruppo: l’unico pezzo di cielo che si vedeva era lontano e poco luminoso, tutto il resto in verticale era occupato dai mattoni di quelle case.

«Che ne dite di scoprire se è vero?» sghignazzò Tom. Gli altri risero, assentendo. «Così vedremo quanto fai schifo, mostro. Non hai il diritto di indossare dei vestiti come i nostri».

Maximilian sbarrò gli occhi, quanto Tom gli afferrò la camicia scura e gliela strappò.

«Ehi!» sbottò il Dannato, infine.

Qualcuno gli teneva le mani ferme dietro la schiena. Max s’infuriò: non era giusto che lo trattassero in quel modo solo perché era diverso. Doveva andare a comprare le erbe per la madre, voleva tornare a casa e fiondarsi sul suo giaciglio, per perdersi nella dimenticanza e nella noia quotidiana.

«Ehi» urlò di nuovo Max.

«Ah, la femminuccia ha emesso uno stridulo urletto» lo sbeffeggiò qualcuno, dietro le sue spalle.

Tom strinse l’orlo dei pantaloni, ghignando e ammiccando verso i suoi amici.

Maximilian gli sputò in volto. «Cazzo, pezzo di frocio, lasciami stare», sbottò, dando uno strattone con le braccia intrappolate e liberandosi per la tanta forza che aveva impresso in quel gesto.

Il cerchio gli si strinse addosso.

Maximilian spaccò il naso di qualcuno, prima di fuggire verso casa. Sperò di aver colpito Tom.

Corse senza pensarci, con una meta in testa che lo rincuorava; corse e basta.

Quando sua madre lo vide, semivestito e con le mani vuote, brontolò un po’ per le sue erbe, ma non gli disse nulla di duro.

I suoi genitori non potevano fare niente, lui era semplicemente una disgrazia.

E adesso meditava vendetta, una vendetta atroce, immaginando come sarebbe potuta finire se non fosse scappato via.

Quelli gliela avrebbero pagata, prima o poi.

 

Violet ascoltò assorta tutto quello che Max le raccontò, incuriosita da una vita così differente dalla sua: lei era stata accudita in un piccolo nido, in un mondo con dei confini. Lei era cresciuta in una gabbia d’oro, con i migliori giocattoli e l’affetto dei suoi genitori, non vedendo com’era tutto quello che stava al di fuori della sua casa.

Maximilian, invece, aveva vissuto la sua vita d’umano, ed era stata difficile. Era stato disprezzato per come appariva, lo avevano insultato, isolato, bistrattato.

«E com’è finita?»  domandò Violet, appassionata. Era davvero curiosa del suo simile, cosa insolita per un vampiro ormai abbastanza anziano e annoiato.

Maximilian sogghignò. «Mi allenavo nel bosco, quando non aiutavo mio padre nella caccia. Alle volte correvo così veloce da finire in luoghi a me sconosciuti, mi perdevo, eppure ne ero felice. Ogni volta mi sentivo più forte e vivo. Catturavo delle prede a mani nude, per poi soffocarle e portarle a casa per la cena. Provai a dare pugni e calci, per prepararmi alla vendetta.

Divenni maggiorenne. Non c’era nulla da festeggiare, il tempo passava, ma la vita nel paese scorreva sempre uguale: i miei coetanei aiutavano in casa, uno andò in città perché aveva trovato lavoro... e i sei vivevano felici e ignari.

Non si avvicinarono più a me, anche se mi lanciavano delle occhiatine quando li incrociavo nelle viuzze del villaggio.

Aspettavo il momento giusto. Se mi fossi vendicato, doveva essere in modo che soffrissero davvero. Pazientai.

E una notte di luna piena... in quelle notti non riesco mai a dormire, c’è qualcosa d’elettrizzante nell’aria, il Plenilunio ci chiama... in una notte di luna piena, mentre girovagavo per le vie buie, insonne, vidi che si erano incontrati. Quei sei erano insieme, sul limitare del bosco, e ridacchiavano compiaciuti. Non so per cosa, in realtà, ma immaginai che non fosse qualcosa di bello.

Avevano acceso un piccolo falò. Non avevano la vista dei positivi, ovviamente, e quindi la luce della luna piena non gli bastava. Glielo spensi, per lasciarli terrorizzati nel buio quasi totale della notte. Fu facile, corsi così veloce che loro, distratti com’erano dall’alcol che stavano bevendo, non mi scorsero nemmeno.

Adesso avevano quasi paura. Cominciai a sussurrare nelle loro orecchie, con voce bassa e dura. Gli mormorai le loro colpe, gli dissi che dovevano avere paura.

Poi afferrai il collo di uno dei sei, un ragazzo anonimo e senza fegato, e lo strinsi forte. Si sentì il rumore secco delle ossa spezzate. E...»

Ma lì s’interruppe.

Qualcuno aveva bussato alla porta della stanza di Violet.

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anzitutto mi scuso per il linguaggio volgare dei quindicenni XD, ma comunque i ragazzi parlano così (cazzo, frocio, ecc). E non ce l’ho con i gay, figurarsi *_*, Max lo insulta in quel modo perché è normale farlo. D’altronde io non sono il mio personaggio ^^

Le scene presentate in questo capitolo sono abbastanza forti ò_ò ora che ci penso: tentata violenza, vendetta, uccisione... però, sappiamo che nel mondo non esiste solo il bene, che queste cose accadono, e Maximilian è la vittima perfetta: è diverso per il colore dei capelli. È capitato nel nostro passato, no? J

Passando a cose molto più piacevoli: grazie per i 51 preferiti e i 27 seguiti <3. Questi numeri mi fanno paura XD E grazie a loro:

mikybiky: Grazie per esserci sempre, Silviuz. +_+ Già, viva lo scatafascio! Ma sì, dai XD Povero Rupert >_>

CloudRibbon: AmantaH, sai già che ho fatto un altarino (Davvero? Va beh, ti ho scolpito nel pongo di mia nipote u_ù) per la tua recensione. È accurata, azzeccata, sentita, dolcissima, sublime! ç_ç Mi hai reso felicissima. Ogni volta che la leggo mi viene da sorridere, che ci posso fare. È così… insomma! La cornice, le emozioni espresse, tutto quanto... ahh grazie çOç davvero, grazie.

Phantom G: Ciao Giada *_* Sì, ogni parola per un autore è sempre un piacere, quindi grazie di tutto. Sono felice che i gemelli siano piaciuti così tanto (viva Ryan! XD). Per Sofia... chissà ò_ò Ognuno ha un suo modo di fare. E per i soldati: torneranno, non hanno ancora finito di danzare u_ù Se è già passato il tuo compleanno, infine, auguri! <3 (puoi chiamarmi Gaia, certo)

lisettaH: Shore mia, grazieee! Sono troppo contenta che tu abbia recuperato i capitoli mancanti >w<. E sono felice di averti fatto apprezzare i gemelli, u_ù (chissà se è una predizione, ohohoho +_+). Si vedrà J

Yuki: Grazie mille ;) Spero che continuerai la lettura e grazie per i complimenti! *_*

darkrin: La. Liv. È. Tornata! *saltella* La mia recensitrice che c’azzecca sempre! XD Come sei dolce e sincera ç_ç Ahh, je t’adore. Sono senza parole per il tuo ritorno, per le tue parole. Sono orgogliosa, adesso, per tutto quello che mi hai detto. Cercherà di fare del mio meglio +_+ Up till now I’m doing the best I can. Moglia, grazie davvero.

 

Good, vado. Spero di tornare presto ;)

Gaia/Kò

 

 

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Capitolo 48
*** E mi lascio indietro ciò che pesa ***


Questo capitolo va a Clouddy (anche se, facendo parte della frigida casata Uchiha, non comprende più di tanto la storia tra Adam e Sofia) perché cerca qualcosa di più dello spensierato scrivere fic. Forse PB è quello che sta cercando. Spero che un’opera mia – che sono priva di volontà nello scrivere costantemente – la incoraggi a continuare su questa strada <3.

 

 

 

85 – E mi lascio indietro ciò che pesa

 

Ooh, baby, don’t you know I suffer?

Ooh, baby, can you hear me mourn?

(Supermassive black holes, Muse)

 

Violet si alzò dal divanetto color panna e andò ad aprire la porta, scocciata di essere stata interrotta proprio nel miglior punto della storia, nel fulcro del racconto.

Adam la fissò senza battere ciglio.

«Ah... sei tu. Entra», borbottò la Dannata.

Il vampiro ghignò. «Perché, se fossi stato qualcun altro mi avresti mandato via a pedate?», domandò retoricamente. Il silenzio fu una risposta più che soddisfacente.

Maximilian, ancora seduto sul divano, si sentì escluso da quell’aria di familiarità che s’era creata fra i due all’istante, anche se percepiva il legame forte tra lui e Violet, quel filo che li legava poiché unici superstiti di una razza diversa. Capì che c’era qualcosa d’importante su cui discutere e decise di andare via, magari nella sua stanza condivisa con Hassan.

Max si alzò e uscì dalla stanza.

«Stai per partire? Lei ha detto di sì», sussurrò Violet. Adam annuì, con un soffio nel sorriso sulle labbra che sembrava di felicità.

«Quando sarà come noi me la farai incontrare», continuò la bambina, sollevandosi in aria in modo che il suo volto fosse all’altezza di quello di Adam.

«La porterò a casa mia, a Leluar, e lì la trasformerò in un vampiro», le preannunciò.

Violet sorrise crudelmente: «La porterai con te nella guerra che fra poco scoppierà? Gli umani non staranno zitti a lungo, si prepareranno a combattere e smetteranno di essere ciechi, tutto verrà rilevato al popolo. E noi daremo loro un avvertimento, un motivo per combattere. Lei sarà, come tutti i vampiri nei primi anni di vita, potente e incontrollabile – senza umanità alcuna. La porterai con te?», chiese.

Adam, con gli occhi vitrei e blu mare, rispose: «Sì, certo, sarà utile nella battaglia».

E Violet, carezzandogli fugacemente i capelli dorati, mormorò infine: «Ma nessuno potrà ucciderla, vero? Sei troppo soddisfatto di non essere più solo».

Adam le bloccò la  mano sul suo capo con una mano, stizzosamente l’allontanò da sé e poi, dopo un minuto di vuoto totale, ribatté: «Posso andare? Avverti che ho trovato la mia donatrice». E si mosse, uscendo fuori dalla stanza.

Sì, davvero, il silenzio era una risposta più che soddisfacente.

 

Sofia era ancora appoggiata al muro, con le lacrime che le rigavano le guancie e la bocca socchiusa, tremante per un urlo muto.

Aspettava che lui tornasse, senza sapere cosa fare né il modo per consolare la parte di sé triste e addolorata.

«Ehi», la chiamò Adam, dopo dei minuti che parvero ore.

Lei si voltò verso di lui, alla sua destra, e lo guardò con gli occhi color nocciola ancora imperlati di lacrime ghiacciate. Non riusciva a smettere: pensava a Rupert da solo, a Ryan disperso, probabilmente morto; pensava ai giorni in cui era stata felice, riparata dall’ombra degli alberi, dove la villa bianca e barocca splendeva di una luce particolare; pensava alla solitudine intestina che provava ogni giorno in fondo alla pancia e che ricacciava tutte le volte in un angolo oscuro, con un sorriso allegro.

«Adam», disse e la sua voce le sembrava uscire da qualche altra parte che non fosse la sua bocca, era lontana e sconosciuta. Era bagnata, quell’unica parola, e Sofia stentava a riconoscersi.

«Adam», ripeté. «Non è facile come credevo, sai? Anche se sono sempre determinata a continuare, è così difficile scordare il passato...».

Da una parte, aveva anche paura di risultare ridicola ai suoi occhi. Ma lui non ironizzò, parve pensarci un po’ su, corrucciando le sopracciglia bionde, e poi le disse: «Trasformandoti dimenticherai tutto questo, probabilmente».

Rimaneva distante. Sofia desiderava che l’abbracciasse, per risollevarsi su di morale e per non percepire più quel groppo alla gola, e allora ribatté: «Potresti fingerti per solo un istante umano e venire qui a riscaldarmi, stupido vampiro?».

«Certo, sciocca umana piena d’ormoni», sussurrò lui con una risatina sottile e quasi inudibile.

Annullò la distanza tra di loro e la strinse a sé, rimanendo immobile in quell’abbraccio. I suoi occhi blu mare vagarono nel corridoio bianco, mentre cercava qualcosa da dirle. Eppure non ricordava bene il dolore che si poteva provare quando si era vivi, pieni d’emozioni pulsanti e squillanti.

«Me lo rinfaccerai a vita, vero? Forse non avrei dovuto chiederti questo», mormorò Sofia al suo orecchio. Stava meglio, si sentiva meno vuota.

Aveva una strana sensazione di completezza, adesso, e cercò di buttare tutto sullo scherzo.

Adam stette al gioco: «È ovvio, se no che divertimento c’è?».

Stettero un altro po’ abbracciati. Lei era molto calda, Adam poteva sentirlo col semplice contatto, attraverso i vestiti; ricordò la sua attrazione per quella umanità – ora sempre più vicina al disperdersi – avuta un giorno d’inizio luglio, sotto le fronde verdeggianti del bosco vicino alla villa. Gli parve lontana molto tempo, eppure nitida. Sentì sulle proprie labbra quel primo bacio e desiderò percepire ancora quel calore lancinante, perciò si chinò sulla sua bocca e la sfiorò leggero.

«È ora di andare, non trovi?», domandò, fissandola negli occhi.

Sofia annuì meccanicamente.

Adam le passò un braccio sulle spalle e incominciò a camminare, portandola con sé verso l’uscita di quella stretta prigione. I vampiri che li vedevano non dicevano nulla, già sapevano.

Sofia immaginò la luce del sole e il vento lieve sulla sua pelle, sorrise pacatamente e scacciò via il pensiero dei gemelli. Avanzò in avanti.

Il cuore umano sa perdonare, sa distruggere, sa rimarginarsi. “Gli ci vuole solo un po’ di tempo”, pensò Sofia intanto.

«E dove andremo?», chiese.

«A casa mia», ghignò Adam in risposta, con fare ammiccante.

Non era appropriato, ma Sofi si ritrovò a sogghignare di rimando.

 

Il cuore lo si può anche perdere. Una parte può essere seppellita, mentre un’altra continuerà ad esistere per ciò che la rende appagata, per la passione e l’affetto che la mancanza fa nascere.

Sofia fece così. Sotterrò i ricordi e pensò solo a quegli occhi blu mare, poiché ne aveva bisogno.

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao *_* Ah che bello tornare a postare (anche se con un capitolo corto, che però mi piace). In realtà non ho molto da dire, tranne che mi è iniziata la scuola ç_ç e che ringrazio tutti i 51 preferiti e tutti i 29 seguiti. 80 persone – io non ci credo pur vedendolo xD

Anyway, i miei soliti ringraziamenti più grandi vanno a chi usa due piccoli minuti del suo tempo e mi recensisce:

mikybiky: Silviuz, sai perché faccio soffrire i pg? Perché amo l’angst e mi viene naturale XD, comunque, grazie XD

CloudRibbon: AmantaH cara e super impegnata, anzitutto partiamo con un grazie generale. Anche io ho subito un sottile bullismo, ma non è stato poi così serio, però sono riuscita a capire meglio Maximilian scrivendolo, ricordando inconsciamente quello che mi era successo. Per il gergo: penso che i ragazzi siano sempre gli stessi, in ogni mondo possibile u_ù Poi Violet è come dici tu, e lo stesso la teoria sui Dannati, davvero interessante. Effettivamente le condizioni in cui si cresce ti influenzano molto, così come se sei visto come diverso ti sentirai davvero diverso. Però nei Dannati c’è anche un’altra cosa da valutare. Non sono solo frutto delle credenze popolari, bensì… come dire… anche se cresci in posti diversi e in modo diverso, la tua pasta è sempre la stessa, come sei fatto dentro in parte è immutabile. I caratteri principali di una persona non mutano, così come il fatto che si è Dannati a prescindere da dove cresci.

Comunque hai detto qualcosa di molto giusto. Di essere Dannati, infatti, lo sono sia Max che Viò, ma sono persone differenti, questo di sicuro – lui è sprezzante, lei capricciosa e altre cose che non posso dire su Max senza svelare un flash back che poi scriverò ;)

Grazie.

 

E ora… un piccolo regalino perché non si sa. Ecco due bannerini su Adam e Sofia (quelli sugli altri pg li posterò poco a poco con i capitoli successivi):

 

Ora vado, a presto. Kò

 

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Capitolo 49
*** For you I bleed myself dry ***


A Livia per i suoi 17 anni, perché è una mogliaH splendida,

una personcina che mi ascolta sempre, uno scorpione appuntito

che ti avvelena e poi ti guarisce, velocemente.

Il mio Limon, il mio Tronky. E tanto altro.

Questo arancione hottoso è per te – e un po’ anche per

chi lo aspetta da tempo, devo essere sincera –,

ma soprattutto per te e per il tuo compleanno.

Auguri!

Ti voglio bene

 

 

 

 86 – For you I bleed myself dry

 

Your skin and bones
turn into something beautiful
and you know
you know I love you so

Yellow, Coldplay

 

Adam e Sofia avanzarono nella palazzina adibita a dormitorio degli umani. In uno dei corridoi, Sofi scorse Marianne, la vampira che l’aveva accompagnata alla sua stanza il primo giorno di prigionia e che le aveva predetto un futuro avvenente.

La bella vampira, sulla quarantina, sorrise all’umana, con gli occhi scarlatti accesi di sete e con due piccole fossette sulle guance formate dall’incurvarsi delle labbra. Sofia non rispose.

E infine, svoltato l’ultimo angolo, arrivarono al portone principale. Due sentinelle vi facevano la guardia, ritte e composte.

Adam strinse di più la mano sulla spalla di Sofia, come a marcare il fatto che lei era la sua donatrice, il suo pasto, intoccabile dagli altri vampiri.

“Probabilmente, i cibi più pregiati vengono spartiti tra di loro”, immaginò la ragazza con insicurezza.

Uscirono all’aria aperta, ritrovandosi circondati dall’imponente massa verticale della scura roccia della cava. Il sole non arrivava fino a là sotto, ma Sofi sentì subito su di sé la sensazione di calore che solo esso poteva donare. Sorrise spontaneamente e aumentò l’andatura.

Ben presto, lei ed Adam si ritrovarono in alto, sulla strada battuta vicino alla cava, che adesso era un buco nero e profondo.

Una carrozza li aspettava in una rientranza della strada, dove gli alberi erano più radi.

Adam sussurrò all’orecchio di Sofi: «Questo grazie a Violet, se no saresti potuta finire a pezzi sull’erba, dove tutti gli altri vampiri si ciberanno dei loro donatori, senza pensarci due volte».

«Sai che non è la cosa migliore da dire a chi si è appena messo nelle tue mani, vero?», borbottò Sofia, irritata.

Adam ridacchiò. «No, mi sa di no».

Poi partirono.

 

Arrivarono a Leluar la mattina dopo.

Sofia aveva dormito raggomitolata sulla spalla dura di Adam, cercando una posizione più comoda. Lui non aveva chiuso occhio, anche se riposare gli avrebbe fatto bene – pur essendo un vampiro, infatti,  anche lui si addormentava (più che altro cadeva in dormiveglia).

Scesero dalla carrozza in una via piccola, ma pulita e ben curata, vicino al centro della città. I palazzi erano bassi e dai muri spessi, dai colori chiari – giallo, rosa pallido, azzurrino, bianco – e le finestre grandi.

Adam si avviò verso un palazzo di due piani, con tutte gli infissi chiusi, come se nessuno abitasse in quella casa. Ed effettivamente era così, poiché apparteneva tutta al vampiro.

Entrarono, ritrovandosi in un piccolo cortile spoglio, e salirono le scale alla loro sinistra. Adam si mosse celere e aprì una ad una le finestre del primo piano, mentre Sofia studiava le stanze della casa.

Era curiosa di vedere, finalmente, l’abitazione di un vampiro.

C’era, dopo l’anticamera, un salotto dalle pareti quasi del tutto vuote: su una vi era uno specchio incorniciato da barocchi decori lignei; su un’altra vi era appeso un quadro raffigurante una banale campagna di Aiedail, coi campi verdi e alcuni contadini che vi lavoravano; poi c’era una vetrinetta con pochi soprammobili, per lo più statuette di marmo bianco. C’era una porta, sulla destra, che conduceva ad uno studio. Sofi ebbe una strana sensazione ad immaginare Adam lì dentro, dedito a chissà cosa; provò una divertita incertezza.

Entrò nella stanza, illuminata da due finestre alla sua sinistra: c’erano una scrivania massiccia e due poltroncine verde bottiglia, come la carta da parati. Sofia notò che Adam apprezzava la semplicità nell’arredamento.

Dallo studio si accedeva alla biblioteca: lì Sofi rimase sconvolta. Vi era una moltitudine di libri impilati sugli scaffali, di qualunque argomento possibile (leggende sui vampiri, alchimia, le antiche storie sui draghi, l’inizio della civiltà umana, studi sui positivi, la storia di Aiedail, la formazione dei paesi del Sud e del Nord...), alcuni con l’aria di essere antichi almeno più di un secolo. La biblioteca aveva un tetto molto alto e la sua fine si perdeva, nascosta dalle librerie possenti, dando l’impressione che quella stanza fosse enorme.

Chissà quanti anni aveva davvero Adam, per aver racimolato tutti quei tomi.

«Ehi», borbottò lui alle sue spalle. «Ho spalancato le finestre anche al piano di sopra, togliendo le lenzuola che coprivano i mobili. Qui è tutto polveroso».

Sofia si voltò e lo guardò intensamente negli occhi blu mare.

«Che c’è?».

«Ah, niente... mi chiedevo quale sia la tua vera età. Ho visto quanti libri hai e nemmeno in una vita intera li si potrebbe leggere tutti», gli disse.

Adam ghignò. «È la sete di conoscenza», ma non rispose alla sua domanda.

«Non l’avrei mai immaginato».

Il vampiro si avviò verso il salotto, con l’implicito invito a seguirlo, e Sofia camminò al suo fianco.

Adam si pose davanti al quadro dal paesaggio campagnolo. «Lì è dove abitavo io. Quando ho imparato a leggere, ho voluto sapere», sbottò, facendo una smorfia.

«Hai letto per molto tempo?», chiese Sofia, non riuscendo a immaginare come fosse la vita senza una cultura, senza la capacità di conoscere attraverso gli scritti.

«Ho vissuto nei libri. Un vampiro non sa cosa farsene, del tempo; non si accorge di quanto può passare in fretta», mormorò. Poi tornò Adam: «Adesso, invece, ho una prelibatezza in casa che rischia di essere sommersa dalla polvere e dal peso della cultura che la sua misera testa non può sopportare».

«So io cosa posso sopportare», ringhiò lei.

«Ah sì?», domandò lui con un sorriso.

 

Al piano di sopra c’erano le stanze da letto: una di Adam e una per un eventuale ospite, ognuna munita di un proprio bagno personale.

Quella del vampiro aveva un grande letto a baldacchino, con le tende di raso rosso e la struttura d’ebano. Una cassettiera stava a destra, di fronte alle finestre a sinistra; vi era posto, sopra il ripiano liscio, un vaso allungato e bianco.

Sofi studiò l’intarsio del letto con fin troppa curiosità, cercando d’ignorare il pensiero di dove avrebbe dormito quella notte.

«Sai una cosa?», sussurrò, sedendosi sul letto dalle lenzuola impolverate e così provocando uno sbuffo di polvere.

«Dimmi».

«Noi non ci amiamo».

Quello era solo il gioco di due anime sole, che avevano la necessità di un qualcuno affine accanto a sé – era semplicemente questo, e pensarlo rendeva Sofi triste.

«C’è una grande differenza tra il bisogno e l’amore, Adam, e io ho bisogno di te per non sentirmi più abbandonata, e così tu. Sono certa che ci sarai sempre – non ridere e stammi ad ascoltare –, ci sarai eternamente e così pure io, ma... l’amore è desiderare il meglio per l’altro, è il conoscersi profondamente».

Adam le si sedette accanto e le prese una mano, stringendola forte. La sua espressione era seria, la bocca formava una linea dura sul viso. I suoi occhi blu erano serrati. «Non è vero. Vedi, ognuno ha bisogno di qualcun altro per vivere e tutto questo porta alla ricerca di quel qualcuno, a colui che completerà ciò che sei. Noi siamo stati felici alla villa, prima che attaccassero i vampiri, pur non sapendo molto l’uno dell’altro... perché è qualcosa a livello di pelle».

Ah... ma cos’era quello splendore che Sofia vedeva negli occhi di Adam? Somigliava a quando il sole colpisce il mare con i suoi raggi dorati, d’estate, illuminandolo con dei riflessi chiari e lucenti. Cos’era?

«È la felicità che conta».

«Ma... ma potrò anche donarti tutta me stessa, però l’amore, quello, io non so come-».

Adam la baciò. Le mozzò il fiato: c’era poca gentilezza nel suo bacio. Si staccò poco dopo.

«Tu sei mia», ed era questo che contava, probabilmente. Il bisogno, la mancanza, il desiderio, tutto spingeva ad attrarli.

E non era il donarsi il gesto più alto dell’amore?

«Tu sei mia», sussurrò al suo orecchio con veemenza.

Sofia fissò lo sguardo in quello di Adam, sempre tenendogli la mano saldamente. «Serve il tempo a consolidare tutto questo, ecco. Potremmo conoscerci meglio e-», disse Sofi.

«Abbiamo l’eternità. Basterà», ringhiò piano.

Ecco, ecco cos’era quello splendore nei suoi occhi blu mare, quello come il sole riflesso nell’acqua!

Amore.

Sofia l’abbracciò. «Stringimi senza più lasciarmi andare».

Oltre al desiderio di un corpo, alla fine ogni ricordo bello assumeva un nuovo valore, quando capivi che non importava solo l’aspetto fisico.

Sofia, vedendo quella luce nei suoi occhi, capì veramente che non bastava il bisogno né l’attrazione a unire due persone.

C’era qualcos’altro d’irrazionale che pervadeva l’aria.

 

Sofia aveva dimenticato, in quegli istanti, quanto potesse essere freddo Adam – l’Adam vampiro che conosceva. Alle volte poco umano, in quell’occasione le sembrò semplicemente una persona normale, un uomo.

L’unica questione rimasta in sospeso era quella del morso e della trasformazione.

«Non farmi pensare a come accadrà», aveva sussurrato Sofia nella carrozza, ore prima.

Adesso, stretti in quell’abbraccio, Sofi percepiva la pelle fredda del suo viso sul proprio, il gelo delle braccia che la stringevano; ma sentiva caldo al cuore.

Adam si chinò a baciarla con le sue labbra di ghiaccio, approfondendo il bacio mentre muoveva le sue mani sulla schiena di Sofia, carezzandola.

La ragazza gli prese il viso con le dita calde, scostandogli i capelli biondi della fronte. Studiò le iridi blu mare, il naso affilato, gli zigomi alti, il candore della pelle.

Adam le baciò le piccole lentiggini del naso, risalendo con le mani sino al collo: le scostò i capelli dall’orecchio sinistro e li vi sussurrò ciò che ricordava della sua vita umana. Tutto quanto. Il suo primo amore, Amarantine, dalle trecce nere e il profumo di more; il suo lavoro ai campi con la madre, spaccandosi la schiena; la sua prima ragazza, il suo vestito per le feste del paese, quello che ricordava di sé; gli occhi viola di Violet.

«Spero che i miei non diventino il tuo incubo, la notte», ridacchiò noncurante.

Sofia gli bloccò il viso con una mano, tenendolo per il mento, e rispose con un bacio.

Le labbra di Adam scesero sul suo collo e Sofia ebbe un brivido, mentre esse percorrevano la sua pelle tesa, lasciando una scia umidiccia.

Una parte di sé le ricordò che era un vampiro. «Che stai facendo?», chiese rocamente. La voce le uscì con un tono che non riconobbe suo.

Adam sogghignò. «Ti sto facendo non pensare».

Poi le sue mani s’infiltrarono sotto il tessuto della maglietta di Sofia, vagando nuovamente sulla schiena fino al reggiseno.

«Ah, bel modo di farlo», sospirò Sofi sul suo viso.

Adam, con un sorriso sul volto, la baciò ancora e ancora, sollevando con entrambe le mani la maglia della ragazza e facendogliela sfilare, su, su per le braccia, per poi lanciarla a terra. Sofia si coprì il petto, d’istinto, pur avendo il reggiseno ancora al suo posto.

«Hai paura?», chiese lui, carezzandole un fianco.

«No», rispose lei, repentina e orgogliosa.

«Bene».

Si chinò sul suo collo, baciandola, mentre con le mani l’esplorava il corpo, soffermandosi sul reggiseno – presto buttato anch’esso a terra – e quindi sul seno. Glielo strinse tra le dita gelide, scendendo con la bocca sulla clavicola, poi più giù, sulla pelle del petto, sui capezzoli ormai turgidi. Sofia sospirò, abbracciando il capo di Adam per avvicinarlo a sé.

Il vampiro, ormai eccitato, lasciò che uscissero le zanne e che si trasformasse del tutto. I suoi occhi divennero rossi, i capelli neri.

Sofia sperava di vedere ancora il blu mare del suo sguardo, ma fu impossibile.

Sentiva un bruciore lancinante dove lui la toccava, le sue labbra fredde le facevano percorrere il corpo da scariche elettriche, percependo un piacere crescente. Voleva... voleva di più, ingorda.

Tolse la camicia ad Adam, perdendo un po’ di tempo con i bottoni. Lo baciò, esplorò il suo petto con la propria bocca come aveva fatto lui, stringendolo con le braccia, sfiorandolo con le dita.

Si coricarono sul letto polveroso.

Quando Adam non riuscì più a prolungare quella piacevole tortura – che li portava a qualcosa di più, che li spingeva alla ricerca dell’amplesso, rendendoli voraci – le sfilò i pantaloni e tolse anche i propri.

Tracciò delle linee sulla sua pancia fino all’interno coscia, carezzandola con le dita e sentendola mugolare sotto di lui, e la sua voce sembrava il suono più bello che potesse esistere, quella mattina. La sua schiena s’inarcava con il suo tocco.

Sofia vedeva, sotto le palpebre socchiuse, il mare che anni prima, con suo padre e sua madre, era andata a osservare – era inverno e c’era freddo, ma lei era così felice, così calda dentro...

Ne voleva ancora.

Adam strofinò la mano sopra le mutandine, poi infilò le propria dita sotto il tessuto, carezzandola.

«Adam», sospirò lei. Qualcosa nella sua voce suonava più come un ordine che come una supplica.

Poco male.

Adam si liberò dei propri boxer, ormai solo d’impiccio, e fece scendere fino ai piedi, per poi sfilarle via, le mutandine di Sofia.

Le strinse veemente, aspettando un istante in silenzio.

Poi la penetrò e la sua carne si fuse con quella calda di Sofia. Lei che urlava il suo nome – e c’era, dopo il dolore iniziale, solo puro piacere – mescolandosi ai sussurri di Adam, che la invocavano ancora e ancora e ancora, come se Sofia fosse qualcosa di sacro fra le sue mani dannate.

 

Il morso arrivò.

Sofia era persa nel piacere bianchiccio dell’amplesso e vide soltanto i suoi occhi fatti di fiamma, così vicini... i denti aguzzi le trafissero la pelle. E la baciava e beveva il sangue che scivolava dal collo.

Le morse il seno sinistro, vicino al cuore, leccandole la ferita e abbracciandola; le trapassò i polsi con i canini affilati e nivei, per poi nutrirsi ancora.

Fra un misto di piacere e dolore, Sofia si strinse a lui, conficcandogli le unghie nelle spalle bianche.

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo è per la mia mogliaH, la LivLiv, che oggi compie ben 17 anni.

Ecco, lei due anni fa mi chiese una lemon fra Adam e Sofia e io non sono mai riuscita a scrivergliela, perché c’era già questa scena qui presente nella mia testa e scrivere di loro due che facevano sesso, andava al di là di questo punto, di questa svolta e di questo morso, perciò mi risultò impossibile. Ma insomma, questo non voleva dire che avessi dimenticato, anzi u_ù

E infatti, dopo due anni d’attesa, eccoci qua con... the Sex!

Grazie a Lisa per aver letto in anteprima questo capitolo e per tutte le sue belle parole. Era la prima volta che scrivevo qualcosa del genere, una scena così “dettagliata” (ma non è una lemon, e va beh XD), ed ero al mio solito insicura. Grazie per l’incoraggiamento.

Grazie a Lau e a Lili per le risorse hottose.

E poi grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo:

Alexandraleon-> *ridacchia* Gabry sei unica! Grazie mille, *_*

Kaho_chan-> Nee-san, non ti avrei mai aspettato qui, non avrei neanche potuto immaginarti che leggevi il cap! Grazie <3

Lady wolf-> Ohhh, ti adoro *ò* Anzitutto, essendo una nuova lettrice, benvenuta! E grazie per la bella recensione, sono felice che PB risulti interessante e fluido, è sempre un piacere sentirselo dire! ** Ehh, vedrai, vedrai cosa accadrà XD

CloudRibbon-> Clouddy cara, non sai che felicità che provo quando leggo le tue recensioni! Sono dettagliate ed esaurienti, precise, mi fanno impazzir d’amore <3. E guarda, l’azione è sempre più vicina, a poco a poco, organizzandosi, lo scontro arriverà +_+ Che bello che Adam è maturato ** E che belli i tuoi ringraziamenti sinceri... grazie a te, AmantaH di nuvola candida <3

Mikybiky-> Uahahah, spietati, spietati! No dai, Adam ha il cuore teneroso, ma non troppo +_+ Forse XD. Grazie *^*

 

Comunque mi spiace per avervi fatto attendere così tanto, ma dovevo per forza postare oggi, il 25 d’ottobre, per la mia Liv.

Se non avrò problemi di linea (non so se l’avrò in questo periodo ç_ç), posterò tra non molto, ho già il capitolo successivo pronto :)

 

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Capitolo 50
*** Risvegli spiacevoli ***


87 – Risvegli spiacevoli

Adam si svegliò al sorgere del sole. I capelli di Sofia solleticavano il suo petto.
La ragazza si muoveva nel sonno, parlando sottovoce. Era in uno stato di catalessi portato dal veleno vampiresco.
La trasformazione completa durava dai due ai quattro giorni: variava da persona a persona e dipendeva dalla sua età (da bambini ci voleva di meno). Così come variava il fatto di addormentarsi per poi svegliarsi come vampiri: Hassan, per esempio, aveva dormito tutto il tempo; Adam, invece, aveva vissuto tutto l’atroce dolore a fasi del veleno in circolo.
Si diceva che, durante quella catalessi provocata dal morso di un vampiro, si facevano gli incubi più paurosi al mondo. Probabilmente dipendeva da quel liquido tossico: si provava una paura profonda ed immensa, tanto da scuotere il sangue nelle vene.
Sofia continuò ad agitarsi.
Un raggio di luce filtrò dall’imposta socchiusa, inondando il letto di luce. Le tende rosse del baldacchino non erano tirate, perciò il viso di Sofia fu illuminato dal sole.
La sua pelle era imperlata da piccole lacrime di sudore. Adam gliele asciugò con le dita fredde, vigilando sul sonno della ragazza.
Quando si sarebbe svegliata, il suo mondo le sarebbe parso diverso.


Elisabeth si riscosse dal sonno.
Passò una mano sulla fronte sudaticcia, spostando i ciuffi rossi da sopra gli occhi, e stiracchiò le braccia. Poi si guardò intorno: Jack era già sveglio, come sempre, e fissava fuori dalla finestra. Daniel sedeva a terra, accanto a uno dei due letti, con gli occhi socchiusi e un momentaneo sbadiglio sul volto.
Spaparanzati sopra le coperte vi stavano Francis e Logan, i dormiglioni del gruppo. Elisabeth non si preoccupò di strillargli nelle orecchie per svegliarli, lasciò correre con un sorriso sulle labbra.
La tristezza era indescrivibile a parole, nascosta sotto le palpebre chiuse. L’idea di sparpagliarsi per l’Impero era presente tra di loro, silenziosa e pesante; l’unica consolazione era vedere quei due ancora nel mondo dei sogni, ignari di ciò che li aspettava, perché nel sonno la realtà è distorta così come la verità... e magari Francis e Logan non sentivano ancora quella disgregazione.
«Vado a sistemare i bagagli e a cambiarmi», borbottò Daniel, alzandosi da terra, seguito a ruota da Jack.
Anche Elisabeth fece le valigie, sia le proprie che quelle del fratello. Piegò i vestiti, sistemò i pezzi di carta che Francis conservava (appunti di viaggio, diceva), andò in bagno e si cambiò, indossando la divisa estiva color blu zaffiro.
Si guardò allo specchio con una smorfia, osservando la pelle chiara piena di efelidi e i capelli rossicci, ma non i propri occhi. “Meglio sbrigarsi, le due carrozze dirette ad Alesia partiranno tra un’ora”.
Tornò nella stanza. Logan si era seduto, ancora intontito dal sonno, e adesso borbottava qualche formula alchemica su come estrarre l’alcol dal corpo (la sbronza gli aveva dato alla testa, pensò Elisabeth); Francis si stava spogliando dei vestiti sporchi, dopo averne preso di puliti dalla valigia pronta.
«Buongiorno», disse alla sorella con un guizzo negli occhi. Recuperò gli abiti e s’infilò in bagno.
Logan si alzò dal letto e la guardò per un istante, sbadigliando. Poi, caloroso, l’abbracciò.
«E questo per cos’è?», chiese Elisabeth fra le sue braccia, sconcertata.
«Perché sei una commilitone con le palle... cioè... insomma, non con le-», borbottò lui e Lisa capì, ridacchiando sommessamente. «E perché non ti sei mai piegata ai miei comandi burberi, facendomi notare quando sbagliavo».
Elisabeth si staccò dall’abbraccio, dandogli una carezza veloce sul capo. Sorrise fievolmente. «Vai, corri da Francis e spera di non trovarlo nudo in giro per il bagno!», ghignò.
Logan seguì il suo consiglio.
Elisabeth, invece, andò nella stanza dei suoi compagni, a salutarli per bene. Abbracciò sia Daniel – che la strinse forte e le diede un bacio sulla guancia – che Jack, così alto che lei gli arrivava solo al petto.
Arrivò anche Francis, sempre allegro, che fece qualche battutina per disintossicare l’aria dalla tristezza.
Infine, i due fratelli presero le loro valigie e scesero in cortile, dove tre carrozze erano già pronte, pronte ad andare ad Alesia. Altri soldati stavano sistemando i loro bagagli, salutando i propri compagni di guerra.
Era proprio in quel palazzo del S.S.E.V. che Jack e Logan, otto anni prima, si erano incontrati... e lì, un anno e mezzo prima, si era formata la squadra 7. Adesso si scioglieva, proprio in quel luogo, che sembrava significare fin troppe cose nella loro vita.
Francis salì nello scompartimento della carrozza, seguito da Elisabeth. Jack, Daniel e Logan si misero davanti al finestrino, con un sorriso.
«Ehi...», disse l’alchimista a tutto il gruppo. «Sappiamo che qualcosa si sta muovendo qui nell’Impero, perciò è necessario tenere gli occhi ben aperti, mi raccomando. Se tutto andrà bene, alla fine di questa battaglia potremo incontrarci proprio qui, nel Quartier Generale di Leluar. Solo per essere certi di aver svolto il nostro dovere... di essere ancora... ancora integri. Eh. Così, anche semplicemente per rivederci un’altra volta. Per avere una certezza», balbettò.
Elisabeth e Francis, sporti dal finestrino, annuirono, così come gli altri. I loro visi erano maschere dipinte dal pennello triste della sfortuna, macchie di colore mescolato allo sconforto nero. Si guardarono un’ultima volta, con un sorriso.
Poi il cocchiere fece partire i cavalli e la loro carrozza scomparve nella polvere e nella lontananza.

Elisabeth si svegliò alle sette, come prestabilito. Il suo turno di guarda iniziava mezz’ora dopo.
Si guardò intorno, un po’ intorpidita dal calore benigno del sonno, e osservò la stanza che le avevano assegnato: un parallelepipedo bianco con un’alta finestra nella parete in fondo, un letto attaccato al muro, una cassettiera e un piccolo scrittoio nella parete di fronte a lei.
Si vedeva la ricchezza dell’Imperatore, in quella camera: Elisabeth era abituata a tende, fanghiglia, caserme nella foresta dove, solo perché era donna, aveva ricevuto una stanza migliore (e il migliore era davvero relativo).
Poggiò i piedi a terra, sul pavimento di mattonelle picchiettate di rossiccio e marrone, e andò verso la cassettiera, per prendere il nuovo abito d’ordinanza. Anche quello, in confronto alla divisa militare azzurra fatta di cotone grezzo, era più morbida e leggera, raffinata.
“Ecco la differenza tra il popolo e l’Imperatore”, pensò Elisabeth con un moto di repulsione. Aveva visto paesi piccoli, in tutta Aiedail, venire dimenticati e scomparire negli anni; aveva visto visi scarni e occhi che chiedevano cibo. I soldati potevano proteggere gli altri dai vampiri, ma dagli uomini? Chi mai avrebbe potuto, tra le loro schiere, salvare quella gente dalla povertà?
Lei e Francis erano vissuti in una grande casa signorile, figli d’un proprietario terriero, e forse erano più vicini al popolo di Logan Mckay... gli strati alti della società militare non era mai stata sfiorata da quella problematica, probabilmente.
Elisabeth sospirò veementemente e andò nel bagno, posto a metà del corridoio di stanze per guardie imperiali, a sciacquarsi e a rinfrescarsi il viso.
Adocchiò un’altra volta la nuova divisa: pantaloni di velluto rosso, con una striscia laterale argentea; camicia bianca di seta, con il fregio della famiglia Burnside (una fiammella rossa e arancio) e i bottoni d’argento; stivali di pelle scura, alti fino a metà coscia; giacca scarlatta dalle cuciture grigie e, per finire, fodero della spada intarsiato con ricami floreali. Sì, c’era una netta differenza.
Elisabeth indossò tutto quello, sperando d’incontrare suo fratello per pranzo, alla mensa delle guardie. Almeno sarebbe stata una giornata meno noiosa.
Uscì dal palazzetto adibito a dormitorio, collocato obliquamente a lato della reggia vera e propria, e si diresse al suo posto di guardia.
Non si aspettava nulla di che, Elisabeth, lì era tutto troppo sicuro e controllato.
Almeno per ora.

*







Capitolo di transizione, che ha comunque una sua importanza. L’addio della squadra 7, seppur rapido e scevro di troppo sentimentalismo (non volevo abusare di frasi angst XD che già PB è pieno di tutto questo), ha un suo perché, ecco.
Anyway, dal prossimo capitolo aspettatevi più... vampiresss! *ç* vampiri vampiri vampiri, yea. Per la felicità della mia anima xD. Comunque questo è il cap numero 50 ò_ò, almeno secondo il conteggio di EFP.
Ora passo a ringraziare chi ha recensito:
mikybiky: Ahaha, è vero, è passato un casino di tempo da quando progettavamo di farli copulare! Beh, almeno ci siamo arrivati, nonostante la mia incostanza xD Grazie <3
lisettaH: Shore mia, grazieee! Ti ricordi i deliri su msn con Adam e la nutella? ;) Mamma mia, ti ho fatto aspettare un sacco, ma almeno il cap è venuto come volevi ed è questo che conta, mia caVa. Fra un po’ ti farò un bel disegno dal vivo *_* Aspettami, e grazie come sempre >w<
CloudRibbon: AmantaH cara! Tu sei sicuramente la mia recensitrice preferita per Pb (oltre a Liv) XD, non importa la tua frigidità, l’importante è la tua opinione – positiva, in questo caso *w* – e l’analisi che mi fai sempre (grazie! <3). Vedi, i pommmodori che son tanto buoni li stiamo raccogliendo, più o meno XD, mentre il Team 7 è tornato per farti ciao ciao con la mano prima di un bel periodo vampiresco. Che sia dannazione o qualcosa di angelico, poi, chissà. Alla fine, gli umani pensano fino a un certo punto, sono in parti “bestie” istintive (viva Machiavelli XD), perciò buh ò_ò, lasciamo correre +_+ speriamo che saprò destreggiarmi bene, allora xD Kiss

Ebbene, dopo i ringraziamenti, passiamo ai festeggiamenti (ogni cap na festa XD): PB ha raggiunto le 300 pagine in formato romanzo (13x21 o 21x13, per intenderci XD), e non sapete la mia gioia e il mio sconcerto nel notare il numero ‘300’. Come dire, dettagli. E un bannerino scemo:


Now, I scapp a studiare... grazie per l’attenzione, Kò (devo fare cap più lunghi è_é).

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Capitolo 51
*** La Dieta del Consiglio ***


88 – La Dieta del Consiglio

Dalle vetrate del castello s’intravedevano i lampi di una tempesta estiva. L’aria calda d’agosto, caratterizzata dall’afa, si era rinfrescata con la pioggia impetuosa e Juliet, più per abitudine che per altro, aveva indossato un vecchio scialle leggero, grigio azzurro.
Un tuono percorse l’aria plumbea, seguito da un altro fascio di luce che zigzagò fino a terra. Dopo quel rombo, la pioggia continuò a scendere flebilmente, attutendo i suoni e inzuppando il terreno.
Juliet, insieme a tutto il castello, rimase muta in quell’atmosfera estiva che si creava con gli acquazzoni e che era piena di stupore per la tempesta e di quiete estatica del creato, dopo tanta calura.
I passi di Gabriel, sempre più vicini, spezzarono il silenzio apparente in cui era calato il salone.
La donna si voltò verso di lui, con un sorriso leggero.
«Ho ricevuto notizie ottime, stamani», gorgogliò felice l’uomo, baciandola sulle labbra.
Si mosse nella sala ariosa e si sedette su un divanetto, attiguo alla parete di fronte alle grandi vetrate, per poi prendere una lettera dalla tasca dei pantaloni.
«Vieni, mia cara, mettiti seduta accanto a me. Qui c’è scritto che la Villa Bianca è stata svuotata: ogni positivo è adesso nella Cava», annunciò Gabriel, mentre la consorte lo raggiungeva sul divanetto.
«Favoloso! Era una delle ville più popolate, è un bene che il nostro infiltrato abbia svolto il suo lavoro perfettamente. Questo renderà felice i nostri ospiti e così potrai vantarti del tuo familiare, stasera», rispose lei con un ghigno soffice sul volto, acuta.
Adam apparteneva alla famiglia di Gabriel e, quindi, un suo successo donava più vigore alla causa perorata dal vampiro. Era stato proprio Gabriel a proporsi come guida nella lotta contro gli umani, era lui il capo dei vampiri, adesso.
Difatti, la società vampiresca era organizzata in famiglie. Ognuna di esse aveva un capofamiglia, o padre, che aveva iniziato la stirpe o aveva meritato quel ruolo di potere; gli umani tramutati divenivano sin da subito “familiari”, poiché chi li aveva trasformati li rendeva tali, infondendogli il proprio veleno e il proprio marchio. Ed era per questo che Violet, morsa da Gabriel, era diventata una Gray e così Adam stesso.
In quel momento, l’approvazione dei vampiri era molto importante e il successo dei Gray nella conquista della Villa Bianca, significava più potere nella mani di Gabriel.
«Dovrò far portare dei nuovi donatori per la festa», borbottò Juliet al consorte, ilare.
«Oh, sì. Saranno talmente felici e invidiosi che vorranno azzannare qualcuno, letteralmente», commentò lui.
Risero a lungo, uniti, mentre la pioggia scivolava sempre più lentamente, affievolendosi fino a scemare e a morire.

Era notte.
Spessi cirri neri coprivano la falce di luna incombente sulla valle, privando di quel chiarore il castello posizionato su un pendio lì vicino.
Forse per compensare quella mancanza, tutte le luci nel maniero erano accese, illuminando così l’interno sfarzoso e il circondario.
In uno dei saloni del castello, riuniti su divanetti bassi disposti a cerchio, dalle zampe di leone scure e laccate, vi stavano dei vampiri.
Gabriel e Juliet, i padroni di casa, sedevano su due scranni, controllando con lo sguardo tutta la sala.
Gli ospiti erano arrivati da poco e ora tacevano, aspettando l’inizio della Dieta. Avevano i volti bellissimi, dall’espressione innaturalmente immobile e vuota – i loro occhi rossi ricordavano biglie di vetro, con una piccola anima in fondo, quasi nascosta ed invisibile; i corpi rigidi e freddi emanavano un aroma ghiacciato, invitante per gli umani, e avevano le fattezze di membra scolpite nel marmo. Pur essendo differenti nei tratti somatici e nel colore della pelle, quei vampiri avevano qualcosa in comune, l’appartenenza a una stessa specie era percepibile, quasi tangibile, e... possedevano un’aura di potenza particolare e rara. Il carisma delle loro presenze era forte e possente.
Juliet, spezzando il silenzio con voce volutamente sensuale, annunciò che la Dieta poteva iniziare.
Gli altri la osservarono e annuirono, con sazia accondiscendenza. Ai loro piedi c’erano già delle macchie di sangue, residui d’un banchetto da poco avvenuto.
Gabriel s’alzò dal proprio scranno, prendendo la parola in qualità di Presidente: «Benvenuti. Siete giunti qui per discorrere sull’ultima fase del nostro piano, cosicché tutto andrà per il meglio. Certamente avete già saputo dai vostri familiari che la conquista procede ottimamente», disse Gabriel, muovendo sinuosamente le mani, ad accompagnare il proprio discorso con i gesti.
«Rimangono cinque ville di cui impossessarsi e poi avremo la vera battaglia. L’Imperatore non ha quasi più fiato – il suo tenero collo scuro è circondato da un cappio e lo sa, ma non è a conoscenza di quando dovrà saltare e la corda gli si stringerà alla carne, spezzandogli le ossa».
Juliet annuì e fece un sorriso: dalla sua bocca rosea sporgevano dei canini appuntiti, segno di famelica cupidigia. Insieme agli altri vampiri ognuno si mostrava per ciò che era, e quindi i “superiori” presenti avevano gli occhi rossi come i loro comuni simili.
Gabriel mosse il pugno serrato, attirando l’attenzione silente degli altri vampiri. Ognuno di loro rappresentava una nobile famiglia vampiresca: molti erano capofamiglia, altri – i più anziani – erano stabili membri del Consiglio. Tra di essi c’era il conte Aaron, vecchio amico dei Gray e sostenitore di Gabriel.
Accanto a lui sedeva Armelia, sua familiare e capofamiglia dei Liddell. La sua espressione dura ora era più inumana che mai, forse perché accanto ai propri simili poteva mostrare ciò che era, rendendo ancora più freddi gli occhi scarlatti e serrando le labbra carnose in una smorfia ghiacciata.
«Le cinque ville rimaste formano un cerchio attorno ad Alesia. Sono le più protette e le più popolate, ma vi assicuro che la conquista andrà perfettamente, come prestabilito, e quindi mancherà un solo, ultimo passo per avere il nostro... Impero», concluse Gabriel con compiacenza.
Allora nel salone non ci fu che silenzio.
Nessuno voleva prendere la parola per primo, esponendosi al giudizio feroce degli altri – come se questo li rendesse vulnerabili, con tanto di giugulare ben in vista, pronta ad essere morsa.
Il conte Aaron spezzò quell’atmosfera incerta che, seppur silenziosa, aveva un brusio di sottofondo non percepibile con le orecchie, ma visibile negli sguardi che i vampiri si scambiavano.
«Fino a qui tutto appare folgorante – e sarà facile, per noi, riuscire in quest’impresa –, quindi l’appoggio che ho donato alla famiglia Gray, e che voi tutti avete seguito, non è stato infruttuoso. La reticenza passata nel rivelarci così potenti e predominanti nel mondo è stata combattuta dal capofamiglia Gray e, infine, aveva davvero ragione in questo, perciò complimenti. Tra breve festeggeremo la nostra era», si congratulò il conte, annuendo seccamente col capo scuro.
Non tutti, in quella sala, erano così lieti che il piano stesse andando bene. Per carità, controllare Aiedail era qualcosa d’unico e allettante, ma alcune famiglie avevano deciso, secoli prima, che ciò che stava facendo Gabriel era una follia... e adesso il vampiro aveva avuto successo.
L’odio e il disprezzo, celati dietro un sorriso sornione, erano ancora presenti e forti nei loro corpi induriti dal gelo dell’eternità.
Quel sentimento corroborante e antico avrebbe potuto far nascere una congiura, se non che la prospettiva di un mondo dominato da vampiri acquietava gli animi e i conflitti. Gabriel traeva beneficio anche da questo.
Un vampiro, seduto a sinistra rispetto a Juliet e il consorte, batté il proprio bastone d’ottone. Era Isaac Craigavon, anziano del Consiglio dal naso aquilino e lo sguardo truce. Impugnava la propria verga dal manico a forma sferica, mentre la sua voce rauca e aspra s’espanse per il salone: «Siffatta vittoria preannunciata ammoscia la nostra aura – non è abbastanza per incutere terrore, ci rende immortali che giocano con troppa superficialità. Propongo di stringere ancora di più la morsa, strappare la carne e far bruciare le ferite, in grande stile! Gli umani non oseranno più intralciarci, allora, né ridicolmente tenteranno d’ucciderci. Distruggendoli e disperdendoli, rimarremo incontrastati... abbiamo bisogno di un gesto eclatante».
Serrò gli occhi rossi dalla pupilla allungata e fece una smorfia, battendo nuovamente il bastone sul pavimento.
Vi fu un assenso fra i vampiri: amavano un po’ di teatralità scenica.
Fu proprio dopo quel discorso che la porta del salone venne spalancata con un tonfo e una risatina cordiale invase quello spazio racchiuso e pieno di luce. Quel suono riecheggiò – e aveva un tono sinistro, qualcosa che ad un umano avrebbe fatto accapponare la pelle – ancora un po’.
Tutti quanti si erano voltati verso l’apertura e adesso la fissavano, studiando il nuovo arrivato con un’espressione di muto sconcerto.
*









_________________
Siano fatti sacri i vampiri! *_*
Comunque grazie a:
mikybiky: Ahahah, poveretta Armelia, è così buona e dolce **, come puoi xDD... povero anche Adam(a)... e vabbè, ogni cosa finisce ç_ç Grazie!
Liz: Grazie shore miaaaa! Certo che loro lavorano ancora insieme, sono compagni per la vita, ti pare XD... almeno quei due. Uhhh, thanks (L)
Cloddy: Giuro che farò tornare Adam cattivo solo per far smettere sti soprannomi affettuosi è_é Non è un tuo trip mentale, è quello che sta per avvenire XD. Evviva Lisaaa! (io l'adoro, è una donnina forte e dolce)... e beh, per me va bene, comprati un orsetto e chiamalo Logan, mi fa solo piacere <3 Grazieee.

A presto, Kò

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Capitolo 52
*** The first one | New born ***


89 – The first one

Il primo a parlare fu Gabriel, che disse un secco: «Benvenuto».
Il nuovo arrivato era un vampiro sulla trentina, almeno all’apparenza dei sensi, dallo sguardo soffice e liquido, capace di racchiudere odio in una semplice occhiata raggelante come di mostrare la più sincera affezione. Aveva qualcosa di angosciante nel viso, una punta inafferrabile di sadismo mista a un’inquieta cattiveria, ma il tutto era nascosto da futile dolcezza, lasciando solo una sensazione di paura.
Era un Dannato dai capelli mossi e vermigli e gli occhi simili al sangue, tanto erano rossi. Forse era quello a mettere in soggezione tutti i suoi simili, anche loro che erano così importanti e potenti da far parte della Dieta.
La risposta a Gabriel fu un sottile sorriso. Le labbra del vampiro erano sempre all’insù e davano l’impressione che egli fosse felice in qualunque momento – per qualsiasi cosa.
Avanzò lentamente fino al centro della stanza, raggiungendo il circolo di divanetti.
Gabriel ripeté: «Benvenuto, Cain».
Cain, il vampiro, parlò: «Mi hanno detto della Dieta, non potevo mancare, non di certo; le bazzecole degli inviperiti sono il mio nutrimento».
Adesso il Dannato, vicino ai suoi simili, spiccava per la propria aura. Non era propriamente vecchio... più che altro sapeva di antico e polveroso e sembrava essere fatto di carta ingiallita al sole, di mozziconi legnosi ormai trasformati in carbone e cenere, crepitanti sotto il soffio leggero del vento.
Aveva qualcosa d’inesplicabile che addirittura terrorizzava alcuni presenti: la sua potenza maestosa era impressionante, la si percepiva con tutto il corpo.
Eppure ad essa si frapponeva una follia celata nel suo animo.
«Ma, prego, riprendete da dove avete interrotto, io mi siederò qui, vicino a Juliet la bella, ad ascoltare un po’», mormorò, ridacchiando sofficemente e muovendo le dita della mano destra con fluidità. Sembrava quasi morbido, lì seduto sul divanetto; dava un’idea di purezza che non apparteneva agli altri vampiri.
Era una maschera.
«Certo», assentì Gabriel, sorridendo a Cain.
La sicurezza ritornò in sala e la Dieta ricominciò.
Qualcuno appoggiò la proposta di Isaac, ci voleva un gesto simbolico che mostrasse il prevalere dei vampiri, la loro forza e presenza.
«Perché non radere al suolo una villa dei positivi?», chiese una vampira.
«Non è abbastanza, risulterebbe ridicolo», borbottò lo stesso Isaac con autorevolezza.
«Si potrebbe...», sussurrò qualcun altro, ma fu interrotto da Cain: «Ucciderli tutti. Sterminare un intero villaggio, perché no?, farli penare quei poveracci, strozzarli, morderli, trucidarli per bene».
«Un paese qualunque non desterebbe scalpore. Colpire chi è indifeso è facile per chiunque», ribatté Gabriel.
Armelia sollevò lo sguardo rosso e propose: «Potremmo rapire qualcuno della famiglia imperiale... lasciar vedere che possiamo entrare lì, anche se vi sono dei soldati a fare la guardia; mostrare che ci siamo, dappertutto».
Gabriel sorrise alla vampira, con assenso. «Sì, e dopo quello potremmo continuare a mostrarci sempre più potenti...».
«... Fino a sterminarli», concluse Cain.
«... Fino a vincere», lo coprì Juliet con un ghigno.

La Dieta stava andando avanti da un po’ e perciò fu fatta una pausa.
Juliet osservò con attenzione calcolata il circolo dei vampiri, sorridendo leggermente con le labbra sanguigne.
Alcuni di loro s’erano alzati, altri erano andati nelle proprie stanze a riposare.
Armelia e Gabriel stavano discutendo sottovoce, con animosità e familiarità, ma la vampira non ci fece troppo caso.
Osservò invece Cain, seduto al suo posto, che fissava con un soffice sorriso il conte Aaron.
«Vuole qualcosa in particolare?», chiese Juliet con rispetto.
Lui sollevò lo sguardo rosso e ridacchiò. «Qualcuno da massacrare! Per sentire la morbida pelle che si piega sotto le mie dita fredde, lo schiocco delle ossa rotte grazie alla forza delle mie mani, il gemere soffocato e pieno di terrore di qualcuno per il dolore del mio morso».
Juliet annuì seccamente, certa di poter aggradare il vampiro. Provava una leggera soggezione per quella figura insolita, vermiglia. Probabilmente essa era dovuta da ciò che narravano gli altri suoi simili... la storia di Cain, il primo.
«Vorresti essere tu a spezzarti?», domandò lui, alzandosi dal divano.
«Oh, no, no di certo, ma ci sarà qualcuno a farlo al mio posto», rispose lei, scostandosi da quello sguardo inquisitore. La dolcezza di Cain, così falsa, adesso era scomparsa in un repentino attimo, ma poco dopo tornò più forte e quegli le sorrise.
Un umano sarebbe stato ucciso, non lei.

Il salone fu riempito dall’arrivo delle vittime, esseri umani intorpiditi dalla bellezza fiabesca dei vampiri.
Non che loro fossero i buoni, rappresentati nelle fiabe banalmente da persone di bell’aspetto, bensì erano i mostri viscidi che scivolavano nell’ombra, fino a carpirti.

Quando Cain morse la pelle della giovane donna, un brivido gli percorse la schiena. Il sangue, ogni dannata volta, gli ricordava la notte della sua trasformazione.
C’era la luna nuova e lui era distrattamente seduto in veranda, sbevazzando allegramente.
Non riusciva più a distinguere il sapore dell’alcol da quello del proprio sangue. Non rimembrava la differenza.
Però quella notte non era morto, per così dire, anzi era risorto in una nuova forma d’essere... era divenuto un cadavere vivente, un vampiro... il primo vampiro “superiore”.
Era proprio lui, il primo.

Sì – si disse Juliet, assaporando il dolce e delicato gusto d’un infante che teneva stretto in grembo – erano le storie su Cain a renderlo così spaventoso. Era stato lui a fondare quella nuova stirpe di vampiri, a forza di sgozzare umani nelle profondità del buio.
*






90 – New Born
Hopeless time to roam
The distance to your home
Fades away to nowhere
How much are you worth
You can’t come down to earth
You’re swelling up, you’re unstoppable

(Muse)


Adam avanzava avanti e indietro per la stanza, nel buio della notte settembrina. Si pulì la bocca, credendola ancora macchiata di sangue. Era appena andato a caccia, spingendosi un po’ al di fuori da Leluar.
Sofia dormiva ancora, stesa in posizione fetale sotto le lenzuola stropicciate. Il suo respiro era divenuto regolare da poco, delle gocce di sudore le solcavano tuttora il corpo.
Adam non la guardò. Rimase a fissare la cittadina dalla finestra aperta: c’erano molte, fioche luci alchemiche, disseminate tra le vie lastricate; alcuni umani girovagano per strada, percepiti dal vampiro come effluvi leggeri e gustosi; un’aria fresca scuoteva la cappa di caldo tipica di Leluar, rendendo più piacevole la notte che il giorno. Qualche nube copriva il cielo e le stelle, smossa da un vento lieve.
Adam sbuffò annoiato, sognando di poter riavere finalmente il suo passatempo preferito, la voce ironica di Sofia nelle orecchie.
Dandosi del melenso, progettò come trasportare delle prede in quella casa, così che al risveglio Sofi avrebbe trovato di che nutrirsi e non avrebbe tentato inutilmente di morderlo, presa dalla furia della fame. Magari poteva attirarli con la propria bellezza, conquistando ignari turisti o bambine che sognavano il loro principe azzurro...
Il suo flusso di pensieri fu interrotto da un rantolo flebile.
Il vampiro biondo si voltò verso il letto al centro della stanza, inarcando le sopracciglia. Era vuoto.
Vuoto. Le lenzuola non coprivano più nulla, se non il materasso. Sofia non c’era più.
Adam si guardò intorno, in cerca della ragazza. «Dannazione», sbraitò, avanzando verso il letto ancora caldo.
Un fruscio lo distrasse e si scostò con un gesto fulmineo, attento a proteggersi. Una mano agguantò l’aria dove c’era stato Adam fino a qualche istante prima.
Eccolo di nuovo, il rantolo.
Il vampiro osservò il proprio assalitore. Era Sofia, che respirava affannosamente, distrutta dal veleno che ormai l’aveva tramutata del tutto.
«Oh, ti sei svegliata, pensavo che fossi scomparsa», borbottò, mantenendosi in posizione di difesa.
La ragazza non sembrava cosciente di se stessa né di lui o del loro legame. I suoi occhi adesso erano scarlatti e ciechi per ogni cosa, se non per il proprio nutrimento. I capelli erano neri, i denti affilati... era un vampira “superiore” a tutti gli effetti.
Adam percepiva la sua forza più del passato e non calò la guardia; non avrebbe avuto polso morbido con lei, se l’avrebbe attaccato, ma l’avrebbe guidata in quel periodo di famelica vita.
Sofia annusò l’aria, smuovendo il volto verso l’alto. Aveva fiutato una preda, forse? Adam non sentiva nulla di particolare, ma probabilmente era fin troppo abituato a vivere con gli umani e non ricordava più com’era l’inebriamento provato da una traccia appena trovata.
Sofia gorgogliò qualcosa d’incomprensibile e si buttò dalla finestra con un gesto celere e inaspettato. Adam la guardò atterrare là sotto, sulla strada selciata, e iniziare a correre verso la preda.
Attese un solo istante, preso dallo sconcerto, poi saltò anche lui, divertito dalla nuova situazione. Si mise ad inseguirla, ridendo sguaiatamente, e quasi gli parve di sentire una risposta di lei, un riso leggero e cristallino che pervadeva l’aria.
Prima che le grida la riempissero.

I denti affilati, candidi nella macchia rossa che scivolava dal collo, penetravano a fondo nella pelle. Sofia era china sulla vittima, intenta a berne il sangue. I capelli scuri le coprivano il viso, precludendolo alla vista di Adam, sazio e attento a non perderla più.
Gli occhi della neovampira, socchiusi e ardenti, scrutavano la notte con curiosità. Ogni cosa, ogni sprazzo di luce, ogni respiro tranquillo, grido inquieto o rumore di passi; ogni cosa le appariva nuova e degna d’attenzione.
Non pensava in modo razionale, non riusciva ad organizzare un semplice discorso... viveva a sensazione, con i cinque sensi tesi allo spasimo, pronta a raccogliere qualunque variazione.
Anche lui, quello che l’aveva inseguita per le strade buie della città, lo percepiva come una massa d’energia e fredda parvenza di morte – come lei, proprio uguale alla sua essenza – e non riusciva a capire perché la tenesse d’occhio.
Non le importava più di tanto, adesso l’appagamento procurato dal sangue le ottenebrava la mente, eppure avrebbe voluto provare a colpire Adam, per vedere i propri limiti.
E il suo sangue che gusto aveva?
Non come quello dell’umano sotto la propria bocca, di sicuro.
Assaporò ancora quella delizia, accovacciata vicino al corpo morente, che diveniva sempre più ghiacciato. Pure l’umano, ora, aveva un alone, una specie di patina sulla pelle, bianca, cadaverica, che lo rendeva più morto che vivo.
«Uccidilo, prima che diventi come noi», borbottò Adam con un ghigno, scrutando il volto celato di Sofia.
Lei non comprese quelle parole, le parvero vuote e lontane, allora lui le si avvicinò e mise un piede sul petto dell’uomo, poi spinse senza sforzo. Il crack si diffuse nell’aria con un tonfo secco, che riecheggiò per poco, ma lo stesso Sofi ne rimase impressionata e lo guardò per un attimo con ammirazione.
Si sollevò di scatto e lo fissò con un sorriso leggero, bagnato dal rossore del suo pasto.
«La prossima volta lo faccio io», disse imperiosa, indicando il corpo morto dal torace schiacciato.
Adam ridacchiò senza scandalizzarsi, socchiudendo gli occhi blu mare. «Sì, certamente».

Il giorno arrivò qualche ora dopo.
Adam e Sofia erano seduti sul letto, con le schiene appoggiate sul poggiatesta e i visi rivolti di fronte a sé. La luce si espanse lentamente, rischiarando l’aria che passò dal blu scuro della notte, al grigio arancio dell’alba, fino all’azzurro dorato di una mattina estiva.
Il silenzio permeava la stanza. Adam sapeva che non sarebbe stato facile, all’inizio, e che lei non avrebbe pensato a molto, se non a dissetare la propria sete, così non si preoccupava di riempire quella muta aria tra loro.
Lei non avrebbe risposto, probabilmente.
Stava immobile e fissava con famelica curiosità le cose intorno a sé, pur non andando a toccarle o a saggiarle; guardava e basta, fino ad ubriacarsi la vista d’immagini. Della stanza di Adam.
L’avrebbe ricordata perfettamente da quel momento in poi, con la memoria precisa di un vampiro.
Alla fine, Sofia si voltò verso di lui. Lo osservò bene, per imprimerlo nella mente in ogni piccolo particolare, studiandone il profilo affilato, il naso un po’ lungo, la mascella dura, il taglio quasi ferino degli occhi blu mare, l’alone di capelli dorati che gli delineavano il viso.
Fu come vederlo per la prima volta. Ricordava vagamente, adesso che era in uno stato di grazia e riposava quieta, la sua vita passata, più che altro dei flash, minuscoli sprazzi di luce, e lui era nella sua memoria. Sofia immaginava che fosse stato importante.
Oltre a queste punte di colore, tutto il resto era un enorme buco nero, in cui alcune voci riecheggiavano soffuse – un Sofi lontano, il pianto di qualcuno, la risata di una ragazza... – e di cui capiva ben poco.
S’avvicinò a lui, toccandogli la mano, che le parve fresca e morbida, e poi sfiorandogli il braccio. Adam la guardò con un ghigno sottile, con gli occhi che possedevano una profondità mai vista da lei. Era la sua esperienza di vampiro che, finalmente, poteva esserle rivelata.
«Po-posso morderti?», formulò lei, incerta sulle parole da dire. La curiosità più grande era collegata sempre al nutrimento; tutto il resto veniva in secondo piano, anche quei pochi ricordi del suo passato.
Lui sogghignò con più forza, sbuffando allegramente. «Ma tu guarda, adesso sono diventato io la prelibatezza», rispose senza che lei cogliesse l’allusione.
Gli occhi rossi di Sofi davano ad Adam un senso di distacco, una sorta di nuovo che gli era sconosciuto, ma comunque l’ironia gli bastava a rendere tutto più caldo. Anche quello sguardo, alla fine, era di Sofia – e lei, in fondo, era la stessa, solo che ancora non lo sapeva, che ancora non ricordava.
Sofia si tese verso il suo collo senza preoccupazioni, pensando che il silenzio fosse un assenso, ma Adam la bloccò con una mano. Le premette le dita sulla bocca socchiusa, spingendola lontana da sé.
«Non puoi mordere un altro vampiro, non è buona educazione. Ti immaginavo ligia al tuo dovere», celiò lui, per poi spiegarle: «Solamente al tuo amante puoi... succhiare il sangue. In realtà, non c’è nulla di troppo vincolante in questo gesto, eppure è importante per ciò che rappresenta: è il simbolo di un legame tra noi vampiri. Così come è rilevante il rapporto tra un creatore e il suo vampiro».
Lei annuì con uno scatto, sbattendo meccanicamente le ciglia. Mosse un po’ i piedi sul lenzuolo, ragionando. «E io posso morderti...», sussurrò Sofia, un’affermazione mista a una domanda.
Lui rimase in silenzio, divertito, e poi assentì, semplicemente.
Lei sorrise di rimando, quasi senza accorgersene, e si leccò i denti affilati e candidi, pronti ad assaggiare quel nuovo gusto. «È che sono curiosa, sai, voglio dire, il sapore di un nostro simile deve essere per forza particolare», si sentì in dovere di spiegare, pur non capendone il perché.
Adam le rispose sulla bocca: «In verità non ne ho idea».
«Ok», disse lei, scendendo sul suo collo.
«Ok», ripeté lui, chiudendo gli occhi. Poco dopo il morso gli perforò la pelle e le sue braccia si strinsero a lei istintivamente.
Sofia succhiò il sangue con lentezza, senza ingordigia, assaporandolo per bene. Era particolare, un gusto che non riusciva ad identificare con quelli già assaggiati; non riusciva a capire se le piacesse oppure no.
Ma continuò a berlo, stringendo il collo con una mano, mentre con l’altra carezzava i capelli di Adam.
Non ricordava più molto della sua vita, ma quell’abbraccio le sembrò familiare, caldo; e quel sangue la riempiva in un modo diverso da quello umano, la percorreva, possedendola e facendosi possedere... perciò si perse in lui, ritrovandosi.
*















Guys, questo è il mio regalo di Natale. Due capitoli strani, un po' macabri *ç*, un po' sanguigni, sanguinolenti XD, pieni di cose vampiresche... insomma, due capitoli! XD. Voglio dire u_ù

Comunque, a parte gli scherzi, ringrazio chi preferisce/legge/segue/amaH/odia/trova piacevole/apprezza questa storia *-* che ormai ha i suoi anni e sta diventando vecchia (e perciò deve finire è_é). Come me XD.

Anyway, i grazie più grandi vanno a chi recensisce <3, a chi si mostra. Perché sì, sapete, magari pensate che un commento non mi cambia la vita, che non avete nulla da dire, che non vi sentite capaci, ma in realtà ogni commento è importante, ogni recensione lasciata mi dà forza ed energia, è un regalo unico, e un regalo piace sempre in quanto tale. Ecco.

Detto questo, eccole: mikybiky (Ahah, vedi cara Silvia?, il sangue è arrivato, sangue sangueeeeH! Ok, la smetto XD. Grazie!) e CloudRibbon (AmàH cara, anche a te vengono 'sti flash assurdi? XD Finalmente eccoti presentato il personaggio +w+ un altro vampiro che si aggiunge alla schiera dei diabolici! Evviva! Comunque, grazie mille <3).

Ora scappo. Buon Natale/Anno Nuovo a tutti, tzè!

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Capitolo 53
*** Gelidi Tramonti | How you remind me ***


91 – Gelidi tramonti

La Dieta si riunì la sera dopo, poiché la notte precedente erano rimasti pochi minuti di buio assoluto prima dell’alba e i vampiri negativi non sopportavano la luce del Sole.
Juliet e Gabriel sedevano sui loro scranni, mentre gli altri giacevano sui divanetti posti in circolo. Tutto esattamente come prima.
Cain si mise accanto a Juliet, con un sorriso soffice sul viso. Il conte Aaron e Armelia, invece, stavano alla destra di Gabriel.
Fu il capostipite dei Gray ad aprire la discussione, come di consuetudine: «Bentornati alla Dieta. Ieri notte abbiamo deliberato di mostrarci agli umani con un rapimento – probabilmente verrà presa Eve dei Burnside, la più amata dal popolo».
«Che ne dici di una strage?», ripropose Cain, con nonchalance, interrompendo il suo discorso.
«Insieme al rapimento?», intese Juliet, squadrandolo con silenzioso interesse.
«Subito dopo, lasciamogli due giorni», disse Gabriel.
«Sì, così che la speranza finisca dritta in un baratro senza via d’uscita», concluse Cain.
«E allora non avranno più dubbi sulle nostre intenzioni. Saranno spazzati dal vento di discordia e morte portato dai vampiri», approvò Isaac Craigavon, con inesorabile teatralità.
«Che idiozie!», borbottò Mary Anne Tyndale, una vampira dal visino dolce e l’animo duro. «Come se già non lo sapessero. È una perdita di tempo».
«Tendono a dimenticare, gli umani», ribatté Cain. «Non sono immortali come noi, non hanno la nostra memoria né le nostre leggende – sono caduchi e dimenticano in fretta».
«Noi no», sibilò Gabriel, alzatosi dal suo scranno.
Juliet osservò il consorte con apprensione e gli carezzò la schiena.
Armelia si mosse sul suo sedile, rammentando perché Gabriel aveva deciso di iniziare quel progetto di conquista secoli prima. Roba vecchia. Ma non per loro.
Comunque era meglio non far notare l’irrigidimento di Gabriel agli altri vampiri – non svelare perché lui aveva provato tanto a convincerli a fare lotta agli umani e alla fine ce l’aveva fatta.
Li salvò una voce. L’arrivo di un ospite ritardatario.
«Noto che c’è ancora la tendenza a valutare i vampiri migliori degli esseri umani», borbottò qualcuno dietro di loro.
Cain sorrise nuovamente e guardò il nuovo arrivato: era all’apparenza un bambino negativo, dagli abiti bianchi ed eleganti, i capelli scuri ben ordinati e un viso angelico.
«Samuel, si sieda», sbottò Gabriel con sorpresa, inchinandosi al vampiro con rapidità sovraumana.
Il bimbo annuì e si avvicinò al circolo, mettendosi accanto a Cain. I due vampiri erano più antichi degli altri presenti, se non di pochi, e avevano una presenza carismatica che attraeva ogni sguardo ghiacciato su di loro.
Samuel aveva gli occhi rosi, ma così vuoti da renderli trasparenti come vetro.
«Non c’è nulla di cui esultare, Cain, se non della prevista sconfitta», sussurrò opacamente.
Nei gesti composti non ricordava affatto il bambino che era. Era passato troppo tempo dalla sua infanzia spensierata.
Tutti quanti, pure Gabriel, avevano paura di lui, Samuel l’Uccisore, anche più di Cain stesso.
Cain era solo il Primo, il positivo più puro, un Dannato che aveva vissuto spargendo morte e Caos... Samuel, invece, era uno dei primi vampiri in assoluto, su di lui aleggiava un alone di mistero, perché ben pochi erano sopravvissuti fino ad allora.
Con Samuel le tracce dei vampiri si perdevano in una notte senza stelle, in una leggenda senza protagonisti né volti.
Era lui che aveva distrutto ogni prova passata, ogni vampiro esistente in quel periodo.
Si era vendicato per la propria trasformazione e per la morte della sua famiglia, causata da una lotta per possedere le terre a Nord di Alesia, tremila anni prima.
Lui aveva sterminato la sua stessa specie, per il dolore che sentiva in petto. Aveva risparmiato solo pochi, ormai stremato dal suo compito. Era bruciato troppo in fretta, fuoco appassionato e distruttivo.
Ed era per questo che tutti ne avevano paura, anche se Samuel, dopo aver compiuto la sua vendetta, si era spento in un laconico mutismo. Aveva perso ogni scintilla di vita – era divenuto un automa senz’anima, con una posizione invidiabile tra i vampiri.
Il nome di “mito” gli era stato ricamato sopra.
«Samuel caro, non essere come al solito pessimista – qua vogliamo divertirci», ridacchiò Cain, che era l’unico a rivolgersi in quel modo al vampiro.
Samuel fece per sorridere e annuì. «Non c’è bisogno di festeggiare, vampiri in panciolle. Sai da cosa si nota la decadenza in una società? Dalle abitudini della gente. Adesso guardaci, Cain. Possiamo bere come e quando vogliamo – e se ci dà noia, se è faticoso cacciare, sai una cosa?, puoi chiedere a qualche madonna, un’umana che controlla una casa di donatori, ovviamente illegale. C’è anche questo, anche se nessuno lo sa o finge di non sapere. Trovi i bambini venduti dai genitori per un po’ di denaro e noi, ricchi vampiri annoiati, ce li compriamo con facilità. Se vuoi divertirti esistono le ville, puoi provare ad assaltarle. Ma... rinchiudere i positivi? Controllarli? E la caccia dove finirà? Sarà tutto un processo meccanico? Mi chiedo se siamo più vampiri e le nostri abitudini dicono di no. Controllare il mondo? E per cosa, poi?», domandò con scetticismo.
Gabriel ringhiò prima di potersi trattenere, ma poi il rispetto gli serrò la gola e annuì. Rispose rocamente: «Per vendetta, Samuel, perché siamo stanchi di essere limitati».
Cain rise in modo cristallino e Samuel lo fissò con indifferenza. In realtà, di questa vicenda non gli importava poi molto, anzi. Solamente gli sembrava giusto informarli.
«Sai sempre quando è giunta l’ora di autodistruggersi, per poter sorgere più forti, vero?», chiese Cain divertito.
«Non è questo. È che non vedo un senso... eppure la vendetta è un buon motivo, posso dirlo con certezza», affermò Samuel.
Sembrava poco convinto. Il suo viso non esprimeva nulla di nulla, era una fredda maschera di cera, incrollabile.
Gli altri vampiri avevano avuto gli stessi dubbi di Samuel, in precedenza, ma ora erano convinti che Gabriel li avrebbe portati a qualcosa di unico: il potere assoluto.
Per questo si erano riuniti. Erano pronti a preparare l’esercito.

Fu stabilito che Eve fosse rapita da Armelia e la sua più stretta amica, Violet Gray, che per gli umani era considerata sua cugina da parte di madre. Sarebbero state aiutate da un altro vampiro e avrebbero portato l’umana a casa Liddell.
In più, l’esercito si sarebbe raggruppato vicino alla villa di Gabriel, in attesa che Armelia si informasse sulle mosse dell’Imperatore e degli umani. Br>Cain propose di stringere la cerchia intorno ad Alesia, quindi di distruggere un paese lì vicino.
L’unica a non appoggiare più il progetto fu Mary Anne Tyndale, cara parente di Samuel, che si convinse con le sue parole dell’inutilità dell’impresa. Nulla impediva una rivolta degli umani, dopo la conquista del loro Impero, nulla assicurava il successo.
Gli umani dimenticavano in fretta, ma erano pieni di una carica ardente che nessun vampiro sapeva provare.
Gabriel non fu felice della scelta di Mary Anne, però per fortuna nessuno seguì il suo esempio.
Samuel ascoltò l’incontro con apatia, ma se solo fosse stato un po’ più preso, avrebbe morso ben più di un presente.

Quando la riunione fu finita, Gabriel si stiracchiò con soddisfazione. La sua vendetta si stava attuando, la sua promessa si stava realizzando.
Armelia lo guardò attentamente, per un solo istante, pronta a dirgli qualcosa, ma lasciò che Juliet raggiungesse il suo consorte. Gabriel sapeva già cosa avrebbe voluto dirgli.
*


92 – How you remind me

Luna si svegliò di soprassalto. Aveva sognato di quando i vampiri avevano attaccato la sua villa. Quelli del nord erano molto più violenti, si muovevano a loro agio sul ghiaccio, erano più liberi di vivere come volevano, lontani dalla capitale degli umani.
Luna controllò la stanza: Rupert dormiva nel letto di Ryan e tutto sembrava a posto.
Luna era figlia unica e non poteva immaginare la perdita della propria metà, del proprio fratello gemello... però aveva perso entrambi i genitori per l’influenza meridionale, che si era diffusa quando aveva tre anni. Ad aumentare l’alone di disgrazia attorno a lei, la sua cara amica Jane, una trentenne positiva che l’aveva trattata come una figlia, era morta quando i vampiri avevano attaccato la loro villa. Ma lei era molto ottimista, una bambina silenziosa, eppure dal cuore caldo e votato alla felicità. Non avrebbe mai smesso di sorridere.
Si alzò e andò a lavarsi; tornata dal bagno, trovò Rupert sveglio. Anche lui, lei lo sapeva, era un topo ottimista. Con il suo aiuto generoso, il bimbo si sarebbe risollevato.
Luna conosceva la morte – grazie alla perdita dei suoi cari – e sapeva come guarire i cuori infranti, anche se era così piccola. Certo, era difficile prendersi cura di chi aveva subito l’amputazione di una parte di se stesso, però poteva farcela.
«Andiamo a colazione, devi mangiare», ordinò dolcemente. Rupert annuì e saltò giù dal letto.
Luna riconosceva le persone amiche da quelle nemiche: quel bimbo le era subito parso come un ottimo potenziale compagno di giochi e sofferenze.

Violet guardò con circospezione la propria stanza e non notò niente di strano. Si era svegliata dal suo stato di dormiveglia con una strana sensazione.
Anche i vampiri sognano, pur non possedendo, di solito, sogni da realizzare e voglie da appagare, e lei aveva avuto un incubo. Un enorme orsetto, il suo, la inseguiva, stringendo nella bocca il corpo esangue di un bimbo, i cui occhi sbarrati e morti erano di un azzurro ceruleo e i capelli ricordavano il bianco.
Sbuffò e acconciò i propri capelli viola con una gardenia candida, applicata ad un elastico lillà. Fece scivolare le mani sull’abito verde chiaro e uscì dalla stanza.
Nei corridoi c’erano i vampiri-sentinella in uniforme nera, che la squadrarono in silenzio. Alcuni li conosceva di persona, ma nessuno osava parlarle, se non per questioni importanti. Era troppo diversa per essere vista di buon occhio, anche dalla sua stessa specie.
La Dannata arrivò nel salone da pranzo, dove erano radunati tutti i positivi per fare la colazione.
Controllò per bene la situazione e notò Rupert, seduto in un tavolo alla sua destra. La bambina accanto a lui, Luna, alzò lo sguardo su di lei e la fissò con odio – come se sapesse la sua colpa.
“Sarà perché sono un vampiro, solo per questo mi guarda così”, pensò Violet, ma comunque fece una smorfia stizzita ed uscì dalla sala.
Aveva… aveva paura di rivedere il gemello di Ryan, di risentire quella pietà nel guardarlo, identica copia del bimbo morto.
Si sentiva stranamente umana, quasi fragile... percepiva l’odore della morte su di sé, ciò che aveva fatto l’ossessionava. Era la prima volta.
Aveva ucciso molte persone durante la sua lunga esistenza da vampira, ma Ryan, probabilmente, le ricordava se stessa. Quella bambina la cui famiglia era stata assassinata, la Dannata circondata da dei vampiri ancora affamati, secoli prima, quando era ancora viva e innocente.
Per questo gli aveva lasciato l’orsacchiotto, lo sapeva.
«Ehi», la chiamò una voce. Era Maximilian, vestito con la sua uniforme scura. «Sei uscita subito dalla sala, non hai neanche perso tempo a studiare un po’ la merce... mi mancherà cacciare, visto che dovremo solo scegliere», disse per fare conversazione. Beh, avevano una selezione di qualche migliaia di individui. Il salone da pranzo era immenso proprio per contenerli tutti.
Violet lo fissò con i suoi occhi d’ametista e sussurrò glaciale: «Non dovresti fare la sorveglianza, ora?».
Lui la guardò confuso. «Hai di nuovo cambiato atteggiamento», borbottò con boria. «E anche se fosse?», chiese lei. Non aveva voglia né di prediche né di giochi... per la prima volta, dopo molto tempo, non solo aveva il rimorso dell’uccisione, ma anche il desiderio di ricevere un po’ di quel calore che aveva avuto da viva. Odiava i suoi genitori – e allo stesso tempo li amava – per averla cresciuta con pietà per la paura di un senso di colpa; li odiava per averla rinchiusa in una gabbia d’oro, anche se quello era l’unico modo per salvarla dalla gente (avevano avuto il terrore delle maldicenze o le avevano voluto bene?), eppure ricordava gli abbracci caldi di quel periodo. Si sentiva sempre più piccola.
«Niente, sei solo una bambina viziata. Però non pretendere che tutti stiano al tuo gioco, dolcezza, perché c’è chi si stufa di dover rincorrere la gente», sbottò Max.
Anche lui era lunatico, decisamente.
Violet ghignò in risposta.
«Pensavo che… sai, essendo uguali, io e te… tu non hai provato nulla, vedendomi? Siamo entrambi Dannati e... bah, forse era soltanto una mia fantasia», mormorò lui, prima di svanire celermente.
Violet guardò stralunata il vampiro andarsene con velocità sovraumana, di corsa, e non le restò che sorridere.
Lei era viziata e capricciosa, ma di certo lui non era rose e fiori.
Scacciando dalla mente il pensiero di Ryan e della propria infanzia, la bimba pensò come far cambiare idea a Maximilian. Quel vampiro era un’ottima distrazione.

Maximilian finì il suo turno da sentinella qualche ora dopo e, infastidito, uscì dalla struttura destinata agli umani, dirigendosi fuori dalla cava.
Non gli ci volle molto per accorgersi di essere seguito da qualcuno. Si fermò in una radura circondata da alti platani ingialliti, una mezzaluna formata da un morbido prato un po’ rinsecchito dall’estate.
Max non aveva nulla da temere e si voltò a vedere chi era il suo inseguitore, ma non vi era nessuno in vista.
«Mostrati. So che sei qui da qualche parte», disse il Dannato, guardando qua e là fra gli alberi.
Una risatina riecheggiò nella radura e Violet sbucò dietro di lui, muovendosi con passo veloce e aggraziato. Gli diede un colpetto sul braccio destro per farsi notare.
«Ah, sei tu», esclamò Maximilian con falsa delusione. Guardò la bimba con un’espressione indifferente e si voltò verso di lei.
«Sì, sono io e dovresti essere felice di vedermi», ribatté la Dannata con un ghigno.
Ignorò il fatto che il prato doveva essere sporco e che avrebbe potuto macchiarsi gli abiti – per questo si era messa dei pantaloni grigi e una magliettina nera, e non i soliti indumenti bianchi – e si sedette sull’erba. Con un cenno della mano fece capire a Maximilian di imitarla.
Lui le si mise di fronte di malavoglia. Appariva scocciato. Probabilmente aveva deciso di non voler più sottostare a lei, né di cedere alla sua indole lunatica.
«C’è il fresco di settembre, stanotte», sussurrò Violet, adocchiando il cielo stellato. La luna era calante e smorta, magrolina nella sua forma pallida.
«Già. Cosa che a noi non tange», ribadì Max, osservandola di sottecchi.
Violet concentrò il suo sguardo su quello di lui e sorrise leggermente. Fece finta di distrarsi per un istante, guardando il limitare del bosco, e attese in silenzio che lui parlasse.
«Perché mi hai seguito?», chiese infine lui, sospirando rumorosamente.
Il Dannato, ancora giovane rispetto a lei, aveva vissuto una vita solitaria, una vita da isolato; non sapeva trattare con la gente, anzi gli piaceva stare da solo, nel suo privato mondo, e difficilmente si apriva a qualcuno. Andava d’accordo con Hassan perché il vampiro era come lui, voleva divertirsi correndo alla ricerca della libertà, sapeva essere pacato e non faceva mai troppo domande né parlava troppo.
Violet, invece, aveva secoli d’esperienza su di sé. Nonostante questo, non aveva mai saputo intraprendere un rapporto normale con un suo simile – con Armelia giocava come una sorellina minore, con Adam si mostrava potente e capricciosa e con Gabriel era solo una sottoposta volenterosa.
«Perché mi andava», rispose lei ed era vero. Aveva solo pensato che, inseguendolo, avrebbero risolto il disguido di qualche ora prima.
«Interessante. E perché ti andava?», domandò Max, lasciandosi sfuggire un sorrisetto ironico.
«Sei un tipo strano, non sei male, mi stai simpatico. Perciò... boh, mi è venuto istintivo. Non avevo altro da fare, poi, e… tu mi hai detto che avevi provato qualcosa, incontrandomi», borbottò lei con tono duro e al contempo insicuro. Corrucciò le sopracciglia e con una mano andò alla ricerca del suo orsacchiotto da stringere. Peccato che non ci fosse.
Maximilian rimase in silenzio e la guardò, sgranando gli occhi blu elettrico. Tese una mano verso di lei, ma la bambina rifiutò il suo tocco.
«Sei un Dannato come me», continuò Violet. «Sei diverso e così io stessa. Non sono soltanto i capelli o gli occhi dissimili dagli altri, non è mai stata una questione di colore. È qualcosa di più profondo che va al di là di quanto la gente possa immaginare, ma che si percepisce a pelle... ci allontanano perché sentono che siamo diversi, e basta. E… anche io ho sentito qualcosa, vedendo che c’era qualcuno come me», sussurrò piano, non guardandolo affatto, pronta a fuggire.
Subito dopo quelle parole avrebbe voluto correre via, andare da qualche parte a massacrare qualcuno, un uomo qualsiasi – mordere e dimenticare il gusto di Ryan, vedere un volto soffrire, un volto che non fosse quello del bambino... sfogarsi.
Eppure sapeva di dover crescere, almeno nel profondo, e aveva pensato che confrontarsi con Maximilian, colui che le assomigliava così tanto, avrebbe portato a un suo miglioramento.
Ammazzare altra gente non vuol dire dimenticare gli assassinii passati. Non si scordano mai quei visi... quelle pene passate sotto i tuoi denti.
Maximilian tese di nuovo la sua mano verso di lei e le carezzò i capelli, come si fa con una bambina da consolare. Sfiorò per la prima volta quelle ciocche viola, tanto strane quanto i propri ciuffi blu.
«È come se stessi maturando tutta d’un colpo, a causa della mia ultima preda. Voglio tornare a divertirmi», piagnucolò Violet con odio. Non s’azzardò a guardarlo, però, dopo che lui aveva osato sfiorarla.
«Puoi ancora farlo. Puoi tornare a non pensare. Ai vampiri non fa bene ragionare sulle proprie colpe... abbiamo l’eternità davanti, rimuginare troppo ci fa solo sentire dei bastardi. È nella nostra natura essere così… ci nutriamo di sangue e basta, non possiamo fare altro. Non siamo buoni, noi Dannati meno di tutti», borbottò in risposta Max, ragionando.
«Gli ho dato il mio portafortuna… non l’ho perso, l’ho donato», ribatté lei, quasi fosse stato un gesto di bontà.
«Dopo averlo condannato», ghignò Maximilian.
Violet alzò lo sguardo d’ametista e sogghignò, tornando se stessa, piena di convinzione e orgoglio. «Giusto. Cosa dicevi sul andare a divertirsi?», domandò.
Max si lasciò sfuggire una risatina. «Beh, potremmo andare a caccia, se ti va. Oppure potremmo correre. O se hai qualche altra proposta, puoi dirmi pure».
Violet annuì, muovendo la propria mano sui soffici fili d’erba e ragionando simultaneamente.
Pochi istanti dopo le si illuminò il volto di consapevolezza, avendo trovato ciò che cercava, un’idea. «Ho qualcosa di meglio in testa», esordì.
Maximilian la guardò con curiosità, non immaginando cosa poteva aver pensato. «Sì, dimmi tutto».
La bimba gli si avvicinò piano e gli mise una mano sul volto, carezzandogli la guancia fredda. Gli occhi blu di Max scorsero le dita sottili sul suo naso e sulla sua bocca.
«Ho... ho una cosa da dirti, prima di non poter più parlare», celiò il Dannato, stringendole il polso con la mano sinistra.
Violet lo osservò, scocciata d’essere stata interrotta, e annuì. «Sii veloce».
«Quando andrai a divertirti, quando vorrai scappare via, correre il più rapidamente possibile, quando sceglierai la tua preda, quando prenderai un donatore dal complesso nella cava, quando... quando ti servirà un portafortuna, io sarò il tuo», mormorò tutto d’un fiato.
Violet gli rise in faccia e Max la fissò torvamente, ma notò che, successivamente, la bimba lo guardava con più dolcezza.
«Sì, il mio personale portafortuna. Posso usarti anche da tappetino, qualche volta?», ironizzò la Dannata, passandogli una mano fra i capelli corti e a spazzola.
«Se riuscirai a non farti trasformare in uno zerbino, sì», annunciò Maximilian, prima di baciarla.
Violet lo abbracciò e si distesero sull’erba.
Un’ottima distrazione, quel vampiro era davvero un portafortuna, un unguento per le ferite. Qualcuno che poteva diventare importante, se Violet avesse avuto il coraggio di ammetterlo.
Per il momento, insieme non erano più diversi, non erano qualcuno da adocchiare con terrore o sprezzo; erano un’unica entità, un’unione che superava il visibile.
Erano la felicità nella disgrazia.
*














Ed eccomi tornata *ò* felici tutti quanti di vedermi di nuovo su questi schermi?
Io lo sono, ad essere sincera XD. Ho anche dei motivi per questo colossale ritardo da colossal u__ù (ehh? xD), infatti questo mese ho avuto un virus ._. e ho dovuto portare il pc dal dottoVe... e poi non si connetteva -.-
Ma adesso sono qui °w° e quindi godetevi questi due capitoli. Amo le introspezioni vampiresche e grazie a Samuel ho potuto far vedere un altro tipo di vampiro, di visione, e nel secondo cap... beh, Violet ha dei sensi di colpa per ciò che ha fatto per capriccio e, anche se si risolve tutto con il “torniamo a come eravamo, siamo vampiri, bla bla”, mi è piaciuto farla penare un po’ *__*. Ma lei è una stronza bimba e non può perdere troppo tempo sui rimorsi, eh.
Comunque, ringrazio chi ha recensito ♥, i preferiti, i seguiti, i lettori occasionali, chi c’è proprio passato per caso, chi ha adocchiato nelle Storie Scelte e ha visto PB lì che gli faceva l’occhiolino, chi lo ama in segreto, chi lo odia, chi lo legge tanto per passare tempo, chi sbava dietro Adam, chi non lo caga nemmeno... tutta la gente che non si fa sentire, ma c’è +_+. E ringrazio la mia Cloud e la mia Livia per i vari appoggi/conforti/aiuti. Per farmi prendere coscienza di me, di PB, di ciò che posso fare.
Ringrazio tutti.
Dal prossimo capitoli si ritorna sui soldati. Alleluia.
Ah, e ringrazio anche i Muse che, come dice – ahimè – la Meyer, sono degli dei ispiranti. Sono una Musa ;) Però io con la Meyer non voglio spartire proprio nulla è_é (e così se ne andarono tutti i lettori amanti della saga).
Fa nulla, ormai quella donna ha modificato il modo di vedere i vampiri. Ma viva i vecchi succhiasangue bastardi.
Okay, me ne vado. Recensite, mi raccomando, per la felicità di questo Cookie rinsecchito.
Vostra (?) Kò delirante.

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Capitolo 54
*** L'attuazione del piano ***


93 – L’attuazione del piano

Una lettera arrivò alla cava all’inizio d’ottobre. Aveva impressa sulla chiusura un marchio rosso, una G elaborata che simboleggiava la famiglia Gray.
La missiva fu recapitata a Violet, che lesse con grande interesse le notizie scritte da Gabriel. Lei e Armelia sarebbero dovute partire verso Aiedail, pronte a rapire la figlia dell’Imperatore, Eve; in più dovevano portare con loro un altro vampiro, un aiuto nella missione.
Violet si rigirò fra le mani la lettera, pensando a chi avrebbe potuto scegliere... qualcuno della sua famiglia e qualcuno di non troppo giovane, per potersi fidare al cento per cento. Maximilian lo dovette escludere: portava il cognome Liddell, lo stesso di Armelia, ed era poco più che trentenne.
Adam non c’era più, fuggito da quella prigione insieme alla ragazza umana (Sofia, era quello il suo nome?), e quindi inutilizzabile. Peccato, con lui si sarebbe divertita di sicuro; era da molto che non stavano insieme, le mancava punzecchiarlo… anche se, effettivamente, aveva trovato un altro vampiro da stuzzicare.
La Dannata vagò un po’ nei corridoi che davano sulle stanze dei vampiri, ragionando fra sé e sé. Sapeva rimanere seria quando c’era un motivo importante per farlo, anche se preferiva basarsi sull’istinto – e non sulla ragione – in qualsiasi situazione.
Ascoltò con poca attenzione i discorsi dei suoi simili, che parlavano al di là delle porte chiuse.
Poco dopo, si fermò di fronte alla stanza di Maximilian, Hassan e altri due vampiri, poi sorrise soddisfatta. Hassan, l’amico di Max, avrebbe fatto al caso suo.
C’era la soddisfazione di non lasciare appagato il Dannato come causa principale, ma la bimba glissò quel pensiero.
Bussò alla porta, attendendo una risposta.

Maximilian la guardò cupamente, eppure non professò parola. Rimaneva immobile nel suo mutismo, irritato di non essere stato scelto.
Sapeva che era tutta una provocazione di Violet, era palese. Lei, d’altro canto, lo guardava con appagamento negli occhi – e crudeltà profonda mista a una dolcezza nel torturare ciò che le piaceva – tanto da renderlo nervoso.
«Hassan?», chiese lui. La sua voce ricordava l’oscurità di una gola profonda, una grotta nascosta alla luce del sole, gelida.
«Sì», rispose lei, squillante. Si mosse veloce verso di lui, senza grazia, e gli si sedette accanto.
Erano sul bordo della cava, sulla dura e fredda roccia bruna; il vento spirava leggero, troppo morbido per coprire le loro parole appena sussurrate. La luna, placida sopra i due, era una falce sottile e candida che illuminava fiocamente la terra... mancavano ancora molte ore all’alba.
«Non... non è troppo debole? Io andrei meglio, di sicuro», borbottò Maximilian, senza guardarla.
Violet, compiaciuta, gli mise una mano sulla spalla.
«Non c’è bisogno di marcare il territorio come un cane rabbioso», scherzò la bimba.
Maximilian avrebbe voluto fare qualcosa per lei – perché non era più l’unico al mondo, non era più il bambino inviso dal paese – e allo stesso tempo avrebbe voluto cancellarle il sorriso dal volto. Avrebbe voluto avere la forza di piegarla sotto sé, ma non aveva più il coraggio che pochi anni prima lo aveva spinto alla vendetta (all’omicidio). Adesso si sentiva un’inutile pedina nel grande piano dei vampiri e lei, Violet, era troppo in alto per essere raggiunta, se non con un salto pericoloso e al di fuori delle regole gerarchiche della loro società.
L’aveva già fatto, era vero, ma non era possibile sapere come lei si sarebbe comportata subito dopo: Violet era imprevedibile.
Non si era aspettato di essere messo da parte così presto.
«Non lo sto facendo. Non ho proprietà da marcare», ribatté Max, voltandosi verso di lei. La bimba aveva un’espressione quasi innocente, in quell’istante in cui aveva assorbito le sue parole, stupita di non aver colto nel segno e Maximilian se ne rallegrò. La vide vagare con lo sguardo, solo per qualche secondo, per poi tornare a guardarlo con baldanza.
«E quindi non sei maledettamente geloso di Hassan? Mi deludi, signor portafortuna», disse Violet ironicamente, sistemandosi i capelli smossi dal vento. Non c’era freddo quella notte, non per loro.
«Forse».
Violet sbuffò, non contenta di non aver ottenuto una dichiarazione piangente su quanto era necessario che lui partisse per la missione, e lo sbirciò con la coda dell’occhio. Fremeva d’invidia, Maximilian, era facile da intuire, eppure non lo avrebbe mai ammesso.
Voleva seguirla nella missione. E non poteva dirlo ad alta voce, non poteva chinarsi di fronte al nemico-amico, a lei; Violet ne rise.
Maximilian la fissò in silenzio, aspettando una sua mossa.
Ma sì, alla fine Violet era soddisfatta di quelle parole non dette – che mai nessuno avrebbe ascoltato, nemmeno il vento – e, con uno scatto repentino, lo sollevò da terra e lo trascinò nel volo del salto.
Maximilian non disse nulla neanche allora, s’aggrappò al vestito di Violet e la osservò ridere, mentre precipitavano verso il fondo. Non notò il soffice sorriso che le nacque sul volto, poco dopo, quando risalirono veloci verso la vetta, pronti a rituffarsi; non vide che la sua schiena e bramò di abbracciarla, famelico. Ma resistette nella sua cupa ira, diviso dal desiderio di starle accanto e disintegrarla con le proprie mani.
Passarono la notte in quel modo, rincorrendosi nell’ombra fitta, fra rancore e nostalgia... nel silenzio assoluto, vuoto dei loro respiri e dei loro affanni.
Attesero la luce del sole, senza amarsi, senza odiarsi, ormai svuotati da ogni cosa. Si tennero la mano finché non arrivò la stella a folgorarli con i suoi raggi caldi, poi si salutarono con un rapido e tacito sguardo, non aggiungendo alcun gesto superfluo.
Si allontanarono, mentre nei loro cuori germogliava il seme della voglia. Niente avrebbe fermato quella spinta ad avanzare: Maximilian e Violet si ripromisero di incontrarsi sul campo di battaglia, pronti a fare scintille.
Così sarebbe stato.


Le truppe del S.S.E.V., quella mattina di fine ottobre, non si aspettavano niente di tutto quello che stava per accadere, anzi, presagivano una giornata come le altre. Immaginavano la quiete delle proprie tende piantate nel terreno morbido, assaporavano con noia blanda le ore di allenamento, i momenti di calma piatta e la sbobba che gli sarebbe toccata a pranzo... non avevano nemmeno il sentore di cosa sarebbe avvenuto quella notte.
Il campo era avvolto da un aria di autocompiacimento e sottile leggerezza. Era l’alba e i soldati, coricati sulle loro brandine, s’imponevano di svegliarsi, ma non c’era fretta, né gioia o dolore. Regnava il soffice fischio del vento, che ululava morbidamente fra l’accampamento, scuotendo con dolcezza i panni appesi al di fuori delle tende.
Daniel si alzò poco dopo il sorgere del sole, quando il cielo non è ancora invaso dai suoi raggi prepotenti, ma è già rischiarato dalla luce. Uscì dalla propria tenda con lentezza e si stiracchiò la schiena, poi si osservò intorno: erano stanziati vicino al Grande Lago, a poche miglia da Alesia, ma dalla sponda opposta rispetto alla capitale.
Lì, in piena pianura e con quella fonte d’acqua, l’erba cresceva forte e rigogliosa; alberi costeggiavano l’accampamento, piante dal fusto robusto e la chioma folta. Daniel rammentava la propria patria: una lastra di ghiaccio con qualche pino nelle zone più calde, una terra in cui era difficile vivere o anche solo sopravvivere.
Si era arruolato perché fare il militare gli dava un salario sicuro, era lo stato a pagarlo e non doveva dipendere dalle intemperie del tempo; eppure era proprio quel lavoro ad averlo allontanato dalla sua casa.
Daniel era un tipo bonario e riflessivo, da un amore profondo per le sue radici. Ricordava la sua infanzia passata a correre nella neve, a scivolare con lo slittino nei giorni di vacanza; ricordava quando l’aveva incontrata, la sua donna dal cappotto rosso e il sorriso dolce.
Certo, Daniel non si limitava a questo: amava la tensione prima della battaglia, la concentrazione mista all’adrenalina che aveva quando combatteva, gli piaceva difendere il proprio popolo dai vampiri... ed era anche per sete di gloria che era partito verso Aiedail, l’Impero.
L’orgoglio lo aveva spinto ad andare, l’amore lo aveva trattenuto nel partire, ma infine aveva fatto una scelta.
Ora se ne pentiva, durante la notte, quando i sogni di lei lo tormentavano e le radure innevate dei Paesi del Nord lo attiravano a sé; però all’epoca, giovinetto, aveva ceduto alla brama di successo.
«Muriel», sussurrò, vagando nel campo ormai pieno di voci. I soldati si preparavano ad iniziare la giornata.
Daniel era maturato col tempo e a colpi di battaglie: la baldanza si era affievolita con le morti dei compagni, la voglia di diventare un eroe era passata in secondo piano, il suo amore lontano, alimentato solo da parole e lettere, era divenuto più profondo. Per questo desiderava, adesso, di tornare a casa e di riabbracciare Muriel.
Non c’erano soddisfazioni in ciò che facevano: i vampiri si erano organizzati bene, lui e la sua squadra avevano fallito alla Villa e... non c’era peggiore sconfitta che vedere gli altri soccombere attorno a te. Daniel aveva il timore che sarebbe accaduto proprio quello. I positivi erano considerati dispersi, sicuramente tenuti prigionieri dai vampiri... non c’era molta speranza di riuscita.
Se gli rimaneva poco tempo da vivere, preferiva tornare ad amare la sua donna, a rivedere per un’ultima volta la sua casa, le assi di legno del soffitto, il caminetto acceso; la neve fuori, distinguibile dalla finestra appannata, e il sole che faceva brillare i fiocchi ghiacciati sul suolo.
Daniel era realista su quella situazione: era una pazzia andare a morire per qualcosa di già perso, un mondo ormai in rovina. Ma non poteva cedere al suo orgoglio di militare – non poteva divenire un disertore.
Proprio per tutto ciò, mentre guardava il lago lì vicino, piatto e quieto come uno specchio di spesso vetro, decise di rimanere vivo per poter tornare a casa. Qualunque cosa sarebbe successa, Daniel avrebbe raggiunto la sua Muriel.
Si mosse verso la zona mensa, affamato e desideroso di ricevere la razione, e si mise in fila, aspettando con tranquillità il suo turno.
No, davvero, non c’era nessuno che poteva presagire ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.

Un urlo di terrore squarciò l’aria.
Il grido si propagò lì intorno, testimone della loro colpa. Si affievolì poco dopo, forse per il bisogno di respirare o forse soffocato da una mano candida e gelida.
La cittadina, situata vicino ad Alesia, era piena di quelle grida smorte e di oscurità. La luce alchemica era stata spenta, il cielo era coperto da nubi plumbee e ora si soffocava nel buio.
C’era l’incertezza della notte a far aumentare i battiti, la certezza di qualcosa nella fitta coltre oscura, un qualcuno che si muoveva con velocità sovraumana; c’era l’odore del sangue a far impazzire il cuore.
La gente correva per le strade, cercando un riparo, un portone aperto o un giaciglio nascosto; ma le porte erano sbarrate, i loro stessi compaesani gli negavano l’asilo, per poter vivere almeno loro fino all’indomani.
Le strade erano percorse da lampi di paura – le persone rimaste fuori si acquattavano al muro, cercando di non respirare e non pensare, perché se no sarebbe stato peggio, molto peggio, e allora non gli rimaneva che sperare in qualcosa, in una luce, in un salvatore... mentre altri, più coraggiosi e temerari, tentavano di trovare un’arma, anche solo una sbarra di metallo o un pezzo di legno abbastanza resistente.
La piazza principale era vuota. Il vento continuava a soffiare – era dalla mattina che non smetteva – sempre più forte e incessante; era l’unico rumore che i vivi sentivano, oltre i loro respiri affannati. Non vedevano, il buio li rendeva vulnerabili, ma l’adrenalina era a mille e non avevano voglia di morire.
I loro cacciatori, d’altronde, riuscivano a scorgere nella notte, vedevano le loro povere prede, smaniose nella fuga o nella ricerca di un nascondiglio; non era un problema giocare con quelle persone, anzi diventava tutto più divertente.
Una bimba corse in mezzo alla piazza. Era scappata dalla propria casa, dove sua madre era stata massacrata dai vampiri – però lei non aveva guardato, no, si era messa le manine sugli occhi ed era scappata via piangendo –, e ora vagava da sola. Vagabondava senza una meta, con l’obbiettivo di scappare il più lontano possibile, anche se dentro di sé avrebbe voluto abbracciare la mamma, e avanzò ancora un po’ in direzione di una stradina laterale.
«Ehi, bimba, cosa ci fai tutta qui sola soletta?», le chiese una voce. La piccola alzò la testa e sorrise.
«Mi sono persa, signore», spiegò.
L’uomo si chinò verso di lei e fu in quel momento che la luna, non più coperta dalle nuvole, lo illuminò in volto. Aveva gli occhi scarlatti e i capelli mossi che ricordavano il sangue denso; la sua bocca era irta di denti affilati e sogghignava.
La bimba sbarrò gli occhi e chiese pietà, ma Cain non ne ebbe nemmeno un po’.
Da un’altra parte della città, un uomo sessantenne fece la sua stessa fine. E così molti altri.
La notte si coprì di sangue, la luna fu oscurata da quel livido vischioso e denso e le grida si spensero dopo un poco.
Rimasero le persone rintanate nelle case, eppure anche per loro sarebbe arrivata l’ora della morte. Gli mancava poco, istanti, secondi rubati ad altri che intanto spiravano; minuti forse, ma essa sarebbe giunta lo stesso, inesorabile.
*










Salve!
Volevo scusarmi per il ritardo, ma ho avuto un blocco serio dell'ispirazione e della voglia, perciò è stato difficile continuare. Per fortuna eccomi di nuovo qua ♥ a postare e a incasinare PB xD.
Avevo detto che avrei scritto di nuovo sui soldati, e quindi ecco Daniel. Purtroppo ora sono divisi e dovrò trattarli uno ad uno (beh, così posso approfondirli meglio! Su Daniel non avevo mai parlato così tanto, è stato piacevole e gratificante)... mentre il primo pezzo è la conclusione dello scorso capitolo e un collegamento con il rapimento di Eve, che sta per attuarsi. Invece la scena finale è il "massacro" progettato da Cain alla riunione dei vampiri :)
Ringrazio chi ha recensito: la mia dolcissima Clouddy, l'esagitata Gà xD, l'acuta Liv-Liv e la cara Silvia. Vi ringrazio dal profondo del cuore *-*
Spero di tornare al più presto, di non aver fatto altri errori o refusi di battitura o robe del genere, anzi, spero che sia un capitolo perfetto almeno nella forma e... arrivederci, .

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Capitolo 55
*** Il rapimento (visto dagli altri) ***


Innanzitutto, mi scuso per il ritardo mostruoso °o° e poi vi auguro buona lettura. Angst rocks.




94 – Il rapimento (visto dagli altri)


Il soldato si muoveva con circospezione nel buio assoluto della cittadina. Aveva gli occhi sbarrati, pronti a cogliere qualsiasi movimento.
Era una vedetta. Il suo nome non è importante – era uno dei tanti senza volto e senza futuro nel gran novero della Storia; un uomo qualunque, destinato a correre.
Sentiva il terrore trapelare dai muri, come un liquido che aveva impregnato troppo i mattoni di terracotta e che ora gocciolava dalle fenditure della muratura; era nell’aria intorno. Proprio come loro – i mostri – che c’erano, ma non si vedevano; si percepivano sul corpo, a causa dei peli ritti e la pelle d’oca, ma non erano davvero tangibili.
Era una questione di conoscenza e di preveggenza. Il destino degli umani era già segnato profondamente nella terra, era un fosso arido e cosparso di sale in cui nulla sarebbe cresciuto, nemmeno l’erba malefica.
Il soldato si mosse, acquattandosi sulle case silenziose. Avanzava con la spada alzata, pronto a colpire chiunque, pur di salvarsi la pelle. Si nascose dietro l’angolo e sbirciò la via accanto: la luna, scoperta dalle nuvole, illuminava lo scenario.
La vedetta tremò nel vedere un anziano ricoperto del suo stesso sangue – la lacerazione e lo squarcio sul suo petto mettevano ribrezzo, e il militare preferì scostare lo sguardo.
Pensò che gli altri suoi commilitoni, che facevano parte del drappello mandato in avanscoperta dal Generale, erano o al sicuro o impossibili da salvare, e si decise a fuggire via. Corse il più veloce possibile, trattenendosi dal far rumore e cercando una salvezza nell’accampamento a poche miglia da lì.
Avrebbe mandato i rinforzi.

Qualcuno provò a fuggire, ma fu agguantato da una mano d’acciaio che lo stese e gli ruppe le ossa.
Qualcun altro implorò pietà, ma non venne ascoltato – parevano essere mostri sordi e senza cuore.
Nelle case, la gente si rinchiuse il meglio possibile; vi fu chi, impaurito, si infilò dentro l’armadio, nascosto dai morbidi tessuti dei vestiti. Ma tutti furono trovati, fiutati, rintracciati, scovati, ghermiti.
Le zanne bianche e affilate – come potevano chiamarsi denti, se i vampiri erano animali inumani?, quelle erano zanne – assaggiarono le loro carni, sia quelle dolci e flaccide, che quelle incallite e amare.
Gli umani caddero l’uno dopo l’altro; i loro corpi toccarono il suolo, finirono nella polvere, nel sangue rappreso, nella disgrazia notturna.
Non fu risparmiato nessuno e, quando i soldati arrivarono, era ormai troppo tardi.

Daniel perlustrò le strade della cittadina, insieme agli altri soldati, cercando qualcuno ancora in vita. Non era molto speranzoso di poter trovare dei superstiti.
Distolse gli occhi molte volte, quella notte.
Non era un tipo sentimentalista, era pragmatico e risoluto, ma non riuscì a trattenere qualche lacrima. Il suo umore cadde sulle guance sporche di polvere, caldo, vivo, e Daniel si sentì pronto a vomitare se stesso su quel sangue secco lì a terra.
Camminando ancora, arrivò alla piazza centrale, dove tutti gli altri soldati si stavano riunendo per parlare della situazione e decidere il da farsi. Mentre avanzava, notò una piccola scarpa nera e seguì con lo sguardo una scia che avvolgeva il relitto e continuava per un breve tratto. Vide una bimba esangue e rabbrividì.
Il corpicino era supino e, per fortuna, Daniel da quella posizione non poteva vedere gli occhi pieni di dolore della vittima. I suoi vestiti erano strappati e la sua pelle era violacea – il freddo l’aveva presa e insieme ad esso il mostro.
Daniel non riuscì a guardare oltre, si portò le mani agli occhi e pianse nuovamente, svuotandosi di tutte quelle immagini appena viste. Scene di sofferenza e di barbarie gli percorsero la mente, indelebili nella loro crudeltà; si sentiva macchiato di una colpa non sua.
Non era un eroe, anche se precedentemente aveva voluto diventarlo, e avrebbe preferito essere a casa con Muriel, ma quello spettacolo gli diede forza e coraggio. L’indignazione mista all’ira e al proprio orgoglio d’umano lo spinsero nella notte, mentre continuava ad andare come un esule alla ricerca di sopravvissuti.
Così tra le macerie vagavano i soldati, anime spaesate e grigie nelle foschia di sangue e pianto che le avvolgeva.

La mattina dopo non era rimasto nulla, nemmeno la speranza.
Gli occhi dei soldati erano vacui e spenti e non cercavano più barlumi di vita, in quelle mura macchiate di sangue, ma soltanto un riparo in cui nascondere se stessi, in cui buttare tutti i ricordi d’orrore che avevano in seno.
Daniel sedeva su quello che era stato un muretto, aspettando la luce abbagliante del sole. Le nuvole coprivano bigie il cielo rischiarato e nulla sembrava muoversi: non c’era più il vento della sera prima e l’aria ristagnava, puzzolenta, sotto la cappa plumbea.
Non c’era più vita, in quel villaggio, né in loro. Cosa poteva scuoterli da quell’apatia profonda, da quell’ignavia immobile? Quando il sangue e la morte ricoprivano i loro occhi con untuosità maledetta, cosa c’era da fare?
Il corpo non si muoveva, anche se il loro desiderio più grande era quello di allontanarsi da tali disgrazie; il cuore fiacco batteva per inerzia e il respiro regolare inglobava e rilasciava aria soltanto per necessità, ma nessuno riusciva a sollevarsi da lì.
Quel villaggio, quella notte... erano più di una strage, erano una sconfitta crudele, una sacrilega condanna per loro – per gli umani, pensò Daniel.
Lui aveva già perso contro i vampiri alla Villa e adesso si ritrovava addosso il peso di quei morti – rischiava di soccombere sotto di loro; così non avrebbe mai più potuto raggiungere la sua Muriel, la sua casa e una parvenza di pace. Non... come poteva correre via? Come facevano gli altri a non combattere?
Quanta povera gente rischiava di morire, allora; e quei pochi soldati del S.S.E.V., insieme all’esercito, erano gli unici lottatori. Che cecità c’era stata in tutti loro e quanti, nel popolo, avevano gli occhi tappati dalla fame e dalla miseria, o dal bigottismo e dalla convinzione della propria superiorità. E anche loro, soldati, erano stati ciechi: avevano avuto la superbia di controllare tutti i focolai di lotte tra vampiri e umani, senza vedere il grande incendio che si gettava come un’ombra ardente su di loro.
«Daniel», lo chiamò un suo commilitone. Alzò gli occhi, il nordico, aspettando che l’altro parlasse.
Eccola, la vita! In quegli occhi impauriti. Era un giovane soldato, quasi fragile in quel corpo tremante – eppure, la notte prima aveva retto tutto quanto, anche la puzza del sangue che non andava via e che ancora ristagnava.
«Cosa? Cos’altro?», chiese Daniel.
L’altro si coprì la bocca con una mano, a soffocare un singhiozzo sincero; poi gesticolò qualcosa e si sedette accanto a Daniel. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e il viso sulle mani, sospirando.
Daniel attese in silenzio.
«È stata rapita! La nostra signora, Eve, è stata rapita», sussurrò con un singulto, nascondendo gli occhi sotto il palmo. Corrugò le sopracciglia e osservò Daniel.
Lui non disse nulla, non c’era bisogno di chiedere chi fosse stato. Deglutì raucamente, immaginando quanto potesse essere forte quel colpo per tutto il popolo di Aiedail, da sempre affezionato suddito di Eve. Il suo nome era leggenda: ogni disgrazia arrecatale diveniva tragedia per chi le era intorno.
Pensò, infine, a cosa poteva essere accaduto a palazzo. Era lì che i suoi commilitoni, Elisabeth e Francis, avevano preso servizio.
Con un brutto presentimento – più forte di prima, più dolente che in passato – Daniel diede una pacca al soldato, cercando di consolarlo e di rincuorare se stesso.


Elisabeth fu svegliata da suo fratello, come non accadeva da tempo.
Gli occhi verdi di lui, suoi gemelli, la guardarono con terrore. Non era normale, forse stava semplicemente sognando... ma quando lui la scosse con le braccia forti, si accorse che doveva davvero svegliarsi e capire cosa stava accadendo.
«Che c’è? Non vedi che sto dormendo? Il mio turno è tra tre ore, lasciami in pace», esclamò, stropicciandosi gli occhi con le mani. Lui, affannato, non riuscì a rispondere.
«Francis?», disse lei e gli prese il viso tra le mani. Guardò bene il volto di suo fratello, che ormai conosceva a memoria, ancora meglio della propria faccia. Sapeva cogliere qualsiasi suo mutamento d’umore, ogni suo gesto, ogni suo riso; avevano vissuto tutta la vita insieme, d’altronde.
Facevano parte della stessa entità.
«Francis, dimmi tutto», borbottò, alzandosi dal letto e iniziando a vestirsi in previsione di qualche calamità.
Francis fece una smorfia e si alzò dal letto sfatto della sorella, si mise una mano sul cuore e parlò. «Sorellina, siamo stati attaccati. Non c’è tempo da perdere, prendi le tue armi, dobbiamo combattere. La signorina Eve è stata rapita e l’Ala Sud è sotto l’assedio dei vampiri.
Non so se l’Imperatore è in salvo, ma suo figlio Richard è voluto intervenire; dobbiamo proteggerlo, dobbiamo sbrigarci».
Elisabeth fece un sorriso duro e strinse gli occhi verdi smeraldo in modo feroce, pronta a lottare.
«Che stiamo aspettando, allora? Andiamo!», esclamò, fiondandosi fuori dalla camera. Francis la seguì.
Non le disse nulla del suo spavento che l’aveva reso muto, pochi istanti prima, e che l’aveva fatto esitare nello svegliarla.
L’aveva vista dormire, pacifica, e aveva avuto la tentazione di lasciarla lì nel letto, salva e felice. Come un vile, avrebbe voluto chiudere la sua porta a chiave, pur di non metterla in pericolo.
Erano soldati, era stato stupido pensare ciò; eppure, per un istante, aveva provato un brivido di terrore, come se qualcosa incombesse su di loro – una falce pronta a spazzarli via, dividendoli per sempre.
*












Sicuramente, questo non è un capitolo molto lungo né molto soddisfacente, ma spero presto di raccontare un po' d'azione +ç+ beh, la fine del capitolo dovrebbe alzare un po' la suspence e le aspettative, vero? :) così nel prossimo potrò sbizzarrirmi! (tremate, nemici dell'erede xD)
Ad ogni modo, voglio ringraziare tutti quanti. I 41 preferiti, i 1 ricordati, i 52 seguiti... e chi ha recensito:
Silvia (non so, ma prima o poi Sofi tornerà, non ti preoccupare +_+ grazie) e Marta (la tua recensione è qualcosa di sublime *__* non sai quanto mi rendi felice, ogni volta! Grazie per capire tutte queste cose e per tutto il tuo amore, non vedo l'ora di abbracciarti).
Ordunque, spero davvero di tornare presto. La scuola sta finendo e l'estate mi dà tempo e ispirazione, perciò credo proprio che almeno in questo periodo PB potrà andare avanti per un bel po'. Ci stiamo avvicinando all'ipotetico confine che delimita la parte finale, non vedo l'ora.
Grazie a tutti quanti.

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Capitolo 56
*** I will fight for all that is real ***


95 – I will fight for all that is real

Francis ed Elisabeth corsero di fretta verso il palazzo dell’Imperatore, tenendo la mano destra sull’impugnatura della spada.
Le loro divise rosse brillavano nell’oscurità della notte, insieme a molte altre di soldati pronti ad accorrere in aiuto del loro signore.
Le guardie imperiali sembravano tante mosche dal carapace rilucente, attratte dall’odore di sangue che si spandeva nell’aria – non fiutato, non percepibile allora. Dall’alto tetto del palazzo sarebbero parsi come un’onda rossa, con la schiuma umida che lasciava segni sulla gelida sabbia. A spingere a largo il mare vi fu una schiera scura e compatta: vampiri.
L’Ala Sud era in parte crollata, rilasciando una scia di polvere e detriti bianchi; un vociare frammisto di servitori spaventati riempiva i saloni ormai aperti, violati dalla forza di quei mostri. Contrapposto a loro, il silenzio dei vampiri.
Le loro figure leggiadre si muovevano senza peso nel cortile signorile, brandendo come armi le proprie mani tese e spalancando le bocche dai denti aguzzi e affilati.
Francis agguantò la spada con vigore, corrugando il volto in una smorfia d’odio – non c’erano più parole da urlare, allora, né un dialogo da portare avanti; c’era la guerra!, la guerra funesta che si abbatte come una mannaia sui colli della gente.
Elisabeth entrò nel palazzo, correndo per i corridoi illuminati da fioche luci. C’erano altri soldati, lì, che combattevano contro alcuni vampiri, ma nessuno riusciva a trovare l’Imperatore, e la ragazza si sforzò di andare il più veloce possibile per rintracciarlo.
Le stanze si confondevano nella sua mente e alla sua vista tutto appariva uguale e desolato: un divano sfondato, un arazzo distrutto, una tenda in fiamme, un tavolo diviso in due... non c’erano tracce del loro signore.
Intanto, Francis era rimasto fuori, nel cortile, brandendo la spada e rincorrendo i vampiri che stavano assediando il palazzo.
Si gettò senza pietà su un giovane dagli occhi scarlatti e la pelle scura, ma quello si parò tendendo una mano per bloccare la lama affilata.
I due combattenti non si dissero nulla, si squadrarono con disprezzo, cercando un modo per sovrastare l’uno la forza dell’altro. Francis piantò bene a terra i piedi e spinse la spada, sforzandosi di piegarlo.
Con un gesto repentino, alzò la lama, spostandola sulla destra, e afferrò con la mano sinistra il polso dell’altro; lo strinse con durezza, bloccando ogni suo movimento, e affondò orizzontalmente la spada nel suo collo.
Premette con più forza, fino a spezzare le sue ossa e a ucciderlo.
Francis non guardò più gli occhi del vampiro, offuscati dalla morte imminente; ma si voltò per attaccare un altro nemico, sfuggendo a un gruppetto di vampiri che aveva l’intenzione di accerchiarlo.

Elisabeth respirò affannosamente, poggiandosi su un muro ancora stabile. Poco prima, l’Imperatore era stato ritrovato in stato confusionale; ora rimaneva soltanto lo scontro finale contro i vampiri che ancora li attaccavano.
Guardò con occhi distanti altre guardie imperiali fare a pezzi i vampiri – sembravano martiri, quei mostri, anche se era strano da pensare: vittime sacrificali il cui compito era creare scompiglio; pochi di loro riuscivano a scappare dai soldati umani.
In questo modo gli uomini avevano l’illusione di una vittoria. Ma c’era sempre il fantasma di Eve su di loro: Eve era scomparsa e tutto il popolo sarebbe insorto in grida e lamenti, in parole vane e lacrime senza età.
Elisabeth serrò i denti e uscì allo scoperto, alzando la lama acuminata.
Il clangore delle armi che colpivano la dura scorza dei vampiri riempì le sue orecchie, però non ci fece caso; si gettò su un vampiro qualsiasi, socchiudendo gli occhi verdi.
Ogni volta che combatteva pensava alla sua casa, circondata da campi di grano e da luce splendente; alle corse che aveva fatto con suo fratello, alle risa di quegli anni passati. Era quella mancanza e bellezza a spingerla nella lotta, quella voglia di una libertà che non era mai più tornata – solo da bimba aveva conosciuto tutto quello e adesso desiderava riaverlo.
Elisabeth era forte anche per questo e così andava avanti in ogni sua battaglia, ma quella volta si bloccò nel vedere il suo nemico. La spada rimase a mezz’aria, a metà del fendente, e gli occhi di Elisabeth si fermarono nel vederne altri già conosciuti in passato.
Occhi che ora erano rossi come il sangue.
«Sofia?», mormorò.
Le grida in lontananza non smisero di aumentare e i vampiri continuarono a combattere, ma le due si bloccarono come automi, interrotte nel loro lavoro meccanico.
L’una impugnava la spada, l’altra mostrava i pugni chiusi e i denti affilati.
«Sofia?», la chiamò nuovamente. La vampira stavolta non si fermò, tese una mano verso di lei e cercò di colpirla. Elisabeth si difese istintivamente.
«Conosci il mio nome, umana?», sibilò la vampira, facendo un giro su se stessa e tirandole un calcio sulla destra – Elisabeth le sfuggì per un soffio, sfruttando la sua velocità da positiva.
Sofia... Sofi non era più se stessa, non agli occhi di Elisabeth. Dov’era finita la ragazza che pochi mesi prima aveva conosciuto e apprezzato? Dov’era la sua simpatia? E il suo sguardo castano? Il suo sorriso?
Al suo posto c’era una bambola potenziata, un’arma adamantina che riusciva a spezzare le pietre e le ossa umane; un essere che la guardava senza riconoscerla.
«Sì, lo conosco, ma non conosco te», ribatté Beth, proteggendo il suo fianco con la spada.
Adesso aveva paura di fallire di fronte a quello che restava di Sofia. Di morire per l’amicizia che la legava a lei.
Non c’era nulla sotto quella pelle dura?, si ritrovò a pensare.
«Che strano», borbottò Sofia e le agguantò una spalla; poi si sporse con la bocca e cercò di morderla, ma Elisabeth la bloccò all’ultimo istante, con la mano libera dal peso della spada.
La spinse il più lontano possibile, cercando di respirare in modo normale. Incanalare l’aria, pur di sopravvivere – combatterla, pur di esserci anche domani.
Le venne da piangere e non ricacciò le lacrime di rabbia, che le solcarono il viso pieno d’efelidi, anche se così la sua vista fu offuscata. Provò un odio profondo nel vedere Sofia in quel modo e, delusa (non da lei, forse da se stessa), la colpì con la spada e la vide cadere a terra.
La vampira s’inginocchiò e afferrò la lama con uno slancio inumano; si aggrappò all’arma, spezzandone una parte, e ridacchiò leggermente.
«Cos’hai da ridere?», sbottò Elisabeth.
«Non capisco cosa sono quelle cose buffe sulle tue ciglia, lacrime? Per chi?», disse l’altra, lapidaria.
«Per Sofia», esclamò la soldatessa.
La vampira ringhiò e si sporse per morderle il volto. Era a un soffio dal suo naso, quando si bloccò nuovamente. La fissò come se l’avesse riconosciuta, come se riuscisse finalmente a vedere chi era – o chi era stata per lei, forse.
Le diede un pugno in pancia, spingendo Elisabeth su un muro, ma non la ferì in modo grave; poi si buttò a terra e rimase lì, immobile. Cinse le proprie gambe con le braccia pallide e rimirò quella che era stata una sua amica e che ora le appariva come un fantasma incerto.
Elisabeth tossì per il dolore e sussurrò: «Dovresti scappare, prima che arrivi qualcuno. Le voci sono sempre più vicine».
«Insensate», sibilò Sofia, squadrandola dal pavimento.
«Scappa», si ritrovò a dire Elisabeth.
Non era Sofia quella che aveva davanti, davvero, ma non riusciva a immaginare il suo corpo sventrato e squarciato e poi arso su un fuoco alchemico; non voleva immaginarla con gli occhi vitrei e spenti – nella sua mente, rinvenne una figura: una ragazza dal sorriso insicuro affiorava nella sua memoria umana. La giovane aveva un vestito blu da festa e aveva appena compiuto i suoi diciassette anni; quello, in fondo, non era un ricordo così lontano.
Non voleva che morisse, anche se adesso era un mostro e di lei rimanevano pochi brandelli.
La vampira la fissò con insistenza, ma non si mosse.
«Che diamine stai aspettando? Che ti uccida?», borbottò Elisabeth, alzandosi con fatica. Barcollò verso di lei, impugnando la spada rotta.
«Sono io la cacciatrice, umana», ribatté l’altra, ghignando, e si alzò anch’ella. Le si mise davanti, per poter vedere meglio il volto stanco di Elisabeth.
Il sudore e la fatica, mista alle lacrime appena versate, rendevano lucido quel viso chiaro; i suoi occhi erano, come sempre, fieri e intelligenti.
«Scappa», ripeté Elisabeth. «Non avrai una seconda possibilità. Hai visto che tutti gli altri vampiri stanno soccombendo, vero? Va’ via».
Sofia parve scossa da quelle parole, si guardò intorno come se cercasse di sentire una presenza, qualcuno. Sembrava accertarsi che tutto stesse andando per il meglio.
Si voltò di nuovo verso lei e sorrise fievolmente. «La pietà di un’umana... che idiozia».
Elisabeth brandì la spada e la puntò sulla sua gola fredda. «La pietà di un’amica».
Gli occhi scarlatti non fecero una piega, la guardarono con gelida mancanza d’emozione, e la vampira sembrò sul punto di attaccarla di nuovo.
«Ti uccideranno».
«Vi uccideremo».
«Dov’è colui che stai cercando? Raggiungilo e scappa, smettila di farmelo ripetere. Potrei ucciderti se ti rivedessi ancora».
«Non lo farai», sussurrò la vampira e tese una mano fredda verso l’umana. Elisabeth si ritrasse, ma le dita la sfiorarono lo stesso sul capo rosso, con un tocco gentile e soffice che non si aspettava.
«Mi dispiace di averti fatto piangere, Elisabeth. Ricordo ancora il sapore salato delle lacrime», mormorò Sofia e scomparve in una folata di vento inattesa nelle sale del palazzo.
Elisabeth la inseguì per qualche istante, fino a vedere Sofia stringere la mano di Adam e scappare via, poi si accasciò su una sedia incolume dalla strage.
La ragazza era distrutta da quello che aveva appena visto, eppure non riusciva a realizzare realmente quello che era accaduto, non ancora.
Purtroppo, quell’incontro non era l’ultima delle sue disgrazie.

*












Questo capitolo è giunto di getto *-* e sinceramente non ero certa di far apparire Sofia in queste cirstanze di assedio (che si è visto ben poco, ma che descriverò un po' meglio all'inizio del prossimo cap), però ho pensato che sarebbe stato bello far incontrare la nuova vampira con un'amica del passato. Ora sono in due schieramenti opposti, eh, ma l'amicizia e l'affetto non c'entrano nulla, alla fine, con le proprie idee. O almeno, spesso è così, spesso l'uomo è irrazionale.
Comunque ho scritto questo cap in poche ore, tutto oggi; che stanchezza mi ritrovo addosso xD, però la voglia di aggiornare è stata più grande: che figata un aggiornamento lampo! Neanche il tempo di dire PIO e un altro cap è qui. Non sperate che avvenga sempre così xD
E' tutta un'illusione ottica! Anche i ringraziamenti lo sono: a Marta e a Silvia con amore (vi ringrazio per l'appoggio assiduo e continuo, non so come farei senza di voi, care ♥).
Spero di tornare presto (magari non così velocemente, ma comunque entro il mese);

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Capitolo 57
*** Echoes ***


96 – Echoes

L’eco dei loro passi umani – troppo, troppo rumorosi; gli altri li avrebbero presi – riempiva i saloni lussuosi. Le guardie correvano via da quei mostri senza cuore inviati a cacciarli.
La polvere della distruzione, marmorea, si era impigliata sulle loro divise rosse, rendendole bianche. I blocchi di pietra, mandati in frantumi dai vampiri, giacevano immoti, mentre loro vi salivano sopra e cercavano di scacciare via ogni traccia d’ombra, ogni bestia infiltrata.
Francis brandiva la spada in quel silenzio assordante, fatto di rumori e voci che si univano fino a svuotarsi di significato – erano echi che invocavano persone mai esistite, speranze ormai annientate.
Lui continuava a lottare, dimentico di quando quegli stessi corpi pallidi lo avevano sconfitto alla Villa Bianca; non notava la decadenza di quel palazzo, ormai distrutto, sporco, vecchio sotto quell’assedio profano.
I vampiri, sempre non parlando, muovevano se stessi come macchine da guerra – armi bianche, si disse Francis, spezzando la propria spada contro una donna vetusta e dagli occhi rossi.
Quello che appariva negli sguardi degli “altri” non era solo animalità – e i soldati non guardavano per non vedere se stessi specchiati in essi – e non c’era soltanto crudeltà nei loro gesti; vi erano ricordi profondi in quelle bestie e l’eco delle loro anime stillava ancora sangue, mentre uccidevano brutalmente.
Anche loro erano stati uccisi, secoli prima, da un morso cruento – ed ora erano le ombre di loro stessi. Quella offesa ricevuta era rimasta nel loro disprezzo, nel loro odio; nel loro assassinio.
Gli umani, d’altra parte, si piegavano e si riunivano cercando una via d’uscita. Poco prima avevano sopraffatto i nemici, ma poi una frotta scura si era aggiunta alle loro schiere e ora la salvezza appariva offuscata e lontana.
Francis attaccò con ardore, tentando di conficcare la spada inutilizzabile nella cassa toracica di un vampiro apparentemente venticinquenne. Quello gli afferrò l’arma con una mano e la spezzò in piccole parti, con un ghigno beffardo sul volto; poi gli sferrò un pugno al viso.
Francis deviò l’assalto, chinandosi, e lo spinse al petto con le braccia, provando a buttarlo giù da un balcone lì vicino.
La notte che si intravedeva da lì portava con sé i primi segni dell’albeggiare. Francis si distrasse a guardare il cielo grigio scuro e non parò l’attacco dell’avversario.
Imprecò allora per la sua distrazione, mentre i denti affilati dell’altro cercavano, come una tenaglia, di stringergli il braccio destro in una morsa; e una sua mano ferrea gli afferrava il collo chiaro.
Francis annaspò e si mosse convulsamente, aggrappandosi al corpo del vampiro. Quello allontanò la bocca dal suo braccio e aumentò la stretta per soffocarlo, sollevandolo da terra.
La sua forza era inumana e Francis, pur essendo un positivo, non riusciva a contrastarla.
«Fermati», sussurrò Francis, alzando le proprie dita e agguantandogli la pelle della guancia; in questo modo lo distrasse e gli sferrò un pugno alla pancia. Gli avrebbe mozzato il fiato, se solo fosse stato umano.
Il vampiro – era di bell’aspetto, notò allora Francis, allontanandosi dal predatore – aveva i capelli a spazzola e gli occhi sinistri, crudeli (ben più degli altri vampiri che aveva sconfitto prima).
«Mai, soldato», sibilò l’altro, muovendosi celere e artigliando il suo braccio destro. «Questa è la tua arma, questa carne e il tuo sangue pompato nelle vene – la tua vita è un’arma dell’Impero».
«E tu sei il cane del tuo capo», gli sputò contro Francis, sfuggendogli: iniziò a correre, non per codardia, ma per riuscire a trovare una spada o qualcosa che lo aiutasse a combattere il nemico.
«Io cerco la libertà di essere quello che sono – l’anarchia. Tu cerchi solo la tua salvezza fatta di improbabili certezze e di ipocrisie sociali», gli rise in faccia l’altro, spuntandogli dinnanzi.
Francis odiò la vista dei suoi denti affilati e il suo sorriso roseo; gli urlò contro qualcosa, animalesco, e gli diede un calcio sugli stinchi.
«Tu cerchi soltanto la nostra morte, eppure sei un eco, sei un’ombra e dovresti già essere nella tomba da tempo, da secoli! Sei morto, non ti basta questo? A che serve la tua vendetta? Noi non abbiamo il diritto di vivere nel nostro paese? Non abbiamo il diritto di continuare a sperare? Che senso ha il vostro dominio sul mondo, sugli uomini? Porterà alla morte di tutti noi, di tutti quanti; alla vostra stessa morte», esclamò Francis, fronteggiandolo.
«Idiozie da bambino», ribatté il vampiro e fendette l’aria con la mano, tagliando in due lo spazio.
Francis si allontanò da lui con una smorfia, tentando di trovare un modo per batterlo, ma il mostro lo seguì con rapidità e rise senza contegno.
«Ti reputi intelligente e scaltro, eppure anche tu sei una nullità. Un eco come noialtri», lo insultò, aspirando dal naso con violenza e trasformando la bocca in una maschera d’odio; poi lo colpì con la mano, tagliando netto la carne del suo braccio.
Francis urlò di dolore, mentre l’altro affondava le sue dure dita nella ferita, fino a spezzare l’osso e a renderlo monco.

Elisabeth si mosse fra le reliquie di quella battaglia, fra i tendaggi bruciati dai roghi dei vampiri e le mattonelle spezzate dalla forza degli avversari.
Le guardie, infine, avevano vinto contro i nemici e l’ordine era stato ristabilito: erano rimasti alcuni feriti, alcuni cadaveri che aspettavano la degna sepoltura, ma per il resto tutto era a posto – o così dicevano.
Elisabeth pensava, invece, che il palazzo, con le sue macerie e le sue sale danneggiate, sembrava la dimora di fantasmi, di ombre appartenenti a un altro mondo. Potevi vederli, ma non sentirne la voce.
La mestizia che ricopriva ogni cosa si mescolava al suo turbamento: non aveva ancora trovato suo fratello, e ciò era insolito. Nelle battaglie avevano sempre combattuto fianco a fianco, lasciandosi solo per pochi minuti; questa volta, al contrario, erano rimasti lontani per tutto il tempo.
Aveva paura per lui... era suo fratello, d’altronde, e non riusciva ad immaginare persona più importante al mondo. Non in quella sua vita da soldatessa, in cui non c’era molto spazio per l’amore e in cui Elisabeth si era raramente concessa il lusso di fuggevoli relazioni, dai pochi incontri e dai sentimenti brevi.
Francis le era sempre rimasto accanto e così erano divenuti compagni di squadra; insieme formavano una coppia imbattibile, soprattutto in campo militare.
Elisabeth scavalcò una sedia che occupava il passaggio ed entrò in un salotto dorato: vi erano due divani di morbido raso, dai decori fioriti, e una tappezzeria del secolo scorso. Da un balconcino entrava un vento fresco.
Elisabeth non s’avvide di tutto quello, bensì s’accorse subito che c’era qualcosa che non andava. Una nota che stonava, in quella bellezza lussuosa e ridondante: il sangue sul pavimento chiaro, la macchia d’umanità che rendeva il luogo ancora più impersonale, distante agli occhi di Elisabeth.
Non volle immaginare di chi fosse quella linfa vitale, non volle pensare a nulla, mentre correva – annaspando e sentendo i muscoli del petto contrarsi sino a farla soffocare – e correva e correva per raggiungere il ferito. Inciampò nel tappeto, ma continuò sino a che non lo trovò.
Elisabeth si bloccò nel vederlo: i suoi occhi verde giada indugiarono poco sul ferito, poi si chiusero, serrati sotto le palpebre, a trattenere le lacrime; il suo cuore le parve fermarsi, divenire pesante, rompersi... non era una pena d’amore per una sua fiamma qualunque, era lo strazio dovuto a quel sentimento che unisce le persone sino a renderle vicine, indissolubilmente legate. Le mani tremanti si strinsero sul suo petto, coccolandosi e cercando di respirare normalmente. Doveva stare calma o non si sarebbe trattenuta dal piangere, dallo strillare; aprì finalmente gli occhi e lo guardò.
Era coricato a terra, con la testa poggiata sul divano e gli occhi socchiusi che la osservavano senza dire nulla, immoti. Il verde delle iridi era spento: forse aveva perso troppo sangue per muoversi.
«Francis», lo chiamò Elisabeth con la voce liquida, mesta. Tese una mano e gli sfiorò il viso sbarbato in malo modo, la mattina prima, e i capelli biondicci che ricadevano sulla fronte anch’essi stanchi, smorti.
«Fratello mio, chi, chi ti ha fatto questo?», continuò con tono accorato, stringendo il suo torace con un braccio, cercando di non toccargli la ferita. «Il tuo braccio, il tuo bellissimo braccio... dovrei fasciarlo, dovrei disinfettarlo e chiamare aiuto».
Elisabeth si portò vicina a ciò che rimaneva di Francis: il suo arto destro era andato, i muscoli pure; il taglio aveva superato di netto metà dell’omero, il sangue impiastricciato con la carne e il tessuto della divisa rendeva il tutto confuso.
Tagliò, con un coltello che portava sempre attaccato alla cintura, la manica e scoprì meglio la ferita. Le tremavano le mani, ma non piangeva ancora; un groppo di sofferenza in petto le impediva di dire altro, eppure continuava.
«È andata via la mia parte migliore, la mia unica difesa», sussurrò Francis, continuando a fissare il vuoto, mentre qualche lacrima gli solcava il volto. «L’unica che mi legittimava, fonte del mio lavoro».
Il suo pianto era calmo e non un lamento usciva dalla sua bocca; Elisabeth intanto si strappava la giacca per fare qualche striscia di tessuto e potergli così fasciare la ferita.
«Non devi... puoi vivere anche senza un braccio», rispose Beth, cercando in qualche modo di andare avanti.
«Una mano. Come mangerò? Come potrò lottare, quando la guerra è la mia vita? Sono un soldato... si accinge una battaglia ed io non posso parteciparvi, infermo, inutile, inutilizzabile. Le mie dita che hanno sfiorato molte cose e posti non ci sono più», continuò lui, atono. Le lacrime scendevano copiose, senza suono, senza un gemito; sembrava liberarsi in modo indolore, con poca fatica, ma Elisabeth sapeva che era soltanto un uomo forte e che quello non bastava ad ucciderlo... ma era abbastanza per spegnerlo dentro.
Sin da quando avevano diciassette anni, i due erano entrati nell’esercito, prima erano stati addestrati, poi avevano avuto un ruolo effettivo; sin da allora avevano voluto proteggere la gente, combattere per il proprio paese, per il proprio popolo. Francis, sempre bonario e scherzoso, nel profondo aveva un gran sentimento di fratellanza con il mondo: sentiva di dover fare qualcosa e sapeva che il miglior modo per farlo era combattere. Contro i vampiri, contro chi poteva togliere agli uomini la libertà.
«Ne riparleremo più avanti, Fra’», disse Elisabeth, alzandosi per cercare aiuto. «Ma potrai continuare a lottare in qualsiasi modo, l’importante è volerlo», esclamò, allontanandosi da lui.
Percorse la stanza e, uscendo, si fermò qualche istante. Lasciò che il pianto prendesse il posto di quella calma ordinatrice, che la riempisse tutta, otturandole il naso e la bocca. Scosse la testa, per continuare ad andare.
C’erano ancora tante cose da fare, una guerra da intraprendere, ma lei, probabilmente, avrebbe curato Francis, lo avrebbe coccolato finché non ne sarebbe uscito fuori. Portarlo sul campo di battaglia non sarebbe stato il massimo, quindi avrebbe preso un congedo, anche se quello era il periodo peggiore per farlo.
Maledicendo le circostanze, il vampiro che aveva reciso parte della sua vita e l’Imperatore stesso, chiese aiuto a dei soldati lì vicino.
Aspettava, Elisabeth aspettava un po’ di requie per il suo cuore. Chissà se sarebbe arrivata – Beth aveva ancora la verde speranza di vittoria sui vampiri – e se quella avrebbe preso Francis; se lo augurava con tutto il cuore. Desiderava che con essa quella disgrazia divenisse un eco abbastanza lontano da poter essere dimenticato.
*














Salve gente! *_* ma che bello, un altro capitolo positivo, felice ed appagante, non è vero?
Ormai si è capito che sono un'autrice alquanto angst, ma la speranza è l'ultima a morire. Comunque, il titolo riprende quello di una canzone dei Pink Floyd, appunto Echoes: QUI se volete ascoltarla.
Sto organizzando un po' le idee per i prossimi capitoli, ma non siamo affatto lontani alla battaglia u_ù ahhh non vedo l'ora! Anche se non so se so descrivere lotte e bullettini vari, perché non l'ho mai fatto, però provare male non fa (a volte XD, se è Moccia a provare di male ne fa a tutti quanti noi). However, voglio ringraziare chi ha recensito:
mikybiky-> Grazie, cara *-* ecco, sono tornata e adesso siamo entrambe molto più libere, è estate +w+ ahhh che bellezza. Mi fa piacere che tu legga PB perché è un piacere *-* (gioco di parole XD)
Aryadaughter-> Grazie =)
Cloud Ribbon-> Ovviamente ti tocca distruggere qualcosa XD perché ci avevi azzeccato sulla parola "disgrazia" (ma quanto sono sadica? ç_ç). Coff. Grazie, grazie *__* per Sofi, buh, ormai è andata e non so bene se tornerà mai, ma credo che Adam amasse troppo la sua umanità per farla rimanere così xD con lui ha ancora dei sentimenti e dei ricordi del passato. Mh. Anyway, - 17 giorni *w*

E infine... a presto, con un Imperatore desolato, un Cancelliere inorridito, un Eve impaurita e un Richard vendicativo! Muahahah.

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Capitolo 58
*** Le ovvie conseguenze del rapimento ***


Nota prima della lettura: scusate il ritardo °_° ho cercato un po' di tirare le fila e dal prossimo capitolo i soldati si muoveranno per iniziare la guerra. Muahahah.
Buona Lettura.





97 – Le ovvie conseguenze del rapimento

L’Imperatore scosse il capo, serrando il pugno massiccio sul bracciolo della sua poltrona. Il Segretario di Guerra lo squadrò con un sospiro afflitto, cercando invano di calmare lo spirito del sovrano.
I Burnside erano sempre stati dall’animo focoso, questo era certo, e l’Imperatore non era da meno. Dopo essersi ripreso dal duro colpo del rapimento di Eve, avvenuto due giorni prima, era più carico di prima a sterminare totalmente i vampiri.
«Com’è stato possibile un tale oltraggio! E con che disposizione, se non questa, dovrei affrontare la battaglia? Non siete voi che dovete consigliarmi, oggi – né potete cercare di chetarmi. È meglio far andare a chiamare mio figlio Richard, lui sì che ha il diritto di fiatare, almeno ora. Sarà lui a dirigere la guerra».
Il Segretario, la cui carica era stata istituita proprio per quelle situazioni, avrebbe voluto lamentarsi, ma tacque per non ricevere altro disprezzo da quell’uomo testardo e indubbiamente autoritario. Solitamente era un uomo giusto, obbiettivo, ma in quel momento l’Imperatore Achille era più che altro un padre infuriato.
Un servo si mosse, senza che nessuno lo apostrofasse, per cercare Richard. Quello era già dietro la porta, aspettando che il padre gli desse la possibilità di parlare, cosa che aveva ottenuto non senza impegno. Per anni aveva dimostrato quanto valesse sul campo, quanto fosse abile nella strategia e nella battaglia, con un’indole sicuramente ardita, eppure abbastanza lungimirante da portare alle giuste scelte.
Richard, vedendo la porta spalancata dal servo, irruppe nella stanza con un urlo mezzo soffocato: «Padre», disse, avanzando rapidamente verso egli. Il giovane, all’incirca sui ventisei anni, era alto come la madre defunta, aveva le spalle larghe e le mani grandi, gli occhi scuri pieni d’intelligenza e voglia di fare.
«Richard, avvicinati a me», ordinò il padre, seguendolo con lo sguardo. Il Segretario si spostò per lasciare il posto alla destra dell’Imperatore, non senza un certo rammarico che si espresse in una buffa smorfia.
Richard si mise accanto all’Imperatore, incapace di aspettare oltre: «Padre, quello che hanno fatto... che ci hanno fatto... e il popolo, ho sentito, dà già per morta mia sorella. Eve non avrebbe mai fatto male a nessuno, dovevano prendere proprio lei? Perché, poi? Solo perché fa parte della nostra famiglia? Non è giusto, non così, d’altronde non c’era d’attendersi lealtà dai vampiri, non mi sono mai aspettato nulla da loro. Serpi in seno all’umanità, ecco. Chiedo vendetta, mio signore», esclamò, mentre la voce aumentava di tono e le sopracciglia virili si piegavano sugli occhi neri. Vi era un odio profondo nelle sue parole, magari smorzato da quelle semplici frasi, ma indubbiamente presente; e non era qualcosa nato da poco.
«Figlio mio, sai cosa penso di quelle bestie. Ho sempre desiderato porre fine a questa mostruosità e il rapimento di Eve è l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. Sangue del mio sangue versato per quelle stupide pretese di potere! Siamo noi a detenerlo, noi Burnside, e nessun’altro. Noi umani, dalla vita breve ma importante, dalle aspirazioni forti e i desideri struggenti; siamo noi a comandare su questo mondo. Che il popolo non se lo dimentichi, accecato dalla paura! Abbiamo ancora il coltello dalla parte del manico.
Voglio che tu parta, Richard, e subito; va’ insieme all’esercito stanziato non lontano da qui, mentre il S.S.E.V. spingerà quei mostri alla Piana di Fuoco. Sterminali, affinché questa piega sia finalmente sanata dalla nostra società, dal nostro mondo.
Vendica tua sorella, figlio di Achille; vendica le sue carni e le sue lacrime, dimostra che la maledizione gettata su di lei – ogni torto arrecatole dovrebbe essere un danno a chi le è caro – è solo una menzogna. Vinceremo, vincerai per l’umanità», si fermò un istante, riprese fiato, pensando che forse quel discorso avrebbe dovuto farlo a tutte le genti di Alesia, sì, l’avrebbe fatto, poi concluse: «Vendicaci, Richard, dimostrando quanto sia duro il callo degli umani su questa terra».
Il figlio s’alzò, commosso, mentre s’animava per quello che sarebbe successo. Serrò l’aria con un pugno, poi s’inchino, sottomettendosi al padre.
Achille annuì felicemente, sentendosi un po’ rincuorato. Sapeva simulare bene, l’inquietudine non era trasparsa nemmeno una volta nelle sue parole. Eppure percepiva una fiacchezza di fondo, come se avesse un punto debole che non aveva calcolato e che non riusciva a rintracciare.
Un tallone, magari, mai preso in considerazione, poiché era la fine del corpo insieme al piede. A volte bastavano piccoli presagi per capire la realtà immensa delle cose; a volte, come quella, nonostante tutto si era troppo ciechi per comprendere a fondo se stessi.


Da un’altra parte di Aiedail, in un castello collocato su un pendio scosceso, feste di sangue suggellavano l’ilarità e la gioia dei vampiri.
Gabriel, il loro capo, era il primo a festeggiare un rapimento tanto riuscito e la distruzione di un villaggio vicino ad Alesia, fonte di terrore puro per tutti gli umani dell’Impero. Non vi era cosa migliore che l’incutere paura nella gente.
Juliet guardava il consorte con soddisfazione, stringendo al seno un bambino dagli occhi ormai spenti e molte ferite sul collo e sul polso – tagli di denti, di zanne.
Nel salone dove i vampiri si erano riuniti, un silenzio irreale accompagnava il festeggiamento. Cain, da una parte, sorrideva sgozzando gole e cercando di acquietare la sua sete secolare; in un’altra zona, Armelia beveva del Positive Blood, seduta su un divanetto nero, mentre ogni presente era concentrato solo su se stesso e sulla propria vittima.
Non vi era comunione nei vampiri, non vi era condivisione – se non d’intenti – in quel momento: ognuno aveva che fare, e di certo quella sanguinaria follia non portava a una felice riunione di famiglia. Erano lì insieme, costretti soltanto da un odio comune: l’umanità dominatrice. Ma erano soli – e volevano esserlo.
Armelia spostò lo sguardo algido dalla bottiglia a Gabriel. Lui si era voltato un attimo, cercando Juliet, e sorrise alla moglie, scoprendo i canini appuntiti. Erano quei due gli unici fuori di posto, che si congiungevano nella gioia malsana.
Armelia sputò a terra un po’ di sangue, si alzò e iniziò a pensare come organizzare l’esercito di vampiri; c’era una guerra da combattere, anche se per farsa.
La vittoria era già loro, ma non l’avevano ancora raggiunta, quindi si mosse celermente e andò a comandare gli eserciti offerti dagli altri capofamiglia.
Dovevano fingere di assecondare gli umani: soltanto così sarebbe tutto durato più a lungo e, in questo modo, sarebbe stato più divertente.
Cain rise di gusto nel vedere Armelia al lavoro: a lui importava il sangue, non altro, non le beghe di vampiri aspiranti al potere; e quei minimi sforzi gli parvero molto buffi, soprattutto mentre s’ubriacava di Positive Blood, ascoltando qualche urlo sporadico di vittime ormai spacciate.


Eve si svegliò: era il suo quarto giorno di prigionia e, indubbiamente, era notte. Era troppo stanca per muoversi molto, poiché fino al giorno prima aveva scalciato, urlato, strillato affinché la facessero uscire; e senza risultato, se non quello di ottenere una doppia razione di cibo che, ovviamente, aveva rifiutato.
Si era indebolita un po’ troppo.
Si alzò dal letto, rassettando la camicia da notte bianca, e mosse qualche passo nella sua stanza. Era una prigione davvero confortevole, su questo non aveva dubbi; nonostante ciò, tutto quello gli sembrava asfissiante.
Sia la tappezzeria scura, che i divanetti eleganti ai lati di un tavolino rosso, e le finestre inferriate, coperte da tende pesanti, di velluto. Non vi era aria per pensare.
Eve camminò febbrilmente, sbattendo le mani sulle pareti. Si sentiva una stupida, ma era stata abituata a giardini pieni di fiori, ad essere sempre circondata di gente, a ragionare in ogni istante; e si preoccupava troppo per la sua famiglia per riuscire a respirare normalmente o a fare qualcosa di sensato.
Proprio mentre la disperazione la stava per prendere, la porta venne aperta e Hassan entrò nella sua stanza.
Eve lo scrutò con occhi vacui, tentando di vedere oltre il mondo di vetro che le era stato creato attorno in quegli anni, di conoscere non solo leggende e parole, ma fatti e verità. Voleva capire quei vampiri che l’avevano rapita – e poi fuggire per le lande umide di rugiada, verso la reggia.
«Ho pensato che, abituata come sei alla servitù, vorrai qualcuno che ti aiuti nelle tue solite faccende. Finché sarai con noi avrai ciò che nessun vampiro donerebbe a un umano: una sorta di rispetto», borbottò lui, avvicinandosi a Eve. Lo sguardo scarlatto sembrava irritato.
Eve, solitamente, avrebbe ringraziato con una riverenza e dolci parole. Un tempo. Non ora, aveva troppa paura per continuare a vivere in quel modo, anche se erano passati solo quattro giorni. «E dovrebbe bastarmi?»
«Viziata, nobile senza neanche un briciolo di riconoscimento».
«Grazie tanto per avermi rapito, signore! Sarai tu il bellimbusto tanto educato», ribatté e, sconvolta, si coprì la bocca con le mani. Cos’aveva osato dire... al suo rapitore, per giunta, un vampiro negativo con sete di sangue in corpo. E la sua voce non aveva tremato, né lei aveva abbassato lo sguardo in modo remissivo...
Doveva essere molto stanca e affamata, Eve, per esser capace di tanto. O, finalmente, si stava scollando da tutta l’educazione impartitale e i buoni sentimenti inculcateli. Non che fosse davvero così: Eve era sinceramente piena di bontà, ma anche lei aveva dei limiti – che non aveva mai saggiato, se non in quell’istante.
Hassan ridacchiò. Eve si era aspettata una risposta differente.
«È proprio vero che siete pieni di voi stessi, nobiluomini senza arte né parte, eppure talmente convinti di essere nel giusto da rasentare la stoltezza», esclamò Hassan, sfiorando con due dita le ciocche nere di Eve, senza un motivo sicuro. Probabilmente era un suo vezzo.
Eve, come qualche sera prima, non ne provò paura, ma eccitazione, e serrò le labbra per non dirgli subito quant’era stato gentile ad avergli proposto di avere una dama di compagnia.
Approfittò, invece, di quel momento. «Ti chiedo un’altra cosa al posto della compagnia. Aiutami a fuggire... devo tornare a casa. Troppa gente sta in pensiero per me, mio padre, mio fratello, i miei cugini; mia cugina aspetta che le racconti una bella favola, come faccio ogni sabato sera, e non solo lei... il popolo vorrà vedermi, vorrà sapere che sono in salvo. Devo...», si bloccò.
«Devi confortarli tutti, vero? Non sei loro madre. Ti danno già per morta, tu guarda, non sanno che ai vampiri piace giocare con il cibo, come ai gatti. Non hanno nemmeno il tempo di compiangerti. La paura gli congestiona il corpo, il respiro; pensano a che fine faranno. La loro speranza, eri tu, è andata; la loro prediletta è stata dimenticata, perché vi è qualcosa di più importante: il loro culo», sogghignò Hassan, cercando di ferirla in tutti i modi. Hassan scorgeva in lei una debolezza d’animo che egli aveva avuto da vivo: era stato per anni in un letto, senza far nulla, ammalato e circondato d’amore che non aveva chiesto. E che doveva dare a sua volta.
Eve raggelò a quelle parole. Si ritrasse dalla sua mano, allontanandosi, e si sedette sul divanetto; era fiacca per il digiuno e non riusciva più a distinguere obbiettivamente un no.
Supplicò.
«Ti prego, ti scongiuro; loro mi aspettano, inutile negarlo, soffriranno della mia mancanza; io non posso stare qui. Aiutami e ti darò qualsiasi cosa in cambio», sussurrò, guardando i suoi occhi rossi.
Era vero: i vampiri erano bestie, come nelle favole, ma non erano così brutti come li avevano dipinti; anzi, possedevano un fascino capace di soggiogare chiunque. Un fascino crudele.
Hassan la soppesò con lo sguardo, sedendole accanto; ed era bello, indubbiamente, malefico ma bello. Troppo feroce per il suo cuore d’umana, in realtà; eppure Eve non vi pensò mentre aspettava una sua risposta. Aveva speranza, fin troppa.
«Mi daresti il tuo corpo dalla pelle liscia di chi non lavora, di chi non ha mai sudato; mi daresti i tuoi occhi neri e i tuoi capelli ricci, trattati con oli preziosi? E le tue mani curate, dalle unghie ovali? Mi daresti il tuo sangue?», allora rise, smorzando la serietà delle sue domande. «No, nobildonna, non lo faresti mai. Né io ti aiuterei: non vi è pietà per la propria cena».
Hassan si alzò, mentre crudelmente la fissava con un’espressione di sprezzo. Eve iniziò a piangere quando egli si richiuse la porte alle spalle, e allora capì che doveva mangiare. Per sopravvivere abbastanza da poter stringere i suoi cari.

Ore dopo, era passato un altro giorno, Eve venne svegliata da una serva. La signora Liddell desiderava parlarle.
Eve camminò al fianco dell’umana per corridoi illuminati, pieni di quadri raffiguranti battaglie, e dopo qualche minuto raggiunse Armelia e gli altri.
Violet sedeva su una sedia molto più grande di lei, dalle gambe di noce e l’imbottitura nera. Hassan stava in piedi, accanto ad Armelia.
«Alla buon’ora, Lizzie. Va’», ingiunse la vampira, fissando Eve mentre la serva si ritirava da una porta secondaria.
Armelia si rivolse ad Eve.«Dobbiamo andare via da questa casa. C’è una guerra da combattere. Il tuo rapimento è stato utile: sono più rapidi, forse sperano di salvarti... insomma, non posso sopportare un torto così grande», ghignò Armelia, duramente, mentre Violet giocherellava con un pupazzo a forma di coniglio. Oh, non era la metà del suo orsacchiotto; infatti, poco dopo lo gettò a terra.
«Beh, non vi servo più... che ne sarà di me?», chiese Eve, torcendosi le mani sotto la veste. Aveva paura per se stessa e per tutti gli altri che facevano affidamento su di lei... se le fosse successo qualcosa, la sfortuna si sarebbe abbattuta su suo fratello.
«Per ora rimarrai quel che sei: viva. Vederti sul campo di battaglia confonderà i soldati umani».
Hassan guardò Eve freddamente, chiudendo il discorso aspramente: «Sarai come gli altri mortali, mia nobildonna, cadrai in miseria, con la paura di diventare il prossimo pasto».
Violet s’alzò con un sorriso, esclamando allegra: «Che si aprano le danze. Andiamo a reclamare sangue».
E così fecero.
*









1) Questo è il capitolo più lungo di PB (se non erro), o uno dei più lunghi xD
2) Sto cercando di fare i cap meno corti, yea +w+ anche perché visto l'aggiornamento sporadico...
Comunque. Ringrazio di cuore tutti i preferiti, ricordati, seguiti... e tantissimo chi ha recensito:
mikybiky: Grazie. Per Sofia vedremo °-° ho l'idea di mostrarla ancora, ma non so quanto, in che relazione con la guerra... boh, xD, vedrò che fare +_+
Cloud Ribbon: Grazie come sempre per la bellissima recensione *___* non importa il ritardo, un po' mi sento fuori posto se non ho il tuo commento, di qualunque lunghezza sia XD e in qualsiasi momento arriva. Muah. Già, povero Francis °-° credo che sia convinto nel voler ancora lottare; chi vivrà vedrà! (l'autrice non ha l'idee ben chiare XD). Questo cap è meno dipinto, ora che ci faccio caso, e più dialogoso. Spero ti paiccia lo stesso (io non sono granché con i dialoghi.)


Che il sangue sia con tutti voi! Attenti a non lasciare tracce, vampirofili =)
A presto, si spera;

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Capitolo 59
*** Incamminandosi verso la battaglia ***


98 – Incamminandosi verso la battaglia

Al Nord di Aiedail, il mese di ottobre era più duro rispetto al clima temperato della Villa Bianca. La villa dei positivi si trovava nella penisola a sud dell’Impero, circondata da foreste di castagni; qui, invece, vi erano pini e abeti, l’accampamento era stanziato nell’entroterra e il freddo saliva dalla terra aspra.
Logan e Jack erano abituati a quel freddo autunnale, erano stati altre volte in quelle zone, a combattere i vampiri nel luogo dov’erano più forti e presenti.
Proprio Logan in quel momento stava tracciando un piccolo cerchio alchemico fuori dalla tenda, sussurrando qualcosa in un’antica e incomprensibile lingua. Fece dei segni attorno alla circonferenza, aspettando che un fuocherello iniziasse a scoppiettare. Jack gli si accostò e si sedette sul terreno umido, riposando un po’ dopo la stanchezza del giorno prima.
Un gruppo di vampiri aveva assalito un villaggio vicino e i soldati avevano ricondotto all’ordine la situazione. Jack sospirò, pensando a quanta fiducia riponeva nel suo lavoro e, nonostante questo, quante vittime c’erano state.
Logan lo fissò attentamente e gli diede una pacca leggera sulla spalla. «Siamo stati molto bravi, ieri».
«Stai cercando di consolarmi. Lo so che hai già un ma sulla punta della lingua»
«Effettivamente. Siamo stati bravi, ma credo che questi siano soltanto dei preparativi. C’è qualcosa in vista, lo sai, una guerra... e presto ci faranno muovere. Allora sapremo quando inizierà la fine», borbottò Logan, serrando la mascella squadrata.
Mosse le dita agili e afferrò una pietra, incominciando a giocherellarci per non guardare in faccia il suo compagno.
«Beh, sarà la volta buona per regolare i conti», ribatté Jack, carezzandosi la ferita sulla guancia sinistra, una mezzaluna inflitta da una vampira, anni prima. «Facciamoci forza. Credo fermamente che ce la faremo», sentenziò Jack, con un ottimismo innato. Aveva fiducia nell’istituzione, negli umani, anche se proprio i suoi genitori l’avevano venduto ad una miniera; incredibilmente, riusciva a sperare che, come lui, tutti quanti combattessero per il bene comune.
Logan sorrise, non rincuorato da quelle parole, ma commosso dai sentimenti di Jack. Gli diede un’altra pacca sulla spalla.
«Non riesco ad essere ottimista come te, sono fin troppo scettico, lo sai; però lotterò fino alla fine, come ho fatto per il mio sogno di diventare alchimista. Non sarò un concentrato di positività... ma voglio esserlo», disse Logan, guardando il gigante che gli sedeva accanto. Quello gli sorrise.
«Andiamo ad allenarci?», esclamò Jack, rinfrancato dalle intenzioni dell’alchimista. Si alzò e tese una mano verso il compagno, che l’afferrò saldamente e si mise in piedi dinnanzi a lui.
«Veramente dovremmo riposare, dopo un tale scontro», ribatté Logan, ironicamente.
«Non vorrai fare lo scansafatiche, signor sergente», celiò Jack, incamminandosi verso il campo d’addestramento. «Se non mi alleno non potrò proteggerti mentre fai le alchimie».
Logan lo seguì, accelerando il passo per raggiungerlo. «Sì, certo. Guarda che sono io a salvarti la pelle ogni giorno», esclamò tronfio.
E ridendo, i due incominciarono a prepararsi.
L’attacco dei vampiri era imprevedibile e non erano ancora arrivate disposizioni dall’Imperatore, quindi quel tempo di riposo andava sfruttato per rendersi più forti e resistenti. Fu così fino all’arrivo di Richard della famiglia dei Burnside.

Da poco aveva smesso di piovere, dopo che il vento aveva diradato le nuvole plumbee, ma il cielo rimaneva sempre di un colore grigiastro e triste. L’aria risuonava fra gli aghi dei pini, rassomigliando all’ululato dei lupi.
Logan si era affrettato a tornare in tenda, beccandosi le ultime gocce di pioggia; velocemente si era asciugato e cambiato d’abiti, per non ammalarsi.
Jack, seduto sulla sua brandina, era rimasto in silenzio – come suo solito –, rimuginando su quell’acquazzone appena passato.
Qualche minuto dopo la tromba di allarme squillò fra le tende, richiamando i soldati in una struttura abbastanza grande da accoglierli tutti.
Logan e Jack si sbrigarono, per prendere un posto abbastanza buono da sentire cosa avevano da dirgli.
Al centro dell’attenzione vi era il Generale, dall’aspetto duro; dava l’impressione di avere la pelle di pietra e di essere velenoso al gusto. Accanto a lui, Richard dei Burnside.
Ben pochi l’avevano già visto di persona, ma tutti riconobbero comunque l’illustre ospite. Si era distinto per anni nell’esercito, quindi tutti gli portavano rispetto.
Logan l’aveva conosciuto sin da bimbo, facendo parte di un’importante famiglia nobiliare, conosciuta soprattutto per aver sfornato Generali e Colonnelli di grande prestigio. Lui, al contrario, non aveva mai voluto frequentare quell’ambiente e, intestardito, non aveva mai dato sazio al padre, scegliendo di fare l’alchimista, di non comandare nessuno, se non una piccola squadra, e di fare amicizie anche un po’ sconvenienti per il suo rango sociale. Proprio per questo non conosceva poi così bene Richard, da quel poche volte in cui l’aveva incontrato aveva ricevuto un’impressione abbastanza buona; gli era parso un uomo focoso, che si atteggiava un po’ troppo da grande giustiziere, ma che sapeva il fatto suo.
Quando tutti i soldati si furono seduti, Richard fece un passo avanti e, squadrandoli duramente, iniziò a parlare: «Salve. Prima di addentrarmi nel pieno del discorso, ho delle premesse da farvi che sicuramente a voi sono ignote. Le notizie circolano in fretta, ma non abbastanza, e il Nord di Aiedail è sempre stato isolato rispetto alle altre zone dell’Impero. Qui i vampiri imperversano e non c’è tempo per badare al resto del mondo», fece una pausa, sembrava ch qualcosa lo emozionasse. Nessuno sapeva cosa potesse essere.
«Una settimana fa, Eve dei Burnside è stata rapita. L’Imperatore ha deciso di affrettarsi e di mobilitare tutte le forze in campo. Noi», prese aria, non riuscendo a trattenere l’ardore che gli percorreva il corpo, l’odio radicato in profondità che pulsava nei muscoli, reclamando vendetta. «dobbiamo andare in gran segreto verso l’estremità nord della Piana di Fuoco. Non so se tutti conoscete la zona. Vi saranno fornite delle mappe, dovrete studiarle. Stiamo cercando di sorprendere i vampiri.
Ogni loro gruppo isolato che incontreremo sul cammino verrà sterminato. Non fanno parte dell’esercito da loro preparato, che in questi giorni è stato spinto dal S.S.E.V. verso la zona sud della Piana».
Taceva tutta la sala. Alcuni si sentivano sperduti dalla notizia del rapimento di Eve... la ragazza stava a palazzo, come avevano fatto a prenderla nonostante le guardie imperiali?
Ma nessuno poneva questa domanda, nessuno proferiva parola; il muto silenzio dell’ascolto li circondava, la decisione di combattere e l’ammirazione per quel fratello pronto a vendicarsi riempivano i soldati.
Solo Logan smosse un po’ il piede, che gli si era intorpidito, e guardò Jack con una certa urgenza: lui, però, stava fissando Richard.
«La Piana di Fuoco ci recherà un vantaggio, ha un dislivello notevole che ci donerà una vista migliore rispetto a quella dei vampiri. Attaccheremo da due fronti, il S.S.E.V. dal basso, noi dall’alto. Come vedete, c’è poco da dire e molto da fare.
Non ho altre parole per convincervi a lottare con quanto sangue avete in corpo. Ricordate: questa volta è per la nostra sopravvivenza. E per quella di mia sorella», concluse Richard, passandosi una mano sugli occhi. Sino ad allora era stato immobile, anche se si vedeva quanto fremesse di sentimento e ira; ora si tirò indietro e lasciò spazio al Generale.
Logan non lo ascoltò nemmeno: si mise a guardare le proprie mani congiunte, iniziando a ragionare di testa sua.
Intorno, tutta la sala non aveva bisogno di altri incitamenti: avrebbero perso anche l’osso del collo per essere in prima fila durante la battaglia.

Si misero in marcia la sera stessa, tutti con a carico uno zaino, armi e molto altro.
Jack camminava accanto a Logan, portando la sua spada e anche alcuni suoi libri. Per chiunque sarebbe stato assurdo avere dei tomi in periodo di guerra, ma Logan era un alchimista e gli era giustificata questa mancanza.
Andavano avanti anche se il vento soffiava forte sul loro volto: non c’era tempo per riposare, accamparsi, perdersi dietro racconti di altre battaglie e fantasticherie.
A Logan mancò il fuoco dove si arrostiva la carne, mancò la sera precedente in cui tutto era tranquillo e si sentì un idiota. Sapeva da qualche mese che tutto quello sarebbe avvenuto, non si sarebbe mai tirato indietro, non perché fosse un grande guerriero, ma perché aveva degli ideali. Da tempo aveva capito, grazie al Team 7, che valeva la pena combattere per salvare gli umani: almeno avrebbero potuto avere una scelta, piuttosto che arrendersi del tutto.
Ma Logan, più che forza e muscoli, era un tipo che pensava molto, lasciandosi andare anche alle soluzioni più pessimiste. Conosceva bene i vampiri e non aveva pregiudizi sulla loro presunta bestialità, non era come Jack che andava dritto per la sua strada, fiducioso; aveva la netta sensazione che sarebbe finita male.
Ciò che l’aveva spinto nell’esercito, all’inizio, era la voglia di ampliare le sue conoscenze sull’alchimia: era stato orgoglioso, vanesio, era stato egoista. Jack lo aveva aiutato ad aprire gli occhi, a capire che non bastava la curiosità e la cupidigia di conoscere a renderlo un uomo; gli aveva mostrato quanto si poteva fare se si credeva nel proprio lavoro. Logan era quindi divenuto sergente e capitano del Team 7, quasi con gioia per aver trovato dei simili commilitoni.
Ora che erano dispersi per l’Impero e l’imminente guerra diveniva sempre più vicina, Logan si sentiva più che mai attaccato ai ricordi, al quieto vivere di sempre. Non lo disse, ma aveva paura per Elisabeth, per Francis e Daniel – per Jack, e lui sicuramente avrebbe percepito il suo timore.
Aveva la profonda convinzione che tutto quello gli si sarebbe ritorto contro. Scosse la testa e aumentò l’andatura, per poter stare al passo con il gigante. Jack lo guardò con un sorriso pieno di speranza.
Aveva la certezza che quella sorpresa ai vampiri non sarebbe bastata, e Jack glielo lesse negli occhi. Logan si schermì voltandosi dall’altro lato.
«Ricordati, hai detto di voler essere ottimista», sussurrò Jack alla sua sinistra.
Logan annuì. «Lo sarò. Quando tutto sarà finito».
«Così confondi le carte in tavola», lo redarguì Jack.
Logan tacque.

Il giorno dopo erano abbastanza vicini alla Piana per riposare un po’.
Logan si sedette sull’umida erba, cercando di studiare ogni avvallamento della Piana. L’intero pianoro era costituito da lava di diversi secoli prima, che era sgorgata da una bocca più in su, fra le montagne. Quel magma aveva spazzato via il bosco che prima sorgeva su quella terra, ma alcune zone si erano salvate e ancor adesso vi crescevano arbusti e piccoli alberi.
Le pietre si potevano usare con l’alchimia per rendere la vita più difficile ai vampiri; in più, l’altezza avrebbe aiutato gli umani nel lanciarle.
Logan si grattò il mento, un po’ ispido per la barba che non aveva potuto rasare, e pensò che se non vincevano quella volta, non ce l’avrebbero mai più fatta. Era il posto migliore per lottare contro quelle bestie.
Sospirando, osservò Jack che affilava la lama della sua spada.
«Vedrai che andrà tutto bene», sentenziò Jack, lanciandogli uno sguardo comprensivo.
Logan lo accontentò sorridendogli.
Era proprio quando dicevano quelle tipiche cinque parole che ogni cosa si ribaltava e ci si ritrovava in una situazione peggiore della precedente. Logan si complimentò per il proprio ottimismo e rise di se stesso, alzandosi per riprendere la marcia.
«Andrà tutto bene», sussurrò tra sé e sé, convincendosi che, almeno questa volta, quella frase avrebbe avuto un risultato inaspettato.
*












Che capitolo statico, vero? °_° forse non è il massimo, ma è di preparazione alla battaglia vera e propria... poi mi piace un sacco Logan, lo ammetto, perché per quanto possa essere un capitano corretto, uno che non cerca gloria in ciò che fa, è comunque pieno d'orgoglio. Ciò che lo ha spinto era sete di conoscenza, voleva primeggiare nell’alchimia, ma non nell’esercito. Non gli è mai importata quel tipo di carriera, eppure si ritrova ad apprezzare quello che fa: proteggere gli altri.
È un tipo contraddittorio, insomma; loquace, quasi sempre, anche un po’ ciarlone, eppure ragiona con la sua testa; scettico, ma con la voglia di cambiare, di essere più come Jack.
Okay, basta parlare di Logan xD ringrazio chi segue, preferisce, ricorda, bla bla bla. Sinceramente siete così TANTI ma così pochi a recensire (cioè, solo una, la mia Marta e poi solitamente anche Silvia) che mi viene un po’ di sconforto... magari avete aggiunto la storia fra preferiti ma non l’avete ancora letta tutta? Oppure vi siete scocciati, ma vi siete dimenticati di eliminarla dall’elenco?
Così mi date false speranze ed illusioni, ecco. Credo che ci sia almeno qualcuno che vuole dire la sua, qualche parola su questa mole di capitoli (finirà, finirà, lo giuro! XD)... qualsiasi cosa, non so.

Buh. Che dire per il prossimo capitolo? Aspettatevi tanto sesso u_ù (sto SCHERZANDO, ovviamente). Aspettatevi tante morti. Questo è più realistico ;D che la battaglia abbia inizio.
Attenti a Violet, mi raccomando. Potrebbe cogliervi di sorpresa... e non è un una bella cosa.

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Capitolo 60
*** Lo scontro ***


Informo sin da ora, che essendo questi gli ultimi capitoli, potrà capitare che ci siano troppi personaggi in un unico capitolo e quindi tante piccole scene. Spero di riuscire a gestirle bene.
Buona lettura *-*




99 – Lo scontro

La Piana di Fuoco era una distesa di lava: le rocce più affilate erano state coperte dalla sabbia vulcanica e l’erosione del vento e della pioggia aveva reso il terreno più morbido e meno scosceso. Gli umani non avrebbero potuto di certo combattere con il rischio d’inciampare e di spaccarsi la faccia sulle dure pietre laviche; quindi quel posto, formato in buona parte da granelli grossi, era l’ideale; in più, ai lati e nella zona più alta, vi erano lapilli e formazioni rocciose più consistenti, ultimi residui di un’eruzione più recente. Per gli alchimisti quello era materiale di guerra.
Logan saggiò il terreno con il piede, si chinò e prese un ciottolo scuro, immaginando di farlo divenire di fuoco; un fuoco capace di uccidere i vampiri, anche quelli "superiori".
I soldati sistemarono velocemente le tende, ognuno s’impegnò al massimo delle proprie forze anche in quelle piccole cose, e poi tutti si concentrarono sull’imminente battaglia. Qualcuno si allenava, altri preparavano la strategia d’attuare.
Jack osservava la sua spada con venerazione, pensoso.
«Vado a perlustrare la zona, poi andrò a conoscere gli altri alchimisti», lo informò Logan, lasciandolo solo nella tenda.
L’accampamento era percorso da voci di soldati, eppure sembravano meno chiassose del solito; probabilmente, la tensione e l’attesa rendeva tutti più nervosi e meno propensi a parlare e a farsi grasse risate della loro situazione. Un leggero vento, fresco e ristoratore, soffiava sulla Piana, portando con sé l’odore della prima neve.
Logan si mosse agilmente fra le rocce scure, osservando da là sopra la distesa sotto di sé; vi erano dei boschi, laggiù, e si vedevano delle colline all’orizzonte. Dall’inizio della Piana sarebbero spuntati i vampiri, sospinti dal S.S.E.V., formato da positivi a servizio dell’Impero. Gli era parso strano che i vampiri cedessero sotto il loro attacco, ma si era ripromesso di sperare; certo, non era cieco come Richard dei Burnside o molti altri soldati, che vedevano la vittoria assicurata, però aveva deciso di considerare quella cosa come “una casualità” che li avrebbe aiutati a vincere.
Si abbassò su un masso di dimensioni medie, lungo quanto il suo avambraccio, e con il gessetto vi inscrisse un cerchio: la Stella di Fuoco, l’unica via per fermare i “superiori”. La pietra incominciò a bruciare dall’interno, divenne un piccolo falò, infine arse tutta, lasciando l’odore di fumo dietro di sé, che si sparse con il vento. Logan seguì la cenere volare via fino a mescolarsi con il mare nero della Piana.

«E così tu sei Logan Mckay», esordì un alchimista originario di quelle zone, dagli occhi vivaci e il sorriso sornione. «Piacere, io sono...»
«Frey, e io sono il suo compagno, Lydia», completò la frase una donnina dalla voce vispa ed acuta.
Logan iniziava a confondersi con tutti quei nomi e volti, quindi sorrise e annuì solo per compiacenza; alcune persone gli erano familiari: colleghi di corso, che avevano studiato insieme a lui le basi dell’Alchimia. Ma lui non era mai stato ben visto dagli altri, a causa del cognome importante; pensavano che fosse raccomandato e l’avevano isolato. In realtà lui era scappato di casa contro la volontà del padre, che lo avrebbe voluto Generale, ma questo lui non l’aveva detto, orgoglioso. Comunque, dopo anni di indifferenza, era come rivedere persone qualunque, e non si rallegrò di riconoscere Jason o tanti altri.
Alla fine, scappò da quella riunione, subito dopo che fu decisa la linea d’azione: alcune squadre, le più esperte, sarebbero scese in campo accanto ai plotoni del normale esercito; altri alchimisti, fra cui Logan, dalle conoscenze mediamente buone, sarebbero stati a capo di squadre di alchimisti più giovani, per aiutarli durante il combattimento e lanciare massi infuocati dall'alto. Logan non disse una parola di protesta e sfuggì ai convenevoli.
Desiderava tornare alla quiete della propria tenda, al silenzio piacevole di Jack.
Quando questo lo vide tornare, lo fissò stranito. «Cos’è successo?», chiese il gigante, mentre affilava la lama d’argento della sua spada.
«Sono stato all’inferno», ironizzò Logan, stendendosi sulla brandina.
«Impossibile. Deve ancora venire, ma non ti preoccupare, arriverà tra breve. Se non erro, entro due giorni», ribatté Jack, sorridendogli.


Gabriel conduceva i vampiri in mezzo al bosco, mentre le retrovie combattevano già contro il S.S.E.V., perdendo elementi sotto il torchio dei positivi. Avevano mandato i più deboli, quelli così giovani che la loro scomparsa non avrebbe intaccato la gerarchia dei vampiri.
Adam aveva risparmiato Sofia da quello scontro, prospettando la battaglia dei giorni a venire. La ragazza non aveva protestato: come tutti, era attratta dall’odore di sangue, ma aveva sviluppato un attaccamento profondo per Adam, dopo aver bevuto da lui, tanto che aveva resistito alla tentazione. Sapeva, in qualche modo ricordava, che era importante per lei averlo accanto; e quindi lo seguiva con lo sguardo scarlatto, intenta ad avanzare insieme agli altri componenti della famiglia Gray.
«Sofia», la chiamò Adam, indicandole il cielo: era quasi giorno, dovevano fermarsi, o i negativi sarebbero bruciati al sorgere del sole. Molti scavarono delle fosse, si nascosero sottoterra o in zone più protette dai raggi; i “superiori” non avevano problemi e si stesero all’aperto. I soldati del S.S.E.V., dal loro canto, si accamparono anche loro, cercando di prendere sonno.
Sofia si accoccolò accanto ad Adam, ponendo una mano sotto il mento e avvicinando le ginocchia piegate verso il petto. Il vampiro le sorrise leggermente e poggiò il braccio sul suo fianco, avvicinandosi a lei.
«Riposa. Hai molte cose da vedere. Spero che quello che ti ho insegnato sui combattimenti sia abbastanza», sussurrò, ghignando.
«Se non lo sarà, avrò un motivo in più per pungolarti», ironizzò lei, tirandogli i capelli biondi con una mossa veloce. Si chinò sul suo volto e lo baciò a fior di labbra, leccandosi i canini appuntiti.
«Non oso immaginare la tua punizione», disse Adam, più che eccitato all'idea.
Sofia stese le gambe e le strinse attorno alle sue. «Troverò il modo di farti penare».
«Ho sempre saputo che eri una prelibatezza», concluse lui, chiudendo gli occhi blu mare.
Insieme a lui, centinaia di vampiri presero sonno; il giorno s’infiltrò tra le chiome degli alberi, colorando il bosco di verde e oro, ma nessuno di loro lo notò, troppo intenti a dormire. Quegli occhi immortali, dall’iride rossa come il sangue e la pupilla sottile, si riaprirono al calare del sole, pronti a vedere nuove morti.

Violet si mosse rapida, cercando Maximilian, che stava camminando accanto ad Hassan; lo squadrò per bene e gli sorrise, informandolo che avrebbero combattuto insieme, quel giorno, e sarebbero stati in prima fila, pronti a sterminare intere squadre di umani. Il Dannato sembrò apprezzare la notizia.
Hassan, lì vicino a lui, non ascoltò molto il suo ciarlare su ciò che avrebbe fatto agli umani: guardava Armelia, che teneva stretta a sé Eve, tremante e intrappolata fra quei non-morti che avevano la pretesa di continuare a camminare. I suoi occhi scuri erano bagnati di lacrime, ma la sua bocca non fiatava un gemito; sembrava essersi arresa all’evidenza, non vi era più curiosità, né paura, né pena per i propri familiari, ma solo una desolante e straziante rassegnazione.
Hassan scostò lo sguardo, allontanando gli occhi da quella figura esile, femminea, ma non il cuore.

Adam affrettò il passo, scorgendo Violet a pochi passi da lui, e s’affrettò a presentarla a Sofia; insieme si avviarono verso la Piana di Fuoco, distante un solo chilometro. Svoltarono a destra, lasciando il bosco dalla piacevole ombra e finendo in una grande distesa nera, sabbiosa.
Il S.S.E.V. si mosse veloce, attaccando rapidamente alcune legazioni vampiresche; alcuni incominciarono a lottare su quel fronte, un’altra volta, per chetare le fiamme fastidiose di quell’incendio.
Sofia si fermò ad osservare la zona con stupore: non aveva mai visto un così grande spiazzo, né tante tende quante erano quelle dell’esercito. Vide i soldati disposti in fila, dalle uniformi blu, gli sguardi seri e l’anima incastrata nella gola, mescolata ad ira e orgoglio patriottico.
Aveva voglia di testare le proprie capacità, nuove ed esaltanti, su quei corpi caldi; scorse Adam e gli ghignò, salutandolo con lo sguardo.
E poi ebbe inizio la vera, enorme e caotica battaglia. Dei plotoni degli umani scesero di qualche metro verso di loro e le squadre in prima linea di vampiri li raggiunsero. Incominciò il clangore delle spade contro la pelle dura dei vampiri, il sudore, la moltitudine di grida e bestemmie che riempivano l’aria. Non vi era ordine, non vi era un fine preciso a cui puntare; si era nella mischia più profonda, circondati, braccati, uccisi, trucidati, feriti, dissanguati; si era impauriti fra tutti quei corpi in continuo movimento, in uno scontro coeso e attivo che vedeva le due fazioni avanzare, indietreggiare come onde, perdendo o acquistando terreno a seconda delle situazioni; si era totalmente perse in un unico istante che poteva essere l’ultimo, o forse il primo, confusi da quanti nemici dovevano sconfiggere.
Chi era a provare quelle sensazioni? Probabilmente, sia gli umani che i vampiri.
La verità è che gli uomini spesso saltano alle conclusioni che più gli aggradano: Gabriel aveva convinto i capifamiglia a combattere per la propria libertà, asserendo come prova certa la vittoria assoluta e repentina; quella guerra per loro era uno svago, almeno all’inizio, ma ora sul campo stava diventando qualcosa di serio. D’altra parte, Richard dei Burnside era stato convinto che la superiorità di numeri avrebbe fatto la differenza, che gli alchimisti sarebbero stati utili a qualcosa, che la vittoria era nelle sue mani e non c’era da impegnarsi; invece, eccolo a stramazzare sotto il peso dell’assalto.
Le loro urla si mescolavano insieme alle morti.
Logan diede l’ordine di lanciare il primo masso infuocato il più lontano possibile, cercando di prendere soltanto i vampiri e non i suoi commilitoni. Jack aveva il braccio teso di fronte a lui, la spada stretta nel pugno, un’espressione capace di stendere qualcuno con un’occhiata; era lì, ritto a difenderlo da qualsiasi nemico. Logan gli era grato di essergli accanto.
«Signore, tiriamo», gridò un alchimista, facendo un cenno al soldato che azionava la catapulta. Il masso volò e s’incendiò, seguito da altre pietre brucianti, e arse vivi alcuni vampiri.
Adam stese il braccio, agguantò Sofia e la salvò da morte certa. «Ricorda, il fuoco ci uccide», borbottò nel suo orecchio, stringendo con le dita la gola di un umano negativo.
Logan fece tirare ancora, con impeto. «Colpiteli, stanno avanzando troppo; forza!»
Intanto, i soldati in prima fila si fecero coraggio, strinsero i denti e trafissero molti vampiri con le loro spade d’argento o le lance di legno. Richard sbraitava comandi, brandendo la sua arma con bravura e ardore. Cercava di avanzare verso la postazione dei vampiri, dove il S.S.E.V. stava mietendo vittime (non a caso era formato da positivi in grado di gestire quel tipo di situazioni) e di unirsi ad esso nella battaglia.
Un vampiro negativo, dai denti aguzzi come spadini, lo caricò, fendendo l’aria con la mano; Richard gli mozzò il braccio, stoccando fluidamente la spada, poi balzò verso di lui, infilando la lama nel suo ventre. Del sangue sgorgò e il vampiro si ripiegò su se stesso, sino a diventare cenere. Allora Richard smosse l’arma, lanciò un’occhiata al campo dei vampiri e la vide: sua sorella, legata ad un palo, forse un tronco di pino; ancora viva, disprezzata da quelle bestie, circondata da quell’immonda feccia morta...
«EVE!», urlò e quel grido riecheggiò nell’aria, come se un silenzio momentaneo fosse calato apposta affinché quell’unica parola si sentisse sopra a tutto; la speranza, legata a braccetto con lo sconforto di quella povera ragazza rapita dai vampiri, si diffuse e gli umani tornarono alla carica, più forti di prima.
Logan si rodeva le mani a stare là sopra, tirando alla cieca e colpendo probabilmente anche i suoi commilitoni, ma almeno in quel modo era sicuro di essere in salvo insieme a Jack, il suo compagno di sempre; non sapeva se Daniel fosse lì, nelle truppe del S.S.E.V., ma sperò che sopravvivesse.
«Capitano», lo chiamò il giovane alchimista. Non era Elisabeth, non era Francis; non era il capo del Team 7, non ora. Si voltò e gli fece un cenno d’assenso: tirate, tirate, che quel fuoco li bruci tutti quanti!
Gabriel mandò Violet e Maximilian a fermare Richard, che da solo stava spazzando molti vampiri, pur di raggiungere la sorella che aveva creduto morta e dimostrare che ce l’avrebbe fatta, non avrebbe deluso il padre e l’umanità avrebbe governato il mondo. L’idea di conservare il suo potere e divenire un giorno Imperatore lo spinse ancora di più, muovendo il suo braccio e il suo cuore.
Maximilian lo raggiunse con un ghigno. Violet lo colpì da dietro, sulle ginocchia, in modo che si piegasse e cadesse a terra.
Maximilian, invece, fece scattare la mano e, velocemente, gli trafisse il petto, rompendogli le costole e agguantando il suo cuore ancora pulsante. Il calore di Richard gli avvolse il braccio; il Dannato rise e serrò le proprie dita su quel muscolo, finendolo.
Il suo nome non era un caso: era un Dannato destinato a fare grandi cose.
Erano le tre e mezza di notte, il freddo pungeva la pelle dei soldati, eppure non sentivano che il calore ardente della guerra sulla pelle, nel sudore, fra i tessuti; era un odore che permeava l’aria; i vampiri erano uno sciame fastidioso, rapido, da far soccombere. Era notte e le stelle non le guardava nessuno, se non Logan, che sperava di poterle rivedere molte altre notti ancora.
Tutti erano presi dalla follia della morte, della battaglia; tutti avevano un loro diritto da far prevalere, una fazione da patteggiare, un mondo da conquistare; Gabriel spingeva i suoi ad uccidere quei prevaricatori, e Richard, fino a poco prima, aveva spinto gli umani a liberarsi di questa piaga. Il Generale prese il suo posto, incitò tutti a non demordere.
Solo Eve, legata a quel palo, pensava a quanto era bello vivere a palazzo, con i suoi cugini, parenti; a quanto era bello l’amore, in confronto a quell’odio profondo. Piangeva, ma nessuno la sentiva – tranne Hassan, che era rimasto indietro e la guardava con curiosità.
Adam e Sofia stavano vicini e combattevano, ogni tanto scambiandosi uno sguardo; Sofia non soffriva più, aveva dimenticato, aveva deciso di farlo e di vivere in quel corpo nuovo, in quel modo diverso che forse gli avrebbe portato felicità.
Armelia lottava accanto a Gabriel, entrambi a capo di famiglie importanti nella gerarchia vampiresca, entrambi assetati di sangue umano; legati da una vendetta comune che era nata secoli prima e che ora veniva realizzata.
Erano le tre e mezza di notte, il mondo era nel caos e la fine non era certa.
L’unica certezza era la morte.
*













Saaalve *-* ho scritto questo capitolo molto velocemente, oggi pomeriggio (se ci sono errori, potreste farmeli notare?), l'ho riletto tre volte, ma qualcosa sfugge sempre... spero di finire PB prima dell'inizio della scuola, il 16. Questo perché? Perché inizia il 5° anno e sinceramente aggiornerei ancora di meno °__°, perciò meglio affrettarsi (e ignorare i compiti delle vacanze, quali versioni, libri da leggere su cui farà il test...) e scrivere PB, finendolo una volta per tutte. (io ancora non ci credo ç__ç)
Mi mancherà. Ora non ho più la forza di chiedere recensioni, sinceramente farlo non porta a nulla; ovviamente, chi recensisce è sempre considerato come oro e argento e tante belle cose preziose ♥. Quindi ringrazio tanto:
Lyssa: da quello che dici, credo tu sia ancora all'inizio... spero di non deluderti con tutto il resto; il tuo complimento (cioè che la storia non è stile Twilight) per me vale moltissimo *__*, grazie davvero. E buona lettura, cara ;)
Cloud Ribbon: Marta caVa! Intanto, grazie come sempre, ti adovo tanto ç_ç poi evviva Logan! Evviva le fangirl! *sono malata*. Poi... guai? Chi, io? Ma stai parlando con me? Che dici mai *fa occhi dolci*. Per ora non è successo niente di che, tranne la morte di Richard, ma trema, ragazza! uahahahah. Coff. Spero di non averti deluso con questo capitolo °_° mai fatte scene di guerra, spero di recuperare nel prossimo con qualche morte in più e tanto sangue. Grazie.

E' la prima volta che descrivo una scena del genere, una battaglia, e a parte l'esperienza di qualche libro come Eldest o Harry Potter (che in questo caso non è un buon maestro °_°), sono andata a istinto e spero di non aver fatto pena. Mh. Nel prossimo capitolo vedrò di fare meglio. Fight!

A presto, Kò

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Capitolo 61
*** L'alchimia del dolore ***


100 – L’alchimia del dolore


L’un t’éclaire avec son ardeur,
l'autre en toi met son deuil, Nature!
Ce qui dit à l’un: Sépulture!
Dit à l’autre: Vie et splendeur!


Erano le quattro precise. La notte era al suo culmine; solitamente a quell’ora regnava il silenzio, spezzato a volte dal vocio dei ricchi figli che tornavano dai loro festini, in città, e dall’alzarsi delle massaie, in campagna. Normalmente, era l’ora del sonno, dei sogni fatati, dalle fantasie intrappolate sotto il cuscino; le lenzuola tese a coprire il corpo dal buio; era l’ora dove non vi era un alito d’aria e il mondo sembrava immobile.
Logan ricordava altre notti passate insonni a leggere d’Alchimia. Aveva dieci anni e la coperta sulla testa, ma leggeva con una piccola torcia; a volte, aveva il coraggio di accendere la luce principale della stanza e iniziare a sfogliare i tomi, cercando formule, parole, memorie.
Logan si scosse dai quei pensieri e guardò i massi infuocati cadere sui vampiri. Non sentì le loro urla, aveva le orecchie tappate per le troppe grida, i timpani doloranti; Jack era stanco e si dondolava sul posto, con la spada serrata fra le dita ormai addormentate e gli occhi neri che reclamavano una brandina. L’alchimista giovane che era nella sua squadra lanciò un’altra pietra, che bruciò nell’aria, sfrigolando. Che parola scoppiettante: sfrigolare. Come la pelle dei vampiri che cedeva alle fiamme e diventava cenere... Logan ebbe un conato di vomito.
Doveva essere il sonno.
Osservò stancamente gli umani e gli “altri” scontrarsi, il sangue sgorgare dalle ferite, impiastricciare il terreno; sentì l’odore di metallo e fuoco che saliva fino a là sopra, ricordando a tutti la sofferenza di quegli istanti. Logan si chiese se, lavandosi, quell’olezzo se ne sarebbe andato via; se uccidere un non-morto cambiava il gesto stesso, l’uccidere, o se si rimaneva sempre degli assassini pagati dall’Impero; se bastava avere un obbiettivo, proteggere la gente, per giustificare lo spargimento di sangue. No, sarebbe rimasto attaccato alle loro pelli, lo percepiva addosso, incastrato tra le fessure dei denti, sulla lingua umida; era un ricordo impossibile da dimenticare: la guerra, la morte, la pena, l’ingiustizia.
Erano nel giusto, a voler difendere la vita. Si disse di sì, ma non si convinse del tutto. Allora guardò prima i vampiri, le loro fauci spalancate, le mani sporche di sangue, gli occhi rossi, quel corpo da umano che però era freddo; poi guardò Jack, che gli girava intorno, sorridendogli ogni tanto, e pensò che, anche se non fosse stato nel giusto, per lui lo era.
«Vorrei aiutare di più. Non so se reggeremo ancora per molto i vampiri», bisbigliò Logan, indicando i commilitoni con le armi alzate e il sudore che colava sui loro corpi sfibrati. «Quei... mostri possono reggere così tanto la fatica, noi no. Forse è l’ora di far entrare in azione gli altri, chi è rimasto qui, i rimasti».
Si mosse e Jack lo seguì, andarono insieme dal capitano della sezione, Logan pressò perché intervenissero.
«Voi dovete continuare a sparare fuoco. Sta facendo molte vittime», borbottò l’uomo, frettoloso.
«Non tutti gli alchimisti servono qui. Alcuni potrebbero continuare il lavoro e noi andremmo in aiuto... ho visto da qua sopra che hanno perso una quantità ingente di alchimisti, i loro compagni non hanno retto gli assalti; i vampiri sanno dove attaccare e noi potremmo rimpinguare questa mancanza», esclamò Logan, come sempre pronto a parlare come un vero capo.
Il capitano lo fissò con rassegnazione. «E sia. Porta i migliori con te. Non capisco questa voglia di morire», incominciò a lamentarsi l’uomo, ma Logan e Jack si erano già congedati nella maniera più veloce possibile.
Logan richiamò gli alchimisti più preparati e gli disse che avevano ricevuto l’ordine di intervenire direttamente in battaglia. Non pochi esultarono per la notizia.
Scesero rapidamente per il pianoro, balzando sulla sabbia nera che attutiva i loro passi concisi; si unirono a un plotone che si avvicinava al centro dello scontro, con tanto di scudi e lance pronte a perforare la pelle marmorea dei vampiri.
In quello stesso momento, Violet e il suo gruppo notarono l’avvicinarsi degli umani e colsero l’occasione per mettersi un po’ alla prova. La bimba sbuffava, indispettita da quella volontà di sopravvivenza tipica degli umani; erano così desiderosi di vincere, quasi gli facevano pena, e questo non era un sentimento che riusciva ad accettare, soprattutto dopo che aveva perso il suo orsacchiotto per uno stupido umano.
Maximilian si mosse rapido e torse la testa a un soldato distratto, spezzandogli il collo – non era la prima volta che lo faceva, ed in passato era stato umano, era stata la sua vendetta. Hassan era con loro: era abile nel maneggiare le armi e schivare i colpi e i fendenti, sapeva muoversi bene in battaglia; si abbassò e strinse nel suo abbraccio le gambe di un umano, che cadde mentre le sue ossa venivano rese poltiglia.
Il plotone a cui si erano uniti Jack e Logan si diresse verso di loro, colmando la distanza. Le palle di fuoco saettavano sopra di loro; Violet ne scansò una con facilità, e quella colpì un vampiro negativo, troppo lento per schivarla. Erano le cinque, il cielo incominciava a rischiararsi, portando con sé la vita della mattina.
Le grida coprivano la morte, l’odio respingeva la salvezza.
Molti morivano portando con sé uno di quegli odiati vampiri; tutti ingoiando parole di speranza, di luce e prosperità; perirono molti sogni, molte vite si spensero in quell’aria scura.
Da una parte, Adam continuava a stringere gole, ricordando un’umanità che aveva appena riscoperto e a cui Sofia aveva rinunciato: si chiese se ciò gli andava bene, ma non era quello il momento adatto; non erano i minuti atti a pensare quel calore che aveva provato baciandola una prima volta, desiderando il suo sangue, il suo cuore. Ora doveva trucidare – eppure non riusciva a smettere di ragionare, di rimembrare; era come se, più si sporcava le mani, più i tempi felici s’impossessavano di lui. Era vivo, immensamente, mentre leccava via il sangue da quei volti. Quasi ne ebbe pietà – anche lui! – per qualche secondo in cui gli mancò il respiro, poi affondò le unghie nella carne di un uomo e si rassegnò all’idea che stava solo mentendo a se stesso: era quello il suo posto. L’odio dominava. Ma nel suo cuore vi era spazio anche per l’amore.
Sofia, da un’altra parte, sembrava piangere – non poteva più ed era da tanto tempo che non lo faceva, neanche da umana – e uccidere persone al tempo stesso. Ogni viso che scivolava nel buio a causa sua, le chiedeva perché avesse rimosso quanto l’amava sua madre e quanto sarebbe stata felice se avesse avuto il coraggio di andare avanti. Ma l’aveva fatto, ringhiava; aveva scelto colui che non l’avrebbe mai lasciata, un immortale – un amore che era vero, nonostante tutto, nonostante il suo scetticismo; un pensiero a cui aggrapparsi in quel caos di morte e sangue, dove si rischiava di perdere se stessi. Continuava a massacrare soldati; nel cuore, aveva la sensazione di completezza che Adam le aveva donato un giorno, distrattamente, alla villa, cedendo ai suoi occhi. Non... avrebbe smesso... di amare.
Sì, era davvero uno schifo percepire quei sentimenti mentre si uccideva; era strano ritrovare ricordi bevendo il sangue del suo amante, sopravvivendo a quello scontro. Forse era la paura della morte assoluta a spingerla. Lo era, lo era e sarebbe vissuta, in quel modo dannato, per sempre.
Ringhiò di nuovo, Sofia, afferrando il volto di un umano: provava pietà, lui era un suo simile, ma quella era la sua natura, quella era la loro guerra, e non poteva tirarsi indietro.
Lì vicino, Violet avanzava ancora, attaccava il compagno di un alchimista, serrando i denti sul braccio dello sfortunato. Logan strinse il gesso fra le dita, urlando ai suoi commilitoni: «Veloci, veloci. Prepariamo il Cerchio di Protezione di quinto livello», il fiato gli mancava e si chinò a terra per tracciare parte del cerchio.
Scrisse parole nell’antica lingua dell’alchimia, cercando di sbrigarsi: gli tremava la mano.
Intanto, Jack aveva levato la spada e gli stava vicino, protettivo. Maximilian, rapido, puntò verso di lui; il gigante strinse le palpebre, concentrandosi, preparandosi a perdere la vita per Logan.
Un negativo contro un “superiore”: una partita impari, che Jack ignorò di proposito, per far sì che Logan continuasse il suo cerchio alchemico e li salvasse tutti.
Jack alzò la spada e bloccò il braccio di Maximilian, che non fece una piega. Logan aveva tracciato un pentagramma sull’elsa della spada d’argento con il sangue di Jack; un’alchimia tale da rendere l’arma di fuoco, capace di attivarsi con un unico spadaccino, il donatore di sangue. Bastava toccare quel simbolo e pronunciare una parola in quell’antica lingua, e si sarebbe attivata. «Arde», sussurrò Jack, sfiorando il segno.
Maximilian si tese per attaccarlo di nuovo, ma si bloccò dinnanzi alla spada di fuoco.
Ecco perché si usava l’argento: un tale metallo, già fastidioso per i vampiri, era anche facilmente utilizzabile nell’alchimia.
Jack ghignò; le fiamme gli illuminavano il viso e la cicatrice a mezzaluna riluceva chiara, formando un altro sorriso malevolo sul suo viso. Il gigante non si sarebbe fermato davanti a quel vampiro, c’era Logan da difendere; era da anni che aveva promesso di rischiare la propria vita per la sua, quel legame era chiaro e già stabilito da tempo. Aveva promesso. E non era soltanto una questione di professionalità, non c’entravano solo gli ordini. C’era qualcosa di più.
Maximilian ringhiò bellicosamente, si spostò sulla destra, si ritirò celermente, fingendo, e poi gli spuntò dietro. Ridacchiando, gli disse: «Buh».
Jack si voltò di scatto, imprecando: non l’aveva visto. Serrò gli occhi, fece una smorfia; parò l’assalto con la spada infuocata, facendo urlare di dolore Max, che indietreggiò in un istante. Il suo avambraccio era incenerito, ustionato in più punti; il suo sguardo era pieno di odio omicida.
Colpì con il piede il suo stinco, tese una mano e afferrò l’impugnatura della spada, dove non vi era fuoco; spezzò il polso di Jack, facendolo sussultare, visto che egli non lasciava la presa, e prese l’arma, che si spense non riconoscendo lo spadaccino.
Logan aveva posto un sigillo alchemico, ma a Max ciò non importava: quello che contava era che quel maledetto umano cocciuto non aveva la spada.
Intanto, Logan stava completando il cerchio, pronto ad attivarlo con le solite parole necessarie. Mancava poco: eppure non fu abbastanza veloce.
Jack non indietreggiò, pur essendo disarmato; rimase immobile, con le braccia messe in posizione di difesa, gli occhi serrati, la bocca stretta. Sapeva che era giunta la fine. Sapeva che Logan stava per concludere l’alchimia e fu felice di avergli prestato servizio.
Lo aveva protetto, era quello che contava.
Maximilian brandì la spada, giocherellandoci; ghignava con aria di superiorità. Affondò la lama nel suo torace, troppo velocemente per permettergli di scansarsi o di difendersi.
Avrebbe voluto colpirlo a morte, ma Logan finì la sua alchimia all’oscuro dell’accaduto, e insieme agli altri alchimisti spazzò via i vampiri, stordendoli.
Si guardò intorno con un sorriso soddisfatto, contento di aver aiutato l’esercito, ma non trovò il gigante ad aspettarlo. Non c’era all’altezza dei suoi occhi.
Logan conosceva Jack: non lo avrebbe lasciato nemmeno per un istante, lo avrebbe seguito ovunque, sempre proteso a proteggerlo; non era possibile che fosse scomparso. Sbiancò, abbassò lo sguardo e lo vide.
Jack era disteso sulla lava scura, che ricordava il colore della sua pelle; era ansante, pallido, perdeva sangue dalla pancia. La spada – gettata a terra – aveva tagliato fino al rene, gli aveva perforato gli organi; aveva poche speranze, soprattutto al centro del campo di guerra.
Logan gli si avvicinò, crollò accanto a lui, sulle ginocchia, e gli tastò il petto. «Aspetta... aspetta. Devo, devo trovare qualcosa per salvarti. Un’alchimia. Qualsiasi cosa», disse tremando.
Jack sorrise: il suo era un sorriso di compiacenza. «Smettila», mormorò, squadrandolo sofficemente.
«Lo sai che posso farlo! Posso salvarti. Basterà sostituire i tessuti feriti con l’alchimia, un gioco da- da ragazzi».
«Non c’è il giusto elemento di scambio, non puoi usare la lava», rispose troppo lucidamente Jack, avvezzo ai meccanismi dell’alchimia grazie al compagno.
«No. Che cazzo ne vuoi sapere tu? Che dici? No. Ti riporto all’accampamento. Aspetta, chiamo qualcuno», Logan sbraitò, guardando gli altri alchimisti: ognuno era impegnato a combattere, il resto dei soldati brandiva le spade e lottava. Non c’era tempo per chi era in punto di morte. Ma Jack non era un ferito qualunque... era il suo compagno.
«Logan», disse Jack. Con tutta la forza e la dolcezza che potesse mettere in quell’unica parola, sussurrandola piano. Il gigante tossì e dalla sua bocca uscì sangue.
Logan... Logan avrebbe voluto muoversi, afferrarlo, trascinarlo, salvarlo – proteggerlo dalla morte, stendersi su di lui, farlo vivere – voleva chiamare qualcuno, voleva non vedere, voleva non sapere.
Ma non poteva: qualcosa lo teneva legato a Jack, il legame.
«Tu non puoi morire. Non così. Tu morirai da vecchio, sarai felice, avrai una famiglia che ti amerà; ci sarò io a...», si bloccò. «È troppo stupido! Una morte inutile».
«Non è vero», rispose Jack, affaticandosi. Era coricato, non riusciva a muoversi; il sangue gli macchiava la divisa blu. «Ti ho salvato, questo mi basta; questo legittima la mia morte».
«Questa è una cazzata», esclamò Logan, stringendo i pugni sul tessuto sporco della sua camicia. «Siamo così vicini al campo, ci sarà un medico pronto a curarti, o degli elementi adatti per l’alchimia... non puoi morire qui».
«Non puoi trasportarmi», sussurrò Jack, sorridendo per la sua testardaggine.
Logan sbuffò, odiandosi; non poteva portare il suo peso. Cos’era mai Jack sulle sue spalle? Perché non poteva salvarlo? Perché...
«Non eri tu quello ottimista? Smettila di fare l’uccello del malaugurio», ringhiò Logan, serrando la bocca in una smorfia.
Continuavano a lottare, tutti intorno a loro, eppure non li toccavano; forse avevano rispetto per la morte, forse semplicemente non li avevano visti.
«Logan», lo chiamò Jack, sentendo freddo, in quella notte sempre più chiara, vicina a mutare in giorno.
L’alchimista lo strinse tra le sue braccia, circondando il suo corpo con il calore della vita. Magari doveva fermare l’emorragia... come fare, se aveva un buco nello stomaco?
Jack sorrise un’ultima volta, mentre Logan lo guardava con apprensione mista a sofferenza, e solo allora le lacrime sgorgarono. In silenzio, sul viso di Logan scivolarono senza che lui se ne accorgesse, accettando prima del suo animo quella verità; gli bagnarono le labbra mentre vedeva Jack chiudere gli occhi. Senza più riaprirli.
«Ehi», singhiozzò. «Svegliati, rimani cosciente. Dai... ci sarà qualcuno capace di aiutarci», sussurrò Logan, adagiandolo sul terreno scuro e sabbioso.
Ma Jack non rispose. L’alchimista serrò i pugni, conficcandosi le unghie sporche nella pelle, sino a sanguinare; socchiuse gli occhi per il pianto, aprì la bocca per lasciarsi sfuggire un gemito; poi si chinò, gli afferrò la testa e lo baciò, quasi a volerlo svegliare, a dimostrare che era ancora vivo. Sentiva sotto di sé le labbra ancora calde, ma ormai morte, di Jack.
La frustrazione divampò in Logan, prendendolo completamente.
E ci fu solo la disperazione della morte. L’amore era ormai defunto.

Hassan aveva continuato a combattere, ma si era fermato a vedere quell’alchimista piegato dal dolore sul suo compagno... ebbe la tentazione di ucciderlo, ma si bloccò quando lo vide baciare il corpo del morente.
Amore. Eccolo, lì in mezzo all’odio, alla violenza, alla vendetta.
Deglutì a fatica: non era mai stato un gran sentimentale, ma quel gesto l’aveva colpito, e realizzò che forse doveva attuare l’idea che gli frullava in testa da un po’ d'ore.
Corse velocemente verso il basso, incurante degli scontri che imperversavano; superò Adam e Sofia, Armelia, Gabriel, Maximilian, Violet.
Aumentò l’andatura, sino a raggiungerla. Eve era ancora legata, lì a bella mostra per tutti gli umani, a gridare: forza, venite a prenderla.
«So che ti sembrerà strano, nobildonna», mormorò, tendendo le mani verso di lei e stringendo le dita sulle corde che la stringevano al palo. «Sai, a volte non riesco a comprendermi del tutto. Ma non importa».
Ruppe i fili ed Eve cadde in avanti, su di lui.
«Perché?», mormorò lei.
«Probabilmente non tutti siamo i mostri che vuoi dipingete nelle vostre leggende. Siamo capricciosi, cediamo alle nostre bizze. Anche la guerra è un nostro capriccio», disse Hassan, scostandosi da Eve e indicandole il campo di battaglia.
«Scappa».
Eve lo guardò spaesata, impaurita.
«Scappa», ripeté Hassan, prima di svanire nella folla di combattenti.
Eve strinse il vestito fra le mani, sollevando i lembi che toccavano terra, e corse di lato, verso l’accampamento degli umani, cercando una speranza.

L’uno t’illumina col suo calore,
l’altro ti presta il suo lutto, o Natura!
E ciò che all’uno dice: Sepoltura!
Parla all’altro di vita e splendore.

Alchimia del dolore – C. Baudelaire.

*













Prima di tutto, vi annuncio che non sono una folle assassina di personaggi (ah no?) e che questa morte era già stata decisa due anni e mezzo fa. Certo, sembrava tanto distante, ma ora che è arrivata... fa sempre un brutto effetto. Questo capitolo l'ho scritto precisamente due anni e un mese fa, l'agosto 2008 in vacanza con darkrin. Ora l'ho migliorato/riscritto/ampliato, ma la base e la citazione di Baudelaire sono rimaste.
Vorrei spendere due parole su Jack: lo amavo un sacco (ma allora sono proprio sadica!) e mi spiace ogni volta rileggere questa parte. Su lui e Logan: in Positive Blood non è mai stata una coppia presente, se non in modo soffuso e molto "amicale", però se tornate a leggere i cap precedenti, magari noterete una certa dolcezza di toni fra loro due, o comunque una complicità tutta loro. Ho parlato di loro in due one shot (I remember you e la più vecchia Lock); sinceramente, non è mai stato mio intento discutere di un amore gay in PB, non perché non ami lo slash (anzi!), ma perché non era una cosa principale, ma secondaria; quindi, soprattutto per non trattare male l'argomento, ho deciso di renderlo soffuso e di dare spazio alla vostra immaginazione. Insomma, non mi andava a genio di rubare capitoli alle migliaia di cose che ci sono, per fare tutta una tiritera su due uomini e bla bla; l'importante è sapere che si amavano, questa scena finale fra i due secondo me è essenziale e basta a delineare la coppia. Ripeto, non era mia intenzione perdermi in dettagli su di loro, per quanto li ami ♥.

Ora passo a ringraziare la mia unica, dolcissima Cloud, che ha recensito il capitolo scorso: Tesoro. Spero di non averti delusa. Spero di non averti persa per sempre con questa scena... ho sempre immaginato che in qualche modo ti avrebbe colpito in modo... brutto. D'altronde, non potevo rivelarti le mie intenzioni (folli) ç_ç Grazie per tutte le tue belle parole, continuerò a pitturare finché posso. Ti adoro.

Ora vado. Gabriel mi chiede un po' di sangue, devo nutrire il mio piccolino ♥ a presto, cari!

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Capitolo 62
*** Il racconto ***


101 – Il racconto

«Erano quasi le sei del mattino, ormai non mancava molto all’alba. Jack... Jack era steso un po’ in disparte rispetto allo scontro, così potei rimanergli accanto fino a che un dottore non mi si avvicinò con una barella. Mi aveva notato dall’alto dell’accampamento e si era avventurato da solo fino a laggiù; mi aiutò a... deporlo. Lo misi sopra la barella, era un po’ piccola per lui. È sempre stato alto», la sua voce tremò; sin dall’inizio era stata incerta.
«Allora, allora lo portammo fino alle tende; il medico mi diceva che dovevo tornare a combattere, servivano più persone possibili, si stava mettendo male... ripeteva che non ero ferito, servivo all’Impero, all’umanità. Diceva proprio così: il tuo corpo è sano, combatti.
Odio i dottori: sanno curarti solo se hai un mal di testa o ti sanguina qualcosa, ma non capiscono gli altri tipi di ferite. O almeno lui... forse aveva ragione, non lo so, ero necessario per determinare la riuscita dell’impresa.
Ero confuso, stanco. Non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo, non... il mio compagno di sempre era morto. Lo conoscevo da undici anni, una vita intera.
Girai fra le tende, ancora sconvolto, non avevo il coraggio di guardarmi le mani sporche del suo sangue. Quando avevo deposto la barella nell’infermeria, non avevo osservato il suo corpo, avevo chiuso gli occhi; perciò non gli avevo davvero detto addio.
Contava solo quello e non la battaglia là sotto. Se fosse stato per me, sarei rimasto a vagare, cercando di recuperare il colpo; mi sentivo senza spirito, senza fiato», continuò a tremare, la sua voce, sembrava non voler smettere. Logan stringeva le mani convulsamente, serrandole al cappello.
«Jack. Jack avrebbe voluto vedermi lottare, pensai. Era un’idea stupida, profondamente, ma sembrava rincuorarmi; ero ancora lì, ero vivo a suo discapito: potevo fare del bene.
Corsi verso la battaglia, invasato. La disperazione, la speranza, l’ira mi colsero, mi sentii un involucro che conteneva troppe emozioni e rischiava di esplodere; presi i gessi, incominciai a tracciare cerchi, a stordire i vampiri, a spazzarli via, tramutando l’aria in una barriera.
Sapete... è strano da dire», sorrise, ma più che un sorriso sembrava una smorfia. «Io piangevo anche allora. Non avevo smesso sin da quando era morto. Piangevo anche quando presi la spada di Jack, recuperandola lì intorno, e uccisi un vampiro stordito.
Prima, il mio era un pianto silenzioso; avevo trasportato Jack con la bocca serrata, gli occhi liquidi. Anche con il dottore, continuavo a lacrimare senza poter smettere, ma non emettevo un suono. Era come se la desolazione di averlo perso mi spingesse a svuotarmi del tutto... a liberarmi. Quando ripresi a combattere, il mio silenzio si tramutò in urla, in grida d’odio, incomprensibili; gemevo e piangevo pur lottando», tossì.
«Sarebbe una cosa imbarazzante da dire, se non conoscessi il sentimento che mi percorreva allora. Non c’è nulla su cui mentire: stavo male, ero distrutto. La morte è capace di cambiarti.
Io ero divenuto un mostro. Non mi fermai di fronte ai “superiori”, non gettai la spugna; imprecavo e sussurravo parole necessarie all’alchimia, ripetutamente».
Logan si voltò a sinistra, guardando l’interlocutrice che gli era accanto: lei conosceva la storia, ne faceva parte. I due di fronte, invece, ne erano ignari.
Continuò a parlare: «Stavo completando un cerchio alchemico, la spada di Jack era appesa alla mia cintola, quando la vidi... stava risalendo la Piana con le sue scarpe scomode, inadatte alla montagna; la riconobbi subito. Eve della famiglia dei Burnside.
Mi parve in difficoltà, teoricamente doveva essere prigioniera dei vampiri, quindi se era lì doveva essere scappata. Conclusi l’alchimia e poi corsi verso di lei. Mi guardò con paura, aspettandosi chissà cosa, di certo non un alchimista che voleva aiutarla.
Si bloccò, spalancando i suoi occhi scuri; la bocca semiaperta in una smorfia di terrore. Si tranquillizzò solo quando le fui accanto e riuscì a vedere la divisa dell’esercito.
Era deperita dal rapimento, le sue mani tremavano, il suo sguardo era vacuo, quasi si mise a piangere di gratitudine riconoscendo che ero lì per salvarla. La rassicurai, porgendole una mano e sostenendola fino all’accampamento, dove la feci entrare nella mia tenda, continuando a sussurrarle che era al sicuro», il suo tono era più calmo, ora. Aveva smesso di parlare di Jack e questo lo rendeva meno soggetto ad emozioni; sembrava fare una cronaca degli avvenimenti.
«Beh, poi le stetti accanto un altro poco. Pensai che era meglio tornare sul campo, ma l’idea di Jack in infermeria riaffiorò nella mia mente; pensai che avrei dovuto dirgli qualcosa, non so... sentivo di volergli parlare un’ultima volta, prima che altre mani lo toccassero e venisse sepolto da qualche parte; prima che io dovessi portargli i fiori... e – e parlare ad una lapide», ecco ritornato il tremolio della voce, la sensazione rotta di un amore spezzato.
«Decisi quindi di andare a trovarlo. Il sole stava sorgendo, i vampiri negativi si ritiravano, cercando un nascondiglio; gli umani ne bloccarono alcuni e li lasciarono bruciare con i raggi solari. Io camminai rapidamente, guardando dove mettevo i piedi. Le lacrime erano finite mentre combattevo, fra un’alchimia e l’altra; la spada di Jack era ancora là, attaccata alla mia cintola, mi sbatteva sulla gamba.
Jack era su un letto, pallido. Mi sedetti accanto a lui e gli strinsi la mano, carezzandolo. “Non saresti dovuto morire così, anche se tu dicevi che l’importante era proteggermi... avrei voluto passare molto più tempo con te, non solo undici anni, ma una vita intera, sino alla morte naturale. Lo so, è il nostro lavoro, è normale morire prematuramente. Per te avrei voluto, però, una vita piena di felicità... poter ancora tenerti la mano, amarti; e, forse, un giorno riuscire a dire a tutti quanti quanto ci amavano. Non ci era permesso... ma saremmo stati noi due, per sempre, senza compromessi, senza ombre e affanni. Mi dispiace... mi manchi già; mi strazia sapere che da adesso camminerò da solo. Che non ti avrò accanto. Che non potrò farti più sorprese, farti ridere, parlare soltanto; mi dispiace che tu sia... non riesco a credere che da oggi tu non esista più”, avevo sussurrato piano, al suo orecchio, con le braccia sul suo petto. “Tu non ci sarai più e io continuerò a vivere, magari un giorno amerò qualcun altro, ma non te. Vorrei poterti dire quanto eri importante, Jack. Quanto ti amo”.
Non lo immaginavate, vero? Non l’avevamo detto neanche a voi, nell’esercito non si è mai visti di buon occhio, Jack ne avrebbe passate delle brutte, qualcuno l’avrebbe riferito a mio padre, e lui sarebbe stato capace di uccidermi per un tale disonore. Non l’avevamo detto ad anima viva, ci bastava saperlo noi due, in segreto, uniti.
Quindi gli dissi addio.
Tornai alla tenda, dove Eve riposava, e mi sedetti a terra. Fuori, i “superiori” combattevano ancora, il nostro esercito era allo stremo. Passavano le ore, il sole saliva sempre più in cielo, noi soccombevamo sotto quelle bestie.
Non riuscivo a muovermi, egoista nel mio dolore – dopo essermi sfogato, partecipando alla battaglia, le mie energie si erano esaurite.
A un certo punto, suonò una tromba. Mi ritrovai a pensare che fosse strano, sbagliato, che non c’entrasse niente; una tromba? Eve si smosse dalla sua posizione e mi guardò con preoccupazione, presagendo cosa potesse significare quel suono. La ritirata. La sconfitta.
Uscii dalla tenda. Probabilmente ero l’unico ad essere sfuggito alle ultime ore di combattimento, quasi tutti erano stati spinti dai propri ideali patriottici o, se si può dire, razziali: beh, i vampiri sono una razza diversa dalla nostra. Comunque sia, la sopravvivenza dell’intera specie li aveva fatti lottare fino all’ultimo. Peccato che avessimo perso. Ben pochi si erano radunati al centro dell’accampamento, tutti spaventati per il loro futuro; tutti con la pena negli occhi, l’idea fissa di non avere più un posto sicuro al mondo.
Respirai a fatica, avvertendo quello che significava una tale disgrazia: immaginai l’imperversare dei vampiri, gli umani costretti a nascondersi... gran parte del S.S.E.V. era morto, il resto, gli unici positivi rimasti dalla nostra parte, si erano affrettati a nascondersi, probabilmente nella speranza di una battaglia futura. Sarebbero la nostra unica via d’uscita, poiché gli altri sono stati rapiti dalle loro ville.
C’era un’atmosfera triste, buia, anche se il sole svettava in cielo; tutti tacevano, a lutto.
Eve mi afferrò la camicia, tremando. “Ora prenderanno mio padre”, mi disse. “La mia famiglia”.
“Non solo la tua”, risposi. I suoi occhi neri si allargarono, bagnandosi di lacrime: provava compassione per chi sarebbe morto.
“Mio fratello è scomparso, stanotte, e non ho potuto piangerlo”, mormorò, coprendosi la bocca con le mani nervose. “Mio padre farà la stessa fine. Non soltanto. No. Ciascuno di noi dovrà penare. Ciascuno dovrà morire!”, si coprì gli occhi, allora, chinò la testa sul petto... l’abbracciai per consolarla.
Intorno, i superstiti continuavano a guardarsi intorno, spaesati; incapaci di pensare a cosa fare, ora. I loro volti, macchie scure piene di mestizia, erano lo specchio del mio.
“Non c’è più nessuno che può proteggerci. Con la sconfitta, cade l’Impero, declina ogni cosa. Bisogna nascondersi e sperare di non essere trovati”, le sussurrai all’orecchio. “Prima di scappare, però, devo fare una cosa: seppellire il mio compagno”.
Ci muovemmo in fretta, spostandoci fra le tende grigie; il sole mi riscaldava le ossa, ma non ne traevo piacere. Quella era stata una notte funesta, da dimenticare in fretta. Chiesi ad Eve di aiutarmi a trasportare Jack fuori dall’infermeria, nascondendoci dal dottore, che pretendeva ancora di avere il controllo e l’autorità di quel luogo. Diciamo che lo stordii con un’alchimia che ero solito usare con i vampiri – il consueto cerchio che crea una barriera d’aria tale da scombussolarti tutto. Comunque, portammo Jack lontano dall’accampamento. Non so neanche come facemmo: Eve non è certo una donna forzuta, ha sempre vissuto senza lavorare, come ogni figlia di aristocratica famiglia; in più, io non ero nel massimo delle forze, mi sentivo stremato, avvilito. Fu la paura, l’ansia forse, da parte mia anche l’amore e la volontà di dare a Jack una sepoltura degna di un re.
Lo adagiammo vicino al bosco, dove la lava cedeva il passo all’erba verde di montagna. Lo facemmo scivolare dalla brandina e iniziai a circondarlo con iscrizioni alchemiche, volevo tramutare il terreno in una tomba. Feci in modo che il suo corpo si unisse alla terra, che essa divenisse una lastra di basalto, poi incisi il suo nome con una pietra che porto sempre, insieme ai quarzi e ai gessi. Scrissi il suo nome... e... “Oltre ad essere un uomo, Jack era orgogliosamente umano. Un idealista, amato fino alla sua prematura morte. Rimarrà qui per l’eternità a vedere il sole sorgere su Aiedail, la sua vera casa”. Erano parole brutte, lo sapevo, ma non avevamo più molto tempo ed io ero incapace di esprimere qualcosa di più... reale. Sincero. Dovetti andare via da quella pietra, dalla sua tomba.
Alcuni vampiri stavano iniziando a dare la caccia ai sopravvissuti; io ed Eve tornammo di fretta alla tenda, per prendere delle coperte, poi passammo dalla mensa e rubammo delle pagnotte, formaggio, un pezzo di carne essiccata. Ovviamente, la mia attrezzatura da alchimista l’indossavo già, esattamente dalla notte prima; il mio zaino si appesantì con le provviste, alla mia cintola era rimasta la spada, ma pensai che era meglio tenerla: non volevo separarmi da quell’oggetto tanto amato da Jack, in più poteva servire. Infatti, fu utile un’ora dopo.
Stavamo uscendo dall’accampamento, i vampiri erano sempre più attivi, cercavano di sterminarci tutti. Presi la mano di Eve e ci mettemmo a correre come pazzi, furiosamente, per rimanere vivi. Al limitare del bosco, vicino alla tomba di Jack, decisi che era meglio fermarci e proteggerci con l’alchimia. Affondai la spada nel terreno: la lama era d’argento, un elemento prezioso contro i vampiri. Tracciai un cerchio abbastanza largo in cui io ed Eve saremmo stati per un po’, per riposarci; le parole antiche intrecciate attorno all’arma, attivavano una proprietà di transizione; acquisivano il potere dell’argento. Eravamo protetti da quel cerchio. Vidi avvicinarsi due vampiri, ma non osarono colpirci.
Insomma, eravamo al sicuro e ci riprendemmo da quello che era successo. Dormimmo vicini, al freddo; la mattina dopo partimmo... non avremmo trovato carrozze atte ad aiutarci, né persone; eravamo certi che ormai l’unico mezzo sicuro erano i nostri stessi piedi. Così camminammo fino alla città più vicina. Là contattai mio padre, stranamente, perché pensai che la cosa migliore era ritirarsi in casa, lontano dal via vai tipico delle cittadine.
Eve venne con me, non sapeva dove andare né cosa fare, ormai era orfana, senza una casa, destinata a rimanere sola.
Ecco perché ora è alla mia sinistra», concluse Logan, indicando la donna che gli stava accanto.
*









Allora, il capitolo racconto/confessione by Logan l’ho in testa da almeno un annetto e mezzo... e finalmente eccolo qui. Forse non è come lo immaginavo °_° anzi, non lo è.
Comunque, devo dire che qua c’è un’ispirazione prettamente Draculiana: il cerchio protettore, se non erro, era stato fatto da Van Helsing o da qualcun altro con dell’aglio... non c’era di mezzo Lucy? Oddei, non sono sicura, perché l’ho letto tempo fa, ma mi pare che i due passarono una notte sulla neve, circondati d’aglio o acqua santa, quello che era.
Sono un po’ dubbiosa sul capitolo, ma nei limiti della decenza xD (però mi piace l’addio di Logan a Jack, lo trovo molto pieno d’amore, vero; sentito)

Passiamo alle recensioni:
Lyssa: che dire, grazie *__* hai ignorato praticamente tutto per leggere PB, che onore. Sì, la storia sfugge a ciò che ci si aspetta all’inizio, diventando qualcosa di... boh xD. Comunque, sono felice che ti piaccia =) e grazie per la recensione.
Cloud Ribbon: Partiamo con la critica più che dovuta: hai ragione ç_ç, e questo fatidico errore sarà una macchia di cui mi ricorderò come una colpa senza perdono. Comunque, a mia discolpa (?) posso dire che sia Sofi che Adam non sono dei mostri assoluti, entrambi non hanno a cuore la “causa vampiresca” come può averla Gabriel e Armelia (e questi due hanno le loro ragioni, u_ù); sia Sofi che Adam, insomma, sono incoerenti, ma solo sul piano mentale, perché poi le loro azioni rimangono le stesse: si arrendono alla loro natura, ma entrambi hanno dei sentimenti. Ecco. Hassan è un’altra storia xD e diciamo che, così come Ryan è morto per (un mio) un capriccio di Violet, così anche questa scelta di Hassan è segno dell’animo capriccioso dei vampiri; ovviamente, ti do ragione, capisco quello che vuoi dirmi e ti chiedo scusa di aver fatto questa emerita cazzata ç_ç, che ha lo stesso una vaga parvenza di senso. (ma forse PB non ha un senso, né una morale, e questo bisogna accettarlo XD)
Per il resto: grazie. (e sono curiosa: come vorresti che finisse PB? *-* (già me lo immagino) … beh, mi dispiace, ma sono sadica) ♥.

Ora corro dritta filata a studiare latino. Lo sapete che sono al quinto anno, cari lettori? Esami! Tremate! (cioè, dovrei tremare io)... proprio per questo spero di sbrigarmi a finire, perché poi non avrò più il tempo neanche di dire: ah.
A presto, Kò

P.S. Ecco come avrei voluto rendere il capitolo, come la canzone che ho usato da colonna sonora: Ballata degli impiccati. Solo che poi ha preso il sopravvento Logan; ho lasciato quindi un po' di descrizioni tristi nel prossimo cap; comunque sappiate che per il capitolo precendente, il presente e quello futuro, mi sono ispirata molto alla suddetta canzone (ergo vi consiglio di ascoltarla XD).

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Capitolo 63
*** Il tripudio dei vampiri | The End ***


E ora, l'ultimo capitolo di Positive Blood.


102 – Il tripudio dei vampiri

Mentre Logan Mckay e Eve della famiglia dei Burnside, come avrebbe raccontato l’alchimista un mese dopo, sfuggivano ai vampiri, questi festeggiavano in mezzo alla Piana di Fuoco.
Gabriel Gray, il capo, aveva accanto la consorte Juliet, che tacitamente lo incoraggiava a parlare. Vi era gaiezza nel volto di ogni vampiro, una soddisfazione secolare sembrava spandersi su quella pelle pallida, in quegli occhi rossi; la liberazione totale dal passato stato di cose li rendeva euforici.
Gabriel si mosse, volgendo lo sguardo verso i capofamiglia, tutti intimamente felici della riuscita del loro piano – beh, era ovvio che sarebbe andato a buon fine. Socchiuse gli occhi, godendo del sole sul suo corpo macchiato di sangue (da molti secoli e sempre per un unico obbiettivo), sentendo visceralmente le sue carni rimescolarsi sotto la superficie, amalgamarsi in quella letizia dei sensi: la sua vendetta era compiuta! Ogni istante appariva migliore del precedente.
Si schiarì la voce, pretendendo il silenzio. I vampiri lo guardarono fissamente, immobili.
«Non abbiamo mai dubitato della nostra vittoria, sapendo che è difficile spezzarci la schiena; ma non dobbiamo negarci un po’ di autocompiacimento, un po’ di audacia: siamo stati i migliori, abbiamo dimostrato infine la nostra superiorità, spazzando via l’esercito, lavando la lava con il loro sangue. Da troppo tempo gli umani si gingillavano nella loro culla d’oro e piume, credendosi infallibili, immaginandosi capaci di dominarci a poco a poco, con la tipica volontà della loro razza.
Siamo stati noi a dargli queste speranze, per secoli, e ora noi le abbiamo riprese, strappate dai loro petti sanguinanti. E con che merito! Sono morti dei nostri familiari, stanotte, ma oggi potremo festeggiare la libertà che loro stessi agognarono: l’anarchia, la cupidigia, la lussuria, qualsiasi cosa ormai è permessa. La società è distrutta dalle basi: i positivi sono nelle nostre mani, l’esercito è caduto; non hanno più difese, non avranno neanche la gioia di vivere, sapendosi già perduti. La loro alterigia, il loro sprezzo per noi “bestie mostruose” diverrà paura. Terrore.
Immaginate i loro volti spauriti, impalliditi; le loro mani rapide, i loro piedi scattanti... immaginate la corsa delle prede. Siamo liberi di essere quello che siamo: cacciatori». Gabriel fece una pausa ad effetto, assaporando l’aria che respirava un po’ per abitudine, un po’ per sentire i profumi della terra umida: l’odore di morte copriva la frescura degli aghi verdeggianti, lì intorno, dei pini e abeti spettatori. Juliet lo guardò complice, riempita dalle sue parole; Armelia Liddell, di fronte a lui, serrò la mascella squadrata, strinse le labbra carnose in un sorriso pieno d’odio per gli umani.
Ogni loro desiderio era stato soddisfatto.
«Ora, dovrò ufficializzare la situazione: andrò dall’Imperatore con chi vorrà seguirmi, prendendogli lo scranno e la testa», ghignò, gli occhi azzurri pieni di un futuro radioso.
Nella folla che lo ascoltava, Samuel – il bambino antico, il vampiro che aveva massacrato parte della sua razza per la famiglia che gli era stata uccisa – fece una smorfia di sdegno. Cain, il primo “superiore”, lo fissò con astio.
«Non saresti dovuto venire qua, caro Samuel; non eri sfavorevole alla guerra? Eppure, vedi, abbiamo vinto, contro ogni tua previsione... ancora convinto di essere nel giusto?», gli chiese il Dannato, digrignando i denti con melliflua lentezza.
Samuel alzò lo sguardo su di lui, flemmatico. «Continua a sperare, Cain. Io ripeto quel che ho detto: si sottovaluta troppo la forza degli umani, la voglia di rinnovarsi, riscattarsi; siamo noi che meriteremmo questa fine, noi che rimaniamo sempre uguali, cristallizzati nel momento della nostra morte, come i nostri corpi identici per millenni. Noi non siamo capaci di mutare, di evolverci; loro sì», borbottò, sempre con un tono neutro. Non aveva interesse a stare lì, li aveva seguiti per inerzia, sicuro delle proprie idee, ma non aveva preso parte al massacro.
Cain ridacchiò dolcemente, come suo solito, muovendo le mani nell’aria, cercando di afferrare le sue parole vuote. «Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere», disse. «Sarai anche più vecchio di me, potrai essere più saggio, ma qui non si parla di ragione – si parla di sangue che chiama! Un vampiro non dovrebbe rifiutarsi di fronte a tanto ben di Dio, non credi?», fece il gesto di mordere l’aria, i denti affilati ben in mostra, gli occhi rossi e folli puntati sul bimbo. «Tu hai perso il tuo ardore dopo aver assolto alla tua vendetta; io, a differenza di molti altri, non ho paura di te né delle tue parole. Sei come il soffio del vento, inutile ascoltarlo, inutile temerlo.
Gabriel ha dimostrato questo a tutti noi: ci ha spinti a conquistare ciò che ci spetta».
Samuel serrò i pugni. «Gabriel è uno sciocco che ha convinto i suoi simili per uno scopo del tutto personale: una vendetta. Lo capisco perché anch’io ho perso tutto per uccidere i miei assassini».
Cain s'infuriò per quelle parole così ciniche: come poteva rifiutarsi di vedere, di capire il bisogno della sua razza? «Spari sentenze senza saper pensare», lo insultò, abbassandosi alla sua altezza, al suo volto piccolo e tristemente bello.
Il bimbo, gli occhi rossi fissi sui suoi simili, le labbra nere piegate in una smorfia, finalmente un moto d’interesse sul suo viso, gli ringhiò contro. «Non dovresti prendere alla leggera quel che dico. Nessuno dovrebbe! Solo perché non ho preso parte ai combattimenti, questo non vuol dire che io non capisca le voglie della carne, così come il vostro punto di vista. Ma non riuscirai a convincermi che questo andrà a finire come avete prospettato; ricorda, ho il doppio dei tuoi anni! Conosco più gli uomini dei vampiri e so che sono capaci di risorgere dalle loro ceneri; so che non hanno pietà per chi li ha piegati, violati, offesi, derisi, uccisi; per chi li ha costretti in schiavitù e ha deciso di profanare le loro vite, il loro Imperatore. Potranno dimenticare, a differenza nostra, i nomi, i volti, i morti, ma non l’idea che vi era, la libertà che potevano dire di possedere. Anche se poveri, morti di fame, erano liberi. Come potresti dire che non si vendicheranno? Tu che – dici – hai lottato proprio per aver libero dominio», poi sputò verso terra. Cain gli corse incontro, ma il bimbo lo bloccò con forza inattesa e scappò via, scocciato da quel discorso e da quel vampiro che conosceva fin troppo bene. Inutile pensarci ancora, tutto sarebbe passato sulla sua pelle stanca e apatica, tutto sarebbe avvenuto sotto i suoi occhi antichi; inutile muoversi, bastava saper pazientare.
Cain lo guardò furente mentre se ne andava, poi si voltò di nuovo verso Gabriel e Juliet, sogghignando. Il capo stava continuando a parlare, ignaro dei discorsi che vi erano fra le varie famiglie vampiresche. «Così, come abbiamo appena deciso, Armelia Liddell mi aiuterà a uccidere l’Imperatore; insieme a noi, mia figlia Violet e suo figlio Maximilian; più gli altri volontari che ci aiuteranno con le guardie. Perfetto, partiremo stanotte».
Il sole scintillava più in basso, pronto a nascondersi dietro le montagne dai ghiacciai perenni; tingeva tutto quanto con un rossastro amaro, troppo simile al colore di quei cadaveri lì dispersi, di quei corpi dal sangue rappreso che dormivano ormai per l’eternità sulla lava nera, sulla sabbia e l’umida terra, senza poter ricevere un degno funerale, senza poter avere le lacrime dei loro cari che ancora non immaginavano la disgrazia.
Il cielo divenne più scuro, portando con sé il fresco di novembre; poi ci fu la sera, e una coltre buia, punteggiata da stelle fulgide, occultò quegli umani dalla vista di chiunque.
Intanto, i vampiri negativi si risvegliavano nei loro nascondigli, pronti a scorrazzare per il nuovo mondo.

Hassan uscì dalla terra, respirando il gelo dell’autunno. Andò insieme agli altri negativi ad ascoltare le parole di Gabriel, che annunciavano il suo spostamento verso Alesia, la capitale, e il suo successivo attacco all’Imperatore. Inezie per le sue orecchie: si sentiva incredibilmente stanco.
Anche Adam e Sofia, che già avevano seguito il discorso di qualche ora prima, erano ormai tediati dalle parole del loro capofamiglia e si scostarono dal gruppo. Avevano fatto la loro parte. Adam, che era stato scelto come infiltrato, aveva finito il suo incarico e Gabriel gli aveva concesso la totale libertà.
Alzò il volto verso il cielo stellato e la luna a forma di falce, annusando il vento che soffiava da sud-est; Sofia gli si mise accanto, silenziosa. Lui la guardò per qualche istante, sogghignando piano, e le afferrò celermente la mano, iniziando a correre. Fece a meno di congedarsi da Gabriel, il suo capofamiglia, o di salutare la madrina Violet o il figlio Hassan. Sofia lo seguì.
Correndo via, si allontanavano da quella guerra lampo e da ciò che aveva portato; tornavano a Leluar, a casa di Adam, per assaporare la nuova felicità di ritrovarsi insieme. Sofia stormì il ricordo di un paio d’occhi piangenti; Adam rifuggì il mondo, cercando una letizia lontana dalla disfatta degli umani. Era più facile richiudere la pietà in un cantuccio, lasciarla dietro di sé, e pensare alla gioia che poteva nascere dal sapersi non più soli.
Ecco come ragionavano: egoisticamente. L’istante d’umanità era stato già dimenticato, scegliendo se stessi piuttosto che gli altri, mentre si tenevano per mano.
Era il tripudio dei vampiri. Anche Gabriel, preparandosi a partire, sembrava aver scordato che un tempo, non troppi secoli prima, era stato anch’egli un essere umano.

Gabriel e gli altri si mossero velocemente per Aiedail, correndo sia di notte che di giorno, per raggiungere Alesia e il suo cuore: l’Imperatore. Violet sorrideva percependo l’aria sferzarle il volto, evitando gli ostacoli, gli alberi che le intralciavano il cammino; vicino a lei, Maximilian si sentiva il cuore gonfio di quelle ore passate a non pensare, con gli occhi vigili che osservavano il paesaggio mutare.
Arrivarono di pomeriggio, con il sole calante alle spalle. Erano abbastanza da poter sconfiggere il corpo di guardia, entrarono facilmente al palazzo, che aveva ancora un’ala distrutta; portarono il disordine in quelle stanze ricche e fastose, piene di convinzioni appena sussurrate e sangue blu. Passarono senza fermarsi un istante, razziando, depredando quello che ormai era loro: il simbolo del potere cadeva nella mani dei vampiri.
Elisabeth e Francis erano ancora lì, poiché lui stava iniziando soltanto ora a rimettersi. Appena videro quello che stava succedendo, Elisabeth strinse i denti e si preparò a fuggire, pur di salvare suo fratello. Se i vampiri erano lì, voleva dire che l’esercito era stato sconfitto; quindi non avevano possibilità. Questo Francis non pareva capirlo, si era intestardito e voleva riprendere a combattere pur di salvare l’Imperatore e gli umani, ma Elisabeth lo afferrò per le spalle, bloccandolo al muro, e lo guardò in silenzio, respirando affannosamente, con la speranza che si calmasse. Francis scalpitò sotto le sue mani, abbastanza da far sanguinare la ferita; poi osservò gli occhi verdi della sorella, identici ai suoi, così seri e pieni di forza e sospirò, abbattuto.
«Dovremmo salvarli», mormorò quasi piagnucolando, cercando di convincerla.
«Se fossimo in grado di salvare noi stessi. Ma io devo badare a te, zuccone; voglio che tu rimanga vivo. Non so, da quando hai questi istinti suicidi? Non capisci? Non abbiamo speranza. Non ne hanno. Se scappiamo, almeno potremmo vivere un altro po’ e cercare un modo per riprenderci il nostro mondo; così, andresti solo a farti ammazzare! Saresti carne da macello. Non ti permetto di morire così, Francis, sei mio fratello», sbraitò lei, lasciandolo lì e incominciando a prendere il necessario per fuggire. Si sentiva vile, profondamente; stava tradendo tutti i suoi ideali, tutto ciò che aveva fatto fino ad allora, eppure non poteva farsi massacrare così, questo non avrebbe risolto la situazione. Ora Francis aveva bisogno di riposo, Elisabeth voleva tentare l’impossibile: salvarlo e salvarsi.
«Dove andremo?», domandò suo fratello, adocchiando la benda insanguinata.
«Non lo so. Da Logan?», rispose lei, sistemando una garza nuova sulla ferita.
Poco dopo, sentendosi dei cani, sfuggirono ai vampiri, passando per il parco del palazzo, finendo nel parcheggio della carrozze, dove due settimane prima Violet, Eve e Hassan avevano aspettato Armelia; poi si dileguarono fra i camerieri che correvano impauriti, scappando da quei mostri assetati di sangue.

Gabriel entrò nella Sala del trono. Un sorriso disteso e pieno d’idilliaca gioia solcava le sue labbra sanguigne; gli occhi blu brillavano nella penombra del salone, non visti dall’Imperatore, che sedeva sul suo scranno in silenzio.
Juliet era dietro il suo amato, con le mani sul grembo ormai vuoto, e osservava la scena con entusiasmo. Armelia fremeva accanto a lei, ma neanche lei fu riconosciuta dall’Imperatore Achille, che sembrava perso nei suoi pensieri e non aveva ancora notato gli ospiti.
Gabriel fece un passo con teatralità, misurando la stanza con gli occhi; più era vicino alla sua totale vittoria, più pareva voler godere di ogni istante, cercando di rallentare quel processo già pronto a finire.
Sogghignò, salendo i pochi scalini che dividevano il vampiro dall'Imperatore.
La luce, filtrata dalle finestre a lato, era fioca; gli arazzi sulle pareti erano scuri e quasi illeggibili; e vi era un silenzio profondo, lontano dalle lotte intestine alla guerra, distante da Aiedail.
Gabriel si mise di fronte ad Achille, poggiando le mani pallide sui fianchi stretti. Annusò l’aria, che sapeva di stantio e vecchio – quanto lui e quanto le tradizioni degli umani.
Achille alzò il volto verso di lui, serrando la mascella in una smorfia d’altezzosa indignazione.
Il suo errore era stato il cadere nel pregiudizio, il credere nelle favole dalla morale già preconfezionata: aveva sottovalutato il nemico, pensando che la propria fosse la razza migliore, l’unica necessaria a quel mondo. E, invece, gli umani erano soltanto prede per quei mostri; e lui non aveva saputo vedere il pericolo incombente, valutandosi al di sopra d’ogni sconfitta. La verità era un’altra; un errore di calcolo, una minuscola convinzione posta alla base di un’azione come una guerra, era capace di far cadere chiunque in ginocchio. Anche l’Imperatore, che si era sempre reputato invincibile.
Le sue ultime parole furono lo stesso d’odio, d’incomprensione. Non vi era nulla da capire in quel mucchio di ossa. «Potrai sedere su questo trono e diventare Imperatore, forse, ma non lo sarai per l’eternità. Tutti sono destinati a morire, anche chi si crede immortale. Anche tu farai la mia stessa fine, mostro», sputò, alzandosi e fronteggiandolo con lo sguardo nero.
Gli occhi di Gabriel ribollirono di rabbia, divenendo scarlatti; con uno scatto in avanti, i suoi denti affilati cozzarono con il collo dell’uomo, gli serrò la bocca sulla giugulare e incominciò a bere. Achille gli afferrò le spalle con le mani, cercando di sfuggire; Gabriel alzò le braccia e lo abbracciò con una morsa d’acciaio, spezzando in più parti la sua schiena; infine, lo strozzò, mozzandogli la testa, che cadde con un tonfo ai suoi piedi, insieme al corpo dell’Imperatore.
«Non posso dire di non avere sangue blu, adesso. Il trono è mio di diritto», ridacchiò, dando un calcio al cadavere inerme e spostandolo da lì. Si sedette sullo scranno, con il volto macchiato di rosso. Il sorriso era ricomparso, spietato.
Juliet gli si avvicinò, eccitata, e lo baciò sulla fronte, suggellando quell’istante.
Armelia ghignò con le labbra carnose e s’inchinò, mormorando: «Al nuovo Imperatore di tutta Aiedail».
La sala cadde nell’ombra: il sole era tramontato.
*



103 – The end

Era notte quando Elisabeth suonò al cancello di casa Mckay, sperando che qualcuno fosse vivo. Francis era appoggiato a lei, con il braccio sano intorno alle sue spalle, e respirava faticosamente.
Di certo non si aspettavano di trovare Logan, sopravvissuto alla guerra, o Eve dei Burnside al suo fianco. Non immaginavano il suo racconto straziante su quello che era successo, su com’era morto Jack e come l’avevano seppellito... né potevano sperare di trovare un posto dove stare.
Quel luogo non era al sicuro, così come il resto del paese, ma almeno avevano delle armi, un letto dove riposare, qualcuno con cui stare; avevano un luogo da chiamare casa. Erano insieme, i resti del Team 7, ognuno con una ferita da sanare, con il cuore sanguinante e le colpe che li tormentavano al buio.
Francis spesso non riusciva a reggere la mancanza del suo braccio destro, rimpiangendo quella parte di sé che lo aveva reso un uomo diverso, forte; ora si sentiva debole, monco non soltanto nella carne, ma nell’animo. Anche Elisabeth era tormentata dall’idea di non essere abbastanza, di non aver fatto niente per salvare i suoi cari e Aiedail; non chiudeva gli occhi verdi, pur di non vedere i fantasmi di chi era probabilmente ormai morto.
Logan non parlava più di quello che era successo, dopo averlo raccontato a entrambi; vagava per la casa, lontano dal padre infermo, che era rinchiuso nelle sue stanze a causa della malattia. Dentro la sua mente, l’alchimista provava a ricordare tutti i dettagli che avevano accompagnato la morte di Jack. A volte si fermava, poggiando la mano sul muro o su un mobile, riposando un po’; ma poi tornava a camminare, sussurrando parole nell’antica lingua dell’alchimia.
Soltanto Eve sembrava tranquilla: sedeva nel salotto, guardando con interesse i decori della stanza, oppure leggendo qualche romanzo. Un attento osservatore, non concentrato su se stesso – come Logan, Francis ed Elisabeth – avrebbe visto la malinconia del suo sguardo nero, ingabbiato in quel corpo spossato; e avrebbe scorto le mani tormentate, la carne che si assottigliava sotto il peso delle lacrime e del dolore.
Ma ognuno era perso nei propri problemi, nei ricordi e nelle possibilità di un finale diverso: così, nessuno vedeva l’altro.
Una notte, però, si incontrarono tutti e quattro nella sala da pranzo, senza darsi appuntamento. Turbati dai loro pensieri, erano arrivati lì per caso. Non parlarono per molto tempo, stettero seduti a non ragionare, giocherellando con le dita e i bottoni dei vestiti. Avevano perso l’uso della parola, la voglia di condividere.
Elisabeth era la più forte, come sempre, e incominciò: «Chissà dov'è Daniel, adesso». Non era un bell’argomento, ma aveva pensato anche a lui, durante tutto quel tempo. Non avevano notizie del loro compagno, né nessuno avrebbe potuto informarli, visto che la società stessa era andata distrutta.
«Aveva la scorza dura», borbottò Francis, cupo.
«È sempre stato forte, ricordate? Un uomo possente, bravo a combattere. Se la sarà cavata», esclamò Logan, apatico. Le sue erano valutazioni di comandante.
«Aveva anche buon cuore. Una volta mi ha detto che sarebbe voluto tornare a casa, dalla sua amata; avrebbe voluto morire accanto a lei, rivedendo i ghiacci del suo paese. Mi è sembrato... molto umano», mormorò Elisabeth, abbassando il tono della sua voce. Ripensò alla casa che aveva avuto da bimba, con Francis, e a quando giocavano nel grano, si rincorrevano felici, credendo che sarebbero stati lì in eterno. Ora non potevano tornare.
«Sarà salvo», disse Eve, pur non conoscendolo. Voleva che fosse così.
Tutti quanti sorrisero nel loro intimo, sentendosi un po’ più vicini, un po’ meno soli. Potevano superare quel trauma, insieme, potevano pensare a una rivincita.

C’era molto buio, quella sera, e un freddo pungente faceva intirizzire i pochi uomini che osavano uscire a quell’ora. Daniel sorrise tranquillamente, riconoscendo come sua quella temperatura, quell’aria frizzantina di novembre: tutto presagiva il suo ritorno.
Si mosse quatto, silenzioso, strisciando sui muri. Il porto era vicino; i più coraggiosi avevano ancora la forza di scappare via dal regno dei vampiri, di sfuggire nella notte sinistra, cercando salvezza. Daniel fece qualche altro passo, superando una via poco illuminata, ed entrò nel porto.
Il mare rumoreggiava placido, si muoveva lentamente fra le barche, inondando la zona con il suo odore salmastro. La luna era nuova, nera fra le stelle brillanti, che davano una rotta a chi si azzardava a navigare.
Daniel trattenne il respiro e corse verso lo scafo che l’avrebbe portato a casa. Aveva venduto quello che ancora possedeva, pur di andare via da Aiedail e tornare da Muriel, la donna amata che lo aspettava.
Senza paura, salì sull’imbarcazione, accoccolandosi sul ponte e guardando le stelle. Una piccola lacrima s’impigliò tra le sue ciglia.
Era la cosa giusta da fare, era giunta l’ora che il suo corpo fosse accolto tra le braccia calde di casa. Non voleva essere un eroe folle, capace di perdere la sua vita per una battaglia persa; il suo dovere l’aveva fatto, la sua sete d’orgoglio era stata spenta tempo prima... era cresciuto e adesso era abbastanza uomo da capire che doveva tentare di essere felice, di poter avere una salvezza.
Quando la barca salpò, lasciò un po’ di sé ad Aiedail, fra quei monti boscosi, quelle colline verdeggianti, in quella villa bianca, fra i suoi compagni: Logan, Jack, Elisabeth e Francis. Gli disse addio, socchiudendo gli occhi e assaporando il freddo che l’avrebbe accompagnato nel suo viaggio.

Quella stessa notte, Rupert si smosse nel letto del fratello, muovendo una mano in cerca del gemello mancante. Aprì gli occhi azzurro chiaro, sentendo un groppo alla gola. Si mise seduto e guardò Luna dormire tranquilla, con la mano sotto il cuscino morbido.
Il bimbo scese dal letto a castello e le si avvicinò, non svegliandola. Si strinse accanto a lei e le mise una mano sul fianco, sentendo finalmente un po’ di calore. Si addormentò con il viso vicino al suo, respirando il suo respiro, mentre sognava di essere con Ryan.
Luna sorrise nel sonno, felice di averlo con sé.

La bimba cammina lentamente, sotto il peso dello zaino. Si guarda intorno, conoscendo a memoria la strada che fa per tornare a casa. Vi è un viavai di persone, riscaldate dal calore del sole primaverile.
La frattura spazio-temporale è vicina, molto vicina...
Sofia si sveglia: non è ancora giorno, ma una luce grigiastra si infiltra dalle imposte e illumina la stanza. Tende una mano e tocca il corpo fresco di Adam, che ancora dorme, immerso nel suo dormiveglia pieno di sogni.
Si siede e lo guarda: appare indifeso, quasi umano, mentre i raggi filtrati dal vetro svelano i suoi capelli dorati, le sue ciglia nere; rimangono in penombra il naso, il mento, e le guance, che sembrano un po’ scavate nel buio, vuote. Il petto chiaro si alza e si abbassa per il respiro: ecco un altro segno d’umanità. Ancora non ha aperto i suoi occhi blu mare, acuti, né ha parlato, mostrando il gelo delle sue parole.
Sofia pensa di amarlo. Non è sicura, perché lo ha seguito avendo bisogno di lui, avendo paura di rimanere sola; ma ora che è lì, vampira, con pochi ricordi a brandelli, pochi sentimenti celati nel profondo della sua anima, dentro di lei risalta il suo legame con Adam e quasi si sente felice di aver ricevuto il suo amore.
Fuori dalla casa, il resto del mondo è infelice nella sua disgrazia. Ma lì, all’interno, c’è ancora la magia del buio, dove si celano le cose e i loro contorni, dove non si sa la direzione in cui si sta andando e si prova paura; c’è l’arcano segreto della penombra, dell’incertezza piena d’emozione, che ti dà la possibilità di immaginare la tua realtà. Ciò che vuoi è a portata di mano.
Adam si sveglia, serra gli occhi e la guarda. In silenzio, la bacia sulle labbra, scende morbidamente sul suo mento e sul suo collo.
«Vorrei andare a vedere il sole», mormora Sofia – e anche la sua voce sembra gelida, ma non se ne accorge.
Adam si alza di scatto e la trascina con sé, sorridendo. I volti del mostro si ammorbidiscono in quell'amore – agli occhi di un umano apparirebbe grottesco, però non c’è nessuno che può vederlo.
Salgono le scale, velocemente, ed escono sul terrazzo. Adam carezza i capelli castani di Sofia, guardando la linea dell’orizzonte, tagliata dai profili dei palazzi scuri di Leluar, e il grigio azzurro del cielo. Sofia si volta e lo bacia appassionatamente, passandogli una mano sulla guancia.
«Eccolo», esclama a un certo punto Adam, stringendo la sua mano a quella di Sofia. Sono uniti e sono capaci di sopportare quel sole, quei raggi caldi. Sofia freme, sorridendo.
La sfera di fuoco sorge lentamente, maestosa, e inonda il mondo con il suo calore rossastro. Il cielo si tinge di un azzurro violento, le nuvole diventano d’oro; il sole s’innalza sempre di più, eterno.
Eccolo: è un nuovo giorno, uno come tanti altri.



Ora stringi fra le mani le tue lame stanche
E ricorda che la fine è la più importante
Tutto ciò che hai sempre amato giace in una fossa
Che han scavato le tue stesse ossa

Fra le alghe c’è un eroe che si sente giù
Era uso arrendersi non si arrende più
Ogni alba avrà anche un po’ di morte dentro sé
Niente può minare me e te

Sii perfetto se precipiti

(È la fine la più importante – Afterhours)

Fine










Ho sempre pensato che Pb fosse infinito. Che non sarei mai riuscita a scriverlo tutto. Effettivamente, neanche ora mi capacito di essere qui, a fare l'ultima nota. Eppure eccomi.
Non ho pianto, come sono soliti fare in molti quando finiscono le loro long. Beh, in realtà, mentre scrivevo di Daniel i miei occhi erano un po' umidi (così come mentre parlavo di Rupert), e nel buio della stanza, a letto, ascoltando musica depressiva, qualche lacrima è scesa; ma non è stato un gran pianto. Sono triste, è vero, eppure non troppo.
Non so cosa farò ora. Cosa scriverò. Cosa mi accompegnarà in modo tanto fedele quanto Positive Blood. E' durato 5 anni, è stato unico, è stato un amico, uno sfogo, un segno di costanza e caparbietà.
Adam è stato tanto, poi Sofia, poi Logan, poi gli altri... gli voglio bene come a dei figli.
Lasciamo stare questo, passiamo all'ultimo capitolo: la fine è come l'ho immaginata tre anni fa, con Adam e Sofia che guardano il sole sorgere. Per il resto del capitolo, c'è una forte presenza della notte, del buio; non so, mi è piaciuto fare così, magari ha un senso recondito che non so cogliere. XD

Ora voglio passare ai ringraziamenti, come ogni autrice che si rispetti (XD).
Grazie a:
Gabriella (per aver seguito sin dalla nascita PB). Mamma (per le prime correzioni). Fatma (per le prime letture). Livia (per la prima, unica e inimitabile lettrice; la mia critica personale, scrittrice di PB in pillole). Toscano (per quel poco che ha letto). Antonella e André (per gli scleri, le letture, Logan e Elisabeth). Liz (per Adam e Sofia, i tuoi spin off, la tua dolcezza, i tuoi disegni e template). Silvia (per avermi seguito sempre). Mariasole (per aver sopportato gli scleri della tua compagna di banco e aver letto appassionatamente). Elvira (per le tue letture, correzioni, dolcezze e bacini vari). Mastro (per il supporto morale). Vari conoscenti che mi incitano a scrivere e mi chiedono come procede il romanzo. Marta (per essere apparsa a caso su una mia fic NejiHina, aver letto tutto PB, averlo amato; per i nostri discorsi, per le tue recensioni e tutto il resto). Kiki (che ha appena iniziato l'impresa di leggere PB). Lyssa (che si è letta PB tutto in una tirata, complimenti!). Tutti gli altri che hanno recensito e poi non sono più apparsi. Tatta (per la sua ammirazione pur non conoscendo PB). Lau (per i suoi incoraggiamenti). Chiara (perché ogni storia ha una sua stagione, Clèr). Ale (per aver espresso la tua voglia di leggere PB). Vittoria e Silvy (per avermi ascoltato sclerare sul finale). Leti (anche lei per aver letto un capitolo, aver discusso amabilmente su PB e altro).
E molti altri, tutti voi, tutti gli amici che mi circondano... a tutti grazie. (spero di non aver dimenticato nessuno XDDD)
E' stato bello camminare e arrivare fino a qui, fino alla fine.

Che il sangue sia con voi, vampirofili! +___+


le canzoni del capitolo: E' la fine la più importante (da ascoltare tutto il testo, molto alla PB); The End by Doors.

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