The bothering life of a forced writer di roro (/viewuser.php?uid=39891)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Complicazioni improvvise - quando una diciottenne ti mette nei guai ***
Capitolo 3: *** Il ritardo del secolo - quando i pazzi da sopportare sono due ***
Capitolo 4: *** Quando le Mary Sue spopolano ***
Capitolo 5: *** Stress Continuo ***
Capitolo 6: *** Partenza particolare ***
Capitolo 7: *** Se la ragazzina irritante infastidisce... ***
Capitolo 8: *** Perplessità - Pazza sì o pazza no? ***
Capitolo 9: *** Astinenza o follia? ***
Capitolo 10: *** Certezza ***
Capitolo 11: *** Regalini, psicosi, damn (?). ***
Capitolo 12: *** Di peluche, fidanzatine isteriche e dichiarazioni imbarazzanti. ***
Capitolo 13: *** Poche semplici regole: «Se la tua ragazza è una psicopatica, adattati a lei» ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
The bothering life of a forced wroter
The
bothering life of a forced writer
*La seccante vita
di uno scrittore costretto*
*\*
Ebbene sì.
Contro ogni mia più rosea previsione, contro tutto, contro
tutti... Sono qui. Con una nuova storia.
Sinceramente, non so da dov'è nata: ero sul motorino,
pensando ai libri appena acquistati, quando qualcosa mi ha
letteralmente folgorata.
Un'idea totalmente assurda, certo, ma è pur sempre un'idea.
L'ho postata. Dopo averla fatta leggere ad Elisa - cui è
dedicato il capitolo! *.* - e a Hime, ho detto: massì,
postiamo! ù.ù Spero vi piaccia!
A dopo per le spiegazioni. */*
Prologo
Non
mi piaceva il mio lavoro.
Ok,
non mi lamentavo – guadagnavo decentemente ed ero
discretamente famoso –, ma
non mi piaceva. Lo trovavo monotono.
Ero
uno scrittore. Uno importante.
Lo
ero diventato qualche anno prima, dopo aver pubblicato miracolosamente
un manoscritto autobiografico, abbastanza ironico,
piuttosto intelligente. Non che io avessi mai sognato di scrivere, sia
chiaro:
semplicemente, mi ero ritrovato per mano un’idea decente, ed
ero in condizioni
economiche ristrette. Non era stata una mia scelta, quindi –
mi ci ero
ritrovato costretto. Se non avessi
intrapreso quella carriera, probabilmente mi sarei ritrovato senza
soldi,
magari costretto a dormire sotto ad un ponte, nella periferia della
città, in
compagnia di un topo denutrito e di qualche vecchio barbone.
“Ehi?”.
Alzai
distrattamente lo sguardo, come uniche compagne una lampada al neon ed
il
ritmico ticchettio delle mie dita sulla tastiera. Non mi piaceva lavorare sino a quell’ora.
“Hai
del lavoro da fare, sai?”.
Kagome
Higurashi, diciotto anni, figlia del mio capo, irritante.
Si era fatta assumere per scherzo – e per arrotondare
una già cospicua paghetta – e, per qualche strano
scherzo del caso, sembrava
divertirsi a prendermi di mira. Carina, certo, ma nulla di speciale.
Sollevai
un sopracciglio. “Sto lavorando”,
dichiarai, mostrando con fastidio il monitor. Avevo scritto tantissimo,
quella
sera. “Semmai, Higurashi,
non
dovresti disturbarmi. Dai fastidio”.
Sospirò,
osservando critica il mio lavoro. “Fa schifo”,
borbottò. “Sul serio, Inu-Yasha,
mi aspettavo di meglio. Non sarò una scrittrice, ma almeno
so scrivere cannuccia per bene. Ci
vogliono due n”.
Arrossii,
notando che sì, una
striscia rossa
sottolineava malamente il mio grossolano errore, frutto di una
disattenzione
duratura. “Distrazione”.
“Beh,
non devi distrarti”, ridacchiò. Concentrata,
iniziò ad attorcigliarsi una
ciocca di capelli corvini intorno alle lunghe dita, mostrando una
manicure
curatissima e dei capelli perfetti. Odoravano di menta.
“Dopotutto, sei o non
sei importante?”.
“Non
lo sono”, grugnii. Mi infastidiva essere considerato bravo.
“Non ho scelto
questo lavoro…”.
“…
è
stato lui a scegliere te”. Mi sorrise, alzandosi e battendomi
una mano sulla
schiena, come per incoraggiarmi. “Suvvia, hanyou,
concentrati: sono sicura che puoi fare di meglio”.
Hanyou.
Ecco,
questo soprannome mi irritava.
Sì,
sono un mezzo demone. No, trovo irritante – nonché
superflua – questa precisazione.
Ringhiai
sommessamente, strappandole una divertita risata, e poi riportai gli
occhi
sullo schermo, tentando di ritrovare l’ispirazione.
Pensa, Inu-Yasha, mi dissi,
cosa doveva avvenire alla sacerdotessa? Doveva essere fatta a
pezzettini?
“Oh”.
Alzai
lo sguardo. “Cosa?”.
“Non
mi avevi detto di aver cominciato un nuovo manoscritto”.
Inarcai
un sopracciglio, tentando di fare mente locale, e di ricordare se, in
un
passato non troppo remoto, avevo iniziato un qualcosa di vagamente
somigliante
ad un libro – liste della spesa, scarabocchi, frasi
insensate, aforismi… No.
Nulla di decente. A meno che…
“Higurashi?”.
Si
voltò, sorridendomi, e sventolando un cd che – me
lo sarei ricordato per sempre
– avevo avuto la malsana idea di portare in ufficio. E di etichettare “Note personali
– nuovo libro”. Ahi-ahi, Inu-Yasha.
Fregato.
“Posalo”,
ordinai, facendo del mio meglio per non usare la violenza. Il capo mi
avrebbe
ucciso, se avessi sfiorato la sua principessina. “Non sto
scherzando, posa
quel dischetto e tutto andrà bene”.
Mi
sorrise, passandoselo tra le mani, carezzando la superficie lucente e
la
scritta scarlatta. “Perché?”,
domandò. “Dopotutto, tu lavori per me,
giusto?”.
Scossi
il capo, infastidito. “Per tuo padre, Higurashi.
Io lavoro per tuo padre”, precisai, notando che sorrideva
soddisfatta. Ecco,
questo era uno dei principali motivi per cui i nostri caratteri erano
incompatibili: lei si divertiva a prendermi in giro, io detestavo le
donne con
il senso dello humour.
L’unica
fidanzata che era durata più di un mese – quando
avevo quindici anni, e tutto
mi sembrava sfolgorante – era fredda e distaccata. Non fece
una piega neppure
quando mi trasferii a Tokyo.
Mi
amava, ma non era ossessiva.
Adoro
quel genere di donna – mi fa sentire libero, anche se so
perfettamente di non
esserlo.
“Posalo”,
ripetei, passandomi una mano tra i capelli argentati, regalo di pessimo
gusto
della mia natura demoniaca. “Non è interessante.
Sono appunti”, garantii.
In
parte era vero.
Erano
appunti. Per un libro, certo, ma pur sempre appunti.
Idee
idiote partorite in una notte di follia, durante la quale avevo bevuto
diversi
drink ad alto tasso alcolico ed avevo gozzovigliato sino a mattina con
Miroku,
l’unico persona che sembrava divertirsi quando usciva con me.
“Dai”.
Mi sorrise, mettendolo in tasca ed alzandosi. Sembrava contenta. Schifosamente, contenta. “Dai, Inu, non lo farò leggere a
nessuno!”.
Giunse le mani, osservandomi con gli occhi di un cucciolo bastonato
– tutt’a un
tratto, mi sentii un verme.
Dannata.
“Ok”,
grugnii, senza entusiasmo. La luce della lampada iniziava ad
infastidirmi, e
non sopportavo più il click
dei
tasti. “Leggilo. Divertiti. Fai come vuoi, Higurashi”.
Rise.
“Grazie”, biascicò. Era leggermente
arrossita, e giocava nervosamente con un
lembo del suo giubbotto. Sembrava quasi una mocciosa
normale. “Ti prometto che non lo farò leggere a
nessuno”, aggiunse, sorridendo.
Sbuffai,
alzandomi – la sedia da scrivania fece un fastidioso rumore,
scivolando sul
parquet, e sospirai, affranto. Mi era già successo di dover
ripagare danni allo
studio. “Sì, d’accordo”.
“Ah”.
Sbiancai,
quando le sue mani – quelle perfettamente curate –
mi sfiorarono il capo,
stringendo piano le orecchie. Le mie
orecchie da cane. Quelle che mi marchiavano
come hanyou.
“Ci
vediamo, cucciolotto”,
ridacchiò,
facendomi ciao-ciao con la mano e
uscendo dal mio studio.
Stupida.
Stupida
mocciosa.
Stupida,
dannatissima mocciosa.
Sbuffai.
Non era assolutamente la mia giornata fortunata.
Higurashi
mi aveva nuovamente preso in giro. Non avevo concluso quello schifo di
capitolo. Non avevo nulla da fare.
“Meglio
tornare a casa, vah”.
*\*
E' un prologo breve. Molto breve.
Ma i prologhi, solitamente, sono
brevi, quindi penso sia ok. Anche perché il primo capitolo
è già in cantiere.
Kagome - non preoccupatevi - è
irritante. Dopotutto, è pur sempre la visuale di Inu-Yasha,
ed è logico che lui la consideri antipatica.
ù.ù Ovviamente, con il tempo la situazione
cambierà... Eccome, se cambierà!
Ma non anticipo nulla - non ho molte idee su cui basarmi, per ora.
Spero che il prologo vi abbia incuriosito: se così
è stato, mi impegnerò a farvi ottenere il
seguito. ^^ In caso contrario... Ditemelo! XD
Baci, spero di leggere molti commenti! Alla prossima! */*
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Capitolo 2 *** Complicazioni improvvise - quando una diciottenne ti mette nei guai ***
TBLOAFW1
The
brothering life of a forced writer
Capitolo
1 - Complicazioni improvvise - quando una diciottenne ti mette nei guai
“Er…
No. No, non era materiale per la pubblicazione. Sì, so che
sua figlia è
entusiasta… Sì, signore. Terminerò
quella storia. Arrivederci”.
Riagganciai,
frustrato. Quella dannata mocciosa aveva la bocca larga –
esageratamente larga.
Non la farò leggere a nessuno,
aveva detto. Certo. Come no.
Nota
per me: mai fidarsi di una donna, specie se si chiama Kagome Higurashi
ed è
famosa per la sua loquacità. Potresti pentirtene.
Mi
voltai verso il mio computer – un portatile con un paio di
anni di servizio,
ormai giunto quasi alla pensione – e sospirai, pensando al
lavoro che, ne ero
certo, mi sarebbe toccato a causa di una mocciosa logorroica. Ho
già detto che
detesto Kagome con tutto il mio cuore, vero?
“Dannazione”,
sospirai, pigiando un tasto a caso. La schermata
s’illuminò, mostrandomi una
vagonata di appunti piuttosto grossolani che stavo – disperatamente, mi duole aggiungere
– tentando di riordinare.
In
primis: cosa c’entrava uno shinigami
con una studentessa delle superiori? E che cavolo di lavoro voleva
offrirle? E,
domanda più importante, perché non mi ero ucciso
quando ne avevo avuto
l’occasione?
Lasciai
scorrere lo sguardo, cercando l’intuizione,
l’idea geniale che mi avrebbe consentito di scrivere un
best-seller. Nulla.
Mimi – la studentessa
– era una
sottospecie di genio, talmente simile ad una Mary
Sue da poterne ereditare il nome senza alcun problema: alta,
mora, bella, intelligente, abile con il computer… Non il mio
tipo ideale, ma
pur sempre una ragazza di tutto rispetto.
Poi
c’era Shinji, lo
shinigami, una mia
personalissima versione dei supereroi del ventunesimo secolo.
Erano
entrambi penosi. Assolutamente
penosi.
Nessuno
– a parte quella malata di mente di Kagome –
avrebbe potuto gradire un’idea
così grossolana; non avrei mai pubblicato un libro
così. Sarebbe stato uno
sfregio totale.
“Pensa”,
grugnii, afferrando una matita e posizionandola in equilibrio tra il
pollice e
l’indice, muovendola di tanto in tanto. “Pensa,
stupido”.
Offendermi
era sempre stato un buon metodo per recuperare la concentrazione
– l’avevo
imparato alle scuole medie, quando, pur odiando la matematica, ero
riuscito ad
ottenere un punteggio vagamente sufficiente. Ero sempre stato capace di
prendere voti abbastanza onorevoli in tutte le materie, in
realtà.
“Dannazione”,
esclamai, portandomi le mani tra i capelli ed afferrando malamente le
mie
orecchie.
Mi
venne in mente la sagoma sfocata di una mocciosa dai capelli corvini
che
sorrideva divertita, e mi ritrovai a ringhiare, soprappensiero.
Dannata
mocciosa.
Era
insopportabilmente irritante.
“Dannata”.
Poggiai
le mani sulla tastiera, tentando di scacciare i pensieri negativi e di
concentrarmi – andiamo, come avrei potuto farli incontrare?
“Mm…
Mimi è convocata dal preside”, biascicai,
scribacchiando. “È una studentessa
irreprensibile, così si domanda il perché,
soffocando qualche bestemmia
particolarmente plateale e qualche maledizione”, aggiunsi,
convinto. Sì, era
proprio così.
Mimi
era arrabbiata, perché il preside l’aveva
convocata senza motivo.
E
ora?
“Entra
nello studio, ma lui non c’è”. Socchiusi
le palpebre, tentando di focalizzare
l’immagine di una moretta piuttosto carina che apre turbata
una porta,
aspettandosi un uomo che in realtà non si trova
lì. “Al suo posto c’è Shinji,
che si è sostituito al preside proprio per
parlarle”.
Sì,
ma perché proprio per parlare con lei?
Mi
grattai il capo, indeciso – da un lato, darle qualche
particolare potere avrebbe solo
contribuito a
enfatizzare il suo lato Mary Sue. Dall’altro, renderla una
timida e debole ragazzina
avrebbe sortito lo stesso effetto, infastidendo i lettori, che
l’avrebbero
trovata insopportabilmente carina.
In
entrambi i casi, avevo bisogno di un perché.
Non sapevo ancora per quale strano scherzo del destino Shinji aveva
scelto di
convocare proprio lei, e questo mi mandava in escandescenze. Dopotutto,
era il mio libro. Dovevo decidere
io, cos’era
giusto e cosa no.
Non
appena il campanello suonò, scattai in piedi, chiudendo
velocemente la
schermata e collegandomi istantaneamente ad internet, alla ricerca di
qualche
informazione inutile sugli
shinigami.
Sentii
distintamente una chiave girare nella toppa, e sospirai, sollevato: non
era un
ladro.
Non
che avessi paura di fronteggiare qualche malvivente, ovvio, ma di prima
mattina
era noioso. Le risse si fanno di
sera, quando si è sbronzi e non si pensa minimamente alle
conseguenze.
“Chi
è?”, domandai, non appena la porta, con un debole click, si aprì.
“Miroku? Rin? Sesshomaru?”, elencai velocemente i
nomi delle persone in possesso del duplicato della porta di casa mia,
sperando
ardentemente che no, mio fratello
non
avesse deciso di presentarsi senza preavviso.
Sesshomaru
non è un tipo particolarmente loquace, e, di certo, non
provava il benché
minimo affetto per me – io sono un hanyou, nato dalla seconda
relazione di
nostro padre. Lui uno youkai, il primogenito di mio padre, superiore a
tutti
quelli che incontra. Me compreso.
“Ehi,
sono io”.
Mi
passai una mano tra i capelli. “Miroku, che cazzo
vuoi?”, chiesi, evitando accuratamente le gentilezze e
cercando di simulare una
voce ancora assonnata.
“Nulla,
Inu-Yasha”. Spalancò la porta sorridendo. Aveva i
capelli neri legati in uno
stupido codino, e gli occhi celesti mi osservavano, tentando di
valutare il mio
umore. “Volevo solo raccontarti la mia splendida
serata”. Sospirò, prima di
iniziare ad elencare il numero spropositato di belle
donzelle che aveva avuto il piacere
di osservare in discoteca.
Ho
già detto che il mio amico è un maniaco, vero?
“Vaffanculo, Miroku”, borbottai.
Era un hentai di
prim’ordine, certo, ma le
donne perseveravano a fare la fila per entrare nel suo letto, pur
sapendo
perfettamente che, da qualche mese, era blindato.
La sua ragazza, Sango, avrebbe eliminato tutte le pretendenti.
Non
c’era possibilità d’appello.
Mi
infastidiva ascoltare i suoi racconti
– detestavo sentirmi rinfacciare i miei quasi sei mesi di
castità. Non era
colpa mia se non avevo tempo di uscire, no? “Ti diverti a
mettere il dito nella
piaga”.
“No”,
ribatté lui. Sembrava felice come una pasqua –
strozzarlo non sarebbe stato poi
così grave. “Volevo solo raccontarti di
com’è bello il mondo, tutto qui”.
Sorrise, e la voglia di cavargli gli occhi, per poi gettarlo in un
fosso, mi
solleticò.
Forse
dovevo smetterla di guardare film come Il
silenzio degli innocenti in piena notte…
“Comunque,
Inu-Yasha, stamane mi ha chiamato Kagome”.
Alzai
lo sguardo dal pc, congelandolo prontamente con
un’occhiataccia. Detestavo
ricordare che il mio migliore amico
era anche il ragazzo della migliore amica
della mocciosa irritante.
“Sembrava
entusiasta”, sussurrò. “Ha divagato
parecchio su quanto la intrighi una tua
idea, e quanto tu sia intelligente”.
“Che?”,
borbottai, confuso. “Higurashi
mi ha
fatto un complimento?”. Era inammissibile. Miroku doveva aver
bevuto parecchio,
quella notte, e la telefonata di Kagome doveva essere stata solo un
sogno – o
un incubo.
“Sì,
certo”.
Inarcai
un sopracciglio. “Ne sei sicuro?”.
Sorrise,
guardandosi intorno, ed afferrando la mia
caffettiera. “Al cento per cento”,
confermò, prendendo una tazza e
riempiendola del liquido color cioccolata, che subito inondò
l’ambiente
circostante del suo disgustoso aroma. Odiavo il caffè.
L’unica ragione per cui
ne avevo sempre un po’ a portata di mano era
perché – ormai – mi era entrato in
circolo come droga, e non riuscivo a mantenermi sveglio senza berne un
sorso.
Tentai
di analizzare razionalmente la cosa: Kagome Higurashi – quella Kagome Higurashi – mi
aveva fatto un complimento. Cazzo.
Doveva aver fumato qualcosa di molto potente, per arrivare a
complimentarsi con
me.
“Ehi,
Inu-Yasha, mi dici qualcosa sul tuo libro?”,
domandò a un tratto Miroku,
sorridendo, malizioso. “Ci sono parti interessanti?”.
“Non
il genere di storie che piacciono a te, hentai”,
grugnii, rendendomi presto conto di ciò a cui alludeva, e
ringhiando
sommessamente, imbarazzato.
“Oh…
Andiamo, neppure una scena leggera
leggera?”.
Feci
cenno di no col capo, e riaprii la pagina. L’ultimo appunto
– Mimi entra in presidenza, ma il
preside non
c’è – attirò
nuovamente la mia attenzione, ricordandomi il motivo
dell’irrazionale rabbia provata poco prima. “Ehi,
Miroku, secondo te, perché uno
shinigami dovrebbe ingaggiare una studentessa?”.
“In
che senso?”.
“Che
genere di lavoro potrebbe offrirle?”.
Mi
osservò qualche attimo, indeciso. “Per farle fare
la centralinista di un numero
porno?”.
Inarcai
uno sopracciglio: colpirlo o non colpirlo? Questo il dilemma.
Poi
qualcosa – qualcosa di assolutamente inaspettato –
mi colpì: centralinista?
“Sei un genio”,
borbottai, scrivendo. “Shinji vuole offrirle un posto come
centralinista”.
“Di
un numero porno?”, domandò lui, sorseggiando
ancora un po’ di caffè, e
inclinando il capo, deliziato da se stesso.
“No”,
chiarii. “Non sarà una centralinista porno. Anzi,
il suo lavoro sarà utile
alla comunità dei mostri: lei
gestirà un numero di pronto intervento, dando consigli agli
esseri
soprannaturali in crisi esistenziale”, dichiarai,
compiaciuto. “Non ti sembra
un’idea geniale?”.
Miroku
rise, rischiando di macchiare il mio
divano con il mio caffè.
“No. Io ci
aggiungerei qualche scenetta simpatica,
ma sei tu lo scrittore”. Ridacchiò, sistemando una
ciocca di capelli sfuggita
al codino.
Ancora
una volta mi trovai a domandarmi se uccidere il mio migliore amico
potesse
essere considerato un atto così malvagio. “Sei uno
stupido, Miroku”.
“Me
lo dicono tutti”, sospirò –
probabilmente Sango doveva avergli ripetuto che era
un baka per tutta la notte.
“Specie
quando saluto una bella donzella. Ti sembra logico?”.
Finsi
di non aver sentito la sua domanda, per evitare di spiegargli che sì, era normale, dato che lui
sembrava
provarci spudoratamente con ogni singolo essere vivente di sesso
femminile. “Mi
dici perché sei venuto qui?”, domandai ad un
tratto.
“Mah,
per perdere tempo…”.
Sbuffai.
“Sango ti ha di nuovo
cacciato di
casa?”.
Sbatté
più volte le palpebre, incredulo. “Come hai fatto
a capirlo?”, chiese,
scioccato. “Ti ha chiamato e te l’ha
detto?”.
“No.
Ma, quando vieni a casa mia da solo,
vuol dire che Sango ce l’ha con te”, spiegai
– l’ultima volta che la sua
ragazza si era arrabbiata, Miroku aveva soggiornato
nel mio salotto per almeno una settimana. Per una volta avevo quasi provato pena per lui –
salvo poi
scoprire che aveva palpato il sedere a tutte le donne presenti al
compleanno di
un’amica di Sango. “Quanto tempo hai intenzione di
restare, questa volta?”.
Abbassò
il capo, osservando torvo la tazzina. “Non ne ho
idea”, disse infine,
sospirando. “Sango era molto
arrabbiata”.
“Ah”.
Bene.
La mia pace era andata definitivamente a farsi benedire.
Goodbye, mio nuovo romanzo.
“Non
preoccuparti, Inu-Yasha. Non farò alcun
rumore”.
Inarcai
un sopracciglio – ho già fatto presente che il mio
qui presente amico è stato
arrestato per disturbi alla quiete pubblica?
“Te
lo prometto”.
E
ho
già detto che ha vinto il premo di spergiuro
dell’anno?
“Certo”,
mugugnai. “Sicuro. In ogni caso, io dovrei terminare le
bozze, quindi… Potresti
gentilmente andare a farti un
giro?”.
Lui
fece cenno d’assenso. “Vado al bar. Non ho ancora
fatto colazione”, ridacchiò,
stiracchiandosi. “Devo portarti qualcosa da
mangiare?”.
Annuii.
“Mm… Un cornetto”. Abbozzai un sorriso.
“Ti perdonerà. Lo fa sempre”.
“Lo
spero”.
Fece cenno con la mano, poi aprì la porta.
Aspettai
che l’ingresso si chiudesse, per sospirare: perché
tutte a me? Non poteva
bastarmi una mocciosa logorroica? Doveva aggregarsi anche un maniaco di
prim’ordine?
Beh,
com’è quel modo di dire?
Al
peggio non c’è mai fine?
Forse
avrei dovuto ricordarlo, prima di sconfortarmi.
“Mm…”.
Scrissi velocemente qualcosa sull’idea malsana che mi era
balzata in mente,
sorridendo al pensiero di Mimi-la-Mary-Sue che osservava sbigottita
Shinji,
seduto innanzi a lei, tra le mani dei depliant e un ghigno divertito
sulle
labbra. Poi suonò il telefono.
“Pronto?”,
grugnii – odiavo essere interrotto durante il mio lavoro.
“Pronto?”.
Non
sentivo nessuna voce. Solo un
brusio,
e un rumore strano, di acqua che scroscia.
“Pronto?”.
Inarcai un sopracciglio, infastidito. “Se non vuoi fare una
brutta fine, ti
conviene rispondere”.
Sospirai
sollevato, quando la voce divertita di Kagome mi chiamò
dall’altro capo della
cornetta.
“Cosa
vuoi?”, chiesi, storcendo il naso.
“Mah,
volevo sapere come procede la tua idea”.
Sentii
un moto di stizza crescermi dentro, e mi domandai se – oltre
ad uccidere Miroku
– farla fuori avrebbe potuto mettermi nei guai. O se
l’umanità si sarebbe
rattristata per la sua scomparsa – probabilmente no: nessuno poteva sentire la mancanza di
una piattola logorroica
come lei. “Non penso ti riguardi”, sbottai.
“Er…
Invece sì, mi spiace. Papà mi ha dato
l’incarico di supervisionare il tuo
lavoro, e correggere le tue bozze. Lavoreremo insieme molto, molto a
lungo,
sai?”.
Ecco.
Avrei dovuto ricordarlo, quel detto, prima di sollevare la cornetta.
Perché
dopo questa simpaticissima telefonata, mi ritrovai a terra. Svenuto.
*\* Ta-dan! Probabilmente, qualcuno, in questo momento,
starà osservando la schermata, ancora confuso: come mai roro ha aggiornato
così in fretta?
Boh, se lo sapessi ve lo dire. XD Avevo pensato di farli attendere
ancora qualche giorno - come sono perfida - ma il capitolo, impresso
nella pagina di Word, sembrava osservarmi, e dire "Postarmi!".
ù.ù Non potevo dirgli di no.
Poi... Non so. Il capitolo è abbastanza lungo, o preferivate
qualcosa di più? Io ho preferito concluderlo qui per non
appesantire il tutto. ù.ù E perché, se
mi dilungassi troppo, non scriverei neppure un capitolo ogni tre mesi.
ù.ù
Mm... Ah! XD Per chi conosce la storia
che Inu-Yasha vuole scrivere: sì, è quella mia
cavolata. No, non ho mai avuto intenzione di finirla. Sì, mi
va benissimo così. XD
Allora, ringrazio sentitamente le dodici commentatrici, che hanno fatto
di me la baka più felice della terra!
ç.ç Mi sono molto commossa, notando che la storia
ha comunque riscosso un certo consenso!
RINGRAZIO:
sango93
Maddai! Figurati, non fa nulla se non hai più seguito le mie
storie. ^^ Sono davvero felice di sapere che il prologo ti è
piaciuto, e spero vivamente che il seguito ti sia piaciuto. XD Ciao!
inufan4ever
ò.ò Kikka! ù.ù Non puoi
adorare i miei scleri, è matematico.
Sìsì. Per le idee folgoranti... XD
Oddèi, a me vengono di continuo, ma spesso non le metto su
carta. XD Te le regalerei tutte, se potessi! XD Ah... Che te
n'è parso del capitolo?
jessy je XD
Ehi, non esageriamo, non sono mica chissà chi!
ù.ù Mi farai montare la testa, uno di questi
giorni, sìsì. ù.ù Spero che
il capitolo ti sia piaciuto! ^^
Mary_lovelovemanga
XD Già, per una volta ho invertito le parti, rendendo Kagome
superiore
ad Inu-Yasha. ù.ù Non mi piace cadere nei soliti cliché,
preferisco sondare sempre nuovi terreni. ^^ Spero che questo capitolo
ti sia piaciuto, baci!
ran ugajin92
Ma ciao! XD No che non ti ho dimenticata, figurati: può
capitare a tutti, che il pc impazzisca. ù.ù
Succede di continuo anche a me, dopotutto! XD Mi fa piacere sapere che
la storia ti piace. Bacioni!
stella93mer
^^ Sono felice di sapere che la mia idea ti è piaciuta, e
spero vivamente che il capitolo sia stato di tuo gusto. ^^ Fammelo
sapere, mi raccomando!
daygum XD
Beh, Inu-Yasha scrittore era uno dei miei sogni nel cassetto: non
appena l'ispirazione ha deciso di assistermi, non ho potuto esimermi
dal realizzare questo sogno.
XD Spero tu abbia gradito il capitolo. ^^
demetra85
Sono felice di sapere che mi segurai, e spero vivamente che questo
primo capitolo sia stato all'altezza del precedente. ^^ Sono inoltre
lieta di sapere che la mia idea di stravolgere
le parti sia stata gradita: per un attimo avevo temuto di
essere linciata. XD Spero che il capitolo ti sia piaciuto!
Aryuna *.*
Il titolo è di Elisa, per questo è geniale! *.*
Io mi sono limitata alla trama - a questa stupidissima trama. XD E
poi... *.* Ary-tesoro, sei riuscita a trattenerti per ben 118 parole! *.*
Non è da tutti! E... XD Come hai fatto a capire che quel
prologo era mio? Per il mio stile?
Per le cavolate contenute al suo interno? *.* O forse perché
tra amiche di succo di
frutta alla pera ci si capisce al volo? *.* (No,
perché siete stupide. ù.ù ndTakkun)
(Leggermente ritardate, prego. ù.ù ndInu) -.-''
Questi due non cambiano mai, eh? Eppure ho preso tutti i loro
giocattoli con l'intenzione di bruciali... (ò.ò
Non oserai! ndTakkun) (ò.ò Oserà,
oserà. La conosciamo bene: oserà. ndInu) ^^
Andate via? *I due si allontanano, di corsa* XD Ebbene, Ary, io mi
congedo: devo ringraziare molte persone. *.* Spero di sentirti presto!
E di leggere presto la tua fic per il concorso, my dear ghost! *.*
Sao!
ryanforever
XD Sì, l'idea di base era sfatare questo cliché
secondo cui Inu-Yasha è sempre il ragazzo ricco e viziato e
Kagome la mocciosa povera. ù.ù Per una volta,
volevo vedere la situazione un po' ribaltata. ù.ù
Sono comunque felicissima di rivederti come commentatrice. ^^ Una mia
storia non sarebbe tale, senza il tuo prezioso contributo! ^^
Gweiddi et Ecate
*.* Elisaaaa! *.* *Roro urla contenta, saltellando sul letto* *.* Tu il
capitolo l'hai letto in anteprima, ma scritto su EFP ha tutt'un altro
aspetto, eh? *.* Non sembra più professionale? ... -.- Ok,
come non detto. Riavvolgiamo il nastro. ^^ Io... Io adoro il titolo!
*.* Sei la persona più brava che conosco, a scegliere i
titoli! *.* E poi... Mm... Scriverò in fretta il prossimo
capitolo! Spero ne esca qualcosa di abbastanza comico, per i tuoi
gusti. XD Ho già qualche ideuzza... Niente di che, ma pur
sempre qualche idea. ù.ù E ora saltello via,
attendendo il tuo arrivo su msn - se arrivi, ovvio.
pillo XD
Beh: vista la prima pena? XD Kagome è riuscita a farlo
svenire. Il che è tutto dire... -.- Andiamo, quella
sottospecie di cucciolotto
è rimasto sconvolto dal sapere che lei correggerà
le sue bozze... -.- Mi fa quasi
pena. Che te n'è parso di questo capitolo? All'altezza del
prologo? ^^ Spero di sì. Baci!
HimeChan XD
ù.ù Io non ho trascurato proprio nessuno.
Sìsì. ù.ù Il contest
è aperto a
tutti, e chi voleva poteva sentirmi su msn, come hai fatto
tu. Sìsì. ù.ù Non farmi
rattristare. ç.ç Eddai, dopotutto ora sono qui,
con un nuovo lavoro e tanta voglia di scrivere! Sono anche riuscita a
farmi venire voglia di ricominciare con Inu - dopo aver quasi deciso di
lasciare il fandom e passare a qualcos'altro. -.-'' Quindi, Hime cara,
accontentati di sapere che sono
pucci. XD E che lo sei anche tu!
E, ovviamente, un grazie molto speciale va anche a chi mi supporta solo
leggendo o - *.* - inserendo la storia tra le preferite. E' davvero un
onore.
Poi... Beh, voglio deliziarvi
con uno spoilerino ino ino tratto dall'inzio del prossimo capitolo -
è tutto ciò che ho scritto, accontentatevi. XD
“Dove
sono?”, sbuffai, incapace di mettere a fuoco
l’ambiente circostante, e ancora
troppo scosso per tentare di analizzare gli odori.
“A
casa”, rispose Miroku, ridendo. “Kagome deve averti
dato una brutta notizia:
sei svenuto. Quando sono rientrato, ho sentito la sua voce urlare nella
cornetta”. Sospirò. “Povera
ragazza.
Credeva ti fossi fatto male”.
Mi
passai una mano sugli occhi, iniziando a riconoscere le forme, e
notando che
l’oggetto morbido su cui ero disteso era il mio divano.
“Quanto tempo…?”,
esordii, salvo poi essere bloccato da una sua pronta risposta.
“Mah,
penso un’ora. O forse due. Non saprei dirti, in
realtà, e Kagome era troppo
sconvolta per darmi le informazioni necessarie”.
Spero -
ovviamente - che l'abbiate gradito. XD Bye!
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Capitolo 3 *** Il ritardo del secolo - quando i pazzi da sopportare sono due ***
TBLOAFW2
The
brothering life of a forced writer
Capitolo
2 - Il ritardo del secolo - quando i pazzi da sopportare sono due
Mi
risvegliai dopo qualche ora, la voce melliflua di Miroku che tentava di
richiamare
la mia attenzione.
Ero
disteso su qualcosa di morbido, e, dall’aroma che mi
circondava, dedussi che
doveva esserci una tazza di tè, da qualche parte. E io
andavo matto, per il tè.
“Dove
sono?”, sbuffai, incapace di mettere a fuoco
l’ambiente circostante, e ancora
troppo scosso per tentare di analizzare gli odori.
“A
casa”, rispose Miroku, ridendo. “Kagome deve averti
dato una brutta notizia:
sei svenuto. Quando sono rientrato, ho sentito la sua voce urlare nella
cornetta”. Sospirò. “Povera
ragazza. Credeva
ti fossi fatto male”.
Mi
passai una mano sugli occhi, iniziando a riconoscere le forme, e
notando che
l’oggetto morbido su cui ero disteso era il mio divano.
“Quanto tempo…?”,
esordii, salvo poi essere bloccato da una sua pronta risposta.
“Mah,
penso un’ora. O forse due. Non saprei dirti, in
realtà, e Kagome era troppo
sconvolta per darmi le informazioni necessarie”.
“Ah”,
commentai, allungando una mano tentoni, alla ricerca del tè,
e ghignando
soddisfatto non appena una superficie calda sfiorò le mie
dita. “Bene”.
“Inu-Yasha,
potresti dirmi tutto?”.
Mi
morsi il labbro inferiore, sentendomi improvvisamente più
stupido di quanto –
in venticinque anni di vita – mi ero mai sentito.
“Correggerà le mie bozze”,
esalai, incerto.
Sentii
qualcosa rompersi, e una risata – una fragorosa
risata – schernirmi. Bene. Perfetto.
Neppure
Miroku era dalla mia parte.
“E
tu
saresti svenuto per questo?”,
biascicò,
incerto. “Sei rimasto sconvolto per questo?”.
Era incredulo. E non potevo dargli torto.
“Beh…”.
“Sei
svenuto perché Kagome correggerà le tue
bozze?”.
Abbassai
il capo, frustrato. “Sì, Miroku. Sì.
E smettila di dirlo come se fosse una cosa stupida: sono rovinato,
capisci?
Dovrò sopportare per chissà quanti mesi una
pettegola diciottenne che aspira a
lavorare in un qualche giornale di gossip”, ringhiai.
“Ti sembra poco?”.
Non
gli lasciai tempo di replicare, alzandomi di scatto – lo
stomaco fece una
giravolta, ma tentai di non pensarci – e massaggiandomi le
tempie, nel
tentativo di riprendere un po’ di colorito. Dovevo calmarmi. Se mi fosse impegnato, forse il
capo avrebbe esonerato
Kagome. E io sarei stato libero.
Era
un’idea da non sottovalutare, in effetti.
“Inu-Yasha,
posso dirti una cosa?”. Miroku si chinò,
raccogliendo celermente le schegge del
mio bicchiere.
“Sì”,
sbuffai. “Dimmi”.
“Secondo
me, tu piaci a Kagome”.
Alt.
Stop.
Un
momento, prego.
Io?
A
Kagome?
Certo.
Come no.
Kagome
era innamorata di me, e mio fratello Sesshomaru era uno stinco di
santo. Ovvio.
Ah-ha,
che battuta di pessimo gusto. “Non fai ridere”,
sbottai.
“Er…
Non volevo far ridere, sai? Ero serio”.
Probabilmente
impallidii ancor di più, perché
l’espressione di Miroku – fino a pochi attimi
prima divertita – divenne preoccupata, e me lo ritrovai quasi
addosso. “Sto bene”,
mentii.
Beh,
era una mezza verità: se tralasciavo il dolore allo stomaco,
l’emicrania e
quella sgradevole sensazione di sbigottimento,
stavo bene. Più che bene – in fin dei conti, avevo
appena ottenuto un lavoro
che mi avrebbe fruttato un guadagno quantomeno decente. Non
c’erano ragioni di
lamentarsi, no?
“Ah”,
commentò il mio amico,
scostandosi.
“Non ti vedevo così da secoli. Sembra che ti abbia
di nuovo investito un
camion”.
Sospirai.
Quando riesci a farti investire da un enorme
camion solo passeggiando per il centro, è quasi
logico che tutti –
indistintamente – te lo ricordino. Peccato che io non mi
divertissi neppure un
po’, a sentirmi ripetere che ero stato fortunato, a rompermi
solo una gamba e a
dover restare in ospedale per quattro lunghissime settimane.
“Miroku”, grugnii.
Il mio era un monito.
Tossì
più volte, tentando di schiarirsi la voce, e poi
abbozzò un sorriso. “Se tu ti
mettessi con Kagome…”.
“Miroku!”.
“…
beh, forse tutto sarebbe più semplice”, concluse,
afferrando una bustina di
carta e porgendomela. “Il tuo cornetto”,
spiegò, sospirando.
Mi
irrigidii, cercando di razionalizzare l’ultima stupidaggine
proferita dal mio ex
migliore amico. “Miroku, ti rendi conto che mi stai dicendo
di provarci con
Kagome solo per sbarazzarmene?”, domandai infine, ancora
sconvolto. Sapevo che
il mio amico era stupido – ma non così
stupido!
“Er…”.
Si portò una mano sul mento, indeciso. “Sì?”,
borbottò dopo poco. “Non ti sembra una buona
idea?”.
Scossi
furiosamente il capo, cercando di ricordare perché
quando Sango, due settimane prima, aveva cercato di ucciderlo, non
l’avevo
lasciata fare. “Buona idea, Miroku? Secondo te illudere una
ragazzina di
diciotto anni è una buona idea?”.
Lui
rise, e solo allora mi resi conto di aver parlato dando per scontata
una
possibile cotta di Kagome per me. “Rimangio tutto”,
sbottai, esausto.
“Ah.
Beh, Inu-Yasha, io penso che potresti almeno essere più
carino, con lei. Il tuo
mancamento l’ha
tremendamente scossa,
sai? Continuava a ripetere che dovevate vedervi a non so quale
ristorante per
non so che”.
Impallidii.
“Per caso dovevamo incontrarci con suo
padre nel suo
ristorante?”, biascicai
a mezza voce, pregando per una risposta negativa – avrei
fatto di tutto, per un
no. Sarei persino arrivato a tagliare i miei lunghissimi capelli
d’argento, e
divenire un monaco buddista.
“Eh?
Sì, ha detto proprio così”. Il mio ex
migliore amico sorrise, osservando le schegge di vetro che aveva posto
sul
palmo della mano. “Era una cosa importante?”,
domandò a un tratto, tentando – disperatamente
– di interpretare la mia
espressione. Ero in trance, e continuavo a chiedermi perché
la mia vita era così. E perché non avevo bruciato
quel dannatissimo cd nel caminetto.
“Sì,
Miroku. È una cosa di vitale importanza”,
confermai. Tentai di ricordare dove
avevo nascosto le chiavi della mia macchina – come un fulmine
a ciel sereno,
l’immagine sfocata di un meccanico che mi garantiva che la
mia auto era troppo distrutta per
essere rimontata mi
folgorò, e lasciai che un ringhiò uscisse dalle
mie labbra. “Miroku, mi presti
la moto?”, chiesi, maledicendomi mentalmente.
“Sì.
Ma trattala bene”, mi ammonì, lasciando finalmente
andare i frammenti del bicchiere e
cercando le chiavi. “Non voglio che faccia la fine di tutti i
tuoi mezzi di
trasporto”.
Sospirai.
“Se fosse per me, non farei un incidente a settimana,
sai?”.
“Lo
so. Ma non mi fido del tuo modo di guidare”.
“Bene”,
borbottai, afferrando la mia tazza di tè e bevendola
avidamente. “Non guiderò troppo
veloce, sei contento?”. Era
inconcepibile l’amore di Miroku per le auto. Non era pari a
quello per le belle donzelle,
certo, ma era pur sempre
spaventosamente enorme, e più volte ero rimasto scioccato,
notandolo
accarezzare con dolcezza la carrozzeria scarlatta della macchina di
Sango – un
regalo di compleanno purtroppo poco usato.
“No,
Inu-Yasha. Sarei contento se tu decidessi di comprarti una nuova
automobile”.
Inarcò un sopracciglio, poggiando delicatamente le chiavi
lucenti tra le mie
mani, e sospirando. “Un graffio e sei morto”,
minacciò.
Evitai
di dirgli che erano cinque mesi che
non guidavo una macchina, e che ero già in ritardo
– per quanto ne sapevo,
l’appuntamento era verso mezzogiorno. Ed erano le undici e
mezza – avrei dovuto
correre. “Contaci”, mentii, sorridendo e aprendo la
porta di casa.
“Ehm…”.
Miroku si grattò il capo. “Inu-Yasha, ma non
dovresti portare con te un cd, o
qualche foglio? Vai così?”.
Impallidii.
“Sì”.
“E?”.
“E
me
ne stavo dimenticando”.
“Grazie, Miroku”,
gongolò compiaciuto,
esortandomi a ripetere la frase. Lo fulminai con
un’occhiataccia, correndo al pc
e riaprendo il documento.
Bene.
Ora avevo solo bisogno di un…
“Non
ho cd”, urlai, esasperato. “Dèi, Miroku,
non dirmi che li hai usati tu!”.
Il
mio ex migliore amico
chinò il capo,
colpevole, e mi ritrovai ad insultare tutti i suoi antenati, colpevoli
di aver
preparato l’avvento per l’essere stupido e hentai
denominato Miroku.
“Scusami, Inu-Yasha”, borbottò.
Eppure gliel’avevo ripetuto almeno centomila volte, di non
toccare i miei file,
e di non usare i miei cd. Stupido
pervertito.
E
stupida Kagome che mi aveva messo in questo guaio.
“Non
puoi stampare il file?”.
Grugnii.
Certo.
Ora avrei dovuto stampare il file. E
Higurashi l’avrebbe
sicuramente letto,
ridendo della mia idea, improvvisamente ridicola e infantile.
“Kagome
è una brava ragazza, e ti adora, no? Non si
adirerà. E puoi sempre chiederle
l’indirizzo e-mail per spedirle poi le bozze
definitive…”. Mi sorrise,
immaginando sicuramente sguardi lascivi tra me e la mocciosa.
Ho
già fatto presente di odiare il mio ex
migliore amico, vero?
“Smettila”,
sbottai.
“Dai,
Inu-Yasha, tanto lo so che, sotto sotto, Kagome ti piace”.
Espira,
Inu-Yasha.
E
ora
inspira.
Bravo.
Un’ultima
volta: espira.
Inspira.
Bene.
Ora puoi urlare. “Ma sei completamente matto,
Miroku?”, domandai, pigiando
malamente il tasto destro del mouse sull’immagine piccola e carina della stampante.
“Hai bevuto qualcosa di alcolico?
Beh, ovvio. Altrimenti Sango
non ti avrebbe cacciato di casa… Mm… Oltre a bere
hai sbattuto la testa?”.
“No”.
Il mio ex – sempre
più ex – migliore
amico strabuzzò gli occhi, non riuscendo a capire dove io
volessi arrivare.
“No,
dici? Beh, Miroku, io temo di sì: andiamo, come potrebbe
piacermi Higurashi? Ha…
sette anni meno di me!”.
La mia voce rimbombò qualche istante per la stanza, e,
quando la stampante si
mise in moto, rilasciandomi uno striminzito foglio come regalo,
sobbalzai.
“Cioè…
Il problema sta nel fatto che lei ha diciotto anni e tu
venticinque?”.
Annuii.
“Non è di certo solo una questione
d’età. Indipendentemente dai suoi diciotto
anni, Kagome ha l’intelletto di una bambina di quattro anni.
Non ho alcuna
intenzione di farle da baby-sitter”. Mi sentivo stranamente infame – la mia era una mezza
bugia,
dopotutto. E una mezza bugia è pur sempre una mezza
verità.
“Oh”,
commentò Miroku, sprofondando nel divano. “Questo
è razzismo, sai? La
discrimini solo perché più
piccola”.
Non
diedi assolutamente peso alle parole di Miroku, troppo indaffarato. Era
ora di
uscire.
Ed
ero dannatamente in ritardo.
*\*
Mm... Capitolo breve. Troppo
breve.
Avrei voluto dilungarmi, ma... Beh, ho deciso di trattenermi qui, e
lasciarmi andare nel prossimo. Dopotutto, non capita tutti i giorni di
sopportare Kagome
Higurashi e Inu-Yasha
nello stesso ristorante. Ci sarà molto da dire, no?
XD
Poi... Kyah! E doppio Kyah! *.* Nuove commentatrici! Benvenute!
Chiedo nuovamente venia per il capitolo breve e non particolarmente
significativo, ma credo che una chiacchierata tra Inu-Yasha e Miroku,
prima del nuovo incontro tra Kagome e Inu-Yasha, sia utile. Ed
essenziale. ù.ù E poi...
XD Spero che questo capitolo penosissimo non vi abbia fatto pentire di
leggere! XD
RINGRAZIO:
kaggychan95
XD Ma figurati. Spero che collegarti dalla psp sia valso la pena:
questo capitolo non è granché. XD E poi...
Sì. Hai ragione. Questo Inu-Yasha un po' credo che
finirà col somigliarmi. XD Ovvio è che,
però, se avessi desiderato un alter-ego, avrei scelto
Kagome. ù.ù Dimmi che te n'è parso di
'sta roba. XD
pillo
ù.ù Mannò. Che ti importa, se hai
commentato per tredicesima? Hai commentato, e questo è
l'essenziale. Sìsì. XD Questo capitolo non
è di certo meglio del prologo. Né del precedente.
XD Ma, come ho già detto, credo sia utile ai fini della
trama, quindi... XD Spero ti sia piaciuto almeno un po'!
inufan4ever
XD Sì! E' lei! E' assolutamente lei! XD Dopotutto, io non
avevo intenzione di proseguirla. E Inu-Yasha aveva bisogno di una
trama... XD
mikamey
^^ Sono felice di sapere che il mio non dipingere Inu-Yasha e co. come
esseri perfetti non ti disturbi. ù.ù Io non credo
che idealizzarli sia umano,
e li preferisco così, pieni di difetti. Ma umani.
ù.ù Poi... Il titolo lo ha scelto una mia amica.
XD Io non ero capace di trovarne uno adatto: vero che è
meraviglioso? *.*
lilysol
^^ Maddai. Figurati. Non devi preoccuparti: non hai perso il tocco. E
Kagome... XD Beh, Miroku è del tuo stesso parere, no?
ù.ù Anche lui è convinto che Kagome
sia perdutamente innamorata di Inu-Yasha. Ma, chissà... Il
tempo ci darà le risposte.
Aryuna
ç.ç Miroku è pessimo. Ed io lo sono di
più, perché non l'ho picchiato...
ç.ç (Oh, mia dolce Roro, perché
piangi? ndMiro) -.-'' Miroku, sta buono. *Miroku spia la scollatura di
Roro* è.é Ma è un vizio, il tuo!
Non.Devi.Spiare.Le.Nostre.Scollature.Baka! è.é
(ç.ç Aiutoooo! ndMiro) -.-'' Scusalo, Ary-chan.
E' un caso disperato.
jessy je
XD Mannò! Non vedi com'è sveglio, Miroku?
ù.ù Io non dire che con lui in mezzo non si
può far nulla. Anzi...
MyImmagination
Oddèi. ò.ò Ecco, me lo sento, ora ho
uno svenimento. ò.ò Ma davvero ti piace
così tanto? ò.ò Davvero davvero
davvero? ç.ç *Commozione*
ç.ç Sono sempre felice di sapere che qualcuno
apprezza i miei sforzi, e mi onora sapere che ritieni il quadro delle
personalità dei personaggi accennato per bene.
ù.ù Davvero, non so come ringraziarti.
Probabilmente, questo capitolo sarà potuto apparirti noioso,
ma ritengo assolutamente
inutile fare balzi temporali. XD Così ho deciso
di descrivere
anche questo dibattito. ù.ù Spero tu comprenda le
mie scelte, e che continuerai a darmi il tuo parere, assolutamente
fondamentale per il proseguo della fan fiction.
ù.ù Ah. ^^ Grazie mille per i complimenti!
Gweddi at Ecate
XD Beh, ora sai tutto, di quella storiella stupida, no? XD E io sono
sempre su msn, di pomeriggio. ù.ù Ah. Ho deciso
di aggiornare unicamente per scrivere una nuova HanaIta: ti fa piacere?
*.* Spero di sì. ^^ Baci!
callistas
Io posso scoppiare in lacrime, vero? ç.ç Davvero,
mi commuove sapere che c'è gente che mi ritiene brava. XD
Quando si ha un'autostima inesistente come la mia, credo sia quasi
logico, no? XD Poi... *.* Sono lieta di sapere che hai superato lo
scoglio imbarazzo,
e spero di leggere prestoun tuo prossimo commento. ^^ Il capitolo
è stato noioso, vero? XD
kirarachan
XD Già! Kagome, la miglior beta-reader del web, è
pronta ad aiutare Inu-Yasha! XD Sì, sono matta.
ù.ù Spero che questo capitolo ti sia piaciuto
almeno un po'! XD
Mary_lovelovemanga
Oh, ciao. ^^ Sìsì, le cattiverie verso Inu-Yasha
sono cose che adoro. XD Con tutto quel che ha combinato! -.-'' Non
farmici pensare, vah. Spero che il capitolo - almeno poco poco poco -
sia stato di tuo gradimento, baci! ^^
ryanforever Sì.
Inu-Yasha è svenuto, povero
caro. ù.ù Ovvio è,
però, che questo è solo l'inizio, e che il cucciolotto ha
ancora tanti guai da combinare. XD Che dici: il capitolo è
stato troppo noioso?
HimeChan XD
Sì. Ebbene sì. Inu-Yasha sa cos'è una
Mary Sue. ù.ù Un attimo di silenzio, per favore.
Dobbiamo compiangere tutte le Mary Sue perite sotto lo sguardo sadico
di Inu. Sìsì. ù.ù ...
Attimo di silenzio finito. XD E... no. Le scenette porno N.O.
ù.ù Inu ha un po' di dignità, sai? XD
Ebbene, i ringraziamenti, per oggi, sono terminati. XD
Conto di aggiornare a breve, sia perché non mi piace tenervi
sulle spine troppo, sia perché stanno per iniziare la
festività natalizie, e la scuola, per un po', mi
lascerà libera di scrivere. ^^
Bacioni!
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Capitolo 4 *** Quando le Mary Sue spopolano ***
TBLOAFW3
The
brothering life of a forced writer
Capitolo
3 - Quando le Mary Sue spopolano
“È
una Mary Sue”.
Qualcosa
– nell’espressione infastidita di Kagome
– mi lasciava intendere che no,
la descrizione di Mimi non l’aveva
minimamente soddisfatta. “E allora?”, domandai,
fingendo sdegno. Sempre meglio
che ammettere la sconfitta, questo era certo.
“E allora, Inu-Yasha, le Mary Sue sono
dei veri orrori. Credevo tu
riuscissi
a capire almeno questo”, borbottò, poggiando i
fogli – le mie amate bozze – sul
tavolino e alzando una mano, facendo cenno al cameriere di servirle un
nuovo
bicchiere di acqua. “Le donne odiano
le Mary Sue. Sono troppo perfette”, terminò,
offesa.
Sentii
il mondo crollarmi addosso. Neppure Kagome Higurashi riusciva a trovare
gradevole Mimi-la-Mary-Sue. Era assolutamente frustrante.
“Beh, ti sfido a fare di meglio”, grugnii,
indicando
una penna appoggiata sul tavolo ed un’enorme pila di fogli bianchi. “Perché tu
ne sei capace,
vero?”, continuai, compiaciuto. Kagome si era sempre
rifiutata di scrivere,
ribadendo più e più volte che no,
non
era nel suo dna.
“Oh,
sì, certo”, ribatté lei. “Mi
credi inutile, Taisho?”.
Ringraziai
mentalmente il mio autocontrollo – unico motivo per cui non
m’ero lasciato andare
in una risata liberatoria – e sospirai. “Dimostramelo”.
La
osservai lanciarmi un’occhiata bieca, per iniziare a
scribacchiare qualche
frase incerta sul foglio. L’aria era terribilmente
corrucciata, e le labbra,
semidischiuse, lasciavano spesso sfuggire dei borbottii irritati.
“Facile?”,
chiesi ad un tratto, guardando la saliera, poggiata accanto al mio
piatto vuoto.
Lei
grugnì, blandendomi la penna contro come una katana, e
assottigliando gli
occhi. “No. O forse sì. Chissà,
Inu-Yasha, forse sono più portata di quel che
credevo”.
Ridacchiai
sottovoce, allungando il collo per scorgere qualcosa
– la calligrafia di Kagome era abbastanza normale,
eppure fissai intensamente le singole lettere qualche secondo, prima di
tentare
di decodificarle.
Abbastanza
distintamente captai la parola secchiona,
ma un’occhiata tutt’altro che pacifica della
moretta innanzi a me mi impedì di
continuare.
Pochi
attimi, e la parola fu cancellata con un’elegante serie di
linee confuse, e roteai gli occhi,
indeciso se
darle qualche dritta o ostentare un religioso silenzio.
Sospirò.
Mentre la destra stringeva con rabbia la stilografica – la mia stilografica –, la manca
prese a vagare per il tavolo,
sfiorando lentamente ogni singolo oggetto.
“Ho…
finito”, sbuffò contrariata ad un tratto,
arrossendo. “Ma non voglio che tu
legga”. Prese ad arrotolarsi lentamente i capelli intorno
alle dita. “È
peggiorata, semmai”, ammise.
Mi
ritrovai a sorridere troppo sfacciatamente per simulare indifferenza.
“Su,
mostrami quel foglio”.
Scosse
il capo. “Non sei tu a
dare ordini, qui. Sono io, Taisho, che ti piaccia o
no”, biascicò, accartocciando il
foglio, e allungandomi la penna – con uno scatto, la mia mano
evitò la sua, ed
afferrò il piccolo foglietto. Dalle labbra scarlatte di
Kagome scappò un urlo.
“Non oserai”, gemette.
Ghignai,
improvvisamente conscio di avere il coltello dalla parte del manico, e
di desiderare con tutto il mio
cuore
torturarla. Non so, forse la mia era solo una macabra rivincita per lo
svenimento di quella mattina. O ero così disperato dal
desiderare unicamente
torturare una diciottenne logorroica.
Chissà.
Sapevo
solo che mi stavo divertendo un mondo.
Srotolai
il foglio senza degnarla di uno sguardo – né di
alcuna risposta – e mi applicai
nuovamente a decodificare quello scritto. Le parole, graficamente
suggestive,
erano anche piuttosto… ricercate.
A
voce non l’avrei mai ammesso, ma neppure io usavo termini
così sofisticati per una
bozza. Quella
mocciosa era una fabbrica di
sorprese.
La
nuova Mimi – o quello che ne restava – indossava un
paio di occhiali. Ed un
camice da laboratorio.
E…
Beh, lo schizzo era piuttosto
esauriente: i capelli erano lunghi sino alle spalle, crespi. Aveva
occhi
piuttosto grandi, e le labbra erano sottili. Nulla di eccezionale, in
effetti.
Anonima.
Tra
le qualità, scritte in maiuscolo, spiccava la parola acida. “Kagome, da quando
l’essere insopportabili è una
qualità?”,
domandai, piuttosto confuso.
Lei
scrollò le spalle. “Beh, essere detestabile
non è una prerogativa delle Mary Sue. L’ho messa
lì per questo”, spiegò, in
imbarazzo. La sua aria disperata mi implorava di restituirle il foglio
–
eppure, nei suoi occhi, leggevo l’enorme desiderio di
ogni scrittore
alle prime armi: quello di conoscere il parere di qualcuno. Sorrisi,
immaginando che quella era la sua prima bozza. E che io ero il primo a
leggerla.
Dopo
acida, sempre a caratteri cubitali,
la
parola emarginata. E, a seguire, sfigata faceva la sua bella figura,
circondata com’era da disegnini monocromatici di fiori.
“Insomma…
Questa ragazza è l’antitesi di una Mary
Sue”, commentai, colpito. Beh, c’era da
lavorare, ma quella nuova Mimi mi
intrigava. Ed era assurdo.
“Sì”.
“E
l’hai creata in…”. Guardai
l’orologio. “Cinque minuti netti”.
Kagome
asserì con il capo, osservandomi perplessa. “Fa
così schifo?”, biascicò infine.
Notavo già i goccioloni ai lati dei suoi occhi, e per un
istante – un momento eterno
– desiderai farla piangere, per
poi abbracciarla. Scossi ferocemente il capo: promemoria per me. Non
parlare
con il tuo ex migliore amico prima
di
dover incontrare la migliore amica della sua ragazza. Potresti avere
dei
problemi, quali confusione, smarrimento e desideri
libidinosi verso la tua povera correttrice di bozze.
“Non
fa schifo”, riuscii infine a dire, senza voce.
“Tutt’altro. Mi piace”.
La
bocca di Higurashi si
spalancò,
lasciando intravedere i denti perfettamente curati, frutto di assidui
appuntamenti dal dentista e di un apparecchio portato per quattro anni.
“Davvero?”, chiese, confusa.
“Sì”,
esalai, abbozzando un sorriso. Non era da me, ma
c’è sempre una prima volta. E
poi ero schifosamente affamato. Non
resistevo più. “Ordiniamo?”, proposi.
Lei
fece cenno di sì.
“Papà arriverà a
breve”, aggiunse, giungendo le mani come per scusarsi.
“Desiderava davvero, davvero venire, ma Kaede-sama
l’ha trattenuto, sai com’è
fatta”,
aggiunse, ridacchiando.
Kaede
era la zia di Kagome, un’ottantenne particolarmente attiva
dall’aria gentile.
Adorava incondizionatamente il
suo lavoro, e detestava caldamente gli scrittori che, come me, avevano
intrapreso questa professione più per non restare al verde
che per vera
vocazione.
Non
di certo una persona cattiva, ma preferivo evitarla, quando mi era
possibile.
“Ah”,
commentai. “Beh, arriverà, no?”.
Iniziavo a temere di restare solo con la piccola,
e questo mi spaventava più del
dovuto.
“Er…
Sì, credo di sì. In ogni caso, ha detto di
pranzare. E di ordinare ciò che
vogliamo”. Mi sorrise compiaciuta, prendendo il
Menù con aria circospetta e
osservando in tralice i vari piatti. “Mm… Tu cosa
prendi?”, mi domandò ad un
tratto – il suo volto era praticamente seminascosto da un
enorme quaderno plastificato, dalla
copertina
rigida, e sospirai solo quando notai i suoi occhi ricomparire.
“Non
ne ho idea”, risposi sinceramente. “Una
pizza?”.
Aggrottò
un sopracciglio. “Pizza?”.
Annuii.
“Con quella si va sempre sul sicuro”, chiarii,
sfogliando il Menù alla ricerca
di qualcosa di poco complicato. Avevo disperatamente
bisogno di mangiare. E attendere un’ora non avrebbe giovato
al mio stomaco.
“Bah,
sei tu il genio”, ridacchiò lei. Un cameriere
accorse rapidamente da noi, non
appena la mano di Kagome, lenta, si sollevò.
Confabularono
qualche attimo – troppo confusamente per permettermi di
distinguere una
qualsivoglia parola – e poi l’uomo si
allontanò, riferendo che ci avrebbe
prontamente consegnato le nostre ordinazioni.
“Cos’hai
preso?”. Non che m’importasse, ma intavolare una
conversazione banale era
meglio di fissare la saliera – almeno per un po’.
“Intendo dire… Cos’hai
ordinato?”.
“Oh,
beh, Oden”, ridacchiò. “E una bottiglia
d’acqua frizzante”, concluse,
raggiante.
Dopo
aver metabolizzato la parola oden,
alzai un sopracciglio, perplesso, ma evitai di ricordarle che il
ristorante di
suo padre era di cucina italiana.
Per
quanto ne sapevo, lei era un’assidua frequentatrice di quel
posto, e non
sarebbe stato poi tanto strano
reperire piatti prettamente giapponesi.
“Mm…
Shinji
com’è?”, domandai ad un tratto, curioso:
Mimi era stata brutalmente censurata,
ma lo shinigami persisteva. E questo mi confortava non poco.
Se
Kagome non aveva nulla da ridire su di lui, probabilmente non ero
così penoso come
credevo. O Higurashi non si era
neppure degnata di
leggere la sua descrizione, troppo presa dalla smania di ricordarmi la stupidità della mia
protagonista.
“Lui
è ok”.
Sbarrai
gli occhi, turbato, e ricevendo in cambio uno sguardo truce.
“Sicura?”, esalai,
pregando i kami. Non avevo voglia di creare delle nuove bozze, specie
con
Miroku in casa. Sarebbe stato a dir poco impossibile “Al
cento per cento?”.
Lei
annuì, distratta. “Ovvio. Creare un Gary
Stu è abbastanza complicato, per un
maschio”.
“Gary Stu?”, ripetei, confuso
– da quando
quella nuova nomenclatura? Non bastava più dire la versione maschile di una Mary Sue?
“Sì,
è il nomignolo che gli è stato affibbiato.
Credevo lo sapessi”.
Non
c’era nota di cattiveria, nella sua voce. Né di
acidità. Né di fastidio. Non
era stata una frase derisoria, ma solo un commento gentile alla mia
ennesima
dimostrazione di stupidità. “Bel nome”,
mugolai, ricominciando ad osservare le
mie dita intorno alla saliera. “La descrizione fisica
è ok?”.
“Sì.
Capelli neri, occhi onice e pelle pallida: dimmi tu cosa
c’è di sbagliato”.
Rise, immaginando chissà quali risvolti della storia, e mi
ritrovai a sorridere
anch’io. Quella mocciosa aveva qualche potere paranormale.
“Beh,
tu sei parziale”, ridacchiai, lasciando in pace l’ornamento ed impugnando nuovamente la
stilografica. Avevo voglia di
scrivere qualcosa – e non mi importava cosa.
“Credi sia opportuno creare un ulteriore personaggio, da
affiancare a questi
due?”.
Kagome
mi guardò qualche secondo, perplessa, per poi annuire.
“Sì. Un ulteriore
personaggio sarebbe utile, sai? E
avresti più chance di conquistare il pubblico
femminile”.
Mi
ritrovai a domandare se non fosse il caso di chiederle il suo modello
di
ragazzo ideale, per forgiare quel nuovo sventurato
solo per lei, ma – fortunatamente
–
riuscii a mordermi il labbro inferiore, e bloccare la fuoriuscita di
quelle
parole assolutamente compromettenti. No, parlare con Miroku prima di
incontrare
Kagome non era propriamente una cosa intelligente.
“Ti va di aiutarmi?”, sussurrai, passandole la
penna.
Lei
sorrise. “Ovvio. Deve avere qualche potere?”, mi
chiese, prendendo a sua volta
un foglio dalla precaria pila e
mettendolo al centro, tra di noi.
“Sì,
penso di sì. Sai, potrebbe essere il suo primo caso: il primo matto che la chiama per
avere dei consigli”.
Higurashi rise, facendo cenno
d’assenso.
“Sarebbe molto divertente: un depresso cronico ti
piace?”. Iniziò a
scribacchiare le parole depresso e pazza assatanato in un angolo del
foglio, sottolineandole poi più e più volte, nel
tentativo di chiarire il
concetto.
“Sì.
E deve avere manie autolesioniste”. Non che io ne avessi, ma
i personaggi complessati e emo andavano forte, nell’ultimo
periodo. “Poi… Beh, orbo come un
talpa”.
Complessato, emo
e talpa andarono
prontamente a fare compagnia agli altri termini, e Kagome mi sorrise,
raggiante. “Potrebbe anche chiedere a Mimi un appuntamento,
no?”, aggiunse,
annotando anche questo sul foglio.
Iniziavo
a divertirmi.
Il
personaggio – in meno di dieci minuti, un record –
prese vita sul foglio spiegazzato,
e Kagome Higurashi mi
assicurò che lo
adorava. Poi arrivarono le nostre ordinazioni, e non le prestai
più attenzione
– avevo sempre più fame.
Afferrai una
fetta tra le mani, infilandola forse troppo rapidamente in bocca.
“Ehi,
sta’ calmo, sembri un maiale!”, mi
ammonì lei, mangiando deliziosamente
il suo Oden.
Iniziava
a tornarmi antipatica – mocciosa,
mocciosa e ancora mocciosa.
“Non sono un maiale”,
grugnii, esattamente come un bambino piccolo rimproverato dalla mamma.
“E
mangio come voglio”.
Lei
sbuffò. “Certo, cagnolino.
Fa’ pure
come vuoi”.
Inarcai
un sopracciglio, prendendomi una pausa dal piatto
e fulminandola. “Non chiamarmi in quel nome. Lo detesto, Higurashi”.
“Oh,
Taisho, come siamo suscettibili! E
io
che la credevo un po’ più intelligente di quel che
sembrava… Mah, dovevo
essermi bevuta il cervello”.
Ringhiai.
“Mocciosa, smettila.
È
controproducente, farmi arrabbiare”.
Lei
sogghignò, versandosi un bicchiere d’acqua.
“Ho un nome. Usa quello, quando
devi chiamarmi. E… Hai sete?”.
Sospirai.
“Certo che sei assurda: prima ti arrabbi, poi diventi
improvvisamente
cordiale”, commentai, addentando un nuovo pezzo e
osservandola confuso.
“Smettila”.
“Come
vuole lei, principessa”, ridacchiai, allontanando con un
gesto frustrato i
fogli e riconcentrandomi sulla mia pizza. Era assolutamente perfetta, e
il suo
odorino deliziava le mie narici. “In ogni caso, penso che tuo
padre sia stato
risucchiato da qualche buco nero: è un’ora che lo
attendiamo, sai?”.
Mi
lanciò un’eloquente occhiata di scuse –
probabilmente, mi credeva giustamente
infastidito dall’assenza
paterna – e prese il cellulare dalla sua minuscola borsa.
“Lo chiamo. Tu
continua pure a mangiare, e alza il braccio, se hai bisogno di
qualcosa. I
camerieri sono un po’ ciechi,
ma ti
noteranno, prima o poi”.
Evitai
battutine sul personale del locale, e la osservai allontanarsi.
Indossava
una gonna bianca, che le arrivava alle ginocchia –
esageratamente primaverile,
per indossarla a Dicembre – e una maglia celeste. Nel
complesso, un bel
completino, anche se troppo angelico,
per lei.
Ridacchiai.
“Mocciosa”, mi
ritrovai a mormorare,
versandomi un bicchiere d’acqua.
Si
stava impegnando molto, per quel lavoro. Suo padre era ogni giorno di
più
deciso a lasciarle la casa editrice, e lei sentiva terribilmente
la pressione sulle spalle: doveva dimostrarsi
all’altezza. Quel lavoro le piaceva – le era sempre
piaciuto, da quel che mi
aveva detto Miroku una volta – e non aveva intenzione di
commettere gaffe.
Desiderava rendere fiero di lei suo padre. E tutti quelli che le
ripetevano il
suo essere infantile.
Me
compreso.
“Non
può venire”.
Sobbalzai,
alzando il capo e fulminandola. “Cosa?”,
ululai, truce. “In che senso non
può
venire?”.
Kagome
si sedette, massaggiandosi le tempie e mordendosi il labbro inferiore.
Sembrava
sull’orlo di una crisi di nervi – e io stavo
contribuendo a spingerla.
“Non ho capito bene, in
verità. Credo che mi fratello abbia combinato qualcosa,
però. Papà doveva
andare a prenderlo”. Mi guardò, imbarazzata.
“Scusalo. Davvero,
papà ci teneva molto. Ha detto di terminare il
pranzo in pace. L’appuntamento con lui è rimandato
alla settimana prossima”.
“Ah”,
borbottai, esasperato. “Beh, se la questione è
grave, forse dovresti andare
anche tu”.
Il
suggerimento mi era uscito assolutamente in modo spontaneo, e mi
domandai il
perché dell’espressione sconvolta – e offesa
– di Higurashi.
“Taisho”, mormorò,
tremando leggermente. “Stai tentando di sbarazzarti di
me?”.
Bene.
Benissimo.
La
sua aria frustrata lasciava
intravedere un sottile strato d’isteria, e alzai gli occhi
verso il soffitto,
pregando i Kami di eliminarmi. “No. Certo che no, Kagome.
Volevo solo darti un
consiglio”.
“Scusami”,
mormorò, sprofondando nuovamente nella sua sedia e gemendo.
“Sono un po’
stressata, in quest’ultimo periodo. E me la sto prendendo
stupidamente con te”.
Affondò le mani nei capelli corvini, tentando di sistemarli,
e poi si voltò
nuovamente verso di me. “Beh, credo che non ci resti altro da
fare che ordinare
un dolce, no?”.
Annuii,
conciliante.
Sforzandosi
di mantenere la calma, sollevò nuovamente il braccio
– tremava – e chiamò ad
alta voce un cameriere: poteva avere sì e no
vent’anni, e l’espressione avida
con cui fissava Kagome mi
indispettì. Fui tentato da sibilargli qualcosa, ma il tono
con cui Higurashi gli si rivolse mi
spinse a
ghignare.
Era
infastidita.
“Tu
cosa prendi?”.
Sobbalzai,
notando che la domanda era rivolta a me, e che non avevo seguito una
singola
parola del loro discorso. “Er… Un
caffè”, borbottai, poggiando il Menù
sul
tavolo e spingendo via il piatto della pizza, ormai lucido e
splendente.
“Un
caffè?”,
ripeté Kagome, mettendo in
dubbio per l’ennesima volta i miei gusti culinari.
“Dai, Inu-Yasha, non farti
problemi ed ordina anche qualcos’altro”.
Sospirai.
“Scegli tu per me, allora. Non ho voglia di decidere anche
per un stupido
dolcetto”.
La
notai stringere le labbra in una morsa, e affilare lo sguardo
– deglutii. Non
me l’avrebbe fatta passare liscia. “Un
caffè e due fette di millefoglie. Grazie”.
Vidi
il cameriere appuntarsi l’ordine su di un logoro blocchetto,
e congedarsi con
un irritante sorriso.
“Inu-Yasha?”.
Espira.
Inspira.
Espira.
Inspira.
“Sì,
Kagome?”, risposi, un enorme groppo in gola e la bocca arsa.
“Qualche problema?”,
aggiunsi, ostentando ingenuità.
“Sì,
Taisho. Il mio problema sei
tu”. Spinse
la sedia indietro, in modo da avere più spazio, e
coprì le labbra con una mano,
tentando di ridurre al minimo il rumore dei suoi sussurri.
“Come cavolo puoi
essere così… poco
reattivo? Sei
sicuro di essere un hanyou?”, domandò,
sottolineando il tutto con delle
occhiatacce a dir poco inquietanti.
Mi
ritrovai a fare cenno d’assenso col capo, indeciso se darmi
alla fuga o chiederle
scusa per una colpa sconosciuta.
“Ehm…
Mi spiace?”, dissi, più come una domanda che come
una vera e propria
affermazione.
Lei
sospirò, afferrando malamente una mia ciocca di capelli e
tirandomi verso di
sé. Ridacchiò, quando la mia espressione divenne confusa. “Oh, cucciolotto,
credo che tu abbia tante cose, da
imparare. E comunque sì,
dovrebbe
dispiacerti”.
“E
ci
sarebbe anche un perché?”, chiesi infine, confuso
– nell’aria s’era alzato un
delizioso profumino di caffè. Immaginai che le nostre
ordinazioni dovessero
essere praticamente pronte – e non avevo intenzione di
prolungare quella strana
conversazione per tutto il resto del pranzo.
“Puoi
arrivarci da solo”, mi liquidò lei. I suoi occhi cioccolata mi fulminarono. “In
ogni caso, non preoccuparti. Non è nulla”.
Mi
corse un brivido lungo la schiena, e ricordai una frase di una catena
di e-mail
– ovviamente inviatami da quel genio
di Miroku – che parlava di ciò che deve far
preoccupare noi uomini. In vetta,
in prima postazione, in grassetto, la frase non
è nulla detta da una donna.
Non
c’era
una vera e propria spiegazione.
Ma
quella mail mi consigliava di temerla.
E
aveva dannatamente ragione.
“Ahm…
Oh, le nostre ordinazioni”, mormorai, voltandomi.
Un
cameriere poggiò frettolosamente i nostri dolci sul tavolo,
prima di porgermi
la tazza di caffè. Kagome ringraziò, allegra; io
mi limitai ad osservare
critico la millefoglie.
“Buon
appetito”, ringhiò Higurashi,
afferrando
una forchetta ed infilzando con rabbia la sua fetta. “E, ti
prego, smettila di
bere caffè. Fa male alla salute”.
Inarcai
un sopracciglio. “Dovrei farne a meno?”, chiesi.
“Ma la caffeina non mantiene
svegli?”.
La
osservai mentre masticava lentamente il boccone, e alzava nuovamente lo
sguardo. “L’odore del caffè mi
infastidisce: ti dà così fastidio, farmi un
favore?”.
In
quel momento mi resi conto che no,
farle un favore non mi infastidiva.
E che
la trovavo sempre più irritante.
*\*
Ebbene, miei cari, salve.
ù.ù Il mio amato pc, due santissimi giorni
fa, ha preso il Cavallo
di Troia. -.- Ho perso i file di Internet - non
chiedetemi come, neppure i tecnici ne hanno idea - e altri programmi.
Per fortuna non ha intaccato i miei elaborati di Word, ma sono stata
anche priva di computer per due giorni. E il capitolo languiva, in
attesa del mio arrivo. -.-''
In questo momento, non dovrei neppure essere qui. Dovrei uscire - a
fare una commissione. ù.ù Ma il desiderio di
aggiornare era troppo forte, e...
Niente, per quanto sia un capitolo piuttosto sciocco, ve lo presento
comunque.
La frase finale - E che
la trovavo sempre più irritante
- è voluta: Inu-Yasha inizia a non capire più
cosa sente, e tenta di autoconvincersi che non si sta innamorando di Kagome
Higurashi. Ovviamente, lei non lo infastidisce
più. Ma lui la trova comunque irritante.
Poi... Non so. Mimi-la-Mary-Sue come vi è parsa? XD Io
continuo a trovarla tremenda.
Ci ho messo dieci minuti buoni a idearla, eppure mi sa ancora di Miss Perfezione. E,
ve lo assicuro, questo mi urta non poco. XD
Kagome non dà modo di capire i suoi pensieri, per quanto
appaia frustrante agli occhi di Inu-Yasha, e persevera con il suo
atteggiamento irritante. ù.ù A volte compatisco
Inu-Yasha: noi donne sappiamo essere davvero tremende, non trovate? XD
Ehm... Non credo di avere null'altro da aggiungere. -.-'' Spero solo
che il capitolo non sia stato poi così flop, e che
l'abbiate letto almeno con un sorriso sulle labbra.
Ringrazio mille e più volte chi mi segue, e in particolare:
jessy je
(ò.ò Una delle più brave del sito? Mi
sopravvaluti!)
callistas
(Ti ringrazio moltissimo! *.* Per la mia autostima, i tuoi commenti
sono un'ottima medicina. ù.ù)
MyImmagination
(XD Svenimento in atto, mi spiace!)
Gweiddi at Ecate
(ItaHanaItaHanaItaHanaaaa! XD L'ho quasi finita!)
mikamey
(ù.ù Sì. Mi dispiace, ma il cucciolone si
è fatto investire XD)
demetra85
(^^ Maddai, figurati! XD Non preoccuparti per non aver commentato, sono
felice di aver letto questa recensione! ^^)
pillo
(ù.ù Sissignore. Un dannato camion l'ha investito)
kaggychan95
(ù.ù Eh, incidente stradale... Povero cucciolo!)
ryanforever
(XD E' arrivato in orario, visto? E la moto è ancora intera!
... Forse)
HimeChan XD
(ù.ù Ebbene sì. Investito)
Mary_loveloveManga
(ù.ù Mi dispiace non aver inserito il ristorante
nel precedente capitolo, ma avrei dovuto troncare tutto a
metà, e queste cose mi piacciono poco... -.-)
Chiedo venia se non ringrazio per esteso, ma, come
precedentemente detto, io non dovrei essere qui. -.-''
Ringrazio ancora chi aggiunge la storia alle preferite,
perché aumentate sempre di più e questo mi
rallegra! ^^
Baci, e al prossimo capitolo! */*
|
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Capitolo 5 *** Stress Continuo ***
BL5
The
brothering life of a forced writer
Capitolo
4 - Stress continuo
*\*
Mm... Capitolo breve.
Molto.
E' di transizione, in un certo senso, ma mi serviva, perché
non ci si innamora in due minuti. Specie se si è stupidi
come Inu. XD
In ogni caso, questo capitolo è un po' un regalo per voi,
che mi seguite sempre costantemente, e mi aiutate ad andare avanti con
i vostri fantastici commenti. ^^ Grazie. Davvero, davvero grazie.
Spero che questo micro capitolo vi piaccia, comunque. ^^ Baci, a dopo!
*/*
“Di
tre cose ero sicuro: primo, Mimi non era più una Mary Sue.
Secondo, una parte
di Kagome – chissà quale, e quanto importante
– mi dava sui nervi. Terzo, ero
totalmente, incondizionatamente arrabbiato con lei”.
Miroku
emerse lentamente dal mio divano,
gli
occhi sgranati e l’aria di uno che avrebbe preferito dormire
per almeno altre
dodici ore. Si sedette – piano,
sino
all’eccesso – e sospirò.
“Inu-Yasha, scrivere la parodia di Twilight non ti
aiuterà di certo a sfondare come scrittore, sai?”,
borbottò, annuendo con fare
grave.
Sbuffai.
Ma
perché – perché?
– quando l’avevo incontrato,
non avevo chiamato la neuro?
E
perché continuavo a
parlare da solo?
“Cazzo, Miroku, non volevo scrivere la
parodia proprio di nulla”, grugnii, afferrando una bottiglia vecchia di tre giorni e trangugiando con
ingordigia il liquido. Aveva uno strano sapore, ma non ci feci caso.
“Piuttosto, sai perché la odio?”,
domandai, sedendomi e alzando gli occhi al
cielo, in attesa che quel retrogusto amarognolo di rivelasse veleno per
topi.
Una
settimana in ospedale avrebbe giovato alla mia salute, probabilmente.
“Ehm…
Perché è più giovane?”,
tentò lui, grattandosi il capo, indeciso. “O,
forse,
perché è maledettamente carina e non vuole
dartela?”.
Scossi
il capo, esasperato, e iniziai a muovere lentamente la bottiglia: il
liquido
trasparente si increspò, creando cerchi concentrici.
“Perché non vuole farmi
bere il caffè”.
…
“Come?”.
Lo sentii ridere, e mi ritrovai ancora
a domandarmi perché non
l’avevo
ucciso anni addietro. I suoi occhi celesti mi osservavano, divertiti, ed il volto era assolutamente frustrante. Aveva l’espressione
compiaciuta di un bambino il giorno
del suo compleanno, e mi costrinsi
a
non sferrargli un pugno. “Inu-Yasha, seriamente,
perché sei arrabbiato con
lei?”, domandò, incrociando le braccia e iniziando
a canticchiare una vecchia
nenia di quand’era bambino.
“Te l’ho detto”,
ringhiai, offeso.
Un
conto era essere maniaco.
Un
altro non ascoltarmi.
“…
Eri serio?”.
“Sì”.
Miroku
sbatté le palpebre, confuso. “Te l’ho
mai detto che sei matto?”, mi chiese a
bruciapelo, inclinando il capo di lato e afferrando una tazza fumante di tè –
dall’odore, immaginai
fosse alla pesca. Buono.
“No.
Ma, se ci provi, temo che Sango non dovrà più
preoccuparsi della tua indole
maniaca…”, mormorai. Fissai poi compiaciuto la mia
opera – il volto improvvisamente
pallido di Miroku e il
suo sorriso sornione
improvvisamente
sparito – e ripresi a parlare, finalmente tranquillo.
“Non sopporto più Higurashi.
E pensare che, se non avesse fatto quell’osservazione tremendamente irritante
sul caffè, forse avrei
potuto
ritenerla simpatica”, borbottai, bevendo un nuovo sorso del
liquido amarognolo
e attendendo di svenire. O di vomitare.
Mi
andava bene tutto, a questo punto.
Tutto, tranne il mio lavoro.
“Farai
una brutta fine, se continui così…”,
mormorò Miroku, passandosi una mano tra i
capelli e sospirando.
Già.
Aveva
ragione.
Il
mio appartamento non era né particolarmente grande
né particolarmente ricco.
Era
poco
più di un monolocale, con una minuscola stanza da letto ed
un infimo angolo cucina. Il bagno
era un
buco dalle pareti azzurre.
L’avevo
comprata con gli incassi del mio primo libro, e – ora ne ero certo – ci avrei
passato tutta la mia vita. Dopotutto, trovare
Kagome irritante – e rifiutarsi di lavorare con
lei – equivaleva ad un licenziamento istantaneo.
Due
anni
prima, uno scrittore che aveva gentilmente
declinato l’offerta di averla come correttrice di bozze
– lei era appena
all’inizio, e voleva imparare il
mestiere
– era stato licenziato. Dalle stelle alle stalle: su un
giornale, avevo letto
un breve trafiletto a lui dedicato. Il titolo era Defunto
sotto i ponti.
“Non
voglio essere licenziato”, biascicai a fatica. Alla fin fine,
il mio lavoro non
era poi così noioso, e i guadagni erano comunque decenti. Mi
ero abituato a
scrivere quella robaccia pseudo romantica,
e l’orgoglio che mi suscitava essere riconosciuto per strada
era comunque non
indifferente. Kagome mi creava dei problemi – precisamente
una fastidiosa
stretta allo stomaco ed un inspiegabile desiderio di afferrarle
una mano quando camminavamo l’uno accanto all’altro
– ma
avrei potuto resistere, almeno per un po’.
“Allora
non contraddirla”.
Sospirai.
Dannato
il giorno in cui l’avevo conosciuta!
E
pensare che la mia prima impressione era stata quasi
positiva: aveva sorriso, cordiale, porgendomi la mano e
complimentandosi per il mio manoscritto. Era stata quasi
professionale, e mi aveva gentilmente aiutato a trovare lo
studio di suo padre.
Ma
l’abito non fa il monaco,
no?
“Ci
proverò”, borbottai, gettando con rabbia il mio
giaccone su di una sedia e
trascinandomi stanco in cucina. Avevo ancora
fame. Dopotutto, dopo pranzo avevo accompagnato la mocciosa in piazza,
per
raggiungere una sua fantomatica amica che non si era neppure degnata di
venire.
Così, mi ero ritrovato costretto a scortarla a casa
– cavolo, con tutte le
limousine in suo possesso, perché
torturava me?
Aprii
il frigo, infilando la testa al suo interno e cercando la fetta di
torta che
avevo lasciato.
“Mm.
Qui non c’è”, commentai, osservando il
primo ripiano. “Neppure qui”, aggiunsi,
guardando i seguenti.
Mi
sollevai, grattandomi il capo e cercando di fare mente locale: dove
l’avevo
messa?
“Cosa
cerchi, Inu?”. La voce di Miroku giungeva distorta dal
salone. Era tranquillo.
Anche troppo.
“Ehi,
idiota, per caso hai mangiato qualcosa?”, domandai.
“Ad esempio, un’enorme
fetta di torta al cioccolato nascosta dietro ad un pacco di
cetrioli?”.
Ridacchiò.
“Beh, sì. Avevo fame”.
Imprecai
mentalmente. Avevo fame. La sua
solita frase. Quante volte aveva divorato
il mio pranzo, quando eravamo studenti, salvo poi scusarsi con quella
solita
menzogna?
E
quante volte non l’avevo ucciso solo perché mi
faceva pena?
Grugnii,
afferrando una lattina di birra e bevendone un sorso avidamente:
magari,
combinata all’acqua col retrogusto amaro, poteva essere un
drink mortale. Rest in peace,
Inu-Yasha. Rest in peace.
Non
era particolarmente fredda – l’avevo messa
lì solo quella mattina – ma era
ugualmente dissetante. Sospirai, poggiando una mano sulla parete e
cercando di
capire perché Kagome mi
faceva un
simile effetto: era carina, ma non particolarmente. Avevo avuto ragazze
molto
più belle, in passato. I capelli neri erano morbidi,
ondulati, corvini, ma
nulla di speciale. Io preferivo i capelli lisci e sottili, che
scivolano tra le
dita come acqua. Eppure, quando vedevo quella zazzera mora,
l’inspiegabile
desiderio di afferrarla con gli artigli mi assaliva, e dovevo impormi
violenza,
per non sfiorarla.
A
volte mi capitava di arrossire, osservandola, ma, solitamente, verso di
lei
provavo semplice astio. Era una
bambinetta irritante, dopotutto.
In
ogni caso, lei non mi piaceva.
E
dovevo evitare di pensare a lei.
Frugai
nelle tasche, alla ricerca del foglietto sui cui la nuova
Mimi era stata tracciata in quella calligrafia tanto banale
quanto interessante. “Allora: Mimi è
acida”, mormorai, uscendo dalla cucina e
dirigendomi distrattamente verso il portatile. Non l’avevo
spento, e la
batteria era quasi deceduta
– inserii
rapidamente il caricabatterie nella presa, sorridendo alla scritta in carica.
“Acida?”.
La domanda di Miroku proveniva dal divano, e lo osservai qualche attimo
steso
supino, le mani mollemente distese lungo i fianchi e
l’espressione insonnolita.
Sospirai.
Che idiota.
“Sì, acida”.
“Mimi
è la protagonista del tuo romanzo?”, chiese ancora
lui, stavolta socchiudendo
le palpebre e incurvando le labbra in un’espressione confusa.
“Cioè… È la
centralinista del numero porno?”, aggiunse.
Numero porno.
Ancora.
Mi
morsi il labbro inferiore. Miroku era sempre
lo stesso. Se avesse continuato così, avrei
telefonato a Sango entro sera.
“No.
Non è un numero porno, ricordi?”, sbottai,
incrociando le braccia sul petto ed
osservando indispettito la pagina bianca del computer, indeciso se
ricominciare
subito a scrivere o andare a farmi una doccia ristoratrice. Optai per
ricopiare
velocemente gli appunti – probabilmente, se avessi continuato
a pensare a
quella dannata Kagome Higurashi, li
avrei strappati, salvo poi pentirmene amaramente. “In ogni
caso, è stata la
mocciosa, a ricreare la mia protagonista. Io avevo creato una Mary Sue,
sai?”,
aggiunsi, passandomi una mano tra i capelli color della luna.
Miroku
ridacchiò, bevendo l’ennesimo sorso di
tè alla pesca. “Beh,
Inu-Yasha, auguri!”, fu il suo divertito
commento. Sollevò appena la mano, facendomi cenno di saluto,
e si lasciò
nuovamente scivolare sul divano, pronto a ricominciare a dormire.
“Grazie”,
grugnii, pigiando un tasto ed alzando il capo verso il soffitto.
Il
telefono nella tasca dei miei jeans bruciava.
Sentivo quasi il numero di Kagome – salvato nella mia agenda
personale –
chiamarmi, e ringhiai. Dannata mocciosa.
Stava
minando la mia già precaria saluta mentale.
Dannazione.
“Forse
è meglio bersi un tè”, borbottai,
alzandomi.
Non
ce la facevo più. Semplicemente, non ce la facevo
più.
Sospirai,
allungando stancamente una mano verso la scrivania e afferrando
malamente la
confezione. Miroku non era mai stato particolarmente ordinato
– adorava lanciare
ovunque i miei averi. E, come in
una
caccia al tesoro al quale non volevo
assolutamente partecipare, mi ritrovavo costantemente a
cercarli ovunque.
Spesso e volentieri senza alcun successo, tra l’altro.
Entrai
in cucina lentamente, perso nei miei pensieri: Mimi, ora, era quasi perfetta. Forse avrei potuto
metterle anche un bell’apparecchio vistoso, ma
l’idea non mi attraeva granché.
“Potrebbe
solo diventare un mostro, così”, commentai tra me
e me, lasciando che un rivolo
d’acqua corresse nella mia teiera e poggiandola sul fornello.
“Non voglio un
mostro. Deve pur sempre essere carina”.
E
poi…
Cosa
doveva succedere?
Ad
un
tratto mi bloccai, una bustina di tè tra le dita e
l’aria spiazzata.
Già.
Cosa?
Shinji
e Mimi s’erano incontrati. Shinji le aveva offerto uno
stupidissimo lavoro, e
lei, incredibilmente e stupidamente, l’aveva accettato. E
ora? Come inserire il
nuovo personaggio?
Mi
morsi il labbro. Come?
“Bah.
Perché non faccio chiamare Mimi da quello
sfigato?”, mi chiesi, sogghignando: l’immagine
della nuova Mimi, imperfettamente
simpatica, che riceva una chiamata inquietante
ad opera di un mostro spaventoso mi fece ridere, e sorrisi, sollevato.
Per
fare quello – farli
incontrare, far
innamorare il mostro di Mimi-la-non-più-Mary-Sue, dare un
minimo di spessore a
quello sfigato di Shinji – ci sarebbero voluti almeno
tre capitoli. Avevo ancora del tempo, per pensare al
seguito.
“Inu-Yasha,
dannato cretino, non senti il tuo cellulare?”.
Inarcai
un sopracciglio, notando che il telefonino non era più nella
mia tasca. Doveva
essere scivolato mentre mi alzavo, e non l’avevo neppure notato. Bene. Ero più
distratto di quel che credevo.
“Arrivo”,
sbuffai, osservando la mia stupida teiera, intimandole con lo sguardo
di non
esplodere in mia assenza. “Piuttosto, spiegami
perché non hai risposto tu.
Solitamente lo fai”, sibilai scettico, spalancando rabbioso
la porta della
stanza e catapultandomi verso di lui con aria assatanata.
Sentii
la risata di Miroku, ed il cellulare emerse dal divano.
“Perché è Kagome-chan.
Ovvio, no?”.
Sobbalzai.
Un attimo di pace non mi era consentito, vero?
*\*
ù.ù Inu-Yasha è leggermente
più stupido di quel che sembrava, vero?
Comunque, sono felice di sapere che gradite questa fic. Non ci speravo
affatto, giuro. ^^
RINGRAZIO:
Gweiddi at Ecate
Aryuna
callistas
pillo
mikamey
Kagome19
kaggychan95
HimeChan_XD
ryanforever
jessy je
Mille grazie per i vostri
commenti!
^^ Se non ci foste voi, di sicuro non andrei avanti.
Auguri di buon anno!
*P.S. Commentate, commentate, commentate! XD Supportatemi almeno oggi!*
^^ Baci a tutti! */*
|
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Capitolo 6 *** Partenza particolare ***
BL5
The
brothering life of a forced writer
Capitolo
5 - Partenza particolare
“Come?”.
Sospirai,
passandomi una mano tra i capelli e cercando di recuperare la
dignità – quella
stessa dignità che mi aveva abbandonato nel momento in cui Higurashi aveva terminato la chiamata.
“Te l’ho già ripetuto dieci
volte, Miroku. Non stressarmi più del dovuto”,
ringhiai.
Lui
rise, compiaciuto. “È così irreale,
Inu-Yasha. Cioè… Qualche mese? Nella sua villa?
Solo voi due?”.
Scossi
il capo, chiedendomi per la ventisettesima volta in due minuti
perché mai lui
riuscisse a trovare doppi sensi in ogni cosa. Forse era una sua qualità speciale –
qualità di cui tutti,
senza esclusione, avremmo volentieri fatto a meno. “Io, lei,
suo padre, suo
fratello, sua madre, suo nonno e tutta la servitù di casa
Higurashi. E solo
finché non terminerò il romanzo”.
Era
una stupidaggine, certo, ma la voce di Kagome – contenta,
euforica,
elettrizzata – mi aveva fatto desistere dal dirle no, grazie
e spiegarle
che non desideravo
minimamente andare.
Dopotutto,
non potevo negare un favore al mio capo.
“Posso
farti una domanda?”, chiese ad un tratto Miroku, sorridendomi
compiaciuto e
allungando la mano verso la camomilla che mi ero appena preparato.
Sbuffai.
“Me ne hai già fatte novantasette,
Miroku”, borbottai frustrato. “Una in
più
non mi ucciderà. Almeno credo”, aggiunsi,
mordendomi il labbro inferiore e
ricominciando a contare sino a dieci, nel disperato tentativo di non
lasciarmi
andare di nuovo. E di non rompere nuovamente una tazza. E una teiera. E
un
cellulare.
“Perché il padre di Kagome-chan
ha deciso
di invitarti a casa loro?”.
Era
una domanda stranamente logica, se paragonata a quelle precedenti.
Smisi di
stritolare la dita della mano sinistra e mi voltai verso di lui.
“Una casa
editrice concorrente alla nostra ha trovato un nuovo scrittore
– un certo
Naraku. Stando alle informazioni trapelate, il tipo è bravo,
e il libro che sta
scrivendo – Scandali di una
famiglia
insospettabile – desterà sicuramente
scalpore, dato che parla di un
politico piuttosto conosciuto”.
“Ehm.
Tu cosa c’entri?”.
“Ho
un libro in cantiere, Miroku. Sono l’unico ad avere delle
bozze. L’uscita del libro
di Naraku è prevista tra sei mesi: il direttore spera che io
riesca a terminare
il mio elaborato in poco, così da poterlo mandare in
stampa”, sorrisi,
indeciso. Avevo sempre amato le sfide. Peccato odiassi quelle perse in
partenza
– da quel che mi era dato sapere, Naraku era bravo. Molto bravo. Scrivere un libro migliore
del suo sarebbe stata
un’impresa. “Ovviamente, ogni giorno passato a casa
Higurashi mi verrà
retribuito”.
Miroku
aspettò qualche secondo, prima di sorridere e ricominciare a
parlare: “Ah. Dunque
vogliono metterti Kagome dietro come un cane di guardia”.
Un’affermazione
tanto banale quanto logica.
Sbarrai
gli occhi, conscio che quell’ovvietà
– l’ovvietà appena pronunciata da Miroku
– mi era sfuggita. E che avevo
accettato di presentarmi in quella dannata
villa senza rendermi conto che la piccola Higurashi
mi avrebbe reso il soggiorno un inferno.
Mi
diedi mentalmente dell’idiota, alzando lo sguardo verso il
soffitto e
maledicendo i Kami, così poco propensi ad aiutarmi.
“Sì. Vogliono mettermi Kagome
alle costole”.
Lui
scoppiò in una fragorosissima risata, afferrando la mia tazza di tè e bevendola avidamente.
“Non sembri così convinto,
però!”, commentò, osservandomi
compiaciuto.
“Ovvio”,
fu la mia replica piccata. Continuavo ad udire la voce di Kagome nella
mia
mente, e la sua semplice richiesta. Continuavo a sentire i suoi
lusinghieri ce la puoi fare!, e il
pensiero che,
alla fin fine, la sua presenza avrebbe potuto ispirarmi mi tormentava. “In ogni caso,
ribellarmi sarebbe stato inutile. Mi
toccherà farle da baby-sitter per un
po’”. Annuii tra me e me, abbozzando un
distratto sorriso.
“Ah”.
“Cosa
c’è?”, domandai indeciso.
“Qualche problema?”.
“Uhm.
Sì. Un grande problema”.
Inarcai
scettico un sopracciglio, ricordando che l’aveva
già detto un mese prima,
quando un povero criceto indifeso
gli
aveva morso il dito. “Quanto grande?”, domandai.
“Parecchio:
se tu vai a casa di Kacchan… Io dove
andrò?”.
Io dove andrò?
Ovvio.
Lui sperava di poter restare ancora a casa mia, crogiolandosi sul mio
divano ed
attendendo una chiamata di Sango, magari disperata. Desiderava restare
lì.
Senza di me.
“Tornatene
a casa”, mugugnai, sollevandomi e camminando incerto verso il
pc – la testa mi
doleva, e mi domandai se terminare di ricopiare gli appunti o aspettare
di essere
a casa Higurashi. Non sapevo neppure come arrivarci, tra
l’altro. Kagome era
stata piuttosto evasiva, dicendomi che sarebbe stato facile, e che
preoccuparmi
non mi avrebbe giovato. “Non ho intenzione di lasciare il mio
povero
appartamento a te. Non quando
rischio
il licenziamento”.
“Ti
prego”.
“Scordatelo”.
“Sono
disposto a pagarti”. Inclinò il capo di lato,
mordendosi il labbro inferiore,
nella vaga imitazione di un cucciolo indifeso. Imitazione perfettamente
fallita. “Sango potrebbe
uccidermi”,
aggiunse con tono grave. “Lo sai che è una furia.
E io sono troppo debole per
difendermi”.
Certo. Ridacchiai, ricordando
l’ultima
volta che lei l’aveva messo K.O., e poi ricominciai a fissare
il pc. “No”.
Mi
concentrai sul foglio bianco apparso sulla schermata, e scrissi
velocemente i
brevi appunti del ristornate, leggermente intontito. Il personaggio di
Mimi mi
piaceva. La trovavo simpatica, e scrivere su di lei si sarebbe
certamente
rivelato divertente.
Anche
Shinji, alla fin fine, non era male: mi ricordava un personaggio dei
manga, con
il suo essere taciturno e con la sua forza spaventosa. Anche la
descrizione
fisica era quella – forse, l’avevo plasmato su di
lui senza pensarci. In ogni
caso, se l’avessi ben caratterizzato, probabilmente sarebbe
divenuto un idolo
per le ragazzine – e, ovviamente, io lo speravo.
“Miroku,
secondo te, un personaggio sfortunatissimo potrebbe aver
successo?”.
Lui
grugnì, rigirandosi sul divano, palesemente offeso.
“Paperino è un personaggio
sfigato. Eppure, mi sembra che sia uno dei più amati di
tutta casa Disney”,
commentò isterico. La sua voce era un lamento continuo, ma,
quantomeno, si era
sforzato di rispondermi.
“Tanto
hai le chiavi di casa”, commentai distrattamente, pigiando la
lettera O di Orbo. “Non
appena Sango ti scaccerà, tu
tornerai qui. Lo sai bene”, aggiunsi.
“Mm.
Mi stai dicendo di provare a riappacificarmi con lei?”.
Feci
cenno d’assenso col capo, soprappensiero. Che nome potevo
dare allo
sfortunatissimo mostro?
“E,
se dovesse tentare di uccidermi, potrei tornare qui,
giusto?”, domandò con voce
tintinnante, sedendosi di scatto e battendo le mani, come un bambino
che ha
appena capito come allacciarsi le scarpe.
“Sì”,
mugugnai.
Potevo
chiamarlo Miroku. Erano due scocciatori.
“Grazie,
Inu-Yasha! Ti assicuro che non demolirò il tuo
appartamento”, giurò esultante,
balzando al mio fianco e leggendo avidamente il mio trafiletto.
“I nomi si
scrivono con la lettera maiuscola, sai?”.
Inarcai
un sopracciglio – un sordo ringhio riempì
l’ambiente circostante – e gli feci
cenno di allontanarsi. Per il suo bene, ovviamente.
Lui
si alzò, facendo qualche passo verso il mio povero
televisore al plasma e
allungando la mano verso il telecomando, deciso a gustarsi qualche ora
di TV a mie spese.
“Il
campanello…”, commentò, correndo
all’ingresso.
Bah.
Doveva essere il postino. O Rin.
Magari
era Sango, accompagnata da Kohaku, suo fratello. Magari era venuta a
riprendersi Miroku, in colpa per non averlo ucciso subito, e per avermi
costretto ad accoglierlo. Forse voleva riprenderselo, perché
le mancava.
Forse.
“Inu-Yasha!
C’è Kagome!”.
Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira.
Balzai
in piedi, quasi gettando il mio portatile per terra – le mani
mi tremavano, e
avevo paura. Cos’era
venuta a fare a
casa mia? Non le bastava demolire la mia autostima ogni giorno?
“Ciao”.
Mi
voltai verso l’ingresso – perfettamente a suo agio
tra l’anta di legno e il
muro, Kagome Higurashi era tornata alla carica. Forse non le bastava
avermi
incontrato per pranzo. E avermi parlato a telefono pochi minuti prima.
“’Giorno”, borbottai, incrociando le
braccia sul petto e sbuffando. “Cosa ci
fai qui?”.
“Oh,
beh, papà mi ha mandato a prenderti”.
Alzò le spalle, come se la cosa non le
importasse minimamente, e si avvicinò spedita al divano,
sedendosi composta.
“Bella casa”, fu il suo asciutto commento, mentre
squadrava curiosa un quadro
regalatomi da Miroku qualche anno prima.
“Grazie”,
replicai, salvando i dati. “Non credevo avrebbero mandato te”.
“Ho
chiesto io di poter venire. Dopotutto, sono la tua correttrice di
bozze: hai
bisogno di me, no?”.
Mi
costrinsi a non scoppiare in una fragorosa risata – hai bisogno di me, no? – e le
indicai svogliatamente il portatile,
passandomi una mano tra i miei lunghi capelli argentei. Quel gesto, per
quanto
inutile, mi rilassava. “Sei capace di riporlo senza
combinare disastri nel suo fodero?”.
Lei
annuì, poggiando tranquilla la sua borsetta celeste e
avvicinandosi a me. “Per
chi mi hai preso?”. Afferrò malamente il mio
borsone nero, e lo aprì. “Tu va’ a
fare i bagagli. La limousine non ha trovato parcheggio, dunque ci
aspetta ferma
innanzi ad un cancello: non vorrei dovesse andarsene a causa di qualche
poliziotto antipatico”. Mi rivolse un’occhiata
eloquente, e mi fece cenno di
andare.
Sospirai.
“Miroku sa qual è la mia camera, se, per caso,
dovessi aver bisogno di me”.
“Grazie”,
commentò gentilmente.
“Di
nulla”.
La
stanza da pranzo era la camera più grande di tutto il mio
appartamento. Ci
vollero quattro enormi falcate per
percorrerla tutta ed uscire – poggiato
all’ingresso, Miroku mi osservava
soddisfatto.
Stava
canticchiando una di quelle canzoncine per bambine, una di quelle
canzoni dal
testo fisso in cui devi unicamente cambiare il nome dei personaggi,
inserendo
quelli dei tuo amici.
Una
di quelle canzoncine in cui i personaggi chiave si sposano,
vanno in luna di
miele e poi hanno tanti bambini.
Ringhiai,
incapace di replicare a parole, e mi limitai a superarlo, fingendo di
non
sentire i nomi Kagome e Inu-Yasha nella canzone.
Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira.
Fra pochi minuti sarai fuori, Inu-Yasha,
continuavo a
ripetermi. Non c’è
bisogno di ucciderlo.
Nella
mente, il pensiero che lei, lì fuori, stava attendendo me mi mandava in panico: cosa avrei
dovuto fare? Aprire le finestra
e fuggire?
Non
era nel mio stile. E poi, dovevo scrivere un libro. Dovevo dare la vita
a Mimi,
a Shinji e al mostro sfigato. Dovevo.
La
scrittura era un modo come un altro per liberarsi – e io
necessitavo di questo.
Necessitavo di mettere su carta le mie impressioni, e di inventare
storie che,
lo sapevo bene, sarebbero state lette da altre persone. Storie che poi
sarebbero state giudicate da qualcuno che non ero io, e che, magari,
sarebbero
potute diventare importanti.
Odiavo
il mio lavoro, ma amavo la sensazione che si prova scrivendo.
“Ehi?”.
Kagome
mi osservava divertita, il fodero del mio portatile in una mano e la
sua
borsetta nell’altra. “Cosa
c’è?”, chiesi confuso, affrettandomi a
nascondere
insieme agli altri abiti il paio di boxer che avevo in mano.
“Hai
bisogno di aiuto?”. Senza neppure attendere la mia risposta,
si avvicinò,
prendendo una maglia dall’armadio e piegandola, calma.
“Sei un frana”, fu il
suo divertito commento, notando il caos che regnava sovrano nella
valigia.
Io
risi, accondiscendente. “Sì. Ma, dopotutto, non
sono abituato a viaggiare”,
spiegai in mia difesa.
“Neanch’io,
se è per questo”.
Scossi
il capo, incredulo. “Non ci credo”.
“Credici”.
Poggiò una mano sul petto, all’altezza del cuore.
Poi sospirò, riprendendo a
sistemare i miei vestiti. “Papà è
abituato a viaggiare. Io sono abituata a
stare a casa, con mamma, e a badare a mio fratello: non sono viziata
come
sembro”, sbottò, in risposta alla mia occhiata
bieca.
“Oh,
bene”, riuscii solo a dire, leggermente sconvolto. Ero
così abituato a
considerarla una mocciosa che aveva ricevuto tutto dalla vita da non
averla mai
considerata umana. “Hai
qualche idea
per lo sfigato?”, borbottai ad un tratto, tentando di rompere
il silenzio.
Lei
fece cenno d’assenso, lasciando andare il jeans che aveva
cercato di piegare e
avvicinandosi cospiratrice. “Sì”.
Non
potei trattenermi dal guardarla confuso. Poi sospirai. “Non
osare propormi una
relazione yaoi solo perché voi donne adorate questa
cose”, la ammonii.
La
sbatté le palpebre. “Sei impazzito?”, mi
domandò con voce flebile.
“No.
Voi ragazze vedete questo genere di relazioni sempre
e comunque. Ma sappi che Shinji si innamorerà di
Mimi”.
Presi fiato, deciso. “Per lo sfigato creeremo un nuovo
personaggio”.
Rise.
Si
gettò sul mio letto – il mio letto matrimoniale,
vecchio di qualche anno – e
continuò a ridere, palesemente divertita dalla mia
affermazione. Quando si
sentì leggermente meglio, alzò lo sguardo verso
di me, lasciandosi andare in un
ultimo gemito compiaciuto. “Io volevo appunto proporti una
relazione tra Shinji
e Mimi, non tra il mostro-sfigato-e-orbo e lo shinigami!”. Si
portò una mano
alle labbra, cercando finalmente di
nascondere il suo sorriso raggiante.
Mi
sentii un idiota. Di nuovo.
“Bene.
Sono felice di saperti concorde”.
“Sì…”.
“In
ogni caso, se a te non spiace, vorrei dare un po’ di spessore
anche al
mostriciattolo. Mi sto abituando all’idea di scrivere
su di lui”, biascicai, imbarazzato. “E…
Hai in mente un
nome per lui?”. Stavo cercando di cambiare discorso, e di non
tornare sulla mia
tremenda gaffe – perché avevo detto quella
stupidata sullo yaoi?
Solo
perché tre quarti delle ragazzine mondiali guardano i loro
amici maschi in
cerca di relazioni su cui fantasticare?
“Un
nome?”. Si morse il labbro inferiore, prendendo un cuscino
tra le dita e
giocherellandoci. “Mm. Non so. Ci vorrebbe un nome
carino”.
“Giusto”,
concordai sollevato.
“Mm.
Che ne dici di Haruka?”.
“Non
mi piace”.
“Hitoshi?”.
“No”.
Sbuffai. “Dopotutto, lui comparirà solo nel
secondo capitolo. E solo
telefonicamente. Non credo sia
indispensabile dargli sin d’ora un nome”.
Lei
annuì, con aria rassegnata, e chiuse ermeticamente la mia
valigia, regalandomi
un sorriso compiaciuto. “Allora, signor Yaoi,
è pronto a visitare l’abnorme villa Higurashi,
sede in cui proliferano fantasmi
e mostri d’ogni sorta”.
Deglutii
– ero perfettamente conscio del suo tono divertito, ma la
prudenza non è mai
troppa. E, con Kagome, era meglio non scherzare. “Non vedo
l’ora, signorina Yuri”.
Lei
si voltò piccata, dandomi un pugno sulla spalla ed uscendo
dalla mia stanza a
grandi passi, il volto deformato in un’espressione sdegnosa.
La mia
affermazione doveva averla offesa.
Afferrai
la valigia con un gesto frustrato, affrettandomi a seguirla: era
innanzi all’ingresso,
furibonda, il mio portatile delicatamente
stretto tra le sue grinfie ed un’espressione truce sul volto.
Sperai
di non morire prima di giungere in casa Higurashi.
“Ragazzi,
divertitevi!”, ci salutò cordiale Miroku,
sollevando un bicchiere di Coca Cola,
sbucato fuori da chissà dove.
Io
lo
fulminai, irritato. “Divertirmi…?”,
ripetei in tono scettico. “Non credo sia
possibile”.
“Ovvio.
Sei un disfattista, Taisho”, sbuffò Kagome,
battendo un piede sul pavimento,
per lasciarmi intravedere la sua palese irritazione. “E, ora,
credo sia meglio
andare”.
“Ah.
Già. La limousine”, commentai, sbuffando.
Lei
sorrise, prima di aprire l’ingresso e sgusciare
all’esterno. “Bravo cucciolo”.
Poi
scomparve lungo la rampa della scale. E io la seguii, confuso
– forse ero
davvero un cagnolino. E la cosa mi indispettiva non poco.
*\*
Awh! Ci ho messo un'eternità, ma, finalmente, sono riuscita
ad aggiornare!
Uhm. Non è totalmente di transizione, questo capitolo, ma
non
siamo neppure nel vivo della storia. Semplicemente, InuYasha -
poverino! - è stato costretto
a trasferirsi a casa Higurashi.
Ora vi starete chiedendo: ma questa casa editrice a normale?
... No. Non è affatto
normale.
Tutt'altro: è una casa editrice strana.
ù.ù Chiedo
dunque venia alle case editrici reali che si sentono diffamate dal mio
elaborato.
Coooomunque: oggi sono piuttosto euforica. Non so perché, ma
sono euforica.
Dedico questo capitolo ad Elisa - è grazie a lei se
è
nato! XD - e a Susi. Mi ha sconvolta inserendo la mia storia
tra
le preferite, e, soprattutto, facendomi i complimenti: dovevo ringraziarla
in qualche modo. Era più forte di me.
ù.ù
RINGRAZIO:
callistas
[XD No, guarda, la
professoressa di Italiano voglio farla da grande.
ù.ù Per
ora, è solo la mia più grande ambizione. Poi...
ò.ò Ma davvero ti sto facendo riconsiderare la
Kagome
perfetta? ò.ò Wow. Questo mi fa piacere, giuro.
ù.ù Ecco, ora mi hai resa allegra. E lo
sarò tutta
la serata. XD]
demetra85
[XD No che non rompi le scatole! Tutt'altro: di' tutto quel che vuoi.
^^ Io adoro leggere i commenti, mi spronano.]
kirarachan [ù.ù
Sette anni sono pochi, ma lui è un baka e non lo capisce.
Poi...
Sì. Hanno letto Twilight. E gli è piaciuto... XD]
Himechan XD [XD
INUYASHA E' BELLA SWAN, IN REALTA'! XD No, è solo pazzo.
ù.ù]
mikamey [ù.ù
Ovvio che voglio farvi morire di curiosità... XD No,
scherzo,
è solo che preferisco non mettere tutti gli avvenimenti in
un
capitolo, ma diluirli. E questo capitolo è valso l'attesa,
spero. XD]
Gweiddi at Ecate [ù.ù
No che non è uno sfigato! Shinji è il prototipo
del mio
uomo ideale, Elisa! XD In ogni caso... Eh sì. Il precedente
era
totalmente di transizione. Ma questo no. XD E hai visto cos'ha
combinato Kagome? L'ha praticamente rapito! -.-'' Povero lui. A volte
mi fa pena - poi mi ricordo di tutto quel che ha combinato, e
ricomincio a ridere, sadica. XD Mm... Nel testo c'era una frase di
InuYasha in particolar modo rivolta a te: l'hai notata? XD]
pillo[ù.ù
Hai
visto cosa dice la cara Kacchan? XD Si è data da fare:
terrà con sé il caro Inu per un bel po'... XD]
kaggychan95
[ù.ù
In LDC era complessato. Ora è impazzito. XD Lo tratto
malaccio,
eh? XD Tra parentesi: sono felice di sapere che la storia risulta
ironica, perché è così che doveva
essere! XD]
jessy je [ù.ù
Miroku è un simpatico rompiscatole, non trovi? XD]
ryanforever
[^^ Felice che
l'accenno a Twilight sia stato di tuo gradimento: l'ho inserito
così, senza pensarci. XD Credevo avrebbe infastidito i
lettori,
più che divertirli! XD]
ù.ù Grazie mille a tutti voi che commentate, a
quelli che
hanno inserito la storia tra le preferite e a quelli che mi seguono
semplicemente. ^^
Vi adoro! XD E... Alla prossima - sperando sia presto!
|
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Capitolo 7 *** Se la ragazzina irritante infastidisce... ***
BL
The
bothering life of a forced writer
Capitolo
6 - Se la ragazzina irritante infastidisce...
Nulla
è intelligente o
normale finché qualcuno non ne scrive.
Ma
quando qualcuno lo
fa, diventa ovvio.
[Susi –
18/01/08]
Ero
nella villa Higurashi da un giorno.
Un misero giorno.
Eppure,
stavo già impazzendo.
Appena
varcata la soglia dell’enorme palazzo, mi ero flaccidamente
guardato intorno,
sopprimendo uno sbadiglio nella mano. Kagome, invece, mi aveva sorriso,
avviandosi a passo spedito verso l’ingresso.
Forse,
dal numero spropositato di domestici, avrei dovuto rendermi
conto che c’era qualcosa di strano. Le loro
occhiate
curiose, poi, avrebbero dovuto quantomeno mettermi in soggezione.
Invece
nulla. Avevo sospirato, e l’avevo seguita.
Ovviamente,
la situazione era divenuta improvvisamente
insostenibile.
Sota
– il fratellino minore di Kagome, un mostriciattolo dai
capelli neri e gli
occhi del medesimo colore di quelli della mocciosa – mi aveva
tremendamente
preso in simpatia. Sul serio.
Saltellava dietro di me, euforico, lanciando urletti di apprezzamento
ogni
qualvolta gli dicevo gentilmente di
farsi un giro, e torturandomi, tentando di convincermi a giocare
stupide
partite a play-station con lui.
Rifiutarmi
era pressoché inutile: strano a dirsi, ma quel bambino era
tremendamente
persuasivo.
Davvero. Mi osservava con i suoi enormi
occhi nocciola da bambino, e mi implorava.
E io cedevo.
Mi
ero ritrovato ad impersonare un mezzo demone medievale senza sapere
né il come né
il perché, e a lottare
contro nemici immaginari per la conquista di
qualche strano gingillo di cui l’utilità mi
restava ancora nascosta. E a dare
nomi quantomeno assurdi a tutto ciò che ci circondava.
Ero
terrorizzato. Esageratamente
terrorizzato.
Fortunatamente,
Kagome aveva ritenuto d’obbligo venirmi a cercare, e
trascinarmi con sé,
lontano da lui – per la
prima volta,
avevo provato riconoscenza verso la marmocchia. E mi ero ripromesso di
stare
lontano da quel dannato bambino.
Come
se non bastasse, suo nonno, un vecchio sacerdote shintoista a cui
mancava di
certo qualche rotella, cercava di esorcizzarmi con amuleti privi di
potere
spirituale: mi ero ritrovato costretto a controllare che il mio cibo
fosse
privo di veleno – la prima cucchiaiata di minestra da me
ingerita mi aveva
quasi mandato in coma – e a scansarmi di continuo, dovendo
poi applicarmi per
afferrare il vecchiaccio prima che si rompesse qualche costola.
Probabilmente,
aveva pensato di eliminarmi come, secoli prima, i sacerdoti eliminavano
i
demoni: con il suicidio. O qualcosa di simile.
Prima
di addormentarmi, oltre ad aver scoperto di aver raggiunto il mio nuovo
record
di tic nervosi in un giorno, ero giunto ad un’unica,
drammatica conclusione:
gli Higurashi erano pazzi. E dovevo cercare di stare il più
possibile lontano
da loro.
“Trovato
un nome per il mostro sfigato?”.
Kagome
– l’unica con cui riuscivo a parlare senza provare
l’irrefrenabile impulso di
fuggire – si era avvicinata, osservando curiosa la schermata
del mio pc.
Probabilmente, desiderava leggere il primo capitolo, che le avevo
promesso di
iniziare.
E
che, ovviamente, non aveva ancora
visto
la luce.
“Bah,
in realtà no”. Indicai svogliatamente il fumetto
innanzi a me. “Sto cercando
idee”, dichiarai. In effetti era vero: i manga, solitamente,
mi davano idee –
non sempre per i miei libri, ma questo era un dettaglio.
Lei
annuì, comprensiva. “Eru ti piace?”.
“Eru?”.
“Me
l’ha suggerito Sota”. Alzò le spalle,
iniziando a giocherellare distrattamente
con una ciocca di capelli, rea di esserle ricaduta sul volto. Poi
sospirò. “Io
credo vada bene. Dopotutto, è un nome semplice, breve e
d’impatto”.
“Eru”, ripetei –
sì. Alla fin fine, quel
nome così banale stava
benissimo al
mostro-orbo-e-sfigato. “Credo sia perfetto”,
biascicai, iniziando a scrivere.
Lei
gongolò, divertita. “Immaginavo
l’avresti amato”, concluse con aria saccente,
allungando il collo per osservare meglio lo schermo.
Ero
così euforico da non rendermi conto di quel che stava
facendo. E di quanto mi
fosse dannatamente vicino. “Mm. Allora: abbiamo i nomi. Ora
dobbiamo delineare
decentemente la trama”, commentai, preparandomi a scrivere.
Kagome
sorrise, poggiando una mano sulla mia spalla, in modo tale da non
cadere.
“Allora. Mimi è una sottospecie di piccolo genio,
giusto?”.
“Sì”.
“E
viene chiamata in direzione, per un motivo a lei sconosciuto”.
“Ma
qui non c’è il preside”, finii per lei,
annuendo. “C’è invece Shinji,
comodamente seduto sulla poltrona, che osserva placidamente la
porta”.
“Perché
lui la stava attendendo”.
“Esatto”,
dichiarai, buttando giù quello che avevamo deciso. Era poco. Pochissimo.
Ma era
pur sempre un inizio. “Mimi crede che sia uno scherzo, o
qualcosa di simile, ma
non si scompone più di tanto, preferendo restare in
silenzio”.
Lei
mi guardò con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli
corvini, decisa a
ravvivarli. Poi afferrò la mia
stilografica, e iniziò a disegnare qualcosa su di un foglio.
“Shinji è una
persona pacata e tranquilla. Le spiega, vagamente divertito, tutta la
situazione”. Alzò appena gli occhi dal foglio.
“Mimi lo trova irritante”.
“Molto
irritante”, confermai, scrivendo anche questo. “Ma,
sebbene ritenga tutto ciò
uno scherzo, accetta il lavoro, perché la
curiosità è donna”.
“Maschilista”,
fu il piccato commento di Kagome – mi diede una gomitata, per
poi farmi una
linguaccia e riprendere a disegnare. “In ogni
caso… Sì. Lei
è curiosa. E accetta”.
“Bene”.
La
scena si era perfettamente delineata nella mia mente.
Ogni
particolare – per quanto infimo e inutile – aveva
fatto il suo ingresso tra i
miei pensieri: Mimi che si passava una mano tra i capelli, Shinji che
la
osservava curioso, lei che si chiedeva cosa
lui volesse da lei, la voce di Shinji, bassa e melodiosa, che le
spiegava
superficialmente il termini dell’accordo.
E
poi
il sorriso di Mimi, e la pelle pallida di Shinji.
Tutto,
inevitabilmente, era nato.
Dovevo
solo scriverlo.
“Inu-Yasha,
secondo te, Eru potrebbe mai innamorarsi di Mimi?”.
“Sì”,
risposi senza neppure pensarci. “Lui l’ha chiamata
per farsi consolare: la sua
ragazza – una strega – l’ha appena
lasciato, i suoi studi stanno andando a
rotoli, il suo lavoro fa schifo e i suoi genitori sono sul punto di
divorziare.
E lui è orbo”.
“Non
è un po’ troppo complessato?”.
Io
scossi vistosamente il capo, i lunghi capelli d’argento che
fendevano l’aria
nella stanza. “Nah. Gli emo vanno forte, no?”.
“Uhm.
Sì, forse hai ragione”. Mi sorrise, osservando
nuovamente la schermata. “Allora:
Eru finisce con l’innamorarsi dell’imperfetta Mimi,
poiché questa l’ha
consolato dopo che il piccolo emo è stato mollato dalla sua
ragazza”.
“Sì”,
asserii. “Infatti, lei è un fantasma di una
cortigiana…”.
“Inu-Yasha?”.
“Sì?”.
Mi
guardò bieca. “Cortigiana in che
senso…?”.
“Er.
Nel senso che si dava al termine a Roma secoli fa”, mugugnai,
pronto a ricevere
uno schiaffo – ovvio, le avevo appena proposto di inserire il
fantasma di una
prostituta nella storia. Arrabbiarsi era lecito.
“Idiota”,
fu il suo secco commento, mentre mi osservava battere gli ultimi
appunti. “Comunque,
lui si innamora di lei”.
“E
lei non lo sopporta”.
“Sì.
Perché lui le sembra un ragazzino viziato, complessato e sin
troppo immaturo. E
lei cerca un uomo vero”.
Risi.
“Non è che ti stai immedesimando un po’
troppo nel personaggio?”, la schernii,
spingendola appena di lato. Kagome si limitò a guardarmi
esasperata, e a
prendere dalla scrivania un blocchetto per appunti.
“Secondo
te, quanto impiegherai a scrivere questo libro?”.
“Non
so”, risposi evasivo. “Spero di metterci poco. Ma
potrebbero volerci decenni”.
“Ah”.
Inarcò un sopracciglio, poggiando il capo sulla mia spalla e
sedendosi
cavalcioni sulla sedia.
Sobbalzai.
Il
suo seno era premuto contro la mia
schiena. E la situazione era palesemente imbarazzante.
“M-Mi
sbrigherò, comunque”, mugugnai. Dannate situazioni
imbarazzanti – in momenti
come quelli, non sapevo mai che
fare.
Deglutii, scribacchiando il resto della mia idea, incapace di
esprimermi a
parole.
“Il
congiuntivo”, mi rimproverò lei, serrando le sua
mani intorno alle mie braccia,
e soffiando il suo commento nel mio orecchio. “Non
indicativo. Congiuntivo”.
Offenderla
non sarebbe stato né cortese né intelligente, ma
lo desideravo. Dèi, avrei
pagato oro per poterla insultare, allontanare e privare del suo nuovo
giocattolo – ovvero, io.
Kagome
era viziata. Inutile negarlo.
Finiva
con l’adorare le novità, col trovarle eccitanti.
Poi, però, si annoiava:
probabilmente, mi avrebbe appallottolato in un angolo prima della fine
della
settimana, annoiata dall’acidità di Mimi e da
Shinji-il-semi-super-eroe-moderno.
Forse
solo Eru avrebbe continuato a vivere nel suo cuore: quando diceva quel
nome – Eru! –
le si illuminava il viso.
Chissà!,
forse era il nome del suo ragazzo…
“Ehi,
sei vivo?”.
“Sì”,
mormorai, brusco. “Sei pregata di non disturbarmi, quando
penso”.
Scivolò
velocemente all’indietro, sistemandosi meglio sulla sua
sedia, le braccia
incrociate sul petto e gli occhi bassi.
No,
non ditemelo: non poteva piangere.
Cioè…
No. Non doveva!
“Er.
K-Kagome?”.
“Sì…?”.
“Kagome,
smettila di piangere”.
Sollevò
il capo – come avevo previsto, gli occhi erano palesemente
bagnati – e mi
fulminò, arrabbiata. “Non sto piangendo,
scemo”, sibilò. “E sei pregato di non
trattarmi come una bambina”.
“Perché,
ovviamente, tu sei grande, vero?”.
Ok.
Ero stato acido. E antipatico.
Ma
lei era fastidiosa. E io ero frustrato. E avevo
sonno.
Mai
–
e sottolineo il mai – disturbarmi, quando ho sonno. Divento
irritante.
“Sono
certamente più grande di te”.
Sbarrai
gli occhi, indeciso. “Kagome, ho sei anni più di
te: dunque, sono sicuro di
essere più grande di te”, commentai, divertito.
Lei
inarcò un sopracciglio, scettica. Poi si sistemò
meglio. “A livello anagrafico,
sì. Per ciò che concerne la maturazione
intellettuale…. Non credo”.
“E
perché mai?”.
Kagome
rise. Rise, come se la cosa fosse così ovvia da farmi
passare per idiota. Rise
più per sfida che per vero divertimento. E poi si
voltò verso di me, ghignando.
“Io so scrivere cannuccia,
ricordi?”.
Uhm.
Colpito.
E affondato.
“Non
sai controbattere, vero?”.
Grugnii,
dandole le spalle e afferrando il portatile, con il deciso intento di
nascondere la schermata dalla sua vista. “Sei estromessa dal
terminare la
stesura della trama. Almeno per oggi”, borbottai. Mi sentivo
come Shinji –
desideroso di dare una lezioncina a quella mocciosa irritante che non
faceva
altro oltre ad insultarmi o infastidirmi.
“Che
cosa?”, sibilò lei, gesticolando. “Non
puoi farlo!”, mi ammonì infine, battendo
una mano sulla scrivania. “Non è giusto, non puoi
cacciarmi solo perché sei un
idiota, Inu-Yasha”, affermò risoluta.
Sbuffai.
“Non sono un idiota. E mi disturbi”. Mossi la
manca, facendole cenno di uscire.
E
lei, irritata, si alzò.
“Mm.
Fammi indovinare: stai per dire qualcosa tipo Te
la farò pagare?”.
Higurashi
scosse i lunghi capelli neri, avvicinandosi a me. Si abbassò
giusto un po’, il
minimo indispensabile per guardarmi negli occhi. Poi sorrise.
“Diverrò così
indispensabile, Inu-Yasha, che finirai col implorarmi di lavorare per
te. Ma,
quel giorno, io starò facendo altro”.
Ridacchiai.
“Starai giocando con le bambole?”, chiesi
sarcastico, avvicinandomi a mia volta
al suo viso.
Uhm.
La pelle era diafana. Nessun impurità, nessun neo, nessuna
peluria. Una pelle
molto, molto carina.
“Ehm.
Inu-Yasha, cosa stai fissando?”.
Scossi
il capo, indeciso se risponderle o fingere indifferenza: avrei potuto
inventarmi qualche bugia, ma non ero mai stato granché
portato, e avrei fatto
la figura dell’idiota.
Di nuovo.
“Comunque,
baka dei miei stivali, io vado. Divertiti a creare Mary Sue, mi
raccomando!”.
E
poi
– come se nulla fosse – sfiorò
banalmente le sue labbra con le sue.
Deliziosamente e lentamente.
Un
bacio della morte, senza dubbio.
Argh!
“Kagome!”,
ululai, fissandola esasperato. “Vuoi davvero
uccidermi?”. Iniziavo a temere per
la mia stessa esistenza, e quegli enormi occhi nocciola non facevano
che
terrorizzarmi oltre ogni dire.
Ridacchiò,
voltandosi verso l’uscio e facendo qualche passo in avanti.
“Sta’ certo,
Inu-Yasha, che questa battaglia la vincerò io. Ad ogni
costo”.
E
la
porta si chiuse.
Bene.
Gli
Higurashi erano in tutto cinque.
Il
nonno malato di mente, il quale desiderava ardentemente vedermi morto.
Il
fratello cretino, ovvero l’unico moccioso capace di
terrorizzarmi con una sola
occhiata.
Il
padre, del quale mai avrei potuto parlar male, se desideravo preservare
il mio
posto di lavoro.
La
madre sin troppo premurosa, che aveva lasciato ampiamente intendere di
adorarmi.
E,
dulcis in fundo, la psicopatica, alias Kagome Higurashi.
Bene.
Probabilmente,
avrei fatto bene a chiamare l’ospedale: entro il fine
settimana – me lo sentivo!
– avrei di certo avuto bisogno di
un’ambulanza…
*\*
Uhm.
Ho... aggiornato? ò.ò Sul serio?
Davverodavverodavvero?
... Sembra di sì. Il che è tutto dire: non avevo
granché voglia di scrivere, e ho continuato a rielaborare le
prime cinque righe del capitolo per almeno una settimana, rischiando il
linciaggio da parte di Susi. ù.ù
Ma ora sono qui.
Ok: questo capitolo è penoso.
Serviva per delineare la trama del libro - un po' si è
delineata, no? ò.ò - e perché
Kagome... Argh. Quello che combinerà non dovete saperlo.
Ma credo di aver lasciato intuire che, se all'inizio era irritante, ora
farà ben peggio. ù.ù BL è
appena iniziato, in un certo senso...!
Poi. Tra i vari motivi per cui non sapevo cosa scrivere, c'è
di certo stata una motivazione che i miei seguaci (Leggi: I santi che
mi sopportano su msn) sanno: ho vinto un contest! *.* Io! *.* Senza
sapere né come né perché! XD
Da quando ho letto i risultati, sono stata in uno strano periodo di
beatitudine: sorridevo, ridacchiavo, scrivevo originali... E BL
prendeva polvere. -.-''
Dedico il capitolo a Susi. Se non mi avesse minacciata - e lo ha fatto
- io non avrei scritto nulla. XD
Susi, grazie mille! (_ _) E scusa se ho usato una tua frase come
citazione! (_ _'')
RINGRAZIO:
demetra85 (XD Tu in leggero ritardo? Maddaiiii! XD Quella
sono io. ù.ù Sono felice di sapere che ti piace
il mio stile, dato che mi impegno molto per buttar giù
qualcosa di decente. *.* E spero che il capitolo sia stato di tuo
gradimento!);
callistas
(XD Non credo che riuscirò mai ad ottenere un po' di
autostima: passo pomeriggi interi su msn insieme a scrittrici che
adoro, le quali mi riempiono di complimenti, eppure non riesco a
reputarmi brava. ù.ù Forse, è una mia
caratteristica. XD Scusami per il ritardo con cui è arrivato
il capitolo, comunque, ma ho avuto problemi d'ispirazione. -.- E mi
succede spesso, quando devo essere interrogata);
kaggychan95 (ò.ò
Tesoro, Stefy, cos'è successo? ò.ò
Devi farmelo sapere, perché ora mi sto preoccupando.
E credo tu sappia cosa succede quando mi preoccupo, no?);
MyImmagination
(*.* Oh. Grazie, grazie, grazie e ancora grazie. I tuoi commenti
aiutano sempre la mia autostima. ç.ç Il che
è tutto dire, non trovi? XD);
mikamey (ù.ù
Uhm. Inu all'ospedale? XD Penso che la sua ultima frase abbia lasciato
largo spazio all'immaginazione. XD Non credi?);
pillo (XD Secondo me, dovrei darmi al comico: ogni
qualvolta scrivo qualcosa di divertente, tutti ridono.
ò.ò Non so se di me o del lavoro,
però! XD Spero che questo capitolo non sia stato da meno,
bacioni! XD);
okkiverdi
(Felicissima di sapere che la storia ti piace. (_ _) Non mi considero
granché come scrittrice, dunque i complimenti mi rendono
sempre molto felice: spero continuerai a leggere e commentare! ^^ E
spero di non averti delusa con questo stranissimo capitolo. XD);
Gweiddi at Ecate
(ELISAAAA! *.* Ma ciao! ù.ù Susi mi fa paura, in
quei momenti. ù.ù E... XD Quanto è
idiota questo capitolo? QUANTO? ò.ò Molto,
nevvero? ò.ò Eru si è sviluppato un
filino di più, e questo dovrebbe essere un bene.
ò.ò Kagome ha dato il bacio della morte a Inu, e
questo è... un bene? ò.ò Bah. Io sono
malata di mente, e ho guardato troppo Ranma 1/2. -.-'');
_ayachan_
(TeeeesHoro! XD Io ho
l'età che dico di avere, anche se sembra assurdo.
ù.ù E... KYAH! *.* Amo la tua recensione! *.*
Anzi!, più di amo... Uhm. *.* Vabbé, ti basti
sapere che l'ho gradita un mondo. *.* E che spero che questo capitolo
non ti abbia fatto troppo schifo. ._. Il che, a mio parere,
è inevitabile. -.-'' Ringrazio sempre anch'io *QUEL* sito e
*QUELLA* recensione, perché sono felicissima di averti
conosciuta. *.*);
ryanforever
(ù.ù InuYasha è sempre più
stupido: visto quel che ha combinato or ora? XD);
Himechan XD
(XD Perché non dovrebbero piacerle le yaoi? Daiiiii, Kagome
è Kagome. ù.ù E InuYasha,
ahimé!, è InuYasha. XD E ora che ho dichiarato le
ovvietà, vado via XD).
ù.ù Grazie mille anche a coloro che inseriscono
la storia tra le preferite: che ne dite, però, di
commentare, prima o poi? XP
Alla prossima, che spero sia presto! XD
|
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Capitolo 8 *** Perplessità - Pazza sì o pazza no? ***
BL8
The
bothering
life of a forced writer
*\*
Ebbene, so perfettamente di aver fatto ritardo, quindi
vi chiedo di non uccidermi.
Non
ora, almeno. ç.ç
Leggete prima il
capitolo, poi ne riparliamo, ok? XD */*
“Crisi
d’ispirazione?”.
Sollevai
– appena, controvoglia
– il capo,
indeciso. Kagome era lì, in piedi, stretta in una camicetta
e una gonna di
jeans, pronta a deridermi al minimo accenno di debolezza. Decisi che
darle
corda era profondamente sbagliato, e ricominciai la stesura,
più demotivato di
prima.
“Crisi
d’ispirazione?”, ripeté per la
sedicesima volta in due minuti, sistemandosi una
ciocca di capelli corvini che le era scivolata sul volto. Si era
truccata – appena, senza
esagerare –, e mi
osservava, come un bambino osserva una scimmia allo zoo. Con profondo
interesse, dunque.
Grugnii,
per farle capire che ero vivo, e digitai due lettere, prontamente
sottolineate
da una linea rosso fuoco.
Cavolo!,
lo so perfettamente che Mimi non
vuole l’accento sulla ì,
cosa crede
questo dannatissimo aggeggio?
Ho
solo pigiato per errore il tasto
sbagliato – dopotutto, la i
e la ì distano poco
sulla tastiera, no?
“Inu-Yasha,
eludere i tuoi problemi non li risolverà di
certo”. Con aria saggia si sedette
sulla mia scrivania, accanto al portatile, ed incrociò le
braccia sul petto,
per ricavare un’aria seria et
professionale che non le si addiceva granché. Aveva i
capelli troppo morbidi, per
sembrare una maestrina.
E
l’aria troppo perfida per
dispensare
consigli.
“Non
li risolve, ma, almeno, non mi costringe a pensarci”,
borbottai, irritato.
“Dopotutto, non sarei in questo pasticcio, se tu
non scegliessi i tuoi scrittori con un sorteggio”.
Non
si offese. Semplicemente, mi sorrise, cupa.
“Beh, devi ringraziare un sorteggio,
allora, se adesso non vivi sotto un ponte”.
Argh.
Colpito
e affondato.
Di nuovo.
“Sai
che non intendevo questo”, borbottai, indeciso se scrivere
che Mimi adorava
fissare il deretano di Shinji o se questo l’avrebbe fatta
regredire a Mary Sue emergente.
Soppesai la faccenda
appena due secondi, prima di rendermi conto di quanto suonasse equivoca
– la
parola deretano fu velocemente
cancellata
dalla mia mente, e sostituita da occhi.
Almeno, non avrebbero scambiato Mimi per una pervertita.
“Inu-Yasha,
come va il libro?”.
Sbuffai.
“Esattamente come andava ieri. E come andava
l’altro ieri. E come andava tre
giorni fa”, risposi a mezza voce, lasciando – finalmente! – andare la
tastiera per guardarla meglio. Sembrava
agitata. E schifosamente seria.
“Male,
allora”, fu il suo pacato commento. Lasciò che una
mano corresse lungo la
scrivania, e afferrò con disappunto una biro mordicchiata
sulla punta, per poi
metterla in bilico tra due dita. “Se vuoi il mio aiuto, devi
solo chiedermi
scusa, ricorda”, sussurrò distrattamente.
Io
sbuffai. “Non ti chiederò mai scusa. Non per un
errore non mio”.
“Sei
irritante”, grugnì, battendo – con
forza, troppa
forza per un corpo minuto come il suo – il palmo di una mano
sulla scrivania, e
osservandomi, furiosa. “Credi che offrirti il mio aiuto, dopo
che mi hai
estraniata dal progetto, sia facile?”. Si morse il labbro
inferiore – tremava.
“Credi che non mi sia offesa, sentendomi dire che non volevi
che io facessi
parte di questo progetto?”.
“Credi
che baciarmi sia stata un’idea saggia?”.
Ok, forse non
era una cosa propriamente saggia, da
dire, ma mi era sfuggita. E, in verità, era stato il mio
più grande tormento
negli ultimi giorni: perché quel bacio?
Perché
non si era limitata ad un ceffone? O a mettersi a piangere?
Perché,
sebbene fosse palesemente arrabbiata con me,
mi aveva baciato?
Mi
ero informato, il bacio della morte non era un bacio alla francese. E
lei, assurdamente, mi aveva baciato
proprio
in quel modo.
“Che…?”,
sibilò, rossa in volto. Il tremolio delle sue mani era
aumentato, e i suoi
occhi lanciavano scintille. “È stata solo una
piccola vendetta, Inu-Yasha,
null’altro!”, garantì, troppo furiosa
per intavolare un discorso più articolato.
Le
donai un’occhiata scettica. “Mi permetto di non
credere alla tua affermazione”,
dichiarai, incrociando a mia volta le mani sul petto, in attesa di una scusa più convincente.
O
della verità, che non fa mai male.
“A-Anche
Mimi bacia il nostro emo complessato per sfida!”.
Sbarrai
gli occhi, interdetto. “Che?”.
“S-Sì”.
Più sicura, Kagome riprese fiato, poggiando le mani sulle
ginocchia e
sporgendosi verso di me. “Lui la provoca, lei si infuria e lo
bacia. Smack”.
“Smack”.
Ripetei sconcertato il suono
onomatopeico, domandandomi se Kagome fosse decisamente
pazza o solo letteralmente pazza.
Il
confine era sottile, ma non riuscivo a trovare un paragone migliore.
“Ah-ha”.
Annuì, pensante, indicandomi con la punta
dell’indice – aveva la unghie
perfettamente curate, di una curiosa tonalità nera.
“Mimi è impulsiva, a
volte”.
“E
lo sei anche tu, giusto?”.
Asserì
ancora col capo, oramai nuovamente a suo agio.
“Ah”.
Sbatté
le palpebre, avvicinandosi nuovamente. “Inu-Yasha, non
è che credevi di
piacermi?”, chiese all’improvviso, mordendosi poi
il labbro inferiore, quasi
imbarazzata dalla sua stessa affermazione. I capelli neri le erano
scivolati – ancora, per
l’ennesima volta nel giro di
sedici minuti e quarantaquattro minuti primi – sul volto, e
creavano un gioco
di luci ed ombre assurdo.
Né
piacevole né disgustoso: assurdo.
“Non
ho mai detto questo”, ribattei piccato, alzando gli occhi al
cielo. “E neppure
l’ho mai pensato”.
Beh,
questa era una menzogna, ma era meglio non essere totalmente
sinceri. Non quando lei
avrebbe potuto staccarti la testa a morsi. O squartarti con un coltello
da
cucina.
“Bene”,
concordò, picchettando le dita sul legno della scrivania.
“Bene. Perché, se
così non fosse stato, ti avrei picchiato”.
“Certo”,
affermai esasperato, invocando una vacanza che, lo sapevo, non sarebbe
mai
arrivata. Non in tempo, almeno. “Come vuoi tu”,
aggiunsi, riafferrando
malamente la tastiera, deciso a terminare quel secondo – stramaledettissimo – capitolo.
Lei,
accanto a me, si limitò a lanciarmi un’occhiata
scettica, e a mettersi a
canticchiare una canzoncina di cui solo lei conosceva il testo e le
parole. Ad
un tratto, s’interruppe, e mi afferrò una mano.
“Inu-Yasha, secondo te sono
brutta?”.
Che?
Inarcai
un sopracciglio, indeciso: continuare a scrivere o prenderla a
schiaffi, questo
il dilemma.
“Allora?”,
aggiunse lei, mordendosi il labbro inferiore – era seria. Maledettamente, fottutamente
seria. “Inu-Yasha, secondo te
sono brutta?”.
Sbuffai.
“Vuoi che ti faccia i complimenti?”, domandai,
guardandola. I suoi occhi
nocciola erano, stranamente, lucidi, e il suo fiato mozzato, mentre mi
ascoltava. “Vuoi che ti paragoni a qualche attrice del
cinema, magari?”,
soggiunsi, socchiudendo gli occhi e passandomi una mano tra i capelli
d’argento. “Mi spiace”, proferii dopo
qualche attimo, duro. “Non è quello che
farò: non hai bisogno di sentirti dire che sei bella da me, per saperlo. Anche un cieco se ne
renderebbe conto”.
Kagome
sbarrò gli occhi, lasciando andare la mia mano per poggiarla
sul suo petto,
all’altezza del cuore – batteva
all’impazzata, con rintocchi
forti e irregolari. “Sei serio?”, mi chiese
celermente,
sistemandosi distrattamente la camicetta. “Non mi stai
prendendo in giro?”.
Sospirai.
“Ti risulta ch’io sia dotato del senso
dell’umorismo?”.
“No”,
ridacchiò lei, scuotendo il capo. “In effetti no.
Le tue battute fanno pena”.
“Grazie”,
proferii scettico, ricominciando a scrivere. “La prossima
volta che ho bisogno
di essere consolato, non verrò di certo da te”.
Grugnii, fingendo
un’irritazione che – assurdamente
–
non provavo. “Sei pessima, sai?”.
Ridacchiò,
coprendosi la bocca con la mano destra. “Stavo
scherzando”, disse contenta,
inclinando il capo di lato e chiudendo gli occhi, esattamente come
farebbe
un’eroina dei manga. “Non sei così male
quando ti lasci andare, sai?”.
Sospirai.
“Neppure tu, alla fin fine”. Presi la biro che
aveva lasciato cadere poco
prima, e scribacchiai qualche parola incoerente sul foglio, pensante.
“Anzi!,
potresti iniziare anche a
piacermi”.
Ops.
Bene,
Inu-Yasha. Hai fatto la tua ennesima
gaffe. Come ti senti?
“Non
sei serio, vero?”, mormorò perplessa, sbattendo le
palpebre in modo frenetico –
era il suo tic preferito,
l’avevo
intuito già da un pezzo. “Tu non puoi provare
alcun tipo di attrazione, per me,
no?”.
Roteai
gli occhi, lasciando ondeggiare le penna tra le dita – su, e giù.
E poi su, e giù.
Aritmicamente.
“Vero?”.
Ribadì il concetto afferrandomi una ciocca di capelli e
tirandola, nel
disperato intento di smuovermi.
Disperato perché restai
immobile, concentrato sulla schermata del portatile.
“Vero?”,
ripeté, stringendo maggiormente le dita, e sollevando di
scatto il braccio.
Alzai appena il volto, e lei si avvicinò, perplessa.
“Io non ti piaccio,
Inu-Yasha, giusto? Io non posso
piacerti, tu mi odi!”.
Sbuffai
– il gioco è bello finché qualcuno non
si fa male.
E,
per come mi stava tirando, presto mi sarei trovato privo di una ciocca
consistente.
“Non
mi piaci”, garantii, portando una mano intorno alla sua
– arrossì appena,
lasciandomi staccare le sue dita con troppa
facilità. “Non in quel
modo”,
aggiunsi, sospirando. “Parlavo come amica.
Correttrice di bozze”,
chiarii, in
risposta al suo sguardo scettico. E dispiaciuto. “Siamo un
po’ egocentriche?”,
chiesi, sorridendo sarcastico.
Lei
sollevò il sopracciglio destro con grazia, poi scosse il
capo. “Se tu non sai
esprimerti, la colpa non è di certo mia”.
“Se
tu fossi meno stupida, forse capiresti quel che dico”,
risposi pacato,
digitando l’ennesima frase insensata sul documento: dovevo
parlare di Shinji,
appollaiato sul letto di Mimi, invece stavo scrivendo tutto,
tranne quello. Ed era umiliante. “Non hai altro da
fare?”,
sbottai d’un tratto, assottigliando gli occhi e lanciandole
un’occhiata offesa.
“No”.
Sopprimendo uno sbadiglio nel palmo della mano, iniziò ad
arrotolarsi una
ciocca di capelli tra le dita sottili, salvo poi sorridere, divertita:
“Se qualcuno non mi
avesse estraniata da un
progetto, in questo momento io mi starei scervellando sul capitolo
nuovo. E non
avrei alcuna motivazione per infastidire quel qualcuno”.
Ringhiai
leggermente, maledicendomi in più e più lingue.
“Non ti chiederò scusa”,
ribadii frustrato, passandomi una mano sul volto. “Sei tu che hai sbagliato, io non ho fatto
nulla di male”.
“No?”.
“No”,
dichiarai, sicuro. “Comunque, se ti va di aiutarmi, puoi. Ma devi fare la brava, e lasciarmi
svolgere il mio lavoro in
pace”. Sottolineai la parola lavoro
con un gesto della mano, ricordandole che, alla fin fine, non scrivevo
quel
libro per mero piacere personale, ma, bensì, per guadagnare
qualcosa.
Ovviamente, se la fama era compresa nel pacchetto, il tutto si faceva
solo più
allettante.
Sospirò.
“A che punto siamo arrivati?”, chiese, fintamente
interessata.
La
guardai con aria superiore. “Se non hai voglia nessuno ti
obbliga”.
“Ho
voglia”, sibilò, riprendendo la biro e il foglio
che avevo abbandonato. “Mi va
di aiutarti, anche se sembra assurdo”.
“Non
è assurdo: sei solo preoccupata che il mio libro possa
essere un flop”,
spiegai, annuendo sommessamente. “Credo sia una difesa
psicologica: neppure te
ne rendi conto, ma è così”, aggiunsi,
sbuffando.
“A
che punto eravamo?”.
“Bah,
stavamo parlando del primo incontro tra Eru e Mimi, se non
erro”.
“Mm.
Credo di sì”. Sospirò, sistemando il
foglietto sgualcito sulle gambe e
scribacchiando qualche parola incomprensibile. “Sai,
Inu-Yasha?”.
“Cosa?”,
chiesi esasperato.
“Hai
una pessima grafia”.
“Non
credo sia importante, dato che scrivo con il portatile”,
dissi, serrando le
labbra per non aggiungere qualche insulto. Kagome continuava ad
osservarmi,
però, in attesa di una qualche spiegazione.
“Dannazione, mocciosa, ho avuto
delle pessime insegnanti, alle elementari, e non ho mai imparato a
scrivere
bene. Contenta?”.
“L’altro
giorno, in cartoleria, ho visto un corso di scrittura”. Si
voltò verso di me,
incerta, bloccando la penna a mezz’aria. “Se vuoi,
posso acquistarlo”.
Iniziai
a sbattere le palpebre, confuso da quell’inaspettata gentilezza.
Forse
aspirava ad insegnare, e voleva testare su di me le sue
capacità. O, forse, era
solo gentile.
La
seconda ipotesi era spiazzante, però.
“Vuoi?”,
chiese, imbarazzata.
Asserii,
indeciso. “Sì”, mormorai a mezza voce.
Lei
sorrise. “Bene”, gongolò, compiaciuta.
Mi osservò per qualche attimo, curiosa,
poi riprese a scrivere – era arrossita.
Di nuovo.
“Perché potrebbe esserti
utile”.
“Cosa?”.
“Imparare
ad scrivere con una corretta grafia”, spiegò,
tracciando una linea che partiva
in alto e finiva in basso a destra. “Magari, un giorno
potresti sentirti
ispirato mentre il tuo portatile è in riparazione, e, in
quel momento, potresti
scrivere su di un quaderno: con una bella grafia, non dovresti
preoccuparti di
procurarti un esperto in geroglifici”.
Storsi
il naso, irritato. “Grazie. Ti ho già detto che
non mi farò mai consolare da
te?”.
Rise,
afferrando una mia mano tra le sue e portandola all’altezza
del suo volto,
quasi per nascondersi. “Scusami”,
sussurrò, incapace di sedare la sua ilarità.
“Scusami”,
ripeté a bassa voce.
Grugnii.
“Allora? Continuiamo a fare gli idioti o passiamo al
capitolo?”.
“Passiamo
al capitolo”, concesse, lasciandomi andare. Si
sistemò – professionale
– sulla scrivania, aggiustando la camicetta con cura
e precisione. “Allora: Eru è depresso,
perché la sua ex – la cortigiana
– l’ha mollato. Mimi accetta
di uscire con lui perché Shinji le ha spiegato che, se, per
caso, dovesse
rifiutarsi, potrebbe essere punita. Giusto?”.
“Sì”,
concessi, meravigliandomi della sua buona memoria. Io, da sempre, ero
costretto
ad appuntarmi tutto,
poiché incapace
di rimembrare ciò che ho detto – o fatto
– anche a distanza di poco. “In ogni caso, Eru si
rivela essere quantomeno
decente, e Mimi, alla fin fine, si dice che non ha fatto poi tanto
male, ad
uscire con lui”.
“Lei
è l’unica che può vedere Shinji,
poiché lui tende a nascondere la sua identità
a tutti”.
“Giusto.
Durante l’appuntamento,
Shinji li
segue, e Mimi nota che la sta osservando in modo strano, quasi
adirato”.
“Geloso?”.
“Geloso”.
Ridacchiò,
sistemandosi una ciocca di capelli corvini. Con aria compiaciuta, poi,
riprese
a parlare, come se fosse la cosa più normale del mondo:
“Eru, alla fine dell’appuntamento,
chiede a Mimi di uscire di
nuovo, e lei non sa che fare, perché non si capacita di come
può piacere ad un
emo con i boxer gialli con paperelle”.
“Boxer
gialli con paperelle?”, ripetei,
confuso. “Kagome, come fa Mimi a sapere che lui ha quei boxer?”.
“Perché
gli si sono rotti i pantaloni mentre passeggiavano. Non
ricordi?”.
“No”.
Mi
guardò, sconvolta, salvo poi risistemarsi meglio sulla
scrivania. “Bah, forse
non l’ho detto. O, forse, tu ti sei perso un
passaggio”, concesse, sorridendo. “E,
ora, ricomincia a scrivere”.
Sospirai.
“Sì, capo”, dissi, riprendendo la
stesura del secondo capitolo –
paradossalmente, ora che c’era lei, tutto scorreva
più velocemente, e le parole
sembravano meno insensate.
Ad
un tratto, la vidi agitarsi. E arrossire. E guardarmi.
“Cosa
c’è?”, domandai, curioso.
Lei
mi ignorò, ricominciando a scrivere, tranquilla.
“Cosa
c’è?”, ripetei, urtato dalla sua poca
considerazione delle mie domande. “Dimmelo”,
ordinai, indispettito.
Kagome
alzò il capo, osservandomi. Aveva un’aria strana.
“Non so, Inu-Yasha. Vorrei provare una cosa, però.
Solo che mi sa di cliché, e
di già visto”.
Sbattei
le palpebre, indeciso. “Cliché?”.
“Sì.
Succede talmente tanto spesso, che mi sa di cliché. Quindi,
non so se posso
provare”.
“Fallo”,
dichiarai, sfidandola. “Fa’ pure”.
Lei
sorrise. “Voglio farti un regalo”.
“Un
regalo?”.
“Ah-ha.
Chiudi gli occhi”.
Istintivamente,
allungai una mano, afferrando saldamente il pennarello nero indelebile poco distante.
Chiudi
gli occhi,
eh?
E
se mi avesse preso in giro?
“Inu-Yasha,
ti prego!, chiudi gli
occhi”.
“Sì”,
concessi, lasciando ricadere le palpebre e attendendo, silente.
D’un
tratto, il profumo di Kagome mi avvolgeva totalmente – si era
avvicinata. Ed
era troppo vicina. Strinsi
d’istinto
i pugni, serrando la mascella, nel tentativo di non fare qualcosa di
sbagliato –
il suo fiato caldo mi sferzava il volto, e il mio autocontrollo stava
scemando.
Quando
le sue labbra – calde, morbide e vagamente profumate
– si posarono sulla mia
fronte, mi trovai costretto a irrigidirmi, incapace di ritrarmi, o di
sfuggire
al suo giogo.
Pian
piano, sentii che si stava muovendo – il suo seno si
poggiò sul mio petto, e si
sedette sulle mie gambe. D’istinto, lasciai che le mie mani
si serrassero
intorno alla sua vita. E lei non me lo impedì.
Quando
poggiò le sue labbra sulle mie, mi sentii un idiota.
E
un incapace.
Diversamente
dalla volta precedente, Kagome non sembrava maliziosa,
né voluttuosa,
né vendicativa. Stupita,
forse. Imbarazzata
di certo.
Approfondii
il bacio, mosso da qualcosa più forte di me –
inizialmente, lei si oppose,
salvo poi piantarmi le unghie nelle spalle ed allontanarsi. Aveva il
fiatone,
gli occhi lucidi e l’aria spaesata.
La
guardai pochi attimi, prima di spostare il mio sguardo sul soffitto,
incapace
di resistere. “Più cliché di
così”, sospirai, serrando nuovamente le mani a
pugno.
Kagome
si allontanò rapidamente da me, sistemandosi la camicetta
sgualcita. “Già”,
concesse, indietreggiando. “Già”.
Cercò di sorridere – inutilmente
– e si avvicinò alla porta – troppo
rapida per essere
normale. “A domani”, mugugnò, poggiando
la mano – celermente
– sulla maniglia e scomparendo nel corridoio.
“A
domani”, ripetei.
E
un brivido mi corse lungo la schiena.
*\*
Per un po’ – un po’ troppo –
non ho avuto ispirazione,
per questo fandom.
[Per di più, il capitolo è anche corto. -.-]
Ho
continuato a scrivere per i contest, senza, tuttavia,
riuscire a continuare BL.
Credevo
di aver già scritto tutto, e non mi andava di
peggiorare questa storia con un capitolo fatto con i piedi.
Così, benché a
malincuore, ho preferito non scrivere su Inu-Yasha, per un
po’.
Non
ho postato nulla, su EFP. Sul mio blog personale, sì.
Ci
sono un paio di Shot – di cui una proprio su Inu-Yasha,
scritta per San Valentino –, un paio di Shot che non ho avuto
il coraggio di
postare qui.
E,
quindi, vi chiedo scusa per l’attesa. Gennaio è
stato un
brutto periodo, l’inizio di Febbraio m’ha quasi
uccisa.
Questo
capitolo è venuto fuori da solo, così, senza
premeditazione.
In
realtà, io ne avevo già scritto metà,
ma era… diversa. Ad
esempio: il capitolo si
apriva con Inu-Yasha nascosto sotto il tavolo, e con Sota che lo
torturava.
E
non c’era nessun bacio, solo litigate su litigate.
Ma
voi preferite questo,
vero? XD
Anche
perché ritengo che, dopo sette capitoli, entrambi
siano cambiati: lui la trova irritante, è vero, ma inizia a
capire che, se lei
è antipatica, è solo una difesa. E lo stesso si
può dire di Kagome, che inizia
a considerarlo diverso da quel che,
fino a quel momento, aveva creduto fosse.
Dunque,
ritengo che un avvicinamento
fosse doversoso. XD Fatemi sapere.
Comunque,
sapendovi difficili (XD), ho preferito aggiungere
anche tre drabble per sedare i vostri animi in cerca di sangue.
Le
prime due sono su Inu-Yasha, l’ultima è su Naruto.
Un POV
AU di un Sasuke che, bastardo!,
ha appena ucciso Itachi.
Sappiate
che io faccio pena,
con le drabble, e che potrebbero farvi venire i conati di vomito.
ù.ù
E che sono cento parole precise, dunque sono drabble
pure.
Fanno
schifo.
Ma
ve le do comunque. ù.ù */*
[P.S.
Sto pensando di creare il Club “Kagome è pazza!!!
PAZZA!!! ARGH!!! O___O”, come
suggeritomi da Aryuna. XD]
[1#. Drabble]
[Kagome POV]
[Inaccettabile]
A
volte, guardando Inu-Yasha, le doleva il petto, proprio lì.
Al
cuore.
Non
le era mai importato granché – dopotutto,
lui le salvava spesso la vita, e lei gli era riconoscente.
Punto.
E
poi, Inu-Yasha era innamorato – pazzo
– di Kikyo, la donna perfetta, bella e forte.
Quella.
Lui
inseguiva quella Kikyo. Lui amava quella.
E, alla fine, non
le doveva importare.
Inu-Yasha
era solo il suo saccente compagno di viaggio, Kikyo la donna di cui era
la
reincarnazione.
Niente
più.
Eppure,
continuava a starci male, ed era un dolore atroce.
Insopprimibile.
Il
cuore seguitava a dolere.
E, questo,
non lo accettava.
[2#. Drabble]
[Inu-Yasha POV]
[Sensazione]
Quando
Kagome era in pericolo, lui lo avvertiva.
Sentiva
una fitta – lì,
nel petto – e la sua
mente si annebbiava. Non restava nulla.
Solo
Kagome.
Restava
quella sgradevole – dolorosa
– sensazione
di dolore, e lei, prepotente,
penetrava nella sua mente, bella e fragile
come sempre.
Era
piacevole, però.
Perché
lei dipendeva da lui, in quei momenti.
Quando
Kagome era in pericolo, null’altro era importante.
Sango
e Miroku scivolavano – inevitabilmente
– in secondo piano, e Shippo spariva dai suoi pensieri.
Nulla
era degno di nota, né importante, se lei soffriva.
E
nessun’altro essere umano meritava la salvezza, se era lei,
quella in pericolo.
[3#. Drabble]
[Sasuke POV]
[Assassino]
Tremi.
Cos’hai
fatto, Sasuke?
La
consistenza – fredda,
gelida – della
pistola è troppo per te, vero?
Vero,
Sasuke?
Le
mani
sudano. Gli occhi pure – perché non
sono lacrime quelle, vero?
Perché tu non piangi,
vero? Perché tu non hai
ucciso tuo fratello, vero?
Eh,
Sasuke?
Il
petto
ti duole. Brucia. Proprio lì, all’altezza del
cuore – di quel cuore, quello che
credevi di non avere.
Ho
ragione, Sasuke?
Hai
voglia di vomitare, di piangere. E di ridere.
Era un
assassino, no?, Sasuke?
Perché
lui, i vostri genitori, li ha
uccisi freddamente, no?
No,
Sasuke?
E
tu
volevi vendetta. Solo questo.
Giusto,
Sasuke?
*\*
Ci tengo a ringraziare quelli che non hanno mai perso la
speranza, e, soprattutto, chi ha commentato lo scorso capitolo:
1#.
maryku XD
Oddio, davvero Kagome-la-correttrice-di-bozze è
più di un colpo di genio? XD L’odio
di Inu-Yasha sta già scemando,
in un
certo senso. Dice di odiarla più per mantenere le apparenze
che per altro. XD E…
*.* Grazie mille per i complimenti, sei troppo gentile! *O* Spero che
anche
questo capitolo ti sia piaciuto!
2#.
Aryuna *.*
Certo che mancavi, Ary-chan! *.* E il Club lo voglio fondare, tu puoi
essere
membro onorario! *.* L’idea della cortigiana mi è
venuta pensando alla lezione
di letteratura latina di quel giorno, in cui avevamo parlato proprio di
una
trama in cui era invischiata una cortigiana. XD *Il tuo ragionamento
è molto
lineare, l’ho capito ù.ù* Ci ho messo
tanto, è vero, ma il povero scrittore è
tornato: cosa te ne pare? XD
3#.
monik ò.ò
Respira, non farti venire una crisi isterica! ò.ò
Potrebbe farti male! ò.ò
Bando agli scherzi: mi fa davvero, davvero piacere sapere che ti piace
questa
storia. ^^ Grazie per il commento, spero che questo capitolo sia stato
all’altezza
dei precedenti!
4#.
Gweiddi at Ecate
ù.ù Eh!, sì. Scrivere
“cannuccia” con una ragazzina attaccata addosso non
è
molto facile. XD Eru poi si forma sempre di più, sino a
divenire il nostro piccolo emo
complessato et orbo.
ù.ù Comunque, per la prima
domanda: sì. Kagome è pazza: notato quel che ha
fatto alla fine del capitolo?
XD *Inu-Yasha ti fa sapere che non ha intenzione di trasferirsi, casa
sua gli
piace troppo* Spero che il capitolo ti sia piaciuto almeno un
po’. ç.ç Io lo
considero da buttare.
5#.
La sognatrice
^^ Fa nulla se non hai commentato gli altri capitoli, la Shikaite
è una brutta
malattia. ù.ù Sono felicissima di sapere che il
precedente capitolo ti sia
piaciuto, e spero che anche questo sia stato di tuo gradimento! XD Alla
prossima!
6#.
inufan4ever
Oddio, Kikka!, davvero molte delle Fic che ricorderai sono mie? O.O
Kami-sama.
Non ci credo! XD Non preoccuparti per aver commentato in ritardo:
dopotutto, io
ho aggiornato dopo quasi un mese. XD Sono stata pessima.
ç.ç Scusami!
7#.
pillo XD
Inu-Yasha è tornato un cane
bavoso,
Inu-Yasha è tornato un cane
bavoso! XD Scusami se ho aggiornato in ritardo, comunque.
ç.ç Non volevo,
lo giuro! Per farti felice, l’ho anche trasformato in un
cagnetto in calore: mi
perdoni? *Smile*
8#.
Kagome19 ^^
Felicissima di sapere che Kagome, qui, non fa la parte della sfigata,
anche perché
io non la considero così. XD Grazie per il fantastica, mi
rincuora. *.* Spero
che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento!
9#.
mikamey XD La
mia autostima non è aumentata, ma quella vittoria
m’ha spinta a partecipare a
nuovi concorsi, nel tentativo di migliorarmi sempre di più.
ù.ù Chissà!, magari
un giorno scriverò qualcosa di davvero bello, e la mia
autostima salirà. XD In
ogni caso, sono felice di sapere che il “bacio della
morte” ti ha fatta ridere –
temevo di aver guardato troppo Ranma ½! – e sono
ultrafelice di costatare che
non hai trovato penoso il capitolo precedente. ^^ Ma questo?
Com’è?
10#.
callistas Non
preoccuparti per la mia autostima, davvero. ^^ Il mio sentirmi
un’incapace è
conseguenza di dieci anni tremendi, passati accanto a persone che mi
hanno
sempre sminuita in tutto e per tutto. XD Già sapere che
qualcuno mi considera
brava mi rende felice, davvero. ^^ In ogni caso, mi fa piacere sapere
che il
capitolo ti è piaciuto. Per me, è motivo di
gaudio: dopo commenti come il tuo,
gongolo a lungo, battendo le mani euforica. XD Spero vivamente che il
capitolo
sia stato all’altezza dei precedenti,
11#.
_ayachan_
TesHoro, tu mi ucciderai, lo so già.
ù.ù Perché ho aggiornato in ritardo, e
perché Shinji, Mimi e Eru sono scivolati ancora
in secondo piano, per fare spazio alle scaramucce sentimentali di quei
due
idioti di Inu-Yasha e Kagome. Tra l’altro, sapere che
iniziano a piacerti mi
rincuora. E sapere che rendo bene la prima persona mi manda in brodo di
giuggiole. XD Per la questione capitoli: dèi, è
il complimento migliore che
potessi farmi. ç.ç Giuro, quello mi ha commossa.
Perché credevo che i capitoli
fossero troppo lenti, e noiosi, invece, stando a quel che dici tu, non
è così.
E questo mi rende felice. Dannatamente felice. *.* Grazie mille per il
tuo
commento, e spero che il capitolo non faccia propriamente schifo!
12#.
ryanforever
XD Niente camicia di forza, forse solo un sedativo. Non so, io mi sento
quasi
in colpa, quando scrivo cose simili. XD Se Rumiko Takahashi notasse
quello che
combino con i suoi personaggi, forse mi ammazzerebbe.
ù.ù Che ne dici del
capitolo? È troppo?
13#.
HimeChan XD Eh! Hime,
hai visto il seguito di quello che ti ho fatto leggere ieri? XD Non
è troppo? *Per qualche
assurda ragione,
non ho potuto fare a meno di scrivere tutto ‘sto
popò di roba XD*
Grazie
a tutti quelli che leggono, a coloro che mettono questa storia tra le
preferite e a quanti commentano. Davvero, davvero grazie. ^^
Alla prossima,
che, spero, sia presto!
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Capitolo 9 *** Astinenza o follia? ***
BL8
The Bothering Life
of a Forced Writer
L’amore
non deve
implorare e nemmeno pretendere,
l’amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di
sé.
Allora non è più trascinato, ma trascina.
(H.Hesse)
Non dovevo fare certi sogni. Non
su di lei.
Quando
mi ero svegliato, quella mattina, avevo la fronte imperlata di sudore e
la gola
secca.
E
cazzo!, se tremavo.
Avevo
deglutito più e più volte, a vuoto, continuando
ad osservare la parete bianca,
senza essere capace di alzarmi – avevo bisogno di una
dannatissima doccia
fredda, ma mi doleva il capo.
E
poi
niente. Mi ero alzato, mi ero ripetuto che quello non era un sogno
– era un
incubo, un fottutissimo incubo – e che dovevo smetterla di
mangiare cioccolata
e porcherie varie prima di andare a dormire.
E
mi
ero seduto. Davanti alla scrivania. In silenzio.
“Fratellone?”.
Sobbalzai,
imprecando mentalmente e lasciando andare la matita con cui stavo
giocherellando. “Dimmi”, proferii solenne, cercando
di assumere un
atteggiamento vagamente dignitoso.
Sota
non parve farci caso, ma mi scoccò un’occhiata
euforica. “Fratellone, ci sono
delle persone per te, alla porta!”, urlò,
afferrando la manica della mia
camicia e cercando di smuovermi. “Vogliono parlarti, e la
mamma mi ha mandato qui, ad
avvisarti!”. Sorrise, lasciando
intravedere un incisivo mancante, e continuò:
“Sono stato bravo, vero?”.
Sbuffai.
“Dipende”.
“Da
cosa?”, domandò ingenuamente.
“Chi
sono, Sota?”, chiesi a mia volta, alzandomi – mi
scrollai le mani del bambino
di dosso con un veloce movimento del braccio, e feci qualche incerto
passo
verso la porta. “Descrivimeli: sono un uomo e una donna? Due
donne? Due
uomini?”. A quest’ipotesi, mi sentii mancare:
l’ospedale psichiatrico, quando
decideva che eri un pericolo per l’umanità tutta e
andavi rinchiuso, mandava
due infermieri o preferiva agire in altro modo?
“Un
uomo e una donna!”, cantilenò lui, entusiasta.
“Lei era bassa, con i capelli
neri e gli occhi marroni”.
“Rin”,
commentai asciutto, mentre l’aria serafica della mia
adorabile cognata faceva
capolino nella mia mente.
Poteva
essere venuta accompagnata da Miroku. O da Kohaku, il fratellino di
Sango.
O
da
un qualsiasi-uomo-tranne-lui.
“Invece,
il signore era molto alto!”.
“Continua”,
mormorai senza fiato – anche il mio ex
migliore amico era alto. L’altezza non è
vincolante: non dev’essere per forza lui
solo perché alto.
“E
aveva i capelli argentati!”.
E
non
doveva essere per forza lui
perché
aveva i capelli argentati.
“E
gli occhi come i tuoi!”.
Tante
persone hanno gli occhi ambrati. E poi, esistono centinaia di lenti
colorate.
“E
ci
guardava tutti come se fossimo degli idioti o qualcosa di
simile”.
“Sesshomaru”,
proferii con voce rotta, poggiando la fronte contro la parete e
pregando per
non scoppiare in lacrime. “Si tratta di Sesshomaru, mio
fratello”.
“Ah”,
commentò Sota, avvicinandosi baldanzoso. “Tuo
fratello, Inu-Yasha-kun?”.
Feci
un’eloquente smorfia, e annuii, decisamente irritato da
quell’informazione:
parlare con Rin era assai piacevole e divertente, ma
Sesshomaru…
No, lui non potevo proprio
reggerlo. Non quel giorno, almeno.
“Sota”.
“Dimmi”.
“Sota,
se io…”. Deglutii. “Se io sparissi, tu
diresti a tutti che non mi hai
trovato?”.
Lo
sguardo del bambino si incupì, mentre si portava una mano
sul mento con fare
pensieroso. “Mi stai chiedendo di mentire,
fratellone?”.
“Sì”,
confermai gelido. “Ti sto chiedendo di farmi un favore, Sota.
Uno di quei
favori che, un giorno o l’altro, ti
ripagherò”. Mi morsi il labbro inferiore,
incerto. “Stanne pur certo”.
“Beh,
se è un favore da uomini, non posso negartelo”.
Ridacchiò, fiondandosi
all’esterno della stanza e correndo – veloce,
tremendamente veloce – per l’angusto corridoio.
“Il fratellone non c’era!”,
urlò, voltandosi verso di me giusto il tempo necessario per
farmi l’occhiolino.
Bene.
Ora
avevo circa sedici secondi per nascondermi.
Presi
una buona dose d’incenso – che il vecchio pazzo mi
aveva lanciato addosso un
paio di sere prima durante la cena – e la strinsi in pugno,
memore dell’ottimo
olfatto di Sesshomaru: non volevo essere ritrovato.
Non in fretta, almeno.
Silenzioso
e lesto, uscii a mia volta dalla camera da letto, bene attento a non
urtare
nulla durante il mio percorso.
Casa
Higurashi era una dimora spaventosamente grande, e le stanze erano
tante. Troppe, a mio modesto parere.
Non
avevo visitato che una piccola parte della villa, e reperire un angolo
in cui
nascondersi – benché semplice –, in quel
momento mi parve la cosa più
complicata al mondo: quella stanza era troppo vicina alla camera di
Kagome,
quell’altra era troppo impolverata per passarvi
più di cinque secondi, quello
era un bagno usatissimo da tutti, e poi…
“Ahi!”.
Finii
al suolo.
Inconsapevolmente.
Mi
ritrovai disteso sul morbido tappeto che si srotolava lungo il
corridoio –
l’incenso che, fino a quel momento, era rimasto nella mia
tasca, scivolò al
suolo, e iniziai a tossire, nervoso. Perché diavolo mi ero
portato quella
robaccia?
E
chi era stato così intelligente da venirmi a sbattere contro?
Sollevai
adirato il capo, pronto a riempire costui – o costei
– di improperi, ma la
situazione mutò da lì a due secondi.
E non mutò in mio favore,
ovviamente.
“Kagome?”,
mormorai sbigottito, guardando la ragazza seduta innanzi a me.
Lei
si limitò a sollevare sdegnosa il capo e voltarlo di lato.
“Kagome,
che cavolo ci facevi, qui?”.
“Io
ci abito, Inu-Yasha”, sbottò irritata, incrociando
le braccia sul petto. “E ora
chiedimi scusa, mi hai fatto male”.
“Io
cosa?”.
“Mi
hai sentita”.
Mi
limitai a sbattere le palpebre e ad alzarmi, scrollandomi di dosso i
residui
puzzolenti di incenso. Lei, d’altro canto, mi osservava
interdetta, incapace di
tirarsi su autonomamente – indossava una minigonna nera, di
quelle che sembrano
impedire il respiro, e una camicetta rosa. Ai piedi, uno stupidissimo
paio di
pantofole a forma di coniglietto.
“Belle
scarpe”, ridacchiai, mentre il suo volto prendeva una vaga
colorazione
rossastra. “Comunque, alzati”.
“Non
ci riesco”, starnazzò, stringendo i pugni.
“Mi fa male un piede”.
“Ah”.
“Visto,
genio?”,
borbottò lei irata,
indicandomi con l’indice. “Se tu facessi funzionare
almeno il neurone di cui
sei dotato, forse non faresti cose stupide come correre per il
corridoio di una
casa rispettabile con la cerniera dei pantaloni aperta!”.
Frena.
Zip
dei pantaloni aperta?
Mi
voltai istintivamente, allungando una mano per controllare – ovviamente, Kagome aveva ragione, ed io
avevo appena fatto la mia ennesima figura da pirla.
“Mi
aiuti?”, grugnì all’improvviso,
sbattendo il palmo della mano sul pavimento per
attirare la mia attenzione. “Dopotutto, è colpa
tua se sono caduta”.
“Sì”,
sospirai. La sollevai senza alcun problema – era assurdamente leggera – e la
guardai, indeciso. Alcune ciocche di
capelli erano sfuggite al suo chignon, e il rossetto si era sbavato.
Dannazione,
dannazione, dannazione.
Non
dovevo fare certi sogni, specie se si ripercuotevano su tutta la mia
giornata
in modi simili.
“E
ora che hai da guardare?”. La sua voce era un fioco sussurro,
e mi guardava,
quasi ipnotizzata: la buona notizia era che il mio ego si sentiva
rinfrancato.
La cattiva notizia era che neppure io riuscivo a smettere di
osservarla. “Accompagnami
in camera, per favore”, biascicò a malapena,
chiudendo gli occhi e stringendo
una mano intorno alla mia spalla – tremava. Seppur
leggermente, tremava.
Non
risposi, limitandomi a procedere spedito verso la stanza da letto poco
distante: il suo odore proveniva da lì con maggiore
intensità che da ogni altra
stanza.
Era
come un tempio, totalmente dedicato a lei e lei soltanto.
E,
stranamente, la cosa mi elettrizzava.
“Bravo”,
commentò lei, indicando la porta. Sembrava stupita.
“Hai indovinato”.
“Cosa?”.
Ridacchiò,
dandomi una pacca sulla spalla e sistemandosi meglio tra le mie
braccia. “Hai
capito subito qual è la mia stanza”,
spiegò, compiaciuta. “Non è da
tutti”.
“Credo
tu abbia dimenticato che ho un olfatto diverso
dal tuo”.
“Come
quello di Eru?”.
“Sì”,
concordai, piacevolmente sorpreso.
Ok, non l’avrei mai detto, ma
Kagome aveva davvero un ottimo
intuito: non le avevo mai parlato della vera natura di Eru, eppure
aveva
intuito che non era un mostro normale.
Misteri
della vita.
“Lui
è un licantropo, no?”.
Frena.
Quando
– e come –
l’ha capito?
Io
non le ho mai detto nulla! Volevo fosse una sorpresa!
“Ehi,
mi spieghi il perché di quella faccia?”.
Chiusi
gli occhi, poggiando una mano sulla maniglia della porta e lasciando
che l’uscio
si aprisse con un lieve cigolio. “Quale faccia?”.
“Quella faccia”. Mi
tirò una guancia con
forza, finché non riaprii – indispettito
– gli occhi. “Sembra che qualcuno ti
abbia rovinato un piano”.
“Ti
sembra così paradossale l’idea che io lo volessi
tener nascosto?”, grugnii
esasperato, cercando, tra tutti i pizzi e le trine presenti nella
camera, il
letto della ragazza.
Era
nascosto sotto una quantità industriale
di borse. E scarpe.
“Ehm.
Forse”, concesse, isterica.
Le
regalai un’occhiata tutt’altro che amichevole.
“Guarda
che ho provato ad indovinare!”, si difese. Poi, presa da
chissà qualche spasmo,
iniziò ad agitarsi. “Lasciami, sono stanca, voglio
riposare”.
“Mi
spieghi perché sei arrossita?”.
“Non
sono arrossita!”, urlò. La lasciai ricadere sul
letto, e afferrò un cuscino,
coprendosi il volto e soffocando una qualche bestemmia nella stoffa
bianca. “E
tu perché eri in corridoio?”.
“Stavo
scappando”.
“Da
chi?”.
Indietreggiai
istintivamente, deglutendo: dirglielo o non dirglielo?
“Suvvia,
Inu-Yasha, non può essere un segreto tanto
scabroso!”.
No, eh?
Scossi
il capo, sedendomi accanto a lei sul materasso, e osservando
piacevolmente
stupito l’ambiente: una scrivania in legno, un armadio, un
lettino con la
coperta di un qualche anime sconosciuto e una serie di peluche. Cani, gatti, pinguini…
Peluche.
Semplici peluche.
“Per
caso è la tua ragazza?”. Gelida e irritata, Kagome
si voltò verso di me,
stringendo i pugni. “O, forse, è una che ti sei
fatto di recente?”.
“Non
sono affari tuoi”, replicai, ironico. Mi stavo divertendo, sì.
E
molto.
“No?”.
“No”.
Ridacchiai, incrociando le braccia sul petto e squadrandola con non
calanche. “Gelosa?”,
azzardai, sorridendo sarcastico.
“Dovrei
esserlo?”.
“Non
ne ho idea”.
“Non
sono gelosa”, grugnì adirata, guardandomi a sua
volta: aveva una strana
espressione. Fragile. E gli occhi
lucidi – almeno, sembravano lucidi. Mi osservava con
irritazione, rabbia e
altri mille sentimenti diversi, impossibili da catalogare.
“Tu non mi piaci,
Inu-Yasha: non potrei mai essere gelosa”, finì,
gelida.
Mi
sentii improvvisamente stupido, e ricominciai ad osservare la finestra.
“Non
vuoi proprio dirmi chi sono?”.
“Mio
fratello e sua moglie. Non so perché li sto evitando, ad
essere sincero”. Mi
portai una mano sul volto, passandola sugli occhi – ero
stanco. “Semplicemente,
non voglio parlare con loro, e ho preferito fuggire”.
Kagome
inarcò un sopracciglio, scettica. “Non
è molto… adulto”,
commentò a bassa voce.
Asserii
distrattamente col capo, lasciandomi scivolare sul materasso ed alzando
gli
occhi al cielo.
Continuavo
a sentirmi stupido. Davvero stupido.
“In
ogni caso”, continuai, chiudendo gli occhi. “In
ogni caso, avevo pensato di
nascondermi per un po’”.
“Se
vuoi restare qui, possiamo parlare del libro”.
Sollevò le spalle, lasciandomi
intendere che per lei non era essenziale, e si alzò,
afferrando un quaderno
dalla scrivania e sedendosi poi su di una sedia al centro della stanza.
“Allora?”,
chiese, nervosa. “Hai qualche idea?”.
“Troppe”,
sbottai esasperato.
In
effetti, era vero.
Volevo
scrivere qualcosa su Eru – mi ero accorto ti trovarlo molto
simpatico – e su
Mimi, ma, al contempo, lasciare da parte il povero Shinji era per me
inconcepibile.
Volevo
raccontare della storia dell’orbo,
di
come aveva scoperto che la sua ragazza era lesbica. E di come aveva
tentato di
suicidarsi, gettandosi da un’impalcatura.
E
poi
volevo parlare del suo gemello, di sua sorella, del suo
intelligentissimo
fratello minore, di sua madre che sembrava una sedicenne e di suo padre
che lo
trattava con una gentilezza esasperante.
E
poi…
“Inu-Yasha?”.
Trasalii,
appuntandomi mentalmente di non estraniarmi nel mio mondo quando
c’era lei.
“Allora?
Qualche idea?”.
Asserii
blandamente con il capo, per poi scostarmi – seccato
– i capelli dal volto, e
regalarle un’occhiata nervosa. “Sì,
vorrei scrivere qualcosa su Eru”, sbuffai,
nervoso.
“Cosa?”.
“Non
so, in realtà: la sua vita è così
particolare da necessitare di uno spazio
abnorme”.
Kagome
si alzò, camminando per la stanza – la coda di
cavallo ondeggiava. Di qua e di là, in modo lento e
ritmico. Presi a fissarla, sentendomi stupido.
E inutile. E incompetente.
E
in
qualche altro indefinibile modo.
“Credevo
che la coppia principe del libro fosse la cosiddetta ShinjiMimi”,
osservò lei perplessa, voltandosi verso di me, una
mano sul fianco e l’aria confusa. “Dopotutto, Mimi
lo ama, no?”.
“Non
necessariamente”. Inarcai un sopracciglio, perplesso,
trattenendomi a stento
dal mettermi ad urlare: dopotutto, non avevo mai detto che la mia
protagonista
era cotta dello Shinigami.
E
non
l’avevo mai lasciato intuire. Che colpa ne avevo se lei aveva
una fantasia
indubbiamente sviluppata?
Non
ero così prevedibile, io.
Non
avrei fatto mettere la mia protagonista con il belloccio di turno: non
subito,
almeno.
“Dannazione”,
commentò lei. Si portò una mano alla bocca, ed
iniziò a mordicchiare l’unghia.
La
cosa assurda di Kagome era il modo in cui mi guardava.
Era
l’espressione
stupita – e talvolta assorta – con cui mi osservata.
Mi spiazzava, ecco.
Continuavo
a ripetermi che era irritante, che non la sopportavo, che era una
dannatissima
inetta, ma non potevo fare altro che sentirmi stupido,
quando la osservavo.
Non
c’era
un vero perché: semplicemente, mi rendevo conto che non la
odiavo più come una volta,
e questo mi paralizzava – non è mai positivo
rendersi conto di non odiare più
con la medesima intensità una persona, dopo che le hai
praticamente detto che
non usciresti con lei neppure se fosse l’ultima donna in vita
sulla faccia
della terra.
“Ehi?”.
“Ero
distratto”, spiegai, sentendo le gote cambiare
improvvisamente colore. “Semplicemente
distratto”.
Scoppiò
in una fragorosa risata, sedata dal palmo della mano – poi mi
sorrise,
divertita. “Me n’ero accorta, sembravi veramente
concentrato”. Annuì tra sé e
sé. “Comunque, volevo solo avvisarti che ho
sentito una macchina partire”.
Indicò con il pollice la finestra, e mi alzai, appena in
tempo per vedere un’automobile
allontanarsi dalla villa.
Istintivamente,
tirai un sospiro di sollievo.
“Lei
non ti piace?”.
“Come,
prego?”, chiesi, confuso. “Lei chi?”.
“Tua
cognata”. Mi guardò, lapidaria, per poi voltarsi.
“Lei non ti piace”. Fece
qualche passo incerto, poi alzò gli occhi verso il soffitto.
“O, forse, lei ti
piace troppo”. Strinse i pugni, guardandomi. “Quale
delle due?”.
Mi venne voglia di ridere.
La
osservai per qualche attimo, indeciso. Poi, come se avesse appena
terminato la
battuta più divertente del mondo, scoppiai a ridere, sotto
il suo sguardo
allibito e preoccupato. “Rin?”, urlai, poggiando il
capo contro la parete. “Piacermi?”.
Un nuovo moto d’ilarità mi scosse, e mi morsi il
labbro inferiore, nel
tentativo di smetterla. “Ti rendi conto di che stronzata hai
detto?”, le
domandai, riuscendo appena a volgermi verso di lei.
“Lei
non ti piace?”, chiese con voce strozzata.
Risi
ancora. “No!”, starnazzai, divertito.
“Cioè, sì, ma non in quel
senso”.
“Sul
serio?”.
Perché sorrideva?
“Certo
che sì”, grugnii, infilando le mani in tasca, nel
tentativo di darmi un’aria
seria. “Perché?”.
“Nulla,
nulla”. Fece un movimento della mano, per lasciare intendere
che non era
granché importante, e mi diede le spalle, stiracchiandosi.
“La gamba mi fa meno
male”, biascicò imbarazzata, indicando il piede.
“L’avevo
notato”, ribattei divertito, afferrando un quaderno dalla
scrivania e
sfogliandolo sovrappensiero. “Ma…”. Un
dubbio – atroce
– mi era sorto. E la curiosità è umana,
no? “Prima ti faceva
male davvero?”.
Arrossì,
stringendo i pugni e avvicinandosi a me, furiosa. “Cosa
vorresti insinuare?”,
ululò, agitando una mano – sembrava pronta a
picchiarmi.
Prontamente,
le bloccai i polsi, avvicinando il mio volto al suo. Profumava di
vaniglia. “Nulla”,
sussurrai, incapace – ancora,
ancora una
volta – di distogliere il mio sguardo dal suo.
“Non sto insinuando nulla”,
mormorai – ancora, ancora, ancora
–,
mentre la distanza tra di noi si riduceva progressivamente a un nulla.
“E
allora perché me l’hai chiesto?”.
Ansimava, come se avesse corso per chissà
quanti chilometri. Era tenera, in
un
certo senso. “Non dovrebbe interessarti”.
“Mi
interessa, invece”.
“Sì,
mi faceva male”, biascicò incerta –
l’incantesimo non valeva solo per me. Anche
lei non riusciva a smettere di guardarmi.
“Perché?”.
“Credevo
tu volessi essere presa in braccio da me”. Ridacchiai
– una mia mano, lenta,
scivolava lungo la sua schiena,
spingendola ad avvicinarsi.
Ero impazzito.
“E
perché lo credevi?”.
Scossi
il capo, sistemandole incerto una ciocca di capelli dietro
l’orecchio – erano dannatamente
morbidi. “Non ne ho idea”.
“Ah”,
commentò, sorpresa. “Ah”.
“Forse
dovremmo scendere”. Le carezzai – istintivamente
– la guancia, sfiorandole poi le labbra con i polpastrelli.
Dovevo farmi forza,
per non abbassarmi e baciarla.
“Già.
Forse”. Asserì,
facendo – involontariamente
– un passo all’indietro,
portandosi una mano sul cuore, incapace di respirare normalmente.
“Forse sì.
Forse è pronto, forse…”. Scosse il
capo, dandomi le spalle. “Inizia a scendere”,
proferì solenne. “Devo cambiarmi”.
Abbozzai
un sorriso, poggiando una mano sulla maniglia e sospirando. Le diedi
un’ultima
occhiata disperata – volevo forse essere fermato?
Mi
aspettavo una sua qualche reazione?
Ero
forse in astinenza?
“Forse”.
*\* Lo
so.
Ci ho messo una
vita, per aggiornare.
Ci sono persone che mi condanneranno, per questo, e altre che mi
capiranno perfettamente. Il punto è che ho problemi di tutti
i generi, che non sto qui a raccontarvi, perché non vi
interessano, e perché non volete saperli.
Ho un prozio che sta male, una scuola che pressa, poco tempo per
scrivere, una dannatissima ispirazione che mi odia...
Insomma, una serie di scusanti. Solo che io non le considero tali, dato
che, per me, sono veri e propri problemi.
Ho scritto questo brevissimo capitolo in un pomeriggio, dopo averlo
riscritto venti volte nei giorni precedenti. E non mi soddisfa.
Sinceramente, mi piace a sbalzi: adoVo InuYasha, ovviamente, e quello
che fa Kagome mi piace un sacco, ma temo di rovinare tutta la storia
scrivendola, e ciò mi deprime.
Ma poi leggo i vostri commenti. E sono immensamente
felice.
Il capitolo è dedicato a voi. A tutte voi che avete
commentato lo scorso capitolo, che mi avete tirata su e che apprezzate
questo piccolo parto della mia mente.
*Fine della pausa seria*
Lo dico con orgoglio: ho un forum. Un forum dedicato a questa storia.
E so che può sembrare un atto incoerente, dato che mi
ritengo pessima, e so che è stupido, ma l'ho voluto creare:
è un luogo di ritrovo, ecco. *.* Le persone che passano di
lì e mi commentano i post mi fanno morire, le adoro
incommensurabilmente.
Il link è [http://botheringlife.forumfree.net], e,
ovviamente, gradirei vedervi passare di lì. ^^ E' un modo
come un altro per avvisarvi di eventuali ritardi, per sclerare in
compagnia e per spoilerare allegramente! ^O^/ Venitemi a trovare, mi
raccomando!
*Fine pausa stupida*
Mi avete stupito: quanti commenti! *^* Sono stata felicissima, mi sono
sentita realizzata! *^*/
Se tutte voi commentaste anche questo capitolo, potrei morire
d'infarto. XD E terminare i capitoli molto più velocemente.
*Ricatto? XD*
>>Ringrazio:<<
Bchan XD
Sì, in effetti sì. Kagome e InuYasha sono
stupidi, ma dopo un certo numero di capitoli, anche loro riescono a
comprendere qualcosa. XD Almeno credo. ._. Scusa per il ritardo, ma ho
avuto davvero ogni sorta di problema (Dalla connessione scema al
computer idiota. -.- Passando per compiti in classe et similia). -.- So
che il capitolo è orrendo, ma posso sperare in un tuo
commentino? *Smile*
callistas
*Si nasconde* Sì, ci ho messo tanto, ad aggionare. No, non
era mia intenzione. *Schiva i sassi* Comunque, mi fa piacere sapere che
i capitoli ti piacciono. ^^ Come già detto in precedenza,
ciò mi riempie d'orgoglio. ù.ù Se
veramente ci sono delle persone disposte a pestare i simpaticoni *Devil
Smile*, posso tranquillamente pagarti in ficcy. XD Di Shot ne ho messa
una di recente, può andare bene come anticipo? *Risata*
Felicissima di sapere che sono nel gruppo di persone di cui ti
piaccioni i brani, e sempre un bene per la mia autostima sentirsi dire
certe cose. ^^ Sperando che il capitolo non ti abbia schifata poi
troppo, mi congedo. ^^ Spero di vederti tra i commentatori! ^O^/
kaggychan95
Ma sauuu! XD Non speravi nel bacio, eh? XD *Felice per aver stupito* E
ti aspettavi questo seguito? *Gongola* E ti aspettavi fosse scritto in
modo così penoso? *Fugge* Al prossimo capitolo - almeno
spero -, caVa! ^O^/
maryku
ç.ç L'ultima drabble è triste,
sì. Credo si notasse quanto amo Itachi ed odio Sasuke. XD
E... *Sospira* Lo so che il bacio è visto e rivisto
*Ghigna*, volevo farle fare altro *Sghignazza, compiaciuta*, ma mi
sembrava troppo. XD E poi, non voglio superare il rating arancione, con
questa fic. *Beve thé* Grazie per i complimenti, spero che
il capitolo ti sia piaciuto! ^O^
_ayachan_ Ho aggiornato, ho aggiornato, ho aggiornato! *^*
Ho fatto bene? *Saltella* Allora: ogni qualvolta leggo un tuo commento,
mi sento brava. Non si direbbe (?), ma sei un'ottima iniezione di
autostima, oltre che un'autrice bravissima. =^^= Ciò che mi
dici mi rallegra, Susi, e mi fa venire voglia di diventare bravissima
solo per scrivere tanta roba di tuo gusto. XD Ovviamente, questa non
è altro che un'utopia, ma è gradevole, e mi
rallegra. *SospiVa* Inoltre, leggere i tuoi complimenti a quelle drabble...
Dèi. Non ci speravo. Mi rendi felice, Susi! *.* E... Grazie.
Davvero. Spero di non averti delusa, questa volta.
inufan4ever Ma Kikka! XD Non preoccuparti, sta' tranquilla
se non hai commentato. *Smile* Ora ci sei, no? *Doppio Smile* Grazie,
caVa. ^^ Spero che il capitolo ti sia piaciuto.
Gweiddi at Ecate Amuuuur! *.* La drabble di Sasuke la
metterò anche a parte, se vuoi. XD Solo che mi caccerebbero
a pedate, mi sa! *Sospiro* Comunque, InuYasha e Kagome iniziano a darsi
una mossa. ò.ò Almeno, così sembra!
*Shock* E pensare che volevo farli arrivare puri et casti fino alla
fine! *Doppio Shock* Inu non si è più nascosto
sotto al tavolo, certo, ma lo farà. Sì che lo
farà! XD Ti voglio beneH, cavaH! Spero di non aver fatto
flop!
Beverly Rose o___ò Sicura di non esserti
confusa con la fic di qualcun'altro? o___ò Ti piace davvero?
*Infarto* Oddèi! *.* Che bello, che bello! Grazie mille per
i complimenti. E per averla messa nei preferiti. E per... *Sviene* E...
*Rinviene (?)* Spero che il capitolo ti sia piaciuto. ^O^/
okkiverdi ^^ Felicissima di sapere che la storia continua
a piacerti. ^^ Che te n'è parso di questo capitolo? XD Io lo
trovo orrendo!
Aryuna ù.ù Mannò che non
hai scritto Mimì,
tesoro! XD Grazie mille per il commento, e sappi che Rin è
bendisposta per aiutarti! *^* Ha imparato a preparare il ramen quasi senza
bruciare nulla! *Clap Clap* E grazie per i disegni, li lovvo assai!
*Happy* Spero che il capitolo sia stato decente! *Sparge fiori*
Kagome19
XD Anche se in ritardo, ho aggiornato. *Si inchina* Mi dispiace. ._.
Che te n'è parso del capitolo? XD All'altezza dei
precedenti, o semplicemente orribile? XD Fammelo sapere!
pillo ù.ù Non lo so dove prendo
certe idee, forse dagli ovetti della Kinder (?).
ù.ù Baci non ce ne sono stati, in questo
capitolo, ma un... XD Un qualcosa
sì. E tanta - troppa!
- gelosia. S'è notato? *Devil Smile* Spero che il capitolo
ti sia piaciuto, tesoVo! XD
HimeChan XD Una statua? XD Ma Hime, caVa, non
costerà un po' troppo? *Ridacchia* Comunque, io lovvo i tuoi
commenti, non farti venire complessi. ù.ù Vero
che il capitolo ti ha fatto schifo? *Occhi luccicanti* Vero? *^*/
monik o__ò Non hai parole per commentare?
*Sviene* Grazie. *Inchino* Sono felice quando mi dite che la storia vi
piace, per me è un onore. *.* E finire nella carrellata dei
tuoi preferiti mi esalta! *O* Ci ho messo un po', ma ho aggiornato.
*Speranzosa* Com'è il capitolo?
ryanforever XD Il club esiste! XD L'abbiamo fondato nel
mio forum, è uno dei gruppi. *Smile* Felice di sapere che
hai apprezzato sia il capitolo che le drabble: che mi dici di questo?
XD E' brutto come penso?
mikamey XD In pappa? Addirittura? Oddio!
ò.ò E... Come stai? ò.ò Ci
ho messo così tanto, ad aggiornare!
ò.ò E... -.- E ho postato un orribile capitolo.
-.- Ti è piaciuto almeno un po'? *Occhi speranzosi*
Grazie anche a chi mette la storia tra le preferite, a chi legge
soltanto e a chi passa per il mio forum. ^O^
E alle sedici persone che hanno commentato Name, una delle mie
ultime fatiche. *^* Sono commossa!
Alla prossima!
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Capitolo 10 *** Certezza ***
BL
>>
Una cosa che dimentico sempre, sin dalla mia prima
storia:
“I
personaggi presenti in questo mio
elaborato non mi appartengono.
Sono,
bensì, di proprietà della venerabile Rumiko
Takahashi, e non vengono da me
utilizzarci per scopo di lucro.
Solo
per divertirmi. E farmi picchiare da voi
lettori, ovvio (L).
La
Tokyo di cui parlo in questa fic, inoltre, non
è la Tokyo da noi conosciuta, ma
semplicemente una Tokyo parallela: strade, prezzi, traffico, auto e
quant’altro
possono differire dalla realtà.
Fatti,
cose e persone sono puramente casuali”.
XD Ora mi
sento meglio! <<
Certezza
I dreamed I was missing
You was so scared
But no one would listen
Cuz no one else care
[Linkin Park - Leave
out all the rest]
“Cosa
c’è scritto in quella lettera?”.
“Niente”.
Kagome
si morse il labbro inferiore, fissandomi impaziente. “Non
può essere niente”,
grugnì severa, arrotolandosi
una ciocca di capelli intorno all’indice. Qualche attimo
– misero, misero attimo
– per riordinare le idee, e poi ricominciò a
parlare, lentamente: “Tuo fratello non sarebbe venuto sin qui
senza una
motivazione logica”.
“Sesshomaru
non ha bisogno di alcun pretesto per venire a disturbarmi”,
sospirai. “Lo fa
sin da quando eravamo bambini, e non ho mai avuto
possibilità di replicare: lui
è il maggiore”.
Sottolineai
l’ultima parola con veemenza – il maggiore.
Lo
youkai prediletto, il figlio purosangue.
Io,
dopotutto, ero solo un debole, piccolo, infimo
hanyou.
Dannazione, doveva sempre venire
a disturbarmi, quel tipo?
“Oddio,
Inu-Yasha, anch’io sono la maggiore, ma non tratto Sota come
uno zerbino”.
Arrossì appena – avevo inarcato un sopracciglio, e
la guardavo scettico –, per
poi alzare gli occhi al cielo. “Ok, lo maltratto, ma solo se
ho una motivazione
vagamente decente”.
Ridacchiai,
voltandomi verso il portatile: mi era venuta un’idea per la
relazione di Shinji
e Mimi, e dovevo assolutamente
buttarla giù. O me ne sarei dimenticato, era un deprecabile
dato di fatto.
In
fin dei conti, in quei giorni la mia ispirazione stava toccando livelli
infimamente infimi – tutte queste ripetizioni cacofoniche
solo per spiegare che
non riuscivo a scrivere mezza parola
senza avere un conato di vomito o giù di lì.
“Inu-Yasha,
mi spieghi come fai ad ideare la trama di una tua storia?”.
“Che?”.
“Dicevo”.
Sospirò amabilmente, sistemandosi la camicetta sgualcita.
“Come decidi quello
che deve avvenire? Studi la trama nei minimi dettagli, o è
una cosa
istintiva?”. Inspira, espira.
“Il tuo
è un dono, o devi lavorare sugli sviluppi, come un qualsiasi
essere vivente?”.
Oh.
Dunque anche Kagome Higurashi aveva dei dubbi stupidi.
La
guardai, sbuffando contrariato. “Guarda che io scrivo quel
che mi passa per la
mente!”, dichiarai altezzoso – dèi, era
divertente vantarmi di cose false: io
la trama la studiavo, in un certo
senso. La sognavo di notte, e tentavo di ricordarla al mattino.
Se
ci
riuscivo, avevo almeno tre capitoli pronti.
Se
non ci riuscivo… Beh, in quel caso erano guai miei.
“Quello
che ti passa per la mente?”, ripeté, perplessa.
Era seduta sulla poltroncina
accanto a me, ed osservava la schermata del portatile con vago
interesse. Forse
aveva sonno – era rincasata tardi, verso le cinque.
E
lo sapevo
perché l’avevo aspettata.
E
l’avevo aspettata perché non avevo sonno.
E
non
avevo sonno perché non era ancora rincasata.
“Esatto”,
dissi comunque. “Quello che mi passa per la mente”.
Lei
ridacchiò. “Allora sei un genio”,
constatò, ironica. Un moto di rabbia mi
scosse, ma mi impegnai per non pensarci. “Comunque, hanyou, io devo uscire con Sota. La mamma
è a tennis, il nonno è
uscito con dei suoi amici, papà è a una riunione
e oggi è il giorno libero dei
domestici”. Mi sorrise, divertita da un qualcosa che non
riuscivo a capire. Non
ancora, almeno. “Resterai solo in casa: sicuro di non avere
paura?”.
“Paura?”,
urlai sconvolto. “Io? Paura? E di cosa?”.
Il
suo sorriso si trasformò in un ghigno, e tremai, leggermente
scosso: “Una villa
grande come questa… Tu, solo, in un angolo, a scrivere un
libro che deve
diventare un best seller o verrai licenziato in tronco e mandato a
vivere sotto
i ponti insieme agli altri mille disoccupati…”.
Le
frasi lunghe – quelle veramente
lunghe, che lasciano senza fiato – mi avevano sempre dato
ansia. E Kagome
sembrava divertirsi, allungando tutto
sino all’esasperazione: per ben più di un secondo
presi in seria considerazione
l’ipotesi di baciarla, in modo da zittirla.
Poi
mi resi conto del mio insano proposito, e mi diedi un pizzicotto sul
palmo
della mano, nel tentativo di riscuotermi.
“Allora
io vado”.
Annuii.
“Va’. E divertiti”.
“Lo
farò”, garantì, sorridendo maligna.
Si
sollevò con grazia, allontanando poi la poltroncina con una
mano, mentre
l’altra – la manca – si protendeva verso
di me, salvo poi sfiorare i miei
capelli d’argento. Lasciò che scivolassero tra le
sue dita, osservandomi – maliziosa?
–, per poi voltarsi di scatto
e biascicare un saluto.
La divertiva torturami così?
“Ciao”,
mugugnai, sollevando gli occhi verso il soffitto; c’erano
delle crepe. Potevo
contarle, mentre attendevo che Kagome uscisse dalla stanza.
“Ciao”,
ripeté lei – sentii i suoi passi rapidi per la
stanza, la mano che si poggiava
sull’anta della porta, spingendola via. Il rumore della gonna
che frusciava,
mossa appena dalla brezza che penetrava dalla finestra. E il rumore dei
suoi
tacchi per il corridoio.
Sbuffai.
No, era insopportabile. Non
riuscivo a capirci più nulla: Kagome non mi piaceva. Non in
quel senso, almeno.
Sin
da quando l’avevo vista la prima volta, avevo garantito a me
stesso che mai,
mai e poi mai, avrei potuto
infatuarmi di lei.
Insomma.
Cioè,
era carina e via discorrendo, ma… Non potevo.
Non lei.
“Dannazione”,
rantolai, esasperato, poggiando – rapido, con un movimento
secco – le mani
sulla tastiera del portatile: dovevo scrivere, no? Dovevo lavorare, no?
E
allora perché perdevo tempo con una ragazzina pedante?
Scuotendo
il capo, ripresi a scrivere: avevo avuto un’idea.
Un’idea stupida, sciocca. Un
cliché – il
cliché. Però volevo rielaborarlo
a modo mio: Mimi, avvolta in un asciugamano rosa, sarebbe dovuta uscire
dal
bagno, salvo poi scontrarsi in Shinji, e con lui litigare. Doveva
dargli del
maniaco e giù di lì – insomma, avrei
potuto ispirarmi a Sango a Miroku.
Lui
era un pervertito, lei lo picchiava sempre e comunque.
Insomma,
erano proprio quel che mi serviva.
Iniziai
a pigiare con calma i tasti, bene attento a non scambiare la i con la ì
e a non fare sciocchi errori di battitura che Kagome avrebbe
potuto farmi pesare – non mi concessi una pausa. Neppure una.
Per
tre ore, rimasi seduto alla scrivania, cercando di rendere concreto un
qualcosa
che, sino a quel momento, viveva unicamente nella mia mente. Parole su
parole
ricoprivano la carta bianca: a volte cancellavo qualcosa, poi lo
riscrivevo; un
lavoro lungo e snervante.
Però,
in fondo, mi rendeva piuttosto soddisfatto – mi rilassavo,
scrivendo, e non
dovevo lavorare in un qualche supermercato come la stragrande
maggioranza dei
miei coetanei. A volte, rendendomi conto di ciò, mi sentivo
sciocco.
Loro
si spaccavano la schiena per ore ed ore,
io restavo seduto a casa mia, riposando tranquillo.
Insomma,
ero più fortunato degli altri, e non mi andava a genio.
“Mm.
Un thè”. Spinsi la sedia all’indietro,
per creare lo spazio necessario ad
alzarmi, e poggiai le mani sulla parete, cercando di calmarmi: avevo
una strana
sensazione. Il genere di sensazione che ti coglie dopo un sogno
premonitore;
quella fitta allo stomaco che ti urla di fare attenzione.
Passandomi
una mano tra i capelli, uscii fuori dalla stanza.
Volevo
un thè. Un thè, sì.
Però,
istintivamente, le mie gambe presero tutt’altra direzione
– mi fermai innanzi
alla porta di Kagome, ansante. La mano destra, meccanicamente, si mosse
verso
la maniglia, e la spinse verso il basso.
Un
cigolio – un debole cigolio –, e l’uscio
si aprì, rivelando la stanza che da
poco avevo scoperto: nulla di speciale, esattamente come
l’altra volta. Un
peluche era riverso sul pavimento, poco distante da me, poggiato
accanto ad una
pila di maglie di lana. Il portatile per cui tanto aveva lottato
– ricordavo
bene le urla di suo padre, che le diceva non volerglielo comprare
– era riposto
sulla scrivania.
Sollevai
il capo verso il soffitto, socchiudendo gli occhi ed ispirando il
profumo di
Kagome, aleggiante in tutta la stanza. Era un odore caldo, delicato. Una morsa, insomma: mi avvolgeva.
Poggiai la schiena contro la parete, rasserenato.
Ed
era assurdo, perché non capivo quella strana dipendenza.
E
no, non capivo quella dipendenza
perché
era assurda.
E
non
ce la facevo più – mi stava rovinando la vita,
eppure non se ne rendeva conto.
Il che era snervante, pensandoci bene.
In
un
impeto di furore, uscii nuovamente dalla stanza, correndo per il
corridoio: non
appena vidi le scale, svoltai a destra, e le percorsi con
rapidità, saltando i
gradini: uno dei vantaggi di essere un hanyou era proprio questo. Pur
compiendo
cose non propriamente umane, non mi facevo del male. Mai.
Insomma,
questa era una delle poche non
fregature.
Entrai
in salotto con un vago senso di – non
– compiacimento, e mi accostai lentamente al caminetto:
centinaia di cornici
erano state sistemate lì dalla signora Higurashi il giorno
prima. E Kagome, con
la sua aria saccente, mi aveva intimato di non osservarle; la
imbarazzavano.
E,
ovviamente, per tutto il pomeriggio
avevo fatto quel che voleva lei, ricercando l’ispirazione in
luoghi a me più
consoni: il bagno, ad esempio. O la mia camera da letto: la mocciosa
irritante
sosteneva che io e quella stanza ci
somigliavamo parecchio: condividevamo un cattivo odore nascosto dal
profumo e
un aspetto fintamente ordinato.
La
mia risposta non era stata granché gentile, dato che mi
aveva dato del cafone e
se n’era andata via – ed era uscita.
E
io
l’avevo aspettata.
E
l’avevo aspettata perché qualcosa mi urlava di
fare la pace.
E
qualcosa mi urlava di fare la pace perché stavo impazzendo,
e iniziavo anche a parlare da solo.
Il che avrebbe
dovuto urtarmi parecchio, anche se ciò non avveniva.
“Bene,
vediamo ‘sti segreti”.
Carezzai
la cornice della prima foto, lasciando scorrere l’indice tra
le decorazioni.
Non
era nulla di speciale: la signora Higurashi e il signor Higurashi il
giorno del
loro matrimonio: lei indossava un bel kimono bianco, classico. Normale.
Scuotendo
il capo, passai alla foto seguente – nulla di speciale
neppure questa. Sota il
giorno del suo terzo compleanno, con un modellino di un qualche anime
tra le
braccia e l’espressione contenta che solo un bambino
può fare.
Sbuffando,
passai alla foto successiva – e mi misi a ridere. Come un
ossesso.
Kagome,
un graziosissimo vestito che ricordava quello delle dame del Trecento
italiano,
osservava con rabbia lo spettatore: aveva stretto i pugni, e gli occhi
erano
lucidi. Non poteva avere più di otto anni, ma non avevo
dubbi.
Era Kagome.
Non
poteva trattarsi di una qualche cugina, gli occhi nocciola erano gli
stessi. E
anche i capelli, per l’occasione legati in una treccia, erano
innegabilmente
suoi.
“Oddèi”,
esclamai, ridacchiando. “Quando
tornerai…”.
Lasciai
la frase in sospeso – ero da solo, e sapevo perfettamente che
l’avrei derisa
non appena avesse messo piede in casa – e mi voltai,
infilando le mani nelle
tasche dei jeans e camminando a passo lento, diretto in cucina. Per una
volta,
non ci sarebbe stata nessuna cameriera a chiedermi se desideravo
mangiare
qualcosa: non mi piaceva, ecco. Detestavo essere servito e riverito,
quando
anch’io, come loro, lavoravo per gli Higurashi.
Era
un lavoro diverso, il mio, ma eravamo pur sempre colleghi,
in un certo senso. Provvedevamo ai bisogni del signor
Higurashi e famiglia: loro in senso fisico, io in senso materiale. Loro
li
trattavano come re e regine, io facevo sì che il loro conto
in banca non
andasse in rosso.
In un certo senso, eh!
Mi
avvicinai titubante all’enorme frigo argentato, aprendo con
mano malferma lo
sportello: immediatamente, un meraviglioso odore di cioccolata giunse
alle mie
– troppo sensibili
– narici, e mi
ritrovai a cercare con lo sguardo la fonte di quel buon odore. Non mi
impegnai
più di tanto, una gigantesca crostata era posta proprio
innanzi a me, e uno
strato di Nutella, al suo interno, faceva una splendida figura.
Mi
leccai le labbra d’istinto, e afferrai con entrambe le mani
la teglia, deciso a
mangiarne una fetta.
Ma,
ovviamente, sulla crostata
c’era un
biglietto.
E
la
grafia era di Kagome.
E
mi
intimava di non mangiarla.
E
iniziavo a sentirmi considerato meno di un neonato.
E
iniziavo a sentirmi considerato meno di un neonato perché
non potevo neppure
mangiare una stupidissima crostata alla Nutella.
La
posai nuovamente nel frigo con un gesto irritato, chiudendo con forza
lo
sportello – e pregando che non si rompesse il frigo,
ché poi avrei dovuto
ricomprarlo di tasca mia. Cosa che non mi andava particolarmente a
genio, in
quel momento.
Consapevole
che non avrei mai potuto mangiare la crostata – sensi di colpa, sensi di colpa!
–, strisciai sino ad un mobile poco
distante, e aprii un’anta. Senza neppure guardare, presi la
cosa più simile a
del cibo: un pacchetto di patatine. “Meglio di
niente”, fu il mio unico,
depresso commento.
Kagome
era un’insensibile. Una donna perfida, senza cuore.
Non
poteva lasciare sola in frigo una simile meraviglia, una creazione
sì splendida
dell’arte culinaria… E scriverci sopra che non
potevo mangiarla, perché era un
regalo per Sota, dato che domani era il suo compleanno, e bla bla bla.
Insomma,
io ero pur sempre uno scrittore, dovevo
mangiare. Era essenziale, per me.
Lanciando
un ultimo sguardo malinconico al frigo – e, di conseguenza,
alla crostata –,
lasciai la cucina, il pacchetto di patatine stretto in pugno e
un’espressione da
far invidia ad uno zombie de L’alba
dei
morti viventi. Almeno, credo che in quel film ci siano
zombie: non l’ho mai
guardato, volendo essere sinceri.
“Chi
se ne importa”, borbottai, incrociando le braccia sul petto.
Ero ancora
arrabbiato.
Dannata
Kagome. E dannati tutti gli Higurashi.
Non
era possibile – né giusto, né generoso
nei miei confronti – lasciarmi a pane e
patatine. Se l’avessi saputo, non avrei mai accettato di
trasferirmi lì per un
po’: avrei insistito affinché mi fosse offerto un
viaggio alle Hawaii o in
altri posti.
Il
problema grave, però, era il mio attaccamento alle sfide:
non al lavoro. Alle sfide.
Sapevo
che pubblicare un libro più interessante di quello di Naraku
era un’impresa a
dir poco disperata, ma contavo sulla mia
genialità…
Ok,
ok. Non avevo praticamente idea di come fare, ma battere quel dannato
idiota
che si faceva grande sugli scandali dei politici stava diventando una
questione
di vita o di morte: non potevo lasciare che un verme come lui si
prendesse
onore e gloria a discapito di noi scrittori veri. Era inaudito.
Ancora
intontito, barcollai appena di lato, il pacchetto di patatine stretto
nella
manca e la bocca piena fin quasi a scoppiare – mi passai la
manica della
camicia sulle labbra, ripulendole dalle briciole in eccesso, e poggiai
una mano
sulla maniglia più vicina, ritrovandomi catapultato in bagno.
L’ambiente
era piacevole, con le sue mattonelle celesti e i suoi asciugamani del
medesimo
colore. Profumava un po’ di vaniglia, e riconobbi il profumo
che Kagome tanto
amava posato su di un ripiano poco distante.
Non
era particolare, ma aveva un buon odore, e lei mi aveva rivelato di
esserne
inspiegabilmente attratta.
Un
po’ per noia, un po’ per curiosità,
presi la boccetta tra le dita, attento a
non far fuoriuscire il gas: se lei
lo
amava, io lo detestavo cordialmente, ritenendo meno nocivo
l’olezzo proveniente
dalle scarpe di Sota dopo una partita a calcetto.
Continuai
a rigirarmelo in mano con diffidenza, chiedendomi cosa ci trovassero di
piacevole le donne nei cosmetici – e, al contempo, pensavo a
Kagome, e a dove
poteva essere andata la sera precedente. Avevo escluso buona parte
delle
possibili alternative, ritrovandomi con possibilità
allucinanti come la
discoteca – mai luogo fu da me più disprezzato,
con le sue luci troppo forti e
i suoi suoni spacca timpani – e la ancor più
tremenda abitazione di Sango e
Miroku, luogo conosciuto per la costante presenza di un essere
decerebrato con
la mania per i sederi.
Insomma,
ogni alternativa era spaventosa.
E
ancora non capivo perché me ne stessi interessando, dato che
Kagome non mi piaceva.
Poteva
anche finire sotto un treno, per quel che mi importava.
Ripetendomi
mentalmente che non dovevo infischiarmi dei suoi affari – un
vero e proprio lavaggio
del cervello – e che dovevo andare avanti. Se mi avesse visto
qualcuno, avrebbe
di certo contattato il manicomio più vicino.
“Stupida.
Dannata stupida”, biascicai inconsapevolmente, sollevando gli
occhi verso il
soffitto. Uno strano senso di colpa mi attanagliava le viscere, e
poggiai
nuovamente la boccetta al suo posto, bene attento a richiuderla nel
medesimo
modo in cui l’avevo trovata.
Perché
sì, Kagome è peggio della polizia, quando si
tratta della sua roba: la
punizione per aver sfiorato il suo profumo doveva essere per forza
spaventosa.
Tremando leggermente, sistemai il tutto.
Appena
in tempo: in lontananza, il rumore di un paio di ruote che oltrepassava
i
cancelli di casa Higurashi giunse alle mie orecchie, atterrendomi. Mi
voltai, e
corsi in camera mia, lasciandomi poi ricadere sulla sedia innanzi alla
scrivania.
Non
sapevo perché ero fuggito. Dopotutto, ero in bagno, e non
stavo facendo nulla
di che: avrei potuto chiudere la porta a chiave e farmi una doccia, ad
esempio.
Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire, e Kagome si sarebbe
complimentata:
riteneva io puzzassi quanto un paio di calzini usati, no?
“Maledizione”.
Sferrai
un pugno alla parete, grato al dolore: pensare che la mano mi faceva
male
riusciva a distogliere i miei pensieri dalla persona che –
subdola, così subdola
– aveva appena varcato la porta d’ingresso. Udivo
distintamente la sua risata
divertita, e il rumore dei suoi passi per il corridoio: con ogni
probabilità,
era andata a fare shopping con le amiche, salvo poi farsi
riaccompagnare a casa
da un autista del padre.
Era
da lei, fare cose simili.
Rimasi
qualche attimo in attesa, gli occhi socchiusi, l’aria
fintamente calma.
Aspettai
che superasse la mia porta – vaga
incertezza, mano che sfiora il legno, respiro pesante
–, poi feci del mio
meglio per regolarizzare il battito del mio cuore. Forte, troppo
forte…
Voleva
uscire, dilaniare il mio petto, seguire Kagome.
La voleva.
Desiderava
quella ragazza più di ogni altra cosa al mondo: inutile
illudersi. Il mio cuore
la voleva.
Mi
ero innamorato di Kagome Higurashi.
E
questa non era una certezza positiva.
*\* Ok. Se ritenete
che debba essere picchiata, avete ragione.
Non ci ho messo un mese, no. Un mese era troppo poco! -o-'' Quasi due!
Cavolo, non avete idea di quanto mi senta in colpa: pur sapendo che NON
è colpa mia, e che ho tante ragioni per giustificare questo
schifo di ritardo, non riesco a non sentirmi colpevole. Per un po' ho
pensato di lasciare questo fandom - mi stava venendo la nausea, non lo
nascondo. Però... Però a me piace, questo posto!
çoç Non voglio lasciare InuYasha!
çoç
E mi dispiace per il ritardo.
Perciò chiedo scusa a tutti voi, perché non era
mia intenzione farvi aspettare tanto: mi dispiace. E ok,
questa è la regina delle frasi fatte, ma... -o-''
Non sto mentendo, e non pretendo che voi non mi diciate niente:
è dal... Non so. Il quindici marzo?
òoò''
Vabbe', parecchio. Aspettate da parecchio.
Ma un po' mi son fatta perdonare, no? *O* Il capitolo ha un risvolto
puccio, no? *O* Dopo nove capitoli, Inucchan-chan-chan ha capito
qualcosa! *O*
E ok, il capitolo mi soddisfa pochissimo, però...
òoò Meglio di niente, no?
Ora, ora, ora...
Grazie di cuore per le recensioni, non me le aspettavo. Sono commossa,
seriamente.
XD Per la mia simpaticissima autostima, leggere che apprezzate questo
sclero è davvero un bene. So che non resterà nei
vostri
cuori, ma sapere che, per ora, vi piace, mi rende euforica. ^o^
Cercherò di non farvi mai più aspettare
così,
anche se non prometto niente.
E... scusate il capitolo breve. çoç L'ispirazione
è una brutta bestia, no?
*Alza la mano verso il cielo, urla, salta, scappa (?)*
RINGRAZIO SENTITAMENTE
<3
1#. Kade: Grazie, Kaddy. Grazie.
Non so cosa dire:
leggere certe
cose mi rincuora: allora non sono così da buttare!
òoò/ Posso anche continuare a inondare il sito
dei miei
scleri per un po'! *O*
*Coff Coff* Kadduccia, tu non lo sai, ma il tuo commento ha fatto
sì che continuassi a scrivere BL. Mi hai dato la forza di
finire
'sto schifo di capitolo. ^^ Grazie, davvero.
E salutami Secchan! *O*
2#. Emiko92 Cucciolaaaa! *O* Allungo le
vocali solo per te, visto che brava che sono?
*Si riprende e coccola Emi-chan* Allur, non risponderò di
pari
passo al commento, poiché non ne ho il tempo materiale.
>.> Non oggi, ho già fatto penare abbastanza
voi lettori.
Però, amour (?), me ti adoVa tanto. *O* Grazie per la
recensione!
3#. _Draco_ Ma ciao! *O* Che bello vedere
nuovi commentatori, è sempre graditissimo! *O*
Sono
felice di sapere che apprezzi il mio modo di scrivere, e spero
vivamente che il mio ritardo non ti spinga a smettere di commentare.
^^'' Chiedo ancora venia, non era mia intenzione farvi aspettare
così tanto. çoç
Grazie ancora! (_ _)
4#. _ayachan_ Susisù! *O*
Susisù! *O* Susisù!
*O* Ho aggiornato, Susi! *O* Di' la verità: non ci speravi
più, vero? -o-
In ogni caso, ti ringrazio sentitamente per il commento: credo tu
sappia l'effetto positivo che hanno su di me. Perché
sì, potrò comunque peccare di autostima, ma
leggere che il mio modo di scrivere ti piace è una gioia
immensa.
Grazie, tesHoro. ^O^ Me ti adora!
5#. Gweiddi at Ecate ... Mi sento in colpa.
ç.ç Non uccidermi, Elisa, ti prego!
*Scappa, si nasconde, afferra un pupazzetto a forma di Itachi, lo porge
a Elisa, aspetta che lei cessi di urlare, sorride (?)*
So che il capitolo non è granché, ma posso
sperare che non ti abbia fatto poi così vomitare...? ^^''
Bacioni!
6#. mikamey òoò Non
è stato presto, diavolo. Ti avevo promesso che mi sarei
sbrigata, ma così non è stato. Ti chiedo
ovviamente scusa.
Spero tu abbia gradito 'sto sclero! *O* Baci!
7#. callistas Facciamo così: tu
non mi picchi, io non mi nascondo. Ok? ^^''
No, perché questo ritardo è schifoso,
imperdonabile. Mi sento in colpa come mai sono stata, non mi era mai
successo di ritardare così tanto. çoç
Mi sento uno schifo, dannazione!
In ogni caso, sono felice di sapere che il precedente capitolo
è stato di tuo gradimento, e spero che questo non sia da
meno. ^^'' Non è propriamente il migliore, ma... Ci ho
provato, ecco. >.>
Spero commenterai anche se sono imperdonabile!
çoç Baci! xD
8#. kirarachan Vale tesoro!
çoç Ci ho messo una vita, a postare!
çoç
Vero che mi perdoni? *O* Vero?
*Abbraccia Vale (?), saltella via*
9#. kaggychan95 >.> L'hai letto
in anteprima, mentre la mia linea decideva di morire e non darmi
più sue notizie.
>.> Che te n'è parso? A me continua a non
piacere. ùoù
10#. Bchan Ok, tu mi ammazzerai, indi
per cui mi congedo. çoç
Puoi spezzarmi le gambe, ok? Ma non le mani, o non scriverò
più. òoò Cosa non troppo spiacevole,
per voi.
Vabbe', scusami anche tu. ^^'' Non avverrà mai
più, lo prometto: però sono tornata, no? Sarei
anche potuta sparire per sempre. -o-/
11#. pillo çoç
Perdonoperdonoperdono!
Visto lo sviluppo tra Inu e Kaggy? *Sì, ti sto sviando, non
voglio che rammenti quanto c'ho messo ad aggiornare*
Mi perdoni? *Smile angelico*
12#. inufan4ever òoò Non
dico niente, l'hai letto in anteprima.
Ti voglio bene! XD
13#. Aryuna çoç
Facciamo così: io mi dispero per il capitolo corto e brutto,
tu per il commento breve e bello, ok?
çoç Quantomeno, qualcuno si dispererà
quanto me, Ary-chan tesoro! çoç
14#. Flockkitten Sono felice di sapere che
apprezzi la mia storia. ^^ E' sempre piacevole ricevere complimenti: mi
fai sentire quasi capace di scrivere. >.>
Chiedo scusa anche a te per l'imperdonabile ritardo con cui
quest'aggiornamento è arrivato. Ho avuto problemi, e non
sono riuscita a terminare questo breve capitolo. E mi scuso, davvero,
perché detesto tardare.
Scusami ancora, spero che il capitolo ti sia piaciuto almeno un po'.
^^''
15#. monik XD Qui non l'ha baciata, ma
si è reso conto di esserne indiscutibilmente attratto:
è un passo avanti o no? XD
In ogni caso, scusa anche a te per lo schifosissimo ritardo: non
avverrà più, lo giuro! çoç
16#. Beverly Rose Scusa anche a te.
çoç
Sono una ritardataria cronica, in casi come questi, mi sento uno
schifo! çoç E non ho neppure messo spoiler sul
forum, il che mi fa sentire peggio. ç.ç
Scusami... ç^ç
17#. okkiverdi çoç Mi
perdoni per il ritardo, vero? Non ho compromesso il tuo leggere questa
storia, vero? çoç
Mi sento così in colpa! ç.ç Scusami,
davvero.
Spero tu abbia apprezzato questo capitolo almeno un po'.
18#. Kagome19 Sai che, in questo momento,
sei l'unica persona di cui non ho paura? òoò Hai
detto che aspetteresti anche l'anno prossimo, per un aggiornamento, e
io ci ho messo due mesi, quindi...
*Abbraccia Kagome19, la ringrazia, si inchina*
Spero che il capitolo ti sia piaciuto. çoç E ti
chiedo comunque scusa per il ritardo. çoç
19#. ryanforever ç^ç Mi
perdoni per il ritardo? Mi perdoni per il ritardo? Mi perdoni per il
ritardo? ç^ç
Spero di sì, perché mi sento parecchio in colpa.
ç.ç
E spero che il capitolo ti sia piaciuto. çoç
20#. Andrew of China *Si inchina* Chiedo venia per
l'imperdonabile ritardo. L'avrò scritto almeno cinquanta
volte, ma mi sento così dannatamente in colpa da doverlo
ripetere.
Scusami, seriamente. ç.ç Spero che il capitolo -
benché un po' sdolcinato - ti sia piaciuto.
ç^ç Alla prossima, si spera. ^^''
21#. HimeChan XD Non dico nulla.
ùoù Mi dirai tu nel commento, Hime-chan-chan! XD
Baci dalla piccola Rò. ùoù/
Ecco, i ringraziamenti sono finiti. *O* Vi adoro, siete tutti
gentilissimi.
Per ricompensa - e perché temo che Susi mi
picchierà -, vi lascio alle tre Flash Fic di quattro,
spin-off di questa fic: sono un regalo per Susi, e spero le gradirete.
Sono un po' malinconiche, a quanto dice Emiko. XD
La quarta la posterò nel prossimo capitolo, semmai.
ùoù
1#.
Osservare [484
Parole, Flash Fic]
“Izayoi!
Izayoi, presto, vieni qui!”.
Era
troppo preso. Troppo concentrato sulla figura innanzi a sé,
per rendersi conto
dei passi frettolosi della moglie, e della sua espressione preoccupata.
Era
troppo curioso di osservare quel
bambino – quel piccolo, piccolo
monello – imbrattare un foglietto di carta un po’
spiegazzato. E rideva – sì,
rideva –, perché l’espressione di
suo figlio era dannatamente buffa.
“Allora?”.
Volse
appena il capo, perplesso. “Allora cosa?”.
“Perché
mi hai interpellata?”, domandò la donna
spazientita, un mestolo nella mano
destra e uno strofinaccio nella sinistra. Doveva cucinare, lei. Non perdere tempo in quel modo.
“Izayoi,
guarda nostro figlio”. Lo youkai le sorrise, facendole cenno
di avvicinarsi.
“Osservalo e dimmi che sto sprecando istanti
preziosi”.
Lei
rise. “Oh, non l’ho mai detto. Però
l’ho pensato, sì”, aggiunse, vagamente
imbarazzata, sotto lo sguardo scettico del marito. La esasperava,
quell’uomo.
Coccolava
Inu-Yasha in modo quasi vergognoso, comprava oggetti inutili, si faceva
inutili
paranoie quando doveva parlare con l’ex moglie. Izayoi lo
trovata irritante, in
certi istanti.
Ma lo
amava immensamente.
E i piccoli difetti scompaiono,
quando c’è l’amore.
“Guardalo”,
ripeté lui con tono accalorato. “Suvvia, Izayoi.
Un attimino. Osservalo
scrivere”.
Lei
si lasciò cadere al suo fianco, passandosi una mano tra i
capelli scuri e
sistemandoli, fintamente concentrata.
Osservò
con cura il volto concentrato del bambino – aveva le labbra
serrate e lo
sguardo torvo, come un adulto che non riesce a trovare la soluzione di
un
problema – e stringeva la stilografica – la
stilografica del padre, quella che
avevano nascosto in un cassetto per paura di romperla – tra
le piccole dita. Il
foglio davanti a lui, pian piano, diveniva sempre più scuro,
e sorrise
intenerita.
“Osi
ancora ripetere che sono stupido, ad osservare il figlio?”,
chiese lui
divertito, guardandola con i suoi lucenti occhi d’ambra. La
scrutava dentro, e
Izayoi non poté fare a meno di arrossire, sentendosi
improvvisamente stupida.
“Sono stupido, sì o no?”.
Si
abbassò, sfiorando con le labbra le orecchie appuntite
dell’uomo – questi
gemette sommessamente, mentre la manca della moglie gli carezzava la
guancia.
“Non sei stupido”, mormorò, imbarazzata.
“Non lo sei mai stato”. Poi sorrise,
dandogli un leggero bacio sulla fronte ed avvicinandosi al figlio, che,
ora, li
osservava perplesso. “Allora, Inu-chan? Vuoi fare lo
scrittore, da grande?”.
L’hanyou
sollevò la penna, osservandola – nervoso
– qualche attimo. Alla fine, asserì
blandamente con il capo. I capelli argentati volarono qua e
là, creando strani
giochi nell’aria della stanza, particolarmente afosa. Era
agosto, cavolo, avrebbero dovuto aprire una
finestra.
Invece
no, perché Izayoi sosteneva che il vento
– vento?, che vento? – avrebbe
potuto
far ammalare il piccolo.
L’uomo
sospirò, compiaciuto, osservando la moglie chinarsi accanto
al figlio. “Lo
scrittore, dici?”, chiese, avvicinandosi a sua volta.
“Sai che non si guadagna
granché bene, se non si diventa famoso?”.
Inu-Yasha
sollevò le spalle. “La vita è fatta di
alti e bassi, no?”, pronunciò con voce
solenne, l’aria severa e la penna ancora stretta tra le
piccole dita. Un
moccioso saggio.
Izayoi
rise, divertita.
Perché la vita è fatta di alti e
bassi, sì.
2#. Credere
[300 Parole, Flash Fic]
Quando
Sesshomaru – Sesshomaru il suo fratellone, Sesshomaru quello
che lo odiava,
Sesshomaru che era un demone perfetto – l’aveva
visto per la prima volta, non
era stato granché piacevole.
Era figlio
unico, lui.
Inu-Yasha
era poco più di un neonato. Una palla coperta di capelli
argentati, con una
faccia olivastra sulla quale spiccavano due occhi d’ambra.
Aveva
detto qualcosa a suo padre – qualcosa come è
un mostriciattolo abominevole, degno figlio di una ningen puzzolente
– e si
era voltato verso sua madre, che lo osservava seccata. Poi aveva
stretto i
pugni e, a grandi passi, era uscito dalla stanza.
Si
era seduto ai piedi di un albero brutto e rinsecchito che cresceva nel
giardino, ed aveva afferrato un sassolino.
“Guarda
che io ti voglio bene”.
Aveva
alzato il capo, perplesso, e si era voltato verso suo padre.
“Non mi
interessa”, aveva ringhiato a denti stretti.
Lui non era un
figlioletto geloso, no.
“Sicuro?”.
“Sì”.
Il
padre aveva tirato su col naso, sedendosi al suo fianco. “Che
te ne pare di
Inu-Yasha?”.
“Mi
pare di averlo già detto”, aveva borbottato
Sesshomaru, inarcando un
sopracciglio. “Si tratta di un hanyou, padre. Esseri
inferiori come lui non
dovrebbero esistere”.
“Tua
madre, con te, sta facendo un buon lavoro, eh?”, aveva
commentato scettico
l’altro, scuotendo il capo. “Ma non è
così. Non sono esseri inferiori”.
“Fino
a poco fa, lo pensavate anche voi”.
“Forse
sì, Sesshomaru. Ma tu non devi pensarlo: i bambini non
dovrebbero giudicare a
priori, lo sai”.
“Non
sono un bambino: per causa del vostro divorzio, padre, io sono stato
costretto
a crescere. Oramai, ciò
che dico non
è più da bambino”.
L’uomo
sospirò.
E
sospirò ancora.
E
ancora.
Bastava
crederci, no?
Bastava
illudersi che Sesshomaru sarebbe andato d’accordo con
Inu-Yasha. Che si
sarebbero voluti bene.
Ciò che
gli
restava era credere, no?
3#.
Ridere
[183 Parole, Flash Fic]
“Non
ci voglio andare!”.
Izayoi
sollevò il capo, sconfitta, e riprese a piegare la maglietta
nera. “No?”,
proferì con voce atona.
Inu-Yasha
scosse il capo.
“L’asilo
non è poi così male”.
“I
miei compagni di classe sono odiosi, madre. Non ho intenzione di
passare altro
tempo con loro”. Ciò detto, incrociò le
braccia sul petto – come un ometto
– e si voltò, dandole le
spalle. “Non ci andrò”,
ripeté ancora in tono convinto.
La
donna rise a bassa voce, avvicinandosi scettica al figlio:
“Ne sei proprio
sicuro?”, chiese, incapace di fermare la propria
ilarità.
Inu-Yasha
rispose con un gemito infastidito. “Non mi piace stare con
loro”.
“Oh,
Inu-Yasha. Dovresti essere felice, forse ti torturano perché
ti trovano
simpatico”.
Gli occhi si
inumidirono.
“Simpatico,
madre?”, biascicò appena.
“Beh,
sì”.
“Ne
siete certa?”.
Izayoi
si morse il labbro inferiore, inginocchiandosi accanto a lui.
“Ti trattano
male?”, chiese, la voce resa roca dal terrore.
“Sono cattivi, con te?”.
Inu-Yasha
aveva un peso, sul cuore – uno di quei pesi che è
difficile eliminare. Ma la
mamma era triste, e lui voleva farla ridere. “No”,
mormorò, fintamente
convincente. “No”.
Eccoci alla fine! *O*
Grazie mille per il vostro sostegno, spero commenterete anche questa
volta. ùoù Ci terrei, ecco. E scusate ancora.
Grazie a tutti,
vi adoro. ^^
|
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Capitolo 11 *** Regalini, psicosi, damn (?). ***
Allora,
sì. Conoscete quella sensazione di apatia che vi intima di non fare niente?
Quell’esigenza
– dolorosa – di
chiudere la pagina di
Word e mettervi a piangere, perché vi sentite non solo
incapaci, ma anche
inutili? Quando vi sdraiate e non riuscite a rialzarvi se non dopo ore?
Bene.
In
questo periodo ho avuto problemi. Tanti, forse troppi: mi domando
perché la
sfiga debba ricordarsi che esisto così spesso… Ma
va beh. Fa niente, sono fatti
miei, a voi giustamente non interessa e mi considerate solo una demente
che è
riuscita a metterci mesi per aggiornate ‘sto schifo di fic.
Il
capitolo è arrivato in ritardo? Sì? Mi dispiace.
Seriamente, mi dispiace – e mi
sento in colpa, Dio solo sa come mi sento in colpa! –, ma ho
preferito tardare
e scrivere qualcosa di pseudo decente – anche se poi
così pseudo decente
neppure è –, che postare un qualcosa che non mi
convinceva affatto.
Avete
atteso, non merito di essere perdonata – ormai, ritardare,
per me, è divenuto
quasi normale –, ma spero non smetterete di essere miei
lettori per questo:
grazie per la pazienza. <3
Non
vi conosco, però, beh, vi voglio bene. Sul serio.
Ah,
dimenticavo: InuYasha sfiorerà un OOC pazzesco, in questo
capitolo. <.< O
forse no – io credo di no, perché sinceramente
l’epoca è diversa dalla Sengoku
e l’InuYasha di questa storia ha particolari problemi mentali
–, ma comunque
potrebbe essere. U_U Chiedo venia.
P.S. Il capitolo
è ignobilmente breve, almeno rispetto al mio solito. Del
resto, è un capitolo semiditransizione,
e non potevo allungarlo più di così. ._."
The bothering life of a
forced writer
[1699
parole]
Ok.
C’era una cosa – una, un’unica cosa in
assoluto – che dovevo assolutamente
fare.
Mi
guardai intorno, sospettoso, bene attento a non ruzzolare a causa di un
qualche
oggetto lasciato nel corridoio. Dopo aver appurato che nessuno era in
zona,
sospirai, poi strinsi le mani intorno al pacchettino colorato e presi
tre, tre respiri profondi.
La
carta color rosa pastello scricchiolò tra le mie dita, e
sobbalzai appena,
muovendomi a stento tra le automobiline di Sota lasciate sul pavimento:
quel
bambino era Satana fatto persona. Non capivo come potesse essere
così
fastidioso, piccolo com’era, e non concepivo il suo adorare i
giocattoli
radiocomandati.
Che
poi, sì. Se li avesse riordinati, avrei anche potuto
apprezzare la sua
passione: ma era tanti. Troppi.
Avrei
dovuto penare parecchio, per riuscire ad evitarli tutti senza far
rumore.
Tra
l’altro, il piano per fare la cosa
che mi
era necessario portare a termine era tanto semplice quanto
banale. Dovevo
raggiungere la camera di Kagome in sette secondi massimo, poggiare il
pacco e
andare via: veloce, facile e preciso. Nessuno doveva vedermi, neppure
per
sbaglio, o la mia reputazione – reputazione?
– sarebbe andata in fumo. Ed era l’ultima cosa che
volevo.
Sospirai
ancora, poi poggiai la schiena contro la parete e mi morsi il labbro
inferiore.
Non ce la facevo, e l’odore di quella dannata diveniva ogni
secondo più forte,
cosa che non mi faceva poi molto
piacere. Perché, in fin dei conti, se quella sottospecie di
aroma aumentava, significava
che Kagome era rientrata dallo shopping con le amiche e stava
ritornando in
camera. E, beh, se mi avesse visto con quel pacchetto in mano, la cosa
sarebbe
potuta risultare facilmente equivocabile.
Tergiversai
per qualche secondo, giocherellando con un nastrino: più
volte mi voltai ad
osservare la porta della mia pseudo stanza, rimpiangendo di non essere
rimasto
chiuso lì dentro invece di acquistare quello sciocco regalo.
E iniziavo a
detestare cordialmente quello scemo Sota, che mi aveva avvisato di
quella
stupida ricorrenza chiamata compleanno.
Sbuffai:
Kagome non avrebbe mai saputo di chi era quel dono.
E allora perché
gliel’avevo comprato?
Non
mi sarei fatto bello ai suoi occhi, né sarei stato
ringraziato. Eppure, avevo
speso una cifra di tutto rispetto per quella robaccia.
Bah.
“Ehi,
InuYasha, che cavolo combini?”.
Ecco,
sì. Era fatta.
Ringhiai
sottovoce, maledicendomi per la mia codardia – e per la mia
stupidità, dato che
non mi ero neppure nascosto in camera, ma ero rimasto in corridoio
– e
maledicendo soprattutto Kagome, davanti a me, vestita – svestita? – con un abito dalla
lunghezza a dir poco ridicola.
E
poi bene. Benissimo.
Avevo
anche iniziato a preoccuparmi per il suo abbigliamento troppo lascivo,
e per il
profumo alla fragola che era solita usare. E detestavo vederla
truccata, per
quanto superficialmente.
Ok,
ero diventato ossessivo. E da internare.
Gemetti.
“Niente, niente”. Improvvisamente, mi ricordai del
pacco che stringevo tra le
dita, e mi irrigidii, nascondendolo prontamente alla vista.
“Cos’hai
tra le mani?”.
Scossi
il capo. “Niente, ho detto che non sto facendo niente di
strano”.
“Non
ti ho chiesto quel che stai facendo”, biascicò,
improvvisamente più attenta.
Nei suoi occhi nocciola comparve un guizzo di malizia, e si
avvicinò,
inclinando il capo di lato. “Ti ho chiesto cosa stai nascondendo”.
Non
si fece traviare dal mio sorriso ben più affettuoso del
normale.
Non
notò il sudore che mi imperlava il volto.
Non
ricambiò nessuno dei miei gesti: si sollevò sulle
punte, decisa a scavalcarmi e
al vedere finalmente il motivo della mia agitazione. Inarcai un
sopracciglio. “Cosa
diavolo vuoi fare?”, ringhiai, mentre lei si spostava di lato
– sentii via via
la consistenza del pacchetto sparire dalle mie mani. E poi un tonfo:
era
rovinato al suolo, con la sua carta rosa che luccicava scioccamente, e
lei lo
osservava, sconvolta.
Bene.
Benissimo.
Non
voleva un mio regalo, era palese – feci per abbassarmi, nel
tentativo di
mettere fine a quell’umiliazione, ma lei mi batté
sul tempo, lasciandosi
scivolare accanto al minuscolo scatolino, l’espressione
ancora stralunata.
Prese l’oggettino tra le dita, lo studiò con falsa
attenzione.
“Kagome?”.
Scosse
il capo.
Oh,
bene, ora era anche offesa! Finsi di non notarlo, allungando una mano
nella sua
direzione: l’avrebbe presa, l’avrebbe stretta, si
sarebbe fatta alzare, poi mi
avrebbe dato un ceffone, chiesto di lasciarla in pace,
perché aveva un ragazzo
super figo – un ragazzo super figo di cui non mi aveva mai
parlato – con cui
non potevo assolutamente competere. Perfetto, rifiutato ancor prima di
essermi
dichiarato.
Che divertente.
“Kagome?”,
la richiamai: aveva lo sguardo vacuo, e continuava a giocherellare
distrattamente
con il nastrino. Mi spiazzò, sollevando i suoi occhi
– inespressivi – verso di
me. Sembrava sul punto di piangere. “Kagome, ti
aiuto”.
“No”,
biascicò lei, la voce ridotta ad un sussurro. Scosse il
capo, poi poggiò il
pacco tra le mie mani e nascose il volto, singhiozzando amabilmente.
“Su, vai”,
rantolò.
“Dove
dovrei andare?”.
“Al
tuo appuntamento. Dove, sennò?”.
Inarcai
un sopracciglio – cretina, cretina,
cretina, cretina. “Certo che sei davvero
stupida”, sussurrai a mia volta,
sedendomi al suo fianco. “Che appuntamento dovrei avere? E
con chi?”. Presi
fiato, gettando lo scatolino di lato e guardandola, improvvisamente
furioso.
Già di normale non adoravo essere frainteso: ma che lei
credesse una falsità… No,
la cosa mi indispettiva oltremodo. “Sei
una stupida”, ripetei.
Lei
mi diede un pugno sulla spalla, irritata. “Una stupida?
E perché, di grazia?”. Smise di singhiozzare,
rizzando la
schiena e ricambiando la mia occhiata infastidita. Sembrava una
leonessa pronta
alla lotta – istintivamente deglutii, spaventato dalla
prospettiva di essere
azzannato. “Spiegamelo! Voglio capire cosa
mi fa apparire stupida!”.
“Ti
stai piangendo addosso”.
“No”.
“Sì”,
asserii, afferrandole una mano e stringendola con forza.
“Stai facendo la
ridicola”.
“E
tu l’idiota!”.
“Non
alzare la voce”, grugnii, mordendomi il labbro inferiore.
Kagome
si divincolò, costringendomi a lasciarla andare. Poi mi
diede l’ennesimo pugno,
questa volta con più forza – gemetti. Non mi aveva
fatto poi così male, ma era
pur sempre fastidioso, essere malmenato dalla
tipa che ti piace. “Non ho alzato la
voce!”, rispose, alterata.
Inarcai
un sopracciglio. “No?”, domandai scettico.
Ringhiò.
“No. No. No. Insomma,
InuYasha,
smettila di porti al centro del mondo: ci sono molte persone
più importanti di
te, e dovresti, ecco, smetterla di fare il megalomane: io non sto
urlando, sei
tu che hai problemi di udito”.
Se
non avesse nuovamente nascosto il capo tra le mani, probabilmente le
avrei
strillato contro qualche altra cattiveria e poi sarei scappato via. Però aveva nascosto il capo, e
si era
messa nuovamente a singhiozzare, e
ora scalciava, nervosa, come a voler richiamare la mia attenzione. La
sua gonna
si era sollevata anche troppo, e mi scoprii a deglutire, osservando
ammaliato
la porzione di carne che si scorgeva.
Bene:
ero ufficialmente entrato nel gruppo dei pervertiti. Se Miroku mi
avesse visto,
sarebbe stato fiero di me.
Sospirai,
roteando gli occhi. “Ti prego, smettila di
frignare.”, grugnii esasperato. Mi
protesi verso di lei – forse volevo abbracciarla, o forse
volevo semplicemente
darle una pacca sulla spalla –, ma lei si retrasse ancora,
gli occhi lucidi e
l’aria di un gattino bagnato. Mi concessi
l’ennesimo sospiro, prima di
ricominciare a parlare: “Quel pacchetto è, uhm,
è p-”.
“Non mi interessa”.
“Sì
che ti interessa, dannata! Non fai che osservarlo con la coda
dell’occhio, ti
ho visto, non credere ch’io sia cieco”. Inarcai un
sopracciglio, infervorato.
In
realtà, non l’avevo proprio vista,
però
lo sapevo. Insomma, non mi stava
guardando in faccia. E non stava guardando la porta della mia camera, e
neppure
la finestra. Non stava guardando le automobiline di Sota, né
la punta delle sue
scarpe, né la sua gonna, né le sue dita
perfettamente curate. Non guardava
nulla di quello che mi era possibile osservare a mia volta –
e dunque, dato che
avevo precedentemente allontanato il pacchetto dalla mia visuale, doveva star guardando quel coso
lì. Doveva
essere interessata al regalo, e doveva essere interessata al regalo
perché era
una marmocchia gelosa e viziata.
“Ti
interessa”, ripetei.
Lei
continuò a scuotere il capo. “No!”,
garantì, inarcando un sopracciglio.
“Affatto. Figurarsi, perché dovrebbe interessarmi
uno stupido regalo per la tua
stupida ragazza?”.
“Non
è per la mia stupida ragazza”, sospirai.
“Ah.
Allora è una ragazza intelligente?”.
Per
qualche secondo la osservai basito. Poi mi grattai il capo. Infine mi
concessi
di avvicinare il mio volto al suo, e di tenerle fermo il capo con le
mani. “A
quale cavolo di manga hai fregato ‘sta battutina penosa,
razza di egocentrica
viziata?”, le urlai contro. “No, perché
sul serio, è una battuta così idiota da
farmi piangere. Kagome, dannata, scolpisciti queste parole in testa,
per
favore: non ho una ragazza”.
Presi
fiato, mordendomi poi il labbro inferiore. “Non
ho una ragazza, ok? E il regalo, per quanto possa apparirti
strano, è per te”.
Non
si concesse neppure di sbattere le palpebre o di sbarrare gli occhi,
continuando a fissarmi tra il confuso e l’irritato.
“Per te, anche se sei una stupida
ragazzina viziata che non capisce nulla. Ti ho comprato uno
stupidissimo
regalo, e l’ho fatto perché sono stupido, e sono
stupido perché ho una fottuta
– sì, fottuta, f,
o, t,
t, u,
t, a
– voglia di baciarti. E adesso che
l’ho detto mi sento anche più stupido”.
“…idiota”,
sussurrò.
Poi le sue labbra
raggiunsero la mia bocca.
*
Quando
mi svegliai – non sapevo né come né
quando mi ero addormentato, ma
evidentemente era successo, perché avevo ogni singolo
muscolo intorpidito e
l’espressione sconvolta che solo dopo sei ore di sonno ero
solito concedermi –,
Kagome era raggomitolata al mio fianco, il pacchetto stretto in grembo
e l’aria
compiaciuta di una bambina a cui hanno appena regalato il
più bel giocattolo di
sempre – ma io non ero un giocattolo, e di certo non potevo
definirmi il più bello di sempre.
Rabbrividendo
per la mia stessa inettitudine e dolcezza, e chiedendomi il
perché di tanta
assurda galanteria, le diedi un bacio sulla fronte, indeciso se
svegliarla o
darle la buona notizia solo in seguito: dopo giorni e giorni di crisi,
avevo
finalmente voglia di scrivere. Di scrivere davvero,
di continuare quel fottuto libero, di
vincere. Volevo battere Naraku, e volevo batterlo
perché Kagome voleva che
lo battessi – e anche perché quel tipo godeva
delle disavventure altrui, e io
questo non lo accettavo granché.
Sorrisi,
poi mi lasciai ricadere accanto al pc.
__________________
Dunque: solitamente, seppur pocopocopoco,
i miei capitoli mi soddisfano. Questo no.
Mi è
però stato detto che era gradevole ò.o, e mi sono
fidata del giudizio altrui.
Per una ragione non meglio
precisata, la mia cara ispirazione ha deciso di bussare alla mia porta,
e quindi credo che il nuovo capitolo - ben più lungo e
corposo, perché segnarà una svolta nella storia -
arriverà a breve.
Inoltre, ci terrei ad
avvisarvi: non so quanti capitoli ancora durerà, forse tre,
forse quattro. Ho bisogno di sbrogliare i vari fili e dare una
conclusione degna di questo nome, per ora ho già fatto fare
un passo avanti ad Inu e Kagome. <3
Bon, anche se so che
è difficile, spero che il capitolo cheinrealtàèabbastanzaditransizione
vi sia piaciuto. ò.o Il prossimo sarà meglio, lo
giuro! Anche perché dopo mesi di non-scrittura mi
sono leggermente (???) arrugginita, e questo ha reso più
difficoltosa la stesura.
Mi si perdoni il non salutare
ad uno ad uno, ma posterei domani, se lo facessi. ._."
[Chiedo solo scusa a Bchan per
aver aggiornato con così tanto in ritardo, ma, la prossima
volta, la esorto a mandarmi una mail. XP Non bisognerebbe utilizzare lo
spazio delle recensioni per richieste di questo genere, ecco. <3]
E, ecco, volevo ringraziare chi ha proposto BL per le Storie Scelte. Grazie, davvero. Siete stati gentilissimi. *Si inchina* Cercherò di non farvi più penare, in futuro. ç_ç E di fare capitoli molto più lunghi, perché 1699 sono pochissime.
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Capitolo 12 *** Di peluche, fidanzatine isteriche e dichiarazioni imbarazzanti. ***
Diciamolo:
mi ero ripromessa di aggiornare presto, invece ci ho messo mesi. E non
voglio
neppure contarli, ‘sti mesi, perché altrimenti mi
viene l’ansia.
Non
sono qui per dirvi né
«perché» né
«percome», sarò sincera, dato che tutti
hanno
una vita privata e che tutti, nessuno escluso, vivono pessimi istanti
nel
piccolo-e-non-sempre-confortevole ambiente casalingo.
Questa
storia ha segnato una svolta nei miei ritardi: una volta una settimana
senza
pubblicare era per me un tempo enorme, ora sei mesi o giù di
lì sono solo un
battito di ciglia!
…sì,
la sto buttando sul ridere. Compatitemi, l’ispirazione mi ha
abbandonata
definitivamente – AAA, cercasi
ispirazione perduta, disposta a pagare oro per recuperarla!
– e non mi sono
divertita, stando lontana da questa fic. Anzi.
Ho
trovato penoso il non riuscire a postare un capitolo in tempi
umanamente
accettabili, eppure ogni mio scritto non mi convinceva, ogni mia parola
mi
sembrava inadeguata, ogni mia idea troppo folle per risultare
accettabile.
Il
capitolo di Fairytale che ho pubblicato un mese fa è nato in
un raro momento di
ispirazione, l’inizio di questo capitolo pure. Credevo di
essere finalmente
tornata attiva: l’ennesimo problema a livello familiare mi ha
nuovamente
demolita, e così non sono riuscita a scrivere
null’altro che Shot
impubblicabili.
Come
l’InuYasha di questo capitolo – sì,
ormai vivo in simbiosi con questo
personaggio sfigatissimo XD –, anch’io mi sono
sentita molto stupida, non
riuscendo ad andare avanti. Ma ci ho provato e, anche se i risultati
non sono
idilliaci, spero che l’elaborato vi strappi un sorriso.
A
dopo-il-capitolo per i doverosi ringraziamenti! <3
The bothering
life of a forced Writer.
[3050
parole circa, ricorrette rapidamente per non decidere
di cestinarle. <3 Vero che sono geniale? Scrivo cavolate, yeah!
XD
...quindi, perdonate eventuali errori di battitura e/o altro.
Provvederò a correggerli il prima possibile. XD]
Di
Peluche, fidanzatine
isteriche e dichiarazioni imbarazzanti.
A
Hime.
Perché
se lo merita, stop. <3
«Allora»,
ricapitolò, lasciandosi ricadere sulla sedia accanto a me,
«ti è tornata la
voglia di – InuYasha, sbaglio o quel
sì-particella-affermativa è privo di
accento? – scrivere. Almeno, così
credevi».
Annuii.
«Mi sono svegliato pensando di poter concludere il libro, ho
scritto una decina
di pagine e poi stop, niente, blocco», spiegai. La cosa mi
aveva lasciato
particolarmente insoddisfatto, ma evitai di fare la parte dello
scrittore in
crisi di nervi.
Kagome
non avrebbe apprezzato, ne ero assolutamente certo.
«Mi
sa che tuo padre ha fatto male, a puntare su di me».
«Mi
sa di sì», concordò con una risata
– i suoi occhi ebbero uno strano guizzo
divertito, e rabbrividii per il terrore.
Perché
quando Kagome mi lanciava simili occhiate, beh, significava solo una
cosa: fa’
attenzione, sei nei guai. E la cosa, checché se ne possa
dire, a me non
piaceva. Non piaceva affatto.
«Su,
su. Tesoro, facciamo un patto, ti va?».
«…che
genere di patto?».
«Finché
non ti decidi a portare avanti il tuo scritto»,
esordì, «non potrai, e con
“non”
intendo davvero “non”, né toccarmi
né guardarmi né parlarmi. Mi trasferisco a
casa di Sango, insomma».
Oh.
Oh,
dannata donna del diavolo.
Cercai
di schiarirmi la voce, ma mi resi improvvisamente conto di non esserne
in
grado. E lei ridacchiava, conscia della geniale idea appena partorita
ed
esternata al mondo.
E
conscia di avermi appena mandato in paranoia.
«Sei
una strega». Le lanciai un’occhiataccia, e lei la
ricambiò indifferente. «Non
pensi alla, uhm, privacy di quei due? Al fatto che magari gradirebbero
stare un
po’ insieme, soli e innamorati, e-».
Mi
interruppe: «Guarda che così non mi fai cambiare
idea, tutt’altro. Più insisti,
più mi fai venir voglia di andarmene. E non credere che per
me non sia una
sofferenza, caro mio. Tutt’altro, ti assicuro che la cosa mi
irrita parecchio».
E allora perché hai
preso una decisione così drastica?, mi venne
voglia di chiederle – tuttavia,
preferii alzare gli occhi verso il cielo e attendere che finisse di
illustrarmi
il suo geniale piano, perché era meglio ascoltare e annuire
che bestemmiare e
scoppiare in lacrime.
Soprattutto
perché il pianto non si addice agli uomini. Non a quelli che
si sforzano di
mantenere un contegno virile, almeno.
«Ci
starò male, ma non mi va di essere una distrazione. Il tuo
lavoro è troppo
importante per essere mandato a puttane da una fidanzatina adolescente,
capiscimi». Sorrise amabilmente. «Quindi, adesso
chiamo Sango e le chiedo il
permesso. Ti amo, lo sai, sì?».
Oh.
Mi
aveva appena rovinato la vita. Di nuovo.
Sota
Higurashi era un demonio piccolo e con enormi, spaventosi occhi
nocciola.
Quel
genere di diavolo che si agita per la casa lasciando qua e
là macchinine
telecomandate e
Gameboy-già-caricati-con-un-gioco-dei-pokèmon,
oltre che una
discreta quantità di caramelle mou e pupazzetti di Naruto e
Sasuke.
Sota
Higurashi era minuscolo, capace di infiltrarsi in qualsiasi spiraglio,
mediamente curioso e, cosa più importante, incapace di
mantenere seriamente un
segreto, se non gli si offriva una ricca ricompensa.
«Ti
compro», tentai, la voce che mi tremava leggermente per la
rabbia, «tre manga e
una rivista a tua scelta».
Il
nanerottolo si grattò il mento, pensando – gli
avevo già promesso un nuovo
videogioco, tre pacchetti di gomme alla fragola, un giubbino, un paio
di scarpe
da tennis e, come se non fosse già
abbastanza, un peluche.
Un
peluche, dico. Un oggetto ingombrante e morbido che vendevano in un
negozietto
in centro, e che Sota aveva deciso di voler regalare a una tale Hitomi,
sua
compagna di classe e primo amore. La cosa sarebbe risultata
schifosamente
tenera, se quello obbligato a pagare non fossi stato io.
«Non
so», disse. Negli occhi scorsi un lampo di compiacimento
– sì, era proprio il
fratello minore di Kagome – e un ghigno gli comparve sulle
labbra. Mi afferrò
un braccio di scatto. «Ehi, fratellone, farò
quanto mi chiedi a una sola
condizione!».
Deglutii,
incapace di domandare quale fosse il suo arcano desiderio: mi limitai
ad
aggrottare un sopracciglio, sospirare e asserire col capo, lasciandogli
intendere che sì, aveva vinto. Poteva farmi la sua
schifosissima domanda del
cavolo.
«Come
ti sei dichiarato alla sorellona?».
Ora:
conoscete quei manga di serie D dove il protagonista, imperturbabile,
fissa il
personaggio comprimario e gli racconta per filo e per segno le sue
vicende
sentimentali, senza tralasciare neppure il più piccolo
particolare? Quelli dove
il lettore strabuzza gli occhi, borbottando tra sé e
sé qualche insulto
vagamente offensivo all’indirizzo della mangaka?
Ecco.
Io non feci così.
«Cosa»,
biascicai, ripetendo più volte la prima sillaba della
parola, «intendi per
“dichiarato”?».
«Dichiarato,
voce del verbo dichiarare: affermare, esporre, dire qualcosa. In questo
caso,
prende il particolare significato di-».
Gli
poggiai con ben poca delicatezza una mano sulla bocca, obbligandolo a
tacere.
Diavolo, ero già imbarazzato, non c’era bisogno di
citare un intero passo del
dizionario!
«D’accordo»,
concessi. «Ho capito».
Ma
come spiegargli che quella tanto sospirata dichiarazione non era
propriamente –
insomma, come avrei potuto? Kagome le ripeteva ogni attimo, le due dannate parole, ma a me non
riusciva
affatto semplice, e quindi avevo tergiversato. E tergiversato ancora.
Ora,
dopo tre giorni di separazione, ancora non avevo avuto il coraggio di
afferrare
il telefono e chiamarla.
Sospirai,
affranto, ben conscio di essere un caso assolutamente disperato.
«Allora,
fratellone?», mi incitò Sota, battendo le mani.
Ecco, immaginai. Forse cercava
ispirazione per dichiararsi alla tale Hitomi per cui spasimava.
«Come hai
fatto? Che le hai detto? Poi vi siete baciati?».
Contando
che ci eravamo baciati già prima, nessuna delle tre. Mi ero
pseudo dichiarato,
d’accordo, ma non le avevo detto nulla di speciale, e
comunque le mie parole
potevano risultare facilmente fraintendibili. Non le avevo giurato
amore eterno,
alla fine. «Nulla», cercai di spiegare,
«io-».
«Nulla?»,
ripeté. Aveva inarcato un sopracciglio, scettico, e gli
occhietti nocciola
luccicavano di puro stupore. «Non può non essere
successo nulla. Sei innamorato
di mia sorella, lo so».
Grazie,
ironizzai, bella scoperta. Credevo di averlo notato anch’io.
Scossi
il capo, trattenendo un moto di frustrazione e ansia – moto
di frustrazione e
ansia che mi suggeriva di prendere il piccolo Higurashi e recidergli la
carotide. Era così basito, il pupo, che pensai mi avrebbe
ucciso.
Invece
scoppiò solo in una risata nervosa, una mano a nascondergli
la bocca e gli
occhi fissi sul mio viso. «Ma fratellone, non puoi essere
serio, è ridicolo!
Sei un adulto, tu».
«Essere
adulti non significa necessariamente vantare una maturità
superiore a quella di
un bambino», specificai brusco, incrociando le braccia e
guardandomi la punta
delle scarpe. Una ciocca di capelli argentei mi scivolò sul
volto, e fui
costretta a sistemarla. «Renditi conto, dannato, che
io…», annaspai, «che io…
oh, insomma! La questione non deve interessarti, è un affare
privato».
Sota
inarcò un sopracciglio – per l’ennesima
volta mi trovai a constatare che,
benché notevolmente più basso e virile,
il piccoletto era la copia sputata di sua sorella. Riusciva persino a
farsi
venire la stessa fossetta sulla guancia, quando ghignava compiaciuto.
«Fratellone,
ti ricordo il nostro patto».
Oh.
«Volevi»,
aggiunse, «che io portassi un bigliettino alla sorellona, mi
sembra, e avevi
richiesto che il lavoro venisse svolto entro oggi. O
sbaglio?». Le sue labbra
si piegarono in una smorfia nauseante, di quelle che un marmocchio non
dovrebbe
essere in grado di fare. Era spaventoso, Sota, spaventoso davvero.
«Perché nel
caso, vorrei che ogni mia richiesta venisse soddisfatta entro le tre,
peluche
compreso».
Annaspai,
incapace di respirare con tranquillità: insomma, erano le
dodici. Mancavano
poche ore all’orario designato, e i negozi in centro erano
chiusi, non avrei
mai potuto acquistare il famigerato giocattolo.
…inoltre,
simili ricatti erano ingiusti. Se non fosse stato l’unico mio
alleato presente
in casa Higurashi, mi sarei affidato a qualcuno di più
intelligente. Il
nonno-ammazza-demoni, per dire, o il micio obeso. Chiunque, chiunque ma non lui.
«Mi
avevi concesso due settimane», gli ricordai, sentendomi
insolitamente a
disagio. Il bigliettino – era bianco, profumava di rosa,
l’avevo accuratamente ripiegato
– per Kagome soggiornava nella tasca destra del mio jeans: lo
scoprii insolitamente
pesante, un carico oneroso.
Sota
mi afferrò il braccio destro e tirò con forza la
manica. Oh, sì, lo fece
davvero.
«Cosa
vuoi, moccioso?».
«Voglio
sapere tutto sulla tua dichiarazione, fratellone, anche se in
realtà non hai
mai detto a mia sorella che sei innamorato di lei»,
annunciò. «Se lo farai, ti
concederò una proroga e andrò subito, proprio
ora, adesso, in questo stesso
istante da Sango, così da consegnare il foglietto
spiegazzato!».
Mi
sembrava di essermi spiegato, in verità: io non ero mai
stato molto chiaro
riguardo ai miei sentimenti, non con Kagome.
Le
avevo detto di aver voglia di baciarla – la cosa ancora mi
obbligava ad
arrossire e farfugliare frasi senza senso compiuto – e ci
eravamo addormentati
abbracciati, sì, ma non avevamo fatto altro che ridacchiare
imbarazzati. Quando
mi sfiorava, poi, finivo col sentirmi immensamente stupido.
Insomma:
tra i due, l’adulto ero io. Non avrei dovuto essere
così sensibile.
Presi
fiato, cercando le parole più adatte.
«Io», esordii, «le ho comprato un regalo
di compleanno. E quasi sono inciampato per colpa dei tuoi
giocattoli».
«Eh?».
Il moccioso si era evidentemente perso, ma feci finta di nulla ed
espirai,
soddisfatto di me. Ero riuscito a dir qualcosa, e l’avevo
fatto senza risultare
un completo deficiente. «Cosa c’entrano i miei
giocattoli con la tua
dichiarazione, InuYasha?».
«Zitto.
Comunque, tua sorella era appena rientrata da un’uscita con
le amiche, o almeno
così credo: era stata via un paio d’ore e sembrava
stanca».
Per
l’ennesima volta, il bambino si sentì in dovere di
guardarmi perplesso.
«Neppure questo è granché
importante», commentò impaziente, sbattendo le
palpebre.
Però.
Non avrei mai creduto che il piccolo Sota-demonio-Higurashi si
interessasse
davvero alla vita sentimentale di sua sorella: questo rafforzava la mia
tesi
secondo cui il nanerottolo era solo alla ricerca di uno spunto per
dichiararsi
alla tale Hitomi. Se l’avessi detto a Kagome, che il
marmocchio voleva
utilizzarci come modelli, probabilmente l’avrebbe massacrato,
quel piccolo
decerebrato.
Sospirai.
«Lei aveva frainteso tutto. Era convinta che il regalo che
avevo acquistato
fosse per una mia ragazza segreta – sì, puoi
ridere, se vuoi. È una cosa
ridicola».
Sota
mi prese in parola, scoppiando in una risata fragorosa e assai
divertita.
Immaginai che si stesse mentalmente appuntando di donare
l’orsacchiotto di
peluche a Hitomi solo dopo la
dichiarazione. Altrimenti la bambinetta avrebbe – il
contrario era
matematicamente impossibile – preso fischi per fiaschi.
«La
sorellona non è molto sveglia», asserì
divertito, scuotendo il capo.
«Forse
no», confermai. «Per farle comprendere che il
regalo era per lei, mi sono
dovuto umiliare parecchio».
Ops.
Avevo catturato nuovamente l’attenzione del piccolo folle.
Mi
guardò, le mani che nuovamente si chiudevano intorno al mio
braccio destro e lo
strattonavano con furia, e non smise di ripetere neppure per un
istante:
«Come?».
«Ho
confessato di volerla baciare. Te lo assicuro, questo è
umiliante. Parecchio,
troppo umiliante».
Il
bambino rise giulivo, io mi sentii nuovamente sprofondare.
Ecco,
era fatta. La mia reputazione si era frantumata, e nessuno me
l’avrebbe mai
restituita.
Meglio
emigrare e fuggire in qualche Stato sperduto, meglio.
«Allora?»,
mi scoprii a biascicare imbarazzato. Sarei potuto scappare anche in
seguito: l’essenziale,
in quel momento, era liberarmi dell’opprimente peso nascosto
nella tasca destra
dei jeans. Non avrei retto ancora, se Sota non si fosse deciso a
consegnarlo.
«Vai?».
Il
piccoletto sorrise – sì, aveva decisamente lo
stesso sorriso di sua sorella,
non potei che pensarlo per la terza volta in dieci minuti – e
annuì. «Certo,
fratellone!».
Pregai
con tutte le mie forze che non combinasse cazzate. La speranza
è l’ultima a
morire, no?
«Ti
renderai conto anche tu di essere un completo idiota»,
commentò Kagome,
piegandosi in due e cercando di recuperare il fiato perduto.
La
signorina aveva deciso di farsi una corsetta sino a casa Higurashi,
sì. E l’aveva
deciso dopo aver ricevuto il mio bigliettino bianco e profumato, o
almeno così
credevo di aver capito.
Non
era stata molto chiara, in verità: pronunciava parole
sconnesse e si limitava a
rapide occhiatacce.
«E
stavolta sarei un idiota perché…?».
«Per
via della tua letterina da “siamo studenti
dell’asilo nido”», chiarì.
«Tu e
Sota siete due incoscienti!».
Sì,
avevo indovinato. Che bello.
«Che
bisogno c’era di scavalcare una recisione di metallo, quando
avrebbe potuto
tranquillamente citofonare? Ero in casa, avrei aperto, non
c’era bisogno di
essere così idioti!».
Forse
aveva ragione, mi dissi con un sospiro, ma se l’avesse
avvertita allora non ci
sarebbe stato alcun effetto sorpresa, e io volevo che il bigliettino
venisse
nascosto senza-che-nessuno-lo-sapesse tra le coperte del letto di
Kagome.
…okay,
questo non era da me, non lo era proprio. Scossi il capo cercando di
schiarirmi
le idee. «Scusa», provai. «Non volevo che
tuo fratello rischiasse danni
semi-permanenti. Ma devo dirlo», aggiunsi, «se
è caduto tra i rovi le colpa è
sua. Aveva detto di essere un perfetto scalatore».
«E
tu hai creduto alle parole di un bambino che passa le sue giornate
davanti ai
videogiochi?», pronunciò esasperata. Aveva le
guance arrossate per colpa dello
sforzo – o della rabbia, le possibilità erano
molteplici – e i capelli
completamente in disordine.
La
trovai inaspettatamente carina. Che diavolo.
«InuYasha,
non sei più un marmocchio, dovresti cominciare ad agire come
un adulto degno di
questo nome!».
Mi
schiarii la voce, tossicchiando il minimo indispensabile per riuscire a
pronunciare una frase che fosse quantomeno udibile. Non volevo essere
considerato
un deficiente, non quando metà della colpa era da
attribuirsi al bambino che
ora riposava – o almeno, credevo riposasse lì
– in una camera della casa di
Sango.
Era
stato lui a dichiararsi capace, io non avevo alcuna colpa. Non mi
piaceva che
Kagome addossasse ogni responsabilità su di me.
Cercai
di assumere l’espressione più seria consentitami
dalla situazione. «Io sono un
adulto degno di questo nome», dichiarai. «Tuo
fratello è vivo e sta bene. Per
la sua bravata verrà persino ricompensato, pensa un
po’!».
Credo
non le importasse tanto del premio che Sota avrebbe immeritatamente
ricevuto,
perché strinse i pugni e mi diede uno spintone, obbligandomi
a indietreggiare.
La cosa si ripeté per un paio di minuti, finché
non cozzai con la schiena
contro la parete, il suo respiro affannato che mi riscaldava il volto.
Si
era alzata sulle punte, oh. E l’aveva fatto pur indossando
delle scarpe col
tacco.
«Sei»,
biascicò, «un incosciente. Potevi telefonarmi, o
mandarmi una e-mail. Anche un
sms, l’avrei gradito un mondo».
Socchiusi
gli occhi, nervoso. Forse avrei dovuto spiegarmi, dirle che avevo
sentito la
sua mancanza e che desideravo tornasse. Che senza di lei la mia
ispirazione era
finita, morta, sepolta.
«Invece
hai preferito far finta di nulla», sospirò. La
sentii allontanarsi un po’, e d’impulso
le afferrai un braccio: non volevo andasse via, non di nuovo.
D’accordo, me l’ero
meritato, avevo ancora un mese per finire il mio manoscritto e
praticamente
dovevo ancora terminare il terzo capitolo, ma che colpa ne avevo se
Shinji e
Mimi erano due psicotici?
«Non
ho-».
«Sì,
invece. Anziché mandare Sota, saresti potuto venire tu di
persona», affermò
sicura. «Te l’avevo vietato, ma desideravo tu
venissi, idiota».
La
mente femminile è assai complessa, commentai tra me e me. Se
avessi osato andar
da lei senza permesso, sono sicuro che mi avrebbe ucciso –
d’altro canto, lei
voleva che io infrangessi la promessa e osassi.
Un
controsenso bello e buono.
La
strinsi tra le mie braccia, riuscendo a calmarmi solo quando Kagome
stessa
smise di opporre resistenza e mi abbracciò a sua volta.
«Ti avevo giurato che
avrei finito il libro», spiegai. «Non volevo farti
arrabbiare, così ho pensato
di sfruttare un po’ Sota. In fin dei conti, lui voleva un
regalo per Hitomi e
io volevo mandare un biglietto a te, non c’era ragione per
cui non mi
aiutasse».
Lei
ridacchiò. «Ah, ha trovato il coraggio di
dichiararsi, allora».
«Già.
Però prima mi ha fatto uno snervante
interrogatorio».
Kagome
alzò lo sguardo e mi fissò intensamente. Molto
intensamente. Troppo
intensamente.
Deglutii.
«Cosa c’è?».
«Tu
non sei la persona più adatta, quando si parla di dare
consigli d’amore»,
spiegò serafica, inclinando il capo di lato e sospirando.
«Trovi già difficile
il dover provvedere a te stesso, figurarsi aiutare uno pseudo
adolescente a
coronare il suo sogno d’amore!».
Il
problema è che non potevo darle torto. In ogni caso, nulla
mi vietava di
sentirmi offeso.
«Cosa
ti fa credere che io non sappia aiutare il prossimo?»,
ringhiai.
Parve
pensarci un po’ su. «Il fatto»,
mormorò, «che tu non ti sia ancora dichiarato?
Sto aspettando, caro mio. Se desideri baciarmi, vuol dire che
c’è qualcosa
sotto, e se c’è qualcosa sotto tu devi
dirmi-».
«Mi
piaci».
Inarcai
le sopracciglia – sì, entrambe – e la
fissai. Arrossii. Mi sentii un idiota.
L’avevo
detto davvero?
Lei
sembrava perplessa quanto me. «Sei serio?», chiese,
sbattendo freneticamente le
palpebre. «Non stai scherzando?».
«Eri»,
balbettai, «stata tu a dire che se desideravo baciarti doveva
obbligatoriamente
esserci qualcosa sotto!».
«Sì,
ma… oddio. Non ero preparata a questo. Credevo non sarei mai
riuscita a
strapparti quelle due parole, io… oh, dio. Non stai
scherzando, vero?». Mi
guardò, gli occhi sgranati e il labbro inferiore che
tremava. No, aspetta,
forse non era solo il labbro inferiore a tremare. Forse stava tremando
tutta.
«Di’ la verità».
«Sono
serio». Forse stavo tremando anch’io,
perché la mano che le poggiai sulla
guancia destra non riusciva a sfiorarla come volevo. Forse avrei dovuto
aggiungere una nuova dichiarazione, o magari dire qualcosa di
intelligente.
Magari
una battuta. Se avessi detto una cazzata, avrei certamente attenuato un
po’ l’atmosfera
seria che si era venuta a creare.
Non
mi piaceva essere imbarazzato, mi faceva sentire dannatamente
vulnerabile.
Feci
per aprire la bocca, ma lei mi interruppe, ansante: «Ti
amo».
Non
che non me l’avesse già detto in precedenza,
chiariamolo. Anzi, Kagome sembrava
incredibilmente propensa a vomitarmi addosso quelle due paroline
inutili – o almeno,
io solitamente le trovavo inutili – e sorridere deliziata.
Ma
in quel momento era diverso.
«Ti
amo», ripeté, come se le costasse un grande sforzo
essere sincera. Si morse il
labbro inferiore. «Sono innamorata di te, InuYasha».
Fu
la goccia che fece traboccare – metaforicamente –
il vaso, quella.
La
baciai, lei sbarrò appena gli occhi, poi
ricambiò. Le carezzai il volto e
Kagome mugolò in risposta, stringendosi ancor di
più tra le mie braccia: era un
micino sperduto, in quel momento, non la psicotica adolescente che
tante volte
mi aveva stressato per inezie varie.
Quando
ci allontanammo, lei rise. «Ti amo».
«Idiota»,
le risposi. «Sei una scema».
Rise.
Tanto lo aveva capito che il mio era un
“ti
amo” mancato.
Suvvia,
almeno ho dato una svolta a ‘sta fic! ò_____o
Cioè, guardate! Si è dichiarato
persino il cane psicotico!
…e
ho scritto più di tremila parole! Non credo di essermi mai
dilungata tanto per
BL, in passato!
Il
dialogo tra Sota e InuYasha mi è servito per recuperare un
po’ le fila del
discorso, vorrei dirlo subito. Volevo che i lettori non fossero
obbligati a
rileggere il capitolo precedente per comprendere quanto stava
avvenendo.
<_____<”
Ringraziamo,
va’. <3
La Nana:
Massalve, e
benvenuta tra i commentatori di questa stupidissima fan fiction! XD
Ti
ringrazio sia per le seguite che i preferiti, comunque: fa sempre assai
piacere
essere apprezzati. ^*^
Spero
vivamente che il capitolo sia stato quantomeno leggibile, e che non ti
abbia
fatta ricredere sul mio intero operato. XP
Ellena: Lo
so, lo so,
non aggiornavo da mesi, faccio mea culpa e mi prostro sui ceci.
._.” Ti
assicuro che io desideravo continuare la storia, ma… ecco,
seriamente, ho avuto
problemi. Se potessi, passerei le mie intere giornate postando nuovi
lavori! XD
Ti
ringrazio sentitamente per il commento, e spero di rivederti ancora
–
ovviamente, mi auguro anche che il capitolo sia stato di tuo gusto.
<3
kaggychan95:
Tesoro, se tu
ti disperi per un minimo ritardo, cosa devo dire io, che per secoli non
ho
toccato ‘sta fic? ò____o Ho battuto ogni record!
Non credevo avrei tardato così
tanto!
Boh.
Sono proprio un caso clinico, io. .____.” Spero che il
capitolo ti sia
piaciuto. <3
pillo:
Massalve anche
a te! XD Bentornata sulla pagina dei, uhm, «Commentatori di
BL»!
Dunque.
Se l’altra volta mi ero sentita male per aver tardato un
pochino, pensa ora,
che non aggiornavo da più di sei mesi? XD Giuro, mi sento da
far schifo. .____.”
Ti
ringrazio sentitamente per i complimenti che mi fai: non li merito,
proprio no.
XD Sono una psicopatica, io! ò____o E InuYasha è
regredito allo stato di
marmocchio! Kagome è pazza, poi, ma questo lo sapevamo
già. <3
Spero
che il capitolo ti sia parso decente. U____U”
KaDe: Oh,
son
proprio secoli che non ci sentiamo, temo.
<____<” *Coccola* Sono felice
di sapere che il precedente capitolo t’era piaciuto.
Grazie
del commento. <3
mikamey: Se
il capitolo
precedente non t’era parso troppo corto, questo allora ti
lascerà di sasso. XD È
due volte il precedente!
A
parte gli scherzi, chiedo venia anche a te per il ritardo assurdo del
mio
aggiornamento. .____.”
Spero
che il capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. XD Visto che
adesso il nostro
adorato idiota s’è persino dichiarato?
hachi92:
Tesooooooro!
*Saltella* Meow! *_____* Non mi dilungo perché tanto ti
coccolerò a dovere su
msn, ma sono felice di sapere che il capitolo t’era piaciuto
e mi auguro che
anche questo ti soddisfi almeno un po’. <3
Baci,
Kiki-tesoro! <3
YuikoChan:
*Occhi dolci*
Se l’altra volta c’ho messo un «pochino
tanto», ora cos’ho fatto? *___* Meow!
Sono una cretina! *O*/ *Sclera*
A
parte gli scherzi, se il capitolo precedente era in stile manga questo
le batte
proprio tutte, no? XD Credo sia un parto scleroso assurdo!
Grazie
per il commento, tesoro! <3
Flockkitten:
*Fischietta*
Oh, ho finalmente aggiornato! ò____o Mi spiace assurdamente
per il ritardo,
davvero. Non prometto nulla, ma in futuro vorrei evitare assenze del
genere.
Che
dici: sono o non sono più stupidi dei capitoli precedenti? XD
Onigiri:
Nio-chan, tesoro,
visto quanto tempo c’ho messo? ç____ç
Me si sente cattiva per aver aggiornato
dopo secoli!
Spero
che il capitolo – sempre se lo leggerai XD – ti sia
piaciuto almeno un pochino.
ç____ç A me continua a sembrare idiota!
HimeChanXD:
U____U DonnaH,
ti voglio tantissimo bene. Questo è quanto. <3
*Stritola*
ryanforever:
*Sospira*
InuYasha sperava di averla ritrovata, la voglia di scrivere, invece si
è
bloccato proprio come me. .________.” Siamo proprio in
simbiosi, noi due.
Ti
ringrazio sentitamente per il commento, sei stata gentilissima, e spero
che anche
questo capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. <3
Pardon
per le risposte brevi e magari poco esaurienti ma, sapete
com’è, quando io
posto in realtà dovrei star facendo altro. XD In questo
caso, dovrei studiare
latino e greco ché domani mi interrogano. U____U”
Chiedo
ancora scusa per il mostruoso ritardo, che spero non debba mai
più ripetersi in
futuro. E ah, grazie mille per i commenti: mi hanno spronata. In caso
contrario, mi sa che avrei proprio mollato e stop. XD
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e mi auguro di leggere taaaanti vostri
pareri.
U___U Alla prossima, si spera! <3
|
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Capitolo 13 *** Poche semplici regole: «Se la tua ragazza è una psicopatica, adattati a lei» ***
Probabilmente,
se vi rivelassi che il capitolo è pronto da Ottobre
– per questo lo odio,
perché è vecchio e sconclusionato
<_< –, probabilmente potreste
uccidermi. Ma è così.
Dovevo
postare
questo capitolo il 29 gennaio, giorno del mio terzo compleanno
su EFP. Tuttavia, in quei giorni non ebbi il pc, e
quindi fui costretta a rimandare, benché parecchio depressa.
._.”
C’era stato anche il momento: «Lo
posterò il giorno della fine di InuYasha!»,
ma quel sabato pomeriggio ho pianto così tanto che anche
solo accendere il pc
mi pareva utopia.
Poi
la scuola ha
cominciato ad opprimermi, perché sono all’ultimo
anno di liceo e i professori
stanno sclerando. Ho verifiche quasi quotidianamente ._., indi
aggiornare mi è
parso l’ultimo dei miei problemi.
Ringrazio
Mary,
aka Kagome96, che in più
occasioni
mi ha ricordato del capitolo, chiedendo di postarlo. Ruccha,
che il capitolo l’ha letto a Novembre sul mio portfolio.
<3 *Perché lei può(?)!
X°°°D*
Ringrazio
voi
che leggete, ringrazio la mia ArthurA
personale – Emi, kyah! –, ringrazio…
ringrazio il mondo, LOL. X°D
A
questa fic
sono affezionata, ormai, e concluderla è per me motivo di
dolore, lo ammetto.
Accludo
all’ultimo
capitolo un POV di Kagome piuttosto sconclusionato – beh,
anche il resto non ha
senso. o_ò In effetti, mi sa che nello scrivere questo mi
son data al nonsense.
X°D *Muore*
Buh.
I ringraziamenti
generali in fondo. <3 <3 <3
The bothering life of
a forced writer
[Poche semplici regole:
«Se la tua ragazza è una
psicopatica, adattati a lei»]
«Fu
nel novembre 1678», lesse,
lanciandomi un’occhiata perplessa, «che
Mimi incontrò Shinji. Destino, forse».
Si bloccò un attimo, teatrale, e poi riprese con voce
incerta: «Tutto ciò
che sperava – voleva – era di poter stare al suo
fianco. Non ci sarebbe mai
riuscita».
L’occhiata
che mi rivolse fu tutt’altro che
gratificante – sembrava sul punto di sgozzarmi, e la cosa mi
confuse.
Dopotutto, al momento desiderava unicamente che io terminassi il
romanzo. E il
romanzo era finito, sì.
Lontano
dall’idea di base originaria, d’accordo, e
forse anche un po’ cliché, ma l’avevo
finito in tempo: avrebbero potuto
stamparlo, venderlo e farci miliardi, o magari bruciarlo e far finta di
nulla.
Io avevo terminato il mio lavoro, cosa essenziale.
Non
avrei più dovuto sopportare gli Higurashi,
Kagome non avrebbe più avuto ragione di torturarmi e sarei
potuto tornare nel
mio appartamento, finalmente. Mi scappò un sospiro
compiaciuto.
«Ehi?».
Sobbalzai,
colto alla sprovvista – mi ero immaginato
una faccia leggermente più grata di quella che mi stava
regalando. «Non ti
piace?», chiesi. «Ero convinto-».
«InuYasha,
dov’è finita Mimi? La Mimi originale,
dico, non questa sottospecie di bambinetta capricciosa in crisi
ormonale».
Evitai
di farle notare che la Mimi da lei tanto
criticata le era stata totalmente modellata addosso – se
avessi aperto bocca,
mi avrebbe certamente assestato un calcio. E non lo desideravo, quel
calcio,
proprio no. Non al momento, almeno.
Così
presi fiato, espirai un paio di volte,
tossicchiai e, evitando di fissarla negli occhi, dissi: «Si
è impiccata,
insieme a Shinji e Eru. Sono tutti morti, Kagome, li ho uccisi io
stesso. Sono
tutti morti».
«InuYasha,
Naraku ti maciullerà», mi fece notare. I
suoi occhi ebbero uno strano guizzo – divertito, forse. In
ogni caso, se avesse
potuto mi avrebbe ucciso lei stessa, era ovvio. «Riscrivilo.
No, anzi, prendi
il romanzo precedente – perché ovviamente ce
l’hai ancora, no? – e scrivi un
finale che possa convincere i lettori, tanto ti mancavano pochi
capitoli. E non
mi interessa se obblighi Mimi a diventare una pornostar e Eru a
fidanzarsi con
l’ennesima donna sessualmente confusa, l’essenziale
è che tu la smetta di fare
l’idiota!».
Detto
questo, strinse con forza i fogli su cui era
stampato il mio lavoro e lanciò tutto nel cestino,
borbottando una serie di
imprecazioni che non credevo conoscesse.
«Kagome?»,
mormorai.
Mi
lanciò un’occhiataccia. «Per essere
sicura che tu
non uccida mio fratello», grugnì, accigliata,
«questa volta non mi trasferirò a
casa di Sango, né mi chiuderò in camera e
farò scena muta. Idiota», aggiunse.
Non riuscivo a capire se si stesse rivolgendo a se stessa o se
l’offesa fossa a
me indirizzata, e comunque riprese a parlare troppo in fretta
perché potessi
rimuginarci su: «Da oggi in poi, caro il mio tesoro, vivrai
in funzione di me».
Come se già non lo
facessi,
osservai mentalmente. Non che Kagome fosse il centro dei miei pensieri,
eh!
Potevo benissimo resistere una settimana o due, senza di lei.
O
tre giorni. O almeno dodici ore. Più o meno.
In
ogni caso, la sua presa di posizione mi irritò,
ma evitai commenti che potessero costarmi la colonna vertebrale e
ascoltai in
silenzio il resto del suo piano geniale.
«Dormiremo
insieme. E non fare quella faccia, non ho
alcuna intenzione di fare sesso con te, al momento».
«Ah»,
annaspai, grattandomi imbarazzato la testa,
«uhm. E comunque non ho fatto nessuna faccia particolare,
dannata!».
Lei
sorrise, compiaciuta, e incrociò le braccia sul
ventre. «Hai trentotto ore per scrivere un finale
soddisfacente», mi fece
notare con una punta di sarcasmo.
A
volte avrei voluto poter leggere nella sua mente.
Così, tanto per. Giusto per comprendere se le sue manie
sadiche erano dettate
dal desiderio di eliminarmi o avevano una ragione intrinseca
più forte e
convincente.
Aprii
la bocca per replicare – qualsiasi cosa,
l’essenziale era non fare la figura dello sconfitto
–, ma Kagome mi aveva già
dato le spalle ed era corsa fuori dalla stanza, probabilmente ad
avvisare suo
padre che avrei consegnato in breve il romanzo.
«Scema», la apostrofai, prima
di lasciarmi cadere davanti al portatile.
A noi due.
La
prima reazione che ebbi, quando Kagome mi allungò il fax,
fu di chiuderle la porta in faccia e di correre via, il più
lontano possibile.
Di saltare in un pozzo, pregando che questo potesse rivelarsi un
passaggio per
un’altra epoca, e ricostruirmi una vita il più
lontano possibile.
Tuttavia,
non potevo fuggire. Sospirai.
«Posso
entrare?», mi chiese, sorridendo divertita.
Le cuffiette dell’iPod – che si era premurosamente
tolta dalle orecchie e
ondeggiavano sulle sue spalle – riempivano la stanza con un
motivetto lento e
seducente. Dovevo ricordarmi di chiederle il titolo della canzone, mh.
Non era
male, in fin dei conti.
«Uhm».
Feci cenno d’assenso col capo e
indietreggiai. «Ohi», borbottai a mo’ di
saluto. «Come va?».
«Io
sto bene». Scrollò le spalle, sistemandosi poi
una ciocca di capelli che le era scivolata davanti agli occhi.
«InuYasha,
dovresti leggere qualcosa», aggiunse. Il fax
era ancora stretto tra le sue dita, privo di macchie o tagli di sorta,
e mi
terrorizzava quasi quanto il foglietto che pochi giorni prima le avevo
scritto.
«Su. È arrivato il momento della
verità, tesoro».
Allungai
una mano con fare disinteressato, pregando
che quella matta di Higurashi non notasse il mio imbarazzo –
sarebbe stato
ridicolo, e lei mi avrebbe preso in giro a vita –, quindi
deglutii.
«Allora,
stasera ti andrebbe di-».
«InuYasha,
non fare l’idiota. Leggi».
Grattandomi
il capo, chiusi gli occhi e presi il fax.
«Com’è andata?».
«Leggi,
ho detto».
Uh.
Era una classifica, più o meno. Feci scorrere lo
sguardo dal basso – dove compariva il titolo di un libro
piuttosto scialbo –
verso l’alto, il cuore che martellava ridicolmente e la
risatina di Kagome –
risatina cominciata nello stesso istante in cui avevo preso il foglio
tra le
dita, e che in un altro momento sarebbe stata un chiaro campanello
d’allarme –
che si faceva sempre più forte.
Scorsi
le postazioni un paio di volte, prima di
razionalizzare il tutto.
«Il
titolo del mio libro non c’è», osservai
con
disappunto.
«Neppure
quello di Naraku».
In
effetti, il tanto decantato romanzo scandalistico
non c’era, in quella classifica del cavolo. Però
non comparivo neppure io, il
che era inspiegabile – non che mi ritenessi ‘sto
granché, come scrittore, ma il
libro era stato pubblicizzato ampiamente. Almeno un’ultima
posizione simbolica doveva essere
mia.
«Kagome,
questa», mormorai, la voce che mi tremava
di rabbia e perplessità, «è la
classifica della settimana scorsa, vero?».
Lei
si limitò a sorridere angelicamente. «Credevo
fosse divertente. Scusa»,
cantilenò – la vidi aprire la borsetta e tirare
fuori un altro fax, pieno di
ghirigori rossi e scritte multicolori. «Mio padre si
è un po’ divertito a
commentare i titoli», borbottò imbarazzata.
«Ecco».
Le
diedi il tempo di avvicinarsi al divano e
sedersi, poi inspirai profondamente. Se fosse stato
l’ennesimo scherzo di
cattivo gusto, l’avrei lasciata su due piedi e mi sarei
trasferito in Canada,
sì. Almeno, andando in Canada mi sarei evitato una serie
indicibile di
seccature, e avrei avuto discrete possibilità di guadagno.
Sempre
ammesso che la mia laurea fosse valida anche
all’estero. Non me l’ero mai chiesto, in effetti. Uhm.
«Leggi?».
«Un
attimo», grugnii.
Comunque
avrei dovuto notarlo, che era la classifica
della settimana precedente: il nonno di Kagome me l’aveva
messa sotto gli occhi
quasi tutti i giorni, intimandomi di posizionarmi al vertice o non mi
avrebbe
concesso – deglutii – la mano della sua adorata
nipotina.
Mano
che momentaneamente non avevo ancora chiesto,
volendo essere precisi.
«InuYasha?».
«Sì.
Ora leggo».
Chiusi
gli occhi e fissai le parole.
Oh.
{« Extra
»}
Quando il proprio ragazzo
è uno
scrittore egocentrico e infantile, capita che si finisca col fare la
figura
della ragazzina viziata: è matematico, così
com’è ovvio che lui verrà sempre,
indiscutibilmente considerato un raccomandato – e lo
sarà perché tuo padre è il
proprietario della casa editrice per cui il tuo fidanzato scrive.
Fatto sta che, volente o nolente,
InuYasha era il mio ragazzo, e per quanto le occhiate di biasimo o
scherno
potessero offenderlo, doveva fare del suo meglio per non darlo a vedere.
«Hai visto che faccia ha
fatto Naraku?»,
sghignazzò ad un tratto, stravaccandosi sulla sua
poltroncina. «Kami, non
credeva che l’avrei battuto, quel bastardo».
Invece ci era riuscito, e alla
grande:
mi aveva costretta a buttar sangue, ma alla fine la mia costanza aveva
vinto.
Più o meno.
Sorrisi e gli feci cenno di tacere.
«Ti
renderai conto», sussurrai, «che fare casino qui,
nel mezzo della sala, non è
propriamente conveniente».
«Perché devono
premiarmi?».
«Specie
per questo, sì».
Era tornato cocciuto, arrogante e
per
nulla gentile, l’idiota – per un po’,
sentii la mancanza dell’InuYasha goffo e
imbranato che mi si era dichiarato, e che aveva passato settimane
fissando con
aria ebete il pc mentre io lo squadravo con odio. L’InuYasha
che non rispondeva
ad ogni mia frase con “Scema” e
“Dannata”, ma tentava di elaborare qualche
risposta più coerente e articolata.
Però mi piaceva. Per
quanto baka, ero
tremendamente innamorata di lui.
«Che
sentimentale», piagnucolai. A un
tratto mi resi conto di aver parlato a voce alta, e d’istinto
mi coprii la
bocca con una mano. «Sei… preparato?»,
mi decisi a chiedere, tanto per smorzare
la tensione.
D’altro canto, InuYasha
era
rilassatissimo, e a stento si trattenne dall’inarcare un
sopracciglio. «Ho il
discorso in tasca», assicurò, sorridendo.
«E nella manica ho un asso»,
aggiunse.
Avrei voluto chiedere spiegazioni,
ma
l’annunciatore si decise a urlare il nome di InuYasha, e fui
costretta – mio
malgrado – ad applaudire.
«Uno dei migliori
scrittori della sua
generazione!», pronunciò con tono enfatico.
«Complimenti alla sua casa editrice
per averlo scoperto. Venga qui, InuYasha, le consegneremo il suo
premio».
«Tornerò
subito», mi disse. Poi si alzò
in piedi, salutò scioccamente la folla e salì sul
palco, beccandosi una decina
di pacche sulle spalle e più strette di mano. Immaginai che
la cosa lo
divertisse immensamente. «Salve».
Seguirono poi un po’ di
sproloqui
insensati – e il mio cervello, già duramente
provato dal lavoro degli ultimi
giorni, a stento seguì il filo del discorso. Carpii qualche
battutina, ma non
mi concentrai più di tanto.
Fu solo quando InuYasha
tossicchiò e
prese in mano il microfono che mi decisi a prestargli di nuovo
attenzione.
«Uhm. Sì, il libro mi ha obbligato»,
il presentatore rise, probabilmente pensando stesse scherzando,
«a scriverlo
Kagome Higurashi, la mia ragazza».
Arrossii.
«Higurashi come il
padrone della casa
editrice?», chiese un uomo in prima fila.
InuYasha ghignò.
«Sì, esattamente. È sua
figlia».
Il tipo in prima fila si
voltò verso di
me – qualcuno doveva avergli spiegato che ero io, la Kagome
Higurashi in
questione – e poi tornò a guardare InuYasha.
«Oh, comprendo. E non è
complicato, essere alle dipendenze della propria donna?».
Tasto dolente, tasto dolente.
InuYasha sembrava sul punto di
azzannarlo – e l’avrebbe fatto, se non gli avessi
lanciato un’occhiata
tutt’altro che pacifica. «Idiota»,
sibilai tra me e me, «InuYasha, sei un
idiota».
«Non è
complicato, anzi, e immagino che
dopo il matrimonio sarà anche più
semplice».
Matrimonio.
«Perché, avete
intenzione di sposarvi
presto?», chiese il presentatore, interessato. Ora che gli
aveva consegnato il
premio, poteva anche permettersi quattro chiacchiere – o
almeno così pensai,
perché ero troppo concentrata sulla parola matrimonio
per fare qualsiasi altra cosa.
«Certo che
sì. Ah, volevo appunto –
Kagome, ti va di sposarmi?».
In verità, di spin-off ne
esistono
altri due o tre – quello che ho postato col capitolo
è il peggiore, temo, e il
più vecchio, eppure penso fosse l’unico postabile
senza dovermi dilungare in
spiegazioni –, ma li posterò direttamente nel
portfolio. X°D Se mai doveste
aver voglia di leggerli, insomma, vi consiglio di passare di qui.
Oltre a lavoretti
di grafica e altre cose inutili(!), ci sono anche delle bozze di fan
fic.
<___<” *Fine pubblicità progresso(?)*
Ora spieghiamo un po’ il
finale.
…uhm. Credo sia
abbastanza chiaro.
o____ò
Il
vero finale, quello senza extra,
semplicemente non finisce: InuYasha potrebbe aver vinto, certo, ma
anche perso.
Magari non è neppure nella classifica dei libri
più venduti!
Poi, sì. Ovviamente, in quanto mio dipendente(???), soffre a
sua volta di crisi
d’ispirazione, e quindi per terminare il libro ha prima
dovuto scrivere una
cavolata random, giusto per non dimostrarsi succube di Kagome. *Rotola*
Lo
spin-off è piuttosto chiaro:
InuYasha ha battuto Naraku <3 e, per aver venduto un casino di
copie, deve
ricevere un premio. Non so se esistano premi simili, onestamente.
X°°°D Diciamo
che è l’ennesima licenza poetica che mi son
concessa – del resto, questa fic è
una licenza poetica. Mi sono concessa
tante di quelle libertà…! *Rotola ancora*
In ogni caso, Kagome è andata con lui alla premiazione,
e… e l’asso nella
manica dell’idiota era proprio il: «Ti va di
sposarmi?».
Ah.
Lei lo prenderà a calci, prima di
accettare. <3
…perché
accetterà, statene pur certi.
X°D
BL
non è la mia fic più lunga, eppure
le sono molto legata: la considero stupida, superficiale, migliorabile
e quant’altro,
ma al contempo le voglio bene, e sono felice di averla scritta.
La
sola idea che qualcuno l’abbia
apprezzato, questo piccolo parto della mia mente, riesce a rendermi
gioiosa(!),
e vorrei potervi abbracciare tutti, così da dimostrarvi il
mio imperituro
affetto. <3
Prima
ho fatto dei ringraziamenti, ora
ne faccio altri: ringrazio tutti i santi
che hanno inserito me tra gli autori preferiti, in primis. Quando mi
sono
iscritta su EFP, il 29 gennaio di tre anni fa, pensavo che avrei
scritto un po’,
ricevuto qualche recensione e poi forse mollato il sito –
invece voi mi avete
seguito. Avete donato parte del vostro tempo a me, che quasi non lo
merito.
Vi
ringrazio, vi ringrazio dal profondo
del cuore.
Grazie
a quanti hanno inserito BL tra le
seguite/preferite/ricordate, ma anche
coloro che hanno inserito le altre mie fic nelle stesse liste:
esattamente come
quanti hanno inserito me, tra i preferiti, siete stati linfa vitale, e
probabilmente non avrei mai terminato nessuno dei miei orrori
(X°°°D) se non
foste restati al mio fianco.
…sì,
sentitevi in colpa. U____U Se
scrivo, è solo per voi. *Rotola*
Mille grazie ai commentatori,
perché
sono speciali e riescono a rendermi gioiosa <3, e a chi su msn
mi ha chiesto
notizie della fan fic. Non lo dimenticherò mai, lo giuro.
Grazie
a chi ha letto, a chi ha
apprezzato. Anche a chi ha odiato, eh!, non si fan discriminazioni di
nessun
tipo. X°°°D
Mi
sento un po’ stupida, a chiederlo,
ma… dato che è l’ultimo capitolo, mi
piacerebbe sentire le vostre voci. .////.
Quantomeno per sapere se il finale l’avete trovato disgustoso
o cosa. X°°°D
Secondo me è estremamente stupido, ecco. *Annuisce*
Se
dovessero esserci errori/refusi,
nella fic, vedrò di correggerli al più presto:
come già detto, il capitolo
risale al… al 10/10/10 *LOL*, ma ciò non
significa che io mi sia concessa di
rileggerlo. X°°°D Anzi, l’ho evitato
schifosamente. *Muore*
Anche lo spin-off risale allo stesso periodo, e anche lui non
è stato né
riguardato né riletto. L’avevo quasi dimenticato.
O____O”
Insomma.
Grazie. *Commossa*
Alla
prossima – che si spera sarà
presto, dato che ho il capitolo di Fairytale quasi pronto. X°D
E stavo pure
pensando di buttar giù una fic breve – un paio di
capitoli al massimo – o
qualcosa di simile, ammesso che lo vogliate. <3
Kisses.
*Lancia caramelle mou*
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