~ Heaven Sent ~

di FleurDeLys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Parte quarta ***
Capitolo 5: *** Parte quinta ***
Capitolo 6: *** Parte sesta ***
Capitolo 7: *** Parte settima ***
Capitolo 8: *** Parte ottava ***
Capitolo 9: *** Parte nona ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


C1

Categoria: Crossover [Doctor whoSupernatural]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale
Personaggi: Sally Sparrow, Castiel
Rating: Giallo
Cronologia: post III stagione Doctor Who – Metà V stagione Supernatural

Declaimer: questa storia è stata scritta senza scopo di lucro. I personaggi di castiel e sally Sparrow sono proprietà rispettivamente di Eric kripke (autore e ideatore di supernatural)e di Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.


I



"F
are un respiro nel 2007 e quello successivo nel 1920 è uno strano modo di cominciare una nuova vita.
Ma una nuova vita è quello che ho sempre desiderato."

Con il ricordo di queste parole nel cuore, Sally Sparrow depose il mazzo di fiori ai piedi della lapide. Un anno e mezzo era passato dal giorno in cui Sally aveva perso la sua amica Kathy.
La ragazza andava spesso a visitarne la tomba, lì nel piccolo e vecchio cimitero al centro di Londra.
Quel giorno, si era alla fine marzo, l'aria era fredda e il cielo grigrio. Sally, stretta in una lunga giacca di jeans, con le mani affondate nelle tasche, restò ad osservare in silenzio le parole incise sulla pietra. Accanto a lei, Larry Nightingale, fratello di Kathy, con la sua zazzera di capelli biondi, la barbetta incolta e la larga felpa grigia, faceva altrettanto. Alle spalle dei ragazzi, lontano come un dettaglio sfocato sullo sfondo di un dipinto, un anonimo gruppetto di uomini e di donne abbigliati di nero assistevano alla sepoltura di un qualche loro caro scomparso.
Sally sorrise malinconica davanti alla lapide della sua amica.

Katherine Costello Wainright
Amata moglie e madre
1902 – 1987

Le parole incise sulla pietra mentivano, Sally e Larry lo sapevano bene.
Kathy era morta nel 1987, già, ma non era affatto nata nel 1902. Che strana vita quella Katherine! Nata alla fine del ventesimo secolo, un bel giorno dell'anno 2007, nel tempo di un battito di ciglia, era stata spedita indietro di decenni, fino all'Inghilterra del 1920. E in quell'epoca aveva vissuto appieno la sua vita. Si era sposata, aveva avuto dei figli e dei nipoti; una piccola consolazione per chi, come Larry e Sally, era rimasto nel 2007.

Il giorno in cui Sally Sparrow si era separata da Kathy era stato anche il giorno in cui aveva scoperto che il mondo è meno ordinario di quanto avvesse immaginato fino a quel momento.
Aveva scoperto che gli esseri umani non sono i soli abitanti della Terra, tantomeno i soli abitanti dell'intero universo.
Aveva scoperto, infine, che esistono persone che vivono vite straordinariamente fuori dal comune; esistenze piene di stranezze e di pericoli, di misteri e di avventure.
E non di rado, in cuor suo, Sally Sparrow sospirava con rammarico davanti alla consapevolezza che la sua non era una di quelle esistenze.
Il massimo che la ragazza poteva fare era tornare con la memoria agli eventi di più di un anno e mezzo prima, quando aveva incontrato un uomo chiamato il Dottore: uno di quegli incontri che non si dimenticano. Mai. Il misterioso viaggiatore del tempo aveva scombussolato da cima a fondo la vita di Sally, ma alla fine – come ogni cosa a questo mondo – anche quell'avventura era giunta al suo termine. L'ultima domanda aveva trovato la sua risposta, il Dottore se ne era andato e tutto era tornato alla normalità.
Alla rassicurante normalità, diceva Larry soddisfatto.
Alla noiosa normalità, pensava in gran segreto Sally.

Era davvero strano come in lei, con il passare dei mesi, si andava via via affievolendo il ricordo della paura nei momenti in cui aveva rischiato la vita, mentre quello dell'entusiasmo dell'avventura e del mistero da risolvere restava sempre vivo nella mente e nello spirito della ragazza. Probabilmente, l' enstusiasmo era più acuto nel ricordo di quanto non lo fosse mai stato nella realtà.
E così, giorno dopo giorno, più la sua vita si rivelava tranquilla e più Sally desiderava semplicemente che qualcosa accadesse.

In fondo, a ben pensarci, non avrebbe potuto essere diversamente.
Non era forse proprio Sally Sparrow – una minuta ragazza inglese, dal viso piccolo e i tratti delicati, quasi da bambina, con i sottili capelli colore miele e gli onesti occhi castani – non era forse lei quella che non si faceva problemi ad ignorare la scritta KEEP OUT per scavalcare vecchi e cigolanti cancelli? Non era lei quella che non aveva paura di intrufolarsi in piena notte in una spettrale casa disabitata? Non era lei quella che forzava le assi di una porta sbarrata pur di entrare nella suddetta casa?
E tutto solo per poter scattare qualche foto alle cose vecchie.
Perché a Sally le cose vecchie piacevano. La facevano sentire triste.
E anche la tristezza, per le persone capaci di sentimenti profondi, ha il suo fascino.

Non c'era dunque da stupirsi se Sally Sparrow, poeticamente incantata dai sentimenti, curiosa ma non ingenua, con un animo saldo ma insofferente all'immobilità delle emozioni, non riuscisse ad accontentarsi di una vita ordinaria.

Larry sospirò tristemente e Sally distolse lo sguardo dalla lapide della tomba di Kathy.
« Andiamo via? » sussurrò il ragazzo.
Sally annuì col capo. Fece scivolare la mano destra fuori dalla tasca e strinse quella Larry.
La visita al cimitero era solo una breve tappa, avevano intenzione di passare il pomeriggio fuori Londra, in campagna.
Insieme si avviarono verso l'uscita del cimitero. Passarono accanto al funerale, vicini abbastanza da distiguere con chiarezza le parole del revedendo.
« ...Micheal Flidder era un uomo buono, un lavoratore istancabile, un marito fedele... »
Sally si fermò all'improvviso e costrinse Larry a fare altrettanto.
« Cosa c'è? »
« Micheal Fiddler... » ripeté la ragazza a bassa voce, con un tono vagamente sorpreso. «Questo è il funerale di Micheal Fiddler... »
Larry la guardò senza capire.
« Lo conoscevi? »
« No, ma hanno parlato della sua morte al telegionale, tre o quattro giorni fa » disse Sally, spicciola, sempre parlando a bassa voce.
Larry sollevò le sopracciglia.
« Hai buona memoria per i nomi tu, eh? »
« Era un uomo d'affari piuttosto ricco, strano venga seppellito in un cimitero così piccolo » osservò Sally.
« Com'è morto? »
« Suicidio » rispose la ragazza. « Almeno così hanno detto al telegiornale. Lo hanno ritrovato morto e... galleggiante... nel Tamigi »
Larry allargò le narici in una smorfia di disgusto.

***

In capo a tre ore, Sally Sparrow e Larry Nightingale se ne stavano sdraiti su un prato di campagna, seduti su di un telo arancione, mentre sopra le loro teste, in cielo si andava pian piano annuvolando. Erano a più di sessanta miglia fuori da Londra e la strada trafficata più vicina non lo era abbastanza da rovinare la quiete del posto. Fin dove poteva arrivare l'occhio dei ragazzi si scorgeva solo il verde dell'erba, attraversato da una stradina bianca e interrotto dai toni più scuri del fronde degli alberi; alcuni crescevano isolati, altri a gruppetti. Volgendo lo sguardo a sud si incontrava il pendio di una collinetta. E lassù, sulla cima, riposavano malinconiche le rovine di una piccola chiesa in pietra grigia. Anche da lontano, si riusciva a vedere bene la croce sulla sommità della severa facciata dell'edificio.
Tutto era quieto e silenzioso, anche i due ragazzi.
Larry si era appisolato. Russava piano, con le braccia incrociate dietro alla testa e le caviglie accavallate. Dopo mangiato si appisolava sempre, non c'era nulla da fare.
Sally Sparrow, dopo aver messo via nel cesto quel che restava del pranzo a base di tramezzini, armeggiava adesso con la sua fidata macchina fotografica. Si era appena decisa a fare una passeggiata solitaria fino alla chiesa. Sempre meglio che starsene lì ad ascoltare i grugniti di Larry, pensava tra sé e sé. Prima di alzarsi da terra, la ragazza gettò indietro la testa e guardò in su, verso il cielo. Aggrottò leggermente la fronte. L'aria si era fatta più umida, odorava di pioggia.

Risalire il fianco della collina non fu affatto faticoso: c'era un sentiero che si snodava dolcemente fino alla cima. Sally passeggiò con calma. Si attardò a immortalare l'impresa di una coccinella rossa che s' arrampicava su per un filo d'erba e, pochi metri più su, scattò una foto a un bianco e solitario fiorellino di prato. Sulla sommità del colle un vento leggero piegeva l'erba tenera e rigogliosa che spuntava dal terreno umido. Le rovine della chiesa se ne stavano lì, immobili e orgogliose nella loro solitudine. Erano tutto ciò che restava di una costruzione vecchia di più di cinque secoli. Il tetto non c'era più, ma restavano in piedi la facciata a capanna, le pareti laterali e buona parte dell'abside. Sally camminò sotto l'arco a sesto acuto che si apriva sulla facciata – secoli addietro, lì doveva esserci un portale di legno. Si riuscivano ancora a scorgere i segni dei cardini. Del pavimento interno invece non c'era più traccia.
La ragazza toccò la pietra delle pareti, fredda e ruvida. Osservò l'erba e le piante che vi crescevano, sopra e tra le fessure. Riconobbe i cespugli di ortica e di melissa e si accovacciò sulle ginocchia per fotografare le gemme lucide che spuntavano tra le foglie. Che splendido affresco di antico e di nuovo in quel luogo isolato da tutto! La pietra immobile era il ricordo di un mondo passato, la natura vibrante di colore era la promessa di vita futura. Sally continuò a scattare foto, andando in cerca degli scorci più suggestivi e dei più pittoreschi contrasti di luce e di ombra; continuò fino a quando, con suo sommo dispiacere, il cupo brontolio di un tuono non l'avvertì che la pioggia era vicina.
Allora Sally oltrepassò per l'ultima volta l'arco della facciata, uscendo dal perimetro delle rovine. Si fermò pochi passi più in là e guardo verso l'alto, verso la sagoma scura della croce, stagliata contro il grigio plumbeo del cielo. Vista dal basso aveva un'aria così solennemente minacciosa che Sally non poté fare a meno di voler scattare un'ultima foto.
Sollevò le braccia, puntò l'obbiettivo della macchina fotografica verso la croce, ma... fu allora che accade qualcosa di strano.
Prima le sembrò di udire, tra i sibili del vento, un suono simile a un battito d'ali e subito dopo notò qualcosa con la coda dell'occhio, qualcosa che stava poco dietro di lei.
Sally batté un paio di volte le palpebre, abbassò le braccia e si voltò.
Il sussulto di sopresa fu così brusco che per poco non le sfuggì di mano la macchina fotografica.

C'era un uomo lì con lei, il che era strano.
E non lo era tanto l'uomo in sé, quanto il fatto che sembrava essere comparso dal nulla.
Sally era sicurissima di non aver sentito nessun rumore di passi. L'uomo doveva essersi avvicinato molto, davvero molto, silenziosamente.
Sarà un fantasma?
Sally dentro di sè sorrise per aver formulato, anche se solo per un attimo, quel ridicolo quesito.
Ovvio che l'uomo non era un fantasma. Era lì, a meno di un metro da lei, in piedi, reale, vivo e per nulla trasparente.
Era abbastanza alto, e robusto anche. Aveva indosso un lungo trench chiaro e a Sally non sfuggì la poca cura con la quale indossava la cravatta: il nodo attorno al colletto della camicia era troppo largo. A giudicare dai tratti maturi del viso, lo sconosciuto doveva avere almeno dieci anni più di Sally. Non era propriamente bello, ma aveva gli zigomi alti, le labbra piene, il naso diritto e nel complesso c'era qualcosa di piacevole nel suo aspetto. I capelli erano corti e scuri, gli occhi di un blu elettrico. Ma quale espressione si leggeva in quegli occhi! Erano occhi gentili eppure severi, allo stesso tempo calmi e frementi di vita. Fu per quello che lesse negli occhi dello sconosciuto che Sally non pensò, neppure per istante, che fosse lì per farle del male.
Strana, strana sensazione. Sally stessa se ne stupì nel provarla.
Confusa, ma per nulla spaventata, la ragazza abbozzò un sorriso e il sorriso le disegnò un accenno di fossette ai lati della bocca.
« Salve » se ne uscì con semplicità « Non l'ho sentita arrivare. Mi ha quasi spaventata. Fa... una passeggiata anche lei?»
Invece di rispondere, lo sconosciuto guardò la parte superiore della facciata della chiesa, alle spalle di Sally.
Lei lo fissò, sorpresa di non ricevere alcuna risposta.
« Beh, io mi chiamo Sally... se la cosa le interessa »
Non sorrideva più e nella voce c'era qualcosa del tono piccato di chi si sente ingiustamente ignorata.
L'uomo abbassò lo sguardo su di lei.
« Castiel » disse, senza nessuna particolare intonazione.
Sally lo guardò senza capire.
« Chiedo scusa? »
Allora lo sconosciuto parlò di nuovo; aveva una voce molto profonda.
« Il mio nome è Castiel » ripeté con calma.
Sally tornò a sorridere.
« Molto piacere... »
Nel pronunciare la breve frase, tese una mano verso Castiel facendo un passo in avanti.
Un istante dopo aver fatto quel passo – quel solo, unico, singolo passo - Sally udì un sibilo alle proprie spalle, seguito subito dopo da un tonfo.
La ragazza si voltò di scatto. Vide la croce della chiesa a terra, uno dei due bracci si era spezzato nella caduta.
Sally fissò la croce sgrandando gli occhi.
« Miseriaccia! » esclamò in un sussurro. « Questa si che si chiama fortuna! »
Volse lo sguardo verso Castiel, ma quando lo fece, si ritrovò a parlare da sola.

***

Una voce femminile dal tono aspro mise fine al riposo di Larry.
« Sveglia, bello addormentato! »
Larry aprì gli occhi con un espressione inebetita. In quel momento un ennesimo tuono echeggiò per tutta la spianata.
« Che ore sono? » domandò il ragazzo mettendosi a sedere.
« Quasi le cinque » rispose Sally, occupata a infilare la macchina fotografica dentro la custodia. «E sta per piovere»
Quella rivelazione fu ben lontana dal mettere fretta a Larry, che si tirò in piedi con calma. Alzò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi. Poi sbadigliò, due volte, e senza preoccuparsi di nascondere la bocca dietro una mano. « Cosa hai fatto mentre dormivo? » chiese tra uno sbadiglio e l'altro.
« Sono andata a scattare qualche foto alla chiesa »
Larry si voltò distrattamente a guardare i ruderi dell'edificio.
« Trovato qualcosa di interessante? »
Sally, che stava ora ripiegando il telo, esitò per un breve istante sulla risposta da dare.
« No » disse infine con noncuranza. « Niente di interessante »

CONTINUA.

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


C2

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.

Ringraziamenti: Mille grazie a chiunque abbia letto il primo capitolo di questa storia! :D E mille grazie in più a Dk86 e Sarhita per aver lasciato le recensioni. Ogni singola parola di ogni singola frase è un apprezzatissimo regalo! *-* Senza contare il piacere di leggere di qualcuno – in Italia – che conosce e apprezza una serie come il Doctor Who. In tutta sincerità, avendo scelto una crossover con un telefilm così poco conosciuto e di costruirla attorno a due personaggi “secondari”, nemmeno mi aspettavo di ricevere commenti. Grazie. Grazie. Grazie! (@Dk86: grazie anche per la segnalazione della svista nel nome della Hepburn. Ho corretto XD)

Ora vi lascio ai prossimi due capitolo, che continuano a seguire Sally e che cominciano ad affacciarsi sul mondo di Supernatural. Ho riscritto entrambi i capitoli più di una volta, ma ammetto di non essere ancora soddisfatta del risultato. .___.

A voi la sentenza finale! XD 


II

Sally controllò l'orologio al polso. Erano le sei e quarantacinque del pomeriggio – un umido e piovoso giovedì pomeriggio – il che stava a significare che mancavano ancora quindici minuti alla chiusura della mostra. La ragazza continuò a camminare, in tutta calma, con la giacca piegata sopra le braccia incrociate. Il legno lucido del parquet scricchiolava sotto ogni suo passo. Sally stava visitando un'esposizione di abiti storici, allestita in un palazzetto del quartiere di Bloomsbury: un modesto edificio di mattoni rossi, in stile georgiano, perfetto esempio – nel suo piccolo – dell'eleganza sobria e semplice amata dai londinesi della fine del Settecento. L'esposizione occupava due sale al primo piano e contava una quarantina di pezzi in tutto, indossati da altrettanti manichini. Non erano abiti originali, il dépliant e il cartellone all'ingresso lo affermavano esplicitamente. Ma non per questo, si era detta Sally, la mostra era da considerarsi meno interessante. I pezzi esposti arrivavano dai laboratori di una sartoria teatrale, e alcuni abiti erano stati indossati da famosi attori.
I visitatori erano pochi e nessuno parlava a voce alta. Si udiva solo qualche bisbiglio qua e là.
Dalla strada saliva il rumore delle auto, mentre la pioggia picchiettava con insistenza contro i vetri delle finestre.

Stoffe colorate, pizzi, piume, passamanerie, nastri, perline e merletti; ogni manichino mostrava un abito di foggia diversa, ogni abito evocava il ricordo di un' epoca passata. Sally passava dall'ammirare l'elegante abito della regina Isabella di Castiglia a quello del povero pellegrino medioevale, con bastone e borraccia; dalla taffettà color crema della ricca signora della Belle Époque alla grezza mantella, bruciata e stropicciata, delle streghe di Macbeth. C'era perfino l'abito di un monaco dei tempi delle crociate – una lunga tunica di lana bianca, coperta da una toga nera; e l'armatura di un fante inglese del XII secolo, con tanto di cotta di maglia e scudo al braccio.
Mentre passeggiava da un manichino e l'altro, Sally ripensò a come Larry avesse declinato l'idea di accompagnarla alla mostra. « C'è la finale del torneo di freccette » aveva detto. Non poteva dare buca alla sua combriccola di amici del pub. A quel punto, Sally si era sentita autorizzata a reputarsi vagamente offesa e non ci aveva pensato su due volte prima di andare da sola all'esposizione.

La ragazza si soffermò a osservare un abito femminile: una tunica lunga, bianca, con lo strascico, le maniche strette e la vita aderente. Era ricoperta da un tulle trasparente e delle piccole perline decoravano il petto e le maniche. I capelli rossi del manichino senza volto (nessuno dei manichini aveva un volto) erano stati acconciati in due lunghe trecce.
Costume per Ofelia, spiegava il cartellino. Lavorazione in seta, organza, perline, trine e tulle. Ispirato all'Ofelia di John Everett Millais.*
Il pannello accanto al manichino mostrava una copia del quadro di Millais: Ofelia, abbigliata di bianco, si abbandonava alla morte nelle acque di un fiume, circondata da una splendida cornice di piante e di fiori; tra tutti spiccavano le margherite dai petali candidi – simbolico richiamo alla purezza dell'eroina shakespeariana.
Sally si avvicinò al pannello per osservare meglio il viso di Ofelia.
C'era qualcosa di davvero spettrale in quella donna dal viso pallidissimo con i lunghi capelli rossi che galleggiavano leggeri sul pelo dell'acqua. Non meno inquietante era quel suo gesto di tenere le braccia aperte, come a voler accogliere volutamente la morte.

« Si spezzò l'invidioso ramo ed ella cadde con tutti i suoi serti di fiori nel ruscello che piange »
Sally si voltò.
Un uomo si era fermato di fianco a lei e ora, con le mani dietro alla schiena, studiava l'immagine del quadro con un apparente profondo interesse. Lo sconosciuto poteva avere tra i sessanta e settanta anni – era difficile dirlo con esattezza. Aveva i capelli tutti bianchi, il naso schiacciato, gli occhi di azzurro sbiadito. Era vestito elegantemente di nero, in giacca e cravatta.
« Aprendosi le gonne la sostennero sull'acqua: ed ella, come una sirena, cantava spunti d'arie antiche, inconsapevole della sua morte, o come creatura immersa nel suo naturale elemento. Ma non fu lungo indugio, ché le sue vesti fatte pesanti dall'acqua assorbita, trassero la poverina dal suo canto melodioso al fango della morte »
Sally guardò l'uomo con le labbra curvate in un accenno di sorriso.
« Sono i versi dell'Amleto di Shakespeare, suppongo »
L' uomo si voltò verso di lei e le sorrise di rimando.
« I versi pronunciati dalla regina Gertrude » specificò, un attimo prima di tornare a guardare l'immagine. « Morire cantando. Una morte molto poetica quella di Ofelia, non trova? »
L'anziano signore sembrava un uomo di cultura. Parlava bene e senza alcun accento, ma c'era qualcosa di troppo mellifluo nella sua voce, qualcosa di irritante, come lo può essere il miele dolce quando resta attaccato alle dita.
Sally si soffermò a ragionare sull'ultima affermazione dell'uomo.
« Non ho mai pensato che una morte potesse essere poetica » ammise a voce alta, poi in tono più leggero aggiunse: « E non ho nemmeno mai capito perché Ofelia, invece di starsene lì a cantare, non afferri un ramo per tirarsi fuori dall'acqua »
L'anziano signore rise.
« Lei dimentica, signorina, che Ofelia era pazza »
Questa volta fu Sally a ridere.
« Osservazione molto... poetica » sottolineò con ironia.
« Ma il dipinto rimane comunque bellissimo, a parer mio » disse l'uomo.
Sally esitò un istante prima di azzardarsi a dire la sua.
« Io lo trovo un po'... spettrale »
« E lo è, senza dubbio, ciò non toglie che Elizabeth Siddal fosse una donna piena di fascino »
« Chi è Elizabeth Siddal? »
L'uomo indicò il quadro con gesto del capo.
« Questa Ofelia è Elizabeth Siddal, la modella che posò per Millais. E fu anche la moglie di un altro pittore, amico di Millais, Dante Gabriel Rossetti. Ah, che gran peccato, che la Siddal abbia deciso di avvelenarsi con il laudano »
« Si è suicidata? »
« Già »
« Perché? »
« Si ammalò di depressione dopo aver dato alla luce un bambino morto »
« Oh, poverina... »
« E io non posso fare a meno di chiedermi se, nei suoi ultimi istanti di vita, la Siddal avesse questa stessa espressione dipinta sul volto. Ci pensi signorina, quando noi guardiamo il quadro, non stiamo guardando soltanto Ofelia che muore. Noi vediamo morire Elizabeth. »
Tutto ciò era senza dubbio molto toccante e profondo, ma anche un poco inquietante.
« Ecco, adesso trovo che il quadro sia spettrale » scherzò Sally. Si guardò rapidamente attorno: i soli visitatori rimasti nella sala erano lei e l'anziano signore.
Quest'ultimo alle parole di Sally parve risvegliarsi dalla contemplazione del quadro.
« Arden Huddlestone » si presentò, tendendo la mano a Sally. « L'organizzatore della mostra »
« Oh, è un vero piacere conoscerla! » esclamò Sally, sincera, ricambiando la stretta di mano. « È un' esposizione davvero interessate. Io... adoro questo genere di cose. Mi chiamo Sally... Sparrow»
« E lo vuole un consiglio, signorina Sparrow? »
Una voce di donna lì raggiunse.

Una corpulenta signora, decisamente in là con gli anni, camminava spedita verso di loro. I suoi passi pesanti echeggiavano per la sala. Sally la riconobbe come la donna che le aveva venduto i biglietti all'ingresso. Ora la signora aveva indosso un soprabito in tweed e teneva una borsetta nera stretta sotto il robusto braccio.
« Non gli dia spago a questo qua! » disse la signora non appena lì ebbe raggiunti, con un cipiglio austero e severo. Parlava in tono assolutamente serio. « Il signor Huddlestone è un donnaiolo di quarta categoria. Vergognati! » Si rivolse al signor Huddlestone, quasi con rabbia. « Potrebbe essere tua figlia »
« Mia cara, carissima Eleanor» ribatté flemmatico il signor Huddlestone « sono le sette, non dovresti essere in procinto di andare a casa? »
« Lo sono, infatti. Non c'è più nessun visitatore, a parte la signorina »
« Oh, chiedo scusa! » disse Sally, correndo a controllare l'orologio. « Non avevo idea che fosse già così tardi. Me ne vado subito... »
Ma non fece in tempo a muoversi di un passo che il signor Huddlestone la fermò, posandole delicatamente una mano sul braccio.
« Ma per carità, signorina, nessuno la sta cacciando via. Per le belle ragazze l'esposizione resta sempre aperta »
La signora Eleanor guardò irritata l'organizzatore della mostra.
« Bah, io vado a casa » annunciò e rivolgendosi esplicitamente al signor Huddlestone disse « Ti consiglio di accompagnare la signorina alla porta. Buona serata. »

« Mai organizzare un lavoro con la propria ex-moglie » disse il signor Huddlestone a Sally, non appena la signora Eleanor si fu allontanata. « Una donna dal carattere orribile! » dichiarò scandendo per bene le sillabe dell'ultima parola. « E col tempo è peggiorata. Deve essere per questo che non si è mai risposata dopo il divorzio » Un attimo dopo si curò di aggiungere « Nemmeno io l'ho fatto, ma la mia è stata una libera scelta. Ah, parola mia, signorina Sparrow, non mi azzarderei mai a fare il cascamorto con lei, alla mia età poi! Anche perché immagino che dovrei mettermi in fila. Con quel visetto carino che si ritrova deve avere uno stuolo di pretendenti che le vengono dietro. Ma potrei farlo lo stesso, lo sa? » disse dopo una brevissima pausa, così breve che Sally non fece in tempo ad approfittarne per congedarsi. « Mettermi in fila, intendo. Mi basterebbe sapere che non disdegna i ragazzotti maturi »
Il signor Huddlestone le ammiccò compiaciuto e sorrise scoprendo una fila di perfetti denti bianchi.
Dentiera, pensò Sally. Adesso guardava al signor Huddlestone con un misto di imbarazzo, di fastidio e di divertita incredulità.
Un unico, breve, semplice verso sarebbe bastato per descrivere in modo completo i sentimenti di Sally davanti ai tentavi di abbordaggio di un ultrasessantenne. E quel verso era un nauseato: Bleah!
« Detto tra noi, signorina Sparrow... » riprese il signor Huddlestone posandole una mano sulla schiena, per farla avvicinare di più al pannello. « Io nel suo viso ci trovo qualche somiglianza con quello della modella di Millais. Ah, se lei fosse nata nell'Ottocento avrebbe fatto strage di cuori tra i pittori del periodo. E tra i poeti e... »
«...e la ringrazio tanto, signor Huddlestone » lo interruppe Sally, scivolando di lato. Parlò diretta e asciutta e con ben poca gratitudine nella voce. « ...ma si è fatto veramente tardi. Buonasera »
Non aggiunse altro e, senza perdesi in troppe cerimonie, girò tacchi mollando il signor Huddlestone alla compagnia del manichino di Ofelia.
Sally attraversò entrambe le sale, raggiunse la piccola anticamera d'ingresso e oltrepassò la sempre aperta porta a vetri.
Una volta in corridoio non prese subito le scale per il pian terreno ma andò a destra, seguendo l'indicazione del cartellino con su scritto toilette.

Poco prima di lasciare la toilette, mentre si lavava le mani, Sally controllò rapidamente il proprio riflesso nello specchio sopra alla fila di lavandini.
Era uno stile estremamente semplice quello di Sally Sparrow.
Niente trucco, eccezion fatta per il rimmel sulle ciglia. I capelli biondi erano sciolti. Sciolti e crespi. Crespi lo erano sempre. A Londra, nel mese di marzo, tra la pioggia e la nebbia, quella contro i capelli crespi era una battaglia che non valeva neppure la pena cominciare a combattere.
Quel giorno Sally indossava un maglioncino blu, jeans neri dal taglio comodo e stivaletti bassi. Al collo portava una sciarpa leggera tutta colorata e la lunga giacca di jeans che si stava infilando era la stessa giaccia della visita alla chiesa sulla collina.
Una settimana esatta era passata dal giorno del picnic in campagna e, bisogna ammetterlo, in quei sette giorni Sally aveva ripensato più di una volta all'uomo incontrato sulla collina.
Era certa di non aver avuto un'allucinazione, ma da dove fosse sbucato fuori l'uomo e come avesse fatto poi ad andarsene così in fretta – da sembrare quasi sparito nel nulla, Sally non riusciva a spiegarselo. La ragazza aveva anche provato a cercarlo, prima di scendere dalla collina. Aveva fatto due volte il giro della chiesetta, ma Castiel era come sparito, volatilizzato, un attimo prima era lì e un attimo dopo non c'era più. Per non parlare poi della croce precipitata giù dalla cima della chiesa. La distrazione causata dall'arrivo di Castiel aveva assunto un'aria curiosamente provvidenziale. Aveva, in certo qual senso, evitato che Sally venisse colpita dalla croce – e va da sé che essere colpiti in pieno da una pesante croce di pietra non può essere definita un'esperienza piacevole.
A quest'ora avrei potuto anche essere morta. O in coma. O viva e cosciente, ma paralizzata su un letto di ospedale.
Ecco i pensieri di Sally Sparrow mentre sfilava i capelli da sotto il colletto della giacca.

Fu in quello stesso istante che la luce nella toilette si spense. Poi si riaccese e infine si spense di nuovo.
Le lampade al neon si spensero definitivamente, tutte e tre, lasciando la toilette al buio. O quasi.
Adesso la luce esterna filtrava da unica finestrella, lunga e stretta, che si apriva proprio sotto il soffitto.
Nella penombra, Sally alzò lo sguardo verso le lampade.
Facendo scivolare le mani in tasca, con il naso all'insù, si spostò esattamente sotto la lampade centrale e trasse questa conclusione:
« Devono essersi fulminate »
Spiegazione semplice, perfettamente ragionevole e per nulla preoccupante.
Forse era un po' strano che si fossero fulminate tutte e tre assieme, ma per quel che ne sapeva Sally di impianti elettrici – e ne sapeva davvero poco – poteva essere una mera e sfortunata coincidenza.
Sally lasciò perdere le lampade, con una scrollata di spalle.
Andò alla porta, la tirò verso di sé per uscire in corridoio, ma qualcosa la obbligò a bloccarsi lì sulla soglia.


CONTINUA.
_____________

*Il quadro di John Everett Millais: L'Ofelia.

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


C3

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.


III

Buio.
Anche il corridoio era al buio – eccezion fatta per la luce dei lampioni in strada, che arrivava dalla finestra, alta e rettangolare, in fondo all'androne.
Era una luce sufficiente a delineare con discreta precisione la forma e i contorni della cose, ma non a mostrarne i colori.

La penombra trasforma il mondo in un vecchio film in bianco e nero, dove tutto e un po' sfocato e traballante”.
Una volta Sally aveva fatto una riflessione del genere, ma i suoi pensieri in quel momento erano di diversa natura. Meno metaforici e molto più pratici.
Deve essere saltata la corrente in tutto l'edificio.
Appoggiando una mano alla parete, per guidarsi lungo il corridoio, Sally raggiunse le scale. Passò davanti all'entrata dei locali dell'esposizione; la porta a vetri era stata chiusa, il signor Huddlestone doveva essere andato via da un po'. Raggiunta la cima delle scale, Sally socchiuse le palpebre nello sforzo di mettere a fuoco i gradini.
Da quel poco che riusciva vedere della fine delle scalinata anche il pian terreno era nella semioscurità. Non una voce o un rumore di passi arrivava da lì sotto.
Strano, pensò per un attimo Sally. C'era infatti una libreria al pian terreno del palazzetto. Non dovrebbe esserci almeno un po' di agitazione per il salto di corrente?
Ma subito dopo le venne in mente che forse la libreria aveva chiuso i battenti. Erano le sette passate ormai.
Subito dopo Sally fu sfiorata dall'idea di essere stata chiusa dentro, da sola.
Ma no, non poteva essere. C'era un sorvegliante alla portineria del palazzo, che a quel punto doveva essere già andato a controllare cos'è che aveva fatto saltare la corrente.
Sally cominciò a scendere le scale. Avanzava piano, reggendosi con una mano alla balaustra.
Aveva paura. Si, una ragionevole paura di inciampare.

Ma la discesa non era destinata a continuare.
Un urlo improvviso immobilizzò Sally a metà della scalinata.
Fu un urlo roco, soffocato e breve. La voce tacque di colpo e subito dopo si udì un tonfo lontano – come il rumore di qualcosa o qualcuno che cade a terra.
Sally si era voltata a guardare la cima della scale. Quei rumori erano arrivati dal primo piano.
La ragazza pensò al signor Huddlestone, non era del tutto certa che l'uomo avesse lasciato l'edificio.
Magari il signor Huddlestone era ancora al primo piano. Ed era un anziano, al buio. Forse era inciampato. Forse aveva sbattuto la testa. Forse era svenuto.
In ogni caso, se una persona lancia un urlo lo fa perché qualcosa non va. O va male.
Sally ebbe un attimo di esitazione.
Andare a controllare o andare a chiamare la guardia?

La ragazza strinse una mano sulla balaustra e prese a risalire le scale, con tutta la rapidità che le permetteva la poca luce.
Arrivata all'ultimo gradino per poco non cadde in avanti, ma svelta si rimise in equilibrio e il suo primo pensiero fu di andare a controllare all'entrata dell'esposizione.
Raggiunse la porta e guardò oltre i vetri.
I manichini erano immobili nella semioscurità della sala; sagome scure, sparse qua e là, come enormi pezzi degli scacchi disposti su un'altrettanto enorme scacchiera.
Del signor Huddlestone però nessuna traccia.
Sally aguzzò la vista, guardò meglio e fu allora che le vide...
Le gambe, a terra, immobili.
Un paio di gambe – e qualcosa le diceva che appartenevano al signor Huddlestone – spuntavano da dietro uno dei pannelli, quello accanto al monaco medioevale.
« Signor Huddlestone... »
Allarmata, Sally tentò istintivamente di aprire la porta. Quasi si sorprese quando la maniglia si abbassò docilmente sotto le sue dita.
La porta si aprì, silenziosa, senza il minimo cigolio.
Sally entrò nella sala ed ebbe cura di lasciare la porta ben spalancata, prima di precipitarsi verso il signor Huddlestone.
« Signor Huddlestone sta bene? Si sente mal... »
Sally guardò dietro il pannello. Lo spavento per quel che vide le mozzò la voce. E il respiro.
Si, era il signor Huddlestone quello riverso a terra e, decisamente, non stava bene.
Non stava affatto bene.
Sarebbe stato difficile immaginarlo in una situazione peggiore.
Era caduto bocconi sul pavimento, con le braccia allungante lungo il busto.
Le braccia, il busto, le spalle...
E niente testa.
O per meglio dire, la testa c'era. Ma era rotolata a un paio di metri di distanza dal corpo.
Gli occhi scuri, vitrei e sbarrati, erano rivolti al soffitto.
E c'era tanto sangue sul parquet, tutto attorno al corpo. Più sangue di quanto Sally avesse mai visto in vita sua.
La ragazza non urlò. Era troppo spaventata per urlare.
Era troppo spaventata anche solo per respirare.
Poi ci fu uno schianto improvviso.
Sally trasalì.
La porta della sala si era appena richiusa.
La ragazza, pur ancora profondamente scossa – com'è immaginabile – dal raccapricciante ritrovamento, si riprese abbastanza da riuscire a tornare in gran fretta all'ingresso.
Sul lato interno la porta aveva i maniglioni antipanico. Sally li spinse con entrambe le mani.
I maniglioni non si abbassarono neppure di un millimetro.
Sally provò ancora. Provò una, due, tre, quattro, cinque volte, mettendoci tutta la sua forza.
Niente da fare.
La porta non si apriva.
I maniglioni sembravano bloccati.
La porta era bloccata.
Sono chiusa dentro.

Sally bussò violentemente con i palmi contro il vetro.
« C'è qualcuno? C'è qualcuno là fuori? La porta è bloccata! »
Bussava e bussava. Le tremava un poco la voce. Non era tranquilla. Anzi, era decisamente molto lontana dal sentirsi tranquilla.
Non è piacevole né tanto meno rilassante ritrovarsi chiusi in una stanza in compagnia di un cadavere con la testa mozzata.
Sally continuò a chiamare, ma l'androne al di là della porta era buio e deserto.
La ragazza si impose di restare calma. Prese un respiro profondo e appoggiò le dita ai maniglioni della porta.
Non volle voltarsi, così continuò a dare le spalle alla sala, ai manichini e al corpo del signor Huddlestone.
La porta non si apre. A rigor di logica, può non aprirsi solo per due motivi. O la serratura è difettosa ed è rimasta bloccata, quando la porta si è chiusa di colpo – e si sforzò di credere che si fosse chiusa per via della corrente d'aria, anche se non le era parso di avvertire neppure un solo spiffero in tutto l'edificio - oppure è stata appena chiusa a chiave. Chiusa dall'esterno, perché di passi nella sala non ne ho sentiti.
Questo aveva senso: non fare rumore camminando sul parquet della sala era impossibile. Il pavimento del corridoio era invece rivestito di tappezzeria e la stoffa attutitiva il rumore dei passi.
Infine, che chi aveva chiuso la porta fosse la stessa persona che aveva orribilmente ucciso il signor Huddlestone agli occhi di Sally appariva palese e scontato. E molto poco rassicurante.
Tutti questi pensieri attraversarono la mente agitata della ragazza con la rapidità di un fulmine.
Sally fece un altro tentativo di forzare i maniglioni della porta.
E fu un altro tentativo inutile.
Ho il cellulare, ragionò allora. Posso chiamare la polizia.
E stava già per estrarre il cellulare dalla tasca, quando le venne un'altra idea.
Ricordò di aver visto, nell'altra sala, un'uscita di sicurezza.
Se i calcoli di Sally erano giusti, l'uscita di sicurezza dava accesso all'altro lato dell'edificio. Dubitava che l'assassino – o chi per lui – potesse aver già fatto il giro del palazzo e aver chiuso anche quella porta.
Anzi, forse tale idea non era nemmeno stata contemplata dall'assassino.
Senza perdere altro tempo, Sally si staccò dall'ingresso, ma per la seconda volta nel giro di un paio di minuti, accadde qualcosa che la costrinse a fermarsi all'improvviso.
Freddo.
Nella sala era appena calato un freddo incredibilmente pungente.
Sally sentiva l'aria – gelata come quella di un rigido mattino invernale – infilarsi sotto la stoffa leggera della giacca.
Fu scossa dai brividi. Vedeva il proprio fiato caldo trasformarsi in una nuvoletta di vapore.
Come e perché la temperatura era scesa improvvisamente così vicina allo zero?
Sally non ebbe il tempo di ipotizzare un risposta.
Udì un fruscio.
Si sarebbe detto un fruscio di stoffa. Fu un suono debole e indistinto.
Sally si guardò attorno.
Era letteralmente circondata da manichini con indosso abiti confezionati con metri e metri di stoffa.
Strano come nella semioscurità anche degli innocui fantocci di plastica possano prendere dei connotati spettrali e minacciosi.
Sally lo udì di nuovo.
Lo stesso rumore. Lo stesso fruscio, ma questa volta era accompagnato da un eco di passi leggeri.
Come il precedente, anche questo suono si spense rapidamente. Troppo rapidamente per capire da che parte della sala provenisse.
Sally non aveva visto nulla e nessuno muoversi.
I manichini erano immobili e... la ragazza non era più tanto sicura che l'assassino del signor Huddlestone non si trovasse più nella sala.
Adesso era calato il silenzio.
Un silenzio ben lontano dall'essere rassicurante.
Aveva anche smesso di piovere. Non si sentiva più la pioggia battere contro i vetri delle finestre.
Ma d'altra parte, l'unico suono che Sally avvertiva distintamente era il pulsare del proprio cuore nelle orecchie.
Era spaventata, spaventata come non lo era dai tempi di Western Drumlins.
Ma nonostante il battito accelerato del cuore, i muscoli contratti e la dolorosa sensazione di non riuscire a respirare perché qualcosa le opprimeva il petto – nonostante tutto ciò, Sally conservava ancora un briciolo di lucidità. Stava continuando a ragionare, in un certo qual modo. Non aveva abbandonato l'idea di raggiungere l'uscita di sicurezza nella sala accanto.
Pochi passi più in là, vicino alla porta, c'era un portaombrelli.
Lo sguardo di Sally cadde sul lungo ombrello nero abbandonato lì dentro. La ragazza immaginò che appartenesse al defunto signor Huddlestone.
Si fece forza. E ce ne volle un bel po', di forza di volontà, per piegarsi ad afferrare l'ombrello, senza smettere di tener d'occhio la sala.
Sally strinse convulsamente le dita della mano attorno al manico dell'ombrello. Un'arma da difesa davvero poco temibile, ma era sempre meglio di nulla.
La ragazza deglutì – aveva la gola così secca che, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto gridare per chiamare aiuto – e avanzò di qualche passo.

Più Sally si allontanava dalla porta e più sentiva allontanarsi la sensazione di protezione offerta dal muro alle sue spalle.
Reggeva l'ombrello con entrambe le mani. Lo teneva sollevato all'altezza della spalla, come un battitore che si prepara a colpire la palla.
Ad ogni passo la ragazza si aspettava di venir aggredita alle spalle. O di veder saltare fuori un pazzo armato di mannaia da dietro uno dei pannelli accanto ai manichini.
Mai, neppure una volta, si voltò a guardare dove giaceva il corpo del povero signor Huddlestone.
Non voleva neppure guardare il manichino del monaco che sovrastava il cadavere: in una situazione simile, l'immagine di un monaco nero incappucciato era l'ultima cosa che Sally desiderava vedere.
Continuava ad avanzare, camminando tra i manichini. A ogni suo breve respiro una nuvoletta di vapore le sfuggiva dalle labbra.
I fantocci non avevano volto eppure Sally si sentiva come seguita dai loro sguardi.
A un certo punto la suggestione fu tale che la ragazza venne colpita da una terribile fantasia.
Si guardò indietro. Guardò attentamente, molto attentamente. Restò immobile per qualche lungo secondo... infine si lasciò sfuggire un muto sospiro di sollievo.
Non fare la paranoica Sally, disse a se stessa. Sono solo manichini. Non sono vivi. Non possono muoversi. Non possono... staccare la testa alle persone.
Ma ritrovarsi a pensare agli Angeli Piangenti per Sally fu inevitabile e un briciolo di angoscioso dubbio, quando riprese a camminare, ancora le restava.
Sally non udiva più nessun fruscio e i suoi passi erano i soli a echeggiare nella sala.
Attraversare quelle due sale, avvolti da un'aria gelida, camminando tra i fantocci di personaggi raggelati nel tempo – regine e ladri, monaci e dame, pellegrini e pirati, nobili e mendicanti – col perenne suono del proprio cuore che pulsa forte nelle orecchie e la costante paura di venir agguantati alle spalle era come essere finiti dentro una scadente imitazione di un racconto di Edgar Allan Poe.
Sally aveva l'impressione che le due sale fossero aumentate di dimensioni, più lei avanzava e più l'uscita di sicurezza pareva allontanarsi.
Probabilmente la ragazza impiegò meno di due o tre minuti ad attraversare le sale, ma nel suo stato d'animo i secondi sembravano lunghi come ere.
Poi finalmente la raggiunse. Sally raggiunse l'uscita di sicurezza.
La scritta EXIT sopra l'architrave era spenta.
Sally abbassò l'ombrello e in un attimo fu alla porta.
Spinse i palmi sul maniglione.
Per un orribile istante ebbe l'impressione che fosse bloccato, ma no... la barra si abbassò.
La porta si aprì.

Sally uscì sul pianerottolo, con lo stesso senso di sollievo di chi si risveglia da un incubo.
La porta si richiuse dolcemente alle sue spalle e la ragazza restò un istante con la schiena appoggiata al muro, mentre il battito del suo povero cuore tornava a farsi regolare.
Faceva molto freddo sul pianerottolo e anche lì regnava la penombra.
C'era solo una finestra, a metà della prima rampa delle scale che scendeva verso il basso.
E quando Sally guardò cosa c'era alla fine di quella prima rampa ebbe di nuovo un sussulto di spavento.
Subito dopo si rimproverò di essere una ragazzina idiota.
Stava semplicemente guardando un manichino, abbandonato in fondo alle scale.
Era un fantoccio dalle fattezze femminili, con su un abito scuro dal corpetto stretto e la gonna molto ampia.
Sally lo vedeva di schiena; i capelli del manichino era lunghi, scuri e sciolti.
Strano posto però dove lasciare un manichino, ragionò Sally. Tanto più che sembra avere indosso uno degli abiti della mostra.
La ragazza si staccò dalla porta e fece un paio di passi verso le scale, con la mano che reggeva l'ombrello abbandonata lungo il fianco.
Ovvio che quello in fondo alle scale fosse un manichino. Cos'altro poteva essere?
Ma... se era un manichino, allora come mai si stava muovendo?
Come mai si stava voltando verso Sally?
No, non era un manichino.
Era un persona.
Era una donna.
Sally si immobilizzò.
Quella infondo alle scale era la donna dal viso più umano e più spaventoso che Sally avesse mai visto.
Era una donna pallida, col naso affilato, la bocca piccola, le guance incavate e gli occhi neri, e tuttavia non erano i tratti del viso – per spettrali che fossero – a suscitare tanto orrore in Sally.
Era il fatto che il viso non aveva segni di espressione, ma allo stesso tempo, inspiegabilmente, sembrava che una rabbia spaventosa fosse stata scolpita nell'innaturale immobilità del volto delle donna.
E gli occhi, gelatinosi e lucidi, era tristi e colmi di cattiveria.
« Chi sei? »
Le parole, pronunciate con voce roca e spezzata, uscirono dalle labbra di Sally quasi senza che la ragazza se ne accorgesse.
La donna avanzò verso le scale. Salì il primo gradino, continuando a tenere lo sguardo fisso su Sally che, istintivamente, fece un passo indietro.
La misteriosa donna continuò a salire i gradini. Un pesante fruscio di gonne e sottogonne accompagnava ogni suo passo; l'abito che aveva indosso dava una sensazione di soffocante pesantezza.
Quando la donna passò davanti alla finestra, Sally vide, attorno al collo sottile e sul pallido petto lasciato scoperto dalla scollatura quadrata dell'abito, tre file di livide perle e il profilo di un ciondolo luccicare alla luce dei lampioni.
Più la misteriosa donna si faceva vicina e più Sally indietreggiava; prima che se ne rendesse conto la ragazza si ritrovò con le spalle addossate al muro.
La donna raggiunse la cima delle scale.
E Sally era così spaventata e confusa da essersi totalmente dimenticata dell'ombrello che ancora stringeva in mano.
Avrebbe voluto scappare, ma per tornare alla porta avrebbe dovuto voltare le spalle alla donna e non aveva il coraggio di farlo.
D'altronde anche se lo avesse avuto il suddetto coraggio, le sue gambe si rifiutavano di muoversi.
La donna sollevò le braccia con un gesto lento.
Tese le mani verso il volto, verso il collo di Sally – la quale ora che le aveva così vicine vide che le dita lunghe e sottili, quasi scheletriche, della donna erano sporche di qualcosa di nero e lucido, appiccicoso e denso come l'inchiostro.
Sally ebbe una specie di singulto.
Respirò e sentì i polmoni riempirsi dell'aria gelata. L'aria portò con sé un odore simile al ferro, o alla ruggine.
Odore di sangue.
Era sangue quello sulle mani della donna.

E un attimo dopo accadde l'ennesima orribile stranezza.
La donna scomparve. Scomparve letteralmente da davanti agli occhi di Sally. Sparì come nebbia soffiata via dal vento.
Sally non sapeva cosa fare. E non sapeva cosa aspettarsi.
Il cuore le batteva ancora forte ed era pallida come un cencio.
L'istinto le suggeriva di cacciarsi a correre giù per le scale, di uscire il prima possibile da quell'edificio.
Ma qualcosa la bloccava. Era ancora spaventata, a mala pena si azzardava a respirare.
Tutto era silenzioso attorno a lei, sul pianerottolo e lungo le scale. Niente più passi. Niente più fruscii. E non faceva più freddo.
Restò immobile per una manciata di secondi, di lunghissimi secondi.
Infine strinse con un gesto nervoso il manico dell'ombrello, riprendendo coscienza del proprio corpo.
Si allontanò dal muro muovendo un paio di cauti passi verso le scale.
Fece un altro passo.
E sentì una mano chiudersi sulla sua spalla.

Sally trasalì, terrorizzata.
Si voltò di scatto. Sollevò l'ombrello in un gesto istintivo, con tutta l'intenzione di colpire.
Ma invece che con la pallida donna, Sally si ritrovò faccia a faccia con l'uomo incontrato sulla collina.
Castiel.
Indossava perfino lo stesso soprabito chiaro.
Sally, pur ancora stordita dalla paura, riuscì a frenare il gesto di colpirlo.
Ma non le riuscì di fare altro. O di pensare altro.
Non ebbe neppure il tempo di balbettare la sua sorpresa.
Castiel le sfiorò la fronte con la punta delle dita.
Sally cadde addormentata.
Non fu qualcosa di voluto. Non poté far nulla per evitarlo.
Udì delle voci, nella sua testa, sussurrarle di dormire. Ed era un ordine al quale la coscienza umana non poteva disubbidire.
Sally chiuse gli occhi, abbandonò la testa all'indietro e l'ombrello le scivolò di mano, rotolando giù per un paio di gradini.
La ragazza si accasciò su se stessa, come un burattino a cui vengono tagliati i fili.
Sarebbe caduta anche lei per le scale, se Castiel non avesse mostrato un briciolo di riguardo nei suoi confronti.
Le impedì di cadere. Sorresse la ragazza, passandole un braccio attorno alla vita.

CONTINUA.

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Capitolo 4
*** Parte quarta ***


C4

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.

Ringraziamenti: Sarò ripetitiva, ma continuo a ringraziare chiunque ancora segue questa piccola storia. *_* Thank you! Merci!
Grazie ancora in special modo a
Dk86 per le sue recensioni, che oltre a essere
apprezzate dal più profondo del mio cuoricino, mi sono anche utili  per correggere errori e sviste.
Thank you! Thank you! Really, thank you!

IV

Sally era adesso perfettamente sveglia, ma continuava a tenere gli occhi chiusi.
Sapeva di essere sdraiata su di un fianco, sopra a qualcosa di morbido e quel qualcosa aveva un buon odore, un odore familiare.
La ragazza socchiuse gli occhi.

4:27 a.m.

Le quattro e ventisette del mattino. Sally stava fissando lo schermo della sveglia digitale sul comodino.
Nessuna sorpresa dunque che il profumo del cuscino sotto la sua testa le fosse familiare.
Sally Sparrow era nel proprio letto, in camera sua. Era a casa, il suo piccolo appartamento dove abitava da sola.
La ragazza batté le palpebre, per scacciare la sonnolenza. Sono a casa mia, ripeté lentamente nella propria testa. Chiuse di nuovo gli occhi. Ma come sono arrivata a casa mia?
Non riusciva a ricordarlo.
Sally socchiuse di nuovo le palpebre, poi le richiuse. Infine le aprì del tutto e si tirò su a sedere, ma lo fece troppo in fretta e troppo bruscamente. Adesso le girava la testa. Si massaggiò la fronte, mentre pian piano si rendeva conto di essersi addormentata completamente vestita: giacca, jeans, scarpe, tutto indosso, perfino la sciarpa attorno al collo; e aveva dormito sdraiata sopra al copriletto, non sotto le lenzuola.
Aspettò che la testa le smettesse di girare, prima di azzardarsi a scendere dal letto. Le luci in casa erano spente e, muovendosi nella grigia penombra della camera, Sally andò alla finestra.
Barcollava un po'. Si sentiva confusa e stordita, come se avesse preso una gran botta in testa – o fosse reduce da una bruttissima sbornia.
Fuori piovigginava. Oltre il vetro schizzato, il quartiere di notte era una malinconica distesa di strade e di palazzi illuminati.
Londra non dorme mai.
Sally invece aveva dormito. E anche parecchio.
Oltre a non avere la più pallida idea di come fosse arrivata a casa, la ragazza non ricordava neppure da dove fosse tornata. Avvertiva però una spiacevolissima sensazione allo stomaco, come se si portasse dietro l'angoscia di un brutto sogno. Si voltò nuovamente a guardare la sveglia.
Le quattro e trentadue.
I numeri, di un blu acceso, spiccavano contro il display nero della sveglia; quel blu erano l'unico colore che brillava nel grigio della stanza.
Sally restò per qualche lungo secondo con lo sguardo fisso sui numeri.
Erano blu. Blu.
L'orario scattò in avanti di un minuto: le quattro e trentatré.
Blu. I numeri erano blu.
Blu. Occhi blu.
Occhi blu. Gli occhi di Castiel.
In un attimo Sally ricordò ogni cosa.

Un paio di minuti più tardi, Sally era di nuovo accanto alla finestra.
Teneva le mani nelle tasche della giacca, guardava fuori e rifletteva, cercava di chiarirsi i pensieri.
La spaventosa immagine del corpo del signor Huddlestone era come stampata nella sua mente; altrettanto chiaro era il ricordo della pallida donna incontrata sulle scale.
Sally si sentì triste. Povero signor Huddlestone, che fine orribile! E che orribile esperienza quella di parlare con un uomo e ritrovarlo cadavere pochi minuti dopo.
Chi aveva ucciso tanto brutalmente l'organizzatore della mostra? La donna con lo strano vestito ? Ma chi era quella donna?
O
che cosa era – perché le persone, gli esseri umani, non svaniscono nel nulla.
Forse la donna non era affatto umana?
Sally prese seriamente in considerazione quest'ultima ipotesi.
A chiunque altro una tale idea sarebbe suonata completamente assurda, impossibile, del tutto illogica e irragionevole.
Ma Sally Sparrow non era chiunque. Lei sapeva che ciò che l'opinione comune definisce impossibile può benissimo accadere – a volte.
Come i viaggi nel tempo. O le statue di angeli che si rivelano essere creature arrivate da un altro mondo.
E Castiel, quel misterioso uomo con il trench, perché si trovava all'esposizione?
C'era un collegamento tra lui, la misteriosa donna e la morte del signor Huddlestone?
Se si, qual'era il collegamento?
Castiel, rifletté Sally. Si passò una mano sulle sopracciglia, per aiutarsi ricordare. Deve aver fatto qualcosa per farmi addormentare.
L'aveva drogata? Come? Lei ricordava solo di essere stata sfiorata sulla fronte.
Sally si guardò attorno, osservò le quattro pareti della propria camera da letto. Non mancava niente e niente era stato spostato. Tutto era come lei lo aveva lasciato quella mattina, prima di uscire per andare a lavoro.
Mi ha portata lui a casa?
Sally si tastò il fianco destro. Le chiavi del suo appartamento erano lì, nella tasca della giacca, dove le teneva sempre.
Castiel deve averle trovate e usate per entrare in casa. Questo le appariva ovvio, ma come e perché Castiel sapeva dove abitava Sally?
La domanda portava dritta a un altro quesito, quello principale: chi era Castiel?
Ed era una mera coincidenza l'averlo incontrato prima sulla collina e poi nell'edificio della mostra?
E ancora, entrambe le volte sembrava essere arrivato dal nulla, come riusciva a farlo?

Sally appoggiò una spalla al vetro della finestra.
Aveva la testa piena di domande e nessuna idea di dove cominciare a cercare le risposte.
E lei le risposte le voleva. Le voleva più di ogni altra cosa. Non aveva ancora smaltito lo spavento che s'era presa qualche ora prima – ed era stato uno spavento con la S maiuscola, che già fremeva dalla voglia di capire cos'è che le era costata una paura simile. Sally si comportava come chi, dopo aver rischiato di cadere in un burrone, invece di stare alla larga dal precipizio e ringraziare il Cielo di essere ancora vivo, decide di calarsi sul fondo del burrone, solo per scoprire su che genere di rocce appuntite abbia rischiato di sfracellarsi.
Era più forte di lei. L'ignoto le faceva paura, come succede a tutti, ma la sua curiosità della paura se ne infischiava.
Alla ragazza tornò in mente una frase pronunciata da Arthur Conan Doyle, per bocca di Sherlock Holmes.
Nella ricerca di una soluzione a un mistero, “una volta eliminato l'impossibile, quel che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità.”
Sally si lasciò sfuggire un sospiro. Come si fa a eliminare l'impossibile quando non si sa più con esattezza cosa può essere possibile e cosa no?
Questo doveva essere il lato negativo del cominciare a credere alle cose impossibili.

Tante grazie, Dottore.
Ma, si disse Sally, lei poteva ancora sforzarsi di mettere insieme quel che aveva visto e sentito, tutti i particolari, e cercare un nesso, un nesso logico.
Ripensò alla figura della donna. Non ebbe difficoltà a farlo, l'immagine le era rimasta perfettamente impressa nella memoria. La paura può agire da ottima pellicola per quella macchina fotografica che è la nostra memoria visiva. Se Sally chiudeva gli occhi, quasi le sembrava di udire di nuovo il fruscio dell'abito scuro e di vedere i pallidi riflessi delle perle attorcigliate attorno al collo della donna; i riflessi delle perle e del ciondolo.
Il ciondolo.
« Oh... » esclamò Sally in un soffio. Allontanò il viso del vetro, sorpresa dalla sua stessa intuizione. « Oh Dio, io quel ciondolo lo conosco. Eccome, se lo conosco! »
In preda a una strana sensazione, a metà tra l'eccitazione e l'angoscia, Sally si scostò dalla finestra. Si tolse giacca e sciarpa, le gettò sul letto e si precipitò in cucina.
Accese la luce. Il suo computer portatile era sul tavolo.
Sally lo aprì, ci si sedette davanti e lo avviò. Digitò due parole nella barra di ricerca – due parole ben precise.
Il risultato che apparve sullo schermo per poco non la fece sobbalzare sulla sedia.
Si portò una mano alle labbra.
« Non può essere... » sussurrò, fissando l'immagine sul display. Le bocca della ragazza, nascosta dietro la mano, era arricciata in un sorriso.
Si, Sally sorrideva per lo stupore di aver – forse – trovato l'estremità di quello che Holmes avrebbe definito “il filo scarlatto del delitto che scorre nella matassa incolore della vita.”

***

Larry, sdraiato a pancia in giù, con la testa affondata nel cuscino, allungò un braccio verso il comodino, cercando a tentoni il cellulare.
Il telefono squillava, e squillava, e squillava. Squillava da almeno cinque minuti. Larry ci aveva provato a ignorarlo, si era girato dall'altra parte, ma il cellulare sembrava intenzionato a squillare all'infinito.
Alla fine, con dei sentimenti profondamente mal disposti nei confronti di chiunque fosse dall'altro capo del filo, Larry si decise a rispondere.
« Pronto? » biascicò, con la voce impastata dal sonno e la bocca per metà nascosta dal cuscino. Non riusciva nemmeno ad aprire gli occhi, figuriamoci riuscire a sollevare la testa.
« Larry, stavi dormendo? »
La voce di Sally Sparrow – la ragazza che non si faceva mai problemi a telefonare in casa di amici a orari improponibili – risuonò nell'orecchio di Larry.
Lui aprì un occhio – uno soltanto perché costava meno fatica – per controllare la sveglia.
« Sono le cinque e mezzo di mattina... »
« Sì, lo so! Devo parlarti, è urgente! »
Larry raccolse le forze necessarie per compiere l'enorme sforzo fisico di sollevare la testa dal cuscino.
« Adesso? »
« Sì, ma non al telefono »
« Cos'è questo rumore? Il motore di un'automobile? »
« Sì, è appena passata un'auto. Sono in strada. Ti sto chiamando da una cabina telefonica... » spiegò Sally in fretta.
« E perché? » chiese confusamente Larry, ma l'unica risposta che ottenne fu un ancor più frettoloso:
« Vediamoci in negozio. Ti aspetto lì tra mezz'ora.»
Sally riagganciò e Larry, ancora mezzo addormentato, rimase a guardare fissamente il proprio cellulare.


CONTINUA.

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Capitolo 5
*** Parte quinta ***


C5 Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.



V

Esattamente un'ora e mezza più tardi, Larry si trovava sul retro del negozio “Sparrow & Nightingale, Antiquarian Books and Rare Dvd's”. La stanza era occupata per lo più da scaffali; sui ripiani di plastica se ne stavano in bell'ordine un mucchio di scartoffie e alcune scatole di merce ancora imballata. Una borsa scura, di quelle usate per trasportare i computer portatili, una giaccia di jeans e una sciarpa colorata erano state gettate sul tavolo sistemato sotto alla finestra.
Larry era seduto accanto al suddetto tavolo, con le braccia abbandonate sulle gambe e una tazza di caffè – ormai vuota – tra le mani. Sally se ne stava appoggiata con la schiena al bordo del tavolo, i pollici infilati nelle tasche davanti dei jeans. Lei di caffè non ne aveva avuto bisogno; dopo più di nove ore di sonno era sveglia come un grillo. 
Sally osservava Larry che a sua volta stava fissando le mattonelle del pavimento; lui aveva un'espressione stravolta, lei di leggera impazienza.
La ragazza aveva appena finito di raccontare a Larry quel che era successo all'esposizione. Gli aveva detto tutto, dall'improvviso salto di corrente a come si fosse risvegliata nel proprio letto, a casa, senza sapere quando e come ci fosse tornata. E aveva dovuto farlo per ben tre volte. Tre volte aveva ripetuto la stessa storia, prima che Larry si decidesse a prenderla sul serio.
« Io... io... » stava balbettando Larry in quel momento, « io credo di essere sotto shock... » Parlava lentamente, così lentamente da risultare quasi buffo. O quasi stupido.
Sally fece schioccare la lingua contro il palato.
« Eh, non dirlo a me... » sospirò, con una tranquillità che aveva un non so che di ironico.
Larry non sembrò aver sentito il commento. Se ne stette in silenzio per un paio di secondi, poi sollevò lo sguardo.
« Sally... » cominciò, titubante.
« Cosa? »
« Dovresti andare alla polizia »
Sally fece un gesto infastidito con la mano, come a scacciar via quell'idea.
« Non posso » disse. « Voglio dire, potrei, ma non servirebbe a niente. Non mi crederanno mai »
Ci fu di nuovo qualche attimo di silenzio. Attimi durante i quali Larry prima aggrottò la fronte, come se il suo cervello stesse faticosamente elaborando un pensiero, poi strabuzzò gli occhi, colto da un' improvvisa semi-illuminazione. Si alzò di scatto dalla sedia, la tazza che aveva tra le mani cadde sul pavimento.
« Oh, porca zozza! Sally, tu sei l'ultima persona con cui è stato visto vivo il signor Huddlestone... Quella donna, l'ex-moglie, hai detto che conosce il tuo nome. La polizia verrà... »
« ...a cercarmi, si, lo so » lo interruppe Sally, parlando con calma. Si chinò per raccogliere la tazza. «E cosa dirò alla polizia? La verità. Mi prenderanno per pazza? Ci può scommettere » Si rimise in piedi. « Verrò sospettata dell'omicidio del signor Huddlestone? Altamente probabile, ma non è questo il problema al momento » concluse.
Mentre Sally parlava l'espressione di Larry passò, nel giro di pochi istanti, dalla preoccupazione allo stupore.
« Essere sospettata di omicidio non è un problema per te? E quale sarebbe il problema del momento? »
Sally poggiò la tazza sul tavolo e, scandendo per bene le parole, rispose: « Scoprire chi ha veramente ucciso il signor Huddlestone »
Larry inarcò un sopracciglio.
« Che, per l'appunto, è il problema della polizia, non il nostro »
« La polizia non imboccherà mai la pista giusta » ribatté Sally « se, come immagino, non crederanno nemmeno a una parola della mia testimonianza »
Larry fece il gesto di tirare indietro la testa e scrutò Sally da capo a piedi.
« Senza offesa, Sally, ma quella frase suonava un po' presuntuosa... »
« Presuntuosa, ma vera. Io ho visto in faccia l'assassino, la polizia no »
« Credi che l'uomo con l'impermeabile abbia ucciso il signor Huddlestone? » domandò Larry.
Gli sembrava la conclusione più logica a cui giungere, ma a quelle parole Sally affermò: 
« Chi? Castiel? No. Impossibile » e tornò ad appoggiarsi al tavolo, stringendo nervosamente una mano nell'altra.
Larry aggrottò la fronte. « E perché non potrebbe essere lui? Voglio dire, era lì, sul luogo dell'omicidio. Come fai a dire che è innocente? »
Ottima domanda, ardua risposta, pensò Sally.
Non che durante le due ore passate Sally non avesse trovato un motivo per credere Castiel estraneo alla morte del signor Huddlestone. Pensa e ripensa, un motivo lo aveva seriamente trovato, ma l'argomentazione le suonava così sciocca e infantile che, per amor proprio, preferì non condividerla con Larry.
« Dimenticati di Castiel » buttò lì Sally. « Lui non farebbe del male a nessuno, te lo assicuro. Fidati... ehm... del mio istinto »
Il sopracciglio di Larry tornò ad inarcarsi.
« Ma se hai detto che ti ha drogata? »
« Ho detto che mi ha addormentata, ma non so come abbia fatto »
« E poi ti ha portata a casa? »
« Molto probabile » rispose Sally, dopo un istante di esitazione.
In quel frangente Larry venne colto da un brutto pensiero.
« Non ti avrà fatto qualcosa mentre eri addormentata, vero? » esclamò.
« Oh, ma per favore, Larry! » lo azzittì Sally, irritata.
« Beh, chiunque sia, assassino o no, se si azzarda di nuovo ad avvicinarti... io.... io lo prendo a pugni »
Sally ridacchiò e cercò di dissimulare la risata scettica in un colpo di tosse. Larry le lanciò un'occhiata dubbiosa e anche un tantino offesa.
« Scusa... » borbottò Sally.
Larry si lasciò cadere sulla sedia e si passò stancamente una mano sul viso.
« Allora » cominciò « se non dell'uomo in impermeabile, di chi sospetti? Della donna incontrata sulle scale, quella che ti è scomparsa da davanti? »
« La donna con le mani sporche di sangue? La donna che credo fosse sul punto di strangolarmi – o fare altro che preferisco non immaginare? Si. Si, Larry, sospetto di lei » disse Sally, con il tono un po' scocciato di chi si vede costretto a sottolineare l'ovvio. « E ti dirò di più. Io so anche chi è quella donna »


Larry sollevò le sopracciglia. « La conosci? »
« Si, la conosco. E la conosci anche tu. La conosce un sacco di gente, in realtà »
« E chi è? »
Sally prese un bel respiro, conscia di essere sul punto di intavolare la conversazione più bizzarra della sua vita – se si esclude quella avuta con il Dottore, ovvio.
« Anna Bolena » dichiarò Sally. « Sono quasi sicura che la donna sulle scale fosse Anna Bolena »
Il basito silenzio di Larry fu più significativo di qualsiasi possibile immaginabile esclamazione di scettica incredulità.
« Sally... » cominciò il ragazzo, dopo qualche attimo, scandendo le parole con studiata lentezza « quando dici Anna Bolena, intendi quella Anna Bolena? »
« Tu ne conosci altre? » ribatté la ragazza.
« Quindi, secondo te » riprese Larry, sempre con la stessa lentezza « a uccidere il signor Huddlestone è stata una regina vissuta secoli fa. Mentre il tuo istinto ti assicura che l'uomo col trench è completamente innocente »
Sally annuì.
Larry sbuffò una risata e si abbandonò contro lo schienale della sedia. « Si, si certo... questa è un'ipotesi decisamente plausibile » disse, sardonico.
« Non mi stai prendendo sul serio » osservò Sally, con imperturbabile calma.
Larry si grattò la fronte.
« Ehm... Sally, io non sono un genio dell'investigazione, ma credo che Anna Bolena abbia un alibi di ferro. È morta, morta e sepolta da quasi cinquecento anni »
« Lo so che è morta » ribatté Sally. « Non a caso all'esposizione ho incontrato il suo fantasma »
Le sopracciglia di Larry si sollevarono così tanto da rischiare di sparire sotto la frangia dei capelli.
« Oh, avanti, Larry! » sbottò Sally, davanti a quell'ennesima espressione di incredulità. « Non dirmi che non hai mai sentito parlare della leggenda del fantasma di Anna Bolena, che da secoli infesta la Torre di Londra »
« Sì, che ho sentito parlare della leggenda. Ma è una leggenda, appunto. Una favola, una storiella per i turisti. I fantasmi non esistono »
Sally alzò gli occhi al soffitto e con aria innocente e distratta disse: « E le statue non si muovono quando nessuno le guardia. E non può un'enorme navicella spaziale stare dentro a una piccola cabina blu. E, ovviamente, viaggiare nel tempo è sola una fantasia »
« Ma... ma non è la stessa cosa! » protestò Larry.
Sally lo guardò con serietà.
« Perché no? » gli chiese.
Larry si ritrovò a corto di risposte e prima che potesse trovarne una adatta, Sally riprese a parlare, asciutta e risoluta: « So di cosa sto parlando. Ho fatto delle ricerche » Allungò una mano verso la borsa e ne tirò fuori il proprio portatile. Lo aprì, lo accese e lo sistemò sul tavolino, con lo schermo girato verso Larry. « Guarda questo »
Il ragazzo si ritrovò a guardare la foto di un antico ritratto di donna su fondo scuro. La donna aveva in mano una rosa, delle perle sul petto e al collo un ciondolo a forma di B, decorato a sua volta da altre tre perle a forma di goccia. Lungo il bordo superiore del ritratto erano state dipinte in oro queste parole: ANNA BOLINA ANG RECINA. Non era la prima volta che Larry vedeva quell'immagine. La si trovava in molti libri di storia, anche scolastici.
« Il più famoso ritratto ufficiale di Anna Bolena*, seconda moglie di Enrico VIII, regina di Inghilterra per tre anni » disse Sally, parlando alle spalle di Larry. « Vedi il ciondolo, il monile a forma di B? E' lo stesso che aveva al collo la donna che ho visto io. Indossava quello e il resto della collana di perle. E guarda quest'altro... » Sally allungò una mano per aprire una seconda finestra. « Anna Bolena è vissuta nel XVI secolo. Questo è un esempio di abiti da donna del periodo. Stessa foggia, stesso stile dell'abito della nostra donna. Oh, ammetto che per quanto riguarda il viso, il ritratto non sia molto somigliante, ma i tratti sottili, gli occhi e i capelli scuri corrispondono. E ti assicuro una cosa, Larry: quello che ho visto io non era certo il viso di una persona che scoppia di salute, era cadaverico, spettrale. In ogni senso. Altro particolare: il freddo improvviso. Secondo gli studiosi del paranormale – o più in generale secondo i racconti folcloristi – l'apparizione di un fantasma è sempre accompagnata da un improvviso calo della temperatura. Che mi dici poi della porta che si è chiusa da sola? Io l'avevo lasciata completamente spalancata, non c'era corrente d'aria tra il corridoio e la sala e io sono quasi del tutto certa di non aver sentito nessuno muoversi in corridoio. Dunque, come ha fatto la porta a chiudersi? Che gli spiriti riescano a interagire con gli oggetti è un'idea diffusa. Infine, ultimo ma non meno importante, è una semplice coincidenza il fatto che Anna Bolena e il signor Huddlestone siano entrambi morti decapitati? Certo, potrebbe essere una coincidenza. O forse no.»
Tutto questo discorso Sally lo pronunciò quasi senza riprendere fiato. Larry aveva inutilmente boccheggiato tre o quattro volte nella speranza di riuscire a dire la sua, ma non ebbe possibilità di parlare fino a quando non Sally decise che poteva farlo.
« Ma... ma perché Anna Bolena avrebbe voluto uccidere il signor Huddlestone? » fu la prima obbiezione di Larry.
« Ah, non ho la più pallida idea di come ragionino i fantasmi. Magari non c'è un vero e proprio motivo, forse quello di Anna Bolena è solo un fantasma particolarmente arrabbiato. D'altronde, avrebbe anche i suoi buoni motivo per esserlo, no? Insomma, è stata condannata a morte dal proprio marito con delle false accuse, non mi stupirei se fosse un tantino rancorosa nei confronti dei vivi »
« Io non ho mai sentito di fantasmi che vanno in giro a uccidere le persone »
« Ah, no? Io, invece, ho letto che nel 1817, una guardia della Torre di Londra morì d'infarto, dopo aver incontrato il fantasma della regina »
« Non ci crederai sul serio, vero? » esclamò Larry.
Sally si limitò a dare una scrollata di spalle.
« Comunque » continuò Larry, « si dice che il fantasma infesti la Torre di Londra, giusto? Adesso che ci fa a Bloomsbury, gli è scaduto il contratto d'affitto e si è trasferito? »
« A dirla tutta, testimonianze di apparizioni del fantasma della regina sono state raccolte non sono nella Torre di Londra, ma anche a Blicking Hall nel Norfolk, a Hever Castle nel Kent e a Rochford Hall nell'Essex. Sai cosa hanno in comune tutti questi posti, Larry? Anna Bolena vi ha trascorso parte della sua vita. I fantasmi restano legati ai luoghi dove hanno vissuto... beh, così almeno vuole la tradizione »
« Quindi il palazzo dell'esposizione è stato abitato dalla Bolena? »
Sally scosse la testa.
« Impossibile. Ho cercato notizie al riguardo, il palazzo è stato costruito solo nel 1794. Ma non sono ancora riuscita a scoprire cosa ci fosse in quella strada nel XVI secolo... »
Larry, ben lontano dall'essere convinto, aveva ancora un'obbiezione da fare. Prese un respirò e poi domandò:
« D'accordo, ammettiamo... per un attimo... di avere davvero a che fare con il fantasma di Anna Bolena. È morta decapitata, il suo non dovrebbe essere un fantasma senza testa? »
Strano come le domande più ovvie a volte siano le ultime che ci poniamo. Nel caso di Sally, lei dalla domanda in questione non era stata minimamente sfiorata.
« Ehm... » mormorò Sally. E all'ehm seguì qualche secondo di dubbioso silenzio. « Oh, e che ne so io! » sbottò alla fine. « Se la sarà riattaccata! Ascolta Larry è normale che tu non mi creda. Sarei scettica anch'io se qualcuno venisse da me a raccontarmi di aver visto un fantasma, ma... ma questa cosa è successa a me. Non sto dicendo di aver incontrato un fantasma perché sono una persona superstiziosa, lo dico perché tutti gli indizi che ho puntano a questa spiegazione. Quindi, fino a quando non troverò qualcosa, qualunque cosa, che apra la strada a una diversa ipotesi, non vedo perché dovrei escludere quella del fantasma »
E Larry zitto.
« Che c'è, perché mi guardi così? » sbuffò Sally e poggiò una mano sul piano del tavolo.
« Tu ti stai divertendo » le disse Larry. E non era una domanda. Era un'affermazione formulata in tono d'accusa.
Sally guardò il ragazzo con stupore.
« Cosa? No, no... io non mi sto divertendo. Perché, do questa impressione? » domandò incredula.
« Eh, altroché! » esclamò Larry. « Parli a raffica, sprizzi entusiasmo da tutti i pori e sei tutta un “Ehi! Investigare sul paranormale è il mio nuovo hobby!” »
« Larry, il mio non è entusiasmo » si difese Sally, « è paura »
Sally ricevette in risposta da Larry un'occhiata di puro e sublime scetticismo.
« Ah, d'accordo! Va bene! » sbottò la ragazza, alzando le mani in segno di resa. « Magari un pochino, giusto un pochino mi sto divertendo... ma avanti Larry! » Fece un passo verso di lui. « Questo » disse, indicando con un dito vero il basso, « è un mistero e a te piacciono i misteri, giusto? Sei o non sei tu quello che ha passato mesi a tentare di scoprire il perché e il percome dell'uovo di pasqua del Dottore nascosto sui diciassette DVD? »
« I DVD non ti staccano la testa! » le fece giustamente notare Larry.
« Dai, Larry! » Sally gli mollò una pacca sul braccio. « Finalmente, dopo un anno e mezzo, ci succede di nuovo qualcosa... qualcosa di... di... »
« Di spaventoso! Sally, un uomo è morto, tu sarai sospettata del suo omicidio e la teoria più accreditata che abbiamo al momento è che l'artefice del delitto sia il fantasma psicopatico di una regina morta cinquecento anni fa. E, lasciamelo dire, è una teoria davvero poco rassicurante. Quale persona normale troverebbe tutto questo divertente? »
Sally sorrise radiosa.
« Quindi mi credi? Credi anche tu che abbiamo a che fare con un fantasma »
« Sally credo che ti sia sfuggito il senso principale della mia frase... »
Sally era lì, lì per ribattere, ma Larry la frenò. « Ah, lascia perdere! » Si rassegnò. « Sei stata dietro alla storia del Dottore per un anno intero. Figuriamoci se riesco a farti mollare questa di faccenda! »
Il ragazzo si lasciò cadere seduto sulla sedia. L'accostò al tavolo e prese ad armeggiare con il portatile di Sally.
« Non mi ancora detto cosa centra quel tipo, Castiel, con la storia del fantasma? »
Sally scrollò le spalle. « Questo davvero non lo so »
« È un fantasma anche lui? » domandò Larry, con una punta di scettica ironia.
Sally si passò una mano sul collo, pensierosa.
« Non credo, Castiel mi è sembrato avere un aspetto piuttosto... vivo e vegeto. » Alzò gli occhi verso il soffitto. « Anche se continuo a non spiegarmi come faccia ad arrivare senza far mai rumore » Abbassò lo sguardo su Larry. « Che stai facendo? »

Larry se ne uscì con una specie di grugnito contrariato.
« Bah, dato che ormai te lo sei messo in testa... » borbottò continuando a battere i polpastrelli sui tasti del pc. « Sto cercando di ritrovare un sito che mi ha mostrato tempo fa Mark.... »
« Un sito di cosa? »
« Eccolo! Trovato! Vieni a vedere... »
Sally si avvicinò al tavolo, fermandosi dietro alla sedia di Larry. Appoggiò una mano allo schienale e l'altra sul proprio fianco. Guardò lo schermo del portatile, socchiudendo gli occhi per leggere meglio.
« Ghostfacers?** Che roba è? »
« Cacciatori di fantasmi. Veri cacciatori di fantasmi, bah... almeno loro dicono di esserlo. Hanno questo sito, e anche un blog »
« Perché Mark consulta siti del genere? »
« Ehm, credi a me, non vuoi saperlo... »
Sally guardò Larry inarcando un sopracciglio, ma accettò il consiglio.
« Sono inglesi, questi Ghostfacers? » domandò.
« Americani » rispose Larry. « Texas »
« Oh, molto bene » sospirò Sally. « Abitano proprio dietro l'angolo. E questi, cosa sono? »
« Cosa? »
Sally indicò qualcosa sullo schermo. « Clicca qui... dove c'è scritto Video Didattici** »
Sally e Larry si ritrovarono a guardare il filmato di due tizi in camice bianco, in piedi davanti a un tavolo. A giudicare dallo sfondo alle loro spalle, dovevano aver registrato il video in un garage. Non erano giovanissimi, uno era moro e l'altro con i capelli rossi, entrambi occhialuti, nel complesso avevano un'aria alquanto nerd.
« Sappiamo perché ci guardate » esordì il pel di carota.
« Voi avete un problema » aggiunse l'altro, sfilandosi gli occhiali con fare da duro.
« Un problema di fantasmi » concluse il suo compare, incrociando le braccia al petto.
« Un problema che riguarda i fantasmi » riprese il moro « ovvero un problema che ruota intorno ai fantasmi... una... una specie di problema e i fantasmi ne fanno parte... » Si stava palesemente incartando nel discorso. Erano piuttosto comici, per essere persone che dichiaravano di occuparsi di cose paurose come i fantasmi. Nemmeno la musica rock di sottofondo aiutava a dar loro un'aria professionale.
« Basta così! » intervenne il rosso. Poi tornò a rivolgersi alla camera « Siete nel sito giusto, l'unico sito qualificato perché noi risolveremo il vostro problema»
« Proprio così! »
« Guardate e imparate.»
« Il primo passo in ogni battaglia al sovrannaturale è...»
« Capire cosa state combattendo! »
esclamarono a una sola voce.
« Un volta avvistata l'entità... »
« Uccidetela! »
Di nuovo in coro.
« Usando delle speciali armi cacciafantasmi » specificò il moro.
« Prima cosa: il sale! » disse il pel di carota, che ora si era ficcato un elmetto da militare in testa. Mostrò un barattolo di sale grosso. « E' come acido per i fantasmi » aggiunse disegnando un cerchio col sale sul tavolo davanti a loro.
« Puro acido! »
« Non come LSD... »
« No, il sale li annienta. Prossima arma: il ferro »

In quella spuntarono fuori una pala e un attizzatoio per caminetti.
« Pura potenza nelle vostre mani... »
« Fa scomparire i fantasmi all'istante »

Il moro fendette l'aria con l'attizzatoio che brandiva tra le mani. E per poco non colpì il suo compagno.
« Il prossimo piccolo trucco lo abbiamo... » riprese il pel di carota, ma sembrava restio a continuare la frase, « ...lo abbiamo imparato da quei due inutili imbecilli... »
« ...che noi odiamo... »
si curò di sottolineare l'altro.
« I fratelli Whincester. »
« Fucile! »

Il moro imbracciò con fare esperto un fucile – che aveva tutta l'aria di essere un'arma giocattolo.
« E proiettili speciali, carichi di ottimo sale fresco »
E il pel di carota mostrò come caricare dei proiettili vuoti con del sale.
« Molto efficace... » assicurò il moro mettendo giù il fucile sul tavolo.
« Si, molto molto efficace... » gli fece eco l'altro.
« Ma i Winchester restano degli imbecilli »
« Affermativo. Due imbecilli di prima categoria »
« Comunque quei noiosi e stupidi fratelli Winchester ci hanno insegnato un'altra cosa importante »

Chiunque fossero questi fratelli, pensò Sally, ai due tizi nel video piaceva da morire insultarli.

« Che bisogna bruciare i resti »
Il moro accese la fiamma di un accendino davanti alla telecamera.
« Ok, il consiglio successivo è un po' schifoso... » continuò con una smorfia che sottolineava bene il significato dell'ultima parola, « a volte è necessario dissotterrare il corpo. Ci dispiace »
« Il che è illegale in alcuni stati »
« In tutti gli stati »

I pochi secondi rimasti di video erano dedicati a cosa fare in caso il corpo fosse stato cremato. Niente panico, raccomandavo i due pseudoesperti. In tal caso bisognava andare alla ricerca di qualche altro resto organico, come una ciocca di capelli o dei denti da latte.
« Buona caccia, giovani leoni »
«Che Dio vi aiuti »

Terminato il video, Sally e Larry restarono a fissare lo schermo nero in silenzio, un silenzio perplesso e pensieroso, l'unico genere di silenzio che può seguire alla visione di un tale filmato.
Sally piegò leggermente la testa di lato e socchiuse le palpebre.
« Tu sai se qui in Inghilterra dissotterrare cadaveri è illegale? » domandò lentamente.
Larry la guardò allarmato.
« Sally! »
La ragazza si mise a ridere.
« Scherzavo! Scherzavo! Non ho intenzione di andare a dissotterrare Anna Bolena, stai tranquillo »
Sally fece un passo indietro, scostandosi dalla sedia.
« Ma almeno adesso ho un'idea su dove cominciare » disse, sovrappensiero.
Larry si allarmò di nuovo.
« Cominciare che cosa? » chiese. « No! No, no.... non mi rispondere. Dimmi soltanto che adesso non andremo a caccia di spettri »
« Io e te a caccia di spettri? No, certo che no » Sally scosse la testa, come se reputasse ridicola la sola idea.
Larry respirò.
« Io andrò a cercare il fantasma » annunciò allegramente Sally, unendo i palmi delle mani. « Tu resterai qui »
« Sally! »
« Sul serio, Larry, tu devi restare qui al negozio. Sarà il primo posto dove la polizia verrà a cercami e non trovarci nessuno sarebbe una cosa sospetta » disse Sally, chiudendo il portatile.
Larry si alzò in piedi.
« Ma... ma... la polizia verrà a cercarti a casa » balbettò, mentre la ragazza faceva scivolare il portatile nella borsa.
« Stammi a sentire, Larry » riprese in fretta Sally, mentre indossava velocemente la giacca, « il signor Huddlestone era divorziato. Da quel poco che ho capito del suo carattere, posso azzardarmi a credere che vivesse da solo. Forse – e dico forse – c'è qualche possibilità che nessuno si sia ancora accorto della sua scomparsa e che nessuno abbia ancora ritrovato il corpo. L'esposizione non apre prima delle nove, quindi io potrei avere tempo fino alle dieci, prima che la polizia scopra chi sono e dove lavoro. A quell'ora, verranno a cercarmi direttamente qui in negozio. Tu dì loro di non avere mie notizie da ieri pomeriggio, da quando abbiamo chiuso il negozio. Se scoprono che hai ricevuto una telefonata alle sei del mattino, puoi inventarti che si trattava dello scherzo di qualche ragazzino. Ti ho chiamato da un telefono pubblico e la conversazione è stata breve, non dovrebbero aver motivo di credere che menti. Ma tu cerca di essere convincente. E non preoccuparti, non sto scappando! Quando la polizia verrà a parlare con me, dirò tutto (anche se sarà solo uno spreco di fiato). Nel frattempo, però, ho due ore per muovermi in tutta libertà e non voglio sprecarle »
« Muoverti? Ma dove hai intenzione di andare? »
Sally si gettò un lembo della sciarpa sulla spalla.
« A fare una visita di cortesia ad Anna Bolena »

CONTINUA.

______________________

Note:
* il ritratto di Anna Bolena.
**
I Ghostfacers sono un gruppo di acchiappa-fantasmi “alla ScoobyDoo” che compaiono nella prima e nella terza stagione di Supernatural. Indirettamente, appaiono anche in un episodio della quarta stagione, quando Sam e Dean – ai quali gli angeli hanno fatto dimenticare la loro vera identità, un po' come il Dottore quando è convinto di essere Jhon Smith – consultano il sito dei Ghostfacers e trovano il video “Guarda e Impara”; lo stesso video trovato da Sally e Larry.
Il sito e il blog esistono davvero, se volete divertirvi potete vedere qui il video per imparare ad affrontare Casper&com. XD

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Capitolo 6
*** Parte sesta ***


C6

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.

Note: Questo aggiornamento è davvero in ritardo. Lo so. E i motivi sono tre: una settimana via di casa e lontana da pc, un esame da preparare e, ultimo e più importante motivo, questo capitolo sembrava proprio non voler uscire dalla mia penna. Le scene nella mia mente erano chiare e precise, ma ho avuto una mezza specie di blocco nel momento in cui ho dovuto metterle giù a parole. Odio quando mi succede. u.u E non è che il risultato finale mi convinca un granché! : / 
Il prossimo capitolo arriverà prima, spero. Per quanto riguarda questo, è il caso di avvertire che sebbene il luogo dove si svolge tutta l'azione e la sua descrizione siano reali, alcuni particolari come l'ordine delle tappe della visita sono stati lavorati puramente di fantasia, per ragioni di... beh, per ragioni di narrazione. Ah, e ho cambiato banner e impaginazione, ma questo suppongo che sia tanto evidente quanto irrilevante. 

Ringrazio ancora tantissimo chi continua a seguire la storia e Dk86, Alexia379 e Saliman che continuano a lasciare le loro gentili e apprezzatissime recensioni.

VI


Una triste e compatta cupola di nuvole perlacee soffocava il cielo londinese; non un tenue spiraglio di azzurro, non un tiepido raggio di sole trovava posto sopra i tetti della città. Nella fredda aria del mattino, la Union Flag, issata sulla Torre di Londra, sventolava con fierezza dalla cima di un alto palo. La stoffa della bandiera si gonfiava e si agitava ad ogni folata di vento. Da quasi novecento anni a questa parte, la fortezza medievale della Torre di Londra, protetta da una cinta di mura merlate, con tanto di feritoie e di ben quattordici torri di guardia, se ne sta acquattata sulla sponda settentrionale del Tamigi. La White Tower, con annessa la cappella di San Giovanni Evangelista, è il cuore della fortezza; un cuore dall'aspetto grigio e greve - le pareti dell'edificio, a pianta quadrata, sono scandite da tre ordini orizzontali di strette e buie finestre ad ogiva e le sue quattro torri sovrastano per altezza ogni altra costruzione all'interno delle mura.

Se oggi i turisti fanno la fila per poter visitare la Torre di Londra, al tempo di Anna Bolena non una sola anima in tutto il Regno si sarebbe augurata di varcare la soglia del Traitors' Gate – il cancello che, direttamente dal fiume, dava accesso all'interno della fortezza. Molti dei nobili personaggi che avevano fatto il loro ingresso nella Torre, passando sotto l'arco del cancello, accompagnati dall'accusa di essere nemici e traditori del re, non ne erano più usciti.

Ad ogni modo, quella mattina, il problema di Sally non era stato quello di uscire dalla Torre, ma quello di riuscire ad entrarci.

Quando Sally aveva annunciato a Larry di voler andare a far visita ad Anna Bolena parlava di visitare la tomba della regina, nella piccola cappella di San Pietro Ad Vincula; cappella che, per l'appunto, fa parte del complesso della Torre di Londra. Non che Sally avesse una precisa idea di cosa cercare o di cosa aspettarsi di trovare in quel luogo; al contrario, se qualcuno glielo avesse chiesto, lei avrebbe risposto di essersi recata alla Torre solo e soltanto perché aveva il vago sentore che fosse il posto più adatto per raccogliere informazioni, essendo lì nata la leggenda del fantasma di Anna Bolena. Quale altro luogo le si offriva per iniziare la sua ricerca? L'unica alternativa alla Torre era il luogo del delitto stesso, il palazzo dell'esposizione, a Bloomsbury. Ma a quell'ora il palazzo doveva essere piantonato dalla polizia. Entrarvi sarebbe stato impossibile. Farsi vedere nelle vicinanze inutilmente rischioso.

Due sono i modi per avere accesso alla cappella di San Pietro ad Vincula: uno è assistere liberamente alla funzione domenicale, l'altro è prendere parte a una visita guidata dell'intera fortezza. E poiché quel giorno era venerdì, Sally era stata costretta a quasi venti minuti di impaziente fila per pagare il biglietto d'ingresso e riuscire ad accodarsi a un primo e mattiniero gruppo di turisti.

« ...ad vincula è un termine latino che significa in catene... » stava spiegando la guida, mentre il gruppo di visitatori – trentadue persone in tutto – avanzava lungo la navata della cappella, tra le ordinate file di banchi di legno. La guida, un uomo con i capelli grigi, grossi occhiali rotondi spinti su per il naso camuso e un paio di baffi da far invidia a un imperatore tedesco, era uno Yeoman Warder – o Beefeater – come vengono chiamate le guardie della Torre. L'uomo faceva orgogliosamente sfoggio della tradizionale divisa nera, bordata di rosso, completa di capello – e, gentile come vuole il suo ruolo, sapeva tenere viva l'attenzione dei visitatori. Parlava con la vivacità di un attore di teatro e le sue spiegazioni non erano noiosi resoconti storici. Intramezzava agli importanti eventi passati alla storia – come le battaglie, gli editti emanati o l'ascesa e la caduta dei monarchi – i tanti aneddoti sulla vita privata delle persone che la storia l'avevano scritta.

Per quanto riguarda Sally, avrebbe di certo apprezzato la bravura della guida se non fosse stata tanto occupata ad annotare mentalmente, ad analizzare con occhio attento ogni particolare della cappella che le capitava sotto lo sguardo. E nel farlo, si stava rendendo conto che non è per nulla facile cercare quando ancora non si ha ben chiaro cosa si spera di trovare. Per il momento, Sally se ne stava in mezzo al gruppo – con i capelli biondi sciolti sulle spalle, la sciarpa colorata attorno al collo, le mani sprofondate nelle tasche della giacca e la borsa indossata a tracolla. Si guardava attorno. Per piccola che fosse, con il suo silenzio, con il suo odore di incenso e di umida pietra, con il suo inconscio ruolo di testimone di tante tragiche vite umane, la cappella ispirava un senso di rispettosa solennità. Lungo la navata a pianta rettangolare correva, parallelamente alle pareti laterali, una fila di arcate ogivali, sorrette da pesanti pilastri a fascio, che separavano in due l'ambiente. Sopra le teste dei visitatori, dall'alto e scuro soffitto a traviate, pendevano tre massicci lampadari, mentre sotto i loro piedi, il pavimento era coperto di lucidi lastroni di marmo nero e rosso. Non c'erano affreschi a decorare le mura, ma cinque vetrate, ampie e alte, si aprivano su ciascuna delle due pareti laterali. Una sesta vetrata, anch'essa importante per dimensione e altezza, occupava buona parte della parete absidale, proprio sopra all'altare. Alla fredda luce che filtrava dall'esterno, Sally vedeva un tenue e sfuggevole luccichio di polvere fluttuare sopra i paramenti dell'altare.

« Al tempo di Enrico III » spiegava la guida, che era salita sul pavimento rialzato attorno all'altare, per essere meglio visibile all'intero gruppo, « a usufruire di questa cappella non erano i membri della famiglia reale, che invece seguivano le funzioni della cappella di San Giovanni Evangelista, accanto alla White Tower. Questa cappella era riservata alla servitù, alle guardie e ai soldati della Torre » E la guida andò avanti a spiegare che la cappella era uno dei pochi esempi ancora esistenti dell'architettura sotto la dinastia Tudor. « Tutti coloro che furono giustiziati nella Tower Green vennero seppelliti sotto il pavimento della cappella, ma senza alcuna lapide, senza neppure una piccola incisione che ne ricordasse il nome. Quando nel 1876, durante il regno della regina Victoria, la cappella fu ristrutturata, il pavimento venne divelto e tutti i resti vennero spostati nella cripta. Le ossa, invece, rivenute sotto la zona del presbiterio furono rinterrate proprio qui... sotto il pavimento davanti all'altare... »

E il gruppetto di curiosi si spostò per avvicinarsi all'altare. Si spostarono tutti – tranne Sally, che preferì restare appoggiata a uno dei banchi della prima fila, decisa ad avvicinarsi all'altare solo quando gli altri visitatori fosse stati presi dall'interesse per qualche altro angolo della cappella.

« ...e si da il caso » continuava la guida, « che la zona del presbiterio fosse quella riservata alla sepoltura dei condannati più illustri. Lì sono state ritrovate quelle che sono, con tutta probabilità, le ossa di Anna Bolena e di sua cugina Catherine Howard, rispettivamente la seconda e la quinta moglie di Enrico VIII... Vi parlerò meglio di loro, nella Tower Green... Ora, signori, se vogliamo spostarci... si, signorina? »
Sally – che non mancava di risolutezza, quando un atteggiamento risoluto era necessario – aveva alzato una mano, per richiamare l'attenzione della guida.
« Mi stavo chiedendo... » cominciò Sally, e trenta teste si voltarono contemporaneamente verso di lei, « ...lei fa spesso questo giro guidato? »
La guida, per quanto leggermente perplessa, non esitò a rispondere con un sorriso.
« Praticamente tutti i giorni »
« Ed è sempre tutto... uguale? »
I dubbi di Sally erano così vaghi e imprecisi che le domande che finiva col formulare non potevano non essere da meno.
E quella sua domanda, decisamente singolare, suscitò qualche espressione di divertita perplessità sia tra gli altri visitatori che sulla rugosa fronte del Beefeater.
« In che senso, signorina? »
« Beh, ecco... mi chiedevo, visto che lei afferma di entrare in questi edifici ogni giorno, se non le fosse capitato di notare... ultimamente... qualcosa di strano, di inconsueto, di diverso... »
La guardia si azzittì e fissò Sally, da dietro le spesse lenti dei suoi occhiali. Sollevò le sopracciglia cespugliose e abbassò il mento. Gli altri visitatori osservavano Sally chi con un sorriso confuso e chi bisbigliando qualcosa al suo vicino.
« Continuo a non capire il senso della sua domanda, signorina. Può essere un po' più chiara? » la pregò la guida.
Sally abbassò per un attimo lo sguardo sul pavimento. Non per imbarazzo, ma per aiutarsi a formulare una domanda più precisa.
« Per strano intendo qualcosa come... non so, oggetti che vengono lasciati in un posto e ritrovati in un altro... »
La guida abbozzò un sorriso, tra l'ironico e il perplesso.
« No, no, davvero » assicurò.
« E che mi dice di qualche improvviso e inspiegabile calo di temperatura in una stanza della fortezza o magari qui, nella cappella? »
« Non mi pare di aver mai notato nulla del genere »
« E non le è nemmeno mai capitato, in una stanza vuota, di udire un suono simile a un eco di passi? »
« Signorina » sorrise la guida e parlò in tono fin troppo accondiscendente, « sta forse cercando di chiedermi se ho mai visto un fantasma aggirarsi per la Torre? »
Sally esitò. Per un paio di secondi si lambiccò il cervello alla ricerca di una scusa credibile, ma realizzò in fretta che tanto valeva dire la verità. Non le importava nulla di guadagnarsi risatine e occhiate storte da parte di un gruppetto di sconosciuti. Considerata la situazione in cui si trovava, altre erano le cose di cui Sally doveva preoccuparsi. Perciò, prestando fede al detto del “tentar non nuoce” , Sally ammise
di essere interessata alle storie di fantasmi che circondano la fortezza. E lui, la guida, poteva dire di aver mai visto un fantasma? – chiese ancora Sally. O di aver mai assistito a un evento che poteva dirsi legato all'apparizione di uno spettro?
L'anziano signore non poté trattenere una bonaria risata.
« Signorina, ha idea di quante persone siano morte all'interno di queste mura? Secondo le leggende, la Torre di Londra è uno degli edifici più infestati d'Inghilterra, ma... io non ho mai avuto la fortuna di incontrare uno spirito. No, nemmeno uno piccolo, piccolo »
Qualcuno dei visitatori ridacchiò a quelle parole.
Sally restò seria.
« Ma ha notato oppure no qualcosa di strano negli ultimi giorni? »
La guida soffocò un sorriso in uno sbuffo.
« No, signorina, dal canto mio davvero niente di... stranamente spettrale » dichiarò. A giudicare dal tono di divertita condiscendenza, era palese che la guida non stesse prendendo Sally sul serio – ma Sally non se la prese. Chi è tanto ingenuo da aspettarsi di essere preso sul serio quando va in giro a porre confuse domande riguardo a presunte apparizioni di fantasmi?
« Oh, ma aspetti un attimo! Ora che ci penso... » riprese tutto a un tratto l'anziano, e tutti – compresa Sally – posarono lo sguardo su di lui, « ora che ci penso... a qualcosa di insolito ho assistito »
La guida sembrava davvero credibile nella sua improvvisa aria seria e meditabonda.
« Ricordo di aver incontrato una giovane donna... »
Fece una pausa. Sally, anche se non lo dava a vedere, pendeva dalle labbra del vecchio guardiano della Torre.
« ...proprio qui nella cappella... » riprese l'uomo, « ...una strana ragazza bionda, con una lunga giacca, che mi poneva strane, ma davvero strane domande. Quand'è che è successo? Oh, si! » Sorrise del sorriso più divertito che si possa immaginare. « Proprio ora! »
La cappella echeggiò delle risate dei turisti.
Sally distolse lo sguardo e schioccò piano la lingua contro il palato, per impedire a sé stessa di ribattere alla guida. Era pronta a giustificare lo scetticismo altrui, ma non a farsi deridere con tanta libertà.
Palesemente soddisfatto di aver suscitato l'ilarità generale – e forse anche di aver messo a tacere Sally – la Yeoman Warder invitò il gruppo a spostarsi oltre l'arcata centrale, per osservare il monumento funebre in alabastro, protetto da una cancellata di ferro, realizzato in memoria di Sir Richard Cholmondeley e consorte.
Sally ne approfittò per salire il gradino rialzato che conduceva alla zona attorno all'altare.

La memoria di Anna Bolena era rappresentata tutta da una lastra di marmo ottagonale, accanto a un angolo dell'altare. Qualcuno vi aveva deposto sopra un piccolo mazzo di fiori, avvolti da carta crespa: due piccole rose di un rosso cupo, qualche crisantemo dai petali giallognoli e un ramoscello dalle foglie lunghe e aguzze. Sally si accucciò sui talloni, appoggiando le braccia sulle ginocchia. La cornice della lapide, color ocra, era decorata nella parte inferiore da stilizzati motivi floreali, mentre in alto, in caratteri neri e di imitazione squisitamente medievale, si leggeva: QUEEN ANNE BOLEYN, MDXXXVI. Al centro della lapide, trovava spazio lo scudo della famiglia Bolena – decorato da simbolici araldici, dei quali Sally ignorava il significato. Sally guardò il mazzolino; i fiori non erano freschi. Dovevano essere lì da un giorno o due.

«...quando venne sollevato il coperchio del monumento, sempre nel 1876, venne ritrovato al suo interno un fonte battesimale dell'epoca dei Tudor. Era stato spaccato in quattro parti, probabilmente nascosto qui durante il periodo del Commonwealth. Il fonte battesimale, riassemblato, è quello che potete ammirare ora vicino all'entrata della cappella... »

« Mi scusi, chi ha messo qui questi fiori? »
La voce di Sally riecheggiò per la navata, troncando bruscamente la spiegazione della guida.
« Non lo so, signorina » fu la risposta del Beefeater, parlando ad alta voce, oltre le teste degli altri visitatori. « Quella è una tomba e di tanto in tanto, qualcuno lascia dei fiori; è un gesto di bontà nei confronti dei morti. Tutto perfettamente normale, glielo posso assicurare.» C'era una leggera nota di scherno nella voce dell'uomo. Poi la guida pregò gentilmente Sally di scendere dalla zona dell'altare, non era permesso ai turisti di stare lì, e di tornare accanto al gruppo.
Sally gli assicurò che lo avrebbe fatto di lì a un istante, mentre faceva scivolare le dita lungo i bordi della lapide.
Su una cosa non potevano esserci dubbi: nessuno aveva mai tentato di sollevare quel blocco di marmo – non negli ultimi due giorni, sicuramente.
Premendo le mani contro le ginocchia, Sally si tirò in piedi.

***

Come annunciato, dopo la cappella di San Pietro ad Vincula, la guida condusse il proprio gruppo alla Tower Green – luogo che, a dispetto del nome, non è una torre, bensì un largo spiazzo all'aperto che occupa il lato ovest della grande corte interna della fortezza. Lì fuori, in barba al grigiore della giornata o alla severità che gravava sul luogo, i visitatori erano tanti, confusionari, e felici di esserlo. Il vasto cortile era animato da un chiacchiericcio svagato, distratto, meravigliato; gruppi di turisti camminavano in qua e là, in su e in giù per tutti gli spazi aperti. C'era chi scattava foto, chi era armato di telecamera e chi, più semplicemente, si guardava attorno ammirato. Si udiva, di tanto in tanto, lo scricchiolio secco dei rami degli alberi, il fruscio delle fronde verdi e scure e il rauco gracchiare dei corvi. Alcuni corvi zampettavano tra l'erba, altri planavano bassi da un ramo all'altro degli alberi; le povere bestiole non potevano permettersi di spiccare il volo oltre le mura della fortezza. Ai corvi erano state tagliate via le penne remiganti – le penne più lunghe, strette e rigide, necessarie per volare – dalle ali e dalla coda.

Il gruppo di Sally si era fermato accanto alla parete esterna meridionale della cappella di San Pietro ad Vincula, nel luogo dove agli inizi del XVI secolo sorgeva il patibolo sul quale erano stati gentilmente invitati a fare la loro ultima comparsa sette nobili e sfortunati personaggi dell'epoca. Un blocco di pietra protetto da una catena segnava il punto esatto; una targa ricordava i nomi delle persone giustiziate. Lord Hastings aveva avuto l'onore di essere la prima testa a rotolare dentro la cesta; più o meno cinquanta anni più tardi era arrivato il turno di Anna Bolena, seguita negli anni da Margaret, contessa di Salysbury; dalla regina Katherine Howard; da Jane, viscontessa di Rochford e da lady Jane Grey, regina senza corona per nove giorni, fatta giustiziare all'età di diciannove anni. Infine, agli inizi del XVII secolo, per non perdere le buone abitudini di famiglia, Elizabetta I – figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena – aveva mandato a morte Robert Devereux, conte di Essex, colpevole di aver ordito una congiura alle spalle della regina. Così stava spiegando la guida.

Sally era rimasta volutamente indietro, a tre o quattro metri dal gruppo. Con le mani nascoste nelle tasche, stava fissando, pensierosa, un corvo saltellare a pochi passi da lei sul selciato umido. La voce della guida le giungeva chiara all'orecchio, ma l'attenzione di Sally era malamente divisa tra le parole dell'uomo e i propri pensieri.

Erano quasi le undici – come le assicurava l'orologio che portava al polso; le sue due preziose ore erano passate in fretta, Sally era a metà del giro guidato e tutto ciò che aveva ottenuto, dopo il siparietto nella cappella, era che adesso una trentina di persone probabilmente la credevano un pochino matta.

Ma le domande erano ancora tutte lì, orfane di risposta, ad affollare la mente di Sally.

Il corvo voltò la testa di lato, mostrando il profilo affilato del becco. Il piccolo occhio, nero e lucido come una goccia di inchiostro, sembrava ricambiare lo sguardo di Sally.

Il fatto di non riuscire a tirare fuori un ragno dal buco - in parte perché non era certa di star cercando nel buco giusto - cominciava a fiaccare l'entusiasmo di Sally. Oltretutto, iniziava adesso a pesarle sul cuore – e le faceva venire i crampi allo stomaco – il costante ricordarsi che una volta uscita da lì l'aspettava un fermo della polizia. La sfiorò l'idea che forse avrebbe fatto meglio a dare ascolto a Larry . In fondo, si trattava pur sempre di un omicidio. Spettava alla polizia occuparsi degli omicidi. Non era un problema già abbastanza grosso quello di riuscire a non far ricadere i sospetti della polizia su di lei? A quest'ora l'ex moglie del signor Huddlestone avrà già fatto il mio nome a qualche ispettore... Inevitabilmente, Sally pensò Castiel. Forse dovrei cercare lui. Rintracciare un vivo avrebbe dovuto essere più facile che scovare un fantasma. Quella idea incerta rimase come sospesa tra i pensieri, come la polvere sui fili di una ragnatela.

Il corvo batté le ali, spiccò un breve volo e andò a fermarsi al centro del prato lì accanto. Sally lo seguì con lo sguardo.

« La curiosità uccise il gatto »

A chi non è mai capitato di incontrare una persona nello stesso momento in cui la si sta pensando? È una coincidenza che può suscitare un divertito stupore.
Ma pensare a una precisa persona e vedersela comparire accanto, arrivata dal nulla, non suscita stupore.
Fa paura.

E per la paura il cuore di Sally mancò un battito. La ragazza trattene il respiro, spalancò gli occhi castani, ma mantenne quel poco di controllo necessario per evitare di trasalire.
Non si voltò neppure - non subito almeno.

Castiel era accanto a lei.
A lui apparteneva la voce roca che aveva parlato un istante prima.
A lui apparteneva la figura che Sally scorgeva con la coda dell'occhio.

Sally esitò prima di girarsi verso Castiel. Intimamente, quasi pregò di essere vittima di un'allucinazione o di uno scherzo della propria suggestione.

La ragazza voltò il capo, lentamente e... Castiel era ancora lì – sì, era proprio lui, con lo stesso impermeabile indosso, la stessa cravatta male annodata, i capelli scuri un po' spettinati e le braccia rilassate lungo il corpo. Castiel non stava guardando Sally. Fissava un punto impreciso verso la White Tower, tenendo il mento dal profilo duro leggermente sollevato. Nessuna particolare espressione trovava posto sul suo volto. Tra quei lineamenti marcati si scorgeva qualcosa di simile ad una tranquilla e impassibile serietà. Nulla di più.

Sally invece fissava Castiel. E lo faceva con la fronte aggrottata, le bionde sopracciglia inarcate, le labbra dischiuse, gli angoli della bocca rivolti verso il basso. Sally batté confusamente le palpebre, poi si guardò attorno. Nessuno guardava dalla loro parte? Nessuno era rimasto basito nel vedere un uomo comparire dal nulla? La guida continuava a parlare, il gruppo ad ascoltare e poiché lo Yoeman Warder stava spiegando che Anna Bolena doveva aver visto costruire il patibolo per la sua esecuzione dalla finestre della Queen's House, tutti guardavano verso quell'edificio, dando le spalle a Sally. E a Castiel.

Ma gli altri? Gli altri turisti che gironzolavano lì attorno? Quella frotta di distratti visitatori smaniosi di scattare foto e comprare souvenir? Tutte quelle persone – si sarebbe detto – guardavano e ammiravano ciò che più premeva loro ammirare e guardare; non avevano tempo e occhi per altro. Sally tornò con lo sguardo su Castiel. Scosse piano la testa, come a voler negare la presenza di lui. Aprì e chiuse le labbra un paio di volte, e quando finalmente ritrovò la voce, tutto quello che riuscì a tirar fuori fu un confuso balbettio.

« N-no... no, no, no, no » farfugliò lentamente, a bassa voce, e ogni “no” era un calmo scuotere la testa. « Non puoi essere qui. N-non è... normale »

Castiel parlò, ma senza voltarsi verso Sally.
« So cosa stai facendo » disse – e Sally si azzittì. La voce di lui, bassa e roca, non vibrava di né di rimprovero né di preoccupazione; ma suonava estremamente severa. « Questo non è un gioco. È pericoloso e non ha nulla a che vedere con te » Ci fu una brevissima pausa. Castiel si voltò lentamente verso Sally. La fissò senza battere ciglio. « Perciò ascolta il mio consiglio: torna a casa »

A quel punto, se anche Sally avesse avuto una risposta pronta per controbattere, si sarebbe comunque ritrovata nell'impossibilità di farlo.
Per lo stupore e la confusione, la ragazza aveva nuovamente battuto le palpebre e Castiel... Castiel era sparito – all'improvviso, così come era arrivato – lasciandosi dietro solo il flebile eco di un battito d'ali.
Suono che – tra altre cose – sfuggì totalmente a Sally, i cui sensi furono, per pochi brevissimi secondi, incapaci di relazionarsi con quanto la circondava. Era consapevole solo di una cosa: del lento ritmo del proprio respiro. Lento quasi quanto l' affannoso tentativo della sua mente di elaborare quel che aveva appena visto e sentito. Ho avuto un'allucinazione? (E in tal caso, si sarebbe trattata di un'allucinazione dai modi davvero scortesi.) Ma subito un'altra ipotesi si fece avanti. E se quel Castiel fosse stato veramente un fantasma?

Sally fece scivolare una mano fuori dalla tasca e allungò un braccio in avanti, come se cercasse di tastare qualcosa, lì nel punto dove aveva visto Castiel.
Ma la sua mano trovò solo l'aria; fredda, impalpabile, inconsistente aria.
E Sally sentì il proprio cuore gonfiarsi di un'improvvisa e sgradevole sensazione: un misto di angoscia, di nervosismo, di frustrazione.
Era tutto molto inquietante, confuso e inquietante. Era una situazione che le faceva venire in mente un cupo e deprimente quadro surrealista, ma paradossalmente Sally era più irritata che spaventata - irritata dal fatto di non riuscire a capire nulla. 

« Castiel! » esclamò Sally in un sussurro rabbioso. E lo fece per puro istinto, quasi come sfogo per il proprio nervosismo.

Esclamare quel nome ad alta voce non servì a granché, ovviamente. Sally attirò su di sé gli sguardi sorpresi e perplessi di un trio di signore di mezza età che passava in quel momento accanto a lei. Anche qualcuno del suo gruppo, di quelli più vicini, si erano girati a guardarla. E Sally si sarebbe sentita in imbarazzo... se solo avesse avuto spazio per un'altra emozione. Le tre signore passarono oltre e il suo intero gruppo fu richiamato all'attenzione dalla guida: era tempo di entrare nella White Tower. Di lì a poco, avrebbero avuto tutti l'occasione di ammirare i famosi gioielli della corona, compreso il Black Prince's Ruby, incastonato nella corona imperiale del 1937 – come stava spiegando la guida, che raccomandò anche alle signore presenti di ammirare con attenzione i gioielli e poi di fare gli occhi dolci ai rispettivi mariti o fidanzati; l'ironico suggerimento suscitò una risata generale. Ma un enorme diamante di trecentodiciassette carati e altri preziosi vari erano davvero l'ultimo dei pensieri di Sally Sparrow. La ragazza tornò a nascondere entrambe le mani nelle tasche e, stretta nelle spalle, prese a seguire il suo gruppo, continuando a fare da coda. Aveva fatto solo tre o quattro passi quando si fermò per gettarsi un'occhiata depressa alle spalle, nell'animo aveva un indistinto, quasi inconsapevole desiderio, di vedere di nuovo Castiel. Sally era adesso sicura che lui – chiunque egli fosse – sapeva cosa stava succedendo. Sally scosse piano la testa e tornò a guardare dritto davanti a sé.

Trasalì. Questa volta trasalì e, sobbalzando, arretrò di un passo. Fu solo mordendosi forte l'interno del labbro che le riuscì di soffocare un'esclamazione di spavento.
Castiel era di nuovo lì.
Le stava di fronte, a meno di un passo di distanza. La stava guardando in quel suo modo innaturalmente fisso. Nel leggero cipiglio della fronte si scorgeva ora una vaga espressione di dubbio. O di minaccia.
Sally prese un respiro, chiudendo gli occhi per un istante, col cuore che cercava disperatamente di calmare i propri battiti.
« Sta a sentire » cominciò lei, con un leggero tremito nella voce. Le dita delle mani, ancora nascoste nelle tasche, si aggrapparono forte alla stoffa. « Non so chi tu sia e come faccia a sbucare fuori così, ma smettila. Smettila. O mi farai venire un infarto. O uscire pazza. O entrambe le cose.» Il tono alto in cui pronunciò le ultime parole tradì in modo palese il suo nervosismo. L'ultima volta che si era sentita così nervosa e aveva parlato con in quel modo era stato nel retro del negozio di Larry, più di un anno prima, davanti al video del Dottore che, inspiegabilmente, sembrava ribattere alle sue parole. Poi Sally ritrovò un attimo di calma. « Ma... chi sei tu? » E dopo un istante di esitazione, chiese: « Sei... un fantasma? »

Castiel, che aveva inclinato la testa di lato, socchiuse le palpebre in modo quasi impercettibile. Rispose, ma dalla sua risposta era facile intuire come non avesse preso in considerazione nemmeno una singola vocale pronunciata da Sally. « Come conosci il mio nome? » le chiese.
Sally lo fissò, possibilmente più sorpresa e confusa di quando non lo fosse fino a un attimo prima.
Sfilò una mano dalla tasca, sollevò il braccio, con il polso rivolto verso l'alto. La mano, insicura, indicò Castiel.
« Tu... me lo hai detto... il tuo nome »
« No, non l'ho fatto » fu la risposta di Castiel. Sembrava perplesso, ma era una perplessità che non prevedeva battiti di ciglia. Castiel non batté mai ciglio. Non lo fece neppure una volta.
Sally lasciò ricadere il braccio lungo il fianco.
« S-sì, che lo hai fatto. Hai detto “Il mio nome è Castiel”. Lo ricordo benissimo »
Castiel fece un passo in avanti. Sally arretrò d'istinto.
« Non ti ho mai detto il mio nome » ribadì Castiel.
Sally poteva dirsi confusa e incerta su molte cose, ma non sull'affidabilità della propria memoria.
« Sì, invece. Lo hai fatto » insistette. Guardò Castiel dritto in volto e questa volta fu lei ad assottigliare lo sguardo. « Me lo hai detto quando ci siamo incontrati sulla collina. Non... non lo ricordi? »
Questa volta Castiel non disse nulla. Sollevò una mano e toccò la spalla di Sally.

Sally Sparrow non seppe mai se nel momento in cui aveva avvertito la pressione della mano di Castiel sulla pelle, attraverso la stoffa degli indumenti, qualcuno dei visitatori stesse guardando dalla loro parte.
Ma se qualcuno lo stava facendo, se qualcuno stava guardando, allora doveva aveva visto con stupore una giovane donna e un uomo in impermeabile svanire silenziosamente nel nulla.

CONTINUA.

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Capitolo 7
*** Parte settima ***


C07

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.

Note: Nuovo capitolo. Di nuovo in ritardo: scusate davvero tanto! Questa parte della storia, non l'ho mai pensata troppo improntata sul “sentimentale” . Al contrario, il mio obbiettivo era quello di narrare un incontro... tra l'assurdo, l'ironico e il sovrannaturale. È tempo di un po' di “wibbley wobbley timey wimey” e di “I'm an angel of the Lord” e io sono terribilmente nervosa nello scrivere di Castiel. Ho il terrore di andare OOC. Dunque, tenendo presente che questo Castiel è quello della prima metà della quinta stagione di Supernatural (per l'esattezza tra l'episodio 3 e 16, prima che vada in depressione alcolica insomma ç.ç), lascio il capitolo al vostro giudizio. Ancora un GRAZIE enorme per le recensioni ad Alexya379, a Saliman e a Dk86! <3

Un piccolo chiarimento “temporale”: Sally Sparrow vive l'avventura con gli Angeli Piangenti nel 2007 – lasciatemi l'arbitrio, per esigenze narrative, di decidere un ipotetico mese: Gennaio. Il fugace incontro con il Dottore, in carne e ossa, avviene un anno più tardi, Gennaio del 2008. Sally afferma sempre che è passato quasi un anni e mezzo dalla sua avventura (quella con gli Angeli): Sally Sparrow sta vivendo il Marzo del 2008, il presente per Castiel invece coincide con la metà del 2009.


VII


Come se fosse appena scesa dalle montagne russe, ecco come si sentiva Sally. Era stato un attimo. Castiel le aveva toccato la spalla e lei, sorpresa, aveva abbassato lo sguardo sulla mano di lui. In quel preciso istante, Sally si era sentita piombare addosso la sgradevole, quanto improvvisa, sensazione di avere le gambe molli e lo stomaco sottosopra. Ma la ragazza non chiese cosa era successo. Il cosa, per quanto incredibile che fosse, era palesemente davanti ai suoi occhi: Sally e Castiel erano ancora all'aperto, ma non erano più nella Tower Green. Non erano nemmeno più nella Torre di Londra. Erano in un parco pubblico, e non un parco pubblico qualsiasi.

Sally sfilò con cautela le mani dalle tasche, mentre si guardava attorno; era disorientata, ma non così tanto non riuscire a riconoscere un luogo familiare.

« Q-q-questo è Acorn Park. S-siamo nel mio quartiere » balbettò Sally, trattenendo il respiro.

Pochi metri di verde nel bel mezzo di tante case, una meta per le passeggiate domenicale delle famiglie del quartiere: ecco cosa era Acorn Park. E in quel momento era anche un parco deserto. Sally e Castiel erano all'ombra di uno degli alberi piantati lungo un vialetto di ghiaia. Una panchina di legno riposava due passi più in là. Dall'altra parte del viale, sul prato che era il centro del parco, c'era una di quelle belle giostre di cavalli, colorate, piene di luci e di specchietti. Ma a quell'ora di mattina, in quel periodo dell'anno, la giostra di Acorn Park era ferma. Le luci erano spente, e il grigiore del cielo sembrava riflettersi nei colori della giostra; li rendeva tristi e smorti. Ancora più in là della giostra, si intravedeva il profilo scuro di un cancello di ferro battuto, aperto. Era l'ingresso del parco. Da oltre il cancello, arrivavano i confusi rumori della strada.

Pressoché immobile di fronte a Castiel, Sally si sentiva così spaesata e confusa che quasi temeva di cadere, se si fosse azzardata a fare un movimento troppo brusco. Tesa come una corda di violino, strinse le mani attorno alla cinghia della borsa. Respirava lentamente, senza fa rumore. Il cuore, invece, se lo sentiva battere forte sotto al petto. Castiel se ne stava fermo davanti a lei. Aveva subito tolto la mano dalla spalla di Sally e ora sembrava limitarsi a guardarla. L'espressione di lui non era mutata; continuava ad essere leggermente accigliato.

Sally deglutì, portando lo sguardo sul volto impassibile di Castiel.

« A-Allora è così che riesci a sbucare fuori all'improvviso? » La ragazza parlò senza alzare la voce. « Cos'è, un qualcosa... del tipo... teletrasporto? »

Castiel non fece una piega davanti alla reazione di Sally; ripeté soltanto: « Voglio sapere come fai a conoscere il mio nome » .

Le sopracciglia della ragazza scattarono verso l'alto.

« Ehm, chiedo scusa, ma pochi secondi fa eravamo al centro della Torre di Londra. Ora siamo... qui. E tu non hai nessuna intenzione di spiegarmi come sia stato possibile? » esclamò Sally, con la voce resa un po' più acuta dal nervosismo, che si faceva strada tra lo stordimento generale.

« Come conosci il mio nome? » domandò di nuovo Castiel. Era difficile cogliere le sfumature in una voce così roca. Castiel sembrava calmo, eppure parlando aveva stretto forte la mascella, come in un guizzo di nervosismo.

Sally sorrise, irritata.

« Ha intenzione di ripetere lo stessa domanda all'infinito? »

Un paio di secondi silenzio e Castiel diede l'impressione di distendere la fronte.

Sopra le loro teste, i rami dell'albero furono scossi da un fremito di vento.

Castiel alzò lo sguardo verso la pianta. «No » disse a Sally. « Solo fino a quando non mi darai una risposta ».

Sally ebbe un attimo di profonda perplessità. Più profonda di quanto non fosse già tutta la sua confusione.

Era quella una frase detta con l'intento di suonare ironica? Perché le parole calzavano a pennello per un'osservazione ironica, ma il tono con cui erano state pronunciate di ironico non aveva proprio nulla. Castiel aveva parlato in tono serio, serio e convinto.

« Ma io ti ho risposto! E sarebbe il caso di ricambiare la cortesia » esclamò Sally, mollando la cinghia della borsa con un gesto deciso. Si accorse che muoversi, e parlare, faceva rapidamente affievolire la sensazione di essere mezza stordita. Sally si sentiva di nuovo salda sulle gambe, cosciente del terreno umido sotto le sue scarpe, dell'aria fredda nei suoi polmoni. Fece un passo in avanti.

« Perché continui a chiedermelo? Ci siamo incontrati otto giorni fa esatti. Sono io, Sally! » E disse a Castiel della campagna e della vecchia chiesa sulla collina; di come lei fosse occupata a scattare foto quando lui le era comparso accanto. E gli disse anche del crollo della croce, che l'aveva mancata per un soffio. « Davvero vuoi farmi credere che non te lo ricordi? » concluse.

Alle ultime parole, Sally vide Castiel stringere piano i pugni, ma non ebbe alcun timore di lui.

Sally Sparrow di buon senso ne aveva da vendere, ma in quell'occasione si stava rifiutando di ascoltarlo: qualsiasi altra donna, al suo posto, si sarebbe preoccupata nel ritrovarsi tutta sola, in un parco deserto, con uno strano e cupo individuo apparentemente capace di teletrasportarsi da un posto all'altro.

Sally, invece, non aveva paura di Castiel in quel parco, così come non ne aveva avuto paura sulla collina. Non mi farà del male, aveva spontaneamente pensato nell'incrociare lo sguardo di Castiel per la prima volta. Non mi farà del male, Sally continuava a ripeterselo anche il quel momento. E in una così poco razionale (e di questo Sally ne era, suo malgrado, perfettamente consapevole) quanto forte convinzione stava anche il motivo per il quale Sally aveva assicurato a Larry che Castiel non poteva essere l'assassino del signor Huddlestone.

Tuttavia, sebbene non fosse spaventata, Sally cominciava a sentirsi un po' a disagio davanti allo sguardo di Castiel: lui la stava scrutando in volto con tanta intensità da far venire il sospetto che stesse cercando di leggerle nel pensiero. Non che Sally credesse che Castiel potesse davvero farlo, leggerle nel pensiero, ma per sicurezza indietreggiò di un passo, mentre lasciava cadere entrambe le braccia lungo i fianchi.

« Smettila di guardarmi così » disse, seccata. « Sei... inquietante ».

I modi di Castiel le restavano misteriosi, ma Sally Sparrow non poteva nemmeno lontanamente immaginare di essere a sua volta un piccolo e curioso mistero per il suo singolare interlocutore. O quanto meno, rappresentava un indesiderato contrattempo.

Per qualche lungo secondo, nessuno dei due si mosse. Poi Sally vide Castiel battere le palpebre e sollevare leggermente il mento. Lui rilassò le mani e cambiò espressione. Non si sarebbe potuta descrivere come un'espressione gentile, ma c'era qualcosa di aperto e di sincero in quel suo distendere la fronte e sollevare lo sopracciglia. Quando parlò, la sua voce, pur restando seria e roca, suonava meno severa.

« Non ti ho mai incontrata prima di ieri, e tu sei sincera. La persona che hai incontrato otto giorni fa non ero io. »

Ci fu di nuovo una pausa e fu Sally la prima a rompere il silenzio.

« No... » La ragazza scosse la testa lentamente. « No, a meno che tu non abbia un gemello che se ne va in giro vestito tale e quale a te, quello eri tu. E questa conversazione non ha senso. » aggiunse.

Una folata di vento scompigliò i capelli di Sally e agitò il bordo dell'impermeabile di Castiel, che fece un passo di lato e spostò lo sguardo sulla giostra.

« Chiunque tu abbia incontrato otto giorni fa non ero io... otto giorno fa, non ero neppure in questa città »

« Ah, e dov'eri? » lo interrogò Sally, voltandosi per seguire i movimenti di Castiel.

Lui le passò accanto e la superò senza guardarla.

« Lontano ».

« Quanto lontano? »

« A più di tremila miglia e un anno e mezzo da qui ».

Castiel si fermò dietro alla panchina e chiuse le mani sul bordo dello schienale, guardava verso la giostra e dava le spalle a Sally.

La ragazza, mentre fissava le spalle di Castiel, aggrottò la fronte e arricciò le labbra in un sorriso a metà tra il sarcastico e il perplesso. « Gli anni non sono unità di misura per lo spazio » fece ironicamente notare, infilando le mani in tasca. « A meno che tu non stia parlando di anni luce, e ne dubito. Solo il tempo si può misurare in anni.»

Castiel voltò la testa quel tanto che bastava perché Sally si ritrovasse a fissarne la linea del profilo, nell'aria livida.

« Lo so » disse Castiel.

A quell'affermazione gettata lì con perfetta noncuranza, il cuore di Sally ebbe un sobbalzo. La ragazza rimase a fissare con le labbra semi dischiuse, in un'espressione vagamente spaurita, la nuca di Castiel – che si era di nuovo voltato verso la giostra. Tra il groviglio di nuovi e agitati pensieri che si stavano affollando nella sua mente, Sally ne sentì squillare uno, chiaro e schietto, su tutti gli altri: Non può essere. Non di nuovo. Non un altro.

E fra tutte le domande che premevano per essere espresse ad alta voce, Sally si lasciò sfuggire la più insolita.

« Ehm... un anno e mezzo nel passato o un anno e mezzo nel futuro? »

Occorre precisare che la domanda sarebbe stata insolita se a porla fosse stato qualcuno completamente digiuno di viaggi nel tempo. E Sally Sparrow non lo era.

Un pensiero simile, con molta probabilità, dovette attraversare anche la mente di Castiel, che si voltò verso Sally con la fronte leggermente corrugata.

« Futuro. Dal 2009 ».

Sally incrociò le braccia sotto al petto; i suoi sentimenti erano pericolosamente in bilico tra due opposti, lo scetticismo più totale e il più totale entusiasmo.

« Quindi tu puoi, cosa? Viaggiare nel tempo? » domandò, diffidente.

La risposta di Castiel fu un chiaro e lapidario: « Sì ».

« Allora, se sei un viaggiatore nel tempo, saprai dirmi come fai a viaggiare nel tempo. E che cos'è il tempo. » disse Sally, con una leggera, quasi involontaria, aria di sfida.

Castiel, che non sembrava per nulla impressionato, rispose guardandosi distrattamente attorno.

« Posso piegare il tempo, se mi occorre. Il tempo è fluido*... »

«...e fluttuante, come una grossa bolla, che va e viene? »

Castiel portò gli occhi azzurri sul viso di Sally. Difficile dire se fosse sorpreso, sospettoso, o altro.

« In base alla mia esperienza » disse, « non è così che gli esseri umani reagiscono quando si parla di viaggi nel tempo ».

Sally gli sorrise a labbra strette, quasi compiaciuta.

« Già, faccio paura, vero? » disse, inarcando le sopracciglia, ma mise subito da parte il sarcasmo. Sciolse le braccia e scosse la testa. « Ok... » sospirò. « Se tu stai dicendo la verità, e lo spero per te perché oggi non sono dell'umore adatto per farmi prendere in giro; se tu stai dicendo la verità, allora sappi che non sei il primo che incontro ».

Castiel la stava ascoltando tenendo il capo leggermente inclinato. La osservava in modo strano; non come se non ne capisse le parole, ma come se cercasse qualcosa negli occhi castani di lei.

Sally aspettò che Castiel parlasse, ma lui non disse nulla, e così la ragazza chiese, un po' titubante:

« Ma... quanti di voi ce ne sono, là fuori? »

« Legioni ».

Che strano termine, pensò Sally. Legioni di viaggiatori nel tempo.

Entrambi, per quel brevissimo frammento di conversazione, furono ingenuamente convinti di parlare della medesima cosa.

« Ah, e... il soprabito lungo?» Sally indicò un lembo del risvolto del impermeabile di Castiel. « Cos'è, una specie di divisa? Ne indossate tutti uno, voi che viaggiate nel tempo?»

Castiel che aveva abbassato lo sguardo per scrutare il gesto di Sally, tornò a guardarla in volto.

« No » e non aggiunse una sillaba di più.

Sally fece scivolare le mani in tasca. « L'altro era molto più loquace » osservò a mezza bocca.

E tanto per dar credito a quella osservazione (pensò Sally) Castiel continuava a stare in silenzio. Ma in quel silenzio, qualcosa era cambiato: Castiel sollevò la testa e spostò lo sguardo di lato, con l'aria di chi ha improvvisamente visto – o compreso – qualcosa che non lo fa troppo felice.

Sally non ci badò. Era tutta impegnata a prendere il genere di profondo respiro che serve a non perdere la calma.

« Sta a sentire » cominciò la ragazza, « tu sei un individuo piuttosto... strano ».

Castiel inarcò le sopracciglia.

« Sparisci in un posto e appari un altro. Affermi di poter viaggiar nel tempo. Ricordo benissimo che mi hai addormentata, o che so io, solo sfiorandomi la fronte. E adesso te ne esci fuori dicendomi che il tu che ho incontrato vicino alla chiesa, non eri tu. E, fingendo per un attimo che tutte queste cose non siano totalmente e assolutamente fuori dal comune, resta il fatto che ti ho trovato sulla scena di un delitto... dove a un pover'uomo era appena stata tagliata via la testa e dove io sono quasi certa di aver incontrato » Sally abbassò la voce e sussurrò in fretta, «...un fantasma. Ora » tornò a parlare a voce alta, « non è la prima volta che ho a che fare con cose strane o strani esseri, e non ho paura. Ma sono confusa. Molto, molto confusa. Te ne sarei davvero grata, se tanto per cominciare, mi spiegassi che cosa è successo alla mostra. Perché tu lo sai cosa è successo, altrimenti non mi avresti detto di non immischiarmi nella faccenda. »

Castiel piegò le braccia per appoggiare le mani sul bordo dello schienale della panchina, dietro di sé.

« L'uomo nel palazzo è stato ucciso da un fantasma » disse, con un tono quasi del tutto inespressivo. E poiché Castiel non sembrava intenzionato ad aggiungere altro, Sally lo guardò come a dire “Tutto qui?” « Il fantasma di una donna sepolta nella fortezza dov'eravamo prima » aggiunse lui, spostando gli occhi azzurri in un punto impreciso, alla destra di Sally, la quale dal canto suo non aveva ascoltato nulla di nuovo; solo una conferma delle supposizioni.

« Ah, bene... » mormorò la ragazza, ma un attimo dopo esclamò, allarmata: « Ehm, non... non intendevo dire bene riguardo alla morte del signor Huddlestone! Il mio bene era riferito al fatto che... beh, avevo capito che era stato il fantasma. Quindi i fantasmi... esistono? »

« Sì ».

« E tu... »

Castiel sollevò una mano per interromperla. « Io... non sono un fantasma » dichiarò.

Sally strinse le labbra in un involontario sorriso.

« Sì. Sì, questo lo avevo capito » assicurò. « Quello che stavo per chiedere era: e tu perché eri all'esposizione? »

« Seguivo una traccia ».

Tre parole e non una sillaba in più. Sally stava imparando, suo malgrado, il significato dell'espressione: tirar fuori le parole di bocca.

« Intendi dire... che eri sulle traccie del fantasma? Ma chi cavolo sei, una specie di ghostbuster che viaggia nel tempo?»

« Il fantasma era la traccia ».

« La traccia di cosa? »

« È complicato ».

Sally lo guardò storto. Perché se ne uscivano tutti con un “ È complicato” quando cercavano di non darle spiegazioni?

« E io sono discretamente intelligente e abbastanza grande da saper ascoltare con attenzione! »

« Mi... » Castiel cominciò a parlare, e per un attimo diede l'impressione di non sapere come andare avanti, « ...dispiace che tu abbia avuto la sfortuna di trovarti in quel palazzo ieri sera. Ti sei trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato... è così che si dice, vero? Ma io ti ho riportata a casa con la speranza che tu ci restassi. Quindi, adesso, sii tanto gentile da tornarci, a casa. E... cerca di non starmi tra i piedi ». Pronunciò l'ultima frase con una strana intonazione: quella di qualcuno che cerca faticosamente di ricordare una battuta udita altrove.

Sally prima guardò Castiel a bocca aperta, poi scosse energicamente la testa. « No!» esclamò. « Primo: non vedo perché dovresti dirmi tu cosa fare o cosa non fare. Secondo: sei molto maleducato, lo sai? »

Sally chiuse la bocca e subito ebbe la sensazione che Castiel non la stesse ascoltando. Lui aveva abbassato gli occhi sull'erba, con una piccola ruga tra le sopracciglia aggrottante.

« Per caso, questa è una di quelle occasioni in cui dovrei dire una cosa diversa da quella che penso... per... ottenere quello che voglio? » domandò Castiel, con aria seria e pensierosa, rialzando piano lo sguardo su Sally.

Al che, Sally si ritrovò a chiedersi se viaggiare nel tempo non fosse un'attività che rendeva le persone un po' tocche. Il pensiero successivo fu che Castiel la stesse prendendo in giro. Oh, ma lo avrebbe imparato presto, Sally Sparrow, che Castiel possedeva tanto senso dell'umorismo quanta conoscenza della natura umana.

« Stai... facendo lo spiritoso?» chiese Sally, tra l'offeso e il dubbioso.

« Ti chiedo scusa. So che esistono delle situazioni in cui gli esseri umani considerano opportuno mentire, ma non ho ancora capito quali siano, le situazioni ».

Sally continuava a fissarlo, senza capire. Perché Castiel continuava a dire sciocchezze in tono così serio? O la stava prendendo in giro, oppure...

« Ma cosa sei? Un alieno? » sbottò Sally, vicina all'esasperazione.

« No, sono un angelo del Signore ».

Sally non si scompose. Restò ferma, con le mani ancora in tasca e le sopracciglia sollevate in un'espressione di tranquilla incredulità. Per un attimo, collegò le parole di Castiel al ricordo degli Angeli Piangenti. Batté le palpebre. La conversazione stava prendendo una piega così assurda, che quasi le veniva da ridere.

« Cosa? Un angelo... vero? »

« Sì » rispose Castiel, sempre fermo nella medesima posizione.

Ma Sally, ovviamente, non era convinta. Non lo era neppure un po'. Da quando in qua gli angeli, i veri angeli, se ne andavano in giro a presentarsi in quel modo? E da quando indossavano un impermeabile come il tenente Colombo?

« Un angelo... » ripeté lentamente Sally e sfilò una mano dalla tasca. « Significa che arrivi da... » Indicò in alto, verso il cielo.

« Sì » disse ancora Castiel. E questa volta Sally era pronta a giurare che ci fosse stato un sospiro di impazienza in quel sì.

Lei, ancora con il braccio sollevato, obbiettò con la prima frase che le venne in mente.

« Ma... non hai per niente l'aspetto di un angelo! »

« Quanti angeli hai incontrato prima d'ora? »

Sally Sparrow era quasi certa che gli Angeli Piangenti non contassero.

« Valida osservazione » ammise, abbassando il braccio, « ma non ti aspetterai che creda a uno sconosciuto che se ne esce con: “Ciao! Come va? Sono un angelo del Signore” ».

« Io non ho detto “Ciao, come va?”» si curò di sottolineare Castiel, sempre serio.

« Ma... dicevi di essere un viaggiatore nel tempo! » protestò Sally.

« Infatti... io posso viaggiare nel tempo ».

« E sei anche un angelo? »

« No, io sono un angelo. E gli angeli possono spostarsi nel tempo.» Castiel sembrava infastidito. « Ma non avevi detto di essere discretamente intelligente? »

Prima che Sally potesse ribattere a quello che aveva preso come un mezzo insulto, Castiel aggiunse: « Vai a casa. Io non posso permettermi il lusso di perdere altro... tempo ». E si scostò dalla panchina.

« Dove vai? » esclamò Sally.

« Non è affar tuo. Come ti ho già detto, tu non hai niente a che vedere con questa storia ».

Ma Sally non aveva intenzione di mollare la spugna: ripiegò furbescamente sull'episodio della collina, sperando di trattenere Castiel.

« E la faccenda del tu-non-tu? Quella si che a che a fare con me!»

Castiel la guardò.

« Perché credi che sia rimasto qui a parlare con te? Tornerò per scoprire chi, o cosa, tu abbia incontrato. Ma ora devo occuparmi di una faccenda più importante... »

E scomparve. Semplicemente scomparve, senza una parola di congedo, lasciando Sally a fissare il vuoto.

Questa volta però la ragazza lo aveva udito distintamente: un suono simile ad un battito d'ali.

« E giusto perché tu lo sappia... »

Sally trasalì dallo spavento. Era la voce di Castiel, ed era alle sue spalle.

La ragazza si voltò.

« Giusto perché tu lo sappia, l'uomo che chiamate il Dottore non è più umano di quanto lo sia io **».

Sally non ebbe nemmeno il tempo di aprire la bocca per la sorpresa, che Castiel era di nuovo svanito.

***

Dopo aver salito a piedi tre rampe di scale, quando fu sul pianerottolo davanti alla porta del suo appartamento, Sally era così immersa nei propri pensieri che quasi non sentì la signora Grossman – la sua dirimpettaia – che la stava salutando. La signora stava uscendo in quel momento da casa, con il suo piccolo yorkshire tutto nero al guinzaglio. Fu il fastidioso abbaiare del cane a riportare Sally con i piedi per terra. « Nocciolina, smettila di fare tanta confusione. Non riconosci più Sally? » la signora rimproverò amorevolmente il cane. « Sally cara, come mai a casa a quest'ora? » domandò la gentile signora, mentre prendeva in braccio la bestiolina – che non la smetteva di abbaiare furiosa verso Sally.

Sally ignorò il cane e tirò fuori un sorriso cortese e tranquillo.

La vera risposta avrebbe dovuto essere qualcosa come: “Perché uno tizio che pretende di essere un angelo ha detto che devo starmene a casa. E perché non so più davvero dove altro andare, o cosa altro fare.”

« Credo di essermi presa un po' di influenza » buttò lì Sally e salutò la vicina, sgattaiolando in casa prima che la signora avesse il tempo di attaccare discorso.

Mentre chiudeva a chiave la porta, la ragazza udì i passi della signora Grossman che scendeva le scale. Il cane aveva smesso di abbaiare.

La ragazza si trascinò fino al divanetto. L'appartamento era piccolo, non aveva un vero e proprio ingresso e la porta dava direttamente sul modesto soggiorno. Sally si tolse stancamente giacca e sciarpa e le gettò sul divano insieme alla borsa con il computer. Lei scivolò seduta dall'altro lato del divano. Piantò il gomito contro il bracciolo e poggiò il mento sul dorso della mano. Diede un'occhiata all'orologio al polso: mezzogiorno in punto. Mentre fissava lo schermo spento del televisore, l'espressione di Sally si alternava tra il cruccio e una rassegnata apatia. Un paio di volte sospirò in silenzio. Aveva un gran confusione in testa; si stupì quasi di non aver mal di capo, con tutti quel groviglio di pensieri. Il fantasma di Anna Bolena e la morte del signor Huddlestone erano momentaneamente passati in secondo piano. Ora Sally non riusciva a pensare a nulla che non fosse Castiel.

Un angelo.

Anche se non sapeva ancora se credergli oppure no, Sally non era così ottusa da rifiutarsi di accettare che, bugiardo o sincero, Castiel restava una persona fuori dall'ordinario. Anzi, lontanissima dall'ordinario.

Ma un angelo! Le sembrava troppo.

Era già mezzogiorno e dieci minuti, quando Sally si allungò verso la borsa per prendere il computer. Se lo appoggiò sulle ginocchia e lo accese. Dopo aver tamburellato le dita sul bracciolo, digitò la parola angeli. Poi aggiunse manifestazioni. Premette il tasto di invio e ottenne qualche migliaio di risultati. Sally scorse la pagina da su a giù, senza sapere da dove cominciare.

Altro che filo scarlatto per sbrogliare la matassa, pensò sconsolata. Qui mi ci vuole un navigatore satellitare.

Il telefono squillò, cogliendo Sally di sorpresa.

La ragazza si voltò verso il cordless, sul mobile accanto al divano. Per un attimo Sally contemplò l'idea di non rispondere. Poi si chiese se facesse parte della prassi della polizia telefonare in casa dei sospettati di omicidio. Alla fine, si decise a sollevare la cornetta.

« Pronto? »

Udì con sollievo la voce di Larry.

« Che fine hai fatto? » chiese il ragazzo, dall'altro capo del telefono. « Questa è la terza volta che provo a chiamarti a casa. Avevi detto che mi avresti telefonato appena uscita dalla Torre di Londra. »

Era vero. Sally lo aveva promesso. E Castiel le aveva fatto dimenticare la promessa.

« Scusa, hai ragione. L'ho dimenticato... » disse Sally. « Ma perché non mi hai chiamata sul cellulare? »

« Mi hai detto tu di non farlo! » le ricordò Larry.

Sally si passò una mano sulla fronte, come per schiarirsi i pensieri.

« Già, giusto... » mormorò.

« Sally, stai bene? »

« Ehm, sì... » rispose poco sinceramente lei. « Che mi dici della polizia, è venuta in negozio? »

« No, non ancora. E tu, trovato il fantasma? » scherzò Larry.

« No, ma ho trovato Castiel. »

« Cosa? Come... dove? »

« Beh, lui ha trovato me... » precisò Sally. « E, sai una cosa Larry, credo che Castiel lo conosca. Credo che sappia qualcosa del Dottore

« Sul serio? Ma chi accidenti è questo tizio? »

« Ah, non ci crederai, ma afferma di essere un... »

Dlin dlon!

Suonarono alla porta, in quel momento. 

« Aspetta un attimo ».

Sally spostò il pc sul divano e si alzò, portandosi dietro la cornetta del telefono. Andò alla porta e guardò dallo spioncino.
Represse un sospiro mentre scostava il viso dalla porta.

« Larry... ti richiamo più tardi ».

Sally chiuse la chiamata. Tornò al divano e mise la cornetta del telefono al suo posto, prima di riavvicinarsi all'ingresso. Sally prese un bel respiro e aprì la porta.

CONTINUA.

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*Come Castiel spiega nella puntata “In principio” 4 x 03, quando si trova con Dean nel 1973.
**Non ho mai ben capito se Castiel sappia leggere nella mente delle persone (sicuro sa leggere la mente degli altri angeli, come in My Bloody Valentine), ma in Free to be you and me conosce il passato della prostituta solo guardandola negli occhi, quindi suppongo che Castiel sia in grado se non di leggere, almeno di sbirciare nei ricordi delle persone.
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Se tra i lettori c'è qualche pignolo conoscitore delle dinamiche nell'Universo di Supernatural scoverà in questo capitolo una piccola contraddizione con l'originale, ho la presunzione di assicurare che quello che sembra sbagliato qui, tornerà al suo posto nel prossimo capitolo. ;D

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Capitolo 8
*** Parte ottava ***


C07

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.

Note:  posso spiegare il motivo di questo vergognoso ritardo. Una mattina, uscendo di casa sono caduta in un portale interdimensionale che mi ha trasportato due mesi in avanti nel futuro, direttamente nel 2011. Vi prego di credere a questa scusa, perché è  molto più interessante dell'elenco di imprevisti e impicci che mi hanno tenuta occupata nelle settimane scorse. Come sempre ringrazio tutti coloro che leggono, quelli che hanno messo la storia tra le seguite e coloro che spendono un po' del loro tempo nel lasciarmi dei commenti. *_* GRAZIE! E ora che c'è il pulsante di risposta, potrò rispondere e ringraziarvi singolarmente. 

VIII

«Sally Sparrow?»

Con le dita nervosamente strette attorno alla maniglia della porta, Sally fissò il poliziotto in uniforme fermo davanti all'uscio dell'appartamento. Era un uomo giovane, e di bell'aspetto anche. Tuttavia, fosse anche stato il più bel sosia del più bel divo hollywoodiano , dal punto di vista di Sally, la visita restava estremamente sgradita.

«Sì, sono io...»

Sì, lei era Sally Sparrow e non voleva parlare con il poliziotto. Non in quel momento. Dopo aver passato la mattinata ad inseguire spettri e leggende, e l'ultima mezz'ora a riflettere su angeli e viaggiatori nel tempo, solo in quel momento Sally realizzò di non essersi mai veramente fermata a pensare a cosa dire alla polizia.

«Sono l'agente Henrich» si presentò il poliziotto, togliendosi quel copricapo scuro, dalla vaga forma a campana, che completa l'uniforme dei poliziotti di Sua Maestà. L'uomo aveva i capelli ricci e castani, orecchie leggermente a sventola e un modo di fare apparentemente molto pacato. Sorrise a Sally. Le piccole rughe d'espressione ai lati degli occhi – ed erano dei begli occhi verdi – suggerivano un carattere incline al buonumore. Un particolare, quest'ultimo, che Sally avrebbe certamente notato, se non fosse stata tanto presa dal decidere quale espressione dare al proprio, di viso.

«Non voglio farla agitare, signorina Sparrow, ma sono qui per farle delle domande. Posso entrare?»

Sally limitò la sua risposta ad un annuire rapido e silenzioso. Si spostò di lato per lasciar entrare il poliziotto e chiuse la porta, con poca fretta. Era ancora voltata quando si sentì domandare, senza alcun giro di parole: «Lei conosceva Arden Huddlestone, signorina Sparrow?»

Sally chiuse gli occhi solo per un istante, mentre faceva scivolare via le dita dalla maniglia. Si voltò, mordendosi forte l'interno della guancia.

«L'ho incontrato, per caso, una sola volta» disse. «Ieri sera. Ero a un'esposizione, a Bloomsbury».

«Signorina Sparrow... » l'agente Henrich sembrò titubare un istante, «mi dispiace informarla che il signor Huddlestone è... »

« ...morto».

Sally non era riuscita a frenarsi e non si sforzò neppure di fingersi sorpresa.

Chi sembrava sinceramente sorpreso era, invece, l'agente Henrich: guardò Sally con aria poco professionalmente attonita. E continuò a farlo per una manciata di lunghi e silenziosi secondi, scanditi dal secco tic tac dell'orologio nella vicina cucina. Sally, con le labbra strette in un'espressione di attesa e di disagio, fissava – senza vederle in realtà – le tende bianche della finestra del soggiorno. Le tende erano tirate e la striscia di cielo, sopra i tetti scuri della case del quartiere, era ridotta ad un ammasso di nuvoloni grigi. Il tempo andava peggiorando. La luce nella stanza era livida e sonnolenta.

«C-C-come sa c-c-che il s-s-signor Huddlestone è m-m-morto?» domandò a fatica il poliziotto. Le consonanti gli si bloccavano in gola, le vocali gli uscivano sfiatate.

Sally spostò lo sguardo sull'agente Henrich. Grandioso. Deve avere la balbuzia nervosa, pensò. E pensò anche che farglielo notare sarebbe stata una gran scortesia. L'insicurezza dell'uomo, unita alla giovane età, fecero supporre a Sally di trovarsi davanti a un poliziotto alle prime armi.

«Perché ho trovato il cadavere» spiegò Sally, che si sentiva incapace di architettare bugie. «Ieri sera, intorno alle sette, in una delle sale della mostra».

«L-l-lei ha ritrovato il c-c...il ca-cadavere?» esclamò l'agente Henrich. «E p-perché n-n-non è andata alla polizia?»

Sally batté le palpebre. Pensò in fretta. Qui una bugia era necessaria.

«Io... io ero sotto shock» rispose, ma senza esagerare con l'enfasi. «Sono rimasta chiusa in casa per tutta la mattina». I suoi occhi corsero rapidi alla propria giacca, abbandonata sul divano, assieme alla sciarpa e al portatile. «Ma ero sul punto di decidermi ad andare dalla polizia».

L'agente Henrich si rigirò il capello tra le mani, come se fosse indeciso. O meglio, come se sapesse cosa fare, ma fosse restio a farlo. Infine, parlò usando un tono formale, sforzandosi di darsi un'aria professionale e capace.

«S-s-s-si... » Riprese il controllo e ingranò la marcia. «Signorina Sparrow, ho bisogno di una sua dettagliata deposizione su tutto quel che ha fatto da ieri sera alle sette fino ad ora».

Sally provò una spiacevole sensazione allo stomaco, qualcosa di molto simile alla nausea, ma si impose di mostrarsi tranquilla e disponibile. Si disse che, a ben guardare, partendo dalla sera precedente, fare una deposizione poteva considerarsi la cosa più normale che le fosse capitata. Questo pensiero non impedì però alla sua immaginazione di mostrarle l'angosciante scena di una sé stessa, chiusa in una piccola stanzetta illuminata da una verdognola luce al neon, seduta a un tavolo a rispondere a un fiume di pressanti domande.

Quel che invece Sally non poteva immaginare era che, in capo a pochi minuti, non avrebbe più trovato così terribile l'idea dell'interrogatorio, se messa a confronto con quanto le stava per accadere.

«Devo seguirla alla stazione di polizia?»

«No» rispose inaspettatamente l'agente Henrich. «Posso ascoltare qui la sua testimonianza».

Digiuna com'era di pratiche investigative, Sally non si porse il dubbio dell'ortodossia della pratica. Mentre invitava il poliziotto ad accomodarsi sul divano, si limitò a meravigliarsi con sollievo del fatto che questo avesse usato la parola “testimonianza” e non “confessione”.

«Suppongo» disse lei, mentre l'uomo sedeva a gambe larghe sul divano, «che sia stata l'ex moglie del signor Huddlestone a fare il mio nome alla polizia».

L'agente Henrich, che aveva abbassato lo sguardo sul portatile, probabilmente per leggerne la schermata – angeli e manifestazioni – tornò a guardare Sally.

«Sì, è stata la signora ha farci il suo nome». Abbozzò un sorriso a labbra strette. «Lei non si siede?»

Sally guardò il divano: era piccolo. Non c'era posto per lei se prima non avesse tolto la giacca e il computer.

«Mi dispiace per la confusione» si scusò la ragazza, piegandosi in avanti per raccattare le proprie cose. Gettò sciarpa e giacca sull'avambraccio destro e con la mano libera abbassò lo schermo del laptop. «Vado a metterli a posto. Non si preoccupi: non posso fuggire dalla finestra. Siamo al terzo piano».

Il tentativo di fare dell'ironia sfiorì in un debole accenno di sorriso da parte dell'agente Henrich e in un certo imbarazzo da parte di Sally.

Sally lasciò il poliziotto in soggiorno e percorse a passo svelto quei pochissimi metri di corridoio che portavano alla camera da letto. La porta era socchiusa. Sally la aprì silenziosamente, spingendola con la schiena. Gettò i vestiti sul letto, prima di poggiare giù con cura anche il computer. Pensò di frugare nelle tasche della giacca, ritrovare il biglietto d'ingresso alla Torre di Londra e nasconderlo da qualche parte. E invece si voltò per tornare indietro. Nel farlo, si fermò ad osservare il proprio riflesso nello specchio appeso sopra al mobile del comò. Non le sembrò di avere un gran bell'aspetto: era troppo pallida. Sally si accostò al mobile, il ripiano era pieno di tutti quegli oggetti che si possono trovare nella camera da letto di una giovane donna. Pur restando di fronte allo specchio, gli occhi della ragazza puntarono verso la porta della camera.

Se dico tutta la verità, l'agente Henrich mi prenderà per una pazza. Se invece non la dico tutta, la verità, potrei essere accusata di aver nascosto informazioni alla polizia.

Si mise a fissare con stizza il profumo color ambra all'interno di una boccetta di vetro trasparente. E fu nello stesso momento, quasi l'idea l'avesse semplicemente letta nel riflesso del vetro, che Sally capì quale fosse la cosa migliore da fare. Fu una di quelle idee che sembrano venir fuori da sole, come se fossero sempre stata pronte e ripiegate in angolo della mente, in attesa di venir spolverate e utilizzate: Sally avrebbe detto la verità, me privandola di quei particolari che sarebbero inevitabilmente suonati falsi. Li avrebbe sostituiti con altri, somiglianti e più credibili. Sorrise dentro di sé, credendo di aver trovato un onesto compromesso tra la bugia e la verità. Pronta a tornare in soggiorno, prese un bel respiro. E vide il proprio respiro trasformarsi in una nuvoletta di vapore bianco.

Sally alzò la testa. Guardò nello specchio. E si sentì gelare il sangue nelle vene.

Quel che vide riflesso le strappò un verso strozzato, qualcosa a metà tra un urlo rauco e un sussulto di paura.

Lo specchio mostrava l'immagine di Sally e, alle sue spalle, una seconda figura. Era una figura femminile, una figura nera e spettrale.

Era lei: era Anna Bolena. Ed era nella camera, immobile in angolo, accanto alla testa del letto. Dal viso incavato, contornato dalla sporca matassa scura di lunghi capelli, gli occhi neri e vischiosi fissavano Sally. Le mani scheletriche riposavano sulle pieghe delle soffocanti vesti nere, drappeggiate come teli funebri. Il ciondolo e le perle della collana possedevano una lucidità innaturale.

Sally, inorridita, non osava respirare. Non voleva – non poteva credere che il fantasma fosse lì. Trovò a stento la forza di voltarsi. E lo fece con un movimento brusco, urtando il mobile con la schiena. Le boccette di profumo tintinnarono.

Ma non c'era assolutamente nessuno accanto al letto. Non c'era nessuno nella stanza.

«Va tutto bene?»

Sally trasalì. Si voltò verso la porta. L'agente Henrich era sulla soglia della camera. Dapprima tranquillo, l'uomo sembrò preoccuparsi quando incrociò lo sguardo spaventato della ragazza.

«Signorina, non si sente bene?»

Sally tornò a guardare la testa del letto. Lo spettro non c'era. E si chiese se mai ce ne fosse stato veramente uno. Che fosse stato solo un brutto scherzo della sua mente, turbata dalla situazione?

«È pallida» notò l'agente Henrich, che si era avvicinato a Sally.

Sally fissava con ostinazione la parete contro la quale era addossato il letto. Inghiottì per schiarirsi la voce.

«Le... le è parso di sentire freddo poco fa?» domandò, con una calma fin troppo forzata.

«Freddo? No, per nulla. Anzi, l'appartamento è decisamente caldo».

Sally respirò. Chiuse gli occhi e strinse forte le labbra.

L'ho immaginato. L'ho soltanto immaginato, ripeteva nella sua testa, come un disco rotto. Sentiva ancora il cuore batterle forte. Sì, doveva aver immaginato il fantasma perché era assolutamente ridicolo pensare che lo spettro di Anna Bolena potesse aggirarsi per il suo appartamento. Ridicolo. E terrificante.

Sally si sforzò di sorridere all'agente Henrich.

«Le chiedo scusa. Ho avuto una mattinata pesante e sono molto stanca».

***


Tornati in soggiorno, sedettero entrambi sul divano. L'agente estrasse, da una tasca interna del giubbotto scuro, un piccolo blocco per gli appunti con la copertina nera e una penna a sfera. Quando il poliziotto chiese a Sally se non si sentisse troppo turbata e stanca per affrontare ora una deposizione, lei gli rispose che si sentiva meglio adesso ed era pronta a dire e a spiegare tutto quanto fosse necessario. Ma, contemporaneamente, pizzicava e torturava nervosamente con le dita l'orlo del suo maglioncino. Aveva lo stomaco stretto in un nodo e si guardava attorno con la paura di veder comparire il volto dello spettro in qualche angolo della stanza.

Era perseguitata da un fantasma o era vittima di allucinazioni? Entrambe le opzioni le facevano venire i brividi e concentrarsi sulla conversazione con il poliziotto fu un'impresa.

L'agente Henrich leggeva a voce alta i propri appunti.

«La signora Huddlestone ci ha detto di aver visto l' ex-marito vivo per l'ultima volta ieri sera, poco prima delle sette. Ha aggiunto anche che l'uomo era in compagnia di una giovane donna bionda, di nome Sally Sparrow. Quindi lei conferma? Lei, Sally Sparrow, attorno alle sette di ieri sera si trovava con il signor Arden Huddlestone, al numero 4** di M.... Street, nel quartiere di Bloomsbury?»

«Sì» rispose semplicemente Sally.

«E la signora ha inoltre affermato» continuò il poliziotto, gli occhi bassi sul taccuino, «che lei, signorina Sparrow, era l'ultima visitatrice della mostra. Ed è rimasta sola con il signor Huddlestone».

«È così, non c'era nessun altro» disse Sally, ma specificò anche di aver lasciato l'esposizione subito dopo la signora Eleanor.

«La guardia nella portineria del palazzo ha detto di non aver visto nessuno altro uscire dall'edificio, dopo l'organizzatrice della mostra. Ma, poiché si è allontanato dal suo posto per alcuni minuti... pare che il palazzo sia rimasto al buio proprio attorno alle sette... la guardia non ha escluso che lei, signorina Sparrow, possa aver lasciato l'edificio in quel frangente di tempo».

«Non credo di essere uscita passando per l'entrata principale».

A quella risposta, l'agente Henrich alzò lo sguardo dal taccuino.

Sally cercò di essere il più breve e chiara possibile nello spiegare quali fatti erano intercorsi tra il momento in cui aveva lasciato la sala dell'esposizione e quello in cui aveva trovato il cadavere del signor Huddlestone.

«Avevo tutta l'intenzione di andare ad avvertire la guardia» spiegò Sally, «ma quando sono tornata all'ingresso dell'esposizione ho trovato la porta chiusa a chiave». E disse di aver raggiunto l'uscita di sicurezza e le scale di servizio, ma senza fare parola dell'incontro con lo spettro. Affermò, invece, che una volta vicina alla scale era stata addormentata da un uomo – uno sconosciuto – che l'aveva sorpresa alle spalle. E quando il poliziotto, stupito dall'ultima rivelazione, le chiese cosa intendesse quando dire quando parlava di “essere stata addormenta, Sally inventò sul momento.

«Cloroformio, suppongo. Mi ha premuto un fazzoletto umido sulla bocca, è tutto quello che mi ricordo. So solo di essermi risvegliata nel mio letto, qui in casa, nel cuore della notte».

L'agente Henrich segnò qualcosa sul taccuino, sfregandosi la fronte con una mano.

Sally lo osservò. Non mi crede, capì.

La ragazza approfittò della pausa di silenzio per alzarsi dal divano. Stava diventando insofferente a quella luce grigiastra. Al clic secco dell'interruttore il soggiorno e tutto il suo modesto mobilio vennero illuminati dal chiarore asettico del lampadario.

Sally tornò a sedersi, e il poliziotto le domandò:  «Come ha fatto il suo misterioso rapitore ad entrare in casa?»

«Deve aver trovato le chiavi nella tasca della mia giacca» rispose debolmente Sally, fissando il pavimento.

«Dovrò prendere sotto sequestro le sue chiavi allora. Potrebbero esserci sopra le impronte digitali dell'uomo».

Sally annuì. La storia del rapitore non reggerà, ragionò. Le uniche impronte digitali che la polizia avrebbe trovato sulle chiavi sarebbero state quelle di lei; la ragazza ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Mentre l'agente Henrich scribacchiava dell'altro sul taccuino, Sally guardò fuori dalla finestra, ascoltando il rumore delle auto che passavano in strada.

Per la seconda volta, nel giro di pochi minuti, Sally si spaventò tanto da trattenere involontariamente il respiro.

L'agente Henrich sollevò lo sguardo dal taccuino. «E un'altra doman... signorina, qualcosa non va?»

Sally era pallida, con gli occhi castani impauriti e le dita aggrappate all'orlo del maglione.

Visibilmente confuso e preoccupato, il poliziotto alternò lo sguardo tra Sally e il punto del soggiorno che quest'ultima fissava con tanto sbigottimento: la finestra.

«S-signorina?»

Sally spostò lentamente gli occhi sul poliziotto. Batté piano le palpebre.

«Lei... lei non la vede» mormorò Sally, con uno strano tono: una sorta di calma ma disperata rassegnazione.

«Vedere cosa? La finestra? Certo che vedo la finestra... » L'agente Henrich sembrava davvero smarrito.

«No» disse Sally con un filo di voce, «non la finestra... »

Non era la finestra a spaventare Sally, ma ciò che sul vetro della finestra era appena comparso. Segni. Sally aveva visto apparire dei segni sul vetro della finestra, come tracciati da un gelido soffio di brina. E i segni si erano rivelati lettere dell'alfabeto. Sei lettere: una singola parola.

Hidden.

Nascosto.

Sally inghiottì, sforzandosi di mettere in moto la testa e la sua capacità di pensare, soffocata dai battiti concitati del proprio cuore. Quando parlò di nuovo, si accorse che il respiro le tremava.

«A-agente Henrich, so che questo mi farà sembrare un pazza, ma... ma credo che ci sia qualcosa in questa casa. E noi dovremmo andarcene, perché non è sicuro restare qui».

L'agente Henrich, riprendendo evidentemente coscienza del proprio ruolo, le posò con ferma gentilezza le mani sulle spalle di Sally.

«Si calmi» le disse, tentando di combattere contro la balbuzia. «N-n-non so cosa lei abbia v-v-visto, ma n-n-non c'è n-n-nessuno in questa casa o-o-oltre a noi. E siamo entrambi perfettamente al sicuro...».

«No... no... no, mi ascolti... » protestò la ragazza. Non stava urlando, ma ad ogni parola la voce era sempre più alterata dall'agitazione. «Lo so che sembra il discorso di una pazza, ma ci sono delle cose che non le ho detto... Cose molto strane e pericolose...»

«A-a-allora, mi dica che cosa l'ha spaventata tanto?»

Sally si schiarì la voce. Sollevò una mano per indicare la finestra del soggiorno.

«C'è una parola scritta su quel vetro...» Spostò lo sguardo verso la finestra: la parola era scomparsa. Il vetro era tornato pulito e trasparente. «Ehm... non c'è più» soffiò in un sussurro di sorpresa.

«Infatti, signorina, non c'è nessuna parola su quel vetro».

Sally si voltò di scatto.

«Ma c'era prima»

«No, n-n-non c'è mai stata nessuna parola» ripeté l'agente Henrich.

«Le dico di sì, invece».

«E chi avrebbe mai scritto questa parola sul vetro della finestra?»

Sally esitò. Fissò il poliziotto, mordendosi forte il labbro inferiore. La situazione le stava decisamente sfuggendo di mano.

«Io... credo che ci sia un fantasma in casa» ammise, parlando lentamente e consapevole di come quella frase avrebbe mandato all'aria ogni suo rimasuglio di credibilità.

L'agente Henrich la guardava infatti come se fosse ormai certo di avere davanti un'interlocutrice non del tutto sana di mente.

«Un... fantasma?» chiese, in tono piatto. Non balbettava nemmeno più.

«Sì»

«Un fantasma, del tipo Casper?»

«No» sbottò – suo malgrado – Sally. «Uno molto più spaventoso. E pericoloso. Per favore, non mi guardi come se fossi matta!»

L'agente Henrich distolse lo sguardo da Sally. Strinse le labbra in un fischio muto, facendo scivolare le mani sulle ginocchia.

«Ehm... tanto per sapere, era un fantasma anche il suo “aggressore” dell'altra sera?»

Sally dovette mordersi la lingua per impedirsi di rispondere male all'agente. Serrò la mascella.

«No» rispose duramente. «Quello era uno vivo. Non posso mettere la mano sul fuoco sul fatto che fosse umano, ma vivo lo era di certo».

«E sarebbe in grado di fare una descrizione di questo uom... di questo tizio vivo

«No, non posso. Mi dispiace. Non l'ho visto in volto» rispose asciutta.

«D'accordo. Va bene così» sospirò il poliziotto, sistemando penna e taccuino nella tasca interna del suo giubbotto. Ma invece di alzarsi, come si aspettava Sally, si accomodò meglio sul divano. Fece aderire per bene la schiena ai cuscini e allungò una mano sul bracciolo.

«Non mi sono mai piaciute le piccole puttanelle bugiarde».

Sally spalancò gli occhi. Si voltò verso il poliziotto con tanta rapidità da farsi quasi male al collo. Aveva capito male? O adesso era vittima di allucinazione uditive, oltre che visive?

«Chiedo scusa?» esclamò.

L'agente Henrich la guardò, un sorriso serafico sul bel viso d'angelo.

«Ho detto che non mi sono mai piaciute le piccole puttanelle bugiarde».

I sentimenti di Sally passarono al volo dalla sorpresa all'indignazione.

«Agente Henrich, nessuna divisa le dà il diritto di parlarmi in questo modo!» ribatté, decisa ma senza alzare la voce.

«Ah, la divisa!» ripeté l'agente in tono svagato. Sollevò una mano e se la portò davanti al volto, come se fosse un oggetto da ammirare. Guardò il palmo e il dorso, poi la lasciò ricadere sul bracciolo. «Farei con piacere a meno di certi travestimenti, se avessi la possibilità di agire alla luce del sole».

Sally si irrigidì, ma restò ferma dov'era, seduta. Improvvisamente inquieta e diffidente, mentre osservava il poliziotto trattenendo quasi il fiato, si impose di mostrare solo la seconda emozione e nascondere la prima.

«Ad ogni modo, ho una buona notizia per te» riprese il poliziotto. «Non sei matta. Sei solo molto sfortunata».

Qualcosa in lui era cambiato, qualcosa nei modi: parlava mellifluo, femminino e freddamente sardonico. Non c'era più traccia del giovane uomo insicuro e balbettante di pochi minuti prima.

Senza scatti o movimenti bruschi, Sally si alzò in piedi, indietreggiando di un paio di passi, con le braccia tese lungo in busto.

«Tu non sei un poliziotto. Non... uno vero» .

L'agente Henrich le lanciò un'occhiata di divertita sufficienza. «Ma quanta perspicacia, tutta in una sola testolina!» Si voltò col busto verso di lei, sollevando un braccio per appoggiare il gomito al divanetto. «Ma prima di fuggire, non vuoi sapere cosa si nasconde in casa tua?»

Sally, che aveva mosso un altro passo all'indietro, si bloccò.

«Cosa?»

«Me»

Sotto lo sguardo allarmato e attonito di Sally, l'agente Henrich si trasformò.

CONTINUA.

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Capitolo 9
*** Parte nona ***


C07

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.

Note:  Alt! Se avete aperto questa pagina attreveso il link  >Ultimo capitolo<  saltate indietro di una pagina. Questo è un doppio aggiornamento. ;)

IX

Per un attimo, Sally ebbe l'orribile impressione che l'agente Henrich si stesse sgonfiando. Sì, proprio sgonfiando. Sgonfiando e restringendo. Gli abiti si appiattirono, le braccia si accorciarono. Tutte le membra parvero rimpicciolirsi, in uno scricchiolio di ossa misto ad altri rumori viscidi e sordi, schiocchi di pelle e di muscoli tirati e poi compressi. I tratti del viso si contrassero come quelli di una maschera di cera impastata. Quando si distesero di nuovo, i lineamenti erano completamente mutati.

L'agente Henrich non c'era più.

Era una donna quella sul divanetto, abbigliata di nero e seduta in una posa lasciva, con le gambe accavallate.

Un lungo vestito le fasciava il corpo, mettendone in risalto le generose curve del seno, della vita e dei fianchi. Una chioma di capelli corvini e ondulati le ricadeva sul petto. Le spalle e la braccia erano nude e la spacco della gonna metteva generosamente in mostra le gambe tornite e slanciate. Lo strascico del vestito ricadeva sul pavimento: un sottile lembo di stoffa, arrotolato come un serpente accanto ai piedi della donna. Lucide e nere erano anche le scarpe dal tacco alto. Si sarebbe potuto definire un corpo perfetto se solo le braccia non fossero state martoriate da un intricato disegno di piccole cicatrici bianche. Erano fitte e numerose attorno ai polsi e si facevano più rade e meno marcate man mano che salivano verso il gomito. Era impossibile indovinare l'età della donna: il suo viso possedeva una bellezza tutta particolare, la bellezza vorace e soffocante di un colorato fiore esotico, dal profumo intenso e il succo velenoso. I grandi occhi verdi, sormontati da sopracciglia erte e leggermente arcuate, erano in incantevole contrasto con il colore ambrato della pelle. Il naso era dritto e stretto, la mascella forte eppure femminile, le labbra piene, scarlatte e ben disegnate.

«Sorpresa» disse la sconosciuta. E sorrise. Era un sorriso cattivo, un sorriso da strega.

Il termine sorpresa era quanto mai riduttivo per descrivere quel che stava provando Sally. La sua costernazione aveva raggiunto un livello tale da non riuscire più nemmeno ad essere espressa in modo visibile. Aprì la bocca un paio di volte e non le riuscì di spiccicare una sola parola.

«Sono o non sono brava con i travestimenti?» continuò la donna, senza smettere di sorridere. Ad ascoltarla bene, la voce non era affatto bella come lo era l'aspetto. Il tono era dolce e carezzevole, ma del tutto innaturale: era come ascoltare una serpe che tenta di imitare il canto di un usignolo.

La donna si alzò, con un gesto lento ed eleganza, un gesto adatto alla languida eroina di un melodramma.

Sally indietreggiò d'istinto.

La donna era alta, più alta di lei.

Sally chiuse le mani a pugno. Calma, doveva restare calma e lucida. E pensare, ragionare, capire.

«Tu non sei un essere umano» affermò.

«Bambina intelligente» sospirò l'altra, soave.

Sally deglutì.

«Chi sei?»

«Fossi in te non mi preoccuperei tanto del chi sono, ma del perché sono qui».

Sally fece un altro passo indietro.

Parlava con un lentezza nervosa, prendendo un respiro ad ogni pausa.

«Bene... allora, che cosa vuoi da me?»

La reazione della sconosciuta le fece saltare il cuore in gola.

I lineamenti della donna si indurirono, gli occhi si infiammarono di rabbia. Fece un passo verso Sally. «Io!» urlò la donna. La voce non era stridula, ma altisonante. «Io volere qualcosa da te? Cosa credi che possa volere io da un piccolo, patetico, insignificante esemplare di essere umano come te?» All'improvviso, la donna abbassò la testa e chiuse gli occhi, premendo le mani, strette a pugni, contro le tempie. «Tu sei come lui!» strillò, in preda a quello che sembrava un attacco d'isteria. «Sarete la rovina della mia felicità!» Strillava e muoveva le testa, come un serpente agonizzante sotto gli artigli di un rapace.

Sally trattenne il fiato, impietrita, con la mente che faticosamente annaspava alla ricerca di una mossa intelligente da fare.

«P-perché ti sei...» cominciò la ragazza, in un balbettio insicuro.

La donna abbassò le mani per guardare Sally. Sembrava essersi calmata. Gli occhi avevano perso la scintilla di pazzia.

«Perché ti sei finta un poliziotto?» riuscì a domandare Sally.

La sconosciuta le sorrise. Era nuovamente quel sorriso serafico e inquietante.

«Perché voi umani siete così portati a parlare apertamente con gli uomini che indossano una divisa» disse, col tono gentile di chi si sta rivolgendo a una bambina. «Avevo bisogno di informazioni e quello era il modo più semplice per ottenerle. Oh, certo, anche la tortura era un opzione, ma» sollevò una mano sfiorandosi la fronte con un gesto leggiadro, «ho i nervi delicati io. Le urla e i pianti proprio non li sopporto».

«Quali informazioni?» continuò Sally, adocchiando la porta dell'appartamento con la coda dell'occhio.

La donna guardò Sally inarcando le sopracciglia in un'espressione di candida sorpresa.

«Sciocchina, dovevo pur essere sicura che fossi la ragazza giusta».

«Giusta?»

«Sì, quella giusta da uccidere».

«Ah».

Non fu un grido quello di Sally, solo una vocale pronunciata piano, e a mezza bocca.

Che qualcuno mi svegli, stava pregando inorridita la ragazza.

Lassù dovevano aver un pessimo senso dell'umorismo. Lei desiderava un po' di movimento nella propria vita e in che cosa finiva con l'incappare? In cruenti omicidi, in fantasmi centenari, in strambi viaggiatori nel tempo e, per ultimo, in una non ben specificata creatura, palesemente squilibrata, con il vizio del travestimento e il pallino dell'omicidio. Tutti nella stessa giornata. La tragedia stava scivolando nel ridicolo.

«Beh, sta a sentire, mister Hyde... » Sally prese ad indietreggiare verso la porta, un passo dopo l'altro. «Trovati qualcun altro da uccidere, perché io con i mostri e morti per oggi sono davvero a posto...»

La donna rise di cuore. Aveva un'argentina risata da bambina. Orribile da sentir uscire dalle labbra di una donna.

Quel che accadde subito dopo Sally lo avrebbe sempre ricordato come una sequenza confusa.

Ebbe a mala pena il tempo di notare il movimento della mano della donna. Poi si sentì strappare a forza da terra e sollevare in alto, come se fosse afferrata da tante mani invisibili. Finì dall'altra parte della stanza, scagliata contro la parete. L'urto tra la schiena e il muro fu così forte e doloroso da mozzarle il fiato. Ricadde pesantemente sul pavimento, sbattendo il fianco e la testa. E restò lì, stordita, con la testa che le faceva così male da renderla quasi incapace di pensare. I passi della donna che attraversava il soggiorno erano un suono lontano e ovattato. La sconosciuta si fermò di fronte a Sally. Si accovacciò sul pavimento, piegandosi sui talloni. Sally si sentì scostare i capelli dal viso, con un amorevole cura. E udì la donna parlare, in un impeto di tenerezza.

«Dopotutto, mi dispiace ucciderti».

La sconosciuta costrinse Sally a sollevare il busto da terra e a mettersi seduta. A dispetto dell'apparente corporatura esile, la creatura era molto forte. Teneva la ragazza ferma per le braccia. Le belle mani affusolate avevano una presa di ferro; era come essere tirati su da due tenaglie.

«Ma devi riconoscere che non ti ho costretta io a fare la puttanella per quell'angelo. In tempi bui come questi che altro si può fare se non pensare alla propria felicità, alla propria sopravvivenza? Mors tua, vita mea».

Il dolore alla testa aveva annebbiato i sensi di Sally. Il discorso della sconosciuta, pronunciato con voce tanto dolce, non aveva per lei più senso del ringhiare di un cane. Ma per frastornata che fosse, Sally conservava abbastanza coscienza da rendersi conto di essere a un passo dalla morte. Sapeva che sarebbe morta senza mai saperne il motivo. Sotto le palpebre socchiuse, i suoi occhi castani si erano fatti lucidi.

«E poi, io ho così tanta fame» sussurrò la donna. Sally vide la donna sorridere, famelica, mentre sentiva la mano di lei scivolarle lungo il collo, dove pulsava la vena calda del cuore spaventato.

Fu in quello stesso istante che si udì uno scoppio e poi uno sfrigorio: il neon del lampadario era appena esploso in una cascata di scintille elettriche.

Ma tutto si aquietò presto, e al suono di un frullare di ali, la luce nella stanza era tornata debole e livida.

«Che cosa vuoi?» chiese la donna, a voce alta, in tono annoiato, ma senza smettere di sorridere. Non si voltò, continuava a tenere le sottili dita strette attorno al collo di Sally.

«Lo sai» rispose una voce bassa e roca, estranea a qualsiasi traccia di turbamento.

La donna ritirò la mano dal collo di Sally. La ragazza riuscì a fatica a mantenere la testa sollevata, mentre la sconosciuta si alzava in piedi.

Castiel era nella stanza, accanto alla finestra. I suoi occhi blu, seri e pieni di un controllato astio, erano fissi sulla misteriosa donna bruna. Le tende bianche si stavano riadagiando leggere al loro posto, come se fossero appena state mosse da un soffio di vento.

«E come potrei mai saperlo?» cinguettò la sconosciuta, con melliflua sorpresa. Si era spostata di qualche passo e ora Sally poteva vederla di profilo. La donna abbassò leggermente il mento e sorrise, civettuola, accarezzando con entrambe le mani una lunga ciocca dei suoi lucidi capelli. «Credevo di piacerti davvero tanto, visto che hai deciso di seguirmi attraverso il tempo, ma...» parlava con un tono di altezzosa ironia, « ...vedo che mi hai già sostituita con un'altra». La donna imbronciò le labbra, fingendosi offesa, mentre si voltava a guardare Sally, la quale, confusa e spaventata, se ne stava ancora seduta sul pavimento con la testa che le pulsava per il dolore e il cuore che le batteva forte.

Anche Castiel, senza muovere la testa, portò il proprio sguardo sulla ragazza. Ma fu uno sguardo volutamente sfuggevole e rapido, così rapido che Sally non riuscì ad incrociarlo.

«Da quando ti piaccio bionde e umane?» se ne uscì la donna bruna, tornando a guardare Castiel. Subito dopo batté le palpebre e si sfiorò le labbra con le dita, in un gesto di sorpresa. «Oh, a meno che...» la mano sollevata scivolò sul petto e la donna guardò Sally, impietosita. «Povera cara, gli angeli sono così cattivi ed egoisti». Si rivolse a Castiel e scosse la testa con aria di rimprovero. «Usare la povera ragazza per trovare me, vergogna Castiel! E ora che mi hai trovata e lo hai fatto, come presumo, per uccidermi, non vorrai almeno negarmi un ultimo pasto. Tutti i condannati a morte hanno diritto a un ultimo pasto». La melensa dolcezza che la donna infondeva alla voce era irritante. Tutto in lei sapeva di artefatto e sarcastico; un continuo farsi beffe dei suoi interlocutori, che si rivolgesse a Castiel o a Sally.

Con un scrocchio secco, la donna voltò il lungo collo verso Sally. Lei vide di nuovo quel sorriso simile al ghigno di un lupo affamato. Ebbe uno spasmo di spavento, come se non riuscisse a più a respirare. Guardò Castiel, ma lui non guardava Sally. Non si muoveva e non parlava. Non c'era né timore né preoccupazione sul suo viso severo. Castiel si limitava a starsene semplicemente lì, in piedi, con indosso il suo impermeabile chiaro, ad osservare la sconosciuta.

Come se avesse capito i pensieri di Sally, la donna disse:

«Non riporre in lui tanta speranza. Non ti salverà. Tu, per quelli della sua specie, sei poco più una scimmietta ammaestrata».

E poi fu un attimo.

Nel preciso, medesimo istante in cui la donna chiuse la bocca, Castiel scomparve da accanto alla finestra per ricomparire nel bel mezzo della stanza, frapponendosi tra la carnefice e la vittima: ora, senza dire una parola o fare un solo movimento, Castiel fronteggiava la sconosciuta, dando le spalle a Sally.

La donna rise di una risatina bassa e soddisfatta.

«Ho trovato un bambino geloso del suo giocattolino» cantilenò, avvicinandosi a Castiel.

Con un movimento svelto, come un gatto che allunga la zampa per graffiare il muso del cane che gli ringhia contro, la donna si accostò a Castiel. Gli passò una mano dietro al collo e con l'altra strinse la stoffa dell'impermeabile sulla spalla. Il volto di lei era tanto vicino a quello di lui da sfiorargli quasi la guancia con la propria. Sally non poteva vedere l'espressione di Castiel, ma quella della donna sì: ed era un'espressione di vittoriosa malizia. La vide schiudere le labbra cresimi per mormorare qualcosa all'orecchio di Castiel, ma Sally non riuscì a udire nemmeno una sillaba.

La donna arretrò, con la stessa rapidità con la quale si era avvicinata, e Castiel crollò in ginocchio sul pavimento. Sally si premette una mano contro le labbra. La donna rideva senza fiato.

«Povero il mio bell'angelo, ti hanno tarpato le ali! Sei debole! Se perfino più debole dell'ultima volta». La donna calmò l'eccesso di risa, svoltolandosi una mano davanti al viso. Poi socchiuse le palpebre, intrecciò le dita e portò le mani unite sotto al mento. «Il viaggio. È stato il viaggio, non è vero? Non riesci a viaggiare nel tempo senza indebolirti. Salti indietro di un anno e tanto basta a fiaccarti. Stai perdendo i tuoi poteri».

Tuttavia Castiel si era già ripreso. Le dita della mano sinistra stringevano la stoffa dell'impermeabile all'altezza del cuore, ma lui si stava rimettendo in piedi.

«Ne ho ancora abbastanza per fermarti».

La donna non sembrava minimamente intimorita.

«Fermarmi? Perché, cosa sto mai facendo di male?» chiese, delicata.

Castiel la fissò.

«Gli omicidi».

La donna reagì a quella risposta come aveva fatto poco prima con Sally. Ebbe un scatto da isterica. Alzò la voce, scossa da un tremore convulso.

«Ma da quale pulpito!» soffiò, come una furia. Sally si ritrasse istintivamente, scivolando verso la parete dietro di lei. Castiel, invece, era impassibile. «A un anno da qui, la tua famiglia sta gettando il mondo tra le braccia dell'Apocalisse e tu sei qui, a darmi il tormento per qualche necessaria requisizione di anime?»

«Le anime. A cosa ti servono le anime delle persone che fai uccidere?» continuò Castiel, imperturbabile nella voce e nell'atteggiamento.

La donna – la pazza, con questo termine cominciava a chiamarla Sally, dentro di sé – si era avvicinata al muro, a pochi centimetri dalla finestra. Premeva le mani contro la parete, come se avesse bisogno di un sostegno. Aveva smesso di urlare. Quando rispose, lo fece in un sussurro dolce, con l'espressione rapita e malinconica di chi ascolta una voce, o una musica triste, in lontananza.

«Non immagini quanto sia alto il prezzo dei ricordi» mormorò. Guardava fuori dalla finestra, con i grandi occhi verdi fissi su chissà cosa. «E tu...» si voltò verso Castiel, guardandolo con stupita dolcezza. «E tu, perché tu hai bisogno che io mi fermi? Ah, no!» Si staccò dal muro con una leggera spinta. «Non tentare di prendere in giro me! Tu fingi di avere a cuore le anime di quelle persone, o l'anima di chiunque altro. Ma il motivo per cui mi stai dando la caccia è un altro, io lo so bene». Fece una pausa, la bocca piegata in una smorfia di disprezzo. «Tu sei alla ricerca di qualcosa. Di Qualcuno. Lo stai cercando disperatamente. Cercare. Non puoi far altro che cercare, cercare, cercare e ancora cercare». Si mosse di un passo più vicina a Castiel. «Ma se mai la ricerca dovesse rivelarsi infruttuosa, allora che cosa ti resterebbe? Solo il rimorso di aver davvero perso tutto per nulla. Solo la consapevolezza di aver sopportato inutilmente tutto il dolore e la solitudine. Oh, la solitudine di un angelo caduto. Nessuno degli esseri umani dai quali sei circondato riuscirebbe mai a comprenderla. Ma adesso hai smarrito l'unica bussola in grado di guidarti nella ricerca. Credi che lo abbia preso io, l'amuleto?»

« No. Non lo credo. Ne sono sicuro » fu la risposta asciutta di Castiel.

La donna rise di nuovo, piano, tirando indietro la testa.

«Oh, certo che lo sei...»

Venne interrotta dalla voce roca ma decisa di lui.

«Come sei arrivata in questo tempo?»

«Sono potente».

«Non così potente. Tu non hai il potere di spostarti nel tempo. Come ci sei riuscita? Che cosa hai fatto?»

La donna rivolse a Castiel uno sguardo di disprezzo.

«Smettila di usare quel tono di accusa» gli intimò. «Io non ho fatto nulla. Non mi sarei mai messa di proposito in cerca di un modo per arrivare fin qui. Non mi piace la dimensione dei vivi. Qui nessuno mostra più un briciolo di rispetto per quelli come me» Per un attimo, spostandosi verso la finestra, riprese l'aria assente e distratta. «Solo i morti mi amano ancora. Mi sono rimasti fedeli, loro».

«Come hai fatto a tornare indietro nel tempo?» insistette Castiel, risoluto.

La donna gli lanciò un'occhiata di traverso.

«Ho solo guardato. Ho guardato attraverso la crepa e ho visto questa città, in questo tempo. E ho capito. Ho capito che mi era possibile tornare agli splendori dei tempi antichi... così l'ho attraversata».

Ci fu una pausa.

Per Sally quella tra Castiel e la sconosciuta era una conversazione senza capo né coda. L'unica cosa che la ragazza aveva capito era di essere finita tra l'ordito di una storia la cui trama era già iniziata, chissà quando e chissà dove. E nel mentre non si era dimenticata di pensare alla propria incolumità. Pur a fatica, si era appena rimessa in piedi, aiutandosi con una mano appoggiata alla parete. Si era resa conto che le tremavano le gambe, ma non avrebbe saputo dire se il tremore fosse per lo spavento o per il dolore. E quando aveva avuto un giramento di testa, si era confusamente chiesta quali fossero i sintomi di una commozione celebrale. Camminando accanto al muro, si era spostata fino ad arrivare dietro al divano, dove ora se ne stava, in piedi, ferma, con le mani appoggiate sopra ai cuscini ad ascoltare i discorsi tra Castiel e la pazza, bellamente ignorata da entrambi.

«Hai attraversato cosa?» domandò Castiel alla donna. E per la prima volta, da quando era comparso nella stanza, Sally credette di scorgere una rauca nota di insicurezza nella voce di lui.

«La crepa, stupido asino impiumato!» sbottò la donna. Poi si accostò alla finestra e mentre riprendeva a parlare, guardava in strada. «C'è una crepa nella mia dimensione dei morti che si affaccia su quella dei vivi. È nell'Erebo, lungo un maestoso pilastro nel palazzo del Sonno... Oh, non che sia realmente lì, su quel pilastro. Suppongo che la crepa esisterebbe anche se non ci fosse alcun pilastro. La crepa è il confine tra le epoche e i mondi, un confine che si indebolisce sempre di più».

Voltò il capo e guardò prima Sally e poi Castiel.

«E voi, non vi state accorgendo di nulla». Il suo sguardo e le sue parole erano sporcate di un amaro divertimento. « Gli esseri umani sono ottusi e limitati. Gli angeli, altrettanto ottusi, sono troppo occupati a farsi la guerra con i demoni. Tutti i vostri sguardi sono puntati sulle vicende di questo piccolo pianeta e restate cechi davanti al resto dell'Universo» Tornò a guardare fuori dalla finestra. «Ma io sono antica abbastanza da avvertire le ferite dell'Universo. L'Universo langue, ha bisogno di cure». Sollevò il mento e guardò verso il cielo nuvoloso. Sally avrebbe giurato che stesse sorridendo. «Credo che l'Universo abbia bisogno di un dottore... » Infine la donna voltò la schiena alla finestra. «Castiel» chiamò «se io muoio, nessun altro saprà dirti dove si trova il tuo prezioso amuleto, quindi non ostacolarmi più. E per quanto riguarda la tua cara scimmietta, lei morirà molto preso, che tu lo voglia oppure no».

«Hai bisogno anche della sua anima?»

«Anima? Chi ha detto che sono interessata alla sua anima? Mi è sufficiente che smetta di vivere».

La donna allargò le braccia e il vetro della finestra dietro di lei vibrò come scosso dal rombo di un tuono. Vibrò e scricchiolò, mentre si ricopriva di una ragnatela di sottili venature.

Sally comprese al volo quel che stava per accadere. Si accucciò sui talloni, nascondendosi dietro al divano appena in tempo. Udì il rumore del vetro che andava in frantumi e la stanza fu invasa da un'esplosione di schegge. I piccoli e appuntiti frammenti di vetro schizzarono ovunque, si conficcarono sulle superfici morbide e rimbalzarono pericolosamente su quelle rigide, in un impazzito tintinnio. Si conficcarono nei cuscini del divano, si piantarono nella carta da parati, graffiarono il legno e la plastica dei mobili.

Ma durò poco. Pochi secondi e tutto tornò tranquillo.

Sally abbassò le braccia da sopra la testa. Illesa ma scossa, si azzardò a rimettersi cautamente in piedi. Il pavimento era coperto di frammenti di vetro. La stanza si stava riempiendo di aria fredda e umida: il vetro della finestra era stato completamente sbriciolato. Le tende bianche svolazzavano leggere. Della donna bruna non c'era più traccia. Castiel invece era ancora lì: stava in piedi davanti alla finestra rotta. Guardava fuori. In lui la sola vittima della pioggia di vetro sembrava essere la manica dell'impermeabile, quella del braccio con il quale doveva essersi riparato il viso. Non aveva un graffio, né sul volto né sulle mani.

Da lontano arrivò il suono smorzato di una sirena. Tic tac, tic tac, continuava imperterrito l'orologio della cucina.

Sally, confusa, dolorante e ancora vittima dei postumi dello spavento, puntò lo sguardo su Castiel, che seguitava a darle le spalle.

«Ehm... ok...» mormorò Sally. «Io... io sto bene. Non preoccuparti per me». E si strinse una mano attorno al braccio destro: le faceva male, ci era caduta sopra.

L'udito di Castiel era di gran lunga migliore della sua sensibilità.

«Non mi sto preoccupando per te» precisò. Non lo aveva detto con cattiveria. Aveva parlato come se Sally avesse fatto un'affermazione sbagliata e fosse necessario correggerla, ignaro di quanto sconfortante potesse essere per Sally sentirsi dare una simile risposta.

«Sì, l'ho visto...» sussurrò Sally con debole filo di voce, continuando a stringere il braccio. Ora si sentiva dolorante, spaventata e triste; una tristezza amara che pungeva sul fondo del suo cuore di essere umano.

Sally lo stava ancora guardando quando Castiel si degnò di voltarsi verso di lei. Osservò la ragazza con un cipiglio confuso. Negli occhi chiari c'era qualcosa di simile all'esitazione, ma per Sally era impossibile capire cosa passasse nelle mente di lui.

Poco prima, la misteriosa donna, con quel suo modo di fare beffardo, aveva lasciato intuire la sua convinzione che Castiel avesse a cuore Sally. La verità era che la donna si sbagliava. Castiel non aveva nessuna particolare predilezioni per la ragazza. Lei non gli era cara. Lei non era sua amica. Sally Sparrow era un essere umano e gli esseri umani erano la preziosa opera del Padre di Castiel. Sally era dunque preziosa, ma non più preziosa di chiunque altro.

Davvero poco conosceva Castiel delle complesse e sfaccettate emozioni che allietano e tormentano il genere umano. Egli era una creatura che aveva vissuto per secoli nel silenzio dei sentimenti, senza conoscere altro che la muta obbedienza e la cieca fedeltà. Così tante volte gli era stato difficile sopportare il peso del dubbio e dell'incertezza, della paura e della sofferenza. Era un essere millenario, ma per capire i sentimenti aveva bisogno di osservare gli uomini dalla breve vita. E, a modo suo, si sforzava di comportarsi seguendo l'esempio dei soli esseri umani ai quali era stato tanto vicino da poter imparare qualcosa sull'umanità tutta.

Così, in quel momento, Castiel comprese la paura di Sally. Vide che era paura quella che tratteneva la ragazza dietro al divano, timorosa di farsi più vicina. Riconobbe la paura nell'ansare silenzioso che animava quel caduco corpo di donna. La riconobbe nel piccolo petto che si alzava e si sollevava, nel tentativo di calmare un respiro ancora affannato dallo spavento. La riconobbe nel modo apprensivo e insicuro con il quale Sally teneva il capo basso, seppure i grandi occhi castani restassero coraggiosamente puntati su di lui.

«Se ne è andata» disse Castiel. E così come la piccola tremolante luce di un fiammifero tenta di rendere meno minaccioso il buio, allo stesso modo la calma con cui lui aveva pronunciato quelle poche parole avrebbe voluto lenire lo spavento dell'essere umano.

Sally poggiò le mani sul divano e fece scivolare le unghie sulla stoffa ruvida. Proprio come era successo nel parco, quando una situazione reale cominciava a perdersi nei meandri di un'assurdità quasi onirica, il contatto fisico con gli oggetti aiutava Sally a scacciare l'ipotesi di essere davvero in un sogno. Respirava ora con più leggerezza.

Castiel sollevò lo sguardo. Guardò Sally. Lei capì che stava per dirle qualcosa e non chiedeva altro. Ora che la paura si era affievolita, era impaziente di sapere. Di capire. Ed era un'impazienza quasi dolorosa.

Castiel parlò.

«Hai incontrato un cane?»

Sally restò di stucco. Dapprima fissò Castiel a bocca aperta. Poi sbatté le palpebre e chiuse la bocca. Infine, la riaprì.

«Ho incontrato un... cosa?»

CONTINUA.

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