~ Heaven Sent ~ di FleurDeLys (/viewuser.php?uid=81794)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Parte quarta ***
Capitolo 5: *** Parte quinta ***
Capitolo 6: *** Parte sesta ***
Capitolo 7: *** Parte settima ***
Capitolo 8: *** Parte ottava ***
Capitolo 9: *** Parte nona ***
Capitolo 1 *** Parte prima ***
C1
Categoria:
Crossover [Doctor
who – Supernatural]
Genere:
Sentimentale, Sovrannaturale
Personaggi:
Sally
Sparrow, Castiel
Rating:
Giallo
Cronologia:
post III stagione Doctor Who – Metà V stagione
Supernatural
Declaimer:
questa storia
è stata scritta senza scopo di lucro.
I
personaggi di castiel e sally Sparrow sono proprietà
rispettivamente
di Eric kripke (autore e ideatore di supernatural)e di Steven Moffat
(geniale
sceneggiatore
di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner
dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno,
se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole.
Segnalate e
provvederò a rimuovere la storia.
I
"Fare
un respiro nel 2007 e quello successivo nel 1920 è uno
strano modo
di cominciare una nuova vita.
Ma
una nuova vita è quello che ho sempre desiderato."
Con
il ricordo di queste parole nel cuore, Sally Sparrow depose il mazzo
di fiori ai piedi della lapide. Un anno e mezzo era passato dal
giorno in cui Sally aveva perso la sua amica Kathy.
La
ragazza andava spesso a visitarne la tomba, lì nel piccolo e
vecchio
cimitero al centro di Londra.
Quel
giorno, si era alla fine marzo, l'aria era fredda e il cielo grigrio.
Sally, stretta in una lunga giacca di jeans, con le mani affondate
nelle tasche, restò ad osservare in silenzio le parole
incise sulla
pietra. Accanto
a lei, Larry Nightingale, fratello di Kathy, con la sua zazzera di
capelli biondi, la barbetta incolta e la larga felpa grigia, faceva
altrettanto. Alle
spalle dei ragazzi, lontano come un dettaglio sfocato sullo sfondo di
un dipinto, un anonimo gruppetto di uomini e di donne abbigliati di
nero assistevano alla sepoltura di un qualche loro caro scomparso.
Sally
sorrise malinconica davanti alla lapide della sua amica.
Katherine
Costello Wainright
Amata moglie e madre
1902
– 1987
Le
parole incise sulla pietra mentivano, Sally e Larry lo sapevano bene.
Kathy
era morta nel 1987, già, ma non era affatto nata nel 1902.
Che
strana vita quella Katherine! Nata alla fine del ventesimo secolo, un
bel
giorno dell'anno 2007, nel tempo di un battito di ciglia,
era
stata spedita indietro di decenni, fino all'Inghilterra del 1920. E
in quell'epoca aveva vissuto appieno la sua vita. Si era sposata,
aveva avuto dei figli e dei nipoti; una piccola consolazione per chi,
come Larry e Sally, era rimasto nel 2007.
Il
giorno in cui Sally Sparrow si era separata da Kathy era stato anche
il giorno in cui aveva scoperto che il mondo è meno
ordinario di
quanto avvesse immaginato fino a quel momento.
Aveva
scoperto che gli esseri umani non sono i soli abitanti della Terra,
tantomeno i soli abitanti dell'intero universo.
Aveva
scoperto, infine, che esistono persone che vivono vite
straordinariamente fuori dal comune; esistenze piene di stranezze e
di pericoli, di misteri e di avventure.
E
non di rado, in cuor suo, Sally Sparrow sospirava con rammarico
davanti alla consapevolezza che la sua non era una di quelle
esistenze.
Il
massimo che la ragazza poteva fare era tornare con la memoria agli
eventi di più di un anno e mezzo prima, quando aveva
incontrato un
uomo chiamato il Dottore: uno di quegli incontri che non si
dimenticano. Mai. Il misterioso viaggiatore del tempo aveva
scombussolato da cima a fondo la vita di Sally, ma alla fine
– come
ogni cosa a questo mondo – anche quell'avventura era giunta
al suo
termine. L'ultima domanda aveva trovato la sua risposta, il Dottore
se ne era andato e tutto era tornato alla normalità.
Alla
rassicurante
normalità, diceva Larry soddisfatto.
Alla
noiosa normalità, pensava in gran segreto
Sally.
Era
davvero strano come in lei, con il passare dei mesi, si andava via
via affievolendo il ricordo della paura nei momenti in cui aveva
rischiato la vita, mentre quello dell'entusiasmo dell'avventura e del
mistero da risolvere restava sempre vivo nella mente e nello spirito
della ragazza. Probabilmente, l' enstusiasmo era più acuto
nel
ricordo di quanto non lo fosse mai stato nella realtà.
E
così, giorno dopo giorno, più la sua vita si
rivelava tranquilla e
più Sally desiderava semplicemente che qualcosa
accadesse.
In
fondo, a ben
pensarci, non avrebbe potuto essere diversamente.
Non
era forse proprio Sally Sparrow – una minuta ragazza inglese,
dal
viso piccolo e i tratti delicati, quasi da bambina, con i sottili
capelli colore miele e gli onesti occhi castani – non era
forse lei
quella che non si faceva problemi ad ignorare la scritta KEEP OUT per
scavalcare vecchi e cigolanti cancelli? Non era lei quella che non
aveva paura di intrufolarsi in piena notte in una spettrale casa
disabitata? Non era lei quella che forzava le assi di una porta
sbarrata pur di entrare nella suddetta casa?
E
tutto solo per poter scattare qualche foto alle cose vecchie.
Perché
a Sally le cose vecchie piacevano. La facevano sentire triste.
E
anche la tristezza, per le persone capaci di sentimenti profondi, ha
il suo fascino.
Non
c'era dunque da stupirsi se Sally Sparrow, poeticamente incantata dai
sentimenti, curiosa ma non ingenua, con un animo saldo ma
insofferente all'immobilità delle emozioni, non riuscisse ad
accontentarsi di una vita ordinaria.
Larry
sospirò tristemente e Sally distolse lo sguardo dalla lapide
della
tomba di Kathy.
«
Andiamo via? » sussurrò il ragazzo.
Sally
annuì col capo. Fece scivolare la mano destra fuori dalla
tasca e
strinse quella Larry.
La visita al cimitero era solo una breve tappa,
avevano intenzione di passare il pomeriggio fuori Londra, in
campagna.
Insieme
si avviarono verso l'uscita del cimitero. Passarono accanto al
funerale, vicini abbastanza da distiguere con chiarezza le parole
del revedendo.
« ...Micheal
Flidder era un uomo buono, un lavoratore istancabile, un marito
fedele... »
Sally
si fermò all'improvviso e costrinse Larry a fare altrettanto.
«
Cosa c'è? »
«
Micheal Fiddler... » ripeté la ragazza a bassa
voce, con un tono
vagamente sorpreso. «Questo è il funerale di
Micheal Fiddler... »
Larry
la guardò senza capire.
«
Lo conoscevi? »
«
No, ma hanno parlato della sua morte al telegionale, tre o quattro
giorni fa » disse Sally, spicciola, sempre parlando a bassa
voce.
Larry
sollevò le sopracciglia.
«
Hai buona memoria per i nomi tu, eh? »
«
Era un uomo d'affari piuttosto ricco, strano venga seppellito in un
cimitero così piccolo » osservò Sally.
«
Com'è morto? »
«
Suicidio » rispose la ragazza. « Almeno
così hanno detto al
telegiornale. Lo hanno ritrovato morto e... galleggiante... nel
Tamigi »
Larry
allargò le narici in una smorfia di disgusto.
***
In
capo a tre ore, Sally Sparrow e Larry Nightingale se ne stavano
sdraiti su un prato di campagna, seduti su di un telo arancione, mentre
sopra le loro teste, in cielo si andava pian piano annuvolando.
Erano a più di sessanta miglia fuori da Londra e la strada
trafficata più vicina non lo era abbastanza da rovinare la
quiete
del posto. Fin dove poteva arrivare l'occhio dei ragazzi si scorgeva
solo il verde dell'erba, attraversato da una stradina bianca e
interrotto dai toni più scuri del fronde degli alberi;
alcuni
crescevano isolati, altri a gruppetti. Volgendo lo sguardo a sud si
incontrava il pendio di una collinetta. E lassù, sulla cima,
riposavano malinconiche le rovine di una piccola chiesa in pietra
grigia. Anche da lontano, si riusciva a vedere bene la croce sulla
sommità
della severa facciata dell'edificio.
Tutto
era quieto e silenzioso, anche i due ragazzi.
Larry
si era appisolato. Russava piano, con le braccia incrociate dietro
alla testa e le caviglie accavallate. Dopo mangiato si appisolava
sempre, non c'era nulla da fare.
Sally
Sparrow, dopo aver messo via nel cesto quel che restava del pranzo a
base di tramezzini, armeggiava adesso con la sua fidata macchina
fotografica. Si era appena decisa a fare una passeggiata solitaria
fino alla chiesa. Sempre meglio che starsene lì ad ascoltare
i
grugniti di Larry, pensava tra sé e sé. Prima di
alzarsi da terra,
la ragazza gettò indietro la testa e guardò in
su, verso il cielo.
Aggrottò leggermente la fronte. L'aria si era fatta
più umida,
odorava di pioggia.
Risalire
il fianco della collina non fu affatto faticoso: c'era un sentiero che
si snodava dolcemente fino alla cima. Sally passeggiò con
calma. Si
attardò a immortalare l'impresa di una coccinella rossa che
s'
arrampicava su per un filo d'erba e, pochi metri più su,
scattò una
foto a un bianco e solitario fiorellino di prato. Sulla
sommità del
colle un vento leggero piegeva l'erba tenera e rigogliosa che
spuntava dal terreno umido. Le rovine della chiesa se ne stavano
lì,
immobili e orgogliose nella loro solitudine. Erano tutto ciò
che
restava di una costruzione vecchia di più di cinque secoli.
Il tetto
non c'era più, ma restavano in piedi la facciata a capanna,
le
pareti laterali e buona parte dell'abside. Sally camminò
sotto
l'arco a sesto acuto che si apriva sulla facciata – secoli
addietro, lì doveva esserci un portale di legno. Si
riuscivano
ancora a scorgere i segni dei cardini. Del pavimento interno invece
non c'era più traccia.
La
ragazza toccò la pietra delle pareti, fredda e ruvida.
Osservò
l'erba e le piante che vi crescevano, sopra e tra le fessure.
Riconobbe i cespugli di ortica e di melissa e si accovacciò
sulle
ginocchia per fotografare le gemme lucide che spuntavano tra le
foglie. Che splendido affresco di antico e di nuovo in quel luogo
isolato da tutto! La pietra immobile era il ricordo di un mondo
passato, la natura vibrante di colore era la promessa di vita futura.
Sally continuò a scattare foto, andando in cerca degli
scorci più
suggestivi e dei più pittoreschi contrasti di luce e di
ombra;
continuò fino a quando, con suo sommo dispiacere, il cupo
brontolio
di un tuono non l'avvertì che la pioggia era vicina.
Allora
Sally oltrepassò per l'ultima volta l'arco della facciata,
uscendo
dal perimetro delle rovine. Si fermò pochi passi
più in là e
guardo verso l'alto, verso la sagoma scura della croce, stagliata
contro il grigio plumbeo del cielo. Vista dal basso aveva un'aria
così solennemente minacciosa che Sally non poté
fare a meno di
voler scattare un'ultima foto.
Sollevò
le braccia, puntò l'obbiettivo della macchina fotografica
verso la croce, ma... fu allora che accade qualcosa di strano.
Prima
le sembrò di udire, tra i sibili del vento, un suono simile
a un
battito d'ali e subito dopo notò qualcosa con la coda
dell'occhio,
qualcosa che stava poco dietro di lei.
Sally
batté un paio di volte le palpebre, abbassò le
braccia e si voltò.
Il
sussulto di sopresa fu così brusco che per poco non le
sfuggì di
mano la macchina fotografica.
C'era
un uomo lì con lei, il che era strano.
E
non lo era tanto l'uomo in sé, quanto il fatto che sembrava
essere
comparso dal nulla.
Sally
era sicurissima di non aver sentito nessun rumore di passi. L'uomo
doveva essersi avvicinato molto, davvero molto, silenziosamente.
Sarà
un fantasma?
Sally
dentro di sè sorrise per aver formulato, anche se solo per
un
attimo, quel ridicolo quesito.
Ovvio
che l'uomo non era un fantasma. Era lì, a meno di un metro
da lei,
in piedi, reale, vivo e per nulla trasparente.
Era
abbastanza alto, e robusto anche. Aveva indosso un lungo trench
chiaro e a Sally non sfuggì la poca cura con la quale
indossava la
cravatta: il nodo attorno al colletto della camicia era troppo largo. A
giudicare dai tratti maturi del viso, lo sconosciuto doveva avere
almeno dieci anni più di Sally. Non era propriamente bello,
ma aveva
gli zigomi alti, le labbra piene, il naso diritto e nel complesso
c'era qualcosa di piacevole nel suo aspetto. I capelli erano corti e
scuri, gli occhi di un blu elettrico. Ma quale espressione si leggeva
in
quegli occhi! Erano
occhi gentili eppure severi, allo stesso tempo calmi e frementi di
vita. Fu per quello che lesse negli occhi dello sconosciuto che Sally
non pensò, neppure per istante, che fosse lì per
farle del male.
Strana,
strana sensazione. Sally stessa se ne stupì nel provarla.
Confusa,
ma per nulla spaventata, la ragazza abbozzò un sorriso e il
sorriso
le disegnò un accenno di fossette ai lati della bocca.
«
Salve » se ne uscì con semplicità
« Non l'ho sentita arrivare. Mi
ha quasi spaventata. Fa... una passeggiata anche lei?»
Invece
di rispondere, lo sconosciuto guardò la parte superiore
della
facciata della chiesa, alle spalle di Sally.
Lei
lo fissò, sorpresa di non ricevere alcuna risposta.
«
Beh, io mi chiamo Sally... se la cosa le interessa »
Non
sorrideva più e nella voce c'era qualcosa del tono piccato
di chi si
sente ingiustamente ignorata.
L'uomo
abbassò lo sguardo su di lei.
«
Castiel » disse, senza nessuna particolare intonazione.
Sally
lo guardò senza capire.
«
Chiedo scusa? »
Allora
lo sconosciuto parlò di nuovo; aveva una voce molto profonda.
«
Il mio nome è Castiel » ripeté con
calma.
Sally
tornò a sorridere.
«
Molto piacere... »
Nel
pronunciare la breve frase, tese una mano verso Castiel facendo un
passo in avanti.
Un
istante dopo aver fatto quel passo – quel solo, unico,
singolo
passo - Sally udì un sibilo alle proprie spalle, seguito
subito dopo
da un tonfo.
La
ragazza si voltò di scatto. Vide la croce della chiesa a
terra, uno
dei due bracci si era spezzato nella caduta.
Sally
fissò la croce sgrandando gli occhi.
«
Miseriaccia! » esclamò in un sussurro. «
Questa si che si chiama
fortuna! »
Volse
lo sguardo verso Castiel, ma quando lo fece, si ritrovò a
parlare da
sola.
***
Una
voce femminile dal tono aspro mise fine al riposo di Larry.
«
Sveglia, bello addormentato! »
Larry
aprì gli occhi con un espressione inebetita. In quel momento
un
ennesimo tuono echeggiò per tutta la spianata.
«
Che ore sono? » domandò il ragazzo mettendosi a
sedere.
«
Quasi le cinque » rispose Sally, occupata a infilare la
macchina
fotografica dentro la custodia. «E sta per piovere»
Quella
rivelazione fu ben lontana dal mettere fretta a Larry, che si
tirò
in piedi con calma. Alzò le braccia sopra la testa per
stiracchiarsi. Poi sbadigliò, due volte, e senza
preoccuparsi di
nascondere la bocca dietro una mano. « Cosa hai fatto mentre
dormivo? » chiese tra uno sbadiglio e l'altro.
«
Sono andata a scattare qualche foto alla chiesa »
Larry
si voltò distrattamente a guardare i ruderi dell'edificio.
«
Trovato qualcosa di interessante? »
Sally,
che stava ora ripiegando il telo, esitò per un breve istante
sulla
risposta da dare.
«
No » disse infine con noncuranza. « Niente di
interessante »
CONTINUA.
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Capitolo 2 *** Parte seconda ***
C2
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
Ringraziamenti:
Mille
grazie a chiunque abbia letto il primo capitolo di questa storia! :D
E mille grazie in più a Dk86
e
Sarhita
per aver lasciato le recensioni. Ogni
singola parola di ogni singola frase è un apprezzatissimo
regalo!
*-* Senza contare il piacere di leggere di qualcuno – in
Italia –
che conosce e apprezza una serie come il Doctor Who. In tutta
sincerità, avendo scelto una crossover con un telefilm
così poco
conosciuto e di costruirla attorno a due personaggi
“secondari”,
nemmeno mi aspettavo di ricevere commenti. Grazie. Grazie. Grazie!
(@Dk86:
grazie
anche per la segnalazione della svista nel nome della Hepburn. Ho
corretto XD)
Ora
vi lascio ai prossimi due capitolo, che continuano a seguire Sally e
che cominciano ad affacciarsi sul mondo di Supernatural. Ho riscritto
entrambi i capitoli più di una volta, ma ammetto di non
essere
ancora soddisfatta del risultato. .___.
A
voi la sentenza finale! XD
II
Sally
controllò l'orologio al polso. Erano le sei e quarantacinque
del
pomeriggio – un umido e piovoso giovedì pomeriggio
– il che
stava a significare che mancavano ancora quindici minuti alla
chiusura della mostra. La ragazza continuò a camminare, in
tutta
calma, con la giacca piegata sopra le braccia incrociate. Il legno
lucido del parquet scricchiolava sotto ogni suo passo. Sally stava
visitando un'esposizione di abiti storici, allestita in un palazzetto
del quartiere di Bloomsbury: un modesto edificio di mattoni rossi, in
stile georgiano, perfetto esempio – nel suo piccolo
–
dell'eleganza sobria e semplice amata dai londinesi della fine del
Settecento. L'esposizione occupava due sale al primo piano e contava
una quarantina di pezzi in tutto, indossati da altrettanti manichini.
Non erano abiti originali, il dépliant e il cartellone
all'ingresso
lo affermavano esplicitamente. Ma non per questo, si era detta Sally,
la mostra era da considerarsi meno interessante. I pezzi esposti
arrivavano dai laboratori di una sartoria teatrale, e alcuni abiti
erano stati indossati da famosi attori.
I
visitatori erano pochi e nessuno parlava a voce alta. Si udiva solo
qualche bisbiglio qua e là.
Dalla
strada saliva il rumore delle auto, mentre la pioggia picchiettava
con insistenza contro i vetri delle finestre.
Stoffe
colorate, pizzi, piume, passamanerie, nastri, perline e merletti;
ogni manichino mostrava un abito di foggia diversa, ogni abito
evocava il ricordo di un' epoca passata. Sally passava dall'ammirare
l'elegante abito della regina Isabella di Castiglia a quello del
povero pellegrino medioevale, con bastone e borraccia; dalla
taffettà
color crema della ricca signora della Belle Époque alla
grezza
mantella, bruciata e stropicciata, delle streghe di Macbeth. C'era
perfino l'abito di un monaco dei tempi delle crociate – una
lunga
tunica di lana bianca, coperta da una toga nera; e l'armatura di un
fante inglese del XII secolo, con tanto di cotta di maglia e scudo al
braccio.
Mentre
passeggiava da un manichino e l'altro, Sally ripensò a come
Larry
avesse declinato l'idea di accompagnarla alla mostra. «
C'è la
finale del torneo di freccette » aveva detto. Non poteva dare
buca
alla sua combriccola di amici del pub. A quel punto, Sally si era
sentita autorizzata a reputarsi vagamente offesa e non ci aveva
pensato su due volte prima di andare da sola all'esposizione.
La
ragazza si soffermò a osservare un abito femminile: una
tunica
lunga, bianca, con lo strascico, le maniche strette e la vita
aderente. Era ricoperta da un tulle trasparente e delle piccole
perline decoravano il petto e le maniche. I capelli rossi del
manichino senza volto (nessuno dei manichini aveva un volto) erano
stati acconciati in due lunghe trecce.
Costume
per Ofelia,
spiegava il
cartellino. Lavorazione in seta, organza,
perline, trine e
tulle. Ispirato all'Ofelia di John Everett Millais.*
Il
pannello accanto al manichino mostrava una copia del quadro di
Millais: Ofelia, abbigliata di bianco, si abbandonava alla morte
nelle acque di un fiume, circondata da una splendida cornice di
piante e di fiori; tra tutti spiccavano le margherite dai petali
candidi – simbolico richiamo alla purezza dell'eroina
shakespeariana.
Sally
si avvicinò al pannello per osservare meglio il viso di
Ofelia.
C'era
qualcosa di davvero spettrale in quella donna dal viso pallidissimo
con i lunghi capelli rossi che galleggiavano leggeri sul pelo
dell'acqua. Non meno inquietante era quel suo gesto di tenere le
braccia aperte, come a voler accogliere volutamente la morte.
«
Si spezzò
l'invidioso ramo ed ella cadde
con tutti i suoi serti di fiori nel ruscello che piange »
Sally
si voltò.
Un
uomo si era fermato di fianco a lei e ora, con le mani dietro alla
schiena, studiava l'immagine del quadro con un apparente profondo
interesse. Lo sconosciuto poteva avere tra i sessanta e settanta anni
– era difficile dirlo con esattezza. Aveva i capelli tutti
bianchi,
il naso schiacciato, gli occhi di azzurro sbiadito. Era vestito
elegantemente di nero, in giacca e cravatta.
«
Aprendosi le gonne la sostennero sull'acqua: ed ella, come una
sirena, cantava spunti d'arie antiche, inconsapevole della sua morte,
o come creatura immersa nel suo naturale elemento. Ma non fu lungo
indugio, ché le sue vesti fatte pesanti dall'acqua
assorbita,
trassero la poverina dal suo canto melodioso al fango della morte
»
Sally
guardò l'uomo con le labbra curvate in un accenno di sorriso.
«
Sono i versi dell'Amleto di Shakespeare, suppongo »
L'
uomo si voltò verso di lei e le sorrise di rimando.
«
I versi pronunciati dalla regina Gertrude »
specificò, un attimo
prima di tornare a guardare l'immagine. « Morire cantando.
Una morte
molto poetica quella di Ofelia, non trova?
»
L'anziano
signore sembrava un uomo di cultura. Parlava bene e senza alcun
accento, ma c'era qualcosa di troppo mellifluo nella sua voce,
qualcosa di irritante, come lo può essere il miele dolce
quando
resta attaccato alle dita.
Sally
si soffermò a ragionare sull'ultima affermazione dell'uomo.
«
Non ho mai pensato che una morte potesse essere poetica
» ammise a voce alta, poi in tono più leggero
aggiunse: « E non ho
nemmeno mai capito perché Ofelia, invece di starsene
lì a cantare,
non afferri un ramo per tirarsi fuori dall'acqua »
L'anziano
signore rise.
«
Lei dimentica, signorina, che Ofelia era pazza »
Questa
volta fu Sally a ridere.
«
Osservazione molto... poetica »
sottolineò con ironia.
«
Ma il dipinto rimane comunque bellissimo, a parer mio » disse
l'uomo.
Sally
esitò un istante prima di azzardarsi a dire la sua.
«
Io lo trovo un po'... spettrale
»
«
E lo è, senza dubbio, ciò non toglie che
Elizabeth Siddal fosse una
donna piena di fascino »
«
Chi è Elizabeth Siddal? »
L'uomo
indicò il quadro con gesto del capo.
«
Questa Ofelia è
Elizabeth Siddal, la modella che posò per Millais. E fu
anche la
moglie di un altro pittore, amico di Millais, Dante Gabriel Rossetti.
Ah, che gran peccato, che la Siddal abbia deciso di avvelenarsi con
il laudano »
«
Si è suicidata? »
«
Già »
«
Perché? »
«
Si ammalò di depressione dopo aver dato alla luce un bambino
morto »
«
Oh, poverina... »
«
E io non posso fare a meno di chiedermi se, nei suoi ultimi istanti
di vita, la Siddal avesse questa stessa espressione dipinta sul
volto. Ci pensi signorina, quando noi guardiamo il quadro,
non
stiamo guardando soltanto Ofelia che muore. Noi vediamo morire
Elizabeth. »
Tutto
ciò era senza dubbio molto toccante e profondo, ma anche un
poco
inquietante.
«
Ecco, adesso trovo che
il quadro sia spettrale » scherzò Sally. Si
guardò rapidamente
attorno: i soli visitatori rimasti nella sala erano lei e l'anziano
signore.
Quest'ultimo
alle parole di Sally parve risvegliarsi dalla contemplazione del
quadro.
«
Arden Huddlestone » si presentò, tendendo la mano
a Sally. «
L'organizzatore della mostra »
«
Oh, è un vero piacere conoscerla! »
esclamò Sally, sincera,
ricambiando la stretta di mano. « È un'
esposizione davvero
interessate. Io... adoro questo genere di cose. Mi chiamo Sally...
Sparrow»
«
E lo vuole un consiglio, signorina Sparrow? »
Una
voce di donna lì raggiunse.
Una
corpulenta signora, decisamente in là con gli anni,
camminava
spedita verso di loro. I suoi passi pesanti echeggiavano per la sala.
Sally la riconobbe come la donna che le aveva venduto i biglietti
all'ingresso. Ora la signora aveva indosso un soprabito in tweed e
teneva una borsetta nera stretta sotto il robusto braccio.
«
Non gli dia spago a questo qua! » disse la signora non appena
lì
ebbe raggiunti, con un cipiglio austero e severo. Parlava in tono
assolutamente serio. « Il signor Huddlestone è un
donnaiolo di
quarta categoria. Vergognati! » Si rivolse al signor
Huddlestone,
quasi con rabbia. « Potrebbe essere tua figlia »
«
Mia cara, carissima Eleanor» ribatté flemmatico il
signor
Huddlestone « sono le sette, non dovresti essere in procinto
di
andare a casa? »
«
Lo sono, infatti. Non c'è più nessun visitatore,
a parte la
signorina »
«
Oh, chiedo scusa! » disse Sally, correndo a controllare
l'orologio.
« Non avevo idea che fosse già così
tardi. Me ne vado subito... »
Ma
non fece in tempo a muoversi di un passo che il signor Huddlestone la
fermò, posandole delicatamente una mano sul braccio.
«
Ma per carità, signorina, nessuno la sta cacciando via. Per
le belle
ragazze l'esposizione resta sempre aperta »
La
signora Eleanor guardò irritata l'organizzatore della mostra.
«
Bah, io vado a casa » annunciò e rivolgendosi
esplicitamente al
signor Huddlestone disse « Ti consiglio di accompagnare la
signorina
alla porta. Buona serata. »
«
Mai
organizzare un lavoro con la propria ex-moglie » disse il
signor
Huddlestone a Sally, non appena la signora Eleanor si fu allontanata.
« Una donna dal carattere orribile! »
dichiarò scandendo per bene
le sillabe dell'ultima parola. « E col tempo è
peggiorata. Deve
essere per questo che non si è mai risposata dopo il
divorzio » Un
attimo dopo si curò di aggiungere « Nemmeno io
l'ho fatto, ma la
mia è stata una libera scelta. Ah, parola mia, signorina
Sparrow,
non mi azzarderei mai a fare il cascamorto con lei, alla mia
età
poi! Anche perché immagino che dovrei mettermi in fila. Con
quel
visetto carino che si ritrova deve avere uno stuolo di pretendenti
che le vengono dietro. Ma potrei farlo lo stesso, lo sa? »
disse
dopo una brevissima pausa, così breve che Sally non fece in
tempo ad
approfittarne per congedarsi. « Mettermi in fila, intendo. Mi
basterebbe sapere che non disdegna i ragazzotti maturi »
Il
signor Huddlestone le ammiccò compiaciuto e sorrise
scoprendo una
fila di perfetti denti bianchi.
Dentiera,
pensò Sally. Adesso guardava al signor Huddlestone con un
misto di
imbarazzo, di fastidio e di divertita incredulità.
Un
unico, breve, semplice verso sarebbe bastato per descrivere in modo
completo i sentimenti di Sally davanti ai tentavi di abbordaggio di
un ultrasessantenne. E quel verso era un nauseato: Bleah!
«
Detto tra noi, signorina Sparrow... » riprese il signor
Huddlestone
posandole una mano sulla schiena, per farla avvicinare di
più al
pannello. « Io nel suo viso ci trovo qualche somiglianza con
quello
della modella di Millais. Ah, se lei fosse nata nell'Ottocento
avrebbe fatto strage di cuori tra i pittori del periodo. E tra i
poeti e... »
«...e
la ringrazio tanto, signor Huddlestone » lo interruppe Sally,
scivolando di lato. Parlò diretta e asciutta e con ben poca
gratitudine nella voce. « ...ma si è fatto
veramente tardi.
Buonasera »
Non
aggiunse altro e, senza perdesi in troppe cerimonie, girò
tacchi
mollando il signor Huddlestone alla compagnia del manichino di
Ofelia.
Sally
attraversò entrambe le sale, raggiunse la piccola anticamera
d'ingresso e oltrepassò la sempre aperta porta a vetri.
Una
volta in corridoio non prese subito le scale per il pian terreno ma
andò a destra, seguendo l'indicazione del cartellino con su
scritto
toilette.
Poco
prima
di lasciare la
toilette, mentre si lavava le mani, Sally controllò
rapidamente il
proprio riflesso nello specchio sopra alla fila di lavandini.
Era
uno stile estremamente semplice quello di Sally Sparrow.
Niente
trucco, eccezion fatta per il rimmel sulle ciglia. I capelli biondi
erano sciolti. Sciolti e crespi. Crespi lo erano sempre. A Londra,
nel mese di marzo, tra la pioggia e la nebbia, quella contro i
capelli crespi era una battaglia che non valeva neppure la pena
cominciare a combattere.
Quel
giorno Sally indossava un maglioncino blu, jeans neri dal taglio
comodo e stivaletti bassi. Al collo portava una sciarpa leggera tutta
colorata e la lunga giacca di jeans che si stava infilando era la
stessa giaccia della visita alla chiesa sulla collina.
Una
settimana esatta era passata dal giorno del picnic in campagna e,
bisogna ammetterlo, in quei sette giorni Sally aveva ripensato
più
di una volta all'uomo incontrato sulla collina.
Era
certa di non aver avuto un'allucinazione, ma da dove fosse sbucato
fuori l'uomo e come avesse fatto poi ad andarsene così in
fretta –
da sembrare quasi sparito nel nulla, Sally non riusciva a
spiegarselo. La ragazza aveva anche provato a cercarlo, prima di
scendere dalla collina. Aveva fatto due volte il giro della
chiesetta, ma Castiel era come
sparito, volatilizzato, un attimo prima era lì e un attimo
dopo non
c'era più. Per non parlare poi della croce precipitata
giù dalla
cima della chiesa. La distrazione causata dall'arrivo di Castiel
aveva assunto un'aria curiosamente provvidenziale. Aveva, in certo
qual senso, evitato che Sally venisse colpita dalla croce – e
va da
sé che essere colpiti in pieno da una pesante croce di
pietra non può essere definita un'esperienza piacevole.
A
quest'ora avrei potuto anche essere morta. O in coma. O
viva e
cosciente, ma paralizzata su un letto di ospedale.
Ecco
i pensieri di Sally Sparrow mentre sfilava i capelli da sotto il
colletto della giacca.
Fu
in quello stesso istante che la luce nella toilette si spense. Poi si
riaccese e infine si spense di nuovo.
Le
lampade al neon si spensero definitivamente, tutte e tre, lasciando
la toilette al buio. O quasi.
Adesso
la luce esterna filtrava da unica finestrella, lunga e stretta, che
si apriva proprio sotto il soffitto.
Nella
penombra, Sally alzò lo sguardo verso le lampade.
Facendo
scivolare le mani in tasca, con il naso all'insù, si
spostò
esattamente sotto la lampade centrale e trasse questa conclusione:
«
Devono essersi fulminate »
Spiegazione
semplice, perfettamente ragionevole e per nulla preoccupante.
Forse
era un po' strano che si fossero fulminate tutte e tre assieme, ma
per quel che ne sapeva Sally di impianti elettrici – e ne
sapeva
davvero poco – poteva essere una mera e sfortunata
coincidenza.
Sally
lasciò perdere le lampade, con una scrollata di spalle.
Andò
alla porta, la tirò verso di sé per uscire in
corridoio, ma
qualcosa la obbligò a bloccarsi lì sulla soglia.
CONTINUA.
_____________
*Il
quadro
di John Everett Millais: L'Ofelia.
|
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Capitolo 3 *** Parte terza ***
C3
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
III
Buio.
Anche
il corridoio era al buio – eccezion fatta per la luce dei
lampioni
in strada, che arrivava dalla finestra, alta e rettangolare, in fondo
all'androne.
Era
una luce sufficiente a delineare con discreta precisione la forma e i
contorni della cose, ma non a mostrarne i colori.
“La
penombra trasforma il mondo in un vecchio film in bianco e nero, dove
tutto e un po' sfocato e traballante”.
Una
volta Sally aveva fatto una riflessione del genere, ma i suoi
pensieri in quel momento erano di diversa natura. Meno metaforici e
molto più pratici.
Deve
essere saltata la corrente in tutto l'edificio.
Appoggiando
una mano alla parete, per guidarsi lungo il corridoio, Sally
raggiunse le scale. Passò davanti all'entrata dei locali
dell'esposizione; la porta a vetri era stata chiusa, il signor
Huddlestone doveva essere andato via da un po'. Raggiunta la cima
delle scale, Sally socchiuse le palpebre nello sforzo di mettere a
fuoco i gradini.
Da
quel poco che riusciva vedere della fine delle scalinata anche il
pian terreno era nella semioscurità. Non una voce o un
rumore di
passi arrivava da lì sotto.
Strano,
pensò per un attimo Sally. C'era infatti una libreria al
pian
terreno del palazzetto. Non dovrebbe esserci almeno un po' di
agitazione per il salto di corrente?
Ma
subito dopo le venne in mente che forse la libreria aveva chiuso i
battenti. Erano le sette passate ormai.
Subito
dopo Sally fu sfiorata dall'idea di essere stata chiusa dentro, da
sola.
Ma
no, non poteva essere. C'era un sorvegliante alla portineria del
palazzo, che a quel punto doveva essere già andato a
controllare
cos'è che aveva fatto saltare la corrente.
Sally
cominciò a scendere le scale. Avanzava piano, reggendosi con
una
mano alla balaustra.
Aveva
paura. Si, una ragionevole paura di inciampare.
Ma
la discesa non era destinata a continuare.
Un
urlo improvviso immobilizzò Sally a metà della
scalinata.
Fu
un urlo roco, soffocato e breve. La voce tacque di colpo e subito
dopo si udì un tonfo lontano – come il rumore di
qualcosa o
qualcuno che cade a terra.
Sally
si era voltata a guardare la cima della scale. Quei rumori erano
arrivati dal primo piano.
La
ragazza pensò al signor Huddlestone, non era del tutto certa
che
l'uomo avesse lasciato l'edificio.
Magari
il signor Huddlestone era ancora al primo piano. Ed era un anziano,
al buio. Forse era inciampato. Forse aveva sbattuto la testa. Forse
era svenuto.
In
ogni caso, se una persona lancia un urlo lo fa perché
qualcosa non
va. O va male.
Sally
ebbe un attimo di esitazione.
Andare
a controllare o andare a chiamare la guardia?
La
ragazza strinse una mano sulla balaustra e prese a risalire le scale,
con tutta la rapidità che le permetteva la poca luce.
Arrivata
all'ultimo gradino per poco non cadde in avanti, ma svelta si rimise
in equilibrio e il suo primo pensiero fu di andare a controllare
all'entrata dell'esposizione.
Raggiunse
la porta e guardò oltre i vetri.
I
manichini erano immobili nella semioscurità della sala;
sagome
scure, sparse qua e là, come enormi pezzi degli scacchi
disposti su
un'altrettanto enorme scacchiera.
Del
signor Huddlestone però nessuna traccia.
Sally
aguzzò la vista, guardò meglio e fu allora che le
vide...
Le
gambe, a terra, immobili.
Un
paio di gambe – e qualcosa le diceva che appartenevano al
signor
Huddlestone – spuntavano da dietro uno dei pannelli, quello
accanto
al monaco medioevale.
«
Signor Huddlestone... »
Allarmata,
Sally tentò istintivamente di aprire la porta. Quasi si
sorprese
quando la maniglia si abbassò docilmente sotto le sue dita.
La
porta si aprì, silenziosa, senza il minimo cigolio.
Sally
entrò nella sala ed ebbe cura di lasciare la porta ben
spalancata,
prima di precipitarsi verso il signor Huddlestone.
«
Signor Huddlestone sta bene? Si sente mal... »
Sally
guardò dietro il pannello. Lo spavento per quel che vide le
mozzò
la voce. E il respiro.
Si,
era il signor Huddlestone quello riverso a terra e, decisamente, non
stava bene.
Non
stava affatto bene.
Sarebbe
stato difficile immaginarlo in una situazione peggiore.
Era
caduto bocconi sul pavimento, con le braccia allungante lungo il
busto.
Le
braccia, il busto, le spalle...
E
niente testa.
O
per meglio dire, la testa c'era. Ma era rotolata a un paio di metri
di distanza dal corpo.
Gli
occhi scuri, vitrei e sbarrati, erano rivolti al soffitto.
E
c'era tanto sangue sul parquet, tutto attorno al corpo. Più
sangue
di quanto Sally avesse mai visto in vita sua.
La
ragazza non urlò. Era troppo spaventata per urlare.
Era
troppo spaventata anche solo per respirare.
Poi
ci fu uno schianto improvviso.
Sally
trasalì.
La
porta della sala si era appena richiusa.
La
ragazza, pur ancora profondamente scossa – com'è
immaginabile –
dal raccapricciante ritrovamento, si riprese abbastanza da riuscire a
tornare in gran fretta all'ingresso.
Sul
lato interno la porta aveva i maniglioni antipanico. Sally li spinse
con entrambe le mani.
I
maniglioni non si abbassarono neppure di un millimetro.
Sally
provò ancora. Provò una, due, tre, quattro,
cinque volte,
mettendoci tutta la sua forza.
Niente
da fare.
La
porta non si apriva.
I
maniglioni sembravano bloccati.
La
porta era bloccata.
Sono
chiusa dentro.
Sally
bussò violentemente con i palmi contro il vetro.
«
C'è qualcuno? C'è qualcuno là fuori?
La porta è bloccata! »
Bussava
e bussava. Le tremava un poco la voce. Non era tranquilla. Anzi, era
decisamente molto lontana dal sentirsi tranquilla.
Non
è piacevole né tanto meno rilassante ritrovarsi
chiusi in una
stanza in compagnia di un cadavere con la testa mozzata.
Sally
continuò a chiamare, ma l'androne al di là della
porta era buio e
deserto.
La
ragazza si impose di restare calma. Prese un respiro profondo e
appoggiò le dita ai maniglioni della porta.
Non
volle voltarsi, così continuò a dare le spalle
alla sala, ai
manichini e al corpo del signor Huddlestone.
La
porta non si apre. A rigor di logica, può non aprirsi solo
per due
motivi.
O
la serratura è difettosa ed è rimasta bloccata,
quando la porta si
è chiusa di colpo
– e si sforzò di credere che si fosse chiusa per
via della
corrente d'aria, anche se non le era parso di avvertire neppure un
solo spiffero in tutto l'edificio - oppure
è stata appena chiusa a chiave. Chiusa dall'esterno,
perché di
passi nella sala non ne ho sentiti.
Questo
aveva senso: non fare rumore camminando sul parquet della sala era
impossibile. Il pavimento del corridoio era invece rivestito di
tappezzeria e la stoffa attutitiva il rumore dei passi.
Infine,
che chi aveva chiuso la porta fosse la stessa persona che aveva
orribilmente ucciso il signor Huddlestone agli occhi di Sally
appariva palese e scontato. E molto poco rassicurante.
Tutti
questi pensieri attraversarono la mente agitata della ragazza con la
rapidità di un fulmine.
Sally
fece un altro tentativo di forzare i maniglioni della porta.
E
fu un altro tentativo inutile.
Ho
il cellulare,
ragionò allora. Posso
chiamare la polizia.
E
stava già per estrarre il cellulare dalla tasca, quando le
venne
un'altra idea.
Ricordò
di aver visto, nell'altra sala, un'uscita di sicurezza.
Se
i calcoli di Sally erano giusti, l'uscita di sicurezza dava accesso
all'altro lato dell'edificio. Dubitava che l'assassino – o
chi per
lui – potesse aver già fatto il giro del palazzo e
aver chiuso
anche quella porta.
Anzi,
forse tale idea non era nemmeno stata contemplata dall'assassino.
Senza
perdere altro tempo, Sally si staccò dall'ingresso, ma per
la
seconda volta nel giro di un paio di minuti, accadde qualcosa che la
costrinse a fermarsi all'improvviso.
Freddo.
Nella
sala era appena calato un freddo incredibilmente pungente.
Sally
sentiva l'aria – gelata come quella di un rigido mattino
invernale
– infilarsi sotto la stoffa leggera della giacca.
Fu
scossa dai brividi. Vedeva il proprio fiato caldo trasformarsi in una
nuvoletta di vapore.
Come
e perché la temperatura era scesa improvvisamente
così vicina allo
zero?
Sally
non ebbe il tempo di ipotizzare un risposta.
Udì
un fruscio.
Si
sarebbe detto un fruscio di stoffa. Fu un suono debole e indistinto.
Sally
si guardò attorno.
Era
letteralmente circondata da manichini con indosso abiti confezionati
con metri e metri di stoffa.
Strano
come nella semioscurità anche degli innocui fantocci di
plastica
possano prendere dei connotati spettrali e minacciosi.
Sally
lo udì di nuovo.
Lo
stesso rumore. Lo stesso fruscio, ma questa volta era accompagnato da
un eco di passi leggeri.
Come
il precedente, anche questo suono si spense rapidamente. Troppo
rapidamente per capire da che parte della sala provenisse.
Sally
non aveva visto nulla e nessuno muoversi.
I
manichini erano immobili e... la ragazza non era più tanto
sicura
che l'assassino del signor Huddlestone non si trovasse più
nella
sala.
Adesso
era calato il silenzio.
Un
silenzio ben lontano dall'essere rassicurante.
Aveva
anche smesso di piovere. Non si sentiva più la pioggia
battere
contro i vetri delle finestre.
Ma
d'altra parte, l'unico suono che Sally avvertiva distintamente era il
pulsare del proprio cuore nelle orecchie.
Era
spaventata, spaventata come non lo era dai tempi di Western Drumlins.
Ma
nonostante il battito accelerato del cuore, i muscoli contratti e la
dolorosa sensazione di non riuscire a respirare perché
qualcosa le
opprimeva il petto – nonostante tutto ciò, Sally
conservava ancora
un briciolo di lucidità. Stava continuando a ragionare, in
un certo
qual modo. Non aveva abbandonato l'idea di raggiungere l'uscita di
sicurezza nella sala accanto.
Pochi
passi più in là, vicino alla porta, c'era un
portaombrelli.
Lo
sguardo di Sally cadde sul lungo ombrello nero abbandonato
lì
dentro. La ragazza immaginò che appartenesse al defunto
signor
Huddlestone.
Si
fece forza. E ce ne volle un bel po', di forza di volontà,
per
piegarsi ad afferrare l'ombrello, senza smettere di tener d'occhio la
sala.
Sally
strinse convulsamente le dita della mano attorno al manico
dell'ombrello. Un'arma da difesa davvero poco temibile, ma era sempre
meglio di nulla.
La
ragazza deglutì – aveva la gola così
secca che, anche se avesse
voluto, non avrebbe potuto gridare per chiamare aiuto – e
avanzò
di qualche passo.
Più
Sally si allontanava dalla porta e più sentiva allontanarsi
la
sensazione di protezione offerta dal muro alle sue spalle.
Reggeva
l'ombrello con entrambe le mani. Lo teneva sollevato all'altezza
della spalla, come un battitore che si prepara a colpire la palla.
Ad
ogni passo la ragazza si aspettava di venir aggredita alle spalle. O
di veder saltare fuori un pazzo armato di mannaia da dietro uno dei
pannelli accanto ai manichini.
Mai,
neppure una volta, si voltò a guardare dove giaceva il corpo
del
povero signor Huddlestone.
Non
voleva neppure guardare il manichino del monaco che sovrastava il
cadavere: in una situazione simile, l'immagine di un monaco nero
incappucciato era l'ultima cosa che Sally desiderava vedere.
Continuava
ad avanzare, camminando tra i manichini. A ogni suo breve respiro una
nuvoletta di vapore le sfuggiva dalle labbra.
I
fantocci non avevano volto eppure Sally si sentiva come seguita dai
loro sguardi.
A
un certo punto la suggestione fu tale che la ragazza venne colpita da
una terribile fantasia.
Si
guardò indietro. Guardò attentamente, molto
attentamente. Restò
immobile per qualche lungo secondo... infine si lasciò
sfuggire un
muto sospiro di sollievo.
Non
fare la paranoica Sally,
disse a se stessa.
Sono solo manichini. Non sono vivi. Non possono muoversi. Non
possono... staccare la testa alle persone.
Ma
ritrovarsi a pensare agli Angeli Piangenti per Sally fu inevitabile e
un briciolo di angoscioso dubbio, quando riprese a camminare, ancora
le restava.
Sally
non udiva più nessun fruscio e i suoi passi erano i soli a
echeggiare nella sala.
Attraversare
quelle due sale, avvolti da un'aria gelida, camminando tra i fantocci
di personaggi raggelati nel tempo – regine e ladri, monaci e
dame,
pellegrini e pirati, nobili e mendicanti – col perenne suono
del
proprio cuore che pulsa forte nelle orecchie e la costante paura di
venir agguantati alle spalle era come essere finiti dentro una
scadente imitazione di un racconto di Edgar Allan Poe.
Sally aveva l'impressione che le due sale fossero aumentate di
dimensioni,
più lei avanzava e più l'uscita di sicurezza
pareva allontanarsi.
Probabilmente
la ragazza impiegò meno di due o tre minuti ad attraversare
le sale,
ma nel suo stato d'animo i secondi sembravano lunghi come ere.
Poi
finalmente la raggiunse. Sally raggiunse l'uscita di sicurezza.
La
scritta EXIT sopra l'architrave era spenta.
Sally
abbassò l'ombrello e in un attimo fu alla porta.
Spinse
i palmi sul maniglione.
Per
un orribile istante ebbe l'impressione che fosse bloccato, ma no...
la barra si abbassò.
La
porta si aprì.
Sally
uscì sul pianerottolo, con lo stesso senso di sollievo di
chi si
risveglia da un incubo.
La
porta si richiuse dolcemente alle sue spalle e la ragazza
restò un
istante con la schiena appoggiata al muro, mentre il battito del suo
povero cuore tornava a farsi regolare.
Faceva
molto freddo sul pianerottolo e anche lì regnava la penombra.
C'era
solo una finestra, a metà della prima rampa delle scale che
scendeva
verso il basso.
E
quando Sally guardò cosa c'era alla fine di quella prima
rampa ebbe di
nuovo un sussulto di spavento.
Subito
dopo si rimproverò di essere una ragazzina idiota.
Stava
semplicemente guardando un manichino, abbandonato in fondo alle
scale.
Era
un fantoccio dalle fattezze femminili, con su un abito scuro dal
corpetto stretto e la gonna molto ampia.
Sally
lo vedeva di schiena; i capelli del manichino era lunghi, scuri e
sciolti.
Strano
posto però dove lasciare un manichino,
ragionò Sally. Tanto
più che sembra avere indosso uno degli abiti della mostra.
La
ragazza si staccò dalla porta e fece un paio di passi verso
le
scale, con la mano che reggeva l'ombrello abbandonata lungo il
fianco.
Ovvio
che quello in fondo alle scale fosse un manichino. Cos'altro poteva
essere?
Ma...
se era un manichino, allora come mai si stava muovendo?
Come
mai si stava voltando verso Sally?
No,
non era un manichino.
Era
un persona.
Era
una donna.
Sally
si immobilizzò.
Quella
infondo alle scale era la donna dal viso più umano e
più spaventoso
che Sally avesse mai visto.
Era
una donna pallida, col naso affilato, la bocca piccola, le guance
incavate e gli occhi neri, e tuttavia non erano i tratti del viso
–
per spettrali che fossero – a suscitare tanto orrore in Sally.
Era il
fatto che il viso non aveva segni di espressione, ma allo stesso tempo,
inspiegabilmente, sembrava che una rabbia spaventosa fosse stata
scolpita
nell'innaturale immobilità del volto delle donna.
E
gli occhi, gelatinosi e lucidi, era tristi e colmi di cattiveria.
«
Chi sei? »
Le
parole, pronunciate con voce roca e spezzata, uscirono dalle labbra
di Sally quasi senza che la ragazza se ne accorgesse.
La
donna avanzò verso le scale. Salì il primo
gradino, continuando a
tenere lo sguardo fisso su Sally che, istintivamente, fece un passo
indietro.
La
misteriosa donna continuò a salire i gradini. Un pesante
fruscio di
gonne e sottogonne accompagnava ogni suo passo; l'abito che aveva
indosso dava una sensazione di soffocante pesantezza.
Quando
la donna passò davanti alla finestra, Sally vide, attorno al
collo
sottile e sul pallido petto lasciato scoperto dalla scollatura
quadrata dell'abito, tre file di livide perle e il profilo di un
ciondolo luccicare alla luce dei lampioni.
Più
la misteriosa donna si faceva vicina e più Sally
indietreggiava;
prima che se ne rendesse conto la ragazza si ritrovò con le
spalle
addossate al muro.
La
donna raggiunse la cima delle scale.
E
Sally era così spaventata e confusa da essersi totalmente
dimenticata dell'ombrello che ancora stringeva in mano.
Avrebbe
voluto scappare, ma per tornare alla porta avrebbe dovuto voltare le
spalle alla donna e non aveva il coraggio di farlo.
D'altronde
anche se lo avesse avuto il suddetto coraggio, le sue gambe si
rifiutavano di muoversi.
La
donna sollevò le braccia con un gesto lento.
Tese
le mani verso il volto, verso il collo di Sally
– la quale
ora che le aveva così vicine vide che le dita lunghe e
sottili,
quasi scheletriche, della donna erano sporche di qualcosa di nero e
lucido, appiccicoso e denso come l'inchiostro.
Sally
ebbe una specie di singulto.
Respirò
e sentì i polmoni riempirsi dell'aria gelata. L'aria
portò con sé
un odore simile al ferro, o alla ruggine.
Odore
di sangue.
Era
sangue quello sulle mani della donna.
E
un attimo dopo accadde l'ennesima orribile stranezza.
La
donna scomparve. Scomparve letteralmente da davanti agli occhi di
Sally. Sparì come nebbia soffiata via dal vento.
Sally
non sapeva cosa fare. E non sapeva cosa aspettarsi.
Il
cuore le batteva ancora forte ed era pallida come un cencio.
L'istinto
le suggeriva di cacciarsi a correre giù per le scale, di
uscire il
prima possibile da quell'edificio.
Ma
qualcosa la bloccava. Era ancora spaventata, a mala pena si azzardava
a respirare.
Tutto
era silenzioso attorno a lei, sul pianerottolo e lungo le scale.
Niente più passi. Niente più fruscii. E non
faceva più freddo.
Restò
immobile per una manciata di secondi, di lunghissimi secondi.
Infine
strinse con un gesto nervoso il manico dell'ombrello, riprendendo
coscienza del proprio corpo.
Si
allontanò dal muro muovendo un paio di cauti passi verso le
scale.
Fece
un altro passo.
E
sentì una mano chiudersi sulla sua spalla.
Sally
trasalì, terrorizzata.
Si
voltò di scatto. Sollevò l'ombrello in un gesto
istintivo, con
tutta l'intenzione di colpire.
Ma
invece che con la pallida donna, Sally si ritrovò faccia a
faccia
con l'uomo incontrato sulla collina.
Castiel.
Indossava
perfino lo stesso soprabito chiaro.
Sally,
pur ancora stordita dalla paura, riuscì a frenare il gesto
di
colpirlo.
Ma
non le riuscì di fare altro. O di pensare altro.
Non
ebbe neppure il tempo di balbettare la sua sorpresa.
Castiel
le sfiorò la fronte con la punta delle dita.
Sally
cadde addormentata.
Non
fu qualcosa di voluto. Non poté far nulla per evitarlo.
Udì
delle voci, nella sua testa, sussurrarle di dormire. Ed era un ordine
al quale la coscienza umana non poteva disubbidire.
Sally
chiuse gli occhi, abbandonò la testa all'indietro e
l'ombrello le
scivolò di mano, rotolando giù per un paio di
gradini.
La
ragazza si accasciò su se stessa, come un burattino a cui
vengono
tagliati i fili.
Sarebbe
caduta anche lei per le scale, se Castiel non avesse mostrato un
briciolo di riguardo nei suoi confronti.
Le
impedì di cadere. Sorresse la ragazza, passandole un braccio
attorno
alla vita.
CONTINUA.
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Capitolo 4 *** Parte quarta ***
C4
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
Ringraziamenti:
Sarò ripetitiva, ma
continuo a ringraziare chiunque ancora segue questa piccola storia. *_*
Thank you! Merci!
Grazie ancora in special modo a Dk86 per
le sue recensioni, che oltre a essere
apprezzate dal più profondo del mio cuoricino, mi
sono anche utili per correggere errori e sviste. ♥Thank
you! Thank you! Really, thank you!
IV
Sally
era adesso perfettamente sveglia, ma continuava a tenere gli occhi
chiusi.
Sapeva
di essere sdraiata su di un fianco, sopra a qualcosa di morbido e
quel qualcosa aveva un buon odore, un odore familiare.
La
ragazza socchiuse gli occhi.
4:27
a.m.
Le
quattro e ventisette del mattino. Sally stava fissando lo schermo
della sveglia digitale sul comodino.
Nessuna
sorpresa dunque che il profumo del cuscino sotto la sua testa le
fosse familiare.
Sally
Sparrow era nel proprio letto, in camera sua. Era a casa, il suo
piccolo appartamento dove abitava da sola.
La
ragazza batté le palpebre, per scacciare la sonnolenza. Sono
a
casa mia, ripeté lentamente nella propria testa.
Chiuse di nuovo
gli occhi. Ma come sono arrivata a casa mia?
Non
riusciva a ricordarlo.
Sally
socchiuse di nuovo le palpebre, poi le richiuse. Infine le
aprì del
tutto e si tirò su a sedere, ma lo fece troppo in fretta e
troppo
bruscamente. Adesso le girava la testa. Si massaggiò la
fronte,
mentre pian piano si rendeva conto di essersi addormentata
completamente vestita: giacca, jeans, scarpe, tutto indosso, perfino
la sciarpa attorno al collo; e aveva dormito sdraiata sopra al
copriletto, non sotto le lenzuola.
Aspettò
che la testa le smettesse di girare, prima di azzardarsi a scendere
dal letto. Le luci in casa erano spente e, muovendosi nella grigia
penombra della camera, Sally andò alla finestra.
Barcollava
un po'. Si sentiva confusa e stordita, come se avesse preso una gran
botta in testa – o fosse reduce da una bruttissima sbornia.
Fuori
piovigginava. Oltre il vetro schizzato, il quartiere di notte era una
malinconica distesa di strade e di palazzi illuminati.
Londra
non dorme mai.
Sally
invece aveva dormito. E anche parecchio.
Oltre
a non avere la più pallida idea di come fosse arrivata a
casa, la
ragazza non ricordava neppure da dove fosse
tornata. Avvertiva
però una spiacevolissima sensazione allo stomaco, come se si
portasse dietro l'angoscia di un brutto sogno. Si voltò
nuovamente a
guardare la sveglia.
Le
quattro e trentadue.
I
numeri, di un blu acceso, spiccavano contro il display nero della
sveglia; quel blu erano l'unico colore che brillava nel grigio della
stanza.
Sally
restò per qualche lungo secondo con lo sguardo fisso sui
numeri.
Erano
blu. Blu.
L'orario
scattò in avanti di un minuto: le quattro e
trentatré.
Blu.
I numeri erano blu.
Blu.
Occhi blu.
Occhi
blu. Gli occhi di Castiel.
In
un attimo Sally ricordò ogni cosa.
Un
paio di minuti più tardi, Sally era di nuovo accanto alla
finestra.
Teneva
le mani nelle tasche della giacca, guardava fuori e
rifletteva, cercava di chiarirsi i pensieri.
La
spaventosa immagine del corpo del signor Huddlestone era come
stampata nella sua mente; altrettanto chiaro era il ricordo della
pallida donna incontrata sulle scale.
Sally
si sentì triste. Povero signor Huddlestone, che fine
orribile! E che
orribile esperienza quella di parlare con un uomo e ritrovarlo
cadavere pochi minuti dopo.
Chi
aveva ucciso tanto brutalmente l'organizzatore della mostra? La donna
con lo strano vestito ? Ma chi era quella donna?
O
che cosa era –
perché le persone, gli esseri umani, non svaniscono nel
nulla.
Forse
la donna non era affatto umana?
Sally
prese seriamente in considerazione quest'ultima ipotesi.
A
chiunque altro una tale idea sarebbe suonata completamente assurda,
impossibile, del tutto illogica e irragionevole.
Ma
Sally Sparrow non era chiunque. Lei sapeva che ciò che
l'opinione
comune definisce impossibile può
benissimo accadere – a volte.
Come
i viaggi nel tempo. O le statue di angeli che si rivelano essere
creature arrivate da un altro mondo.
E
Castiel, quel misterioso uomo con il trench, perché si
trovava
all'esposizione?
C'era
un collegamento tra lui, la misteriosa donna e la morte del signor
Huddlestone?
Se
si, qual'era il collegamento?
Castiel,
rifletté Sally. Si passò una mano sulle
sopracciglia, per aiutarsi
ricordare. Deve aver fatto qualcosa per farmi
addormentare.
L'aveva
drogata? Come? Lei ricordava solo di essere stata sfiorata sulla
fronte.
Sally
si guardò attorno, osservò le quattro pareti
della propria camera
da letto. Non mancava niente e niente era stato spostato. Tutto era
come lei lo aveva lasciato quella mattina, prima di uscire per andare
a lavoro.
Mi
ha portata lui a casa?
Sally
si tastò il fianco destro. Le chiavi del suo appartamento
erano lì,
nella tasca della giacca, dove le teneva sempre.
Castiel
deve averle trovate e usate per entrare in casa. Questo le
appariva ovvio, ma come e perché Castiel sapeva dove abitava
Sally?
La
domanda portava dritta a un altro quesito, quello principale: chi era
Castiel?
Ed
era una mera coincidenza l'averlo incontrato prima sulla collina e
poi nell'edificio della mostra?
E
ancora, entrambe le volte sembrava essere arrivato dal nulla, come
riusciva a farlo?
Sally
appoggiò una spalla al vetro della finestra.
Aveva
la testa piena di domande e nessuna idea di dove cominciare a cercare
le risposte.
E
lei le risposte le voleva. Le voleva più di ogni altra cosa.
Non
aveva ancora smaltito lo spavento che s'era presa qualche ora prima
–
ed era stato uno spavento con la S maiuscola, che già
fremeva dalla
voglia di capire cos'è che le era costata una paura simile.
Sally si
comportava come chi, dopo aver rischiato di cadere in un burrone,
invece di stare alla larga dal precipizio e ringraziare il Cielo di
essere ancora vivo, decide di calarsi sul fondo del burrone, solo per
scoprire su che genere di rocce appuntite abbia rischiato di
sfracellarsi.
Era
più forte di lei. L'ignoto le faceva paura, come succede a
tutti, ma
la sua curiosità della paura se ne infischiava.
Alla
ragazza tornò in mente una frase pronunciata da Arthur Conan
Doyle,
per bocca di Sherlock Holmes.
Nella
ricerca di una soluzione a un mistero, “una
volta
eliminato l'impossibile, quel che resta, per improbabile che sia,
deve essere la verità.”
Sally
si lasciò sfuggire un sospiro. Come
si fa a eliminare l'impossibile quando non si sa più con
esattezza
cosa può essere possibile e cosa no?
Questo
doveva essere il lato negativo del cominciare a credere alle cose
impossibili.
Tante
grazie, Dottore.
Ma,
si disse Sally, lei poteva ancora sforzarsi di mettere insieme quel
che aveva visto e sentito, tutti i particolari, e cercare un nesso,
un nesso logico.
Ripensò
alla figura della donna. Non ebbe difficoltà a farlo,
l'immagine le
era rimasta perfettamente impressa nella memoria. La paura
può agire
da ottima pellicola per quella macchina fotografica che è la
nostra
memoria visiva. Se Sally chiudeva gli occhi, quasi le sembrava di
udire di nuovo il fruscio dell'abito scuro e di vedere i pallidi
riflessi delle perle attorcigliate attorno al collo della donna; i
riflessi delle perle e del ciondolo.
Il
ciondolo.
«
Oh... » esclamò Sally in un soffio.
Allontanò il viso del vetro,
sorpresa dalla sua stessa intuizione. « Oh Dio, io quel
ciondolo lo conosco. Eccome, se lo conosco! »
In
preda a una strana sensazione, a metà tra l'eccitazione e
l'angoscia, Sally si scostò dalla finestra. Si tolse giacca
e
sciarpa, le gettò sul letto e si precipitò in
cucina.
Accese
la luce. Il suo computer portatile era sul tavolo.
Sally
lo aprì, ci si sedette davanti e lo avviò.
Digitò due parole nella
barra di ricerca – due parole ben precise.
Il
risultato che apparve sullo schermo per poco non la fece sobbalzare
sulla sedia.
Si
portò una mano alle labbra.
«
Non può essere... » sussurrò, fissando
l'immagine
sul display. Le bocca della ragazza, nascosta dietro la mano, era
arricciata in un sorriso.
Si, Sally
sorrideva per lo stupore di aver – forse – trovato
l'estremità
di quello che Holmes avrebbe definito
“il filo scarlatto
del delitto che scorre nella matassa incolore della vita.”
***
Larry,
sdraiato a pancia in giù, con la testa affondata nel
cuscino,
allungò un braccio verso il comodino, cercando a tentoni il
cellulare.
Il
telefono squillava, e squillava, e squillava. Squillava da almeno
cinque minuti. Larry ci aveva provato a ignorarlo, si era girato
dall'altra parte, ma il cellulare sembrava intenzionato a squillare
all'infinito.
Alla
fine, con dei sentimenti profondamente mal disposti nei confronti di
chiunque fosse dall'altro capo del filo, Larry si decise a
rispondere.
«
Pronto? » biascicò, con la voce impastata dal
sonno e la bocca per
metà nascosta dal cuscino. Non riusciva nemmeno ad aprire
gli occhi,
figuriamoci riuscire a sollevare la testa.
« Larry,
stavi dormendo? »
La
voce di Sally Sparrow – la ragazza che non si faceva mai
problemi
a telefonare in casa di amici a orari improponibili –
risuonò
nell'orecchio di Larry.
Lui
aprì un occhio – uno soltanto perché
costava meno fatica – per
controllare la sveglia.
« Sono le cinque e mezzo di mattina... »
«
Sì, lo so! Devo parlarti, è urgente! »
Larry raccolse le forze necessarie per compiere l'enorme sforzo fisico
di
sollevare la testa dal cuscino.
«
Adesso? »
«
Sì, ma non al telefono »
«
Cos'è questo rumore? Il motore di un'automobile? »
«
Sì, è appena passata un'auto. Sono in strada. Ti
sto chiamando da
una cabina telefonica... » spiegò Sally in fretta.
«
E perché? » chiese confusamente Larry, ma l'unica
risposta che
ottenne fu un ancor più frettoloso:
«
Vediamoci in negozio. Ti aspetto lì tra mezz'ora.»
Sally
riagganciò e Larry, ancora mezzo addormentato, rimase a
guardare
fissamente il proprio cellulare.
CONTINUA.
|
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Capitolo 5 *** Parte quinta ***
C5
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
V
Esattamente
un'ora e mezza più tardi, Larry si trovava sul retro del
negozio
“Sparrow & Nightingale, Antiquarian
Books and Rare Dvd's”. La
stanza era occupata per lo più da scaffali; sui ripiani di
plastica
se ne stavano in bell'ordine un mucchio di scartoffie e alcune
scatole di merce ancora imballata. Una borsa scura, di quelle usate
per trasportare i computer portatili, una giaccia di jeans e una
sciarpa colorata erano state gettate sul tavolo sistemato sotto alla
finestra.
Larry
era seduto accanto al suddetto tavolo, con le braccia abbandonate
sulle gambe e una tazza di caffè – ormai vuota
– tra le mani. Sally se ne stava appoggiata con la schiena al
bordo del tavolo, i pollici
infilati nelle tasche davanti dei jeans. Lei di caffè non ne
aveva
avuto bisogno; dopo più di nove ore di sonno era sveglia
come un
grillo.
Sally osservava Larry che a sua volta stava fissando le
mattonelle del pavimento; lui aveva un'espressione stravolta, lei di
leggera impazienza.
La ragazza aveva appena finito di raccontare a Larry quel che era
successo all'esposizione. Gli aveva detto tutto,
dall'improvviso salto di corrente a come si fosse risvegliata nel
proprio letto, a casa, senza sapere quando e come ci fosse tornata. E
aveva dovuto farlo per ben tre volte. Tre volte aveva ripetuto la
stessa storia, prima che Larry si decidesse a prenderla sul serio.
«
Io... io... » stava balbettando Larry in quel momento,
« io credo
di essere sotto shock... » Parlava lentamente,
così lentamente da
risultare quasi buffo. O quasi stupido.
Sally
fece schioccare la lingua contro il palato.
«
Eh, non dirlo a me... » sospirò, con una
tranquillità che aveva un
non so che di ironico.
Larry
non sembrò aver sentito il commento. Se ne stette in
silenzio per un
paio di secondi, poi sollevò lo sguardo.
«
Sally... » cominciò, titubante.
«
Cosa? »
«
Dovresti andare alla polizia »
Sally
fece un gesto infastidito con la mano, come a scacciar via
quell'idea.
«
Non posso » disse. « Voglio dire, potrei,
ma non servirebbe a niente. Non mi crederanno mai »
Ci
fu di nuovo qualche attimo di silenzio. Attimi durante i quali Larry
prima aggrottò la fronte, come se il suo cervello stesse
faticosamente elaborando un pensiero, poi strabuzzò gli
occhi, colto
da un' improvvisa semi-illuminazione. Si alzò di scatto
dalla sedia,
la tazza che aveva tra le mani cadde sul pavimento.
«
Oh, porca zozza! Sally, tu sei l'ultima persona con
cui è
stato visto vivo il signor Huddlestone... Quella donna, l'ex-moglie,
hai detto che conosce il tuo nome. La polizia verrà...
»
«
...a cercarmi, si, lo so » lo interruppe Sally, parlando con
calma.
Si chinò per raccogliere la tazza. «E cosa
dirò alla polizia? La
verità. Mi prenderanno per pazza? Ci può
scommettere » Si rimise
in piedi. « Verrò sospettata dell'omicidio del
signor Huddlestone?
Altamente probabile, ma non è questo il problema al momento
»
concluse.
Mentre
Sally parlava l'espressione di Larry passò, nel giro di
pochi
istanti, dalla preoccupazione allo stupore.
«
Essere sospettata di omicidio non
è un problema per te? E quale sarebbe il problema del
momento? »
Sally
poggiò la tazza sul tavolo e, scandendo per bene le parole,
rispose: « Scoprire chi ha veramente ucciso il signor
Huddlestone »
Larry
inarcò un sopracciglio.
«
Che, per l'appunto, è il problema della polizia, non il
nostro »
«
La polizia non imboccherà mai la pista giusta »
ribatté Sally «
se, come immagino, non crederanno nemmeno a una parola della mia
testimonianza »
Larry
fece il gesto di tirare indietro la testa e scrutò Sally da
capo a
piedi.
«
Senza offesa, Sally, ma quella frase suonava un po' presuntuosa...
»
«
Presuntuosa, ma vera. Io ho visto in faccia l'assassino, la polizia
no »
«
Credi che l'uomo con l'impermeabile abbia ucciso il signor
Huddlestone? » domandò Larry.
Gli
sembrava la conclusione più logica a cui giungere, ma a
quelle
parole Sally affermò:
« Chi? Castiel? No. Impossibile » e
tornò
ad appoggiarsi al tavolo, stringendo nervosamente una mano
nell'altra.
Larry
aggrottò la fronte. « E perché non
potrebbe essere lui? Voglio
dire, era lì, sul luogo dell'omicidio. Come fai a dire che
è
innocente? »
Ottima
domanda, ardua risposta, pensò Sally.
Non
che durante le due ore passate Sally non avesse trovato un motivo per
credere Castiel estraneo alla morte del signor Huddlestone. Pensa e
ripensa, un motivo lo aveva seriamente trovato, ma l'argomentazione le
suonava
così sciocca e infantile che, per amor proprio,
preferì non
condividerla con Larry.
«
Dimenticati di Castiel » buttò lì
Sally. « Lui non farebbe
del male a nessuno, te lo assicuro. Fidati... ehm... del mio istinto
»
Il
sopracciglio di Larry tornò ad inarcarsi.
«
Ma se hai detto che ti ha drogata? »
«
Ho detto che mi ha addormentata, ma non so come
abbia fatto »
«
E poi ti ha portata a casa? »
«
Molto probabile » rispose Sally, dopo un istante di
esitazione.
In
quel frangente Larry venne colto da un brutto pensiero.
«
Non ti avrà fatto qualcosa mentre eri addormentata, vero?
»
esclamò.
«
Oh, ma per favore, Larry! » lo azzittì Sally,
irritata.
«
Beh, chiunque sia, assassino o no, se si azzarda di nuovo ad
avvicinarti... io.... io lo prendo a pugni »
Sally
ridacchiò e cercò di dissimulare la risata
scettica in un colpo di
tosse. Larry le lanciò un'occhiata dubbiosa e anche un
tantino
offesa.
«
Scusa... » borbottò Sally.
Larry
si lasciò cadere sulla sedia e si passò
stancamente una mano sul
viso.
«
Allora » cominciò « se non dell'uomo in
impermeabile, di chi
sospetti? Della donna incontrata sulle scale, quella che ti
è
scomparsa da davanti? »
«
La donna con le mani sporche di sangue? La donna che credo fosse sul
punto di strangolarmi – o fare altro che preferisco non
immaginare?
Si. Si, Larry, sospetto di lei » disse Sally, con il tono un
po'
scocciato di chi si vede costretto a sottolineare l'ovvio. «
E ti
dirò di più. Io so anche chi
è quella donna »
Larry
sollevò le sopracciglia. « La conosci? »
«
Si, la conosco. E la conosci anche tu. La conosce un sacco di gente,
in realtà »
«
E chi è? »
Sally
prese un bel respiro, conscia di essere sul punto di intavolare la
conversazione più bizzarra della sua vita – se si
esclude quella
avuta con il Dottore, ovvio.
«
Anna Bolena »
dichiarò Sally. «
Sono quasi sicura che la donna sulle scale fosse Anna Bolena »
Il
basito silenzio di Larry fu più significativo di qualsiasi
possibile
immaginabile esclamazione di scettica incredulità.
«
Sally... » cominciò il ragazzo, dopo qualche
attimo, scandendo le
parole con studiata lentezza « quando dici Anna Bolena,
intendi
quella Anna Bolena? »
«
Tu ne conosci altre? » ribatté la ragazza.
«
Quindi, secondo te » riprese Larry, sempre con la stessa
lentezza «
a uccidere il signor Huddlestone è stata una regina vissuta
secoli
fa. Mentre il tuo istinto ti assicura che l'uomo
col trench è
completamente innocente »
Sally
annuì.
Larry
sbuffò una risata e si abbandonò contro lo
schienale della sedia. «
Si, si certo... questa è un'ipotesi decisamente plausibile
» disse,
sardonico.
«
Non mi stai prendendo sul serio » osservò Sally,
con imperturbabile
calma.
Larry
si grattò la fronte.
«
Ehm... Sally, io non sono un genio dell'investigazione, ma credo che
Anna Bolena abbia un alibi di ferro. È morta, morta e
sepolta da
quasi cinquecento anni »
«
Lo so che è morta » ribatté Sally.
« Non a caso all'esposizione
ho incontrato il suo fantasma »
Le
sopracciglia di Larry si sollevarono così tanto da rischiare
di
sparire sotto la frangia dei capelli.
«
Oh, avanti, Larry! » sbottò Sally, davanti a
quell'ennesima
espressione di incredulità. « Non dirmi che non
hai mai sentito
parlare della leggenda del fantasma di Anna Bolena, che da secoli
infesta la Torre di Londra »
«
Sì, che ho sentito parlare della leggenda. Ma è
una
leggenda,
appunto. Una favola, una storiella per i turisti. I fantasmi non
esistono »
Sally
alzò gli occhi al soffitto e con aria innocente e distratta
disse: « E le statue non si muovono quando nessuno le
guardia. E non può
un'enorme navicella spaziale stare dentro a una piccola cabina blu.
E, ovviamente, viaggiare nel tempo è sola una fantasia
»
«
Ma... ma non è la stessa cosa! »
protestò Larry.
Sally
lo guardò con serietà.
«
Perché no? » gli chiese.
Larry
si ritrovò a corto di risposte e prima che potesse trovarne
una
adatta, Sally riprese a parlare, asciutta e risoluta: « So di
cosa
sto parlando. Ho fatto delle ricerche » Allungò
una mano verso la
borsa e ne tirò fuori il proprio portatile. Lo
aprì, lo accese e lo
sistemò sul tavolino, con lo schermo girato verso Larry.
« Guarda
questo »
Il
ragazzo si ritrovò a guardare la foto di un antico ritratto
di donna
su fondo scuro. La donna aveva in mano una rosa, delle perle sul
petto e al collo un ciondolo a forma di B, decorato a sua volta da
altre tre perle a forma di goccia. Lungo il bordo superiore del
ritratto erano state dipinte in oro queste parole: ANNA BOLINA ANG
RECINA. Non era la prima volta che Larry vedeva quell'immagine. La
si trovava in molti libri di storia, anche scolastici.
«
Il più famoso ritratto ufficiale di Anna Bolena*, seconda
moglie di
Enrico VIII, regina di Inghilterra per tre anni » disse
Sally,
parlando alle spalle di Larry. « Vedi il ciondolo, il monile
a
forma di B? E' lo stesso che aveva al collo la donna che ho visto io.
Indossava quello e il resto della collana di perle. E guarda
quest'altro... » Sally allungò una mano per aprire
una seconda
finestra. « Anna Bolena è vissuta nel XVI secolo.
Questo è un
esempio di abiti da donna del periodo. Stessa foggia, stesso stile
dell'abito della nostra donna. Oh, ammetto che per
quanto
riguarda il viso, il ritratto non sia molto somigliante, ma i tratti
sottili, gli occhi e i capelli scuri corrispondono. E ti assicuro una
cosa, Larry: quello che ho visto io non era certo il viso di una
persona che scoppia di salute, era cadaverico, spettrale. In ogni
senso. Altro particolare: il freddo improvviso. Secondo gli studiosi
del paranormale – o più in generale secondo i
racconti folcloristi
– l'apparizione di un fantasma è sempre
accompagnata da un
improvviso calo della temperatura. Che mi dici poi della porta che si
è chiusa da sola? Io l'avevo lasciata completamente
spalancata, non
c'era corrente d'aria tra il corridoio e la sala e io sono quasi del
tutto certa di non aver sentito nessuno muoversi in corridoio.
Dunque, come ha fatto la porta a chiudersi? Che gli spiriti riescano
a interagire con gli oggetti è un'idea diffusa. Infine,
ultimo ma
non meno importante, è una semplice coincidenza il fatto che
Anna
Bolena e il signor Huddlestone siano entrambi morti decapitati? Certo,
potrebbe essere una coincidenza. O forse no.»
Tutto
questo discorso Sally lo pronunciò quasi senza riprendere
fiato.
Larry aveva inutilmente boccheggiato tre o quattro volte nella
speranza di riuscire a dire la sua, ma non ebbe possibilità
di
parlare fino a quando non Sally decise che poteva farlo.
«
Ma... ma perché Anna Bolena avrebbe voluto uccidere il
signor Huddlestone? » fu la prima obbiezione di Larry.
«
Ah, non ho la più pallida idea di come ragionino i fantasmi.
Magari
non c'è un vero e proprio motivo, forse quello di Anna
Bolena è
solo un fantasma particolarmente arrabbiato. D'altronde, avrebbe
anche i suoi buoni motivo per esserlo, no? Insomma, è stata
condannata a morte dal proprio marito con delle false accuse, non mi
stupirei se fosse un tantino rancorosa nei confronti dei vivi
»
«
Io non ho mai sentito di fantasmi che vanno in giro a uccidere le
persone »
«
Ah, no? Io, invece, ho letto che nel 1817, una guardia della Torre di
Londra morì d'infarto, dopo aver incontrato il fantasma
della regina
»
«
Non ci crederai sul serio, vero? » esclamò Larry.
Sally
si limitò a dare una scrollata di spalle.
«
Comunque » continuò Larry, « si dice che
il fantasma infesti la
Torre di Londra, giusto? Adesso che ci fa a Bloomsbury, gli
è
scaduto il contratto d'affitto e si è trasferito? »
«
A dirla tutta, testimonianze di apparizioni del fantasma della regina
sono state raccolte non sono nella Torre di Londra, ma anche a
Blicking Hall nel Norfolk, a Hever Castle nel Kent e a Rochford Hall
nell'Essex. Sai cosa hanno in comune tutti questi posti, Larry? Anna
Bolena vi ha trascorso parte della sua vita. I fantasmi restano
legati ai luoghi dove hanno vissuto... beh, così almeno
vuole la
tradizione »
«
Quindi il palazzo dell'esposizione è stato abitato dalla
Bolena? »
Sally
scosse la testa.
«
Impossibile. Ho cercato notizie al riguardo, il palazzo è
stato
costruito solo nel 1794. Ma non sono ancora riuscita a scoprire cosa
ci fosse in quella strada nel XVI secolo... »
Larry,
ben lontano dall'essere convinto, aveva ancora un'obbiezione da fare.
Prese un respirò e poi domandò:
«
D'accordo, ammettiamo... per un attimo... di avere davvero a che fare
con il fantasma di Anna Bolena. È morta decapitata, il suo
non
dovrebbe essere un fantasma senza testa? »
Strano
come le domande più ovvie a volte siano le ultime che ci
poniamo.
Nel caso di Sally, lei dalla domanda in questione non era stata
minimamente sfiorata.
«
Ehm... » mormorò Sally. E all'ehm
seguì qualche secondo di
dubbioso silenzio. « Oh, e che ne so io! »
sbottò alla fine. « Se
la sarà riattaccata! Ascolta Larry è normale che
tu non mi creda.
Sarei scettica anch'io se qualcuno venisse da me a raccontarmi di
aver visto un fantasma, ma... ma questa cosa è successa a
me. Non
sto dicendo di aver incontrato un fantasma perché sono una
persona
superstiziosa, lo dico perché tutti gli indizi che ho
puntano a
questa spiegazione. Quindi, fino a quando non troverò
qualcosa,
qualunque cosa, che apra la strada a una diversa ipotesi, non vedo
perché dovrei escludere quella del fantasma »
E
Larry zitto.
«
Che c'è, perché mi guardi così?
» sbuffò Sally e poggiò una
mano sul piano del tavolo.
«
Tu ti stai divertendo » le disse Larry. E non era una
domanda. Era
un'affermazione formulata in tono d'accusa.
Sally
guardò il ragazzo con stupore.
«
Cosa? No, no... io non mi sto divertendo. Perché, do questa
impressione? » domandò incredula.
«
Eh, altroché! » esclamò Larry.
« Parli a raffica, sprizzi
entusiasmo da tutti i pori e sei tutta un “Ehi! Investigare
sul
paranormale è il mio nuovo hobby!” »
«
Larry, il mio non è entusiasmo » si difese Sally,
« è paura »
Sally
ricevette in risposta da Larry un'occhiata di puro e sublime
scetticismo.
«
Ah, d'accordo! Va bene! » sbottò la ragazza,
alzando le mani in
segno di resa. « Magari un pochino, giusto un pochino mi sto
divertendo... ma avanti Larry! » Fece un passo verso di lui.
«
Questo » disse, indicando con un dito vero il basso,
« è un
mistero e a te piacciono i misteri, giusto? Sei o non sei tu quello
che ha passato mesi a tentare di scoprire il perché e il
percome
dell'uovo di pasqua del Dottore nascosto sui diciassette DVD?
»
«
I DVD non ti staccano la testa! » le fece giustamente notare
Larry.
«
Dai, Larry! » Sally gli mollò una pacca sul
braccio. « Finalmente,
dopo un anno e mezzo, ci succede di nuovo qualcosa... qualcosa di...
di... »
«
Di spaventoso! Sally, un uomo è morto, tu sarai sospettata
del suo
omicidio e la teoria più accreditata che abbiamo al momento
è che
l'artefice del delitto sia il fantasma psicopatico di una regina
morta cinquecento anni fa. E, lasciamelo dire, è una teoria
davvero
poco rassicurante. Quale persona normale troverebbe tutto questo
divertente? »
Sally
sorrise radiosa.
«
Quindi mi credi? Credi anche tu che abbiamo a che fare con un
fantasma »
«
Sally credo che ti sia sfuggito il senso principale della mia
frase... »
Sally
era lì, lì per ribattere, ma Larry la
frenò. « Ah, lascia
perdere! » Si rassegnò. « Sei stata
dietro alla storia del Dottore
per un anno intero. Figuriamoci se riesco a farti mollare questa di
faccenda! »
Il
ragazzo si lasciò cadere seduto sulla sedia.
L'accostò
al tavolo e prese ad armeggiare con il portatile di Sally.
«
Non mi ancora detto cosa centra quel tipo, Castiel, con la storia del
fantasma? »
Sally
scrollò le spalle. « Questo davvero non lo so
»
«
È un fantasma anche lui? » domandò
Larry, con una punta di
scettica ironia.
Sally
si passò una mano sul collo, pensierosa.
«
Non credo, Castiel mi è sembrato avere un aspetto
piuttosto... vivo
e vegeto. » Alzò gli occhi verso il soffitto.
« Anche se continuo
a non spiegarmi come faccia ad arrivare senza far mai rumore
»
Abbassò lo sguardo su Larry. « Che stai facendo?
»
Larry
se ne uscì con una specie di grugnito contrariato.
«
Bah, dato che ormai te lo sei messo in testa... »
borbottò
continuando a battere i polpastrelli sui tasti del pc. « Sto
cercando di ritrovare un sito che mi ha mostrato tempo fa Mark....
»
«
Un sito di cosa? »
«
Eccolo! Trovato! Vieni a vedere... »
Sally
si avvicinò al tavolo, fermandosi dietro alla sedia di
Larry.
Appoggiò una mano allo schienale e l'altra sul proprio
fianco.
Guardò lo schermo del portatile, socchiudendo gli occhi per
leggere
meglio.
«
Ghostfacers?** Che roba è? »
«
Cacciatori di fantasmi. Veri cacciatori di
fantasmi, bah...
almeno loro dicono di esserlo. Hanno questo sito, e anche un blog
»
«
Perché Mark consulta siti del genere? »
«
Ehm, credi a me, non vuoi saperlo... »
Sally
guardò Larry inarcando un sopracciglio, ma
accettò il consiglio.
«
Sono inglesi, questi Ghostfacers? » domandò.
«
Americani » rispose Larry. « Texas »
«
Oh, molto bene » sospirò Sally. «
Abitano proprio dietro l'angolo.
E questi, cosa sono? »
«
Cosa? »
Sally
indicò qualcosa sullo schermo. « Clicca qui...
dove c'è scritto
Video Didattici** »
Sally
e Larry si ritrovarono a guardare il filmato di due tizi in camice
bianco, in piedi davanti a un tavolo. A giudicare dallo sfondo alle
loro spalle, dovevano aver registrato il video in un garage. Non
erano giovanissimi, uno era moro e l'altro con i capelli rossi,
entrambi occhialuti, nel complesso avevano
un'aria alquanto nerd.
«
Sappiamo perché ci guardate »
esordì il pel di carota.
«
Voi avete un problema » aggiunse l'altro,
sfilandosi gli
occhiali con fare da duro.
«
Un problema di fantasmi » concluse il suo compare,
incrociando
le braccia al petto.
«
Un problema che riguarda i fantasmi » riprese il
moro «
ovvero un problema che ruota intorno ai fantasmi... una... una specie
di problema e i fantasmi ne fanno parte... » Si
stava
palesemente incartando nel discorso. Erano piuttosto comici, per
essere persone che dichiaravano di occuparsi di cose paurose come i
fantasmi. Nemmeno la musica rock di sottofondo aiutava a dar loro
un'aria professionale.
«
Basta così! » intervenne il rosso. Poi
tornò a rivolgersi alla
camera « Siete nel sito giusto, l'unico sito
qualificato perché
noi risolveremo il vostro problema»
«
Proprio così! »
«
Guardate e imparate.»
«
Il primo passo in ogni battaglia al sovrannaturale
è...»
«
Capire cosa state combattendo! » esclamarono a una
sola voce.
«
Un volta avvistata l'entità... »
«
Uccidetela! » Di nuovo in coro.
«
Usando delle speciali armi cacciafantasmi »
specificò il moro.
«
Prima cosa: il sale! » disse il pel di carota, che
ora si era
ficcato un elmetto da militare in testa. Mostrò un barattolo
di sale
grosso. « E' come acido per i fantasmi » aggiunse
disegnando un cerchio col sale sul tavolo davanti a loro.
«
Puro acido! »
«
Non come LSD... »
«
No, il sale li annienta. Prossima arma: il ferro »
In
quella spuntarono fuori una pala e un attizzatoio per caminetti.
«
Pura potenza nelle vostre mani... »
«
Fa scomparire i fantasmi all'istante »
Il
moro fendette l'aria con l'attizzatoio che brandiva tra le mani. E
per poco non colpì il suo compagno.
«
Il prossimo piccolo trucco lo abbiamo... » riprese
il pel di
carota, ma sembrava restio a continuare la frase, «
...lo abbiamo
imparato da quei due inutili imbecilli... »
«
...che noi odiamo... » si curò di
sottolineare l'altro.
«
I fratelli Whincester. »
«
Fucile! »
Il
moro imbracciò con fare esperto un fucile – che
aveva tutta l'aria
di essere un'arma giocattolo.
«
E proiettili speciali, carichi di ottimo sale fresco »
E
il pel di carota mostrò come caricare dei proiettili vuoti
con del
sale.
«
Molto efficace... » assicurò il moro
mettendo giù il fucile
sul tavolo.
«
Si, molto molto efficace... » gli fece eco l'altro.
«
Ma i Winchester restano degli imbecilli »
«
Affermativo. Due imbecilli di prima categoria »
«
Comunque quei noiosi e stupidi fratelli Winchester ci hanno insegnato
un'altra cosa importante »
Chiunque
fossero questi fratelli, pensò Sally, ai due tizi nel video
piaceva
da morire insultarli.
«
Che
bisogna bruciare i resti
»
Il
moro accese la fiamma di un accendino davanti alla
telecamera.
«
Ok, il consiglio successivo è un po' schifoso... »
continuò con una smorfia che sottolineava bene il
significato
dell'ultima parola, « a volte
è necessario dissotterrare
il corpo. Ci dispiace »
«
Il che è illegale in alcuni stati »
«
In tutti gli stati »
I
pochi secondi rimasti di video erano dedicati a cosa fare in caso il
corpo fosse stato cremato. Niente panico, raccomandavo i due
pseudoesperti. In tal caso bisognava andare alla ricerca di qualche
altro resto organico, come una ciocca di capelli o dei denti da
latte.
«
Buona caccia, giovani leoni »
«Che
Dio vi aiuti »
Terminato
il video, Sally e Larry restarono a fissare lo schermo nero in
silenzio, un silenzio perplesso e pensieroso, l'unico genere di
silenzio che può seguire alla visione di un tale filmato.
Sally
piegò leggermente la testa di lato e socchiuse le palpebre.
«
Tu sai se qui in Inghilterra dissotterrare cadaveri
è
illegale? » domandò lentamente.
Larry
la guardò allarmato.
«
Sally! »
La
ragazza si mise a ridere.
«
Scherzavo! Scherzavo! Non ho intenzione di andare a dissotterrare
Anna Bolena, stai tranquillo »
Sally
fece un passo indietro, scostandosi dalla sedia.
«
Ma almeno adesso ho un'idea su dove cominciare » disse,
sovrappensiero.
Larry
si allarmò di nuovo.
«
Cominciare che cosa? » chiese. « No! No, no.... non
mi rispondere.
Dimmi soltanto che adesso non andremo a caccia di
spettri »
«
Io e te a caccia di spettri? No, certo che no » Sally scosse
la
testa, come se reputasse ridicola la sola idea.
Larry
respirò.
«
Io andrò a cercare il fantasma
» annunciò allegramente
Sally, unendo i palmi delle mani. « Tu
resterai qui »
«
Sally! »
«
Sul serio, Larry, tu devi restare qui al negozio. Sarà il
primo
posto dove la polizia verrà a cercami e non trovarci nessuno
sarebbe
una cosa sospetta » disse Sally, chiudendo il portatile.
Larry
si alzò in piedi.
«
Ma... ma... la polizia verrà a cercarti a casa »
balbettò, mentre
la ragazza faceva scivolare il portatile nella borsa.
«
Stammi a sentire, Larry » riprese in fretta Sally, mentre
indossava
velocemente la giacca, « il signor Huddlestone era
divorziato. Da
quel poco che ho capito del suo carattere, posso azzardarmi a credere
che vivesse da solo. Forse – e dico forse –
c'è qualche
possibilità che nessuno si sia ancora accorto della sua
scomparsa e
che nessuno abbia ancora ritrovato il corpo. L'esposizione non apre
prima delle nove, quindi io potrei avere tempo fino alle dieci, prima
che la polizia scopra chi sono e dove lavoro. A quell'ora, verranno a
cercarmi direttamente qui in negozio. Tu dì loro di non
avere mie
notizie da ieri pomeriggio, da quando abbiamo chiuso il negozio. Se
scoprono che hai ricevuto una telefonata alle sei del mattino, puoi
inventarti che si trattava dello scherzo di qualche ragazzino. Ti ho
chiamato da un telefono pubblico e la conversazione è stata
breve,
non dovrebbero aver motivo di credere che menti. Ma tu cerca di
essere convincente. E non preoccuparti, non sto scappando! Quando la
polizia verrà a parlare con me, dirò tutto (anche
se sarà solo
uno spreco di fiato). Nel frattempo, però, ho due ore per
muovermi
in tutta libertà e non voglio sprecarle »
«
Muoverti? Ma dove hai intenzione di andare? »
Sally
si gettò un lembo della sciarpa sulla spalla.
«
A fare una visita di cortesia ad Anna Bolena »
CONTINUA.
______________________
Note:
*
il
ritratto
di Anna Bolena.
**
I Ghostfacers
sono
un gruppo di acchiappa-fantasmi “alla ScoobyDoo”
che compaiono
nella prima e nella terza stagione di Supernatural. Indirettamente,
appaiono anche in un episodio della quarta stagione, quando Sam e
Dean – ai quali gli angeli hanno fatto dimenticare la loro
vera
identità, un po' come il Dottore quando è
convinto di essere Jhon
Smith – consultano il sito dei Ghostfacers e trovano il video
“Guarda e Impara”; lo stesso video trovato da Sally
e Larry.
Il
sito e il blog esistono davvero, se volete divertirvi potete vedere
qui
il video per imparare ad affrontare Casper&com. XD
|
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Capitolo 6 *** Parte sesta ***
C6
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
Note:
Questo aggiornamento è davvero in ritardo. Lo so. E i motivi
sono
tre: una settimana via di casa e lontana da pc, un esame da preparare
e, ultimo e più importante motivo, questo capitolo sembrava
proprio non
voler uscire dalla mia penna. Le scene nella mia mente erano chiare e
precise, ma ho avuto una mezza specie di blocco nel momento in cui ho
dovuto metterle giù a parole. Odio quando mi succede.
u.u E non è che il risultato finale mi convinca un granché! : /
Il
prossimo capitolo arriverà prima, spero. Per quanto riguarda
questo,
è il caso di avvertire che sebbene il luogo dove si svolge
tutta
l'azione e la sua descrizione siano reali, alcuni particolari come
l'ordine delle tappe della visita sono stati lavorati puramente di
fantasia, per ragioni di... beh, per ragioni di narrazione. Ah, e ho
cambiato banner e impaginazione, ma questo suppongo che sia tanto
evidente quanto irrilevante.
Ringrazio
ancora tantissimo chi continua a seguire la storia e Dk86, Alexia379 e
Saliman che continuano a lasciare le loro gentili e apprezzatissime
recensioni.
VI
Una
triste e compatta cupola di nuvole perlacee soffocava il cielo
londinese; non un tenue spiraglio di azzurro, non un tiepido raggio
di sole trovava posto sopra i tetti della città. Nella
fredda aria del mattino, la Union Flag, issata
sulla Torre di Londra, sventolava con fierezza dalla
cima di un alto palo. La stoffa della bandiera si gonfiava e si
agitava ad ogni folata di vento. Da quasi novecento anni a questa
parte, la fortezza medievale della Torre di Londra, protetta da una
cinta di mura merlate, con tanto di feritoie e di ben quattordici
torri di guardia, se ne sta acquattata sulla sponda settentrionale
del Tamigi. La White Tower, con annessa la cappella di San Giovanni
Evangelista, è il cuore della fortezza; un cuore dall'aspetto grigio
e greve - le pareti dell'edificio, a pianta quadrata, sono scandite
da tre ordini orizzontali di strette e buie finestre ad ogiva e le
sue quattro torri sovrastano per altezza ogni altra costruzione
all'interno delle mura.
Se
oggi i turisti fanno la fila per poter visitare la Torre di Londra,
al tempo di Anna Bolena non una sola anima in tutto il Regno si
sarebbe augurata di varcare la soglia del Traitors' Gate – il
cancello che, direttamente dal fiume, dava accesso all'interno della
fortezza. Molti dei nobili personaggi che avevano fatto il loro
ingresso nella Torre, passando sotto l'arco del cancello,
accompagnati dall'accusa di essere nemici e traditori del re, non ne
erano più usciti.
Ad
ogni modo, quella mattina, il problema di Sally non era stato quello
di uscire dalla Torre, ma quello di riuscire ad entrarci.
Quando
Sally aveva annunciato a Larry di voler andare a far visita ad Anna
Bolena parlava di visitare la tomba della regina, nella piccola
cappella di San Pietro Ad Vincula; cappella che, per l'appunto, fa
parte del complesso della Torre di Londra. Non che Sally avesse una
precisa idea di cosa cercare o di cosa aspettarsi di trovare in quel
luogo; al contrario, se qualcuno glielo avesse chiesto, lei avrebbe
risposto di essersi recata alla Torre solo e soltanto perché aveva
il vago sentore che fosse il posto più adatto per raccogliere
informazioni, essendo lì nata la leggenda del fantasma di Anna
Bolena. Quale altro luogo le si offriva per iniziare la sua ricerca?
L'unica alternativa alla Torre era il
luogo del delitto stesso, il palazzo dell'esposizione,
a Bloomsbury. Ma a quell'ora il palazzo doveva essere piantonato
dalla polizia. Entrarvi sarebbe stato impossibile. Farsi vedere nelle
vicinanze inutilmente rischioso.
Due
sono i modi per avere accesso alla cappella di San Pietro ad Vincula:
uno è assistere liberamente alla funzione domenicale, l'altro è
prendere parte a una visita guidata dell'intera fortezza. E poiché
quel giorno era venerdì, Sally era stata costretta a quasi venti
minuti di impaziente fila per pagare il biglietto d'ingresso e
riuscire ad accodarsi a un primo e mattiniero gruppo di turisti.
«
...ad vincula è un termine latino che significa in
catene... » stava spiegando la guida, mentre il gruppo di
visitatori – trentadue persone in tutto – avanzava lungo la
navata della cappella, tra le ordinate file di banchi di legno. La
guida, un uomo con i capelli grigi, grossi occhiali rotondi spinti su
per il naso camuso e un paio di baffi da far invidia a un imperatore
tedesco, era uno Yeoman Warder – o Beefeater – come
vengono chiamate le guardie della Torre. L'uomo faceva
orgogliosamente sfoggio della tradizionale divisa nera, bordata di
rosso, completa di capello – e, gentile come vuole il suo ruolo,
sapeva tenere viva l'attenzione dei visitatori. Parlava con la
vivacità di un attore di teatro e le sue spiegazioni non erano
noiosi resoconti storici. Intramezzava agli importanti eventi passati
alla storia – come le battaglie, gli editti emanati o l'ascesa e la
caduta dei monarchi – i tanti aneddoti sulla vita privata delle
persone che la storia l'avevano scritta.
Per
quanto riguarda Sally, avrebbe di certo apprezzato la bravura della
guida se non fosse stata tanto occupata ad annotare mentalmente, ad
analizzare con occhio attento ogni particolare della cappella che le
capitava sotto lo sguardo. E nel farlo, si stava rendendo conto che
non è per nulla facile cercare quando ancora non si ha ben
chiaro cosa si spera di trovare. Per il momento, Sally se ne
stava in mezzo al gruppo – con i capelli biondi sciolti sulle
spalle, la sciarpa colorata attorno al collo, le mani sprofondate
nelle tasche della giacca e la borsa indossata a tracolla. Si
guardava attorno. Per piccola che fosse, con il suo silenzio, con il
suo odore di incenso e di umida pietra, con il suo inconscio ruolo di
testimone di tante tragiche vite umane, la cappella ispirava un senso
di rispettosa solennità. Lungo la navata a pianta rettangolare
correva, parallelamente alle pareti laterali, una fila di arcate
ogivali, sorrette da pesanti pilastri a fascio, che separavano in due
l'ambiente. Sopra le teste dei visitatori, dall'alto e scuro soffitto
a traviate, pendevano tre massicci lampadari, mentre sotto i loro
piedi, il pavimento era coperto di lucidi lastroni di marmo nero e
rosso. Non c'erano affreschi a decorare le mura, ma cinque vetrate,
ampie e alte, si aprivano su ciascuna delle due pareti laterali. Una
sesta vetrata, anch'essa importante per dimensione e altezza,
occupava buona parte della parete absidale, proprio sopra
all'altare. Alla fredda luce che filtrava dall'esterno, Sally vedeva
un tenue e sfuggevole luccichio di polvere fluttuare sopra i
paramenti dell'altare.
«
Al tempo di Enrico III » spiegava la guida, che era salita sul
pavimento rialzato attorno all'altare, per essere meglio visibile
all'intero gruppo, « a usufruire di questa cappella non erano
i membri della famiglia reale, che invece seguivano le funzioni della
cappella di San Giovanni Evangelista, accanto alla White Tower.
Questa cappella era riservata alla servitù, alle guardie e ai
soldati della Torre » E la guida andò avanti a spiegare che la
cappella era uno dei pochi esempi ancora esistenti dell'architettura
sotto la dinastia Tudor. « Tutti coloro che furono giustiziati nella
Tower Green vennero seppelliti
sotto il pavimento della cappella, ma senza alcuna lapide, senza
neppure una piccola incisione che ne ricordasse il nome. Quando nel
1876, durante il regno della regina Victoria, la cappella fu
ristrutturata, il pavimento venne divelto e tutti i resti vennero
spostati nella cripta. Le ossa, invece, rivenute sotto la zona del
presbiterio furono rinterrate proprio qui... sotto il pavimento
davanti all'altare... »
E
il gruppetto di curiosi si spostò per avvicinarsi all'altare. Si
spostarono tutti – tranne Sally, che preferì restare appoggiata a
uno dei banchi della prima fila, decisa ad avvicinarsi all'altare
solo quando gli altri visitatori fosse stati presi dall'interesse per
qualche altro angolo della cappella.
«
...e si da il caso » continuava la guida, « che la zona del
presbiterio fosse quella riservata alla sepoltura dei condannati più
illustri. Lì sono state ritrovate quelle che sono, con tutta
probabilità, le ossa di Anna Bolena e di sua cugina Catherine
Howard, rispettivamente la seconda e la quinta moglie di Enrico
VIII... Vi parlerò meglio di loro, nella Tower Green... Ora,
signori, se vogliamo spostarci... si, signorina? »
Sally
– che non mancava di risolutezza, quando un atteggiamento risoluto
era necessario – aveva alzato una mano, per richiamare
l'attenzione della guida.
«
Mi stavo chiedendo... » cominciò Sally, e trenta teste si voltarono
contemporaneamente verso di lei, « ...lei fa spesso questo giro
guidato? »
La
guida, per quanto leggermente perplessa, non esitò a rispondere con
un sorriso.
«
Praticamente tutti i giorni »
«
Ed è sempre tutto... uguale? »
I
dubbi di Sally erano così vaghi e imprecisi che le domande che
finiva col formulare non potevano non essere da meno.
E
quella sua domanda, decisamente singolare, suscitò qualche
espressione di divertita perplessità sia tra gli altri visitatori
che sulla rugosa fronte del Beefeater.
«
In che senso, signorina? »
«
Beh, ecco... mi chiedevo, visto che lei afferma di entrare in questi
edifici ogni giorno, se non le fosse capitato di notare...
ultimamente... qualcosa di strano, di inconsueto, di diverso... »
La
guardia si azzittì e fissò Sally, da dietro le spesse lenti dei
suoi occhiali. Sollevò le sopracciglia cespugliose e abbassò il
mento. Gli altri visitatori osservavano Sally chi con un sorriso
confuso e chi bisbigliando qualcosa al suo vicino.
«
Continuo a non capire il senso della sua domanda, signorina. Può
essere un po' più chiara? » la pregò la guida.
Sally
abbassò per un attimo lo sguardo sul pavimento. Non per imbarazzo,
ma per aiutarsi a formulare una domanda più precisa.
«
Per strano intendo qualcosa come... non so, oggetti che vengono
lasciati in un posto e ritrovati in un altro... »
La
guida abbozzò un sorriso, tra l'ironico e il perplesso.
«
No, no, davvero » assicurò.
«
E che mi dice di qualche improvviso e inspiegabile calo di
temperatura in una stanza della fortezza o magari qui, nella
cappella? »
«
Non mi pare di aver mai notato nulla del genere »
«
E non le è nemmeno mai capitato, in una stanza vuota, di udire un
suono simile a un eco di passi? »
«
Signorina » sorrise la guida e parlò in tono fin troppo
accondiscendente, « sta forse cercando di chiedermi se ho mai visto
un fantasma aggirarsi per la Torre? »
Sally
esitò. Per un paio di secondi si lambiccò il cervello alla ricerca
di una scusa credibile, ma realizzò in fretta che tanto valeva dire
la verità. Non le importava nulla di guadagnarsi risatine e occhiate
storte da parte di un gruppetto di sconosciuti. Considerata la
situazione in cui si trovava, altre erano le cose di cui Sally doveva
preoccuparsi. Perciò, prestando fede al detto del “tentar non
nuoce” , Sally ammise
di
essere interessata alle storie di fantasmi che circondano la
fortezza. E lui, la guida, poteva dire di aver mai visto un fantasma?
– chiese ancora Sally. O di aver mai assistito a un evento che
poteva dirsi legato all'apparizione di uno spettro?
L'anziano
signore non poté trattenere una bonaria risata.
«
Signorina, ha idea di quante persone siano morte all'interno di
queste mura? Secondo le leggende, la Torre di Londra è uno degli
edifici più infestati d'Inghilterra, ma... io non ho mai avuto la
fortuna di incontrare uno spirito. No, nemmeno uno piccolo, piccolo »
Qualcuno
dei visitatori ridacchiò a quelle parole.
Sally
restò seria.
«
Ma ha notato oppure no qualcosa di strano negli ultimi giorni? »
La
guida soffocò un sorriso in uno sbuffo.
«
No, signorina, dal canto mio davvero niente di... stranamente
spettrale » dichiarò. A giudicare dal tono di divertita
condiscendenza, era palese che la guida non stesse prendendo Sally
sul serio – ma Sally non se la prese. Chi è tanto ingenuo da
aspettarsi di essere preso sul serio quando va in giro a porre
confuse domande riguardo a presunte apparizioni di fantasmi?
«
Oh, ma aspetti un attimo! Ora che ci penso... » riprese tutto a un
tratto l'anziano, e tutti – compresa Sally – posarono lo sguardo
su di lui, « ora che ci penso... a qualcosa di insolito ho
assistito »
La
guida sembrava davvero credibile nella sua improvvisa aria seria e
meditabonda.
«
Ricordo di aver incontrato una giovane donna... »
Fece
una pausa. Sally, anche se non lo dava a vedere, pendeva dalle labbra
del vecchio guardiano della Torre.
«
...proprio qui nella cappella... » riprese l'uomo, « ...una strana
ragazza bionda, con una lunga giacca, che mi poneva strane, ma
davvero strane domande. Quand'è che è successo? Oh, si! »
Sorrise del sorriso più divertito che si possa immaginare. «
Proprio ora! »
La
cappella echeggiò delle risate dei turisti.
Sally
distolse lo sguardo e schioccò piano la lingua contro il palato, per
impedire a sé stessa di ribattere alla guida. Era pronta a
giustificare lo scetticismo altrui, ma non a farsi deridere con tanta
libertà.
Palesemente
soddisfatto di aver suscitato l'ilarità generale – e forse anche
di aver messo a tacere Sally – la Yeoman Warder invitò
il gruppo a spostarsi oltre l'arcata centrale, per osservare il
monumento funebre in alabastro, protetto da una cancellata di ferro,
realizzato in memoria di Sir Richard Cholmondeley e consorte.
Sally
ne approfittò per salire il gradino rialzato che conduceva alla zona
attorno all'altare.
La
memoria di Anna Bolena era rappresentata tutta da una lastra di marmo
ottagonale, accanto a un angolo dell'altare. Qualcuno vi aveva
deposto sopra un piccolo mazzo di fiori, avvolti da carta crespa:
due piccole rose di un rosso cupo, qualche crisantemo dai petali
giallognoli e un ramoscello dalle foglie lunghe e aguzze. Sally si
accucciò sui talloni, appoggiando le braccia sulle ginocchia. La
cornice della lapide, color ocra, era decorata nella parte inferiore
da stilizzati motivi floreali, mentre in alto, in caratteri neri e di
imitazione squisitamente medievale, si leggeva: QUEEN ANNE BOLEYN,
MDXXXVI.
Al
centro della lapide, trovava spazio lo scudo della famiglia Bolena –
decorato da simbolici araldici, dei quali Sally ignorava il
significato. Sally guardò il mazzolino; i fiori non erano freschi.
Dovevano essere lì da un giorno o due.
«...quando
venne sollevato il coperchio del monumento, sempre nel 1876, venne
ritrovato al suo interno un fonte battesimale dell'epoca dei Tudor.
Era stato spaccato in quattro parti, probabilmente nascosto qui
durante il periodo del Commonwealth. Il fonte battesimale,
riassemblato, è quello che potete ammirare ora vicino all'entrata della cappella... »
«
Mi scusi, chi ha messo qui questi fiori? »
La
voce di Sally riecheggiò per la navata, troncando bruscamente la
spiegazione della guida.
«
Non lo so, signorina » fu la risposta del Beefeater, parlando ad
alta voce, oltre le teste degli altri visitatori. « Quella è una
tomba e di tanto in tanto, qualcuno lascia dei fiori; è un gesto di
bontà nei confronti dei morti. Tutto perfettamente normale,
glielo posso assicurare.» C'era una leggera nota di scherno
nella voce dell'uomo. Poi la guida pregò gentilmente Sally di
scendere dalla zona dell'altare, non era permesso ai turisti di stare
lì, e di tornare accanto al gruppo.
Sally
gli assicurò che lo avrebbe fatto di lì a un istante, mentre faceva
scivolare le dita lungo i bordi della lapide.
Su
una cosa non potevano esserci dubbi: nessuno aveva mai tentato di
sollevare quel blocco di marmo – non negli ultimi due giorni,
sicuramente.
Premendo
le mani contro le ginocchia, Sally si tirò in piedi.
***
Come
annunciato, dopo la cappella di San Pietro ad Vincula, la guida
condusse il proprio gruppo alla Tower Green – luogo che, a dispetto
del nome, non è una torre, bensì un largo spiazzo all'aperto
che occupa il lato ovest della grande corte interna della
fortezza. Lì fuori, in barba al grigiore della giornata o alla
severità che gravava sul luogo, i visitatori erano tanti,
confusionari, e felici di esserlo. Il vasto cortile era animato da un
chiacchiericcio svagato, distratto, meravigliato; gruppi di turisti
camminavano in qua e là, in su e in giù per tutti gli spazi aperti.
C'era chi scattava foto, chi era armato di telecamera e chi, più
semplicemente, si guardava attorno ammirato. Si udiva, di tanto in
tanto, lo scricchiolio secco dei rami degli alberi, il fruscio delle
fronde verdi e scure e il rauco gracchiare dei corvi. Alcuni corvi
zampettavano tra l'erba, altri planavano bassi da un ramo all'altro
degli alberi; le povere bestiole non potevano permettersi di spiccare
il volo oltre le mura della fortezza. Ai corvi erano state tagliate
via le penne remiganti – le penne più lunghe, strette e rigide,
necessarie per volare – dalle ali e dalla coda.
Il
gruppo di Sally si era fermato accanto alla parete esterna
meridionale della cappella di San Pietro ad Vincula, nel luogo dove
agli inizi del XVI secolo sorgeva il patibolo sul quale erano stati
gentilmente invitati a fare la loro ultima comparsa sette nobili e
sfortunati personaggi dell'epoca. Un blocco di pietra protetto da una
catena segnava il punto esatto; una targa ricordava i nomi delle
persone giustiziate. Lord Hastings aveva avuto l'onore di essere la
prima testa a rotolare dentro la cesta; più o meno cinquanta anni
più tardi era arrivato il turno di Anna Bolena, seguita negli anni
da Margaret, contessa di Salysbury; dalla regina Katherine Howard; da
Jane, viscontessa di Rochford e da lady Jane Grey, regina senza
corona per nove giorni, fatta giustiziare all'età di diciannove
anni. Infine, agli inizi del XVII secolo, per non perdere le buone
abitudini di famiglia, Elizabetta I – figlia di Enrico VIII e di
Anna Bolena – aveva mandato a morte Robert Devereux, conte di
Essex, colpevole di aver ordito una congiura alle spalle della
regina. Così
stava spiegando la guida.
Sally
era rimasta volutamente indietro, a tre o quattro metri dal gruppo.
Con le mani nascoste nelle tasche, stava fissando, pensierosa, un
corvo saltellare a pochi passi da lei sul selciato umido. La voce
della guida le giungeva chiara all'orecchio, ma l'attenzione di Sally
era malamente divisa tra le parole dell'uomo e i propri pensieri.
Erano
quasi le undici – come le assicurava l'orologio che portava al
polso; le sue due preziose ore erano passate in fretta, Sally era a
metà del giro guidato e tutto ciò che aveva ottenuto, dopo il
siparietto nella cappella, era che adesso una trentina di persone
probabilmente la credevano un pochino matta.
Ma
le domande erano ancora tutte lì, orfane di risposta, ad affollare
la mente di Sally.
Il
corvo voltò la testa di lato, mostrando il profilo affilato del
becco. Il piccolo occhio, nero e lucido come una goccia di
inchiostro, sembrava ricambiare lo sguardo di Sally.
Il
fatto di non riuscire a tirare fuori un ragno dal buco - in parte
perché non era certa di star cercando nel buco giusto -
cominciava a fiaccare l'entusiasmo di Sally. Oltretutto, iniziava
adesso a pesarle sul cuore – e le faceva venire i crampi allo
stomaco –
il costante ricordarsi che una volta uscita da lì l'aspettava un
fermo della polizia. La sfiorò l'idea che forse avrebbe fatto
meglio a dare ascolto a
Larry . In fondo, si trattava pur sempre di un omicidio. Spettava
alla polizia occuparsi degli omicidi. Non era un problema già
abbastanza grosso quello di riuscire a non far ricadere i sospetti
della polizia su di lei? A quest'ora l'ex moglie del signor
Huddlestone avrà già fatto il mio nome a qualche ispettore...
Inevitabilmente, Sally pensò Castiel. Forse dovrei cercare
lui. Rintracciare un vivo avrebbe dovuto essere più facile che
scovare un fantasma. Quella idea incerta rimase come sospesa tra i pensieri,
come la polvere sui fili di una ragnatela.
Il
corvo batté le ali, spiccò un breve volo e andò a fermarsi al
centro del prato lì accanto. Sally lo seguì con lo sguardo.
«
La curiosità uccise il gatto »
A
chi non è mai capitato di incontrare una persona nello stesso
momento in cui la si sta pensando? È una coincidenza che può
suscitare un divertito stupore.
Ma
pensare a una precisa persona e vedersela comparire accanto, arrivata
dal nulla, non suscita stupore.
Fa
paura.
E
per la paura il cuore di Sally mancò un battito. La ragazza trattene
il respiro, spalancò gli occhi castani, ma mantenne quel poco di
controllo necessario per evitare di trasalire.
Non
si voltò neppure - non subito almeno.
Castiel
era accanto a lei.
A
lui apparteneva la voce roca che aveva parlato un istante prima.
A
lui apparteneva la figura che Sally scorgeva con la coda dell'occhio.
Sally
esitò prima di girarsi verso Castiel. Intimamente, quasi pregò di
essere vittima di un'allucinazione o di uno scherzo della propria
suggestione.
La
ragazza voltò il capo, lentamente e... Castiel era ancora lì –
sì, era proprio lui, con lo stesso impermeabile indosso, la stessa
cravatta male annodata, i capelli scuri un po' spettinati e le
braccia rilassate lungo il corpo. Castiel non stava guardando Sally.
Fissava un punto impreciso verso la White Tower, tenendo il mento dal
profilo duro leggermente sollevato. Nessuna particolare espressione
trovava posto sul suo volto. Tra quei lineamenti marcati si scorgeva
qualcosa di simile ad una tranquilla e impassibile serietà. Nulla di
più.
Sally
invece fissava Castiel. E lo faceva con la fronte aggrottata, le
bionde sopracciglia inarcate, le labbra dischiuse, gli angoli della
bocca rivolti verso il basso. Sally batté confusamente le palpebre,
poi si guardò attorno. Nessuno guardava dalla loro parte? Nessuno
era rimasto basito nel vedere un uomo comparire dal nulla? La guida
continuava a parlare, il gruppo ad ascoltare e poiché lo Yoeman
Warder stava spiegando che Anna Bolena doveva aver visto costruire il
patibolo per la sua esecuzione dalla finestre della Queen's House,
tutti guardavano verso quell'edificio, dando le spalle a Sally. E a
Castiel.
Ma
gli altri? Gli altri turisti che gironzolavano lì attorno? Quella
frotta di distratti visitatori smaniosi di scattare foto e comprare
souvenir? Tutte quelle persone – si sarebbe detto – guardavano e
ammiravano ciò che più premeva loro ammirare e guardare; non
avevano tempo e occhi per altro. Sally tornò con lo sguardo su
Castiel. Scosse piano la testa, come a voler negare la presenza di
lui. Aprì e chiuse le labbra un paio di volte, e quando finalmente
ritrovò la voce, tutto quello che riuscì a tirar fuori fu un
confuso balbettio.
«
N-no... no, no, no, no » farfugliò lentamente, a bassa voce, e ogni
“no” era un calmo scuotere la testa. « Non puoi essere qui.
N-non è... normale »
Castiel
parlò, ma senza voltarsi verso Sally.
«
So cosa stai facendo » disse – e Sally si azzittì. La voce di
lui, bassa e roca, non vibrava di né di rimprovero né di
preoccupazione; ma suonava estremamente severa. « Questo non
è un gioco. È pericoloso e non ha nulla a che vedere con te » Ci
fu una brevissima pausa. Castiel si voltò lentamente verso Sally. La
fissò senza battere ciglio. « Perciò ascolta il mio consiglio:
torna a casa »
A
quel punto, se anche Sally avesse avuto una risposta pronta per
controbattere, si sarebbe comunque ritrovata nell'impossibilità di
farlo.
Per
lo stupore e la confusione, la ragazza aveva nuovamente battuto le
palpebre e Castiel... Castiel era sparito – all'improvviso, così
come era arrivato – lasciandosi dietro solo il flebile eco di un
battito d'ali.
Suono
che – tra altre cose – sfuggì totalmente a Sally, i cui sensi
furono, per pochi brevissimi secondi, incapaci di relazionarsi con
quanto la circondava. Era consapevole solo di una cosa: del lento
ritmo del proprio respiro. Lento quasi quanto l' affannoso tentativo
della sua mente di elaborare quel che aveva appena visto e sentito.
Ho avuto un'allucinazione? (E in tal caso, si sarebbe trattata
di un'allucinazione dai modi davvero scortesi.) Ma subito un'altra
ipotesi si fece avanti. E se quel Castiel fosse stato veramente
un fantasma?
Sally
fece scivolare una mano fuori dalla tasca e allungò un braccio in
avanti, come se cercasse di tastare qualcosa, lì nel punto dove
aveva visto Castiel.
Ma
la sua mano trovò solo l'aria; fredda, impalpabile, inconsistente
aria.
E
Sally sentì il proprio cuore gonfiarsi di un'improvvisa e sgradevole
sensazione: un misto di angoscia, di nervosismo, di frustrazione.
Era
tutto molto inquietante, confuso e inquietante. Era una situazione
che le faceva venire in mente un cupo e deprimente quadro
surrealista, ma paradossalmente Sally era più irritata che
spaventata - irritata dal fatto di non riuscire a capire
nulla.
«
Castiel! » esclamò Sally in un
sussurro rabbioso. E lo fece per puro istinto, quasi come sfogo per
il proprio nervosismo.
Esclamare
quel nome ad alta voce non servì a granché, ovviamente. Sally
attirò su di sé gli sguardi sorpresi e perplessi di un trio di
signore di mezza età che passava in quel momento accanto a lei.
Anche qualcuno del suo gruppo, di quelli più vicini, si erano girati
a guardarla. E Sally si sarebbe sentita in imbarazzo... se solo
avesse avuto spazio per un'altra emozione. Le tre signore passarono
oltre e il suo intero gruppo fu richiamato all'attenzione dalla
guida: era tempo di entrare nella White Tower. Di lì a poco,
avrebbero avuto tutti l'occasione di ammirare i famosi gioielli della
corona, compreso il Black Prince's Ruby, incastonato nella corona
imperiale del 1937 – come stava spiegando la guida, che raccomandò
anche alle signore presenti di ammirare con attenzione i gioielli e
poi di fare gli occhi dolci ai rispettivi mariti o fidanzati;
l'ironico suggerimento suscitò una risata generale. Ma un enorme
diamante di trecentodiciassette carati e altri preziosi vari erano
davvero l'ultimo dei pensieri di Sally Sparrow. La ragazza tornò a
nascondere entrambe le mani nelle tasche e, stretta nelle spalle,
prese a seguire il suo gruppo, continuando a fare da coda. Aveva
fatto solo tre o quattro passi quando si fermò per gettarsi
un'occhiata depressa alle spalle, nell'animo aveva un indistinto,
quasi inconsapevole desiderio, di vedere di nuovo Castiel. Sally era
adesso sicura che lui – chiunque egli fosse – sapeva cosa stava
succedendo. Sally scosse piano la testa e tornò a guardare dritto
davanti a sé.
Trasalì.
Questa volta trasalì e, sobbalzando, arretrò di un passo. Fu solo
mordendosi forte l'interno del labbro che le riuscì di soffocare
un'esclamazione di spavento.
Castiel
era di nuovo lì.
Le
stava di fronte, a meno di un passo di distanza. La stava guardando
in quel suo modo innaturalmente fisso. Nel leggero cipiglio della
fronte si scorgeva ora una vaga espressione di dubbio. O di
minaccia.
Sally
prese un respiro, chiudendo gli occhi per un istante, col cuore che
cercava disperatamente di calmare i propri battiti.
«
Sta a sentire » cominciò lei, con un leggero tremito nella voce. Le
dita delle mani, ancora nascoste nelle tasche, si aggrapparono forte
alla stoffa. « Non so chi tu sia e come faccia a sbucare fuori così,
ma smettila. Smettila.
O mi farai venire un infarto. O uscire pazza. O entrambe le cose.»
Il tono alto in cui pronunciò le ultime parole tradì in modo palese
il suo nervosismo. L'ultima volta che si era sentita così nervosa e
aveva parlato con in quel modo era stato nel retro del negozio di
Larry, più di un anno prima, davanti al video del Dottore che,
inspiegabilmente, sembrava ribattere alle sue parole. Poi Sally
ritrovò un attimo di calma. «
Ma... chi sei tu? » E dopo
un istante di esitazione, chiese: « Sei... un fantasma? »
Castiel,
che aveva inclinato la testa di lato, socchiuse le palpebre in modo
quasi impercettibile. Rispose, ma dalla sua risposta era facile
intuire come non avesse preso in considerazione nemmeno una singola
vocale pronunciata da Sally. « Come conosci il mio nome? » le
chiese.
Sally
lo fissò, possibilmente più sorpresa e confusa di quando non lo
fosse fino a un attimo prima.
Sfilò
una mano dalla tasca, sollevò il braccio, con il polso rivolto verso
l'alto. La mano, insicura, indicò Castiel.
«
Tu... me lo hai detto... il tuo nome »
«
No, non l'ho fatto » fu la risposta di Castiel. Sembrava perplesso,
ma era una perplessità che non prevedeva battiti di ciglia. Castiel
non batté mai ciglio. Non lo fece neppure una volta.
Sally
lasciò ricadere il braccio lungo il fianco.
«
S-sì, che lo hai fatto. Hai detto “Il mio nome è Castiel”.
Lo ricordo benissimo »
Castiel
fece un passo in avanti. Sally arretrò d'istinto.
«
Non ti ho mai detto il mio nome » ribadì Castiel.
Sally
poteva dirsi confusa e incerta su molte cose, ma non
sull'affidabilità della propria memoria.
«
Sì, invece. Lo hai fatto » insistette. Guardò Castiel dritto in
volto e questa volta fu lei ad assottigliare lo sguardo. « Me lo hai
detto quando ci siamo incontrati sulla collina. Non... non lo
ricordi? »
Questa
volta Castiel non disse nulla. Sollevò una mano e toccò la spalla
di Sally.
Sally
Sparrow non seppe mai se nel momento in cui aveva avvertito la
pressione della mano di Castiel sulla pelle, attraverso la stoffa
degli indumenti, qualcuno dei visitatori stesse guardando dalla loro
parte.
Ma
se qualcuno lo stava facendo, se qualcuno stava guardando, allora
doveva aveva visto con stupore una giovane donna e un uomo in
impermeabile svanire silenziosamente nel nulla.
CONTINUA.
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Capitolo 7 *** Parte settima ***
C07
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
Note:
Nuovo
capitolo. Di nuovo in ritardo: scusate davvero tanto! Questa parte
della storia, non l'ho mai pensata troppo improntata sul
“sentimentale” . Al contrario, il mio obbiettivo
era quello di
narrare un incontro... tra l'assurdo, l'ironico e il sovrannaturale.
È
tempo di un po' di “wibbley wobbley timey wimey” e
di “I'm an
angel of the Lord” e io sono terribilmente nervosa nello
scrivere
di Castiel. Ho il terrore di andare OOC. Dunque, tenendo presente che
questo
Castiel è quello della prima metà della quinta
stagione di
Supernatural (per l'esattezza tra l'episodio 3 e 16, prima che vada
in depressione alcolica insomma ç.ç), lascio il
capitolo al vostro
giudizio. Ancora un GRAZIE
enorme per le recensioni ad
Alexya379,
a Saliman
e a Dk86!
<3
Un
piccolo chiarimento “temporale”:
Sally Sparrow vive l'avventura con gli Angeli Piangenti nel 2007
–
lasciatemi l'arbitrio, per esigenze narrative, di decidere un
ipotetico mese: Gennaio. Il fugace incontro con il Dottore, in carne
e ossa, avviene un anno più tardi, Gennaio del 2008. Sally
afferma
sempre che è passato quasi un anni e mezzo dalla sua
avventura
(quella con gli Angeli): Sally
Sparrow sta vivendo il Marzo del 2008, il presente per Castiel invece
coincide con la metà del 2009.
VII
Come
se fosse appena scesa dalle montagne russe, ecco come si sentiva
Sally. Era stato un attimo. Castiel le aveva toccato la spalla e lei,
sorpresa, aveva abbassato lo sguardo sulla mano di lui. In quel
preciso istante, Sally si era sentita piombare addosso la sgradevole,
quanto improvvisa, sensazione di avere le gambe molli e lo stomaco
sottosopra. Ma la ragazza non chiese cosa era successo. Il cosa,
per quanto incredibile che
fosse, era palesemente davanti ai suoi occhi: Sally e Castiel
erano ancora all'aperto, ma non erano più nella Tower Green. Non
erano nemmeno più nella Torre di Londra. Erano in un parco pubblico,
e non un parco pubblico qualsiasi.
Sally
sfilò con cautela le mani dalle tasche, mentre si guardava attorno;
era disorientata, ma non così tanto non riuscire a riconoscere un
luogo familiare.
«
Q-q-questo è Acorn Park. S-siamo nel mio quartiere » balbettò
Sally, trattenendo il respiro.
Pochi
metri di verde nel bel mezzo di tante case, una meta per le
passeggiate domenicale delle famiglie del quartiere: ecco cosa era
Acorn Park. E in quel momento era anche un parco deserto. Sally
e Castiel erano all'ombra di uno degli alberi piantati lungo un
vialetto di ghiaia. Una panchina di legno riposava due passi più in
là. Dall'altra parte del viale, sul prato che era il centro del
parco, c'era una di quelle belle giostre di cavalli, colorate, piene
di luci e di specchietti. Ma a quell'ora di mattina, in quel periodo
dell'anno, la giostra di Acorn Park era ferma. Le luci erano spente,
e il grigiore del cielo sembrava riflettersi nei colori della
giostra; li rendeva tristi e smorti. Ancora
più in là della giostra, si intravedeva il profilo scuro di un
cancello di ferro battuto, aperto. Era l'ingresso del parco. Da oltre
il cancello, arrivavano i confusi rumori della strada.
Pressoché
immobile di fronte a Castiel, Sally si sentiva così spaesata e
confusa che quasi temeva di cadere, se si fosse azzardata a fare un
movimento troppo brusco. Tesa come una corda di violino, strinse le
mani attorno alla cinghia della borsa. Respirava lentamente, senza fa
rumore. Il cuore, invece, se lo sentiva battere forte sotto al petto.
Castiel se ne stava fermo davanti a lei. Aveva subito tolto la mano
dalla spalla di Sally e ora sembrava limitarsi a guardarla.
L'espressione di lui non era mutata; continuava ad essere leggermente
accigliato.
Sally
deglutì, portando lo sguardo sul volto impassibile di Castiel.
«
A-Allora è così che riesci a sbucare fuori all'improvviso? »
La ragazza parlò senza alzare la voce. « Cos'è, un qualcosa... del
tipo... teletrasporto? »
Castiel
non fece una piega davanti alla reazione di Sally; ripeté soltanto:
« Voglio sapere come fai a conoscere il mio nome » .
Le
sopracciglia della ragazza scattarono verso l'alto.
«
Ehm, chiedo scusa, ma pochi
secondi fa eravamo al centro della Torre di Londra. Ora siamo... qui.
E tu non hai nessuna intenzione di spiegarmi come
sia stato possibile? » esclamò Sally, con la voce resa un
po' più acuta dal nervosismo, che si faceva strada tra lo
stordimento generale.
«
Come conosci il mio nome? » domandò di nuovo Castiel. Era difficile
cogliere le sfumature in una voce così roca. Castiel sembrava calmo,
eppure parlando aveva stretto forte la mascella, come in un guizzo di
nervosismo.
Sally
sorrise, irritata.
«
Ha intenzione di ripetere lo stessa domanda all'infinito? »
Un
paio di secondi silenzio e Castiel diede l'impressione di distendere
la fronte.
Sopra
le loro teste, i rami dell'albero furono scossi da un fremito di
vento.
Castiel
alzò lo sguardo verso la pianta. «No » disse a Sally. « Solo
fino a quando non mi darai una risposta ».
Sally
ebbe un attimo di profonda perplessità. Più profonda di quanto non
fosse già tutta la sua confusione.
Era
quella una frase detta con l'intento di suonare ironica? Perché le
parole calzavano a pennello per un'osservazione ironica, ma il tono
con cui erano state pronunciate di ironico non aveva proprio nulla.
Castiel aveva parlato in tono serio, serio e convinto.
«
Ma io ti ho risposto! E
sarebbe il caso di ricambiare la cortesia » esclamò Sally,
mollando la cinghia della borsa con un gesto deciso. Si accorse che
muoversi, e parlare, faceva rapidamente affievolire la sensazione di
essere mezza stordita. Sally si sentiva di nuovo salda sulle gambe,
cosciente del terreno umido sotto le sue scarpe, dell'aria fredda nei
suoi polmoni. Fece un passo in
avanti.
«
Perché continui a chiedermelo? Ci siamo incontrati otto giorni fa
esatti. Sono io,
Sally! » E disse a Castiel della campagna e della vecchia chiesa
sulla collina; di come lei fosse occupata a scattare foto quando lui
le era comparso accanto. E gli disse anche del crollo della croce,
che l'aveva mancata per un soffio. « Davvero vuoi farmi credere che
non te lo ricordi? » concluse.
Alle
ultime parole, Sally vide Castiel stringere piano i pugni, ma non
ebbe alcun timore di lui.
Sally
Sparrow di buon senso ne aveva da vendere, ma in quell'occasione si
stava rifiutando di ascoltarlo: qualsiasi altra donna, al suo posto,
si sarebbe preoccupata nel ritrovarsi tutta sola, in un parco
deserto, con uno strano e cupo individuo apparentemente capace di
teletrasportarsi da un posto all'altro.
Sally,
invece, non aveva paura di Castiel in quel parco, così come non ne
aveva avuto paura sulla collina. Non mi farà del male, aveva
spontaneamente pensato nell'incrociare lo sguardo di Castiel per la
prima volta. Non mi farà del male, Sally continuava a
ripeterselo anche il quel momento. E in una così poco razionale (e
di questo Sally ne era, suo malgrado, perfettamente consapevole)
quanto forte convinzione stava anche il motivo per il quale Sally
aveva assicurato a Larry che Castiel non poteva essere l'assassino
del signor Huddlestone.
Tuttavia,
sebbene non fosse spaventata, Sally cominciava a sentirsi un po' a
disagio davanti allo sguardo di Castiel: lui la stava scrutando in
volto con tanta intensità da far venire il sospetto che stesse
cercando di leggerle nel pensiero. Non che Sally credesse che Castiel
potesse davvero farlo, leggerle nel pensiero, ma per sicurezza
indietreggiò di un passo, mentre lasciava cadere entrambe le braccia
lungo i fianchi.
«
Smettila di guardarmi così » disse, seccata. « Sei... inquietante
».
I
modi di Castiel le restavano misteriosi, ma Sally Sparrow non poteva
nemmeno lontanamente immaginare di essere a sua volta un piccolo e
curioso mistero per il suo singolare interlocutore. O quanto meno,
rappresentava un indesiderato contrattempo.
Per
qualche lungo secondo, nessuno dei due si mosse. Poi Sally vide
Castiel battere le palpebre e sollevare leggermente il mento. Lui
rilassò le mani e cambiò espressione. Non si sarebbe potuta
descrivere come un'espressione gentile, ma c'era qualcosa di aperto e
di sincero in quel suo distendere la fronte e sollevare lo
sopracciglia. Quando parlò, la sua voce, pur restando seria e roca,
suonava meno severa.
«
Non ti ho mai incontrata prima di ieri, e tu sei sincera. La persona
che hai incontrato otto giorni fa non ero io. »
Ci
fu di nuovo una pausa e fu Sally la prima a rompere il silenzio.
«
No... » La ragazza scosse la testa lentamente. « No, a meno che tu
non abbia un gemello che se ne va in giro vestito tale e quale a te,
quello eri tu. E
questa conversazione
non ha senso. » aggiunse.
Una
folata di vento scompigliò i capelli di Sally e agitò il bordo
dell'impermeabile di Castiel, che fece un passo di lato e spostò lo
sguardo sulla giostra.
«
Chiunque tu abbia incontrato otto giorni fa non ero io... otto giorno
fa, non ero neppure in questa città »
«
Ah, e dov'eri? » lo interrogò Sally, voltandosi per seguire i
movimenti di Castiel.
Lui
le passò accanto e la superò senza guardarla.
«
Lontano ».
«
Quanto lontano? »
«
A più di tremila miglia e un anno e mezzo da qui ».
Castiel
si fermò dietro alla panchina e chiuse le mani sul bordo dello
schienale, guardava verso la giostra e dava le spalle a Sally.
La
ragazza, mentre fissava le spalle di Castiel, aggrottò la fronte e
arricciò le labbra in un sorriso a metà tra il sarcastico e il
perplesso. « Gli anni non sono unità di misura per lo spazio »
fece ironicamente notare, infilando le mani in tasca. « A meno che
tu non stia parlando di anni luce,
e ne dubito. Solo il tempo
si può misurare in anni.»
Castiel
voltò la testa quel tanto che bastava perché Sally si ritrovasse a
fissarne la linea del profilo, nell'aria livida.
«
Lo so » disse
Castiel.
A
quell'affermazione gettata lì con perfetta noncuranza, il cuore di
Sally ebbe un sobbalzo. La ragazza rimase a fissare con le labbra
semi dischiuse, in un'espressione vagamente spaurita, la nuca di
Castiel – che si era di nuovo voltato verso la giostra. Tra il
groviglio di nuovi e agitati pensieri che si stavano affollando nella
sua mente, Sally ne sentì squillare uno, chiaro e schietto, su tutti
gli altri: Non può essere. Non di nuovo. Non un altro.
E
fra tutte le domande che premevano per essere espresse ad alta voce,
Sally si lasciò sfuggire la più insolita.
«
Ehm... un anno e mezzo nel passato o un anno e mezzo nel futuro? »
Occorre
precisare che la domanda sarebbe stata insolita se a porla
fosse stato qualcuno completamente digiuno di viaggi nel tempo. E
Sally Sparrow non lo era.
Un
pensiero simile, con molta probabilità, dovette attraversare anche
la mente di Castiel, che si voltò verso Sally con la fronte
leggermente corrugata.
«
Futuro. Dal 2009 ».
Sally
incrociò le braccia sotto al petto; i suoi sentimenti erano
pericolosamente in bilico tra due opposti, lo scetticismo più totale
e il più totale entusiasmo.
«
Quindi tu puoi, cosa? Viaggiare nel tempo? » domandò,
diffidente.
La
risposta di Castiel fu un chiaro e lapidario: « Sì ».
«
Allora, se sei un viaggiatore nel tempo, saprai dirmi come fai a
viaggiare nel tempo. E che cos'è il tempo. » disse Sally, con una
leggera, quasi involontaria, aria di sfida.
Castiel,
che non sembrava per nulla impressionato, rispose guardandosi
distrattamente attorno.
«
Posso piegare il tempo, se mi occorre. Il tempo è fluido*... »
«...e
fluttuante, come una grossa bolla, che va e viene? »
Castiel
portò gli occhi azzurri sul viso di Sally. Difficile dire se fosse
sorpreso, sospettoso, o altro.
«
In base alla mia
esperienza » disse, « non è così che gli esseri umani reagiscono
quando si parla di viaggi nel tempo ».
Sally
gli sorrise a labbra strette, quasi compiaciuta.
«
Già, faccio paura, vero? » disse, inarcando le sopracciglia, ma
mise subito da parte il sarcasmo. Sciolse le braccia e scosse la
testa. « Ok... » sospirò. « Se tu stai dicendo la verità, e lo
spero per te perché oggi non sono dell'umore adatto per farmi
prendere in giro; se tu stai dicendo la verità, allora sappi che non
sei il primo che
incontro ».
Castiel
la stava ascoltando tenendo il capo leggermente inclinato. La
osservava in modo strano; non come se non ne capisse le parole, ma
come se cercasse qualcosa negli occhi castani di lei.
Sally
aspettò che Castiel parlasse, ma lui non disse nulla, e così la
ragazza chiese, un po' titubante:
«
Ma... quanti di voi ce ne sono, là fuori? »
«
Legioni ».
Che
strano termine, pensò Sally. Legioni di viaggiatori nel
tempo.
Entrambi,
per quel brevissimo frammento di conversazione, furono ingenuamente
convinti di parlare della medesima cosa.
«
Ah, e... il soprabito lungo?» Sally indicò un lembo del risvolto
del impermeabile di Castiel. « Cos'è, una specie di divisa? Ne
indossate tutti uno, voi che viaggiate nel tempo?»
Castiel
che aveva abbassato lo sguardo per scrutare il gesto di Sally, tornò
a guardarla in volto.
«
No » e non aggiunse una sillaba di più.
Sally
fece scivolare le mani in tasca. « L'altro era molto più
loquace » osservò a mezza bocca.
E
tanto per dar credito a quella osservazione (pensò Sally) Castiel
continuava a stare in silenzio. Ma in quel silenzio, qualcosa era
cambiato: Castiel sollevò la testa e spostò lo sguardo di lato, con
l'aria di chi ha improvvisamente visto – o compreso – qualcosa
che non lo fa troppo felice.
Sally
non ci badò. Era tutta impegnata a prendere il genere di profondo
respiro che serve a non perdere la calma.
«
Sta a sentire » cominciò la ragazza, « tu sei un individuo
piuttosto... strano ».
Castiel
inarcò le sopracciglia.
«
Sparisci in un posto e appari un altro. Affermi di poter viaggiar nel
tempo. Ricordo benissimo che mi hai addormentata, o che so io, solo
sfiorandomi la fronte. E adesso te ne esci fuori dicendomi che il
tu che ho incontrato vicino alla chiesa, non eri tu. E, fingendo
per un attimo che tutte queste cose non siano totalmente e
assolutamente fuori dal comune, resta il fatto che ti ho trovato
sulla scena di un delitto... dove a un pover'uomo era appena stata
tagliata via la testa e dove io sono quasi certa di aver incontrato »
Sally abbassò la voce e sussurrò in fretta, «...un fantasma. Ora »
tornò a parlare a voce alta, « non è la prima volta che ho a che
fare con cose strane o strani esseri, e non ho paura.
Ma sono confusa. Molto, molto confusa. Te ne sarei davvero grata, se
tanto per cominciare, mi spiegassi che cosa è successo alla mostra.
Perché tu lo sai cosa è successo, altrimenti non mi avresti detto
di non immischiarmi nella faccenda. »
Castiel
piegò le braccia per appoggiare le mani sul bordo dello schienale
della panchina, dietro di sé.
«
L'uomo nel palazzo è stato ucciso da un fantasma » disse, con un
tono quasi del tutto inespressivo. E poiché Castiel non sembrava
intenzionato ad aggiungere altro, Sally lo guardò come a dire “Tutto
qui?” « Il fantasma di una donna sepolta nella fortezza
dov'eravamo prima » aggiunse lui, spostando gli occhi azzurri in un
punto impreciso, alla destra di Sally, la quale dal canto suo non
aveva ascoltato nulla di nuovo; solo una conferma delle supposizioni.
«
Ah, bene... » mormorò la ragazza, ma un attimo dopo esclamò,
allarmata: « Ehm, non... non intendevo dire bene riguardo
alla morte del signor Huddlestone! Il mio bene era riferito al
fatto che... beh, avevo capito che era stato il fantasma. Quindi i
fantasmi... esistono? »
«
Sì ».
«
E tu... »
Castiel
sollevò una mano per interromperla. « Io... non sono un fantasma »
dichiarò.
Sally
strinse le labbra in un involontario sorriso.
«
Sì. Sì, questo lo avevo capito » assicurò. « Quello che stavo
per chiedere era: e tu perché eri all'esposizione? »
«
Seguivo una traccia ».
Tre
parole e non una sillaba in più. Sally stava imparando, suo
malgrado, il significato dell'espressione: tirar fuori le parole di
bocca.
«
Intendi dire... che eri sulle traccie del fantasma? Ma chi cavolo
sei, una specie di ghostbuster che viaggia nel tempo?»
«
Il fantasma era la traccia ».
«
La traccia di cosa? »
«
È complicato ».
Sally
lo guardò storto. Perché se ne uscivano tutti con un “ È
complicato” quando cercavano di non darle spiegazioni?
«
E io sono discretamente intelligente e abbastanza grande da saper
ascoltare con attenzione! »
«
Mi... » Castiel cominciò a parlare, e per un attimo diede
l'impressione di non sapere come andare avanti, « ...dispiace
che tu abbia avuto la sfortuna di trovarti in quel palazzo ieri sera.
Ti sei trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato... è così
che si dice, vero? Ma io ti ho riportata a casa con la speranza che
tu ci restassi. Quindi, adesso, sii tanto gentile da tornarci, a
casa. E... cerca di non starmi tra i piedi ». Pronunciò l'ultima
frase con una strana intonazione: quella di qualcuno che cerca
faticosamente di ricordare una battuta udita altrove.
Sally
prima guardò Castiel a bocca aperta, poi scosse energicamente la
testa. « No!» esclamò. « Primo: non vedo perché
dovresti dirmi tu cosa fare o cosa non fare. Secondo: sei
molto maleducato, lo sai? »
Sally
chiuse la bocca e subito ebbe la sensazione che Castiel non la stesse
ascoltando. Lui aveva abbassato gli occhi sull'erba, con una piccola
ruga tra le sopracciglia aggrottante.
«
Per caso, questa è una di quelle occasioni in cui dovrei dire una
cosa diversa da quella che penso... per... ottenere quello che
voglio? » domandò Castiel, con aria seria e pensierosa, rialzando
piano lo sguardo su Sally.
Al
che, Sally si ritrovò a chiedersi se viaggiare nel tempo non fosse
un'attività che rendeva le persone un po' tocche. Il pensiero
successivo fu che Castiel la stesse prendendo in giro. Oh, ma lo
avrebbe imparato presto, Sally Sparrow, che Castiel possedeva tanto
senso dell'umorismo quanta conoscenza della natura umana.
«
Stai... facendo lo spiritoso?» chiese Sally, tra l'offeso e il
dubbioso.
«
Ti chiedo scusa. So che esistono delle situazioni in cui gli esseri
umani considerano opportuno mentire, ma non ho ancora capito quali
siano, le situazioni ».
Sally
continuava a fissarlo, senza capire. Perché Castiel continuava a
dire sciocchezze in tono così serio? O la stava prendendo in giro,
oppure...
«
Ma cosa sei? Un alieno? » sbottò Sally, vicina all'esasperazione.
«
No, sono un angelo del Signore ».
Sally
non si scompose. Restò ferma, con le mani ancora in tasca e le
sopracciglia sollevate in un'espressione di tranquilla incredulità.
Per un attimo, collegò le parole di Castiel al ricordo degli Angeli
Piangenti. Batté
le palpebre. La conversazione stava prendendo una piega così
assurda, che quasi le veniva da ridere.
«
Cosa? Un angelo... vero? »
«
Sì » rispose Castiel, sempre fermo nella medesima posizione.
Ma
Sally, ovviamente, non era convinta. Non lo era neppure un po'. Da
quando in qua gli angeli, i veri angeli, se ne andavano in
giro a presentarsi in quel modo? E da quando indossavano un
impermeabile come il tenente Colombo?
«
Un angelo... » ripeté lentamente Sally e sfilò una mano dalla
tasca. « Significa che arrivi da... » Indicò in alto, verso il
cielo.
«
Sì » disse ancora Castiel. E questa volta Sally era pronta a
giurare che ci fosse stato un sospiro di impazienza in quel sì.
Lei,
ancora con il braccio sollevato, obbiettò con la prima frase che le
venne in mente.
«
Ma... non hai per niente l'aspetto di un angelo! »
«
Quanti angeli hai incontrato prima d'ora? »
Sally
Sparrow era quasi certa che gli Angeli Piangenti non contassero.
«
Valida osservazione » ammise, abbassando il braccio, « ma non ti
aspetterai che creda a uno sconosciuto che se ne esce con: “Ciao!
Come va? Sono un angelo del Signore” ».
«
Io non ho detto “Ciao, come va?”» si curò di sottolineare
Castiel, sempre serio.
«
Ma... dicevi di essere un viaggiatore nel tempo! » protestò Sally.
«
Infatti... io posso viaggiare nel tempo ».
«
E sei anche un angelo? »
«
No, io sono un angelo. E gli angeli possono spostarsi nel
tempo.» Castiel sembrava infastidito. « Ma non avevi detto di
essere discretamente intelligente? »
Prima
che Sally potesse ribattere a quello che aveva preso come un mezzo
insulto, Castiel aggiunse: « Vai a casa. Io non posso permettermi il
lusso di perdere altro... tempo ». E si scostò dalla panchina.
«
Dove vai? » esclamò Sally.
«
Non è affar tuo. Come ti ho già detto, tu non hai niente a che
vedere con questa storia ».
Ma
Sally non aveva intenzione di mollare la spugna: ripiegò
furbescamente sull'episodio della collina, sperando di trattenere
Castiel.
«
E la faccenda del tu-non-tu? Quella si che a che a fare con
me!»
Castiel
la guardò.
«
Perché credi che sia rimasto qui a parlare con te? Tornerò per
scoprire chi, o cosa, tu abbia incontrato. Ma ora devo occuparmi di
una faccenda più importante... »
E
scomparve. Semplicemente scomparve, senza una parola di congedo,
lasciando Sally a fissare il vuoto.
Questa
volta però la ragazza lo aveva udito distintamente: un suono simile
ad un battito d'ali.
«
E giusto perché tu lo sappia... »
Sally
trasalì dallo spavento. Era la voce di Castiel, ed era alle sue
spalle.
La
ragazza si voltò.
«
Giusto perché tu lo sappia, l'uomo che chiamate il Dottore
non è più umano di quanto lo sia io **».
Sally
non ebbe nemmeno il tempo di aprire la bocca per la sorpresa, che
Castiel era di nuovo svanito.
***
Dopo
aver salito a piedi tre rampe di scale, quando fu sul pianerottolo
davanti alla porta del suo appartamento, Sally era così immersa nei
propri pensieri che quasi non sentì la signora Grossman – la sua
dirimpettaia – che la stava salutando. La signora stava uscendo in
quel momento da casa, con il suo piccolo yorkshire tutto nero al
guinzaglio. Fu il fastidioso abbaiare del cane a riportare Sally con
i piedi per terra. « Nocciolina, smettila di fare tanta confusione.
Non riconosci più Sally? » la signora rimproverò amorevolmente il
cane. « Sally cara, come mai a casa a quest'ora? » domandò la
gentile signora, mentre prendeva in braccio la bestiolina – che non
la smetteva di abbaiare furiosa verso Sally.
Sally
ignorò il cane e tirò fuori un sorriso cortese e tranquillo.
La
vera risposta avrebbe dovuto essere qualcosa come: “Perché uno
tizio che pretende di essere un angelo ha detto che devo starmene a
casa. E perché non so più davvero dove altro andare, o cosa altro
fare.”
«
Credo di essermi presa un po' di influenza » buttò lì Sally e
salutò la vicina, sgattaiolando in casa prima che la signora avesse
il tempo di attaccare discorso.
Mentre
chiudeva a chiave la porta, la ragazza udì i passi della signora
Grossman che scendeva le scale. Il cane aveva smesso di abbaiare.
La
ragazza si trascinò fino al divanetto. L'appartamento era piccolo,
non aveva un vero e proprio ingresso e la porta dava direttamente sul
modesto soggiorno. Sally si tolse stancamente giacca e sciarpa e le
gettò sul divano insieme alla borsa con il computer. Lei scivolò
seduta dall'altro lato del divano. Piantò il gomito contro il
bracciolo e poggiò il mento sul dorso della mano. Diede un'occhiata
all'orologio al polso: mezzogiorno in punto. Mentre fissava lo
schermo spento del televisore, l'espressione di Sally si alternava
tra il cruccio e una rassegnata apatia. Un paio di volte sospirò in
silenzio. Aveva un gran confusione in testa; si stupì quasi di non
aver mal di capo, con tutti quel groviglio di pensieri. Il fantasma
di Anna Bolena e la morte del signor Huddlestone erano
momentaneamente passati in secondo piano. Ora Sally non riusciva a
pensare a nulla che non fosse Castiel.
Un
angelo.
Anche
se non sapeva ancora se credergli oppure no, Sally non era così
ottusa da rifiutarsi di accettare che, bugiardo o sincero, Castiel
restava una persona fuori dall'ordinario. Anzi, lontanissima
dall'ordinario.
Ma
un angelo! Le sembrava troppo.
Era
già mezzogiorno e dieci minuti, quando Sally si allungò verso la
borsa per prendere il computer. Se
lo appoggiò sulle ginocchia e lo accese. Dopo aver tamburellato le
dita sul bracciolo, digitò la parola angeli. Poi
aggiunse manifestazioni. Premette
il tasto di invio e ottenne qualche migliaio di risultati. Sally
scorse la pagina da su a giù, senza sapere da dove cominciare.
Altro
che filo scarlatto per sbrogliare la matassa, pensò sconsolata. Qui
mi ci vuole un navigatore satellitare.
Il
telefono squillò, cogliendo Sally di sorpresa.
La
ragazza si voltò verso il cordless, sul mobile accanto al divano.
Per un attimo Sally contemplò l'idea di non rispondere. Poi si
chiese se facesse parte della prassi della polizia telefonare in casa
dei sospettati di omicidio. Alla fine, si decise a sollevare la
cornetta.
«
Pronto? »
Udì
con sollievo la voce di Larry.
«
Che fine hai fatto? » chiese il ragazzo, dall'altro capo del
telefono. « Questa è la terza volta che provo a chiamarti a casa.
Avevi detto che mi avresti telefonato appena uscita dalla Torre di
Londra. »
Era
vero. Sally lo aveva promesso. E Castiel le aveva fatto dimenticare
la promessa.
«
Scusa, hai ragione. L'ho dimenticato... » disse Sally. « Ma perché
non mi hai chiamata sul cellulare? »
«
Mi hai detto tu di non farlo! » le ricordò Larry.
Sally
si passò una mano sulla fronte, come per schiarirsi i pensieri.
«
Già, giusto... » mormorò.
«
Sally, stai bene? »
«
Ehm, sì... » rispose poco sinceramente lei. « Che mi dici della
polizia, è venuta in negozio? »
«
No, non ancora. E tu, trovato il fantasma? » scherzò Larry.
«
No, ma ho trovato Castiel. »
«
Cosa? Come... dove? »
«
Beh, lui ha trovato me... » precisò Sally. « E, sai una
cosa Larry, credo che Castiel lo conosca. Credo che sappia
qualcosa del Dottore.»
«
Sul serio? Ma chi accidenti è questo tizio? »
«
Ah, non ci crederai, ma afferma di essere un... »
Dlin
dlon!
Suonarono alla porta, in quel momento.
« Aspetta un attimo ».
Sally
spostò il pc sul divano e si alzò, portandosi dietro la cornetta
del telefono. Andò alla porta e guardò dallo spioncino.
Represse
un sospiro mentre scostava il viso dalla porta.
«
Larry... ti richiamo più tardi ».
Sally
chiuse la chiamata. Tornò al divano e mise la cornetta del telefono
al suo posto, prima di riavvicinarsi all'ingresso. Sally prese un bel respiro e aprì la
porta.
CONTINUA.
__
*Come Castiel
spiega nella puntata “In principio” 4 x 03, quando si
trova con Dean nel 1973.
**Non ho mai ben
capito se Castiel sappia leggere nella mente delle persone (sicuro sa
leggere la mente degli altri angeli, come in My Bloody Valentine),
ma in Free to be you and me conosce il passato della
prostituta solo guardandola negli occhi, quindi suppongo che Castiel
sia in grado se non di leggere, almeno di sbirciare nei ricordi delle
persone.
__
Se
tra i lettori c'è qualche pignolo conoscitore delle dinamiche
nell'Universo di Supernatural scoverà in questo capitolo una piccola
contraddizione con l'originale, ho la presunzione di assicurare che
quello che sembra sbagliato qui, tornerà al suo posto nel prossimo
capitolo. ;D
|
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Capitolo 8 *** Parte ottava ***
C07
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
Note: posso
spiegare il motivo di questo vergognoso ritardo. Una mattina, uscendo
di casa sono caduta in un portale interdimensionale che mi ha
trasportato due mesi in avanti nel futuro, direttamente nel 2011. Vi
prego di credere a questa scusa, perché è molto
più interessante dell'elenco di imprevisti e impicci che mi
hanno tenuta occupata nelle settimane scorse. Come sempre ringrazio
tutti coloro che leggono, quelli che hanno messo la storia tra le
seguite e coloro che spendono un po' del loro tempo nel lasciarmi dei
commenti. *_* GRAZIE! E ora che c'è il pulsante di risposta, potrò rispondere e ringraziarvi singolarmente.
VIII
«Sally
Sparrow?»
Con
le dita nervosamente strette attorno alla maniglia della porta, Sally
fissò il poliziotto in uniforme fermo davanti all'uscio
dell'appartamento. Era un uomo giovane, e di bell'aspetto anche.
Tuttavia, fosse anche stato il più bel sosia del più bel divo
hollywoodiano , dal punto di vista di Sally, la visita restava
estremamente sgradita.
«Sì,
sono io...»
Sì,
lei era Sally Sparrow e non voleva parlare con il poliziotto. Non in
quel momento. Dopo aver passato la mattinata ad inseguire spettri e
leggende, e l'ultima mezz'ora a riflettere su angeli e viaggiatori
nel tempo, solo in
quel momento Sally realizzò di non
essersi mai veramente
fermata a pensare a cosa dire alla polizia.
«Sono
l'agente Henrich» si presentò il poliziotto, togliendosi quel
copricapo scuro, dalla vaga forma a campana, che completa l'uniforme
dei poliziotti di Sua Maestà. L'uomo aveva i capelli ricci e
castani, orecchie leggermente a sventola e un modo di fare
apparentemente molto pacato. Sorrise a Sally. Le piccole rughe
d'espressione ai lati degli occhi – ed erano dei begli occhi verdi
– suggerivano un carattere incline al buonumore. Un particolare,
quest'ultimo, che Sally avrebbe certamente notato, se non fosse stata
tanto presa dal decidere quale espressione dare al proprio, di viso.
«Non
voglio farla agitare, signorina Sparrow, ma sono qui per farle delle
domande. Posso entrare?»
Sally
limitò la sua risposta ad un annuire rapido e silenzioso. Si spostò
di lato per lasciar entrare il poliziotto e chiuse la porta, con poca
fretta. Era ancora voltata quando si sentì domandare, senza alcun
giro di parole: «Lei conosceva Arden Huddlestone, signorina
Sparrow?»
Sally
chiuse gli occhi solo per un istante, mentre faceva scivolare via le
dita dalla maniglia. Si voltò, mordendosi forte l'interno della
guancia.
«L'ho
incontrato, per caso, una sola volta» disse. «Ieri sera. Ero a
un'esposizione, a Bloomsbury».
«Signorina
Sparrow... » l'agente Henrich sembrò titubare un istante, «mi
dispiace informarla che il signor Huddlestone è... »
«
...morto».
Sally
non era riuscita a frenarsi e non si sforzò neppure di fingersi
sorpresa.
Chi
sembrava sinceramente sorpreso era, invece, l'agente Henrich: guardò
Sally con aria poco professionalmente attonita. E continuò a farlo
per una manciata di lunghi e silenziosi secondi, scanditi dal secco
tic tac dell'orologio nella vicina cucina. Sally, con le labbra
strette in un'espressione di attesa e di disagio, fissava – senza
vederle in realtà – le tende bianche della finestra del
soggiorno. Le tende erano tirate e la striscia di cielo, sopra i
tetti scuri della case del quartiere, era ridotta ad un ammasso di
nuvoloni grigi. Il tempo andava peggiorando. La luce nella stanza era
livida e sonnolenta.
«C-C-come
sa c-c-che il s-s-signor Huddlestone è m-m-morto?» domandò a
fatica il poliziotto. Le consonanti gli si bloccavano in gola, le
vocali gli uscivano sfiatate.
Sally
spostò lo sguardo sull'agente Henrich. Grandioso. Deve avere la
balbuzia nervosa, pensò. E pensò anche che farglielo notare
sarebbe stata una gran scortesia. L'insicurezza dell'uomo, unita alla
giovane età, fecero supporre a Sally di trovarsi davanti a un
poliziotto alle prime armi.
«Perché
ho trovato il cadavere» spiegò Sally, che si sentiva incapace di
architettare bugie. «Ieri sera, intorno alle sette, in una delle
sale della mostra».
«L-l-lei
ha ritrovato il c-c...il ca-cadavere?» esclamò l'agente Henrich. «E
p-perché n-n-non è andata alla polizia?»
Sally
batté le palpebre. Pensò in fretta. Qui una bugia era necessaria.
«Io...
io ero sotto shock» rispose, ma senza esagerare con l'enfasi. «Sono
rimasta chiusa in casa per tutta la mattina». I suoi occhi corsero
rapidi alla propria giacca, abbandonata sul divano, assieme alla
sciarpa e al portatile. «Ma ero sul punto di decidermi ad andare
dalla polizia».
L'agente
Henrich si rigirò il capello tra le mani, come se fosse indeciso. O
meglio, come se sapesse cosa fare, ma fosse restio a farlo. Infine,
parlò usando un tono formale, sforzandosi di darsi un'aria
professionale e capace.
«S-s-s-si...
» Riprese il controllo e ingranò la marcia. «Signorina Sparrow, ho
bisogno di una sua dettagliata deposizione su tutto quel che ha fatto
da ieri sera alle sette fino ad ora».
Sally
provò una spiacevole sensazione allo stomaco, qualcosa di molto
simile alla nausea, ma si impose di mostrarsi tranquilla e
disponibile. Si disse che, a ben guardare, partendo dalla sera
precedente, fare una deposizione poteva considerarsi la cosa più
normale che le fosse capitata. Questo pensiero non impedì
però alla sua immaginazione di mostrarle l'angosciante scena di una
sé stessa, chiusa in una piccola stanzetta illuminata da una
verdognola luce al neon, seduta a un tavolo a rispondere a un fiume
di pressanti domande.
Quel
che invece Sally non poteva immaginare era che, in capo a pochi
minuti, non avrebbe più trovato così terribile l'idea
dell'interrogatorio, se messa a confronto con quanto le stava per
accadere.
«Devo
seguirla alla stazione di polizia?»
«No»
rispose inaspettatamente l'agente Henrich. «Posso ascoltare qui la
sua testimonianza».
Digiuna
com'era di pratiche investigative, Sally
non si porse il dubbio dell'ortodossia della pratica. Mentre invitava
il poliziotto ad accomodarsi sul divano, si limitò a meravigliarsi
con sollievo del fatto che questo avesse usato la parola
“testimonianza” e non “confessione”.
«Suppongo»
disse lei, mentre l'uomo sedeva a gambe larghe sul divano, «che sia
stata l'ex moglie del signor Huddlestone a fare il mio nome alla
polizia».
L'agente
Henrich, che aveva abbassato lo sguardo sul portatile, probabilmente
per leggerne la schermata – angeli e manifestazioni – tornò a
guardare Sally.
«Sì,
è stata la signora ha farci il suo nome». Abbozzò un sorriso a
labbra strette. «Lei non si siede?»
Sally
guardò il divano: era piccolo. Non c'era posto per lei se prima non
avesse tolto la giacca e il computer.
«Mi
dispiace per la confusione» si scusò la ragazza, piegandosi in
avanti per raccattare le proprie cose. Gettò sciarpa e giacca
sull'avambraccio destro e con la mano libera abbassò lo schermo del
laptop. «Vado a metterli a posto. Non si preoccupi: non posso
fuggire dalla finestra. Siamo al terzo piano».
Il
tentativo di fare dell'ironia sfiorì in un debole accenno di sorriso
da parte dell'agente Henrich e in un certo imbarazzo
da parte di Sally.
Sally
lasciò il poliziotto in soggiorno e percorse a passo svelto quei
pochissimi metri di corridoio che portavano alla camera da letto. La
porta era socchiusa. Sally la aprì silenziosamente, spingendola con
la schiena. Gettò i vestiti sul letto, prima di poggiare giù con
cura anche il computer. Pensò di frugare nelle tasche della giacca,
ritrovare il biglietto d'ingresso alla Torre di Londra e nasconderlo
da qualche parte. E invece si voltò per tornare indietro. Nel farlo,
si fermò ad osservare il proprio riflesso nello specchio appeso
sopra al mobile del comò. Non le sembrò di avere un gran
bell'aspetto: era troppo pallida. Sally si accostò al mobile, il
ripiano era pieno di tutti quegli oggetti che si possono trovare
nella camera da letto di una giovane donna. Pur restando di fronte
allo specchio, gli occhi della ragazza puntarono verso la porta della
camera.
Se
dico tutta la verità, l'agente Henrich mi prenderà per una pazza.
Se invece non la dico tutta, la verità, potrei essere accusata di
aver nascosto informazioni alla polizia.
Si
mise a fissare con stizza il profumo color ambra all'interno di una
boccetta di vetro trasparente. E fu nello stesso momento, quasi
l'idea l'avesse semplicemente letta nel riflesso del vetro, che Sally
capì quale fosse la cosa migliore da fare. Fu una di quelle idee che
sembrano venir fuori da sole, come se fossero sempre stata pronte e
ripiegate in angolo della mente, in attesa di venir spolverate e
utilizzate: Sally avrebbe detto la verità, me privandola di quei
particolari che sarebbero inevitabilmente suonati falsi. Li avrebbe
sostituiti con altri, somiglianti e più credibili. Sorrise dentro di
sé, credendo di aver trovato un onesto compromesso tra la bugia e la
verità. Pronta a tornare in soggiorno, prese un bel respiro. E vide
il proprio respiro trasformarsi in una nuvoletta di vapore bianco.
Sally
alzò la testa. Guardò nello specchio. E si sentì gelare il sangue
nelle vene.
Quel
che vide riflesso le strappò un verso strozzato, qualcosa a metà
tra un urlo rauco e un sussulto di paura.
Lo
specchio mostrava l'immagine di Sally e, alle sue spalle, una seconda
figura. Era una figura femminile, una figura nera e spettrale.
Era
lei: era Anna Bolena. Ed era nella camera, immobile in angolo,
accanto alla testa del letto. Dal viso incavato, contornato dalla
sporca matassa scura di lunghi capelli, gli occhi neri e vischiosi
fissavano Sally. Le mani scheletriche
riposavano sulle pieghe delle soffocanti vesti nere, drappeggiate
come teli funebri. Il ciondolo e le perle della collana possedevano
una lucidità innaturale.
Sally,
inorridita, non osava respirare. Non voleva – non poteva credere
che il fantasma fosse lì. Trovò a stento la forza di voltarsi. E lo
fece con un movimento brusco, urtando il mobile con la schiena. Le
boccette di profumo tintinnarono.
Ma
non c'era assolutamente nessuno accanto al letto. Non c'era nessuno
nella stanza.
«Va
tutto bene?»
Sally
trasalì. Si voltò verso la porta. L'agente Henrich era sulla soglia
della camera. Dapprima tranquillo, l'uomo sembrò preoccuparsi quando
incrociò lo sguardo spaventato della ragazza.
«Signorina,
non si sente bene?»
Sally
tornò a guardare la testa del letto. Lo spettro non c'era. E si
chiese se mai ce ne fosse stato veramente uno. Che fosse stato solo
un brutto scherzo della sua mente, turbata dalla situazione?
«È
pallida» notò l'agente Henrich, che si era avvicinato a Sally.
Sally
fissava con ostinazione la parete contro la quale era addossato il
letto. Inghiottì per schiarirsi la voce.
«Le...
le è parso di sentire freddo poco fa?» domandò, con una calma fin
troppo forzata.
«Freddo?
No, per nulla. Anzi, l'appartamento è decisamente caldo».
Sally
respirò. Chiuse gli occhi e strinse forte le labbra.
L'ho
immaginato. L'ho soltanto immaginato, ripeteva nella sua testa,
come un disco rotto. Sentiva ancora il cuore batterle forte. Sì,
doveva aver immaginato il fantasma perché era assolutamente ridicolo
pensare che lo spettro di Anna Bolena potesse aggirarsi per il suo
appartamento. Ridicolo. E terrificante.
Sally
si sforzò di sorridere all'agente Henrich.
«Le
chiedo scusa. Ho avuto una mattinata pesante e sono molto stanca».
***
Tornati
in soggiorno, sedettero entrambi sul divano. L'agente estrasse, da
una tasca interna del giubbotto scuro, un piccolo blocco per gli
appunti con la copertina nera e una penna a sfera. Quando il
poliziotto chiese a Sally se non si sentisse troppo turbata e stanca
per affrontare ora una deposizione, lei gli rispose che si sentiva
meglio adesso ed era pronta a dire e a spiegare tutto quanto fosse
necessario. Ma, contemporaneamente, pizzicava e torturava
nervosamente con le dita l'orlo del suo maglioncino. Aveva lo stomaco
stretto in un nodo e si guardava attorno con la paura di veder
comparire il volto dello spettro in qualche angolo della stanza.
Era
perseguitata da un fantasma o era vittima di allucinazioni? Entrambe
le opzioni le facevano venire i brividi e concentrarsi sulla
conversazione con il poliziotto fu un'impresa.
L'agente
Henrich leggeva a voce alta i propri appunti.
«La
signora Huddlestone ci ha detto di aver visto l' ex-marito vivo per
l'ultima volta ieri sera, poco prima delle sette. Ha aggiunto
anche che l'uomo era in compagnia di una giovane donna bionda, di
nome Sally Sparrow. Quindi lei conferma? Lei, Sally Sparrow, attorno
alle sette di ieri sera si trovava con il signor Arden Huddlestone,
al numero 4** di M.... Street, nel quartiere di Bloomsbury?»
«Sì»
rispose semplicemente Sally.
«E
la signora ha inoltre affermato» continuò il poliziotto, gli occhi
bassi sul taccuino, «che lei, signorina Sparrow, era l'ultima
visitatrice della mostra. Ed è rimasta sola con il signor
Huddlestone».
«È
così, non c'era nessun altro» disse Sally, ma specificò anche di
aver lasciato l'esposizione subito dopo la signora Eleanor.
«La
guardia nella portineria del palazzo ha detto di non aver visto
nessuno altro uscire dall'edificio, dopo l'organizzatrice della
mostra. Ma, poiché si è allontanato dal suo posto per alcuni
minuti... pare che il palazzo sia rimasto al buio proprio attorno
alle sette... la guardia non ha escluso che lei, signorina Sparrow,
possa aver lasciato l'edificio in quel frangente di tempo».
«Non
credo di essere uscita passando per l'entrata principale».
A
quella risposta, l'agente Henrich alzò lo sguardo dal taccuino.
Sally
cercò di essere il più breve e chiara possibile nello spiegare
quali fatti erano intercorsi tra il momento in cui aveva lasciato la
sala dell'esposizione e quello in cui aveva trovato il cadavere del
signor Huddlestone.
«Avevo
tutta l'intenzione di andare ad avvertire la guardia» spiegò Sally,
«ma quando sono tornata all'ingresso dell'esposizione ho trovato la
porta chiusa a chiave». E disse di aver raggiunto l'uscita di
sicurezza e le scale di servizio, ma senza fare parola dell'incontro
con lo spettro. Affermò, invece, che una volta vicina alla scale era
stata addormentata da un uomo – uno sconosciuto – che l'aveva
sorpresa alle spalle. E quando il poliziotto, stupito dall'ultima
rivelazione, le chiese cosa intendesse quando dire quando parlava di
“essere stata addormenta”, Sally inventò sul momento.
«Cloroformio,
suppongo. Mi ha premuto un fazzoletto umido sulla bocca, è tutto
quello che mi ricordo. So solo di essermi risvegliata nel mio letto,
qui in casa, nel cuore della notte».
L'agente
Henrich segnò qualcosa sul taccuino, sfregandosi la fronte con una
mano.
Sally
lo osservò. Non mi crede, capì.
La
ragazza approfittò della pausa di silenzio per alzarsi dal divano.
Stava diventando insofferente a quella luce grigiastra.
Al clic secco dell'interruttore il soggiorno e tutto il suo modesto
mobilio vennero illuminati dal chiarore asettico del lampadario.
Sally
tornò a sedersi, e il poliziotto le domandò: «Come ha fatto il suo misterioso rapitore ad entrare in
casa?»
«Deve
aver trovato le chiavi nella tasca della mia giacca» rispose
debolmente Sally, fissando il pavimento.
«Dovrò
prendere sotto sequestro le sue chiavi allora. Potrebbero esserci
sopra le impronte digitali dell'uomo».
Sally
annuì. La storia del rapitore non
reggerà, ragionò. Le uniche
impronte digitali che la polizia avrebbe trovato sulle chiavi
sarebbero state quelle di lei; la ragazza ci avrebbe messo la mano
sul fuoco. Mentre l'agente Henrich scribacchiava dell'altro sul
taccuino, Sally guardò fuori dalla finestra, ascoltando il rumore
delle auto che passavano in strada.
Per
la seconda volta, nel giro di pochi minuti, Sally si spaventò tanto
da trattenere involontariamente il respiro.
L'agente
Henrich sollevò lo sguardo dal taccuino. «E un'altra doman... signorina, qualcosa non va?»
Sally
era pallida, con gli occhi castani impauriti e le dita aggrappate
all'orlo del maglione.
Visibilmente
confuso e preoccupato, il poliziotto alternò lo sguardo tra Sally e
il punto del soggiorno che quest'ultima fissava con tanto
sbigottimento: la finestra.
«S-signorina?»
Sally
spostò lentamente gli occhi sul poliziotto. Batté piano le
palpebre.
«Lei...
lei non la vede» mormorò Sally, con uno strano tono: una sorta di
calma ma disperata rassegnazione.
«Vedere
cosa? La finestra? Certo che vedo la finestra... » L'agente Henrich
sembrava davvero smarrito.
«No»
disse Sally con un filo di voce, «non la finestra... »
Non
era la finestra a spaventare Sally, ma ciò che sul vetro della
finestra era appena comparso. Segni. Sally aveva visto apparire dei
segni sul vetro della finestra, come tracciati da un gelido soffio di
brina. E i segni si erano rivelati lettere dell'alfabeto. Sei
lettere: una singola parola.
Hidden.
Nascosto.
Sally
inghiottì, sforzandosi di mettere in moto la testa e la sua capacità
di pensare, soffocata dai battiti concitati del proprio cuore. Quando
parlò di nuovo, si accorse che il respiro le tremava.
«A-agente
Henrich, so che questo mi farà sembrare un pazza, ma... ma credo che
ci sia qualcosa in questa casa. E noi dovremmo andarcene, perché non
è sicuro restare qui».
L'agente
Henrich, riprendendo evidentemente coscienza del proprio ruolo, le
posò con ferma gentilezza le mani sulle spalle di Sally.
«Si
calmi» le disse, tentando di combattere contro la balbuzia. «N-n-non
so cosa lei abbia v-v-visto, ma n-n-non c'è n-n-nessuno in questa
casa o-o-oltre a noi. E siamo entrambi perfettamente al sicuro...».
«No...
no... no, mi ascolti... » protestò la ragazza. Non stava urlando,
ma ad ogni parola la voce era sempre più alterata
dall'agitazione. «Lo so che sembra il discorso di una
pazza, ma ci sono delle cose che non le ho detto... Cose molto strane
e pericolose...»
«A-a-allora,
mi dica che cosa l'ha spaventata tanto?»
Sally
si schiarì la voce. Sollevò una mano per indicare la finestra del
soggiorno.
«C'è
una parola scritta su quel vetro...»
Spostò lo sguardo verso la finestra: la parola era scomparsa.
Il vetro era tornato pulito e trasparente. «Ehm...
non c'è più» soffiò in un sussurro di sorpresa.
«Infatti,
signorina, non c'è nessuna parola su quel vetro».
Sally
si voltò di scatto.
«Ma
c'era prima»
«No,
n-n-non c'è mai stata nessuna parola» ripeté l'agente Henrich.
«Le
dico di sì, invece».
«E
chi avrebbe mai scritto questa parola sul vetro della finestra?»
Sally
esitò. Fissò il poliziotto, mordendosi forte il labbro inferiore.
La situazione le stava decisamente sfuggendo di mano.
«Io...
credo che ci sia un fantasma in casa» ammise, parlando lentamente e
consapevole di come quella frase avrebbe mandato all'aria ogni suo
rimasuglio di credibilità.
L'agente
Henrich la guardava infatti come se fosse ormai certo di avere
davanti un'interlocutrice non del tutto sana di mente.
«Un...
fantasma?» chiese, in tono piatto. Non balbettava nemmeno più.
«Sì»
«Un
fantasma, del tipo Casper?»
«No»
sbottò – suo malgrado – Sally. «Uno molto più
spaventoso. E pericoloso. Per favore, non mi guardi come se fossi
matta!»
L'agente
Henrich distolse lo sguardo da Sally. Strinse le labbra in un fischio
muto, facendo scivolare le mani sulle ginocchia.
«Ehm...
tanto per sapere, era un fantasma anche il suo “aggressore”
dell'altra sera?»
Sally
dovette mordersi la lingua per impedirsi di rispondere male
all'agente. Serrò la mascella.
«No»
rispose duramente. «Quello
era uno vivo. Non
posso mettere la mano sul fuoco sul fatto che fosse umano, ma vivo lo
era di certo».
«E
sarebbe in grado di fare una descrizione di questo uom... di questo
tizio vivo?»
«No,
non posso. Mi dispiace. Non l'ho visto in volto» rispose asciutta.
«D'accordo.
Va bene così» sospirò il poliziotto, sistemando penna e taccuino
nella tasca interna del suo giubbotto. Ma invece di alzarsi, come si
aspettava Sally, si accomodò meglio sul divano. Fece aderire per
bene la schiena ai cuscini e allungò una mano sul bracciolo.
«Non
mi sono mai piaciute le piccole puttanelle bugiarde».
Sally
spalancò gli occhi. Si voltò verso il poliziotto con tanta rapidità
da farsi quasi male al collo. Aveva capito male? O adesso era vittima
di allucinazione uditive, oltre che visive?
«Chiedo
scusa?» esclamò.
L'agente
Henrich la guardò, un sorriso serafico sul bel viso d'angelo.
«Ho
detto che non mi sono mai piaciute le piccole puttanelle bugiarde».
I
sentimenti di Sally passarono al volo dalla sorpresa
all'indignazione.
«Agente
Henrich, nessuna divisa le dà il diritto di parlarmi in questo
modo!» ribatté, decisa ma senza alzare la voce.
«Ah,
la divisa!» ripeté l'agente in tono svagato. Sollevò una mano e se
la portò davanti al volto, come se fosse un oggetto da ammirare.
Guardò il palmo e il dorso, poi la lasciò ricadere sul bracciolo.
«Farei con piacere a meno di certi travestimenti, se avessi la
possibilità di agire alla luce del sole».
Sally
si irrigidì, ma restò ferma dov'era, seduta. Improvvisamente
inquieta e diffidente, mentre osservava il poliziotto trattenendo
quasi il fiato, si impose di mostrare solo la seconda emozione e
nascondere la prima.
«Ad
ogni modo, ho una buona notizia per te» riprese il poliziotto. «Non
sei matta. Sei solo molto sfortunata».
Qualcosa
in lui era cambiato, qualcosa nei modi: parlava mellifluo, femminino
e freddamente sardonico. Non c'era più traccia del giovane uomo
insicuro e balbettante di pochi minuti prima.
Senza
scatti o movimenti bruschi, Sally si alzò in piedi, indietreggiando
di un paio di passi, con le braccia tese lungo in busto.
«Tu
non sei un poliziotto. Non... uno vero» .
L'agente
Henrich le lanciò un'occhiata di divertita sufficienza. «Ma quanta
perspicacia, tutta in una sola testolina!» Si voltò col busto verso
di lei, sollevando un braccio per appoggiare il gomito al divanetto.
«Ma prima di fuggire, non vuoi sapere cosa si nasconde in
casa tua?»
Sally,
che aveva mosso un altro passo all'indietro, si bloccò.
«Cosa?»
«Me»
Sotto
lo sguardo allarmato e attonito di Sally, l'agente
Henrich si trasformò.
CONTINUA.
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Capitolo 9 *** Parte nona ***
C07
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
Note: Alt!
Se avete aperto questa pagina attreveso il link >Ultimo
capitolo< saltate indietro di una pagina. Questo è un
doppio aggiornamento. ;)
IX
Per
un attimo, Sally ebbe l'orribile impressione che l'agente Henrich si
stesse sgonfiando. Sì, proprio sgonfiando. Sgonfiando e
restringendo. Gli abiti si appiattirono, le braccia si accorciarono.
Tutte le membra parvero rimpicciolirsi, in uno scricchiolio di ossa
misto ad altri rumori viscidi e sordi, schiocchi di pelle e di
muscoli tirati e poi compressi. I tratti del viso si contrassero come
quelli di una maschera di cera impastata. Quando si distesero di
nuovo, i lineamenti erano completamente mutati.
L'agente
Henrich non c'era più.
Era
una donna quella sul divanetto, abbigliata di nero e seduta in una
posa lasciva, con le gambe accavallate.
Un
lungo vestito le fasciava il corpo, mettendone in risalto le generose
curve del seno, della vita e dei fianchi. Una chioma di capelli
corvini e ondulati le ricadeva sul petto. Le spalle e la braccia
erano nude e la spacco della gonna metteva generosamente in mostra le
gambe tornite e slanciate. Lo strascico del vestito ricadeva sul
pavimento: un sottile lembo di stoffa, arrotolato come un serpente
accanto ai piedi della donna. Lucide e nere erano anche le scarpe dal
tacco alto. Si sarebbe potuto definire un corpo perfetto se solo le
braccia non fossero state martoriate da un intricato disegno di
piccole cicatrici bianche. Erano fitte e numerose attorno ai polsi e
si facevano più rade e meno marcate man mano che salivano verso il
gomito. Era impossibile indovinare l'età della donna: il suo viso
possedeva una bellezza tutta particolare, la bellezza vorace e
soffocante di un colorato fiore esotico, dal profumo intenso e il
succo velenoso. I grandi occhi verdi, sormontati da sopracciglia erte
e leggermente arcuate, erano in incantevole contrasto con il colore
ambrato della pelle. Il naso era dritto e stretto, la mascella forte
eppure femminile, le labbra piene, scarlatte e ben disegnate.
«Sorpresa»
disse la sconosciuta. E sorrise. Era un sorriso cattivo, un sorriso
da strega.
Il
termine sorpresa era quanto mai riduttivo per descrivere quel
che stava provando Sally. La sua costernazione aveva raggiunto un
livello tale da non riuscire più nemmeno ad essere espressa in modo
visibile. Aprì la bocca un paio di volte e non le riuscì di
spiccicare una sola parola.
«Sono
o non sono brava con i travestimenti?» continuò la donna, senza
smettere di sorridere. Ad ascoltarla bene, la voce non era affatto
bella come lo era l'aspetto. Il tono era dolce e carezzevole, ma del
tutto innaturale: era come ascoltare una serpe che tenta di imitare
il canto di un usignolo.
La
donna si alzò, con un gesto lento ed eleganza, un gesto adatto alla
languida eroina di un melodramma.
Sally
indietreggiò d'istinto.
La
donna era alta, più alta di lei.
Sally
chiuse le mani a pugno. Calma, doveva restare calma e lucida. E
pensare, ragionare, capire.
«Tu
non sei un essere umano» affermò.
«Bambina
intelligente» sospirò l'altra, soave.
Sally
deglutì.
«Chi
sei?»
«Fossi
in te non mi preoccuperei tanto del chi sono, ma del perché sono
qui».
Sally
fece un altro passo indietro.
Parlava
con un lentezza nervosa, prendendo un respiro ad ogni pausa.
«Bene...
allora, che cosa vuoi da me?»
La
reazione della sconosciuta le fece saltare il cuore in gola.
I
lineamenti della donna si indurirono, gli occhi si infiammarono di
rabbia. Fece un passo verso Sally. «Io!» urlò la donna. La
voce non era stridula, ma altisonante. «Io volere qualcosa da te?
Cosa credi che possa volere io da un piccolo, patetico,
insignificante esemplare di essere umano come te?» All'improvviso,
la donna abbassò la testa e chiuse gli occhi, premendo le mani,
strette a pugni, contro le tempie. «Tu sei come lui!» strillò, in
preda a quello che sembrava un attacco d'isteria. «Sarete la rovina
della mia felicità!» Strillava e muoveva le testa, come un serpente
agonizzante sotto gli artigli di un rapace.
Sally
trattenne il fiato, impietrita, con la mente che faticosamente
annaspava alla ricerca di una mossa intelligente da fare.
«P-perché
ti sei...» cominciò la ragazza, in un balbettio insicuro.
La
donna abbassò le mani per guardare Sally. Sembrava essersi calmata.
Gli occhi avevano perso la scintilla di pazzia.
«Perché
ti sei finta un poliziotto?» riuscì a domandare Sally.
La
sconosciuta le sorrise. Era nuovamente quel sorriso serafico e
inquietante.
«Perché
voi umani siete così portati a parlare apertamente con gli uomini
che indossano una divisa» disse, col tono gentile di chi si sta
rivolgendo a una bambina. «Avevo bisogno di informazioni e quello
era il modo più semplice per ottenerle. Oh, certo, anche la tortura
era un opzione, ma» sollevò una mano sfiorandosi la fronte con un
gesto leggiadro, «ho i nervi delicati io. Le urla e i pianti proprio
non li sopporto».
«Quali
informazioni?» continuò Sally, adocchiando la porta
dell'appartamento con la coda dell'occhio.
La
donna guardò Sally inarcando le sopracciglia in un'espressione di
candida sorpresa.
«Sciocchina,
dovevo pur essere sicura che fossi la ragazza giusta».
«Giusta?»
«Sì,
quella giusta da uccidere».
«Ah».
Non
fu un grido quello di Sally, solo una vocale pronunciata piano, e a
mezza bocca.
Che
qualcuno mi svegli, stava pregando inorridita la ragazza.
Lassù
dovevano aver un pessimo senso dell'umorismo. Lei desiderava un po'
di movimento nella propria vita e in che cosa finiva con l'incappare?
In cruenti omicidi, in fantasmi centenari, in strambi viaggiatori nel
tempo e, per ultimo, in una non ben specificata creatura, palesemente
squilibrata, con il vizio del travestimento e il pallino
dell'omicidio. Tutti nella stessa giornata. La tragedia stava
scivolando nel ridicolo.
«Beh,
sta a sentire, mister Hyde... » Sally prese ad indietreggiare
verso la porta, un passo dopo l'altro. «Trovati qualcun altro da
uccidere, perché io con i mostri e morti per oggi sono davvero a
posto...»
La
donna rise di cuore. Aveva un'argentina risata da bambina. Orribile
da sentir uscire dalle labbra di una donna.
Quel
che accadde subito dopo Sally lo avrebbe sempre ricordato come una
sequenza confusa.
Ebbe
a mala pena il tempo di notare il movimento della mano della donna.
Poi si sentì strappare a forza da terra e sollevare in alto, come se
fosse afferrata da tante mani invisibili. Finì dall'altra parte
della stanza, scagliata contro la parete. L'urto tra la schiena e il
muro fu così forte e doloroso da mozzarle il fiato. Ricadde
pesantemente sul pavimento, sbattendo il fianco e la testa. E restò
lì, stordita, con la testa che le faceva così male da renderla
quasi incapace di pensare. I passi della donna che attraversava il
soggiorno erano un suono lontano e ovattato. La sconosciuta si fermò
di fronte a Sally. Si accovacciò sul pavimento, piegandosi sui
talloni. Sally si sentì scostare i capelli dal viso, con un
amorevole cura. E udì la donna parlare, in un impeto di tenerezza.
«Dopotutto,
mi dispiace ucciderti».
La
sconosciuta costrinse Sally a sollevare il busto da terra e a
mettersi seduta. A dispetto dell'apparente corporatura esile, la
creatura era molto forte. Teneva la ragazza ferma per le braccia. Le
belle mani affusolate avevano una presa di ferro; era come essere
tirati su da due tenaglie.
«Ma
devi riconoscere che non ti ho costretta io a fare la puttanella per
quell'angelo. In tempi bui come questi che altro si può fare se non
pensare alla propria felicità, alla propria sopravvivenza?
Mors tua, vita mea».
Il
dolore alla testa aveva annebbiato i sensi di Sally. Il discorso
della sconosciuta, pronunciato con voce tanto dolce, non aveva per
lei più senso del ringhiare di un cane. Ma per frastornata che
fosse, Sally conservava abbastanza coscienza da rendersi conto di
essere a un passo dalla morte. Sapeva che sarebbe morta senza mai
saperne il motivo. Sotto le palpebre socchiuse, i suoi occhi castani
si erano fatti lucidi.
«E
poi, io ho così tanta fame»
sussurrò la donna. Sally vide la donna sorridere, famelica, mentre
sentiva la mano di lei scivolarle lungo il collo, dove pulsava la
vena calda del cuore spaventato.
Fu
in quello stesso istante che si udì uno scoppio e poi uno sfrigorio:
il neon del lampadario era appena esploso in una cascata di scintille
elettriche.
Ma
tutto si aquietò presto, e al suono di un frullare di ali, la luce
nella stanza era tornata debole e livida.
«Che
cosa vuoi?» chiese la donna, a voce alta, in tono annoiato, ma senza
smettere di sorridere. Non si voltò, continuava a tenere le sottili
dita strette attorno al collo di Sally.
«Lo
sai» rispose una voce bassa e roca, estranea a qualsiasi traccia di
turbamento.
La
donna ritirò la mano dal collo di Sally. La ragazza riuscì a fatica
a mantenere la testa sollevata, mentre la sconosciuta si alzava in
piedi.
Castiel
era nella stanza, accanto alla finestra. I suoi occhi blu, seri
e pieni di un controllato astio, erano fissi sulla misteriosa donna
bruna. Le tende bianche si stavano riadagiando leggere al loro
posto, come se fossero appena state mosse da un soffio di vento.
«E
come potrei mai saperlo?» cinguettò la sconosciuta, con melliflua
sorpresa. Si era spostata di qualche passo e ora Sally poteva vederla
di profilo. La donna abbassò leggermente il mento e sorrise,
civettuola, accarezzando con entrambe le mani una lunga ciocca dei
suoi lucidi capelli. «Credevo di piacerti davvero tanto, visto che
hai deciso di seguirmi attraverso il tempo, ma...» parlava con un
tono di altezzosa ironia, « ...vedo che mi hai già sostituita con
un'altra». La donna imbronciò le labbra, fingendosi offesa, mentre
si voltava a guardare Sally, la quale, confusa e spaventata, se ne
stava ancora seduta sul pavimento con la testa che le pulsava per il
dolore e il cuore che le batteva forte.
Anche
Castiel, senza muovere la testa, portò il proprio sguardo sulla
ragazza. Ma fu uno sguardo volutamente sfuggevole e rapido, così
rapido che Sally non riuscì ad incrociarlo.
«Da
quando ti piaccio bionde e umane?»
se ne uscì la donna bruna, tornando a guardare Castiel. Subito dopo
batté le palpebre e si sfiorò le labbra con le dita, in un gesto di
sorpresa. «Oh, a meno che...» la mano sollevata scivolò sul petto
e la donna guardò Sally, impietosita. «Povera cara, gli angeli sono
così cattivi ed egoisti». Si rivolse a Castiel e scosse la testa
con aria di rimprovero. «Usare la povera ragazza per trovare me,
vergogna Castiel! E ora che mi hai trovata e lo hai fatto, come
presumo, per uccidermi, non vorrai almeno negarmi un ultimo pasto.
Tutti i condannati a morte hanno diritto a un ultimo pasto». La
melensa dolcezza che la donna infondeva alla voce era irritante.
Tutto in lei sapeva di artefatto e sarcastico; un continuo farsi
beffe dei suoi interlocutori, che si rivolgesse a Castiel o a Sally.
Con
un scrocchio secco, la donna voltò il lungo collo verso Sally. Lei
vide di nuovo quel sorriso simile al ghigno di un lupo affamato. Ebbe
uno spasmo di spavento, come se non riuscisse a più a respirare.
Guardò Castiel, ma lui non guardava Sally. Non si muoveva e non
parlava. Non c'era né timore né preoccupazione sul suo viso severo.
Castiel si limitava a starsene semplicemente lì, in piedi, con
indosso il suo impermeabile chiaro, ad
osservare
la sconosciuta.
Come
se avesse capito i pensieri di Sally, la donna disse:
«Non
riporre in lui tanta speranza. Non ti salverà. Tu, per quelli della
sua specie, sei poco più una scimmietta ammaestrata».
E
poi fu un attimo.
Nel
preciso, medesimo istante in cui la donna chiuse la bocca, Castiel
scomparve da accanto alla finestra per ricomparire nel bel mezzo
della stanza, frapponendosi tra la carnefice e la vittima: ora, senza
dire una parola o fare un solo movimento, Castiel fronteggiava la
sconosciuta, dando le spalle a Sally.
La
donna rise di una risatina bassa e soddisfatta.
«Ho
trovato un bambino geloso del suo giocattolino» cantilenò,
avvicinandosi a Castiel.
Con
un movimento svelto, come un gatto che allunga la zampa per graffiare
il muso del cane che gli ringhia contro, la donna si accostò a
Castiel. Gli passò una mano dietro al collo e con l'altra strinse la
stoffa dell'impermeabile sulla spalla. Il volto di lei era tanto
vicino a quello di lui da sfiorargli quasi la guancia con la propria.
Sally non poteva vedere l'espressione di Castiel, ma quella della
donna sì: ed era un'espressione di vittoriosa malizia. La vide
schiudere le labbra cresimi per mormorare qualcosa all'orecchio di
Castiel, ma Sally non riuscì a udire nemmeno una sillaba.
La
donna arretrò, con la stessa rapidità con la quale si era
avvicinata, e Castiel crollò in ginocchio sul pavimento. Sally si
premette una mano contro le labbra. La donna rideva senza fiato.
«Povero
il mio bell'angelo, ti hanno tarpato le ali! Sei debole! Se perfino
più debole dell'ultima volta». La donna calmò l'eccesso di
risa, svoltolandosi una mano davanti al viso. Poi socchiuse le
palpebre, intrecciò le dita e portò le mani unite sotto al mento.
«Il viaggio. È stato il viaggio, non è vero? Non riesci a
viaggiare nel tempo senza indebolirti. Salti indietro di un anno e
tanto basta a fiaccarti. Stai perdendo i tuoi poteri».
Tuttavia
Castiel si era già ripreso. Le dita della mano sinistra stringevano
la stoffa dell'impermeabile all'altezza del cuore, ma lui si stava
rimettendo in piedi.
«Ne
ho ancora abbastanza per fermarti».
La
donna non sembrava minimamente intimorita.
«Fermarmi?
Perché, cosa sto mai facendo di male?» chiese, delicata.
Castiel
la fissò.
«Gli
omicidi».
La
donna reagì a quella risposta come aveva fatto poco prima con Sally.
Ebbe un scatto da isterica. Alzò la voce, scossa da un tremore
convulso.
«Ma
da quale pulpito!» soffiò, come una furia. Sally si ritrasse
istintivamente, scivolando verso la parete dietro di lei. Castiel,
invece, era impassibile. «A un anno da qui, la tua famiglia
sta gettando il mondo tra le braccia dell'Apocalisse e tu sei qui,
a darmi il tormento per qualche necessaria requisizione di anime?»
«Le
anime. A cosa ti servono le anime delle persone che fai uccidere?»
continuò Castiel, imperturbabile nella voce e nell'atteggiamento.
La
donna – la pazza, con questo termine cominciava a chiamarla Sally,
dentro di sé – si era avvicinata al muro, a pochi centimetri dalla
finestra. Premeva le mani contro la parete, come se avesse bisogno di
un sostegno. Aveva smesso di urlare. Quando rispose, lo fece in un
sussurro dolce, con l'espressione rapita e malinconica di chi ascolta
una voce, o una musica triste, in lontananza.
«Non
immagini quanto sia alto il prezzo dei ricordi» mormorò. Guardava
fuori dalla finestra, con i grandi occhi verdi fissi su chissà cosa.
«E tu...» si voltò verso Castiel, guardandolo con stupita
dolcezza. «E tu, perché tu hai bisogno che io mi fermi? Ah, no!»
Si staccò dal muro con una leggera spinta. «Non tentare di prendere
in giro me! Tu fingi di avere a cuore le anime di quelle persone, o
l'anima di chiunque altro. Ma il motivo per cui mi stai dando la
caccia è un altro, io lo so bene». Fece una pausa, la bocca piegata
in una smorfia di disprezzo. «Tu sei alla ricerca di qualcosa. Di
Qualcuno. Lo stai cercando disperatamente. Cercare. Non puoi far
altro che cercare, cercare, cercare e ancora cercare». Si mosse di
un passo più vicina a Castiel. «Ma se mai la ricerca dovesse
rivelarsi infruttuosa, allora che cosa ti resterebbe? Solo il rimorso
di aver davvero perso tutto per nulla. Solo la consapevolezza
di aver sopportato inutilmente tutto il dolore e la solitudine. Oh,
la solitudine di un angelo caduto. Nessuno degli esseri umani dai quali
sei circondato riuscirebbe mai a comprenderla. Ma adesso hai smarrito
l'unica bussola in grado di guidarti nella ricerca. Credi che lo
abbia preso io, l'amuleto?»
«
No. Non lo credo. Ne sono sicuro » fu la risposta asciutta di
Castiel.
La
donna rise di nuovo, piano, tirando indietro la testa.
«Oh,
certo che lo sei...»
Venne
interrotta dalla voce roca ma decisa di lui.
«Come
sei arrivata in questo tempo?»
«Sono
potente».
«Non
così potente. Tu non hai il potere di spostarti nel tempo. Come ci
sei riuscita? Che cosa hai fatto?»
La
donna rivolse a Castiel uno sguardo di disprezzo.
«Smettila
di usare quel tono di accusa» gli intimò. «Io non ho fatto nulla.
Non mi sarei mai messa di proposito in cerca di un modo per arrivare
fin qui. Non mi piace la dimensione dei vivi. Qui nessuno mostra più
un briciolo di rispetto per quelli come me» Per un attimo,
spostandosi verso la finestra, riprese l'aria assente e distratta.
«Solo i morti mi amano ancora. Mi sono rimasti fedeli, loro».
«Come
hai fatto a tornare indietro nel tempo?» insistette Castiel,
risoluto.
La
donna gli lanciò un'occhiata di traverso.
«Ho
solo guardato. Ho guardato attraverso la crepa e ho visto questa
città, in questo tempo. E ho capito. Ho capito che mi era possibile
tornare agli splendori dei tempi antichi... così l'ho attraversata».
Ci
fu una pausa.
Per
Sally quella tra Castiel e la sconosciuta era una conversazione senza
capo né coda. L'unica cosa che la ragazza aveva capito era di essere
finita tra l'ordito di una storia la cui trama era già iniziata,
chissà quando e chissà dove. E nel mentre non si era dimenticata di
pensare alla propria incolumità. Pur a fatica, si era appena rimessa
in piedi, aiutandosi con una mano appoggiata alla parete. Si era resa
conto che le tremavano le gambe, ma non avrebbe saputo dire se il
tremore fosse per lo spavento o per il dolore. E quando aveva avuto
un giramento di testa, si era confusamente chiesta quali fossero i
sintomi di una commozione celebrale. Camminando accanto al muro, si
era spostata fino ad arrivare dietro al divano, dove ora se ne stava,
in piedi, ferma, con le mani appoggiate sopra ai cuscini ad ascoltare
i discorsi tra Castiel e la pazza, bellamente ignorata da entrambi.
«Hai
attraversato cosa?» domandò Castiel alla donna. E per la prima
volta, da quando era comparso nella stanza, Sally credette di
scorgere una rauca nota di insicurezza nella voce di lui.
«La
crepa, stupido asino impiumato!» sbottò la donna. Poi si accostò
alla finestra e mentre riprendeva a parlare, guardava in strada. «C'è
una crepa nella mia dimensione dei morti che si affaccia su quella
dei vivi. È nell'Erebo, lungo un maestoso pilastro nel palazzo del
Sonno... Oh, non che sia realmente lì, su quel
pilastro. Suppongo che la crepa esisterebbe anche se non ci fosse
alcun pilastro. La crepa è il confine tra le epoche e i mondi, un
confine che si indebolisce sempre di più».
Voltò
il capo e guardò prima Sally e poi Castiel.
«E
voi, non vi state accorgendo di nulla».
Il suo sguardo e le sue parole erano sporcate di un amaro
divertimento. « Gli
esseri umani sono ottusi e limitati. Gli angeli, altrettanto ottusi,
sono troppo occupati a farsi la guerra con i demoni. Tutti i vostri
sguardi sono puntati sulle vicende di questo piccolo pianeta e
restate cechi davanti al resto dell'Universo» Tornò a guardare
fuori dalla finestra. «Ma io sono antica abbastanza da avvertire le
ferite dell'Universo. L'Universo langue, ha bisogno di cure».
Sollevò il mento e guardò verso il cielo nuvoloso. Sally avrebbe
giurato che stesse sorridendo. «Credo che l'Universo abbia bisogno
di un dottore... » Infine la donna voltò la schiena alla
finestra. «Castiel» chiamò «se io muoio, nessun altro saprà
dirti dove si trova il tuo prezioso amuleto, quindi non ostacolarmi
più. E per quanto riguarda la tua cara scimmietta, lei morirà molto
preso, che tu lo voglia oppure no».
«Hai
bisogno anche della sua anima?»
«Anima?
Chi ha detto che sono interessata alla sua anima? Mi è sufficiente
che smetta di vivere».
La
donna allargò le braccia e il vetro della finestra dietro di lei
vibrò come scosso dal rombo di un tuono. Vibrò e scricchiolò,
mentre si ricopriva di una ragnatela di sottili venature.
Sally
comprese al volo quel che stava per accadere. Si accucciò sui
talloni, nascondendosi dietro al divano appena in tempo. Udì il
rumore del vetro che andava in frantumi e la stanza fu invasa da
un'esplosione di schegge. I piccoli e appuntiti frammenti di vetro
schizzarono ovunque, si conficcarono sulle superfici morbide e
rimbalzarono pericolosamente su quelle rigide, in un impazzito
tintinnio. Si conficcarono nei cuscini del divano, si piantarono
nella carta da parati, graffiarono il legno e la plastica dei mobili.
Ma
durò poco. Pochi secondi e tutto tornò tranquillo.
Sally
abbassò le braccia da sopra la testa. Illesa ma scossa, si azzardò
a rimettersi cautamente in piedi. Il pavimento era coperto di
frammenti di vetro. La stanza si stava riempiendo di aria fredda e
umida: il vetro della finestra era stato completamente sbriciolato.
Le tende bianche svolazzavano leggere. Della donna bruna non c'era
più traccia. Castiel invece era ancora lì: stava in piedi davanti
alla finestra rotta. Guardava fuori. In lui la sola vittima della
pioggia di vetro sembrava essere la manica dell'impermeabile, quella
del braccio con il quale doveva essersi riparato il viso. Non aveva
un graffio, né sul volto né sulle mani.
Da
lontano arrivò il suono smorzato di una sirena. Tic tac, tic tac,
continuava imperterrito l'orologio della cucina.
Sally,
confusa, dolorante e ancora vittima dei postumi dello spavento, puntò
lo sguardo su Castiel, che seguitava a darle le spalle.
«Ehm...
ok...» mormorò Sally. «Io... io sto bene. Non preoccuparti per
me». E si strinse una mano attorno al braccio destro: le faceva
male, ci era caduta sopra.
L'udito
di Castiel era di gran lunga migliore della sua sensibilità.
«Non
mi sto preoccupando per te» precisò. Non lo aveva detto con
cattiveria. Aveva parlato come se Sally avesse fatto un'affermazione
sbagliata e fosse necessario correggerla, ignaro di quanto
sconfortante potesse essere per Sally sentirsi dare una simile
risposta.
«Sì,
l'ho visto...» sussurrò Sally con debole filo di voce, continuando
a stringere il braccio. Ora si sentiva dolorante, spaventata e
triste; una tristezza amara che pungeva sul fondo del suo cuore di
essere umano.
Sally
lo stava ancora guardando quando Castiel si degnò di voltarsi verso
di lei. Osservò la ragazza con un cipiglio confuso. Negli occhi
chiari c'era qualcosa di simile all'esitazione, ma per Sally era
impossibile capire cosa passasse nelle mente di lui.
Poco
prima, la misteriosa donna, con quel suo modo di fare beffardo, aveva
lasciato intuire la sua convinzione che Castiel avesse a cuore Sally.
La verità era che la donna si sbagliava. Castiel non aveva nessuna
particolare predilezioni per la ragazza. Lei non gli era cara. Lei
non era sua amica. Sally Sparrow era un essere umano e gli esseri
umani erano la
preziosa opera del Padre di Castiel. Sally era dunque preziosa, ma
non più preziosa di chiunque altro.
Davvero
poco conosceva Castiel delle complesse e sfaccettate emozioni che
allietano e tormentano il genere umano. Egli era una creatura che
aveva vissuto per secoli nel silenzio dei sentimenti, senza conoscere
altro che la muta obbedienza e la cieca fedeltà. Così tante volte
gli era stato difficile sopportare il peso del dubbio e
dell'incertezza, della paura e della sofferenza. Era un essere
millenario, ma per capire i sentimenti aveva bisogno di osservare gli
uomini dalla breve vita. E, a modo suo, si sforzava di comportarsi
seguendo l'esempio dei soli esseri umani ai quali era stato tanto
vicino da poter imparare qualcosa sull'umanità tutta.
Così,
in quel momento, Castiel comprese la paura di Sally. Vide che
era paura quella che tratteneva la ragazza dietro al divano, timorosa
di farsi più vicina. Riconobbe la paura nell'ansare silenzioso che
animava quel caduco corpo di donna. La riconobbe nel piccolo petto
che si alzava e si sollevava, nel tentativo di calmare un respiro
ancora affannato dallo spavento. La riconobbe nel modo apprensivo e
insicuro con il quale Sally teneva il capo basso, seppure i grandi
occhi castani restassero coraggiosamente puntati su di lui.
«Se
ne è andata» disse Castiel. E così come la piccola tremolante luce
di un fiammifero tenta di rendere meno minaccioso il buio, allo
stesso modo la calma con cui lui aveva pronunciato quelle poche
parole avrebbe voluto lenire lo spavento dell'essere umano.
Sally
poggiò le mani sul divano e fece scivolare le unghie sulla stoffa
ruvida. Proprio come era successo nel parco, quando una situazione
reale cominciava a perdersi nei meandri di un'assurdità quasi
onirica, il contatto fisico con gli oggetti aiutava Sally a scacciare
l'ipotesi di essere davvero in un sogno. Respirava ora con più
leggerezza.
Castiel
sollevò lo sguardo. Guardò Sally. Lei capì che stava per dirle
qualcosa e non chiedeva altro. Ora che la paura si era affievolita,
era impaziente di sapere. Di capire. Ed era un'impazienza quasi
dolorosa.
Castiel
parlò.
«Hai
incontrato un cane?»
Sally
restò di stucco. Dapprima fissò Castiel a bocca aperta. Poi sbatté
le palpebre e chiuse la bocca. Infine, la riaprì.
«Ho
incontrato un... cosa?»
CONTINUA.
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