The bothering life of a forced writer

di roro
(/viewuser.php?uid=39891)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Complicazioni improvvise - quando una diciottenne ti mette nei guai ***
Capitolo 3: *** Il ritardo del secolo - quando i pazzi da sopportare sono due ***
Capitolo 4: *** Quando le Mary Sue spopolano ***
Capitolo 5: *** Stress Continuo ***
Capitolo 6: *** Partenza particolare ***
Capitolo 7: *** Se la ragazzina irritante infastidisce... ***
Capitolo 8: *** Perplessità - Pazza sì o pazza no? ***
Capitolo 9: *** Astinenza o follia? ***
Capitolo 10: *** Certezza ***
Capitolo 11: *** Regalini, psicosi, damn (?). ***
Capitolo 12: *** Di peluche, fidanzatine isteriche e dichiarazioni imbarazzanti. ***
Capitolo 13: *** Poche semplici regole: «Se la tua ragazza è una psicopatica, adattati a lei» ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


The bothering life of a forced wroter

The bothering life of a forced writer

*La seccante vita di uno scrittore costretto*

*\* Ebbene sì.
Contro ogni mia più rosea previsione, contro tutto, contro tutti... Sono qui. Con una nuova storia.
Sinceramente, non so da dov'è nata: ero sul motorino, pensando ai libri appena acquistati, quando qualcosa mi ha letteralmente folgorata. Un'idea totalmente assurda, certo, ma è pur sempre un'idea.
L'ho postata. Dopo averla fatta leggere ad Elisa - cui è dedicato il capitolo! *.* - e a Hime, ho detto: massì, postiamo! ù.ù Spero vi piaccia!
A dopo per le spiegazioni. */*

Prologo

 

Non mi piaceva il mio lavoro.

Ok, non mi lamentavo – guadagnavo decentemente ed ero discretamente famoso –, ma non mi piaceva. Lo trovavo monotono.

Ero uno scrittore. Uno importante.

Lo ero diventato qualche anno prima, dopo aver pubblicato miracolosamente un manoscritto autobiografico, abbastanza ironico, piuttosto intelligente. Non che io avessi mai sognato di scrivere, sia chiaro: semplicemente, mi ero ritrovato per mano un’idea decente, ed ero in condizioni economiche ristrette. Non era stata una mia scelta, quindi – mi ci ero ritrovato costretto. Se non avessi intrapreso quella carriera, probabilmente mi sarei ritrovato senza soldi, magari costretto a dormire sotto ad un ponte, nella periferia della città, in compagnia di un topo denutrito e di qualche vecchio barbone.

“Ehi?”.

Alzai distrattamente lo sguardo, come uniche compagne una lampada al neon ed il ritmico ticchettio delle mie dita sulla tastiera. Non mi piaceva lavorare sino a quell’ora.

“Hai del lavoro da fare, sai?”.

Kagome Higurashi, diciotto anni, figlia del mio capo, irritante. Si era fatta assumere per scherzo – e per arrotondare una già cospicua paghetta – e, per qualche strano scherzo del caso, sembrava divertirsi a prendermi di mira. Carina, certo, ma nulla di speciale.

Sollevai un sopracciglio. “Sto lavorando”, dichiarai, mostrando con fastidio il monitor. Avevo scritto tantissimo, quella sera. “Semmai, Higurashi, non dovresti disturbarmi. Dai fastidio”.

Sospirò, osservando critica il mio lavoro. “Fa schifo”, borbottò. “Sul serio, Inu-Yasha, mi aspettavo di meglio. Non sarò una scrittrice, ma almeno so scrivere cannuccia per bene. Ci vogliono due n”.

Arrossii, notando che , una striscia rossa sottolineava malamente il mio grossolano errore, frutto di una disattenzione duratura. “Distrazione”.

“Beh, non devi distrarti”, ridacchiò. Concentrata, iniziò ad attorcigliarsi una ciocca di capelli corvini intorno alle lunghe dita, mostrando una manicure curatissima e dei capelli perfetti. Odoravano di menta. “Dopotutto, sei o non sei importante?”.

“Non lo sono”, grugnii. Mi infastidiva essere considerato bravo. “Non ho scelto questo lavoro…”.

“… è stato lui a scegliere te”. Mi sorrise, alzandosi e battendomi una mano sulla schiena, come per incoraggiarmi. “Suvvia, hanyou, concentrati: sono sicura che puoi fare di meglio”.

Hanyou.

Ecco, questo soprannome mi irritava.

Sì, sono un mezzo demone. No, trovo irritante – nonché superflua – questa precisazione.

Ringhiai sommessamente, strappandole una divertita risata, e poi riportai gli occhi sullo schermo, tentando di ritrovare l’ispirazione.

Pensa, Inu-Yasha, mi dissi, cosa doveva avvenire alla sacerdotessa? Doveva essere fatta a pezzettini?

“Oh”.

Alzai lo sguardo. “Cosa?”.

“Non mi avevi detto di aver cominciato un nuovo manoscritto”.

Inarcai un sopracciglio, tentando di fare mente locale, e di ricordare se, in un passato non troppo remoto, avevo iniziato un qualcosa di vagamente somigliante ad un libro – liste della spesa, scarabocchi, frasi insensate, aforismi… No. Nulla di decente. A meno che…

Higurashi?”.

Si voltò, sorridendomi, e sventolando un cd che – me lo sarei ricordato per sempre – avevo avuto la malsana idea di portare in ufficio. E di etichettare “Note personali – nuovo libro”. Ahi-ahi, Inu-Yasha. Fregato.

“Posalo”, ordinai, facendo del mio meglio per non usare la violenza. Il capo mi avrebbe ucciso, se avessi sfiorato la sua principessina. “Non sto scherzando, posa quel dischetto e tutto andrà bene”.

Mi sorrise, passandoselo tra le mani, carezzando la superficie lucente e la scritta scarlatta. “Perché?”, domandò. “Dopotutto, tu lavori per me, giusto?”.

Scossi il capo, infastidito. “Per tuo padre, Higurashi. Io lavoro per tuo padre”, precisai, notando che sorrideva soddisfatta. Ecco, questo era uno dei principali motivi per cui i nostri caratteri erano incompatibili: lei si divertiva a prendermi in giro, io detestavo le donne con il senso dello humour. L’unica fidanzata che era durata più di un mese – quando avevo quindici anni, e tutto mi sembrava sfolgorante – era fredda e distaccata. Non fece una piega neppure quando mi trasferii a Tokyo.

Mi amava, ma non era ossessiva.

Adoro quel genere di donna – mi fa sentire libero, anche se so perfettamente di non esserlo.

“Posalo”, ripetei, passandomi una mano tra i capelli argentati, regalo di pessimo gusto della mia natura demoniaca. “Non è interessante. Sono appunti”, garantii.

In parte era vero.

Erano appunti. Per un libro, certo, ma pur sempre appunti.

Idee idiote partorite in una notte di follia, durante la quale avevo bevuto diversi drink ad alto tasso alcolico ed avevo gozzovigliato sino a mattina con Miroku, l’unico persona che sembrava divertirsi quando usciva con me.

“Dai”. Mi sorrise, mettendolo in tasca ed alzandosi. Sembrava contenta. Schifosamente, contenta. “Dai, Inu, non lo farò leggere a nessuno!”. Giunse le mani, osservandomi con gli occhi di un cucciolo bastonato – tutt’a un tratto, mi sentii un verme.

Dannata.

“Ok”, grugnii, senza entusiasmo. La luce della lampada iniziava ad infastidirmi, e non sopportavo più il click dei tasti. “Leggilo. Divertiti. Fai come vuoi, Higurashi”.

Rise. “Grazie”, biascicò. Era leggermente arrossita, e giocava nervosamente con un lembo del suo giubbotto. Sembrava quasi una mocciosa normale. “Ti prometto che non lo farò leggere a nessuno”, aggiunse, sorridendo.

Sbuffai, alzandomi – la sedia da scrivania fece un fastidioso rumore, scivolando sul parquet, e sospirai, affranto. Mi era già successo di dover ripagare danni allo studio. “Sì, d’accordo”.

“Ah”.

Sbiancai, quando le sue mani – quelle perfettamente curate – mi sfiorarono il capo, stringendo piano le orecchie. Le mie orecchie da cane. Quelle che mi marchiavano come hanyou.

“Ci vediamo, cucciolotto”, ridacchiò, facendomi ciao-ciao con la mano e uscendo dal mio studio.

Stupida.

Stupida mocciosa.

Stupida, dannatissima mocciosa.

Sbuffai. Non era assolutamente la mia giornata fortunata.

Higurashi mi aveva nuovamente preso in giro. Non avevo concluso quello schifo di capitolo. Non avevo nulla da fare.

“Meglio tornare a casa, vah”.









*\* E' un prologo breve. Molto breve.
Ma i prologhi, solitamente, sono brevi, quindi penso sia ok. Anche perché il primo capitolo è già in cantiere.
Kagome - non preoccupatevi - è irritante. Dopotutto, è pur sempre la visuale di Inu-Yasha, ed è logico che lui la consideri antipatica. ù.ù Ovviamente, con il tempo la situazione cambierà... Eccome, se cambierà!
Ma non anticipo nulla - non ho molte idee su cui basarmi, per ora.
Spero che il prologo vi abbia incuriosito: se così è stato, mi impegnerò a farvi ottenere il seguito. ^^ In caso contrario... Ditemelo! XD
Baci, spero di leggere molti commenti! Alla prossima! */*

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Complicazioni improvvise - quando una diciottenne ti mette nei guai ***


TBLOAFW1

The brothering life of a forced writer

Capitolo 1 - Complicazioni improvvise - quando una diciottenne ti mette nei guai

“Er… No. No, non era materiale per la pubblicazione. Sì, so che sua figlia è entusiasta… Sì, signore. Terminerò quella storia. Arrivederci”.

Riagganciai, frustrato. Quella dannata mocciosa aveva la bocca larga – esageratamente larga.

Non la farò leggere a nessuno, aveva detto. Certo. Come no.

Nota per me: mai fidarsi di una donna, specie se si chiama Kagome Higurashi ed è famosa per la sua loquacità. Potresti pentirtene.

Mi voltai verso il mio computer – un portatile con un paio di anni di servizio, ormai giunto quasi alla pensione – e sospirai, pensando al lavoro che, ne ero certo, mi sarebbe toccato a causa di una mocciosa logorroica. Ho già detto che detesto Kagome con tutto il mio cuore, vero?

“Dannazione”, sospirai, pigiando un tasto a caso. La schermata s’illuminò, mostrandomi una vagonata di appunti piuttosto grossolani che stavo – disperatamente, mi duole aggiungere – tentando di riordinare.

In primis: cosa c’entrava uno shinigami con una studentessa delle superiori? E che cavolo di lavoro voleva offrirle? E, domanda più importante, perché non mi ero ucciso quando ne avevo avuto l’occasione?

Lasciai scorrere lo sguardo, cercando l’intuizione, l’idea geniale che mi avrebbe consentito di scrivere un best-seller. Nulla.

Mimi – la studentessa – era una sottospecie di genio, talmente simile ad una Mary Sue da poterne ereditare il nome senza alcun problema: alta, mora, bella, intelligente, abile con il computer… Non il mio tipo ideale, ma pur sempre una ragazza di tutto rispetto.

Poi c’era Shinji, lo shinigami, una mia personalissima versione dei supereroi del ventunesimo secolo.

Erano entrambi penosi. Assolutamente penosi.

Nessuno – a parte quella malata di mente di Kagome – avrebbe potuto gradire un’idea così grossolana; non avrei mai pubblicato un libro così. Sarebbe stato uno sfregio totale.

“Pensa”, grugnii, afferrando una matita e posizionandola in equilibrio tra il pollice e l’indice, muovendola di tanto in tanto. “Pensa, stupido”.

Offendermi era sempre stato un buon metodo per recuperare la concentrazione – l’avevo imparato alle scuole medie, quando, pur odiando la matematica, ero riuscito ad ottenere un punteggio vagamente sufficiente. Ero sempre stato capace di prendere voti abbastanza onorevoli in tutte le materie, in realtà.

“Dannazione”, esclamai, portandomi le mani tra i capelli ed afferrando malamente le mie orecchie.

Mi venne in mente la sagoma sfocata di una mocciosa dai capelli corvini che sorrideva divertita, e mi ritrovai a ringhiare, soprappensiero.

Dannata mocciosa.

Era insopportabilmente irritante.

“Dannata”.

Poggiai le mani sulla tastiera, tentando di scacciare i pensieri negativi e di concentrarmi – andiamo, come avrei potuto farli incontrare?

“Mm… Mimi è convocata dal preside”, biascicai, scribacchiando. “È una studentessa irreprensibile, così si domanda il perché, soffocando qualche bestemmia particolarmente plateale e qualche maledizione”, aggiunsi, convinto. , era proprio così.

Mimi era arrabbiata, perché il preside l’aveva convocata senza motivo.

E ora?

“Entra nello studio, ma lui non c’è”. Socchiusi le palpebre, tentando di focalizzare l’immagine di una moretta piuttosto carina che apre turbata una porta, aspettandosi un uomo che in realtà non si trova lì. “Al suo posto c’è Shinji, che si è sostituito al preside proprio per parlarle”.

Sì, ma perché proprio per parlare con lei?

Mi grattai il capo, indeciso – da un lato, darle qualche particolare potere avrebbe solo contribuito a enfatizzare il suo lato Mary Sue. Dall’altro, renderla una timida e debole ragazzina avrebbe sortito lo stesso effetto, infastidendo i lettori, che l’avrebbero trovata insopportabilmente carina.

In entrambi i casi, avevo bisogno di un perché. Non sapevo ancora per quale strano scherzo del destino Shinji aveva scelto di convocare proprio lei, e questo mi mandava in escandescenze. Dopotutto, era il mio libro. Dovevo decidere io, cos’era giusto e cosa no.

Non appena il campanello suonò, scattai in piedi, chiudendo velocemente la schermata e collegandomi istantaneamente ad internet, alla ricerca di qualche informazione inutile sugli shinigami.

Sentii distintamente una chiave girare nella toppa, e sospirai, sollevato: non era un ladro.

Non che avessi paura di fronteggiare qualche malvivente, ovvio, ma di prima mattina era noioso. Le risse si fanno di sera, quando si è sbronzi e non si pensa minimamente alle conseguenze.

“Chi è?”, domandai, non appena la porta, con un debole click, si aprì. “Miroku? Rin? Sesshomaru?”, elencai velocemente i nomi delle persone in possesso del duplicato della porta di casa mia, sperando ardentemente che no, mio fratello non avesse deciso di presentarsi senza preavviso.

Sesshomaru non è un tipo particolarmente loquace, e, di certo, non provava il benché minimo affetto per me – io sono un hanyou, nato dalla seconda relazione di nostro padre. Lui uno youkai, il primogenito di mio padre, superiore a tutti quelli che incontra. Me compreso.

“Ehi, sono io”.

Mi passai una mano tra i capelli. “Miroku, che cazzo vuoi?”, chiesi, evitando accuratamente le gentilezze e cercando di simulare una voce ancora assonnata.

“Nulla, Inu-Yasha”. Spalancò la porta sorridendo. Aveva i capelli neri legati in uno stupido codino, e gli occhi celesti mi osservavano, tentando di valutare il mio umore. “Volevo solo raccontarti la mia splendida serata”. Sospirò, prima di iniziare ad elencare il numero spropositato di belle donzelle che aveva avuto il piacere di osservare in discoteca.

Ho già detto che il mio amico è un maniaco, vero?

Vaffanculo, Miroku”, borbottai. Era un hentai di prim’ordine, certo, ma le donne perseveravano a fare la fila per entrare nel suo letto, pur sapendo perfettamente che, da qualche mese, era blindato. La sua ragazza, Sango, avrebbe eliminato tutte le pretendenti.

Non c’era possibilità d’appello.

Mi infastidiva ascoltare i suoi racconti – detestavo sentirmi rinfacciare i miei quasi sei mesi di castità. Non era colpa mia se non avevo tempo di uscire, no? “Ti diverti a mettere il dito nella piaga”.

“No”, ribatté lui. Sembrava felice come una pasqua – strozzarlo non sarebbe stato poi così grave. “Volevo solo raccontarti di com’è bello il mondo, tutto qui”. Sorrise, e la voglia di cavargli gli occhi, per poi gettarlo in un fosso, mi solleticò.

Forse dovevo smetterla di guardare film come Il silenzio degli innocenti in piena notte…

“Comunque, Inu-Yasha, stamane mi ha chiamato Kagome”.

Alzai lo sguardo dal pc, congelandolo prontamente con un’occhiataccia. Detestavo ricordare che il mio migliore amico era anche il ragazzo della migliore amica della mocciosa irritante.

“Sembrava entusiasta”, sussurrò. “Ha divagato parecchio su quanto la intrighi una tua idea, e quanto tu sia intelligente”.

“Che?”, borbottai, confuso. “Higurashi mi ha fatto un complimento?”. Era inammissibile. Miroku doveva aver bevuto parecchio, quella notte, e la telefonata di Kagome doveva essere stata solo un sogno – o un incubo.

“Sì, certo”.

Inarcai un sopracciglio. “Ne sei sicuro?”.

Sorrise, guardandosi intorno, ed afferrando la mia caffettiera. “Al cento per cento”, confermò, prendendo una tazza e riempiendola del liquido color cioccolata, che subito inondò l’ambiente circostante del suo disgustoso aroma. Odiavo il caffè. L’unica ragione per cui ne avevo sempre un po’ a portata di mano era perché – ormai – mi era entrato in circolo come droga, e non riuscivo a mantenermi sveglio senza berne un sorso.

Tentai di analizzare razionalmente la cosa: Kagome Higurashi – quella Kagome Higurashi – mi aveva fatto un complimento. Cazzo. Doveva aver fumato qualcosa di molto potente, per arrivare a complimentarsi con me.

“Ehi, Inu-Yasha, mi dici qualcosa sul tuo libro?”, domandò a un tratto Miroku, sorridendo, malizioso. “Ci sono parti interessanti?”.

“Non il genere di storie che piacciono a te, hentai”, grugnii, rendendomi presto conto di ciò a cui alludeva, e ringhiando sommessamente, imbarazzato.

“Oh… Andiamo, neppure una scena leggera leggera?”.

Feci cenno di no col capo, e riaprii la pagina. L’ultimo appunto – Mimi entra in presidenza, ma il preside non c’è – attirò nuovamente la mia attenzione, ricordandomi il motivo dell’irrazionale rabbia provata poco prima. “Ehi, Miroku, secondo te, perché uno shinigami dovrebbe ingaggiare una studentessa?”.

“In che senso?”.

“Che genere di lavoro potrebbe offrirle?”.

Mi osservò qualche attimo, indeciso. “Per farle fare la centralinista di un numero porno?”.

Inarcai uno sopracciglio: colpirlo o non colpirlo? Questo il dilemma.

Poi qualcosa – qualcosa di assolutamente inaspettato – mi colpì: centralinista? “Sei un genio”, borbottai, scrivendo. “Shinji vuole offrirle un posto come centralinista”.

“Di un numero porno?”, domandò lui, sorseggiando ancora un po’ di caffè, e inclinando il capo, deliziato da se stesso.

“No”, chiarii. “Non sarà una centralinista porno. Anzi, il suo lavoro sarà utile alla comunità dei mostri: lei gestirà un numero di pronto intervento, dando consigli agli esseri soprannaturali in crisi esistenziale”, dichiarai, compiaciuto. “Non ti sembra un’idea geniale?”.

Miroku rise, rischiando di macchiare il mio divano con il mio caffè. “No. Io ci aggiungerei qualche scenetta simpatica, ma sei tu lo scrittore”. Ridacchiò, sistemando una ciocca di capelli sfuggita al codino.

Ancora una volta mi trovai a domandarmi se uccidere il mio migliore amico potesse essere considerato un atto così malvagio. “Sei uno stupido, Miroku”.

“Me lo dicono tutti”, sospirò – probabilmente Sango doveva avergli ripetuto che era un baka per tutta la notte. “Specie quando saluto una bella donzella. Ti sembra logico?”.

Finsi di non aver sentito la sua domanda, per evitare di spiegargli che , era normale, dato che lui sembrava provarci spudoratamente con ogni singolo essere vivente di sesso femminile. “Mi dici perché sei venuto qui?”, domandai ad un tratto.

“Mah, per perdere tempo…”.

Sbuffai. “Sango ti ha di nuovo cacciato di casa?”.

Sbatté più volte le palpebre, incredulo. “Come hai fatto a capirlo?”, chiese, scioccato. “Ti ha chiamato e te l’ha detto?”.

“No. Ma, quando vieni a casa mia da solo, vuol dire che Sango ce l’ha con te”, spiegai – l’ultima volta che la sua ragazza si era arrabbiata, Miroku aveva soggiornato nel mio salotto per almeno una settimana. Per una volta avevo quasi provato pena per lui – salvo poi scoprire che aveva palpato il sedere a tutte le donne presenti al compleanno di un’amica di Sango. “Quanto tempo hai intenzione di restare, questa volta?”.

Abbassò il capo, osservando torvo la tazzina. “Non ne ho idea”, disse infine, sospirando. “Sango era molto arrabbiata”.

“Ah”.

Bene. La mia pace era andata definitivamente a farsi benedire.

Goodbye, mio nuovo romanzo.

“Non preoccuparti, Inu-Yasha. Non farò alcun rumore”.

Inarcai un sopracciglio – ho già fatto presente che il mio qui presente amico è stato arrestato per disturbi alla quiete pubblica?

“Te lo prometto”.

E ho già detto che ha vinto il premo di spergiuro dell’anno?

“Certo”, mugugnai. “Sicuro. In ogni caso, io dovrei terminare le bozze, quindi… Potresti gentilmente andare a farti un giro?”.

Lui fece cenno d’assenso. “Vado al bar. Non ho ancora fatto colazione”, ridacchiò, stiracchiandosi. “Devo portarti qualcosa da mangiare?”.

Annuii. “Mm… Un cornetto”. Abbozzai un sorriso. “Ti perdonerà. Lo fa sempre”.

“Lo spero”. Fece cenno con la mano, poi aprì la porta.

Aspettai che l’ingresso si chiudesse, per sospirare: perché tutte a me? Non poteva bastarmi una mocciosa logorroica? Doveva aggregarsi anche un maniaco di prim’ordine?

Beh, com’è quel modo di dire?

Al peggio non c’è mai fine?

Forse avrei dovuto ricordarlo, prima di sconfortarmi.

“Mm…”. Scrissi velocemente qualcosa sull’idea malsana che mi era balzata in mente, sorridendo al pensiero di Mimi-la-Mary-Sue che osservava sbigottita Shinji, seduto innanzi a lei, tra le mani dei depliant e un ghigno divertito sulle labbra. Poi suonò il telefono.

“Pronto?”, grugnii – odiavo essere interrotto durante il mio lavoro. “Pronto?”.

Non sentivo nessuna voce. Solo un brusio, e un rumore strano, di acqua che scroscia.

“Pronto?”. Inarcai un sopracciglio, infastidito. “Se non vuoi fare una brutta fine, ti conviene rispondere”. Sospirai sollevato, quando la voce divertita di Kagome mi chiamò dall’altro capo della cornetta.

“Cosa vuoi?”, chiesi, storcendo il naso.

“Mah, volevo sapere come procede la tua idea”.

Sentii un moto di stizza crescermi dentro, e mi domandai se – oltre ad uccidere Miroku – farla fuori avrebbe potuto mettermi nei guai. O se l’umanità si sarebbe rattristata per la sua scomparsa – probabilmente no: nessuno poteva sentire la mancanza di una piattola logorroica come lei. “Non penso ti riguardi”, sbottai.

“Er… Invece sì, mi spiace. Papà mi ha dato l’incarico di supervisionare il tuo lavoro, e correggere le tue bozze. Lavoreremo insieme molto, molto a lungo, sai?”.

Ecco. Avrei dovuto ricordarlo, quel detto, prima di sollevare la cornetta. Perché dopo questa simpaticissima telefonata, mi ritrovai a terra. Svenuto.










*\* Ta-dan! Probabilmente, qualcuno, in questo momento, starà osservando la schermata, ancora confuso: come mai roro ha aggiornato così in fretta?
Boh, se lo sapessi ve lo dire. XD Avevo pensato di farli attendere ancora qualche giorno - come sono perfida - ma il capitolo, impresso nella pagina di Word, sembrava osservarmi, e dire "Postarmi!". ù.ù Non potevo dirgli di no.
Poi... Non so. Il capitolo è abbastanza lungo, o preferivate qualcosa di più? Io ho preferito concluderlo qui per non appesantire il tutto. ù.ù E perché, se mi dilungassi troppo, non scriverei neppure un capitolo ogni tre mesi. ù.ù
Mm... Ah! XD Per chi conosce la storia che Inu-Yasha vuole scrivere: sì, è quella mia cavolata. No, non ho mai avuto intenzione di finirla. Sì, mi va benissimo così. XD
Allora, ringrazio sentitamente le dodici commentatrici, che hanno fatto di me la baka più felice della terra! ç.ç Mi sono molto commossa, notando che la storia ha comunque riscosso un certo consenso!
RINGRAZIO:
sango93 Maddai! Figurati, non fa nulla se non hai più seguito le mie storie. ^^ Sono davvero felice di sapere che il prologo ti è piaciuto, e spero vivamente che il seguito ti sia piaciuto. XD Ciao!
inufan4ever ò.ò Kikka! ù.ù Non puoi adorare i miei scleri, è matematico. Sìsì. Per le idee folgoranti... XD Oddèi, a me vengono di continuo, ma spesso non le metto su carta. XD Te le regalerei tutte, se potessi! XD Ah... Che te n'è parso del capitolo?
jessy je XD Ehi, non esageriamo, non sono mica chissà chi! ù.ù Mi farai montare la testa, uno di questi giorni, sìsì. ù.ù Spero che il capitolo ti sia piaciuto! ^^
Mary_lovelovemanga XD Già, per una volta ho invertito le parti, rendendo Kagome superiore ad Inu-Yasha. ù.ù Non mi piace cadere nei soliti cliché, preferisco sondare sempre nuovi terreni. ^^ Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, baci!
ran ugajin92 Ma ciao! XD No che non ti ho dimenticata, figurati: può capitare a tutti, che il pc impazzisca. ù.ù Succede di continuo anche a me, dopotutto! XD Mi fa piacere sapere che la storia ti piace. Bacioni!
stella93mer ^^ Sono felice di sapere che la mia idea ti è piaciuta, e spero vivamente che il capitolo sia stato di tuo gusto. ^^ Fammelo sapere, mi raccomando!
daygum XD Beh, Inu-Yasha scrittore era uno dei miei sogni nel cassetto: non appena l'ispirazione ha deciso di assistermi, non ho potuto esimermi dal realizzare questo sogno. XD Spero tu abbia gradito il capitolo. ^^
demetra85 Sono felice di sapere che mi segurai, e spero vivamente che questo primo capitolo sia stato all'altezza del precedente. ^^ Sono inoltre lieta di sapere che la mia idea di stravolgere le parti sia stata gradita: per un attimo avevo temuto di essere linciata. XD Spero che il capitolo ti sia piaciuto!
Aryuna *.* Il titolo è di Elisa, per questo è geniale! *.* Io mi sono limitata alla trama - a questa stupidissima trama. XD E poi... *.* Ary-tesoro, sei riuscita a trattenerti per ben 118 parole! *.* Non è da tutti! E... XD Come hai fatto a capire che quel prologo era mio? Per il mio stile? Per le cavolate contenute al suo interno? *.* O forse perché tra amiche di succo di frutta alla pera ci si capisce al volo? *.* (No, perché siete stupide. ù.ù ndTakkun) (Leggermente ritardate, prego. ù.ù ndInu) -.-'' Questi due non cambiano mai, eh? Eppure ho preso tutti i loro giocattoli con l'intenzione di bruciali... (ò.ò Non oserai! ndTakkun) (ò.ò Oserà, oserà. La conosciamo bene: oserà. ndInu) ^^ Andate via? *I due si allontanano, di corsa* XD Ebbene, Ary, io mi congedo: devo ringraziare molte persone. *.* Spero di sentirti presto! E di leggere presto la tua fic per il concorso, my dear ghost! *.* Sao!
ryanforever XD Sì, l'idea di base era sfatare questo cliché secondo cui Inu-Yasha è sempre il ragazzo ricco e viziato e Kagome la mocciosa povera. ù.ù Per una volta, volevo vedere la situazione un po' ribaltata. ù.ù Sono comunque felicissima di rivederti come commentatrice. ^^ Una mia storia non sarebbe tale, senza il tuo prezioso contributo! ^^
Gweiddi et Ecate *.* Elisaaaa! *.* *Roro urla contenta, saltellando sul letto* *.* Tu il capitolo l'hai letto in anteprima, ma scritto su EFP ha tutt'un altro aspetto, eh? *.* Non sembra più professionale? ... -.- Ok, come non detto. Riavvolgiamo il nastro. ^^ Io... Io adoro il titolo! *.* Sei la persona più brava che conosco, a scegliere i titoli! *.* E poi... Mm... Scriverò in fretta il prossimo capitolo! Spero ne esca qualcosa di abbastanza comico, per i tuoi gusti. XD Ho già qualche ideuzza... Niente di che, ma pur sempre qualche idea. ù.ù E ora saltello via, attendendo il tuo arrivo su msn - se arrivi, ovvio.
pillo XD Beh: vista la prima pena? XD Kagome è riuscita a farlo svenire. Il che è tutto dire... -.- Andiamo, quella sottospecie di cucciolotto è rimasto sconvolto dal sapere che lei correggerà le sue bozze... -.- Mi fa quasi pena. Che te n'è parso di questo capitolo? All'altezza del prologo? ^^ Spero di sì. Baci!
HimeChan XD ù.ù Io non ho trascurato proprio nessuno. Sìsì. ù.ù Il contest è aperto a tutti, e chi voleva poteva sentirmi su msn, come hai fatto tu. Sìsì. ù.ù Non farmi rattristare. ç.ç Eddai, dopotutto ora sono qui, con un nuovo lavoro e tanta voglia di scrivere! Sono anche riuscita a farmi venire voglia di ricominciare con Inu - dopo aver quasi deciso di lasciare il fandom e passare a qualcos'altro. -.-'' Quindi, Hime cara, accontentati di sapere che sono pucci. XD E che lo sei anche tu!


E, ovviamente, un grazie molto speciale va anche a chi mi supporta solo leggendo o - *.* - inserendo la storia tra le preferite. E' davvero un onore.
Poi... Beh, voglio deliziarvi con uno spoilerino ino ino tratto dall'inzio del prossimo capitolo - è tutto ciò che ho scritto, accontentatevi. XD

“Dove sono?”, sbuffai, incapace di mettere a fuoco l’ambiente circostante, e ancora troppo scosso per tentare di analizzare gli odori.

“A casa”, rispose Miroku, ridendo. “Kagome deve averti dato una brutta notizia: sei svenuto. Quando sono rientrato, ho sentito la sua voce urlare nella cornetta”. Sospirò. “Povera ragazza. Credeva ti fossi fatto male”.

Mi passai una mano sugli occhi, iniziando a riconoscere le forme, e notando che l’oggetto morbido su cui ero disteso era il mio divano. “Quanto tempo…?”, esordii, salvo poi essere bloccato da una sua pronta risposta.

“Mah, penso un’ora. O forse due. Non saprei dirti, in realtà, e Kagome era troppo sconvolta per darmi le informazioni necessarie”.


Spero - ovviamente - che l'abbiate gradito. XD Bye!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il ritardo del secolo - quando i pazzi da sopportare sono due ***


TBLOAFW2

The brothering life of a forced writer

Capitolo 2 - Il ritardo del secolo - quando i pazzi da sopportare sono due

Mi risvegliai dopo qualche ora, la voce melliflua di Miroku che tentava di richiamare la mia attenzione.

Ero disteso su qualcosa di morbido, e, dall’aroma che mi circondava, dedussi che doveva esserci una tazza di tè, da qualche parte. E io andavo matto, per il tè.

“Dove sono?”, sbuffai, incapace di mettere a fuoco l’ambiente circostante, e ancora troppo scosso per tentare di analizzare gli odori.

“A casa”, rispose Miroku, ridendo. “Kagome deve averti dato una brutta notizia: sei svenuto. Quando sono rientrato, ho sentito la sua voce urlare nella cornetta”. Sospirò. “Povera ragazza. Credeva ti fossi fatto male”.

Mi passai una mano sugli occhi, iniziando a riconoscere le forme, e notando che l’oggetto morbido su cui ero disteso era il mio divano. “Quanto tempo…?”, esordii, salvo poi essere bloccato da una sua pronta risposta.

“Mah, penso un’ora. O forse due. Non saprei dirti, in realtà, e Kagome era troppo sconvolta per darmi le informazioni necessarie”.

“Ah”, commentai, allungando una mano tentoni, alla ricerca del tè, e ghignando soddisfatto non appena una superficie calda sfiorò le mie dita. “Bene”.

“Inu-Yasha, potresti dirmi tutto?”.

Mi morsi il labbro inferiore, sentendomi improvvisamente più stupido di quanto – in venticinque anni di vita – mi ero mai sentito. “Correggerà le mie bozze”, esalai, incerto.

Sentii qualcosa rompersi, e una risata – una fragorosa risata – schernirmi. Bene. Perfetto.

Neppure Miroku era dalla mia parte.

“E tu saresti svenuto per questo?”, biascicò, incerto. “Sei rimasto sconvolto per questo?”. Era incredulo. E non potevo dargli torto.

“Beh…”.

“Sei svenuto perché Kagome correggerà le tue bozze?”.

Abbassai il capo, frustrato. “Sì, Miroku. . E smettila di dirlo come se fosse una cosa stupida: sono rovinato, capisci? Dovrò sopportare per chissà quanti mesi una pettegola diciottenne che aspira a lavorare in un qualche giornale di gossip”, ringhiai. “Ti sembra poco?”.

Non gli lasciai tempo di replicare, alzandomi di scatto – lo stomaco fece una giravolta, ma tentai di non pensarci – e massaggiandomi le tempie, nel tentativo di riprendere un po’ di colorito. Dovevo calmarmi. Se mi fosse impegnato, forse il capo avrebbe esonerato Kagome. E io sarei stato libero.

Era un’idea da non sottovalutare, in effetti.

“Inu-Yasha, posso dirti una cosa?”. Miroku si chinò, raccogliendo celermente le schegge del mio bicchiere.

“Sì”, sbuffai. “Dimmi”.

“Secondo me, tu piaci a Kagome”.

Alt.

Stop.

Un momento, prego.

Io? A Kagome?

Certo. Come no.

Kagome era innamorata di me, e mio fratello Sesshomaru era uno stinco di santo. Ovvio.

Ah-ha, che battuta di pessimo gusto. “Non fai ridere”, sbottai.

“Er… Non volevo far ridere, sai? Ero serio”.

Probabilmente impallidii ancor di più, perché l’espressione di Miroku – fino a pochi attimi prima divertita – divenne preoccupata, e me lo ritrovai quasi addosso. “Sto bene”, mentii.

Beh, era una mezza verità: se tralasciavo il dolore allo stomaco, l’emicrania e quella sgradevole sensazione di sbigottimento, stavo bene. Più che bene – in fin dei conti, avevo appena ottenuto un lavoro che mi avrebbe fruttato un guadagno quantomeno decente. Non c’erano ragioni di lamentarsi, no?

“Ah”, commentò il mio amico, scostandosi. “Non ti vedevo così da secoli. Sembra che ti abbia di nuovo investito un camion”.

Sospirai. Quando riesci a farti investire da un enorme camion solo passeggiando per il centro, è quasi logico che tutti – indistintamente – te lo ricordino. Peccato che io non mi divertissi neppure un po’, a sentirmi ripetere che ero stato fortunato, a rompermi solo una gamba e a dover restare in ospedale per quattro lunghissime settimane. “Miroku”, grugnii. Il mio era un monito.

Tossì più volte, tentando di schiarirsi la voce, e poi abbozzò un sorriso. “Se tu ti mettessi con Kagome…”.

“Miroku!”.

“… beh, forse tutto sarebbe più semplice”, concluse, afferrando una bustina di carta e porgendomela. “Il tuo cornetto”, spiegò, sospirando.

Mi irrigidii, cercando di razionalizzare l’ultima stupidaggine proferita dal mio ex migliore amico. “Miroku, ti rendi conto che mi stai dicendo di provarci con Kagome solo per sbarazzarmene?”, domandai infine, ancora sconvolto. Sapevo che il mio amico era stupido – ma non così stupido!

“Er…”. Si portò una mano sul mento, indeciso. “?”, borbottò dopo poco. “Non ti sembra una buona idea?”.

Scossi furiosamente il capo, cercando di ricordare perché quando Sango, due settimane prima, aveva cercato di ucciderlo, non l’avevo lasciata fare. “Buona idea, Miroku? Secondo te illudere una ragazzina di diciotto anni è una buona idea?”. Lui rise, e solo allora mi resi conto di aver parlato dando per scontata una possibile cotta di Kagome per me. “Rimangio tutto”, sbottai, esausto.

“Ah. Beh, Inu-Yasha, io penso che potresti almeno essere più carino, con lei. Il tuo mancamento l’ha tremendamente scossa, sai? Continuava a ripetere che dovevate vedervi a non so quale ristorante per non so che”.

Impallidii. “Per caso dovevamo incontrarci con suo padre nel suo ristorante?”, biascicai a mezza voce, pregando per una risposta negativa – avrei fatto di tutto, per un no. Sarei persino arrivato a tagliare i miei lunghissimi capelli d’argento, e divenire un monaco buddista.

“Eh? Sì, ha detto proprio così”. Il mio ex migliore amico sorrise, osservando le schegge di vetro che aveva posto sul palmo della mano. “Era una cosa importante?”, domandò a un tratto, tentando – disperatamente – di interpretare la mia espressione. Ero in trance, e continuavo a chiedermi perché la mia vita era così. E perché non avevo bruciato quel dannatissimo cd nel caminetto.

“Sì, Miroku. È una cosa di vitale importanza”, confermai. Tentai di ricordare dove avevo nascosto le chiavi della mia macchina – come un fulmine a ciel sereno, l’immagine sfocata di un meccanico che mi garantiva che la mia auto era troppo distrutta per essere rimontata mi folgorò, e lasciai che un ringhiò uscisse dalle mie labbra. “Miroku, mi presti la moto?”, chiesi, maledicendomi mentalmente.

“Sì. Ma trattala bene”, mi ammonì, lasciando finalmente andare i frammenti del bicchiere e cercando le chiavi. “Non voglio che faccia la fine di tutti i tuoi mezzi di trasporto”.

Sospirai. “Se fosse per me, non farei un incidente a settimana, sai?”.

“Lo so. Ma non mi fido del tuo modo di guidare”.

“Bene”, borbottai, afferrando la mia tazza di tè e bevendola avidamente. “Non guiderò troppo veloce, sei contento?”. Era inconcepibile l’amore di Miroku per le auto. Non era pari a quello per le belle donzelle, certo, ma era pur sempre spaventosamente enorme, e più volte ero rimasto scioccato, notandolo accarezzare con dolcezza la carrozzeria scarlatta della macchina di Sango – un regalo di compleanno purtroppo poco usato.

“No, Inu-Yasha. Sarei contento se tu decidessi di comprarti una nuova automobile”. Inarcò un sopracciglio, poggiando delicatamente le chiavi lucenti tra le mie mani, e sospirando. “Un graffio e sei morto”, minacciò.

Evitai di dirgli che erano cinque mesi che non guidavo una macchina, e che ero già in ritardo – per quanto ne sapevo, l’appuntamento era verso mezzogiorno. Ed erano le undici e mezza – avrei dovuto correre. “Contaci”, mentii, sorridendo e aprendo la porta di casa.

“Ehm…”. Miroku si grattò il capo. “Inu-Yasha, ma non dovresti portare con te un cd, o qualche foglio? Vai così?”.

Impallidii. “Sì”.

“E?”.

“E me ne stavo dimenticando”.

Grazie, Miroku”, gongolò compiaciuto, esortandomi a ripetere la frase. Lo fulminai con un’occhiataccia, correndo al pc e riaprendo il documento.

Bene. Ora avevo solo bisogno di un…

“Non ho cd”, urlai, esasperato. “Dèi, Miroku, non dirmi che li hai usati tu!”.

Il mio ex migliore amico chinò il capo, colpevole, e mi ritrovai ad insultare tutti i suoi antenati, colpevoli di aver preparato l’avvento per l’essere stupido e hentai denominato Miroku. “Scusami, Inu-Yasha”, borbottò. Eppure gliel’avevo ripetuto almeno centomila volte, di non toccare i miei file, e di non usare i miei cd. Stupido pervertito.

E stupida Kagome che mi aveva messo in questo guaio.

“Non puoi stampare il file?”.

Grugnii.

Certo. Ora avrei dovuto stampare il file. E Higurashi l’avrebbe sicuramente letto, ridendo della mia idea, improvvisamente ridicola e infantile.

“Kagome è una brava ragazza, e ti adora, no? Non si adirerà. E puoi sempre chiederle l’indirizzo e-mail per spedirle poi le bozze definitive…”. Mi sorrise, immaginando sicuramente sguardi lascivi tra me e la mocciosa.

Ho già fatto presente di odiare il mio ex migliore amico, vero?

“Smettila”, sbottai.

“Dai, Inu-Yasha, tanto lo so che, sotto sotto, Kagome ti piace”.

Espira, Inu-Yasha.

E ora inspira.

Bravo.

Un’ultima volta: espira.

Inspira.

Bene. Ora puoi urlare. “Ma sei completamente matto, Miroku?”, domandai, pigiando malamente il tasto destro del mouse sull’immagine piccola e carina della stampante. “Hai bevuto qualcosa di alcolico? Beh, ovvio. Altrimenti Sango non ti avrebbe cacciato di casa… Mm… Oltre a bere hai sbattuto la testa?”.

“No”. Il mio ex – sempre più ex – migliore amico strabuzzò gli occhi, non riuscendo a capire dove io volessi arrivare.

“No, dici? Beh, Miroku, io temo di sì: andiamo, come potrebbe piacermi Higurashi? Ha… sette anni meno di me!”. La mia voce rimbombò qualche istante per la stanza, e, quando la stampante si mise in moto, rilasciandomi uno striminzito foglio come regalo, sobbalzai.

“Cioè… Il problema sta nel fatto che lei ha diciotto anni e tu venticinque?”.

Annuii. “Non è di certo solo una questione d’età. Indipendentemente dai suoi diciotto anni, Kagome ha l’intelletto di una bambina di quattro anni. Non ho alcuna intenzione di farle da baby-sitter”. Mi sentivo stranamente infame – la mia era una mezza bugia, dopotutto. E una mezza bugia è pur sempre una mezza verità.

“Oh”, commentò Miroku, sprofondando nel divano. “Questo è razzismo, sai? La discrimini solo perché più piccola”.

Non diedi assolutamente peso alle parole di Miroku, troppo indaffarato. Era ora di uscire.

Ed ero dannatamente in ritardo.




*\* Mm... Capitolo breve. Troppo breve.
Avrei voluto dilungarmi, ma... Beh, ho deciso di trattenermi qui, e lasciarmi andare nel prossimo. Dopotutto, non capita tutti i giorni di sopportare Kagome Higurashi e Inu-Yasha nello stesso ristorante. Ci sarà molto da dire, no? XD
Poi... Kyah! E doppio Kyah! *.* Nuove commentatrici! Benvenute!
Chiedo nuovamente venia per il capitolo breve e non particolarmente significativo, ma credo che una chiacchierata tra Inu-Yasha e Miroku, prima del nuovo incontro tra Kagome e Inu-Yasha, sia utile. Ed essenziale. ù.ù E poi... 
XD Spero che questo capitolo penosissimo non vi abbia fatto pentire di leggere! XD
RINGRAZIO:
kaggychan95 XD Ma figurati. Spero che collegarti dalla psp sia valso la pena: questo capitolo non è granché. XD E poi... Sì. Hai ragione. Questo Inu-Yasha un po' credo che finirà col somigliarmi. XD Ovvio è che, però, se avessi desiderato un alter-ego, avrei scelto Kagome. ù.ù Dimmi che te n'è parso di 'sta roba. XD
pillo ù.ù Mannò. Che ti importa, se hai commentato per tredicesima? Hai commentato, e questo è l'essenziale. Sìsì. XD Questo capitolo non è di certo meglio del prologo. Né del precedente. XD Ma, come ho già detto, credo sia utile ai fini della trama, quindi... XD Spero ti sia piaciuto almeno un po'!
inufan4ever XD Sì! E' lei! E' assolutamente lei! XD Dopotutto, io non avevo intenzione di proseguirla. E Inu-Yasha aveva bisogno di una trama... XD
mikamey ^^ Sono felice di sapere che il mio non dipingere Inu-Yasha e co. come esseri perfetti non ti disturbi. ù.ù Io non credo che idealizzarli sia umano, e li preferisco così, pieni di difetti. Ma umani. ù.ù Poi... Il titolo lo ha scelto una mia amica. XD Io non ero capace di trovarne uno adatto: vero che è meraviglioso? *.*
lilysol ^^ Maddai. Figurati. Non devi preoccuparti: non hai perso il tocco. E Kagome... XD Beh, Miroku è del tuo stesso parere, no? ù.ù Anche lui è convinto che Kagome sia perdutamente innamorata di Inu-Yasha. Ma, chissà... Il tempo ci darà le risposte.
Aryuna ç.ç Miroku è pessimo. Ed io lo sono di più, perché non l'ho picchiato... ç.ç (Oh, mia dolce Roro, perché piangi? ndMiro) -.-'' Miroku, sta buono. *Miroku spia la scollatura di Roro* è.é Ma è un vizio, il tuo! Non.Devi.Spiare.Le.Nostre.Scollature.Baka! è.é (ç.ç Aiutoooo! ndMiro) -.-'' Scusalo, Ary-chan. E' un caso disperato.
jessy je XD Mannò! Non vedi com'è sveglio, Miroku? ù.ù Io non dire che con lui in mezzo non si può far nulla. Anzi...
MyImmagination Oddèi. ò.ò Ecco, me lo sento, ora ho uno svenimento. ò.ò Ma davvero ti piace così tanto? ò.ò Davvero davvero davvero? ç.ç *Commozione* ç.ç Sono sempre felice di sapere che qualcuno apprezza i miei sforzi, e mi onora sapere che ritieni il quadro delle personalità dei personaggi accennato per bene. ù.ù Davvero, non so come ringraziarti. Probabilmente, questo capitolo sarà potuto apparirti noioso, ma ritengo assolutamente inutile fare balzi temporali. XD Così ho deciso di descrivere anche questo dibattito. ù.ù Spero tu comprenda le mie scelte, e che continuerai a darmi il tuo parere, assolutamente fondamentale per il proseguo della fan fiction. ù.ù Ah. ^^ Grazie mille per i complimenti!
Gweddi at Ecate XD Beh, ora sai tutto, di quella storiella stupida, no? XD E io sono sempre su msn, di pomeriggio. ù.ù Ah. Ho deciso di aggiornare unicamente per scrivere una nuova HanaIta: ti fa piacere? *.* Spero di sì. ^^ Baci!
callistas Io posso scoppiare in lacrime, vero? ç.ç Davvero, mi commuove sapere che c'è gente che mi ritiene brava. XD Quando si ha un'autostima inesistente come la mia, credo sia quasi logico, no? XD Poi... *.* Sono lieta di sapere che hai superato lo scoglio imbarazzo, e spero di leggere prestoun tuo prossimo commento. ^^ Il capitolo è stato noioso, vero? XD
kirarachan XD Già! Kagome, la miglior beta-reader del web, è pronta ad aiutare Inu-Yasha! XD Sì, sono matta. ù.ù Spero che questo capitolo ti sia piaciuto almeno un po'! XD
Mary_lovelovemanga Oh, ciao. ^^ Sìsì, le cattiverie verso Inu-Yasha sono cose che adoro. XD Con tutto quel che ha combinato! -.-'' Non farmici pensare, vah. Spero che il capitolo - almeno poco poco poco - sia stato di tuo gradimento, baci! ^^
ryanforever Sì. Inu-Yasha è svenuto, povero caro. ù.ù Ovvio è, però, che questo è solo l'inizio, e che il cucciolotto ha ancora tanti guai da combinare. XD Che dici: il capitolo è stato troppo noioso?
HimeChan XD Sì. Ebbene sì. Inu-Yasha sa cos'è una Mary Sue. ù.ù Un attimo di silenzio, per favore. Dobbiamo compiangere tutte le Mary Sue perite sotto lo sguardo sadico di Inu. Sìsì. ù.ù ... Attimo di silenzio finito. XD E... no. Le scenette porno N.O. ù.ù Inu ha un po' di dignità, sai? XD

Ebbene, i ringraziamenti, per oggi, sono terminati. XD
Conto di aggiornare a breve, sia perché non mi piace tenervi sulle spine troppo, sia perché stanno per iniziare la festività natalizie, e la scuola, per un po', mi lascerà libera di scrivere. ^^
Bacioni!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quando le Mary Sue spopolano ***


TBLOAFW3

The brothering life of a forced writer

Capitolo 3 - Quando le Mary Sue spopolano


“È una Mary Sue”.

Qualcosa – nell’espressione infastidita di Kagome – mi lasciava intendere che no, la descrizione di Mimi non l’aveva minimamente soddisfatta. “E allora?”, domandai, fingendo sdegno. Sempre meglio che ammettere la sconfitta, questo era certo.

E allora, Inu-Yasha, le Mary Sue sono dei veri orrori. Credevo tu riuscissi a capire almeno questo”, borbottò, poggiando i fogli – le mie amate bozze – sul tavolino e alzando una mano, facendo cenno al cameriere di servirle un nuovo bicchiere di acqua. “Le donne odiano le Mary Sue. Sono troppo perfette”, terminò, offesa.

Sentii il mondo crollarmi addosso. Neppure Kagome Higurashi riusciva a trovare gradevole Mimi-la-Mary-Sue. Era assolutamente frustrante. “Beh, ti sfido a fare di meglio”, grugnii, indicando una penna appoggiata sul tavolo ed un’enorme pila di fogli bianchi. “Perché tu ne sei capace, vero?”, continuai, compiaciuto. Kagome si era sempre rifiutata di scrivere, ribadendo più e più volte che no, non era nel suo dna.

“Oh, sì, certo”, ribatté lei. “Mi credi inutile, Taisho?”.

Ringraziai mentalmente il mio autocontrollo – unico motivo per cui non m’ero lasciato andare in una risata liberatoria – e sospirai. “Dimostramelo”.

La osservai lanciarmi un’occhiata bieca, per iniziare a scribacchiare qualche frase incerta sul foglio. L’aria era terribilmente corrucciata, e le labbra, semidischiuse, lasciavano spesso sfuggire dei borbottii irritati.

“Facile?”, chiesi ad un tratto, guardando la saliera, poggiata accanto al mio piatto vuoto.

Lei grugnì, blandendomi la penna contro come una katana, e assottigliando gli occhi. “No. O forse sì. Chissà, Inu-Yasha, forse sono più portata di quel che credevo”.

Ridacchiai sottovoce, allungando il collo per scorgere qualcosa – la calligrafia di Kagome era abbastanza normale, eppure fissai intensamente le singole lettere qualche secondo, prima di tentare di decodificarle.

Abbastanza distintamente captai la parola secchiona, ma un’occhiata tutt’altro che pacifica della moretta innanzi a me mi impedì di continuare.

Pochi attimi, e la parola fu cancellata con un’elegante serie di linee confuse, e roteai gli occhi, indeciso se darle qualche dritta o ostentare un religioso silenzio.

Sospirò. Mentre la destra stringeva con rabbia la stilografica – la mia stilografica –, la manca prese a vagare per il tavolo, sfiorando lentamente ogni singolo oggetto.

“Ho… finito”, sbuffò contrariata ad un tratto, arrossendo. “Ma non voglio che tu legga”. Prese ad arrotolarsi lentamente i capelli intorno alle dita. “È peggiorata, semmai”, ammise.

Mi ritrovai a sorridere troppo sfacciatamente per simulare indifferenza. “Su, mostrami quel foglio”.

Scosse il capo. “Non sei tu a dare ordini, qui. Sono io, Taisho, che ti piaccia o no”, biascicò, accartocciando il foglio, e allungandomi la penna – con uno scatto, la mia mano evitò la sua, ed afferrò il piccolo foglietto. Dalle labbra scarlatte di Kagome scappò un urlo. “Non oserai”, gemette.

Ghignai, improvvisamente conscio di avere il coltello dalla parte del manico, e di desiderare con tutto il mio cuore torturarla. Non so, forse la mia era solo una macabra rivincita per lo svenimento di quella mattina. O ero così disperato dal desiderare unicamente torturare una diciottenne logorroica.

Chissà.

Sapevo solo che mi stavo divertendo un mondo.

Srotolai il foglio senza degnarla di uno sguardo – né di alcuna risposta – e mi applicai nuovamente a decodificare quello scritto. Le parole, graficamente suggestive, erano anche piuttosto… ricercate. A voce non l’avrei mai ammesso, ma neppure io usavo termini così sofisticati per una bozza. Quella mocciosa era una fabbrica di sorprese.

La nuova Mimi – o quello che ne restava – indossava un paio di occhiali. Ed un camice da laboratorio.

E… Beh, lo schizzo era piuttosto esauriente: i capelli erano lunghi sino alle spalle, crespi. Aveva occhi piuttosto grandi, e le labbra erano sottili. Nulla di eccezionale, in effetti.

Anonima.

Tra le qualità, scritte in maiuscolo, spiccava la parola acida. “Kagome, da quando l’essere insopportabili è una qualità?”, domandai, piuttosto confuso.

Lei scrollò le spalle. “Beh, essere detestabile non è una prerogativa delle Mary Sue. L’ho messa lì per questo”, spiegò, in imbarazzo. La sua aria disperata mi implorava di restituirle il foglio – eppure, nei suoi occhi, leggevo l’enorme desiderio di ogni scrittore alle prime armi: quello di conoscere il parere di qualcuno. Sorrisi, immaginando che quella era la sua prima bozza. E che io ero il primo a leggerla.

Dopo acida, sempre a caratteri cubitali, la parola emarginata. E, a seguire, sfigata faceva la sua bella figura, circondata com’era da disegnini monocromatici di fiori.

“Insomma… Questa ragazza è l’antitesi di una Mary Sue”, commentai, colpito. Beh, c’era da lavorare, ma quella nuova Mimi mi intrigava. Ed era assurdo.

“Sì”.

“E l’hai creata in…”. Guardai l’orologio. “Cinque minuti netti”.

Kagome asserì con il capo, osservandomi perplessa. “Fa così schifo?”, biascicò infine. Notavo già i goccioloni ai lati dei suoi occhi, e per un istante – un momento eterno – desiderai farla piangere, per poi abbracciarla. Scossi ferocemente il capo: promemoria per me. Non parlare con il tuo ex migliore amico prima di dover incontrare la migliore amica della sua ragazza. Potresti avere dei problemi, quali confusione, smarrimento e desideri libidinosi verso la tua povera correttrice di bozze.

“Non fa schifo”, riuscii infine a dire, senza voce. “Tutt’altro. Mi piace”.

La bocca di Higurashi si spalancò, lasciando intravedere i denti perfettamente curati, frutto di assidui appuntamenti dal dentista e di un apparecchio portato per quattro anni. “Davvero?”, chiese, confusa.

“Sì”, esalai, abbozzando un sorriso. Non era da me, ma c’è sempre una prima volta. E poi ero schifosamente affamato. Non resistevo più. “Ordiniamo?”, proposi.

Lei fece cenno di . “Papà arriverà a breve”, aggiunse, giungendo le mani come per scusarsi. “Desiderava davvero, davvero venire, ma Kaede-sama l’ha trattenuto, sai com’è fatta”, aggiunse, ridacchiando.

Kaede era la zia di Kagome, un’ottantenne particolarmente attiva dall’aria gentile. Adorava incondizionatamente il suo lavoro, e detestava caldamente gli scrittori che, come me, avevano intrapreso questa professione più per non restare al verde che per vera vocazione.

Non di certo una persona cattiva, ma preferivo evitarla, quando mi era possibile.

“Ah”, commentai. “Beh, arriverà, no?”. Iniziavo a temere di restare solo con la piccola, e questo mi spaventava più del dovuto.

“Er… Sì, credo di sì. In ogni caso, ha detto di pranzare. E di ordinare ciò che vogliamo”. Mi sorrise compiaciuta, prendendo il Menù con aria circospetta e osservando in tralice i vari piatti. “Mm… Tu cosa prendi?”, mi domandò ad un tratto – il suo volto era praticamente seminascosto da un enorme quaderno plastificato, dalla copertina rigida, e sospirai solo quando notai i suoi occhi ricomparire.

“Non ne ho idea”, risposi sinceramente. “Una pizza?”.

Aggrottò un sopracciglio. “Pizza?”.

Annuii. “Con quella si va sempre sul sicuro”, chiarii, sfogliando il Menù alla ricerca di qualcosa di poco complicato. Avevo disperatamente bisogno di mangiare. E attendere un’ora non avrebbe giovato al mio stomaco.

“Bah, sei tu il genio”, ridacchiò lei. Un cameriere accorse rapidamente da noi, non appena la mano di Kagome, lenta, si sollevò.

Confabularono qualche attimo – troppo confusamente per permettermi di distinguere una qualsivoglia parola – e poi l’uomo si allontanò, riferendo che ci avrebbe prontamente consegnato le nostre ordinazioni.

 

“Cos’hai preso?”. Non che m’importasse, ma intavolare una conversazione banale era meglio di fissare la saliera – almeno per un po’. “Intendo dire… Cos’hai ordinato?”.

“Oh, beh, Oden”, ridacchiò. “E una bottiglia d’acqua frizzante”, concluse, raggiante.

Dopo aver metabolizzato la parola oden, alzai un sopracciglio, perplesso, ma evitai di ricordarle che il ristorante di suo padre era di cucina italiana. Per quanto ne sapevo, lei era un’assidua frequentatrice di quel posto, e non sarebbe stato poi tanto strano reperire piatti prettamente giapponesi.

“Mm… Shinji com’è?”, domandai ad un tratto, curioso: Mimi era stata brutalmente censurata, ma lo shinigami persisteva. E questo mi confortava non poco.

Se Kagome non aveva nulla da ridire su di lui, probabilmente non ero così penoso come credevo. O Higurashi non si era neppure degnata di leggere la sua descrizione, troppo presa dalla smania di ricordarmi la stupidità della mia protagonista.

“Lui è ok”.

Sbarrai gli occhi, turbato, e ricevendo in cambio uno sguardo truce. “Sicura?”, esalai, pregando i kami. Non avevo voglia di creare delle nuove bozze, specie con Miroku in casa. Sarebbe stato a dir poco impossibile “Al cento per cento?”.

Lei annuì, distratta. “Ovvio. Creare un Gary Stu è abbastanza complicato, per un maschio”.

Gary Stu?”, ripetei, confuso – da quando quella nuova nomenclatura? Non bastava più dire la versione maschile di una Mary Sue?

“Sì, è il nomignolo che gli è stato affibbiato. Credevo lo sapessi”.

Non c’era nota di cattiveria, nella sua voce. Né di acidità. Né di fastidio. Non era stata una frase derisoria, ma solo un commento gentile alla mia ennesima dimostrazione di stupidità. “Bel nome”, mugolai, ricominciando ad osservare le mie dita intorno alla saliera. “La descrizione fisica è ok?”.

“Sì. Capelli neri, occhi onice e pelle pallida: dimmi tu cosa c’è di sbagliato”. Rise, immaginando chissà quali risvolti della storia, e mi ritrovai a sorridere anch’io. Quella mocciosa aveva qualche potere paranormale.

“Beh, tu sei parziale”, ridacchiai, lasciando in pace l’ornamento ed impugnando nuovamente la stilografica. Avevo voglia di scrivere qualcosa – e non mi importava cosa. “Credi sia opportuno creare un ulteriore personaggio, da affiancare a questi due?”.

Kagome mi guardò qualche secondo, perplessa, per poi annuire. “Sì. Un ulteriore personaggio sarebbe utile, sai? E avresti più chance di conquistare il pubblico femminile”.

Mi ritrovai a domandare se non fosse il caso di chiederle il suo modello di ragazzo ideale, per forgiare quel nuovo sventurato solo per lei, ma – fortunatamente – riuscii a mordermi il labbro inferiore, e bloccare la fuoriuscita di quelle parole assolutamente compromettenti. No, parlare con Miroku prima di incontrare Kagome non era propriamente una cosa intelligente. “Ti va di aiutarmi?”, sussurrai, passandole la penna.

Lei sorrise. “Ovvio. Deve avere qualche potere?”, mi chiese, prendendo a sua volta un foglio dalla precaria pila e mettendolo al centro, tra di noi.

“Sì, penso di sì. Sai, potrebbe essere il suo primo caso: il primo matto che la chiama per avere dei consigli”.

Higurashi rise, facendo cenno d’assenso. “Sarebbe molto divertente: un depresso cronico ti piace?”. Iniziò a scribacchiare le parole depresso e pazza assatanato in un angolo del foglio, sottolineandole poi più e più volte, nel tentativo di chiarire il concetto.

“Sì. E deve avere manie autolesioniste”. Non che io ne avessi, ma i personaggi complessati e emo andavano forte, nell’ultimo periodo. “Poi… Beh, orbo come un talpa”.

Complessato, emo e talpa andarono prontamente a fare compagnia agli altri termini, e Kagome mi sorrise, raggiante. “Potrebbe anche chiedere a Mimi un appuntamento, no?”, aggiunse, annotando anche questo sul foglio.

Iniziavo a divertirmi.

Il personaggio – in meno di dieci minuti, un record – prese vita sul foglio spiegazzato, e Kagome Higurashi mi assicurò che lo adorava. Poi arrivarono le nostre ordinazioni, e non le prestai più attenzione – avevo sempre più fame. Afferrai una fetta tra le mani, infilandola forse troppo rapidamente in bocca.

“Ehi, sta’ calmo, sembri un maiale!”, mi ammonì lei, mangiando deliziosamente il suo Oden.

Iniziava a tornarmi antipatica – mocciosa, mocciosa e ancora mocciosa. “Non sono un maiale”, grugnii, esattamente come un bambino piccolo rimproverato dalla mamma. “E mangio come voglio”.

Lei sbuffò. “Certo, cagnolino. Fa’ pure come vuoi”.

Inarcai un sopracciglio, prendendomi una pausa dal piatto e fulminandola. “Non chiamarmi in quel nome. Lo detesto, Higurashi”.

“Oh, Taisho, come siamo suscettibili! E io che la credevo un po’ più intelligente di quel che sembrava… Mah, dovevo essermi bevuta il cervello”.

Ringhiai. “Mocciosa, smettila. È controproducente, farmi arrabbiare”.

Lei sogghignò, versandosi un bicchiere d’acqua. “Ho un nome. Usa quello, quando devi chiamarmi. E… Hai sete?”.

Sospirai. “Certo che sei assurda: prima ti arrabbi, poi diventi improvvisamente cordiale”, commentai, addentando un nuovo pezzo e osservandola confuso.

Smettila”.

“Come vuole lei, principessa”, ridacchiai, allontanando con un gesto frustrato i fogli e riconcentrandomi sulla mia pizza. Era assolutamente perfetta, e il suo odorino deliziava le mie narici. “In ogni caso, penso che tuo padre sia stato risucchiato da qualche buco nero: è un’ora che lo attendiamo, sai?”.

Mi lanciò un’eloquente occhiata di scuse – probabilmente, mi credeva giustamente infastidito dall’assenza paterna – e prese il cellulare dalla sua minuscola borsa. “Lo chiamo. Tu continua pure a mangiare, e alza il braccio, se hai bisogno di qualcosa. I camerieri sono un po’ ciechi, ma ti noteranno, prima o poi”.

Evitai battutine sul personale del locale, e la osservai allontanarsi.

Indossava una gonna bianca, che le arrivava alle ginocchia – esageratamente primaverile, per indossarla a Dicembre – e una maglia celeste. Nel complesso, un bel completino, anche se troppo angelico, per lei.

Ridacchiai. “Mocciosa”, mi ritrovai a mormorare, versandomi un bicchiere d’acqua.

Si stava impegnando molto, per quel lavoro. Suo padre era ogni giorno di più deciso a lasciarle la casa editrice, e lei sentiva terribilmente la pressione sulle spalle: doveva dimostrarsi all’altezza. Quel lavoro le piaceva – le era sempre piaciuto, da quel che mi aveva detto Miroku una volta – e non aveva intenzione di commettere gaffe. Desiderava rendere fiero di lei suo padre. E tutti quelli che le ripetevano il suo essere infantile.

Me compreso.

“Non può venire”.

Sobbalzai, alzando il capo e fulminandola. “Cosa?”, ululai, truce. “In che senso non può venire?”.

Kagome si sedette, massaggiandosi le tempie e mordendosi il labbro inferiore. Sembrava sull’orlo di una crisi di nervi – e io stavo contribuendo a spingerla. “Non ho capito bene, in verità. Credo che mi fratello abbia combinato qualcosa, però. Papà doveva andare a prenderlo”. Mi guardò, imbarazzata. “Scusalo. Davvero, papà ci teneva molto. Ha detto di terminare il pranzo in pace. L’appuntamento con lui è rimandato alla settimana prossima”.

“Ah”, borbottai, esasperato. “Beh, se la questione è grave, forse dovresti andare anche tu”.

Il suggerimento mi era uscito assolutamente in modo spontaneo, e mi domandai il perché dell’espressione sconvolta – e offesa – di Higurashi. “Taisho”, mormorò, tremando leggermente. “Stai tentando di sbarazzarti di me?”.

Bene.

Benissimo.

La sua aria frustrata lasciava intravedere un sottile strato d’isteria, e alzai gli occhi verso il soffitto, pregando i Kami di eliminarmi. “No. Certo che no, Kagome. Volevo solo darti un consiglio”.

“Scusami”, mormorò, sprofondando nuovamente nella sua sedia e gemendo. “Sono un po’ stressata, in quest’ultimo periodo. E me la sto prendendo stupidamente con te”. Affondò le mani nei capelli corvini, tentando di sistemarli, e poi si voltò nuovamente verso di me. “Beh, credo che non ci resti altro da fare che ordinare un dolce, no?”.

Annuii, conciliante.

Sforzandosi di mantenere la calma, sollevò nuovamente il braccio – tremava – e chiamò ad alta voce un cameriere: poteva avere sì e no vent’anni, e l’espressione avida con cui fissava Kagome mi indispettì. Fui tentato da sibilargli qualcosa, ma il tono con cui Higurashi gli si rivolse mi spinse a ghignare.

Era infastidita.

“Tu cosa prendi?”.

Sobbalzai, notando che la domanda era rivolta a me, e che non avevo seguito una singola parola del loro discorso. “Er… Un caffè”, borbottai, poggiando il Menù sul tavolo e spingendo via il piatto della pizza, ormai lucido e splendente.

“Un caffè?”, ripeté Kagome, mettendo in dubbio per l’ennesima volta i miei gusti culinari. “Dai, Inu-Yasha, non farti problemi ed ordina anche qualcos’altro”.

Sospirai. “Scegli tu per me, allora. Non ho voglia di decidere anche per un stupido dolcetto”.

La notai stringere le labbra in una morsa, e affilare lo sguardo – deglutii. Non me l’avrebbe fatta passare liscia. “Un caffè e due fette di millefoglie. Grazie”.

Vidi il cameriere appuntarsi l’ordine su di un logoro blocchetto, e congedarsi con un irritante sorriso.

“Inu-Yasha?”.

Espira.

Inspira.

Espira.

Inspira.

“Sì, Kagome?”, risposi, un enorme groppo in gola e la bocca arsa. “Qualche problema?”, aggiunsi, ostentando ingenuità.

“Sì, Taisho. Il mio problema sei tu”. Spinse la sedia indietro, in modo da avere più spazio, e coprì le labbra con una mano, tentando di ridurre al minimo il rumore dei suoi sussurri. “Come cavolo puoi essere così… poco reattivo? Sei sicuro di essere un hanyou?”, domandò, sottolineando il tutto con delle occhiatacce a dir poco inquietanti.

Mi ritrovai a fare cenno d’assenso col capo, indeciso se darmi alla fuga o chiederle scusa per una colpa sconosciuta. “Ehm… Mi spiace?”, dissi, più come una domanda che come una vera e propria affermazione.

Lei sospirò, afferrando malamente una mia ciocca di capelli e tirandomi verso di sé. Ridacchiò, quando la mia espressione divenne confusa. “Oh, cucciolotto, credo che tu abbia tante cose, da imparare. E comunque , dovrebbe dispiacerti”.

“E ci sarebbe anche un perché?”, chiesi infine, confuso – nell’aria s’era alzato un delizioso profumino di caffè. Immaginai che le nostre ordinazioni dovessero essere praticamente pronte – e non avevo intenzione di prolungare quella strana conversazione per tutto il resto del pranzo.

“Puoi arrivarci da solo”, mi liquidò lei. I suoi occhi cioccolata mi fulminarono. “In ogni caso, non preoccuparti. Non è nulla”.

Mi corse un brivido lungo la schiena, e ricordai una frase di una catena di e-mail – ovviamente inviatami da quel genio di Miroku – che parlava di ciò che deve far preoccupare noi uomini. In vetta, in prima postazione, in grassetto, la frase non è nulla detta da una donna.

Non c’era una vera e propria spiegazione.

Ma quella mail mi consigliava di temerla.

E aveva dannatamente ragione.

“Ahm… Oh, le nostre ordinazioni”, mormorai, voltandomi.

Un cameriere poggiò frettolosamente i nostri dolci sul tavolo, prima di porgermi la tazza di caffè. Kagome ringraziò, allegra; io mi limitai ad osservare critico la millefoglie.

“Buon appetito”, ringhiò Higurashi, afferrando una forchetta ed infilzando con rabbia la sua fetta. “E, ti prego, smettila di bere caffè. Fa male alla salute”.

Inarcai un sopracciglio. “Dovrei farne a meno?”, chiesi. “Ma la caffeina non mantiene svegli?”.

La osservai mentre masticava lentamente il boccone, e alzava nuovamente lo sguardo. “L’odore del caffè mi infastidisce: ti dà così fastidio, farmi un favore?”.

In quel momento mi resi conto che no, farle un favore non mi infastidiva.

E che la trovavo sempre più irritante.















*\* Ebbene, miei cari, salve.
ù.ù Il mio amato pc, due santissimi giorni fa, ha preso il Cavallo di Troia. -.-  Ho perso i file di Internet - non chiedetemi come, neppure i tecnici ne hanno idea - e altri programmi. Per fortuna non ha intaccato i miei elaborati di Word, ma sono stata anche priva di computer per due giorni. E il capitolo languiva, in attesa del mio arrivo. -.-''
In questo momento, non dovrei neppure essere qui. Dovrei uscire - a fare una commissione. ù.ù Ma il desiderio di aggiornare era troppo forte, e...
Niente, per quanto sia un capitolo piuttosto sciocco, ve lo presento comunque.
La frase finale - E che la trovavo sempre più irritante - è voluta: Inu-Yasha inizia a non capire più cosa sente, e tenta di autoconvincersi che non si sta innamorando di Kagome Higurashi. Ovviamente, lei non lo infastidisce più. Ma lui la trova comunque irritante.
Poi... Non so. Mimi-la-Mary-Sue come vi è parsa? XD Io continuo a trovarla tremenda. Ci ho messo dieci minuti buoni a idearla, eppure mi sa ancora di Miss Perfezione. E, ve lo assicuro, questo mi urta non poco. XD
Kagome non dà modo di capire i suoi pensieri, per quanto appaia frustrante agli occhi di Inu-Yasha, e persevera con il suo atteggiamento irritante. ù.ù A volte compatisco Inu-Yasha: noi donne sappiamo essere davvero tremende, non trovate? XD
Ehm... Non credo di avere null'altro da aggiungere. -.-'' Spero solo che il capitolo non sia stato poi così flop, e che l'abbiate letto almeno con un sorriso sulle labbra.
Ringrazio mille e più volte chi mi segue, e in particolare:
jessy je (ò.ò Una delle più brave del sito? Mi sopravvaluti!)
callistas (Ti ringrazio moltissimo! *.* Per la mia autostima, i tuoi commenti sono un'ottima medicina. ù.ù)
MyImmagination (XD Svenimento in atto, mi spiace!)
Gweiddi at Ecate (ItaHanaItaHanaItaHanaaaa! XD L'ho quasi finita!)
mikamey (ù.ù Sì. Mi dispiace, ma il cucciolone si è fatto investire XD)
demetra85 (^^ Maddai, figurati! XD Non preoccuparti per non aver commentato, sono felice di aver letto questa recensione! ^^)
pillo (ù.ù Sissignore. Un dannato camion l'ha investito)
kaggychan95 (ù.ù Eh, incidente stradale... Povero cucciolo!)
ryanforever (XD E' arrivato in orario, visto? E la moto è ancora intera! ... Forse)
HimeChan XD (ù.ù Ebbene sì. Investito)
Mary_loveloveManga (ù.ù Mi dispiace non aver inserito il ristorante nel precedente capitolo, ma avrei dovuto troncare tutto a metà, e queste cose mi piacciono poco... -.-)

Chiedo venia se non ringrazio per esteso, ma, come precedentemente detto, io non dovrei essere qui. -.-''
Ringrazio ancora chi aggiunge la storia alle preferite, perché aumentate sempre di più e questo mi rallegra! ^^
Baci, e al prossimo capitolo! */*

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Stress Continuo ***


BL5

The brothering life of a forced writer

Capitolo 4 - Stress continuo


*\* Mm... Capitolo breve.
Molto.
E' di transizione, in un certo senso, ma mi serviva, perché non ci si innamora in due minuti. Specie se si è stupidi come Inu. XD
In ogni caso, questo capitolo è un po' un regalo per voi, che mi seguite sempre costantemente, e mi aiutate ad andare avanti con i vostri fantastici commenti. ^^ Grazie. Davvero, davvero grazie.
Spero che questo micro capitolo vi piaccia, comunque. ^^ Baci, a dopo! */*


“Di tre cose ero sicuro: primo, Mimi non era più una Mary Sue. Secondo, una parte di Kagome – chissà quale, e quanto importante – mi dava sui nervi. Terzo, ero totalmente, incondizionatamente arrabbiato con lei”.

Miroku emerse lentamente dal mio divano, gli occhi sgranati e l’aria di uno che avrebbe preferito dormire per almeno altre dodici ore. Si sedette – piano, sino all’eccesso – e sospirò. “Inu-Yasha, scrivere la parodia di Twilight non ti aiuterà di certo a sfondare come scrittore, sai?”, borbottò, annuendo con fare grave.

Sbuffai.

Ma perché – perché? – quando l’avevo incontrato, non avevo chiamato la neuro?

E perché continuavo a parlare da solo?

Cazzo, Miroku, non volevo scrivere la parodia proprio di nulla”, grugnii, afferrando una bottiglia vecchia di tre giorni e trangugiando con ingordigia il liquido. Aveva uno strano sapore, ma non ci feci caso. “Piuttosto, sai perché la odio?”, domandai, sedendomi e alzando gli occhi al cielo, in attesa che quel retrogusto amarognolo di rivelasse veleno per topi.

Una settimana in ospedale avrebbe giovato alla mia salute, probabilmente.

“Ehm… Perché è più giovane?”, tentò lui, grattandosi il capo, indeciso. “O, forse, perché è maledettamente carina e non vuole dartela?”.

Scossi il capo, esasperato, e iniziai a muovere lentamente la bottiglia: il liquido trasparente si increspò, creando cerchi concentrici. “Perché non vuole farmi bere il caffè”.

“Come?”. Lo sentii ridere, e mi ritrovai ancora a domandarmi perché non l’avevo ucciso anni addietro. I suoi occhi celesti mi osservavano, divertiti, ed il volto era assolutamente frustrante. Aveva l’espressione compiaciuta di un bambino il giorno del suo compleanno, e mi costrinsi a non sferrargli un pugno. “Inu-Yasha, seriamente, perché sei arrabbiato con lei?”, domandò, incrociando le braccia e iniziando a canticchiare una vecchia nenia di quand’era bambino.

Te l’ho detto”, ringhiai, offeso.

Un conto era essere maniaco.

Un altro non ascoltarmi.

“… Eri serio?”.

“Sì”.

Miroku sbatté le palpebre, confuso. “Te l’ho mai detto che sei matto?”, mi chiese a bruciapelo, inclinando il capo di lato e afferrando una tazza fumante di tè – dall’odore, immaginai fosse alla pesca. Buono.

“No. Ma, se ci provi, temo che Sango non dovrà più preoccuparsi della tua indole maniaca…”, mormorai. Fissai poi compiaciuto la mia opera – il volto improvvisamente pallido di Miroku e il suo sorriso sornione improvvisamente sparito – e ripresi a parlare, finalmente tranquillo. “Non sopporto più Higurashi. E pensare che, se non avesse fatto quell’osservazione tremendamente irritante sul caffè, forse avrei potuto ritenerla simpatica”, borbottai, bevendo un nuovo sorso del liquido amarognolo e attendendo di svenire. O di vomitare.

Mi andava bene tutto, a questo punto.

Tutto, tranne il mio lavoro.

“Farai una brutta fine, se continui così…”, mormorò Miroku, passandosi una mano tra i capelli e sospirando.

Già.

Aveva ragione.

Il mio appartamento non era né particolarmente grande né particolarmente ricco.

Era poco più di un monolocale, con una minuscola stanza da letto ed un infimo angolo cucina. Il bagno era un buco dalle pareti azzurre.

L’avevo comprata con gli incassi del mio primo libro, e – ora ne ero certo – ci avrei passato tutta la mia vita. Dopotutto, trovare Kagome irritante – e rifiutarsi di lavorare con lei – equivaleva ad un licenziamento istantaneo.

Due anni prima, uno scrittore che aveva gentilmente declinato l’offerta di averla come correttrice di bozze – lei era appena all’inizio, e voleva imparare il mestiere – era stato licenziato. Dalle stelle alle stalle: su un giornale, avevo letto un breve trafiletto a lui dedicato. Il titolo era Defunto sotto i ponti.

“Non voglio essere licenziato”, biascicai a fatica. Alla fin fine, il mio lavoro non era poi così noioso, e i guadagni erano comunque decenti. Mi ero abituato a scrivere quella robaccia pseudo romantica, e l’orgoglio che mi suscitava essere riconosciuto per strada era comunque non indifferente. Kagome mi creava dei problemi – precisamente una fastidiosa stretta allo stomaco ed un inspiegabile desiderio di afferrarle una mano quando camminavamo l’uno accanto all’altro – ma avrei potuto resistere, almeno per un po’.

“Allora non contraddirla”.

Sospirai.

Dannato il giorno in cui l’avevo conosciuta!

E pensare che la mia prima impressione era stata quasi positiva: aveva sorriso, cordiale, porgendomi la mano e complimentandosi per il mio manoscritto. Era stata quasi professionale, e mi aveva gentilmente aiutato a trovare lo studio di suo padre.

Ma l’abito non fa il monaco, no?

“Ci proverò”, borbottai, gettando con rabbia il mio giaccone su di una sedia e trascinandomi stanco in cucina. Avevo ancora fame. Dopotutto, dopo pranzo avevo accompagnato la mocciosa in piazza, per raggiungere una sua fantomatica amica che non si era neppure degnata di venire. Così, mi ero ritrovato costretto a scortarla a casa – cavolo, con tutte le limousine in suo possesso, perché torturava me?

Aprii il frigo, infilando la testa al suo interno e cercando la fetta di torta che avevo lasciato.

“Mm. Qui non c’è”, commentai, osservando il primo ripiano. “Neppure qui”, aggiunsi, guardando i seguenti.

Mi sollevai, grattandomi il capo e cercando di fare mente locale: dove l’avevo messa?

“Cosa cerchi, Inu?”. La voce di Miroku giungeva distorta dal salone. Era tranquillo. Anche troppo.

“Ehi, idiota, per caso hai mangiato qualcosa?”, domandai. “Ad esempio, un’enorme fetta di torta al cioccolato nascosta dietro ad un pacco di cetrioli?”.

Ridacchiò. “Beh, sì. Avevo fame”.

Imprecai mentalmente. Avevo fame. La sua solita frase. Quante volte aveva divorato il mio pranzo, quando eravamo studenti, salvo poi scusarsi con quella solita menzogna?

E quante volte non l’avevo ucciso solo perché mi faceva pena?

Grugnii, afferrando una lattina di birra e bevendone un sorso avidamente: magari, combinata all’acqua col retrogusto amaro, poteva essere un drink mortale. Rest in peace, Inu-Yasha. Rest in peace.

Non era particolarmente fredda – l’avevo messa lì solo quella mattina – ma era ugualmente dissetante. Sospirai, poggiando una mano sulla parete e cercando di capire perché Kagome mi faceva un simile effetto: era carina, ma non particolarmente. Avevo avuto ragazze molto più belle, in passato. I capelli neri erano morbidi, ondulati, corvini, ma nulla di speciale. Io preferivo i capelli lisci e sottili, che scivolano tra le dita come acqua. Eppure, quando vedevo quella zazzera mora, l’inspiegabile desiderio di afferrarla con gli artigli mi assaliva, e dovevo impormi violenza, per non sfiorarla.

A volte mi capitava di arrossire, osservandola, ma, solitamente, verso di lei provavo semplice astio. Era una bambinetta irritante, dopotutto.

In ogni caso, lei non mi piaceva.

E dovevo evitare di pensare a lei.

Frugai nelle tasche, alla ricerca del foglietto sui cui la nuova Mimi era stata tracciata in quella calligrafia tanto banale quanto interessante. “Allora: Mimi è acida”, mormorai, uscendo dalla cucina e dirigendomi distrattamente verso il portatile. Non l’avevo spento, e la batteria era quasi deceduta – inserii rapidamente il caricabatterie nella presa, sorridendo alla scritta in carica.

“Acida?”. La domanda di Miroku proveniva dal divano, e lo osservai qualche attimo steso supino, le mani mollemente distese lungo i fianchi e l’espressione insonnolita.

Sospirai. Che idiota. “Sì, acida”.

“Mimi è la protagonista del tuo romanzo?”, chiese ancora lui, stavolta socchiudendo le palpebre e incurvando le labbra in un’espressione confusa. “Cioè… È la centralinista del numero porno?”, aggiunse.

Numero porno.

Ancora.

Mi morsi il labbro inferiore. Miroku era sempre lo stesso. Se avesse continuato così, avrei telefonato a Sango entro sera.

“No. Non è un numero porno, ricordi?”, sbottai, incrociando le braccia sul petto ed osservando indispettito la pagina bianca del computer, indeciso se ricominciare subito a scrivere o andare a farmi una doccia ristoratrice. Optai per ricopiare velocemente gli appunti – probabilmente, se avessi continuato a pensare a quella dannata Kagome Higurashi, li avrei strappati, salvo poi pentirmene amaramente. “In ogni caso, è stata la mocciosa, a ricreare la mia protagonista. Io avevo creato una Mary Sue, sai?”, aggiunsi, passandomi una mano tra i capelli color della luna.

Miroku ridacchiò, bevendo l’ennesimo sorso di tè alla pesca.  “Beh, Inu-Yasha, auguri!”, fu il suo divertito commento. Sollevò appena la mano, facendomi cenno di saluto, e si lasciò nuovamente scivolare sul divano, pronto a ricominciare a dormire.

“Grazie”, grugnii, pigiando un tasto ed alzando il capo verso il soffitto.

Il telefono nella tasca dei miei jeans bruciava. Sentivo quasi il numero di Kagome – salvato nella mia agenda personale – chiamarmi, e ringhiai. Dannata mocciosa.

Stava minando la mia già precaria saluta mentale.

Dannazione.

“Forse è meglio bersi un tè”, borbottai, alzandomi.

Non ce la facevo più. Semplicemente, non ce la facevo più.

Sospirai, allungando stancamente una mano verso la scrivania e afferrando malamente la confezione. Miroku non era mai stato particolarmente ordinato – adorava lanciare ovunque i miei averi. E, come in una caccia al tesoro al quale non volevo assolutamente partecipare, mi ritrovavo costantemente a cercarli ovunque. Spesso e volentieri senza alcun successo, tra l’altro.

Entrai in cucina lentamente, perso nei miei pensieri: Mimi, ora, era quasi perfetta. Forse avrei potuto metterle anche un bell’apparecchio vistoso, ma l’idea non mi attraeva granché. “Potrebbe solo diventare un mostro, così”, commentai tra me e me, lasciando che un rivolo d’acqua corresse nella mia teiera e poggiandola sul fornello. “Non voglio un mostro. Deve pur sempre essere carina”.

E poi…

Cosa doveva succedere?

Ad un tratto mi bloccai, una bustina di tè tra le dita e l’aria spiazzata.

Già. Cosa?

Shinji e Mimi s’erano incontrati. Shinji le aveva offerto uno stupidissimo lavoro, e lei, incredibilmente e stupidamente, l’aveva accettato. E ora? Come inserire il nuovo personaggio?

Mi morsi il labbro. Come?

“Bah. Perché non faccio chiamare Mimi da quello sfigato?”, mi chiesi, sogghignando: l’immagine della nuova Mimi, imperfettamente simpatica, che riceva una chiamata inquietante ad opera di un mostro spaventoso mi fece ridere, e sorrisi, sollevato.

Per fare quello – farli incontrare, far innamorare il mostro di Mimi-la-non-più-Mary-Sue, dare un minimo di spessore a quello sfigato di Shinji – ci sarebbero voluti almeno tre capitoli. Avevo ancora del tempo, per pensare al seguito.

“Inu-Yasha, dannato cretino, non senti il tuo cellulare?”.

Inarcai un sopracciglio, notando che il telefonino non era più nella mia tasca. Doveva essere scivolato mentre mi alzavo, e non l’avevo neppure notato. Bene. Ero più distratto di quel che credevo.

“Arrivo”, sbuffai, osservando la mia stupida teiera, intimandole con lo sguardo di non esplodere in mia assenza. “Piuttosto, spiegami perché non hai risposto tu. Solitamente lo fai”, sibilai scettico, spalancando rabbioso la porta della stanza e catapultandomi verso di lui con aria assatanata.

Sentii la risata di Miroku, ed il cellulare emerse dal divano. “Perché è Kagome-chan. Ovvio, no?”.

Sobbalzai. Un attimo di pace non mi era consentito, vero?







*\* ù.ù Inu-Yasha è leggermente più stupido di quel che sembrava, vero?
Comunque, sono felice di sapere che gradite questa fic. Non ci speravo affatto, giuro. ^^
RINGRAZIO:
Gweiddi at Ecate
Aryuna
callistas
pillo
mikamey
Kagome19
kaggychan95
HimeChan_XD
ryanforever
jessy je

Mille grazie per i vostri commenti!
^^ Se non ci foste voi, di sicuro non andrei avanti. Auguri di buon anno!
*P.S. Commentate, commentate, commentate! XD Supportatemi almeno oggi!*
^^ Baci a tutti! */*

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Partenza particolare ***


BL5

The brothering life of a forced writer

Capitolo 5 - Partenza particolare

“Come?”.

Sospirai, passandomi una mano tra i capelli e cercando di recuperare la dignità – quella stessa dignità che mi aveva abbandonato nel momento in cui Higurashi aveva terminato la chiamata. “Te l’ho già ripetuto dieci volte, Miroku. Non stressarmi più del dovuto”, ringhiai.

Lui rise, compiaciuto. “È così irreale, Inu-Yasha. Cioè… Qualche mese? Nella sua villa? Solo voi due?”.

Scossi il capo, chiedendomi per la ventisettesima volta in due minuti perché mai lui riuscisse a trovare doppi sensi in ogni cosa. Forse era una sua qualità speciale – qualità di cui tutti, senza esclusione, avremmo volentieri fatto a meno. “Io, lei, suo padre, suo fratello, sua madre, suo nonno e tutta la servitù di casa Higurashi. E solo finché non terminerò il romanzo”.

Era una stupidaggine, certo, ma la voce di Kagome – contenta, euforica, elettrizzata – mi aveva fatto desistere dal dirle no, grazie e spiegarle che non desideravo minimamente andare.

Dopotutto, non potevo negare un favore al mio capo.

“Posso farti una domanda?”, chiese ad un tratto Miroku, sorridendomi compiaciuto e allungando la mano verso la camomilla che mi ero appena preparato.

Sbuffai. “Me ne hai già fatte novantasette, Miroku”, borbottai frustrato. “Una in più non mi ucciderà. Almeno credo”, aggiunsi, mordendomi il labbro inferiore e ricominciando a contare sino a dieci, nel disperato tentativo di non lasciarmi andare di nuovo. E di non rompere nuovamente una tazza. E una teiera. E un cellulare.

Perché il padre di Kagome-chan ha deciso di invitarti a casa loro?”.

Era una domanda stranamente logica, se paragonata a quelle precedenti. Smisi di stritolare la dita della mano sinistra e mi voltai verso di lui. “Una casa editrice concorrente alla nostra ha trovato un nuovo scrittore – un certo Naraku. Stando alle informazioni trapelate, il tipo è bravo, e il libro che sta scrivendo – Scandali di una famiglia insospettabile – desterà sicuramente scalpore, dato che parla di un politico piuttosto conosciuto”.

“Ehm. Tu cosa c’entri?”.

“Ho un libro in cantiere, Miroku. Sono l’unico ad avere delle bozze. L’uscita del libro di Naraku è prevista tra sei mesi: il direttore spera che io riesca a terminare il mio elaborato in poco, così da poterlo mandare in stampa”, sorrisi, indeciso. Avevo sempre amato le sfide. Peccato odiassi quelle perse in partenza – da quel che mi era dato sapere, Naraku era bravo. Molto bravo. Scrivere un libro migliore del suo sarebbe stata un’impresa. “Ovviamente, ogni giorno passato a casa Higurashi mi verrà retribuito”.

Miroku aspettò qualche secondo, prima di sorridere e ricominciare a parlare: “Ah. Dunque vogliono metterti Kagome dietro come un cane di guardia”.

Un’affermazione tanto banale quanto logica.

Sbarrai gli occhi, conscio che quell’ovvietà – l’ovvietà appena pronunciata da Miroku – mi era sfuggita. E che avevo accettato di presentarmi in quella dannata villa senza rendermi conto che la piccola Higurashi mi avrebbe reso il soggiorno un inferno.

Mi diedi mentalmente dell’idiota, alzando lo sguardo verso il soffitto e maledicendo i Kami, così poco propensi ad aiutarmi. “Sì. Vogliono mettermi Kagome alle costole”.

Lui scoppiò in una fragorosissima risata, afferrando la mia tazza di tè e bevendola avidamente. “Non sembri così convinto, però!”, commentò, osservandomi compiaciuto.

“Ovvio”, fu la mia replica piccata. Continuavo ad udire la voce di Kagome nella mia mente, e la sua semplice richiesta. Continuavo a sentire i suoi lusinghieri ce la puoi fare!, e il pensiero che, alla fin fine, la sua presenza avrebbe potuto ispirarmi mi tormentava. “In ogni caso, ribellarmi sarebbe stato inutile. Mi toccherà farle da baby-sitter per un po’”. Annuii tra me e me, abbozzando un distratto sorriso.

“Ah”.

“Cosa c’è?”, domandai indeciso. “Qualche problema?”.

“Uhm. Sì. Un grande problema”.

Inarcai scettico un sopracciglio, ricordando che l’aveva già detto un mese prima, quando un povero criceto indifeso gli aveva morso il dito. “Quanto grande?”, domandai.

“Parecchio: se tu vai a casa di Kacchan… Io dove andrò?”.

Io dove andrò?

Ovvio. Lui sperava di poter restare ancora a casa mia, crogiolandosi sul mio divano ed attendendo una chiamata di Sango, magari disperata. Desiderava restare lì.

Senza di me.

“Tornatene a casa”, mugugnai, sollevandomi e camminando incerto verso il pc – la testa mi doleva, e mi domandai se terminare di ricopiare gli appunti o aspettare di essere a casa Higurashi. Non sapevo neppure come arrivarci, tra l’altro. Kagome era stata piuttosto evasiva, dicendomi che sarebbe stato facile, e che preoccuparmi non mi avrebbe giovato. “Non ho intenzione di lasciare il mio povero appartamento a te. Non quando rischio il licenziamento”.

“Ti prego”.

“Scordatelo”.

“Sono disposto a pagarti”. Inclinò il capo di lato, mordendosi il labbro inferiore, nella vaga imitazione di un cucciolo indifeso. Imitazione perfettamente fallita. “Sango potrebbe uccidermi”, aggiunse con tono grave. “Lo sai che è una furia. E io sono troppo debole per difendermi”.

Certo. Ridacchiai, ricordando l’ultima volta che lei l’aveva messo K.O., e poi ricominciai a fissare il pc. “No”.

Mi concentrai sul foglio bianco apparso sulla schermata, e scrissi velocemente i brevi appunti del ristornate, leggermente intontito. Il personaggio di Mimi mi piaceva. La trovavo simpatica, e scrivere su di lei si sarebbe certamente rivelato divertente.

Anche Shinji, alla fin fine, non era male: mi ricordava un personaggio dei manga, con il suo essere taciturno e con la sua forza spaventosa. Anche la descrizione fisica era quella – forse, l’avevo plasmato su di lui senza pensarci. In ogni caso, se l’avessi ben caratterizzato, probabilmente sarebbe divenuto un idolo per le ragazzine – e, ovviamente, io lo speravo.

“Miroku, secondo te, un personaggio sfortunatissimo potrebbe aver successo?”.

Lui grugnì, rigirandosi sul divano, palesemente offeso. “Paperino è un personaggio sfigato. Eppure, mi sembra che sia uno dei più amati di tutta casa Disney”, commentò isterico. La sua voce era un lamento continuo, ma, quantomeno, si era sforzato di rispondermi.

“Tanto hai le chiavi di casa”, commentai distrattamente, pigiando la lettera O di Orbo. “Non appena Sango ti scaccerà, tu tornerai qui. Lo sai bene”, aggiunsi.

“Mm. Mi stai dicendo di provare a riappacificarmi con lei?”.

Feci cenno d’assenso col capo, soprappensiero. Che nome potevo dare allo sfortunatissimo mostro?

“E, se dovesse tentare di uccidermi, potrei tornare qui, giusto?”, domandò con voce tintinnante, sedendosi di scatto e battendo le mani, come un bambino che ha appena capito come allacciarsi le scarpe.

“Sì”, mugugnai.

Potevo chiamarlo Miroku. Erano due scocciatori.

“Grazie, Inu-Yasha! Ti assicuro che non demolirò il tuo appartamento”, giurò esultante, balzando al mio fianco e leggendo avidamente il mio trafiletto. “I nomi si scrivono con la lettera maiuscola, sai?”.

Inarcai un sopracciglio – un sordo ringhio riempì l’ambiente circostante – e gli feci cenno di allontanarsi. Per il suo bene, ovviamente.

Lui si alzò, facendo qualche passo verso il mio povero televisore al plasma e allungando la mano verso il telecomando, deciso a gustarsi qualche ora di TV a mie spese.

“Il campanello…”, commentò, correndo all’ingresso.

Bah. Doveva essere il postino. O Rin.

Magari era Sango, accompagnata da Kohaku, suo fratello. Magari era venuta a riprendersi Miroku, in colpa per non averlo ucciso subito, e per avermi costretto ad accoglierlo. Forse voleva riprenderselo, perché le mancava.

Forse.

“Inu-Yasha! C’è Kagome!”.

Inspira.

Espira.

Inspira.

Espira.

Balzai in piedi, quasi gettando il mio portatile per terra – le mani mi tremavano, e avevo paura. Cos’era venuta a fare a casa mia? Non le bastava demolire la mia autostima ogni giorno?

“Ciao”.

Mi voltai verso l’ingresso – perfettamente a suo agio tra l’anta di legno e il muro, Kagome Higurashi era tornata alla carica. Forse non le bastava avermi incontrato per pranzo. E avermi parlato a telefono pochi minuti prima. “’Giorno”, borbottai, incrociando le braccia sul petto e sbuffando. “Cosa ci fai qui?”.

“Oh, beh, papà mi ha mandato a prenderti”. Alzò le spalle, come se la cosa non le importasse minimamente, e si avvicinò spedita al divano, sedendosi composta. “Bella casa”, fu il suo asciutto commento, mentre squadrava curiosa un quadro regalatomi da Miroku qualche anno prima.

“Grazie”, replicai, salvando i dati. “Non credevo avrebbero mandato te”.

“Ho chiesto io di poter venire. Dopotutto, sono la tua correttrice di bozze: hai bisogno di me, no?”.

Mi costrinsi a non scoppiare in una fragorosa risata – hai bisogno di me, no? – e le indicai svogliatamente il portatile, passandomi una mano tra i miei lunghi capelli argentei. Quel gesto, per quanto inutile, mi rilassava. “Sei capace di riporlo senza combinare disastri nel suo fodero?”.

Lei annuì, poggiando tranquilla la sua borsetta celeste e avvicinandosi a me. “Per chi mi hai preso?”. Afferrò malamente il mio borsone nero, e lo aprì. “Tu va’ a fare i bagagli. La limousine non ha trovato parcheggio, dunque ci aspetta ferma innanzi ad un cancello: non vorrei dovesse andarsene a causa di qualche poliziotto antipatico”. Mi rivolse un’occhiata eloquente, e mi fece cenno di andare.

Sospirai. “Miroku sa qual è la mia camera, se, per caso, dovessi aver bisogno di me”.

“Grazie”, commentò gentilmente.

“Di nulla”.

La stanza da pranzo era la camera più grande di tutto il mio appartamento. Ci vollero quattro enormi falcate per percorrerla tutta ed uscire – poggiato all’ingresso, Miroku mi osservava soddisfatto.

Stava canticchiando una di quelle canzoncine per bambine, una di quelle canzoni dal testo fisso in cui devi unicamente cambiare il nome dei personaggi, inserendo quelli dei tuo amici.

Una di quelle canzoncine in cui i personaggi chiave si sposano, vanno in luna di miele e poi hanno tanti bambini.

Ringhiai, incapace di replicare a parole, e mi limitai a superarlo, fingendo di non sentire i nomi Kagome e Inu-Yasha nella canzone.

Inspira.

Espira.

Inspira.

Espira.

Fra pochi minuti sarai fuori, Inu-Yasha, continuavo a ripetermi. Non c’è bisogno di ucciderlo.

Nella mente, il pensiero che lei, lì fuori, stava attendendo me mi mandava in panico: cosa avrei dovuto fare? Aprire le finestra e fuggire?

Non era nel mio stile. E poi, dovevo scrivere un libro. Dovevo dare la vita a Mimi, a Shinji e al mostro sfigato. Dovevo.

La scrittura era un modo come un altro per liberarsi – e io necessitavo di questo. Necessitavo di mettere su carta le mie impressioni, e di inventare storie che, lo sapevo bene, sarebbero state lette da altre persone. Storie che poi sarebbero state giudicate da qualcuno che non ero io, e che, magari, sarebbero potute diventare importanti.

Odiavo il mio lavoro, ma amavo la sensazione che si prova scrivendo.

“Ehi?”.

Kagome mi osservava divertita, il fodero del mio portatile in una mano e la sua borsetta nell’altra. “Cosa c’è?”, chiesi confuso, affrettandomi a nascondere insieme agli altri abiti il paio di boxer che avevo in mano.

“Hai bisogno di aiuto?”. Senza neppure attendere la mia risposta, si avvicinò, prendendo una maglia dall’armadio e piegandola, calma. “Sei un frana”, fu il suo divertito commento, notando il caos che regnava sovrano nella valigia.

Io risi, accondiscendente. “Sì. Ma, dopotutto, non sono abituato a viaggiare”, spiegai in mia difesa.

“Neanch’io, se è per questo”.

Scossi il capo, incredulo. “Non ci credo”.

“Credici”. Poggiò una mano sul petto, all’altezza del cuore. Poi sospirò, riprendendo a sistemare i miei vestiti. “Papà è abituato a viaggiare. Io sono abituata a stare a casa, con mamma, e a badare a mio fratello: non sono viziata come sembro”, sbottò, in risposta alla mia occhiata bieca.

“Oh, bene”, riuscii solo a dire, leggermente sconvolto. Ero così abituato a considerarla una mocciosa che aveva ricevuto tutto dalla vita da non averla mai considerata umana. “Hai qualche idea per lo sfigato?”, borbottai ad un tratto, tentando di rompere il silenzio.

Lei fece cenno d’assenso, lasciando andare il jeans che aveva cercato di piegare e avvicinandosi cospiratrice. “Sì”.

Non potei trattenermi dal guardarla confuso. Poi sospirai. “Non osare propormi una relazione yaoi solo perché voi donne adorate questa cose”, la ammonii.

La sbatté le palpebre. “Sei impazzito?”, mi domandò con voce flebile.

“No. Voi ragazze vedete questo genere di relazioni sempre e comunque. Ma sappi che Shinji si innamorerà di Mimi”. Presi fiato, deciso. “Per lo sfigato creeremo un nuovo personaggio”.

Rise.

Si gettò sul mio letto – il mio letto matrimoniale, vecchio di qualche anno – e continuò a ridere, palesemente divertita dalla mia affermazione. Quando si sentì leggermente meglio, alzò lo sguardo verso di me, lasciandosi andare in un ultimo gemito compiaciuto. “Io volevo appunto proporti una relazione tra Shinji e Mimi, non tra il mostro-sfigato-e-orbo e lo shinigami!”. Si portò una mano alle labbra, cercando finalmente di nascondere il suo sorriso raggiante.

Mi sentii un idiota. Di nuovo.

“Bene. Sono felice di saperti concorde”.

“Sì…”.

“In ogni caso, se a te non spiace, vorrei dare un po’ di spessore anche al mostriciattolo. Mi sto abituando all’idea di scrivere su di lui”, biascicai, imbarazzato. “E… Hai in mente un nome per lui?”. Stavo cercando di cambiare discorso, e di non tornare sulla mia tremenda gaffe – perché avevo detto quella stupidata sullo yaoi?

Solo perché tre quarti delle ragazzine mondiali guardano i loro amici maschi in cerca di relazioni su cui fantasticare?

“Un nome?”. Si morse il labbro inferiore, prendendo un cuscino tra le dita e giocherellandoci. “Mm. Non so. Ci vorrebbe un nome carino”.

“Giusto”, concordai sollevato.

“Mm. Che ne dici di Haruka?”.

“Non mi piace”.

“Hitoshi?”.

“No”. Sbuffai. “Dopotutto, lui comparirà solo nel secondo capitolo. E solo telefonicamente. Non credo sia indispensabile dargli sin d’ora un nome”.

Lei annuì, con aria rassegnata, e chiuse ermeticamente la mia valigia, regalandomi un sorriso compiaciuto. “Allora, signor Yaoi, è pronto a visitare l’abnorme villa Higurashi, sede in cui proliferano fantasmi e mostri d’ogni sorta”.

Deglutii – ero perfettamente conscio del suo tono divertito, ma la prudenza non è mai troppa. E, con Kagome, era meglio non scherzare. “Non vedo l’ora, signorina Yuri”.

Lei si voltò piccata, dandomi un pugno sulla spalla ed uscendo dalla mia stanza a grandi passi, il volto deformato in un’espressione sdegnosa. La mia affermazione doveva averla offesa.

Afferrai la valigia con un gesto frustrato, affrettandomi a seguirla: era innanzi all’ingresso, furibonda, il mio portatile delicatamente stretto tra le sue grinfie ed un’espressione truce sul volto.

Sperai di non morire prima di giungere in casa Higurashi.

“Ragazzi, divertitevi!”, ci salutò cordiale Miroku, sollevando un bicchiere di Coca Cola, sbucato fuori da chissà dove.

Io lo fulminai, irritato. “Divertirmi…?”, ripetei in tono scettico. “Non credo sia possibile”.

“Ovvio. Sei un disfattista, Taisho”, sbuffò Kagome, battendo un piede sul pavimento, per lasciarmi intravedere la sua palese irritazione. “E, ora, credo sia meglio andare”.

“Ah. Già. La limousine”, commentai, sbuffando.

Lei sorrise, prima di aprire l’ingresso e sgusciare all’esterno. “Bravo cucciolo”.

Poi scomparve lungo la rampa della scale. E io la seguii, confuso – forse ero davvero un cagnolino. E la cosa mi indispettiva non poco.




*\* Awh! Ci ho messo un'eternità, ma, finalmente, sono riuscita ad aggiornare!
Uhm. Non è totalmente di transizione, questo capitolo, ma non siamo neppure nel vivo della storia. Semplicemente, InuYasha - poverino! - è stato costretto a trasferirsi a casa Higurashi.
Ora vi starete chiedendo: ma questa casa editrice a normale?
... No. Non è affatto normale. Tutt'altro: è una casa editrice strana. ù.ù Chiedo dunque venia alle case editrici reali che si sentono diffamate dal mio elaborato.
Coooomunque: oggi sono piuttosto euforica. Non so perché, ma sono euforica.
Dedico questo capitolo ad Elisa - è grazie a lei se è nato! XD - e a Susi. Mi ha sconvolta inserendo la mia storia tra le preferite, e, soprattutto, facendomi i complimenti: dovevo ringraziarla in qualche modo. Era più forte di me. ù.ù
RINGRAZIO:
callistas [XD No, guarda, la professoressa di Italiano voglio farla da grande. ù.ù Per ora, è solo la mia più grande ambizione. Poi... ò.ò Ma davvero ti sto facendo riconsiderare la Kagome perfetta? ò.ò Wow. Questo mi fa piacere, giuro. ù.ù Ecco, ora mi hai resa allegra. E lo sarò tutta la serata. XD]
demetra85 [XD No che non rompi le scatole! Tutt'altro: di' tutto quel che vuoi. ^^ Io adoro leggere i commenti, mi spronano.]
kirarachan [ù.ù Sette anni sono pochi, ma lui è un baka e non lo capisce. Poi... Sì. Hanno letto Twilight. E gli è piaciuto... XD]

Himechan XD [XD INUYASHA E' BELLA SWAN, IN REALTA'! XD No, è solo pazzo. ù.ù]
mikamey [ù.ù Ovvio che voglio farvi morire di curiosità... XD No, scherzo, è solo che preferisco non mettere tutti gli avvenimenti in un capitolo, ma diluirli. E questo capitolo è valso l'attesa, spero. XD]
Gweiddi at Ecate [ù.ù No che non è uno sfigato! Shinji è il prototipo del mio uomo ideale, Elisa! XD In ogni caso... Eh sì. Il precedente era totalmente di transizione. Ma questo no. XD E hai visto cos'ha combinato Kagome? L'ha praticamente rapito! -.-'' Povero lui. A volte mi fa pena - poi mi ricordo di tutto quel che ha combinato, e ricomincio a ridere, sadica. XD Mm... Nel testo c'era una frase di InuYasha in particolar modo rivolta a te: l'hai notata? XD]
pillo[ù.ù Hai visto cosa dice la cara Kacchan? XD Si è data da fare: terrà con sé il caro Inu per un bel po'... XD]
kaggychan95 [ù.ù In LDC era complessato. Ora è impazzito. XD Lo tratto malaccio, eh? XD Tra parentesi: sono felice di sapere che la storia risulta ironica, perché è così che doveva essere! XD]
jessy je [ù.ù Miroku è un simpatico rompiscatole, non trovi? XD]
ryanforever [^^ Felice che l'accenno a Twilight sia stato di tuo gradimento: l'ho inserito così, senza pensarci. XD Credevo avrebbe infastidito i lettori, più che divertirli! XD]

ù.ù Grazie mille a tutti voi che commentate, a quelli che hanno inserito la storia tra le preferite e a quelli che mi seguono semplicemente. ^^
Vi adoro! XD E... Alla prossima - sperando sia presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Se la ragazzina irritante infastidisce... ***


BL

The bothering life of a forced writer

Capitolo 6 - Se la ragazzina irritante infastidisce...

Nulla è intelligente o normale finché qualcuno non ne scrive.

Ma quando qualcuno lo fa, diventa ovvio.

[Susi – 18/01/08]

 

 

Ero nella villa Higurashi da un giorno.

Un misero giorno.

Eppure, stavo già impazzendo.

Appena varcata la soglia dell’enorme palazzo, mi ero flaccidamente guardato intorno, sopprimendo uno sbadiglio nella mano. Kagome, invece, mi aveva sorriso, avviandosi a passo spedito verso l’ingresso.

Forse, dal numero spropositato di domestici, avrei dovuto rendermi conto che c’era qualcosa di strano. Le loro occhiate curiose, poi, avrebbero dovuto quantomeno mettermi in soggezione.

Invece nulla. Avevo sospirato, e l’avevo seguita.

Ovviamente, la situazione era divenuta improvvisamente insostenibile.

Sota – il fratellino minore di Kagome, un mostriciattolo dai capelli neri e gli occhi del medesimo colore di quelli della mocciosa – mi aveva tremendamente preso in simpatia. Sul serio. Saltellava dietro di me, euforico, lanciando urletti di apprezzamento ogni qualvolta gli dicevo gentilmente di farsi un giro, e torturandomi, tentando di convincermi a giocare stupide partite a play-station con lui.

Rifiutarmi era pressoché inutile: strano a dirsi, ma quel bambino era tremendamente persuasivo.

Davvero. Mi osservava con i suoi enormi occhi nocciola da bambino, e mi implorava.

E io cedevo.

Mi ero ritrovato ad impersonare un mezzo demone medievale senza sapere né il come né il perché, e a lottare contro nemici immaginari per la conquista di qualche strano gingillo di cui l’utilità mi restava ancora nascosta. E a dare nomi quantomeno assurdi a tutto ciò che ci circondava.

Ero terrorizzato. Esageratamente terrorizzato.

Fortunatamente, Kagome aveva ritenuto d’obbligo venirmi a cercare, e trascinarmi con sé, lontano da lui – per la prima volta, avevo provato riconoscenza verso la marmocchia. E mi ero ripromesso di stare lontano da quel dannato bambino.

Come se non bastasse, suo nonno, un vecchio sacerdote shintoista a cui mancava di certo qualche rotella, cercava di esorcizzarmi con amuleti privi di potere spirituale: mi ero ritrovato costretto a controllare che il mio cibo fosse privo di veleno – la prima cucchiaiata di minestra da me ingerita mi aveva quasi mandato in coma – e a scansarmi di continuo, dovendo poi applicarmi per afferrare il vecchiaccio prima che si rompesse qualche costola.

Probabilmente, aveva pensato di eliminarmi come, secoli prima, i sacerdoti eliminavano i demoni: con il suicidio. O qualcosa di simile.

Prima di addormentarmi, oltre ad aver scoperto di aver raggiunto il mio nuovo record di tic nervosi in un giorno, ero giunto ad un’unica, drammatica conclusione: gli Higurashi erano pazzi. E dovevo cercare di stare il più possibile lontano da loro.

“Trovato un nome per il mostro sfigato?”.

Kagome – l’unica con cui riuscivo a parlare senza provare l’irrefrenabile impulso di fuggire – si era avvicinata, osservando curiosa la schermata del mio pc. Probabilmente, desiderava leggere il primo capitolo, che le avevo promesso di iniziare.

E che, ovviamente, non aveva ancora visto la luce.

“Bah, in realtà no”. Indicai svogliatamente il fumetto innanzi a me. “Sto cercando idee”, dichiarai. In effetti era vero: i manga, solitamente, mi davano idee – non sempre per i miei libri, ma questo era un dettaglio.

Lei annuì, comprensiva. “Eru ti piace?”.

“Eru?”.

“Me l’ha suggerito Sota”. Alzò le spalle, iniziando a giocherellare distrattamente con una ciocca di capelli, rea di esserle ricaduta sul volto. Poi sospirò. “Io credo vada bene. Dopotutto, è un nome semplice, breve e d’impatto”.

Eru”, ripetei – sì. Alla fin fine, quel nome così banale stava benissimo al mostro-orbo-e-sfigato. “Credo sia perfetto”, biascicai, iniziando a scrivere.

Lei gongolò, divertita. “Immaginavo l’avresti amato”, concluse con aria saccente, allungando il collo per osservare meglio lo schermo.

Ero così euforico da non rendermi conto di quel che stava facendo. E di quanto mi fosse dannatamente vicino. “Mm. Allora: abbiamo i nomi. Ora dobbiamo delineare decentemente la trama”, commentai, preparandomi a scrivere.

Kagome sorrise, poggiando una mano sulla mia spalla, in modo tale da non cadere. “Allora. Mimi è una sottospecie di piccolo genio, giusto?”.

“Sì”.

“E viene chiamata in direzione, per un motivo a lei sconosciuto”.

“Ma qui non c’è il preside”, finii per lei, annuendo. “C’è invece Shinji, comodamente seduto sulla poltrona, che osserva placidamente la porta”.

“Perché lui la stava attendendo”.

“Esatto”, dichiarai, buttando giù quello che avevamo deciso. Era poco. Pochissimo. Ma era pur sempre un inizio. “Mimi crede che sia uno scherzo, o qualcosa di simile, ma non si scompone più di tanto, preferendo restare in silenzio”.

Lei mi guardò con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli corvini, decisa a ravvivarli. Poi afferrò la mia stilografica, e iniziò a disegnare qualcosa su di un foglio. “Shinji è una persona pacata e tranquilla. Le spiega, vagamente divertito, tutta la situazione”. Alzò appena gli occhi dal foglio. “Mimi lo trova irritante”.

“Molto irritante”, confermai, scrivendo anche questo. “Ma, sebbene ritenga tutto ciò uno scherzo, accetta il lavoro, perché la curiosità è donna”.

“Maschilista”, fu il piccato commento di Kagome – mi diede una gomitata, per poi farmi una linguaccia e riprendere a disegnare. “In ogni caso… . Lei è curiosa. E accetta”.

“Bene”.

La scena si era perfettamente delineata nella mia mente.

Ogni particolare – per quanto infimo e inutile – aveva fatto il suo ingresso tra i miei pensieri: Mimi che si passava una mano tra i capelli, Shinji che la osservava curioso, lei che si chiedeva cosa lui volesse da lei, la voce di Shinji, bassa e melodiosa, che le spiegava superficialmente il termini dell’accordo.

E poi il sorriso di Mimi, e la pelle pallida di Shinji.

Tutto, inevitabilmente, era nato.

Dovevo solo scriverlo.

“Inu-Yasha, secondo te, Eru potrebbe mai innamorarsi di Mimi?”.

“Sì”, risposi senza neppure pensarci. “Lui l’ha chiamata per farsi consolare: la sua ragazza – una strega – l’ha appena lasciato, i suoi studi stanno andando a rotoli, il suo lavoro fa schifo e i suoi genitori sono sul punto di divorziare. E lui è orbo”.

“Non è un po’ troppo complessato?”.

Io scossi vistosamente il capo, i lunghi capelli d’argento che fendevano l’aria nella stanza. “Nah. Gli emo vanno forte, no?”.

“Uhm. Sì, forse hai ragione”. Mi sorrise, osservando nuovamente la schermata. “Allora: Eru finisce con l’innamorarsi dell’imperfetta Mimi, poiché questa l’ha consolato dopo che il piccolo emo è stato mollato dalla sua ragazza”.

“Sì”, asserii. “Infatti, lei è un fantasma di una cortigiana…”.

“Inu-Yasha?”.

“Sì?”.

Mi guardò bieca. “Cortigiana in che senso…?”.

“Er. Nel senso che si dava al termine a Roma secoli fa”, mugugnai, pronto a ricevere uno schiaffo – ovvio, le avevo appena proposto di inserire il fantasma di una prostituta nella storia. Arrabbiarsi era lecito.

“Idiota”, fu il suo secco commento, mentre mi osservava battere gli ultimi appunti. “Comunque, lui si innamora di lei”.

“E lei non lo sopporta”.

“Sì. Perché lui le sembra un ragazzino viziato, complessato e sin troppo immaturo. E lei cerca un uomo vero”.

Risi. “Non è che ti stai immedesimando un po’ troppo nel personaggio?”, la schernii, spingendola appena di lato. Kagome si limitò a guardarmi esasperata, e a prendere dalla scrivania un blocchetto per appunti.

“Secondo te, quanto impiegherai a scrivere questo libro?”.

“Non so”, risposi evasivo. “Spero di metterci poco. Ma potrebbero volerci decenni”.

“Ah”. Inarcò un sopracciglio, poggiando il capo sulla mia spalla e sedendosi cavalcioni sulla sedia.

Sobbalzai.

Il suo seno era premuto contro la mia schiena. E la situazione era palesemente imbarazzante.

“M-Mi sbrigherò, comunque”, mugugnai. Dannate situazioni imbarazzanti – in momenti come quelli, non sapevo mai che fare. Deglutii, scribacchiando il resto della mia idea, incapace di esprimermi a parole.

“Il congiuntivo”, mi rimproverò lei, serrando le sua mani intorno alle mie braccia, e soffiando il suo commento nel mio orecchio. “Non indicativo. Congiuntivo”.

Offenderla non sarebbe stato né cortese né intelligente, ma lo desideravo. Dèi, avrei pagato oro per poterla insultare, allontanare e privare del suo nuovo giocattolo – ovvero, io.

Kagome era viziata. Inutile negarlo.

Finiva con l’adorare le novità, col trovarle eccitanti. Poi, però, si annoiava: probabilmente, mi avrebbe appallottolato in un angolo prima della fine della settimana, annoiata dall’acidità di Mimi e da Shinji-il-semi-super-eroe-moderno.

Forse solo Eru avrebbe continuato a vivere nel suo cuore: quando diceva quel nome – Eru! – le si illuminava il viso.

Chissà!, forse era il nome del suo ragazzo…

“Ehi, sei vivo?”.

“Sì”, mormorai, brusco. “Sei pregata di non disturbarmi, quando penso”.

Scivolò velocemente all’indietro, sistemandosi meglio sulla sua sedia, le braccia incrociate sul petto e gli occhi bassi.

No, non ditemelo: non poteva piangere.

Cioè… No. Non doveva!

“Er. K-Kagome?”.

“Sì…?”.

“Kagome, smettila di piangere”.

Sollevò il capo – come avevo previsto, gli occhi erano palesemente bagnati – e mi fulminò, arrabbiata. “Non sto piangendo, scemo”, sibilò. “E sei pregato di non trattarmi come una bambina”.

“Perché, ovviamente, tu sei grande, vero?”.

Ok. Ero stato acido. E antipatico.

Ma lei era fastidiosa. E io ero frustrato. E avevo sonno.

Mai – e sottolineo il mai – disturbarmi, quando ho sonno. Divento irritante.

“Sono certamente più grande di te”.

Sbarrai gli occhi, indeciso. “Kagome, ho sei anni più di te: dunque, sono sicuro di essere più grande di te”, commentai, divertito.

Lei inarcò un sopracciglio, scettica. Poi si sistemò meglio. “A livello anagrafico, sì. Per ciò che concerne la maturazione intellettuale…. Non credo”.

“E perché mai?”.

Kagome rise. Rise, come se la cosa fosse così ovvia da farmi passare per idiota. Rise più per sfida che per vero divertimento. E poi si voltò verso di me, ghignando. “Io so scrivere cannuccia, ricordi?”.

Uhm.

Colpito. E affondato.

“Non sai controbattere, vero?”.

Grugnii, dandole le spalle e afferrando il portatile, con il deciso intento di nascondere la schermata dalla sua vista. “Sei estromessa dal terminare la stesura della trama. Almeno per oggi”, borbottai. Mi sentivo come Shinji – desideroso di dare una lezioncina a quella mocciosa irritante che non faceva altro oltre ad insultarmi o infastidirmi.

“Che cosa?”, sibilò lei, gesticolando. “Non puoi farlo!”, mi ammonì infine, battendo una mano sulla scrivania. “Non è giusto, non puoi cacciarmi solo perché sei un idiota, Inu-Yasha”, affermò risoluta.

Sbuffai. “Non sono un idiota. E mi disturbi”. Mossi la manca, facendole cenno di uscire.

E lei, irritata, si alzò.

“Mm. Fammi indovinare: stai per dire qualcosa tipo Te la farò pagare?”.

Higurashi scosse i lunghi capelli neri, avvicinandosi a me. Si abbassò giusto un po’, il minimo indispensabile per guardarmi negli occhi. Poi sorrise. “Diverrò così indispensabile, Inu-Yasha, che finirai col implorarmi di lavorare per te. Ma, quel giorno, io starò facendo altro”.

Ridacchiai. “Starai giocando con le bambole?”, chiesi sarcastico, avvicinandomi a mia volta al suo viso.

Uhm. La pelle era diafana. Nessun impurità, nessun neo, nessuna peluria. Una pelle molto, molto carina.

“Ehm. Inu-Yasha, cosa stai fissando?”.

Scossi il capo, indeciso se risponderle o fingere indifferenza: avrei potuto inventarmi qualche bugia, ma non ero mai stato granché portato, e avrei fatto la figura dell’idiota.

Di nuovo.

“Comunque, baka dei miei stivali, io vado. Divertiti a creare Mary Sue, mi raccomando!”.

E poi – come se nulla fosse – sfiorò banalmente le sue labbra con le sue.

Deliziosamente e lentamente.

Un bacio della morte, senza dubbio.

Argh!

“Kagome!”, ululai, fissandola esasperato. “Vuoi davvero uccidermi?”. Iniziavo a temere per la mia stessa esistenza, e quegli enormi occhi nocciola non facevano che terrorizzarmi oltre ogni dire.

Ridacchiò, voltandosi verso l’uscio e facendo qualche passo in avanti. “Sta’ certo, Inu-Yasha, che questa battaglia la vincerò io. Ad ogni costo”.

E la porta si chiuse.

Bene.

Gli Higurashi erano in tutto cinque.

Il nonno malato di mente, il quale desiderava ardentemente vedermi morto.

Il fratello cretino, ovvero l’unico moccioso capace di terrorizzarmi con una sola occhiata.

Il padre, del quale mai avrei potuto parlar male, se desideravo preservare il mio posto di lavoro.

La madre sin troppo premurosa, che aveva lasciato ampiamente intendere di adorarmi.

E, dulcis in fundo, la psicopatica, alias Kagome Higurashi.

Bene.

Probabilmente, avrei fatto bene a chiamare l’ospedale: entro il fine settimana – me lo sentivo! – avrei di certo avuto bisogno di un’ambulanza…

*\* Uhm.
Ho... aggiornato? ò.ò Sul serio? Davverodavverodavvero?
... Sembra di sì. Il che è tutto dire: non avevo granché voglia di scrivere, e ho continuato a rielaborare le prime cinque righe del capitolo per almeno una settimana, rischiando il linciaggio da parte di Susi. ù.ù
Ma ora sono qui.
Ok: questo capitolo è penoso.
Serviva per delineare la trama del libro - un po' si è delineata, no? ò.ò - e perché Kagome... Argh. Quello che combinerà non dovete saperlo. Ma credo di aver lasciato intuire che, se all'inizio era irritante, ora farà ben peggio. ù.ù BL è appena iniziato, in un certo senso...!
Poi. Tra i vari motivi per cui non sapevo cosa scrivere, c'è di certo stata una motivazione che i miei seguaci (Leggi: I santi che mi sopportano su msn) sanno: ho vinto un contest! *.* Io! *.* Senza sapere né come né perché! XD
Da quando ho letto i risultati, sono stata in uno strano periodo di beatitudine: sorridevo, ridacchiavo, scrivevo originali... E BL prendeva polvere. -.-''
Dedico il capitolo a Susi. Se non mi avesse minacciata - e lo ha fatto - io non avrei scritto nulla. XD
Susi, grazie mille! (_ _) E scusa se ho usato una tua frase come citazione! (_ _'')
RINGRAZIO:
demetra85
(XD Tu in leggero ritardo? Maddaiiii! XD Quella sono io. ù.ù Sono felice di sapere che ti piace il mio stile, dato che mi impegno molto per buttar giù qualcosa di decente. *.* E spero che il capitolo sia stato di tuo gradimento!);
callistas (XD Non credo che riuscirò mai ad ottenere un po' di autostima: passo pomeriggi interi su msn insieme a scrittrici che adoro, le quali mi riempiono di complimenti, eppure non riesco a reputarmi brava. ù.ù Forse, è una mia caratteristica. XD Scusami per il ritardo con cui è arrivato il capitolo, comunque, ma ho avuto problemi d'ispirazione. -.- E mi succede spesso, quando devo essere interrogata);
kaggychan95 (ò.ò Tesoro, Stefy, cos'è successo? ò.ò Devi farmelo sapere, perché ora mi sto preoccupando. E credo tu sappia cosa succede quando mi preoccupo, no?);
MyImmagination (*.* Oh. Grazie, grazie, grazie e ancora grazie. I tuoi commenti aiutano sempre la mia autostima. ç.ç Il che è tutto dire, non trovi? XD);
mikamey (ù.ù Uhm. Inu all'ospedale? XD Penso che la sua ultima frase abbia lasciato largo spazio all'immaginazione. XD Non credi?);
pillo
(XD Secondo me, dovrei darmi al comico: ogni qualvolta scrivo qualcosa di divertente, tutti ridono. ò.ò Non so se di me o del lavoro, però! XD Spero che questo capitolo non sia stato da meno, bacioni! XD);
okkiverdi (Felicissima di sapere che la storia ti piace. (_ _) Non mi considero granché come scrittrice, dunque i complimenti mi rendono sempre molto felice: spero continuerai a leggere e commentare! ^^ E spero di non averti delusa con questo stranissimo capitolo. XD);
Gweiddi at Ecate (ELISAAAA! *.* Ma ciao! ù.ù Susi mi fa paura, in quei momenti. ù.ù E... XD Quanto è idiota questo capitolo? QUANTO? ò.ò Molto, nevvero? ò.ò Eru si è sviluppato un filino di più, e questo dovrebbe essere un bene. ò.ò Kagome ha dato il bacio della morte a Inu, e questo è... un bene? ò.ò Bah. Io sono malata di mente, e ho guardato troppo Ranma 1/2. -.-'');
_ayachan_ (TeeeesHoro! XD Io ho l'età che dico di avere, anche se sembra assurdo. ù.ù E... KYAH! *.* Amo la tua recensione! *.* Anzi!, più di amo... Uhm. *.* Vabbé, ti basti sapere che l'ho gradita un mondo. *.* E che spero che questo capitolo non ti abbia fatto troppo schifo. ._. Il che, a mio parere, è inevitabile. -.-'' Ringrazio sempre anch'io *QUEL* sito e *QUELLA* recensione, perché sono felicissima di averti conosciuta. *.*);
ryanforever (ù.ù InuYasha è sempre più stupido: visto quel che ha combinato or ora? XD);
Himechan XD (XD Perché non dovrebbero piacerle le yaoi? Daiiiii, Kagome è Kagome. ù.ù E InuYasha, ahimé!, è InuYasha. XD E ora che ho dichiarato le ovvietà, vado via XD).

ù.ù Grazie mille anche a coloro che inseriscono la storia tra le preferite: che ne dite, però, di commentare, prima o poi? XP
Alla prossima, che spero sia presto! XD

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Perplessità - Pazza sì o pazza no? ***


BL8

The bothering life of a forced writer

 

 

*\* Ebbene, so perfettamente di aver fatto ritardo, quindi vi chiedo di non uccidermi.

Non ora, almeno. ç.ç

Leggete prima il capitolo, poi ne riparliamo, ok? XD */*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Crisi d’ispirazione?”.

Sollevai – appena, controvoglia – il capo, indeciso. Kagome era lì, in piedi, stretta in una camicetta e una gonna di jeans, pronta a deridermi al minimo accenno di debolezza. Decisi che darle corda era profondamente sbagliato, e ricominciai la stesura, più demotivato di prima.

“Crisi d’ispirazione?”, ripeté per la sedicesima volta in due minuti, sistemandosi una ciocca di capelli corvini che le era scivolata sul volto. Si era truccata – appena, senza esagerare –, e mi osservava, come un bambino osserva una scimmia allo zoo. Con profondo interesse, dunque.

Grugnii, per farle capire che ero vivo, e digitai due lettere, prontamente sottolineate da una linea rosso fuoco.

Cavolo!, lo so perfettamente che Mimi non vuole l’accento sulla ì, cosa crede questo dannatissimo aggeggio?

Ho solo pigiato per errore il tasto sbagliato – dopotutto, la i e la ì distano poco sulla tastiera, no?

“Inu-Yasha, eludere i tuoi problemi non li risolverà di certo”. Con aria saggia si sedette sulla mia scrivania, accanto al portatile, ed incrociò le braccia sul petto, per ricavare un’aria seria et professionale che non le si addiceva granché. Aveva i capelli troppo morbidi, per sembrare una maestrina.

E l’aria troppo perfida per dispensare consigli.

“Non li risolve, ma, almeno, non mi costringe a pensarci”, borbottai, irritato. “Dopotutto, non sarei in questo pasticcio, se tu non scegliessi i tuoi scrittori con un sorteggio”.

Non si offese. Semplicemente, mi sorrise, cupa. “Beh, devi ringraziare un sorteggio, allora, se adesso non vivi sotto un ponte”.

Argh.

Colpito e affondato.

Di nuovo.

“Sai che non intendevo questo”, borbottai, indeciso se scrivere che Mimi adorava fissare il deretano di Shinji o se questo l’avrebbe fatta regredire a Mary Sue emergente. Soppesai la faccenda appena due secondi, prima di rendermi conto di quanto suonasse equivoca – la parola deretano fu velocemente cancellata dalla mia mente, e sostituita da occhi. Almeno, non avrebbero scambiato Mimi per una pervertita.

“Inu-Yasha, come va il libro?”.

Sbuffai. “Esattamente come andava ieri. E come andava l’altro ieri. E come andava tre giorni fa”, risposi a mezza voce, lasciando – finalmente! – andare la tastiera per guardarla meglio. Sembrava agitata. E schifosamente seria.

“Male, allora”, fu il suo pacato commento. Lasciò che una mano corresse lungo la scrivania, e afferrò con disappunto una biro mordicchiata sulla punta, per poi metterla in bilico tra due dita. “Se vuoi il mio aiuto, devi solo chiedermi scusa, ricorda”, sussurrò distrattamente.

Io sbuffai. “Non ti chiederò mai scusa. Non per un errore non mio”.

“Sei irritante”, grugnì, battendo – con forza, troppa forza per un corpo minuto come il suo – il palmo di una mano sulla scrivania, e osservandomi, furiosa. “Credi che offrirti il mio aiuto, dopo che mi hai estraniata dal progetto, sia facile?”. Si morse il labbro inferiore – tremava. “Credi che non mi sia offesa, sentendomi dire che non volevi che io facessi parte di questo progetto?”.

“Credi che baciarmi sia stata un’idea saggia?”.

Ok, forse non era una cosa propriamente saggia, da dire, ma mi era sfuggita. E, in verità, era stato il mio più grande tormento negli ultimi giorni: perché quel bacio?

Perché non si era limitata ad un ceffone? O a mettersi a piangere?

Perché, sebbene fosse palesemente arrabbiata con me, mi aveva baciato?

Mi ero informato, il bacio della morte non era un bacio alla francese. E lei, assurdamente, mi aveva baciato proprio in quel modo.

“Che…?”, sibilò, rossa in volto. Il tremolio delle sue mani era aumentato, e i suoi occhi lanciavano scintille. “È stata solo una piccola vendetta, Inu-Yasha, null’altro!”, garantì, troppo furiosa per intavolare un discorso più articolato.

Le donai un’occhiata scettica. “Mi permetto di non credere alla tua affermazione”, dichiarai, incrociando a mia volta le mani sul petto, in attesa di una scusa più convincente.

O della verità, che non fa mai male.

“A-Anche Mimi bacia il nostro emo complessato per sfida!”.

Sbarrai gli occhi, interdetto. “Che?”.

“S-Sì”. Più sicura, Kagome riprese fiato, poggiando le mani sulle ginocchia e sporgendosi verso di me. “Lui la provoca, lei si infuria e lo bacia. Smack”.

Smack”. Ripetei sconcertato il suono onomatopeico, domandandomi se Kagome fosse decisamente pazza o solo letteralmente pazza. Il confine era sottile, ma non riuscivo a trovare un paragone migliore.

“Ah-ha”. Annuì, pensante, indicandomi con la punta dell’indice – aveva la unghie perfettamente curate, di una curiosa tonalità nera. “Mimi è impulsiva, a volte”.

“E lo sei anche tu, giusto?”.

Asserì ancora col capo, oramai nuovamente a suo agio.

“Ah”.

Sbatté le palpebre, avvicinandosi nuovamente. “Inu-Yasha, non è che credevi di piacermi?”, chiese all’improvviso, mordendosi poi il labbro inferiore, quasi imbarazzata dalla sua stessa affermazione. I capelli neri le erano scivolati – ancora, per l’ennesima volta nel giro di sedici minuti e quarantaquattro minuti primi – sul volto, e creavano un gioco di luci ed ombre assurdo.

Né piacevole né disgustoso: assurdo.

“Non ho mai detto questo”, ribattei piccato, alzando gli occhi al cielo. “E neppure l’ho mai pensato”.

Beh, questa era una menzogna, ma era meglio non essere totalmente sinceri. Non quando lei avrebbe potuto staccarti la testa a morsi. O squartarti con un coltello da cucina.

“Bene”, concordò, picchettando le dita sul legno della scrivania. “Bene. Perché, se così non fosse stato, ti avrei picchiato”.

“Certo”, affermai esasperato, invocando una vacanza che, lo sapevo, non sarebbe mai arrivata. Non in tempo, almeno. “Come vuoi tu”, aggiunsi, riafferrando malamente la tastiera, deciso a terminare quel secondo – stramaledettissimo – capitolo.

Lei, accanto a me, si limitò a lanciarmi un’occhiata scettica, e a mettersi a canticchiare una canzoncina di cui solo lei conosceva il testo e le parole. Ad un tratto, s’interruppe, e mi afferrò una mano. “Inu-Yasha, secondo te sono brutta?”.

Che?

Inarcai un sopracciglio, indeciso: continuare a scrivere o prenderla a schiaffi, questo il dilemma.

“Allora?”, aggiunse lei, mordendosi il labbro inferiore – era seria. Maledettamente, fottutamente seria. “Inu-Yasha, secondo te sono brutta?”.

Sbuffai. “Vuoi che ti faccia i complimenti?”, domandai, guardandola. I suoi occhi nocciola erano, stranamente, lucidi, e il suo fiato mozzato, mentre mi ascoltava. “Vuoi che ti paragoni a qualche attrice del cinema, magari?”, soggiunsi, socchiudendo gli occhi e passandomi una mano tra i capelli d’argento. “Mi spiace”, proferii dopo qualche attimo, duro. “Non è quello che farò: non hai bisogno di sentirti dire che sei bella da me, per saperlo. Anche un cieco se ne renderebbe conto”.

Kagome sbarrò gli occhi, lasciando andare la mia mano per poggiarla sul suo petto, all’altezza del cuore – batteva all’impazzata, con rintocchi forti e irregolari. “Sei serio?”, mi chiese celermente, sistemandosi distrattamente la camicetta. “Non mi stai prendendo in giro?”.

Sospirai. “Ti risulta ch’io sia dotato del senso dell’umorismo?”.

“No”, ridacchiò lei, scuotendo il capo. “In effetti no. Le tue battute fanno pena”.

“Grazie”, proferii scettico, ricominciando a scrivere. “La prossima volta che ho bisogno di essere consolato, non verrò di certo da te”. Grugnii, fingendo un’irritazione che – assurdamente – non provavo. “Sei pessima, sai?”.

Ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano destra. “Stavo scherzando”, disse contenta, inclinando il capo di lato e chiudendo gli occhi, esattamente come farebbe un’eroina dei manga. “Non sei così male quando ti lasci andare, sai?”.

Sospirai. “Neppure tu, alla fin fine”. Presi la biro che aveva lasciato cadere poco prima, e scribacchiai qualche parola incoerente sul foglio, pensante. “Anzi!, potresti iniziare anche a piacermi”.

Ops.

Bene, Inu-Yasha. Hai fatto la tua ennesima gaffe. Come ti senti?

“Non sei serio, vero?”, mormorò perplessa, sbattendo le palpebre in modo frenetico – era il suo tic preferito, l’avevo intuito già da un pezzo. “Tu non puoi provare alcun tipo di attrazione, per me, no?”.

Roteai gli occhi, lasciando ondeggiare le penna tra le dita – su, e giù. E poi su, e giù. Aritmicamente.

“Vero?”. Ribadì il concetto afferrandomi una ciocca di capelli e tirandola, nel disperato intento di smuovermi.

Disperato perché restai immobile, concentrato sulla schermata del portatile.

“Vero?”, ripeté, stringendo maggiormente le dita, e sollevando di scatto il braccio. Alzai appena il volto, e lei si avvicinò, perplessa. “Io non ti piaccio, Inu-Yasha, giusto? Io non posso piacerti, tu mi odi!”.

Sbuffai – il gioco è bello finché qualcuno non si fa male.

E, per come mi stava tirando, presto mi sarei trovato privo di una ciocca consistente.

“Non mi piaci”, garantii, portando una mano intorno alla sua – arrossì appena, lasciandomi staccare le sue dita con troppa facilità. “Non in quel modo”, aggiunsi, sospirando. “Parlavo come amica. Correttrice di bozze”, chiarii, in risposta al suo sguardo scettico. E dispiaciuto. “Siamo un po’ egocentriche?”, chiesi, sorridendo sarcastico.

Lei sollevò il sopracciglio destro con grazia, poi scosse il capo. “Se tu non sai esprimerti, la colpa non è di certo mia”.

“Se tu fossi meno stupida, forse capiresti quel che dico”, risposi pacato, digitando l’ennesima frase insensata sul documento: dovevo parlare di Shinji, appollaiato sul letto di Mimi, invece stavo scrivendo tutto, tranne quello. Ed era umiliante. “Non hai altro da fare?”, sbottai d’un tratto, assottigliando gli occhi e lanciandole un’occhiata offesa.

“No”. Sopprimendo uno sbadiglio nel palmo della mano, iniziò ad arrotolarsi una ciocca di capelli tra le dita sottili, salvo poi sorridere, divertita: “Se qualcuno non mi avesse estraniata da un progetto, in questo momento io mi starei scervellando sul capitolo nuovo. E non avrei alcuna motivazione per infastidire quel qualcuno”.

Ringhiai leggermente, maledicendomi in più e più lingue. “Non ti chiederò scusa”, ribadii frustrato, passandomi una mano sul volto. “Sei tu che hai sbagliato, io non ho fatto nulla di male”.

“No?”.

“No”, dichiarai, sicuro. “Comunque, se ti va di aiutarmi, puoi. Ma devi fare la brava, e lasciarmi svolgere il mio lavoro in pace”. Sottolineai la parola lavoro con un gesto della mano, ricordandole che, alla fin fine, non scrivevo quel libro per mero piacere personale, ma, bensì, per guadagnare qualcosa. Ovviamente, se la fama era compresa nel pacchetto, il tutto si faceva solo più allettante.

Sospirò. “A che punto siamo arrivati?”, chiese, fintamente interessata.

La guardai con aria superiore. “Se non hai voglia nessuno ti obbliga”.

“Ho voglia”, sibilò, riprendendo la biro e il foglio che avevo abbandonato. “Mi va di aiutarti, anche se sembra assurdo”.

“Non è assurdo: sei solo preoccupata che il mio libro possa essere un flop”, spiegai, annuendo sommessamente. “Credo sia una difesa psicologica: neppure te ne rendi conto, ma è così”, aggiunsi, sbuffando.

“A che punto eravamo?”.

“Bah, stavamo parlando del primo incontro tra Eru e Mimi, se non erro”.

“Mm. Credo di sì”. Sospirò, sistemando il foglietto sgualcito sulle gambe e scribacchiando qualche parola incomprensibile. “Sai, Inu-Yasha?”.

“Cosa?”, chiesi esasperato.

“Hai una pessima grafia”.

“Non credo sia importante, dato che scrivo con il portatile”, dissi, serrando le labbra per non aggiungere qualche insulto. Kagome continuava ad osservarmi, però, in attesa di una qualche spiegazione. “Dannazione, mocciosa, ho avuto delle pessime insegnanti, alle elementari, e non ho mai imparato a scrivere bene. Contenta?”.

“L’altro giorno, in cartoleria, ho visto un corso di scrittura”. Si voltò verso di me, incerta, bloccando la penna a mezz’aria. “Se vuoi, posso acquistarlo”.

Iniziai a sbattere le palpebre, confuso da quell’inaspettata gentilezza.

Forse aspirava ad insegnare, e voleva testare su di me le sue capacità. O, forse, era solo gentile.

La seconda ipotesi era spiazzante, però.

“Vuoi?”, chiese, imbarazzata.

Asserii, indeciso. “Sì”, mormorai a mezza voce.

Lei sorrise. “Bene”, gongolò, compiaciuta. Mi osservò per qualche attimo, curiosa, poi riprese a scrivere – era arrossita. Di nuovo. “Perché potrebbe esserti utile”.

“Cosa?”.

“Imparare ad scrivere con una corretta grafia”, spiegò, tracciando una linea che partiva in alto e finiva in basso a destra. “Magari, un giorno potresti sentirti ispirato mentre il tuo portatile è in riparazione, e, in quel momento, potresti scrivere su di un quaderno: con una bella grafia, non dovresti preoccuparti di procurarti un esperto in geroglifici”.

Storsi il naso, irritato. “Grazie. Ti ho già detto che non mi farò mai consolare da te?”.

Rise, afferrando una mia mano tra le sue e portandola all’altezza del suo volto, quasi per nascondersi. “Scusami”, sussurrò, incapace di sedare la sua ilarità. “Scusami”, ripeté a bassa voce.

Grugnii. “Allora? Continuiamo a fare gli idioti o passiamo al capitolo?”.

“Passiamo al capitolo”, concesse, lasciandomi andare. Si sistemò – professionale – sulla scrivania, aggiustando la camicetta con cura e precisione. “Allora: Eru è depresso, perché la sua ex – la cortigiana – l’ha mollato. Mimi accetta di uscire con lui perché Shinji le ha spiegato che, se, per caso, dovesse rifiutarsi, potrebbe essere punita. Giusto?”.

“Sì”, concessi, meravigliandomi della sua buona memoria. Io, da sempre, ero costretto ad appuntarmi tutto, poiché incapace di rimembrare ciò che ho detto – o fatto – anche a distanza di poco. “In ogni caso, Eru si rivela essere quantomeno decente, e Mimi, alla fin fine, si dice che non ha fatto poi tanto male, ad uscire con lui”.

“Lei è l’unica che può vedere Shinji, poiché lui tende a nascondere la sua identità a tutti”.

“Giusto. Durante l’appuntamento, Shinji li segue, e Mimi nota che la sta osservando in modo strano, quasi adirato”.

“Geloso?”.

“Geloso”.

Ridacchiò, sistemandosi una ciocca di capelli corvini. Con aria compiaciuta, poi, riprese a parlare, come se fosse la cosa più normale del mondo: “Eru, alla fine dell’appuntamento, chiede a Mimi di uscire di nuovo, e lei non sa che fare, perché non si capacita di come può piacere ad un emo con i boxer gialli con paperelle”.

Boxer gialli con paperelle?”, ripetei, confuso. “Kagome, come fa Mimi a sapere che lui ha quei boxer?”.

“Perché gli si sono rotti i pantaloni mentre passeggiavano. Non ricordi?”.

“No”.

Mi guardò, sconvolta, salvo poi risistemarsi meglio sulla scrivania. “Bah, forse non l’ho detto. O, forse, tu ti sei perso un passaggio”, concesse, sorridendo. “E, ora, ricomincia a scrivere”.

Sospirai. “Sì, capo”, dissi, riprendendo la stesura del secondo capitolo – paradossalmente, ora che c’era lei, tutto scorreva più velocemente, e le parole sembravano meno insensate.

Ad un tratto, la vidi agitarsi. E arrossire. E guardarmi.

“Cosa c’è?”, domandai, curioso.

Lei mi ignorò, ricominciando a scrivere, tranquilla.

“Cosa c’è?”, ripetei, urtato dalla sua poca considerazione delle mie domande. “Dimmelo”, ordinai, indispettito.

Kagome alzò il capo, osservandomi. Aveva un’aria strana. “Non so, Inu-Yasha. Vorrei provare una cosa, però. Solo che mi sa di cliché, e di già visto”.

Sbattei le palpebre, indeciso. “Cliché?”.

“Sì. Succede talmente tanto spesso, che mi sa di cliché. Quindi, non so se posso provare”.

“Fallo”, dichiarai, sfidandola. “Fa’ pure”.

Lei sorrise. “Voglio farti un regalo”.

“Un regalo?”.

“Ah-ha. Chiudi gli occhi”.

Istintivamente, allungai una mano, afferrando saldamente il pennarello nero indelebile poco distante.

Chiudi gli occhi, eh?

E se mi avesse preso in giro?

“Inu-Yasha, ti prego!, chiudi gli occhi”.

“Sì”, concessi, lasciando ricadere le palpebre e attendendo, silente.

D’un tratto, il profumo di Kagome mi avvolgeva totalmente – si era avvicinata. Ed era troppo vicina. Strinsi d’istinto i pugni, serrando la mascella, nel tentativo di non fare qualcosa di sbagliato – il suo fiato caldo mi sferzava il volto, e il mio autocontrollo stava scemando.

Quando le sue labbra – calde, morbide e vagamente profumate – si posarono sulla mia fronte, mi trovai costretto a irrigidirmi, incapace di ritrarmi, o di sfuggire al suo giogo.

Pian piano, sentii che si stava muovendo – il suo seno si poggiò sul mio petto, e si sedette sulle mie gambe. D’istinto, lasciai che le mie mani si serrassero intorno alla sua vita. E lei non me lo impedì.

Quando poggiò le sue labbra sulle mie, mi sentii un idiota.

E un incapace.

Diversamente dalla volta precedente, Kagome non sembrava maliziosa, né voluttuosa, né vendicativa. Stupita, forse. Imbarazzata di certo.

Approfondii il bacio, mosso da qualcosa più forte di me – inizialmente, lei si oppose, salvo poi piantarmi le unghie nelle spalle ed allontanarsi. Aveva il fiatone, gli occhi lucidi e l’aria spaesata.

La guardai pochi attimi, prima di spostare il mio sguardo sul soffitto, incapace di resistere. “Più cliché di così”, sospirai, serrando nuovamente le mani a pugno.

Kagome si allontanò rapidamente da me, sistemandosi la camicetta sgualcita. “Già”, concesse, indietreggiando. “Già”. Cercò di sorridere – inutilmente – e si avvicinò alla porta – troppo rapida per essere normale. “A domani”, mugugnò, poggiando la mano – celermente – sulla maniglia e scomparendo nel corridoio.

“A domani”, ripetei.

E un brivido mi corse lungo la schiena.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
*\* Per un po’ – un po’ troppo – non ho avuto ispirazione, per questo fandom.
[Per di più, il capitolo è anche corto. -.-]
Ho continuato a scrivere per i contest, senza, tuttavia, riuscire a continuare BL.
Credevo di aver già scritto tutto, e non mi andava di peggiorare questa storia con un capitolo fatto con i piedi. Così, benché a malincuore, ho preferito non scrivere su Inu-Yasha, per un po’.
Non ho postato nulla, su EFP. Sul mio blog personale, sì.
Ci sono un paio di Shot – di cui una proprio su Inu-Yasha, scritta per San Valentino –, un paio di Shot che non ho avuto il coraggio di postare qui.
E, quindi, vi chiedo scusa per l’attesa. Gennaio è stato un brutto periodo, l’inizio di Febbraio m’ha quasi uccisa.
Questo capitolo è venuto fuori da solo, così, senza premeditazione.
In realtà, io ne avevo già scritto metà, ma era… diversa. Ad esempio: il capitolo si apriva con Inu-Yasha nascosto sotto il tavolo, e con Sota che lo torturava.
E non c’era nessun bacio, solo litigate su litigate.
Ma voi preferite questo, vero? XD
Anche perché ritengo che, dopo sette capitoli, entrambi siano cambiati: lui la trova irritante, è vero, ma inizia a capire che, se lei è antipatica, è solo una difesa. E lo stesso si può dire di Kagome, che inizia a considerarlo diverso da quel che, fino a quel momento, aveva creduto fosse.
Dunque, ritengo che un avvicinamento fosse doversoso. XD Fatemi sapere.
Comunque, sapendovi difficili (XD), ho preferito aggiungere anche tre drabble per sedare i vostri animi in cerca di sangue.
Le prime due sono su Inu-Yasha, l’ultima è su Naruto. Un POV AU di un Sasuke che, bastardo!, ha appena ucciso Itachi.
Sappiate che io faccio pena, con le drabble, e che potrebbero farvi venire i conati di vomito.
ù.ù E che sono cento parole precise, dunque sono drabble pure.
Fanno schifo.
Ma ve le do comunque. ù.ù */*
 
[P.S. Sto pensando di creare il Club “Kagome è pazza!!! PAZZA!!! ARGH!!! O___O”, come suggeritomi da Aryuna. XD]

 

 

 
 
 
[1#. Drabble]
[Kagome POV]
[Inaccettabile]
 


A volte, guardando Inu-Yasha, le doleva il petto, proprio .
 
Al cuore.
 
Non le era mai importato granché – dopotutto, lui le salvava spesso la vita, e lei gli era riconoscente.
 
Punto.
 
E poi, Inu-Yasha era innamorato – pazzo – di Kikyo, la donna perfetta, bella e forte.
 
Quella.
 
Lui inseguiva quella Kikyo. Lui amava quella.
 
E, alla fine, non le doveva importare.
 
Inu-Yasha era solo il suo saccente compagno di viaggio, Kikyo la donna di cui era la reincarnazione.
 
Niente più.
 
Eppure, continuava a starci male, ed era un dolore atroce.
 
Insopprimibile.
 
Il cuore seguitava a dolere.
 
E, questo, non lo accettava.
 
 
[2#. Drabble]
[Inu-Yasha POV]
[Sensazione]
 



Quando Kagome era in pericolo, lui lo avvertiva.
Sentiva una fitta – , nel petto – e la sua mente si annebbiava. Non restava nulla.
 
Solo Kagome.
 
Restava quella sgradevole – dolorosa – sensazione di dolore, e lei, prepotente, penetrava nella sua mente, bella e fragile come sempre.
Era piacevole, però.
 
Perché lei dipendeva da lui, in quei momenti.
 
Quando Kagome era in pericolo, null’altro era importante.
Sango e Miroku scivolavano – inevitabilmente – in secondo piano, e Shippo spariva dai suoi pensieri.
Nulla era degno di nota, né importante, se lei soffriva.
 
E nessun’altro essere umano meritava la salvezza, se era lei, quella in pericolo.
 
 
[3#. Drabble]
[Sasuke POV]
[Assassino]
 



Tremi.
 
Cos’hai fatto, Sasuke?
 
La consistenza – fredda, gelida – della pistola è troppo per te, vero?
 
Vero, Sasuke?
 
Le mani sudano. Gli occhi pure – perché non sono lacrime quelle, vero? Perché tu non piangi, vero? Perché tu non hai ucciso tuo fratello, vero?
 
Eh, Sasuke?
 
Il petto ti duole. Brucia. Proprio lì, all’altezza del cuore – di quel cuore, quello che credevi di non avere.
 
Ho ragione, Sasuke?
 
Hai voglia di vomitare, di piangere. E di ridere.
 
Era un assassino, no?, Sasuke?
 
Perché lui, i vostri genitori, li ha uccisi freddamente, no?
 
No, Sasuke?
 
E tu volevi vendetta. Solo questo.
 
Giusto, Sasuke?

 

 

 

 

 
 
*\* Ci tengo a ringraziare quelli che non hanno mai perso la speranza, e, soprattutto, chi ha commentato lo scorso capitolo:
 
1#. maryku XD Oddio, davvero Kagome-la-correttrice-di-bozze è più di un colpo di genio? XD L’odio di Inu-Yasha sta già scemando, in un certo senso. Dice di odiarla più per mantenere le apparenze che per altro. XD E… *.* Grazie mille per i complimenti, sei troppo gentile! *O* Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!
 
2#. Aryuna *.* Certo che mancavi, Ary-chan! *.* E il Club lo voglio fondare, tu puoi essere membro onorario! *.* L’idea della cortigiana mi è venuta pensando alla lezione di letteratura latina di quel giorno, in cui avevamo parlato proprio di una trama in cui era invischiata una cortigiana. XD *Il tuo ragionamento è molto lineare, l’ho capito ù.ù* Ci ho messo tanto, è vero, ma il povero scrittore è tornato: cosa te ne pare? XD
 
3#. monik ò.ò Respira, non farti venire una crisi isterica! ò.ò Potrebbe farti male! ò.ò Bando agli scherzi: mi fa davvero, davvero piacere sapere che ti piace questa storia. ^^ Grazie per il commento, spero che questo capitolo sia stato all’altezza dei precedenti!
 
4#. Gweiddi at Ecate ù.ù Eh!, sì. Scrivere “cannuccia” con una ragazzina attaccata addosso non è molto facile. XD Eru poi si forma sempre di più, sino a divenire il nostro piccolo emo complessato et orbo. ù.ù Comunque, per la prima domanda: sì. Kagome è pazza: notato quel che ha fatto alla fine del capitolo? XD *Inu-Yasha ti fa sapere che non ha intenzione di trasferirsi, casa sua gli piace troppo* Spero che il capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. ç.ç Io lo considero da buttare.
 
5#. La sognatrice ^^ Fa nulla se non hai commentato gli altri capitoli, la Shikaite è una brutta malattia. ù.ù Sono felicissima di sapere che il precedente capitolo ti sia piaciuto, e spero che anche questo sia stato di tuo gradimento! XD Alla prossima!
 
6#. inufan4ever Oddio, Kikka!, davvero molte delle Fic che ricorderai sono mie? O.O Kami-sama. Non ci credo! XD Non preoccuparti per aver commentato in ritardo: dopotutto, io ho aggiornato dopo quasi un mese. XD Sono stata pessima. ç.ç Scusami!
 
7#. pillo XD Inu-Yasha è tornato un cane bavoso, Inu-Yasha è tornato un cane bavoso! XD Scusami se ho aggiornato in ritardo, comunque. ç.ç Non volevo, lo giuro! Per farti felice, l’ho anche trasformato in un cagnetto in calore: mi perdoni? *Smile*
 
8#. Kagome19 ^^ Felicissima di sapere che Kagome, qui, non fa la parte della sfigata, anche perché io non la considero così. XD Grazie per il fantastica, mi rincuora. *.* Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento!
 
9#. mikamey XD La mia autostima non è aumentata, ma quella vittoria m’ha spinta a partecipare a nuovi concorsi, nel tentativo di migliorarmi sempre di più. ù.ù Chissà!, magari un giorno scriverò qualcosa di davvero bello, e la mia autostima salirà. XD In ogni caso, sono felice di sapere che il “bacio della morte” ti ha fatta ridere – temevo di aver guardato troppo Ranma ½! – e sono ultrafelice di costatare che non hai trovato penoso il capitolo precedente. ^^ Ma questo? Com’è?
 
10#. callistas Non preoccuparti per la mia autostima, davvero. ^^ Il mio sentirmi un’incapace è conseguenza di dieci anni tremendi, passati accanto a persone che mi hanno sempre sminuita in tutto e per tutto. XD Già sapere che qualcuno mi considera brava mi rende felice, davvero. ^^ In ogni caso, mi fa piacere sapere che il capitolo ti è piaciuto. Per me, è motivo di gaudio: dopo commenti come il tuo, gongolo a lungo, battendo le mani euforica. XD Spero vivamente che il capitolo sia stato all’altezza dei precedenti,
 
11#. _ayachan_ TesHoro, tu mi ucciderai, lo so già. ù.ù Perché ho aggiornato in ritardo, e perché Shinji, Mimi e Eru sono scivolati ancora in secondo piano, per fare spazio alle scaramucce sentimentali di quei due idioti di Inu-Yasha e Kagome. Tra l’altro, sapere che iniziano a piacerti mi rincuora. E sapere che rendo bene la prima persona mi manda in brodo di giuggiole. XD Per la questione capitoli: dèi, è il complimento migliore che potessi farmi. ç.ç Giuro, quello mi ha commossa. Perché credevo che i capitoli fossero troppo lenti, e noiosi, invece, stando a quel che dici tu, non è così. E questo mi rende felice. Dannatamente felice. *.* Grazie mille per il tuo commento, e spero che il capitolo non faccia propriamente schifo!
 
12#. ryanforever XD Niente camicia di forza, forse solo un sedativo. Non so, io mi sento quasi in colpa, quando scrivo cose simili. XD Se Rumiko Takahashi notasse quello che combino con i suoi personaggi, forse mi ammazzerebbe. ù.ù Che ne dici del capitolo? È troppo?
 
13#. HimeChan XD Eh! Hime, hai visto il seguito di quello che ti ho fatto leggere ieri? XD Non è troppo? *Per qualche assurda ragione, non ho potuto fare a meno di scrivere tutto ‘sto popò di roba XD*

Grazie a tutti quelli che leggono, a coloro che mettono questa storia tra le preferite e a quanti commentano. Davvero, davvero grazie. ^^
Alla prossima, che, spero, sia presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Astinenza o follia? ***


BL8

The Bothering Life of a Forced Writer

L’amore non deve implorare e nemmeno pretendere,
l’amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di sé.
Allora non è più trascinato, ma trascina.
(H.Hesse)

 

Non dovevo fare certi sogni. Non su di lei.

Quando mi ero svegliato, quella mattina, avevo la fronte imperlata di sudore e la gola secca.

E cazzo!, se tremavo.

Avevo deglutito più e più volte, a vuoto, continuando ad osservare la parete bianca, senza essere capace di alzarmi – avevo bisogno di una dannatissima doccia fredda, ma mi doleva il capo.

E poi niente. Mi ero alzato, mi ero ripetuto che quello non era un sogno – era un incubo, un fottutissimo incubo – e che dovevo smetterla di mangiare cioccolata e porcherie varie prima di andare a dormire.

E mi ero seduto. Davanti alla scrivania. In silenzio.

“Fratellone?”.

Sobbalzai, imprecando mentalmente e lasciando andare la matita con cui stavo giocherellando. “Dimmi”, proferii solenne, cercando di assumere un atteggiamento vagamente dignitoso.

Sota non parve farci caso, ma mi scoccò un’occhiata euforica. “Fratellone, ci sono delle persone per te, alla porta!”, urlò, afferrando la manica della mia camicia e cercando di smuovermi. “Vogliono parlarti, e la mamma mi ha mandato qui, ad avvisarti!”. Sorrise, lasciando intravedere un incisivo mancante, e continuò: “Sono stato bravo, vero?”.

Sbuffai. “Dipende”.

“Da cosa?”, domandò ingenuamente.

“Chi sono, Sota?”, chiesi a mia volta, alzandomi – mi scrollai le mani del bambino di dosso con un veloce movimento del braccio, e feci qualche incerto passo verso la porta. “Descrivimeli: sono un uomo e una donna? Due donne? Due uomini?”. A quest’ipotesi, mi sentii mancare: l’ospedale psichiatrico, quando decideva che eri un pericolo per l’umanità tutta e andavi rinchiuso, mandava due infermieri o preferiva agire in altro modo?

“Un uomo e una donna!”, cantilenò lui, entusiasta. “Lei era bassa, con i capelli neri e gli occhi marroni”.

“Rin”, commentai asciutto, mentre l’aria serafica della mia adorabile cognata faceva capolino nella mia mente.

Poteva essere venuta accompagnata da Miroku. O da Kohaku, il fratellino di Sango.

O da un qualsiasi-uomo-tranne-lui.

“Invece, il signore era molto alto!”.

“Continua”, mormorai senza fiato – anche il mio ex migliore amico era alto. L’altezza non è vincolante: non dev’essere per forza lui solo perché alto.

“E aveva i capelli argentati!”.

E non doveva essere per forza lui perché aveva i capelli argentati.

“E gli occhi come i tuoi!”.

Tante persone hanno gli occhi ambrati. E poi, esistono centinaia di lenti colorate.

“E ci guardava tutti come se fossimo degli idioti o qualcosa di simile”.

“Sesshomaru”, proferii con voce rotta, poggiando la fronte contro la parete e pregando per non scoppiare in lacrime. “Si tratta di Sesshomaru, mio fratello”.

“Ah”, commentò Sota, avvicinandosi baldanzoso. “Tuo fratello, Inu-Yasha-kun?”.

Feci un’eloquente smorfia, e annuii, decisamente irritato da quell’informazione: parlare con Rin era assai piacevole e divertente, ma Sesshomaru…

No, lui non potevo proprio reggerlo. Non quel giorno, almeno.

“Sota”.

“Dimmi”.

“Sota, se io…”. Deglutii. “Se io sparissi, tu diresti a tutti che non mi hai trovato?”.

Lo sguardo del bambino si incupì, mentre si portava una mano sul mento con fare pensieroso. “Mi stai chiedendo di mentire, fratellone?”.

“Sì”, confermai gelido. “Ti sto chiedendo di farmi un favore, Sota. Uno di quei favori che, un giorno o l’altro, ti ripagherò”. Mi morsi il labbro inferiore, incerto. “Stanne pur certo”.

“Beh, se è un favore da uomini, non posso negartelo”. Ridacchiò, fiondandosi all’esterno della stanza e correndo – veloce, tremendamente veloce – per l’angusto corridoio. “Il fratellone non c’era!”, urlò, voltandosi verso di me giusto il tempo necessario per farmi l’occhiolino.

Bene.

Ora avevo circa sedici secondi per nascondermi.

Presi una buona dose d’incenso – che il vecchio pazzo mi aveva lanciato addosso un paio di sere prima durante la cena – e la strinsi in pugno, memore dell’ottimo olfatto di Sesshomaru: non volevo essere ritrovato.

Non in fretta, almeno.

Silenzioso e lesto, uscii a mia volta dalla camera da letto, bene attento a non urtare nulla durante il mio percorso.

Casa Higurashi era una dimora spaventosamente grande, e le stanze erano tante. Troppe, a mio modesto parere.

Non avevo visitato che una piccola parte della villa, e reperire un angolo in cui nascondersi – benché semplice –, in quel momento mi parve la cosa più complicata al mondo: quella stanza era troppo vicina alla camera di Kagome, quell’altra era troppo impolverata per passarvi più di cinque secondi, quello era un bagno usatissimo da tutti, e poi…

“Ahi!”.

Finii al suolo.

Inconsapevolmente.

Mi ritrovai disteso sul morbido tappeto che si srotolava lungo il corridoio – l’incenso che, fino a quel momento, era rimasto nella mia tasca, scivolò al suolo, e iniziai a tossire, nervoso. Perché diavolo mi ero portato quella robaccia?

E chi era stato così intelligente da venirmi a sbattere contro?

Sollevai adirato il capo, pronto a riempire costui – o costei – di improperi, ma la situazione mutò da lì a due secondi.

E non mutò in mio favore, ovviamente.

“Kagome?”, mormorai sbigottito, guardando la ragazza seduta innanzi a me.

Lei si limitò a sollevare sdegnosa il capo e voltarlo di lato.

“Kagome, che cavolo ci facevi, qui?”.

“Io ci abito, Inu-Yasha”, sbottò irritata, incrociando le braccia sul petto. “E ora chiedimi scusa, mi hai fatto male”.

“Io cosa?”.

“Mi hai sentita”.

Mi limitai a sbattere le palpebre e ad alzarmi, scrollandomi di dosso i residui puzzolenti di incenso. Lei, d’altro canto, mi osservava interdetta, incapace di tirarsi su autonomamente – indossava una minigonna nera, di quelle che sembrano impedire il respiro, e una camicetta rosa. Ai piedi, uno stupidissimo paio di pantofole a forma di coniglietto.

“Belle scarpe”, ridacchiai, mentre il suo volto prendeva una vaga colorazione rossastra. “Comunque, alzati”.

“Non ci riesco”, starnazzò, stringendo i pugni. “Mi fa male un piede”.

“Ah”.

“Visto, genio?”, borbottò lei irata, indicandomi con l’indice. “Se tu facessi funzionare almeno il neurone di cui sei dotato, forse non faresti cose stupide come correre per il corridoio di una casa rispettabile con la cerniera dei pantaloni aperta!”.

Frena.

Zip dei pantaloni aperta?

Mi voltai istintivamente, allungando una mano per controllare – ovviamente, Kagome aveva ragione, ed io avevo appena fatto la mia ennesima figura da pirla.

“Mi aiuti?”, grugnì all’improvviso, sbattendo il palmo della mano sul pavimento per attirare la mia attenzione. “Dopotutto, è colpa tua se sono caduta”.

“Sì”, sospirai. La sollevai senza alcun problema – era assurdamente leggera – e la guardai, indeciso. Alcune ciocche di capelli erano sfuggite al suo chignon, e il rossetto si era sbavato.

Dannazione, dannazione, dannazione.

Non dovevo fare certi sogni, specie se si ripercuotevano su tutta la mia giornata in modi simili.

“E ora che hai da guardare?”. La sua voce era un fioco sussurro, e mi guardava, quasi ipnotizzata: la buona notizia era che il mio ego si sentiva rinfrancato. La cattiva notizia era che neppure io riuscivo a smettere di osservarla. “Accompagnami in camera, per favore”, biascicò a malapena, chiudendo gli occhi e stringendo una mano intorno alla mia spalla – tremava. Seppur leggermente, tremava.

Non risposi, limitandomi a procedere spedito verso la stanza da letto poco distante: il suo odore proveniva da lì con maggiore intensità che da ogni altra stanza.

Era come un tempio, totalmente dedicato a lei e lei soltanto.

E, stranamente, la cosa mi elettrizzava.

“Bravo”, commentò lei, indicando la porta. Sembrava stupita. “Hai indovinato”.

“Cosa?”.

Ridacchiò, dandomi una pacca sulla spalla e sistemandosi meglio tra le mie braccia. “Hai capito subito qual è la mia stanza”, spiegò, compiaciuta. “Non è da tutti”.

“Credo tu abbia dimenticato che ho un olfatto diverso dal tuo”.

“Come quello di Eru?”.

“Sì”, concordai, piacevolmente sorpreso.

Ok, non l’avrei mai detto, ma Kagome aveva davvero un ottimo intuito: non le avevo mai parlato della vera natura di Eru, eppure aveva intuito che non era un mostro normale.

Misteri della vita.

“Lui è un licantropo, no?”.

Frena.

Quando – e come – l’ha capito?

Io non le ho mai detto nulla! Volevo fosse una sorpresa!

“Ehi, mi spieghi il perché di quella faccia?”.

Chiusi gli occhi, poggiando una mano sulla maniglia della porta e lasciando che l’uscio si aprisse con un lieve cigolio. “Quale faccia?”.

Quella faccia”. Mi tirò una guancia con forza, finché non riaprii – indispettito – gli occhi. “Sembra che qualcuno ti abbia rovinato un piano”.

“Ti sembra così paradossale l’idea che io lo volessi tener nascosto?”, grugnii esasperato, cercando, tra tutti i pizzi e le trine presenti nella camera, il letto della ragazza.

Era nascosto sotto una quantità industriale di borse. E scarpe.

“Ehm. Forse”, concesse, isterica.

Le regalai un’occhiata tutt’altro che amichevole.

“Guarda che ho provato ad indovinare!”, si difese. Poi, presa da chissà qualche spasmo, iniziò ad agitarsi. “Lasciami, sono stanca, voglio riposare”.

“Mi spieghi perché sei arrossita?”.

“Non sono arrossita!”, urlò. La lasciai ricadere sul letto, e afferrò un cuscino, coprendosi il volto e soffocando una qualche bestemmia nella stoffa bianca. “E tu perché eri in corridoio?”.

“Stavo scappando”.

“Da chi?”.

Indietreggiai istintivamente, deglutendo: dirglielo o non dirglielo?

“Suvvia, Inu-Yasha, non può essere un segreto tanto scabroso!”.

No, eh?

Scossi il capo, sedendomi accanto a lei sul materasso, e osservando piacevolmente stupito l’ambiente: una scrivania in legno, un armadio, un lettino con la coperta di un qualche anime sconosciuto e una serie di peluche. Cani, gatti, pinguini…

Peluche. Semplici peluche.

“Per caso è la tua ragazza?”. Gelida e irritata, Kagome si voltò verso di me, stringendo i pugni. “O, forse, è una che ti sei fatto di recente?”.

“Non sono affari tuoi”, replicai, ironico. Mi stavo divertendo, .

E molto.

“No?”.

“No”. Ridacchiai, incrociando le braccia sul petto e squadrandola con non calanche. “Gelosa?”, azzardai, sorridendo sarcastico.

“Dovrei esserlo?”.

“Non ne ho idea”.

“Non sono gelosa”, grugnì adirata, guardandomi a sua volta: aveva una strana espressione. Fragile. E gli occhi lucidi – almeno, sembravano lucidi. Mi osservava con irritazione, rabbia e altri mille sentimenti diversi, impossibili da catalogare. “Tu non mi piaci, Inu-Yasha: non potrei mai essere gelosa”, finì, gelida.

Mi sentii improvvisamente stupido, e ricominciai ad osservare la finestra.

“Non vuoi proprio dirmi chi sono?”.

“Mio fratello e sua moglie. Non so perché li sto evitando, ad essere sincero”. Mi portai una mano sul volto, passandola sugli occhi – ero stanco. “Semplicemente, non voglio parlare con loro, e ho preferito fuggire”.

Kagome inarcò un sopracciglio, scettica. “Non è molto… adulto”, commentò a bassa voce.

Asserii distrattamente col capo, lasciandomi scivolare sul materasso ed alzando gli occhi al cielo.

Continuavo a sentirmi stupido. Davvero stupido.

“In ogni caso”, continuai, chiudendo gli occhi. “In ogni caso, avevo pensato di nascondermi per un po’”.

“Se vuoi restare qui, possiamo parlare del libro”. Sollevò le spalle, lasciandomi intendere che per lei non era essenziale, e si alzò, afferrando un quaderno dalla scrivania e sedendosi poi su di una sedia al centro della stanza. “Allora?”, chiese, nervosa. “Hai qualche idea?”.

“Troppe”, sbottai esasperato.

In effetti, era vero.

Volevo scrivere qualcosa su Eru – mi ero accorto ti trovarlo molto simpatico – e su Mimi, ma, al contempo, lasciare da parte il povero Shinji era per me inconcepibile.

Volevo raccontare della storia dell’orbo, di come aveva scoperto che la sua ragazza era lesbica. E di come aveva tentato di suicidarsi, gettandosi da un’impalcatura.

E poi volevo parlare del suo gemello, di sua sorella, del suo intelligentissimo fratello minore, di sua madre che sembrava una sedicenne e di suo padre che lo trattava con una gentilezza esasperante.

E poi…

“Inu-Yasha?”.

Trasalii, appuntandomi mentalmente di non estraniarmi nel mio mondo quando c’era lei.

“Allora? Qualche idea?”.

Asserii blandamente con il capo, per poi scostarmi – seccato – i capelli dal volto, e regalarle un’occhiata nervosa. “Sì, vorrei scrivere qualcosa su Eru”, sbuffai, nervoso.

“Cosa?”.

“Non so, in realtà: la sua vita è così particolare da necessitare di uno spazio abnorme”.

Kagome si alzò, camminando per la stanza – la coda di cavallo ondeggiava. Di qua e di là, in modo lento e ritmico. Presi a fissarla, sentendomi stupido. E inutile. E incompetente.

E in qualche altro indefinibile modo.

“Credevo che la coppia principe del libro fosse la cosiddetta ShinjiMimi”, osservò lei perplessa, voltandosi verso di me, una mano sul fianco e l’aria confusa. “Dopotutto, Mimi lo ama, no?”.

“Non necessariamente”. Inarcai un sopracciglio, perplesso, trattenendomi a stento dal mettermi ad urlare: dopotutto, non avevo mai detto che la mia protagonista era cotta dello Shinigami.

E non l’avevo mai lasciato intuire. Che colpa ne avevo se lei aveva una fantasia indubbiamente sviluppata?

Non ero così prevedibile, io.

Non avrei fatto mettere la mia protagonista con il belloccio di turno: non subito, almeno.

“Dannazione”, commentò lei. Si portò una mano alla bocca, ed iniziò a mordicchiare l’unghia.

La cosa assurda di Kagome era il modo in cui mi guardava.

Era l’espressione stupita – e talvolta assorta – con cui mi osservata.

Mi spiazzava, ecco.

Continuavo a ripetermi che era irritante, che non la sopportavo, che era una dannatissima inetta, ma non potevo fare altro che sentirmi stupido, quando la osservavo.

Non c’era un vero perché: semplicemente, mi rendevo conto che non la odiavo più come una volta, e questo mi paralizzava – non è mai positivo rendersi conto di non odiare più con la medesima intensità una persona, dopo che le hai praticamente detto che non usciresti con lei neppure se fosse l’ultima donna in vita sulla faccia della terra.

“Ehi?”.

“Ero distratto”, spiegai, sentendo le gote cambiare improvvisamente colore. “Semplicemente distratto”.

Scoppiò in una fragorosa risata, sedata dal palmo della mano – poi mi sorrise, divertita. “Me n’ero accorta, sembravi veramente concentrato”. Annuì tra sé e sé. “Comunque, volevo solo avvisarti che ho sentito una macchina partire”. Indicò con il pollice la finestra, e mi alzai, appena in tempo per vedere un’automobile allontanarsi dalla villa.

Istintivamente, tirai un sospiro di sollievo.

“Lei non ti piace?”.

“Come, prego?”, chiesi, confuso. “Lei chi?”.

“Tua cognata”. Mi guardò, lapidaria, per poi voltarsi. “Lei non ti piace”. Fece qualche passo incerto, poi alzò gli occhi verso il soffitto. “O, forse, lei ti piace troppo”. Strinse i pugni, guardandomi. “Quale delle due?”.

Mi venne voglia di ridere.

La osservai per qualche attimo, indeciso. Poi, come se avesse appena terminato la battuta più divertente del mondo, scoppiai a ridere, sotto il suo sguardo allibito e preoccupato. “Rin?”, urlai, poggiando il capo contro la parete. “Piacermi?”. Un nuovo moto d’ilarità mi scosse, e mi morsi il labbro inferiore, nel tentativo di smetterla. “Ti rendi conto di che stronzata hai detto?”, le domandai, riuscendo appena a volgermi verso di lei.

“Lei non ti piace?”, chiese con voce strozzata.

Risi ancora. “No!”, starnazzai, divertito. “Cioè, sì, ma non in quel senso”.

“Sul serio?”.

Perché sorrideva?

“Certo che sì”, grugnii, infilando le mani in tasca, nel tentativo di darmi un’aria seria. “Perché?”.

“Nulla, nulla”. Fece un movimento della mano, per lasciare intendere che non era granché importante, e mi diede le spalle, stiracchiandosi. “La gamba mi fa meno male”, biascicò imbarazzata, indicando il piede.

“L’avevo notato”, ribattei divertito, afferrando un quaderno dalla scrivania e sfogliandolo sovrappensiero. “Ma…”. Un dubbio – atroce – mi era sorto. E la curiosità è umana, no? “Prima ti faceva male davvero?”.

Arrossì, stringendo i pugni e avvicinandosi a me, furiosa. “Cosa vorresti insinuare?”, ululò, agitando una mano – sembrava pronta a picchiarmi.

Prontamente, le bloccai i polsi, avvicinando il mio volto al suo. Profumava di vaniglia. “Nulla”, sussurrai, incapace – ancora, ancora una volta – di distogliere il mio sguardo dal suo. “Non sto insinuando nulla”, mormorai – ancora, ancora, ancora –, mentre la distanza tra di noi si riduceva progressivamente a un nulla.

“E allora perché me l’hai chiesto?”. Ansimava, come se avesse corso per chissà quanti chilometri. Era tenera, in un certo senso. “Non dovrebbe interessarti”.

“Mi interessa, invece”.

“Sì, mi faceva male”, biascicò incerta – l’incantesimo non valeva solo per me. Anche lei non riusciva a smettere di guardarmi. “Perché?”.

“Credevo tu volessi essere presa in braccio da me”. Ridacchiai – una mia mano, lenta, scivolava lungo la sua schiena, spingendola ad avvicinarsi.

Ero impazzito.

“E perché lo credevi?”.

Scossi il capo, sistemandole incerto una ciocca di capelli dietro l’orecchio – erano dannatamente morbidi. “Non ne ho idea”.

“Ah”, commentò, sorpresa. “Ah”.

“Forse dovremmo scendere”. Le carezzai – istintivamente – la guancia, sfiorandole poi le labbra con i polpastrelli. Dovevo farmi forza, per non abbassarmi e baciarla.

“Già. Forse”. Asserì, facendo – involontariamente – un passo all’indietro, portandosi una mano sul cuore, incapace di respirare normalmente. “Forse sì. Forse è pronto, forse…”. Scosse il capo, dandomi le spalle. “Inizia a scendere”, proferì solenne. “Devo cambiarmi”.

Abbozzai un sorriso, poggiando una mano sulla maniglia e sospirando. Le diedi un’ultima occhiata disperata – volevo forse essere fermato?

Mi aspettavo una sua qualche reazione?

Ero forse in astinenza?

 Forse”.

 

*\* Lo so.
Ci ho messo una vita, per aggiornare.
Ci sono persone che mi condanneranno, per questo, e altre che mi capiranno perfettamente. Il punto è che ho problemi di tutti i generi, che non sto qui a raccontarvi, perché non vi interessano, e perché non volete saperli.
Ho un prozio che sta male, una scuola che pressa, poco tempo per scrivere, una dannatissima ispirazione che mi odia...
Insomma, una serie di scusanti. Solo che io non le considero tali, dato che, per me, sono veri e propri problemi.
Ho scritto questo brevissimo capitolo in un pomeriggio, dopo averlo riscritto venti volte nei giorni precedenti. E non mi soddisfa.
Sinceramente, mi piace a sbalzi: adoVo InuYasha, ovviamente, e quello che fa Kagome mi piace un sacco, ma temo di rovinare tutta la storia scrivendola, e ciò mi deprime.
Ma poi leggo i vostri commenti. E sono immensamente felice.
Il capitolo è dedicato a voi. A tutte voi che avete commentato lo scorso capitolo, che mi avete tirata su e che apprezzate questo piccolo parto della mia mente.
*Fine della pausa seria*
Lo dico con orgoglio: ho un forum. Un forum dedicato a questa storia.
E so che può sembrare un atto incoerente, dato che mi ritengo pessima, e so che è stupido, ma l'ho voluto creare: è un luogo di ritrovo, ecco. *.* Le persone che passano di lì e mi commentano i post mi fanno morire, le adoro incommensurabilmente.
Il link è [http://botheringlife.forumfree.net], e, ovviamente, gradirei vedervi passare di lì. ^^ E' un modo come un altro per avvisarvi di eventuali ritardi, per sclerare in compagnia e per spoilerare allegramente! ^O^/ Venitemi a trovare, mi raccomando!
*Fine pausa stupida*
Mi avete stupito: quanti commenti! *^* Sono stata felicissima, mi sono sentita realizzata! *^*/
Se tutte voi commentaste anche questo capitolo, potrei morire d'infarto. XD E terminare i capitoli molto più velocemente. *Ricatto? XD*

>>Ringrazio:<<

Bchan XD Sì, in effetti sì. Kagome e InuYasha sono stupidi, ma dopo un certo numero di capitoli, anche loro riescono a comprendere qualcosa. XD Almeno credo. ._. Scusa per il ritardo, ma ho avuto davvero ogni sorta di problema (Dalla connessione scema al computer idiota. -.- Passando per compiti in classe et similia). -.- So che il capitolo è orrendo, ma posso sperare in un tuo commentino? *Smile*

callistas *Si nasconde* Sì, ci ho messo tanto, ad aggionare. No, non era mia intenzione. *Schiva i sassi* Comunque, mi fa piacere sapere che i capitoli ti piacciono. ^^ Come già detto in precedenza, ciò mi riempie d'orgoglio. ù.ù Se veramente ci sono delle persone disposte a pestare i simpaticoni *Devil Smile*, posso tranquillamente pagarti in ficcy. XD Di Shot ne ho messa una di recente, può andare bene come anticipo? *Risata* Felicissima di sapere che sono nel gruppo di persone di cui ti piaccioni i brani, e sempre un bene per la mia autostima sentirsi dire certe cose. ^^ Sperando che il capitolo non ti abbia schifata poi troppo, mi congedo. ^^ Spero di vederti tra i commentatori! ^O^/

kaggychan95 Ma sauuu! XD Non speravi nel bacio, eh? XD *Felice per aver stupito* E ti aspettavi questo seguito? *Gongola* E ti aspettavi fosse scritto in modo così penoso? *Fugge* Al prossimo capitolo - almeno spero -, caVa! ^O^/
 
maryku ç.ç L'ultima drabble è triste, sì. Credo si notasse quanto amo Itachi ed odio Sasuke. XD E... *Sospira* Lo so che il bacio è visto e rivisto *Ghigna*, volevo farle fare altro *Sghignazza, compiaciuta*, ma mi sembrava troppo. XD E poi, non voglio superare il rating arancione, con questa fic. *Beve thé* Grazie per i complimenti, spero che il capitolo ti sia piaciuto! ^O^

_ayachan_
Ho aggiornato, ho aggiornato, ho aggiornato! *^* Ho fatto bene? *Saltella* Allora: ogni qualvolta leggo un tuo commento, mi sento brava. Non si direbbe (?), ma sei un'ottima iniezione di autostima, oltre che un'autrice bravissima. =^^= Ciò che mi dici mi rallegra, Susi, e mi fa venire voglia di diventare bravissima solo per scrivere tanta roba di tuo gusto. XD Ovviamente, questa non è altro che un'utopia, ma è gradevole, e mi rallegra. *SospiVa* Inoltre, leggere i tuoi complimenti a quelle drabble... Dèi. Non ci speravo. Mi rendi felice, Susi! *.* E... Grazie. Davvero. Spero di non averti delusa, questa volta. 

inufan4ever
Ma Kikka! XD Non preoccuparti, sta' tranquilla se non hai commentato. *Smile* Ora ci sei, no? *Doppio Smile* Grazie, caVa. ^^ Spero che il capitolo ti sia piaciuto.

Gweiddi at Ecate
Amuuuur! *.* La drabble di Sasuke la metterò anche a parte, se vuoi. XD Solo che mi caccerebbero a pedate, mi sa! *Sospiro* Comunque, InuYasha e Kagome iniziano a darsi una mossa. ò.ò Almeno, così sembra! *Shock* E pensare che volevo farli arrivare puri et casti fino alla fine! *Doppio Shock* Inu non si è più nascosto sotto al tavolo, certo, ma lo farà. Sì che lo farà! XD Ti voglio beneH, cavaH! Spero di non aver fatto flop!

Beverly Rose
o___ò Sicura di non esserti confusa con la fic di qualcun'altro? o___ò Ti piace davvero? *Infarto* Oddèi! *.* Che bello, che bello! Grazie mille per i complimenti. E per averla messa nei preferiti. E per... *Sviene* E... *Rinviene (?)* Spero che il capitolo ti sia piaciuto. ^O^/

okkiverdi
^^ Felicissima di sapere che la storia continua a piacerti. ^^ Che te n'è parso di questo capitolo? XD Io lo trovo orrendo!

Aryuna
ù.ù Mannò che non hai scritto Mimì, tesoro! XD Grazie mille per il commento, e sappi che Rin è bendisposta per aiutarti! *^* Ha imparato a preparare il ramen quasi senza bruciare nulla! *Clap Clap* E grazie per i disegni, li lovvo assai! *Happy* Spero che il capitolo sia stato decente! *Sparge fiori*

Kagome1
9 XD Anche se in ritardo, ho aggiornato. *Si inchina* Mi dispiace. ._. Che te n'è parso del capitolo? XD All'altezza dei precedenti, o semplicemente orribile? XD Fammelo sapere!

pillo
ù.ù Non lo so dove prendo certe idee, forse dagli ovetti della Kinder (?). ù.ù Baci non ce ne sono stati, in questo capitolo, ma un... XD Un qualcosa sì. E tanta - troppa! - gelosia. S'è notato? *Devil Smile* Spero che il capitolo ti sia piaciuto, tesoVo! XD

HimeChan XD
Una statua? XD Ma Hime, caVa, non costerà un po' troppo? *Ridacchia* Comunque, io lovvo i tuoi commenti, non farti venire complessi. ù.ù Vero che il capitolo ti ha fatto schifo? *Occhi luccicanti* Vero? *^*/

monik
o__ò Non hai parole per commentare? *Sviene* Grazie. *Inchino* Sono felice quando mi dite che la storia vi piace, per me è un onore. *.* E finire nella carrellata dei tuoi preferiti mi esalta! *O* Ci ho messo un po', ma ho aggiornato. *Speranzosa* Com'è il capitolo?

ryanforever
XD Il club esiste! XD L'abbiamo fondato nel mio forum, è uno dei gruppi. *Smile* Felice di sapere che hai apprezzato sia il capitolo che le drabble: che mi dici di questo? XD E' brutto come penso? 

mikamey
XD In pappa? Addirittura? Oddio! ò.ò E... Come stai? ò.ò Ci ho messo così tanto, ad aggiornare! ò.ò E... -.- E ho postato un orribile capitolo. -.- Ti è piaciuto almeno un po'? *Occhi speranzosi*


Grazie anche a chi mette la storia tra le preferite, a chi legge soltanto e a chi passa per il mio forum. ^O^
E alle sedici persone che hanno commentato Name, una delle mie ultime fatiche. *^* Sono commossa!

Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Certezza ***


BL

>> Una cosa che dimentico sempre, sin dalla mia prima storia:

I personaggi presenti in questo mio elaborato non mi appartengono. Sono, bensì, di proprietà della venerabile Rumiko Takahashi, e non vengono da me utilizzarci per scopo di lucro.

Solo per divertirmi. E farmi picchiare da voi lettori, ovvio (L).

La Tokyo di cui parlo in questa fic, inoltre, non è la Tokyo da noi conosciuta, ma semplicemente una Tokyo parallela: strade, prezzi, traffico, auto e quant’altro possono differire dalla realtà.

Fatti, cose e persone sono puramente casuali.

XD Ora mi sento meglio! <<

 

 

Certezza

I dreamed I was missing
You was so scared
But no one would listen
Cuz no one else care
[Linkin Park - Leave out all the rest]



“Cosa c’è scritto in quella lettera?”.

“Niente”.

Kagome si morse il labbro inferiore, fissandomi impaziente. “Non può essere niente”, grugnì severa, arrotolandosi una ciocca di capelli intorno all’indice. Qualche attimo – misero, misero attimo – per riordinare le idee, e poi ricominciò a parlare, lentamente: “Tuo fratello non sarebbe venuto sin qui senza una motivazione logica”.

“Sesshomaru non ha bisogno di alcun pretesto per venire a disturbarmi”, sospirai. “Lo fa sin da quando eravamo bambini, e non ho mai avuto possibilità di replicare: lui è il maggiore”.

Sottolineai l’ultima parola con veemenza – il maggiore.

Lo youkai prediletto, il figlio purosangue.

Io, dopotutto, ero solo un debole, piccolo, infimo hanyou.

Dannazione, doveva sempre venire a disturbarmi, quel tipo?

“Oddio, Inu-Yasha, anch’io sono la maggiore, ma non tratto Sota come uno zerbino”. Arrossì appena – avevo inarcato un sopracciglio, e la guardavo scettico –, per poi alzare gli occhi al cielo. “Ok, lo maltratto, ma solo se ho una motivazione vagamente decente”.

Ridacchiai, voltandomi verso il portatile: mi era venuta un’idea per la relazione di Shinji e Mimi, e dovevo assolutamente buttarla giù. O me ne sarei dimenticato, era un deprecabile dato di fatto.

In fin dei conti, in quei giorni la mia ispirazione stava toccando livelli infimamente infimi – tutte queste ripetizioni cacofoniche solo per spiegare che non riuscivo a scrivere mezza parola senza avere un conato di vomito o giù di lì.

“Inu-Yasha, mi spieghi come fai ad ideare la trama di una tua storia?”.

“Che?”.

“Dicevo”. Sospirò amabilmente, sistemandosi la camicetta sgualcita. “Come decidi quello che deve avvenire? Studi la trama nei minimi dettagli, o è una cosa istintiva?”. Inspira, espira. “Il tuo è un dono, o devi lavorare sugli sviluppi, come un qualsiasi essere vivente?”.

Oh. Dunque anche Kagome Higurashi aveva dei dubbi stupidi.

La guardai, sbuffando contrariato. “Guarda che io scrivo quel che mi passa per la mente!”, dichiarai altezzoso – dèi, era divertente vantarmi di cose false: io la trama la studiavo, in un certo senso. La sognavo di notte, e tentavo di ricordarla al mattino.

Se ci riuscivo, avevo almeno tre capitoli pronti.

Se non ci riuscivo… Beh, in quel caso erano guai miei.

“Quello che ti passa per la mente?”, ripeté, perplessa. Era seduta sulla poltroncina accanto a me, ed osservava la schermata del portatile con vago interesse. Forse aveva sonno – era rincasata tardi, verso le cinque.

E lo sapevo perché l’avevo aspettata.

E l’avevo aspettata perché non avevo sonno.

E non avevo sonno perché non era ancora rincasata.

“Esatto”, dissi comunque. “Quello che mi passa per la mente”.

Lei ridacchiò. “Allora sei un genio”, constatò, ironica. Un moto di rabbia mi scosse, ma mi impegnai per non pensarci. “Comunque, hanyou, io devo uscire con Sota. La mamma è a tennis, il nonno è uscito con dei suoi amici, papà è a una riunione e oggi è il giorno libero dei domestici”. Mi sorrise, divertita da un qualcosa che non riuscivo a capire. Non ancora, almeno. “Resterai solo in casa: sicuro di non avere paura?”.

“Paura?”, urlai sconvolto. “Io? Paura? E di cosa?”.

Il suo sorriso si trasformò in un ghigno, e tremai, leggermente scosso: “Una villa grande come questa… Tu, solo, in un angolo, a scrivere un libro che deve diventare un best seller o verrai licenziato in tronco e mandato a vivere sotto i ponti insieme agli altri mille disoccupati…”.

Le frasi lunghe – quelle veramente lunghe, che lasciano senza fiato – mi avevano sempre dato ansia. E Kagome sembrava divertirsi, allungando tutto sino all’esasperazione: per ben più di un secondo presi in seria considerazione l’ipotesi di baciarla, in modo da zittirla.

Poi mi resi conto del mio insano proposito, e mi diedi un pizzicotto sul palmo della mano, nel tentativo di riscuotermi.

“Allora io vado”.

Annuii. “Va’. E divertiti”.

“Lo farò”, garantì, sorridendo maligna.

Si sollevò con grazia, allontanando poi la poltroncina con una mano, mentre l’altra – la manca – si protendeva verso di me, salvo poi sfiorare i miei capelli d’argento. Lasciò che scivolassero tra le sue dita, osservandomi – maliziosa? –, per poi voltarsi di scatto e biascicare un saluto.

La divertiva torturami così?

“Ciao”, mugugnai, sollevando gli occhi verso il soffitto; c’erano delle crepe. Potevo contarle, mentre attendevo che Kagome uscisse dalla stanza.

“Ciao”, ripeté lei – sentii i suoi passi rapidi per la stanza, la mano che si poggiava sull’anta della porta, spingendola via. Il rumore della gonna che frusciava, mossa appena dalla brezza che penetrava dalla finestra. E il rumore dei suoi tacchi per il corridoio.

Sbuffai.

No, era insopportabile. Non riuscivo a capirci più nulla: Kagome non mi piaceva. Non in quel senso, almeno.

Sin da quando l’avevo vista la prima volta, avevo garantito a me stesso che mai, mai e poi mai, avrei potuto infatuarmi di lei.

Insomma.

Cioè, era carina e via discorrendo, ma… Non potevo.

Non lei.

“Dannazione”, rantolai, esasperato, poggiando – rapido, con un movimento secco – le mani sulla tastiera del portatile: dovevo scrivere, no? Dovevo lavorare, no?

E allora perché perdevo tempo con una ragazzina pedante?

Scuotendo il capo, ripresi a scrivere: avevo avuto un’idea. Un’idea stupida, sciocca. Un cliché – il cliché. Però volevo rielaborarlo a modo mio: Mimi, avvolta in un asciugamano rosa, sarebbe dovuta uscire dal bagno, salvo poi scontrarsi in Shinji, e con lui litigare. Doveva dargli del maniaco e giù di lì – insomma, avrei potuto ispirarmi a Sango a Miroku.

Lui era un pervertito, lei lo picchiava sempre e comunque.

Insomma, erano proprio quel che mi serviva.

Iniziai a pigiare con calma i tasti, bene attento a non scambiare la i con la ì e a non fare sciocchi errori di battitura che Kagome avrebbe potuto farmi pesare – non mi concessi una pausa. Neppure una.

Per tre ore, rimasi seduto alla scrivania, cercando di rendere concreto un qualcosa che, sino a quel momento, viveva unicamente nella mia mente. Parole su parole ricoprivano la carta bianca: a volte cancellavo qualcosa, poi lo riscrivevo; un lavoro lungo e snervante.

Però, in fondo, mi rendeva piuttosto soddisfatto – mi rilassavo, scrivendo, e non dovevo lavorare in un qualche supermercato come la stragrande maggioranza dei miei coetanei. A volte, rendendomi conto di ciò, mi sentivo sciocco.

Loro si spaccavano la schiena per ore ed ore, io restavo seduto a casa mia, riposando tranquillo.

Insomma, ero più fortunato degli altri, e non mi andava a genio.

“Mm. Un thè”. Spinsi la sedia all’indietro, per creare lo spazio necessario ad alzarmi, e poggiai le mani sulla parete, cercando di calmarmi: avevo una strana sensazione. Il genere di sensazione che ti coglie dopo un sogno premonitore; quella fitta allo stomaco che ti urla di fare attenzione.

Passandomi una mano tra i capelli, uscii fuori dalla stanza.

Volevo un thè. Un thè, sì.

Però, istintivamente, le mie gambe presero tutt’altra direzione – mi fermai innanzi alla porta di Kagome, ansante. La mano destra, meccanicamente, si mosse verso la maniglia, e la spinse verso il basso.

Un cigolio – un debole cigolio –, e l’uscio si aprì, rivelando la stanza che da poco avevo scoperto: nulla di speciale, esattamente come l’altra volta. Un peluche era riverso sul pavimento, poco distante da me, poggiato accanto ad una pila di maglie di lana. Il portatile per cui tanto aveva lottato – ricordavo bene le urla di suo padre, che le diceva non volerglielo comprare – era riposto sulla scrivania.

Sollevai il capo verso il soffitto, socchiudendo gli occhi ed ispirando il profumo di Kagome, aleggiante in tutta la stanza. Era un odore caldo, delicato. Una morsa, insomma: mi avvolgeva. Poggiai la schiena contro la parete, rasserenato.

Ed era assurdo, perché non capivo quella strana dipendenza.

E no, non capivo quella dipendenza perché era assurda.

E non ce la facevo più – mi stava rovinando la vita, eppure non se ne rendeva conto. Il che era snervante, pensandoci bene.

In un impeto di furore, uscii nuovamente dalla stanza, correndo per il corridoio: non appena vidi le scale, svoltai a destra, e le percorsi con rapidità, saltando i gradini: uno dei vantaggi di essere un hanyou era proprio questo. Pur compiendo cose non propriamente umane, non mi facevo del male. Mai.

Insomma, questa era una delle poche non fregature.

Entrai in salotto con un vago senso di – non – compiacimento, e mi accostai lentamente al caminetto: centinaia di cornici erano state sistemate lì dalla signora Higurashi il giorno prima. E Kagome, con la sua aria saccente, mi aveva intimato di non osservarle; la imbarazzavano.

E, ovviamente, per tutto il pomeriggio avevo fatto quel che voleva lei, ricercando l’ispirazione in luoghi a me più consoni: il bagno, ad esempio. O la mia camera da letto: la mocciosa irritante sosteneva che io e quella stanza ci somigliavamo parecchio: condividevamo un cattivo odore nascosto dal profumo e un aspetto fintamente ordinato.

La mia risposta non era stata granché gentile, dato che mi aveva dato del cafone e se n’era andata via – ed era uscita.

E io l’avevo aspettata.

E l’avevo aspettata perché qualcosa mi urlava di fare la pace.

E qualcosa mi urlava di fare la pace perché stavo impazzendo, e iniziavo anche a parlare da solo. Il che avrebbe dovuto urtarmi parecchio, anche se ciò non avveniva.

“Bene, vediamo ‘sti segreti”.

Carezzai la cornice della prima foto, lasciando scorrere l’indice tra le decorazioni.

Non era nulla di speciale: la signora Higurashi e il signor Higurashi il giorno del loro matrimonio: lei indossava un bel kimono bianco, classico. Normale.

Scuotendo il capo, passai alla foto seguente – nulla di speciale neppure questa. Sota il giorno del suo terzo compleanno, con un modellino di un qualche anime tra le braccia e l’espressione contenta che solo un bambino può fare.

Sbuffando, passai alla foto successiva – e mi misi a ridere. Come un ossesso.

Kagome, un graziosissimo vestito che ricordava quello delle dame del Trecento italiano, osservava con rabbia lo spettatore: aveva stretto i pugni, e gli occhi erano lucidi. Non poteva avere più di otto anni, ma non avevo dubbi.

Era Kagome.

Non poteva trattarsi di una qualche cugina, gli occhi nocciola erano gli stessi. E anche i capelli, per l’occasione legati in una treccia, erano innegabilmente suoi.

“Oddèi”, esclamai, ridacchiando. “Quando tornerai…”.

Lasciai la frase in sospeso – ero da solo, e sapevo perfettamente che l’avrei derisa non appena avesse messo piede in casa – e mi voltai, infilando le mani nelle tasche dei jeans e camminando a passo lento, diretto in cucina. Per una volta, non ci sarebbe stata nessuna cameriera a chiedermi se desideravo mangiare qualcosa: non mi piaceva, ecco. Detestavo essere servito e riverito, quando anch’io, come loro, lavoravo per gli Higurashi.

Era un lavoro diverso, il mio, ma eravamo pur sempre colleghi, in un certo senso. Provvedevamo ai bisogni del signor Higurashi e famiglia: loro in senso fisico, io in senso materiale. Loro li trattavano come re e regine, io facevo sì che il loro conto in banca non andasse in rosso.

In un certo senso, eh!

Mi avvicinai titubante all’enorme frigo argentato, aprendo con mano malferma lo sportello: immediatamente, un meraviglioso odore di cioccolata giunse alle mie – troppo sensibili – narici, e mi ritrovai a cercare con lo sguardo la fonte di quel buon odore. Non mi impegnai più di tanto, una gigantesca crostata era posta proprio innanzi a me, e uno strato di Nutella, al suo interno, faceva una splendida figura.

Mi leccai le labbra d’istinto, e afferrai con entrambe le mani la teglia, deciso a mangiarne una fetta.

Ma, ovviamente, sulla crostata c’era un biglietto.

E la grafia era di Kagome.

E mi intimava di non mangiarla.

E iniziavo a sentirmi considerato meno di un neonato.

E iniziavo a sentirmi considerato meno di un neonato perché non potevo neppure mangiare una stupidissima crostata alla Nutella.

La posai nuovamente nel frigo con un gesto irritato, chiudendo con forza lo sportello – e pregando che non si rompesse il frigo, ché poi avrei dovuto ricomprarlo di tasca mia. Cosa che non mi andava particolarmente a genio, in quel momento.

Consapevole che non avrei mai potuto mangiare la crostata – sensi di colpa, sensi di colpa! –, strisciai sino ad un mobile poco distante, e aprii un’anta. Senza neppure guardare, presi la cosa più simile a del cibo: un pacchetto di patatine. “Meglio di niente”, fu il mio unico, depresso commento.

Kagome era un’insensibile. Una donna perfida, senza cuore.

Non poteva lasciare sola in frigo una simile meraviglia, una creazione sì splendida dell’arte culinaria… E scriverci sopra che non potevo mangiarla, perché era un regalo per Sota, dato che domani era il suo compleanno, e bla bla bla.

Insomma, io ero pur sempre uno scrittore, dovevo mangiare. Era essenziale, per me.

Lanciando un ultimo sguardo malinconico al frigo – e, di conseguenza, alla crostata –, lasciai la cucina, il pacchetto di patatine stretto in pugno e un’espressione da far invidia ad uno zombie de L’alba dei morti viventi. Almeno, credo che in quel film ci siano zombie: non l’ho mai guardato, volendo essere sinceri.

“Chi se ne importa”, borbottai, incrociando le braccia sul petto. Ero ancora arrabbiato.

Dannata Kagome. E dannati tutti gli Higurashi.

Non era possibile – né giusto, né generoso nei miei confronti – lasciarmi a pane e patatine. Se l’avessi saputo, non avrei mai accettato di trasferirmi lì per un po’: avrei insistito affinché mi fosse offerto un viaggio alle Hawaii o in altri posti.

Il problema grave, però, era il mio attaccamento alle sfide: non al lavoro. Alle sfide.

Sapevo che pubblicare un libro più interessante di quello di Naraku era un’impresa a dir poco disperata, ma contavo sulla mia genialità…

Ok, ok. Non avevo praticamente idea di come fare, ma battere quel dannato idiota che si faceva grande sugli scandali dei politici stava diventando una questione di vita o di morte: non potevo lasciare che un verme come lui si prendesse onore e gloria a discapito di noi scrittori veri. Era inaudito.

Ancora intontito, barcollai appena di lato, il pacchetto di patatine stretto nella manca e la bocca piena fin quasi a scoppiare – mi passai la manica della camicia sulle labbra, ripulendole dalle briciole in eccesso, e poggiai una mano sulla maniglia più vicina, ritrovandomi catapultato in bagno.

L’ambiente era piacevole, con le sue mattonelle celesti e i suoi asciugamani del medesimo colore. Profumava un po’ di vaniglia, e riconobbi il profumo che Kagome tanto amava posato su di un ripiano poco distante.

Non era particolare, ma aveva un buon odore, e lei mi aveva rivelato di esserne inspiegabilmente attratta.

Un po’ per noia, un po’ per curiosità, presi la boccetta tra le dita, attento a non far fuoriuscire il gas: se lei lo amava, io lo detestavo cordialmente, ritenendo meno nocivo l’olezzo proveniente dalle scarpe di Sota dopo una partita a calcetto.

Continuai a rigirarmelo in mano con diffidenza, chiedendomi cosa ci trovassero di piacevole le donne nei cosmetici – e, al contempo, pensavo a Kagome, e a dove poteva essere andata la sera precedente. Avevo escluso buona parte delle possibili alternative, ritrovandomi con possibilità allucinanti come la discoteca – mai luogo fu da me più disprezzato, con le sue luci troppo forti e i suoi suoni spacca timpani – e la ancor più tremenda abitazione di Sango e Miroku, luogo conosciuto per la costante presenza di un essere decerebrato con la mania per i sederi.

Insomma, ogni alternativa era spaventosa.

E ancora non capivo perché me ne stessi interessando, dato che Kagome non mi piaceva.

Poteva anche finire sotto un treno, per quel che mi importava.

Ripetendomi mentalmente che non dovevo infischiarmi dei suoi affari – un vero e proprio lavaggio del cervello – e che dovevo andare avanti. Se mi avesse visto qualcuno, avrebbe di certo contattato il manicomio più vicino.

“Stupida. Dannata stupida”, biascicai inconsapevolmente, sollevando gli occhi verso il soffitto. Uno strano senso di colpa mi attanagliava le viscere, e poggiai nuovamente la boccetta al suo posto, bene attento a richiuderla nel medesimo modo in cui l’avevo trovata.

Perché sì, Kagome è peggio della polizia, quando si tratta della sua roba: la punizione per aver sfiorato il suo profumo doveva essere per forza spaventosa. Tremando leggermente, sistemai il tutto.

Appena in tempo: in lontananza, il rumore di un paio di ruote che oltrepassava i cancelli di casa Higurashi giunse alle mie orecchie, atterrendomi. Mi voltai, e corsi in camera mia, lasciandomi poi ricadere sulla sedia innanzi alla scrivania.

Non sapevo perché ero fuggito. Dopotutto, ero in bagno, e non stavo facendo nulla di che: avrei potuto chiudere la porta a chiave e farmi una doccia, ad esempio. Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire, e Kagome si sarebbe complimentata: riteneva io puzzassi quanto un paio di calzini usati, no?

“Maledizione”.

Sferrai un pugno alla parete, grato al dolore: pensare che la mano mi faceva male riusciva a distogliere i miei pensieri dalla persona che – subdola, così subdola – aveva appena varcato la porta d’ingresso. Udivo distintamente la sua risata divertita, e il rumore dei suoi passi per il corridoio: con ogni probabilità, era andata a fare shopping con le amiche, salvo poi farsi riaccompagnare a casa da un autista del padre.

Era da lei, fare cose simili.

Rimasi qualche attimo in attesa, gli occhi socchiusi, l’aria fintamente calma.

Aspettai che superasse la mia porta – vaga incertezza, mano che sfiora il legno, respiro pesante –, poi feci del mio meglio per regolarizzare il battito del mio cuore. Forte, troppo forte…

Voleva uscire, dilaniare il mio petto, seguire Kagome.

La voleva.

Desiderava quella ragazza più di ogni altra cosa al mondo: inutile illudersi. Il mio cuore la voleva.

Mi ero innamorato di Kagome Higurashi.

E questa non era una certezza positiva.








*\* Ok. Se ritenete che debba essere picchiata, avete ragione.
Non ci ho messo un mese, no. Un mese era troppo poco! -o-'' Quasi due!
Cavolo, non avete idea di quanto mi senta in colpa: pur sapendo che NON è colpa mia, e che ho tante ragioni per giustificare questo schifo di ritardo, non riesco a non sentirmi colpevole. Per un po' ho pensato di lasciare questo fandom - mi stava venendo la nausea, non lo nascondo. Però... Però a me piace, questo posto! çoç Non voglio lasciare InuYasha! çoç
E mi dispiace per il ritardo.
Perciò chiedo scusa a tutti voi, perché non era mia intenzione farvi aspettare tanto: mi dispiace. E ok, questa è la regina delle frasi fatte, ma... -o-''
Non sto mentendo, e non pretendo che voi non mi diciate niente: è dal... Non so. Il quindici marzo? òoò''
Vabbe', parecchio. Aspettate da parecchio.
Ma un po' mi son fatta perdonare, no? *O* Il capitolo ha un risvolto puccio, no? *O* Dopo nove capitoli, Inucchan-chan-chan ha capito qualcosa! *O*
E ok, il capitolo mi soddisfa pochissimo, però... òoò Meglio di niente, no?
Ora, ora, ora...
Grazie di cuore per le recensioni, non me le aspettavo. Sono commossa, seriamente.
XD Per la mia simpaticissima autostima, leggere che apprezzate questo sclero è davvero un bene. So che non resterà nei vostri cuori, ma sapere che, per ora, vi piace, mi rende euforica. ^o^ Cercherò di non farvi mai più aspettare così, anche se non prometto niente.
E... scusate il capitolo breve. çoç L'ispirazione è una brutta bestia, no?
*Alza la mano verso il cielo, urla, salta, scappa (?)*

RINGRAZIO SENTITAMENTE <3

1#. Kade: Grazie, Kaddy. Grazie.
Non so cosa dire: leggere certe cose mi rincuora: allora non sono così da buttare! òoò/ Posso anche continuare a inondare il sito dei miei scleri per un po'! *O*
*Coff Coff* Kadduccia, tu non lo sai, ma il tuo commento ha fatto sì che continuassi a scrivere BL. Mi hai dato la forza di finire 'sto schifo di capitolo. ^^ Grazie, davvero.
E salutami Secchan! *O*
2#. Emiko92 Cucciolaaaa! *O* Allungo le vocali solo per te, visto che brava che sono?
*Si riprende e coccola Emi-chan* Allur, non risponderò di pari passo al commento, poiché non ne ho il tempo materiale. >.> Non oggi, ho già fatto penare abbastanza voi lettori.
Però, amour (?), me ti adoVa tanto. *O* Grazie per la recensione!

3#. _Draco_
Ma ciao! *O* Che bello vedere nuovi commentatori, è sempre graditissimo! *O*
Sono felice di sapere che apprezzi il mio modo di scrivere, e spero vivamente che il mio ritardo non ti spinga a smettere di commentare. ^^'' Chiedo ancora venia, non era mia intenzione farvi aspettare così tanto. çoç
Grazie ancora! (_ _)
4#. _ayachan_ Susisù! *O* Susisù! *O* Susisù!
*O* Ho aggiornato, Susi! *O* Di' la verità: non ci speravi più, vero? -o-
In ogni caso, ti ringrazio sentitamente per il commento: credo tu sappia l'effetto positivo che hanno su di me. Perché sì, potrò comunque peccare di autostima, ma leggere che il mio modo di scrivere ti piace è una gioia immensa.
Grazie, tesHoro. ^O^ Me ti adora!

5#. Gweiddi at Ecate
... Mi sento in colpa. ç.ç Non uccidermi, Elisa, ti prego!
*Scappa, si nasconde, afferra un pupazzetto a forma di Itachi, lo porge a Elisa, aspetta che lei cessi di urlare, sorride (?)*
So che il capitolo non è granché, ma posso sperare che non ti abbia fatto poi così vomitare...? ^^'' Bacioni!

6#. mikamey
òoò Non è stato presto, diavolo. Ti avevo promesso che mi sarei sbrigata, ma così non è stato. Ti chiedo ovviamente scusa.
Spero tu abbia gradito 'sto sclero! *O* Baci!

7#. callistas
Facciamo così: tu non mi picchi, io non mi nascondo. Ok? ^^''
No, perché questo ritardo è schifoso, imperdonabile. Mi sento in colpa come mai sono stata, non mi era mai successo di ritardare così tanto. çoç Mi sento uno schifo, dannazione!
In ogni caso, sono felice di sapere che il precedente capitolo è stato di tuo gradimento, e spero che questo non sia da meno. ^^'' Non è propriamente il migliore, ma... Ci ho provato, ecco. >.>
Spero commenterai anche se sono imperdonabile! çoç Baci! xD

8#. kirarachan
 Vale tesoro! çoç Ci ho messo una vita, a postare! çoç
Vero che mi perdoni? *O* Vero?
*Abbraccia Vale (?), saltella via*

9#. kaggychan95
>.> L'hai letto in anteprima, mentre la mia linea decideva di morire e non darmi più sue notizie.
>.> Che te n'è parso? A me continua a non piacere. ùoù

10#. Bchan
Ok, tu mi ammazzerai, indi per cui mi congedo. çoç
Puoi spezzarmi le gambe, ok? Ma non le mani, o non scriverò più. òoò Cosa non troppo spiacevole, per voi.
Vabbe', scusami anche tu. ^^'' Non avverrà mai più, lo prometto: però sono tornata, no? Sarei anche potuta sparire per sempre. -o-/

11#. pillo
çoç Perdonoperdonoperdono!
Visto lo sviluppo tra Inu e Kaggy? *Sì, ti sto sviando, non voglio che rammenti quanto c'ho messo ad aggiornare*
Mi perdoni? *Smile angelico*

12#. inufan4ever
òoò Non dico niente, l'hai letto in anteprima.
Ti voglio bene! XD

13#. Aryuna
çoç Facciamo così: io mi dispero per il capitolo corto e brutto, tu per il commento breve e bello, ok?
çoç Quantomeno, qualcuno si dispererà quanto me, Ary-chan tesoro! çoç

14#. Flockkitten
Sono felice di sapere che apprezzi la mia storia. ^^ E' sempre piacevole ricevere complimenti: mi fai sentire quasi capace di scrivere. >.>
Chiedo scusa anche a te per l'imperdonabile ritardo con cui quest'aggiornamento è arrivato. Ho avuto problemi, e non sono riuscita a terminare questo breve capitolo. E mi scuso, davvero, perché detesto tardare.
Scusami ancora, spero che il capitolo ti sia piaciuto almeno un po'. ^^''

15#. monik
XD Qui non l'ha baciata, ma si è reso conto di esserne indiscutibilmente attratto: è un passo avanti o no? XD
In ogni caso, scusa anche a te per lo schifosissimo ritardo: non avverrà più, lo giuro! çoç

16#. Beverly Rose
Scusa anche a te. çoç
Sono una ritardataria cronica, in casi come questi, mi sento uno schifo! çoç E non ho neppure messo spoiler sul forum, il che mi fa sentire peggio. ç.ç
Scusami... ç^ç

17#. okkiverdi
çoç Mi perdoni per il ritardo, vero? Non ho compromesso il tuo leggere questa storia, vero? çoç
Mi sento così in colpa! ç.ç Scusami, davvero.
Spero tu abbia apprezzato questo capitolo almeno un po'.

18#. Kagome19
Sai che, in questo momento, sei l'unica persona di cui non ho paura? òoò Hai detto che aspetteresti anche l'anno prossimo, per un aggiornamento, e io ci ho messo due mesi, quindi...
*Abbraccia Kagome19, la ringrazia, si inchina*
Spero che il capitolo ti sia piaciuto. çoç E ti chiedo comunque scusa per il ritardo. çoç
19#. ryanforever ç^ç Mi perdoni per il ritardo? Mi perdoni per il ritardo? Mi perdoni per il ritardo? ç^ç
Spero di sì, perché mi sento parecchio in colpa. ç.ç
E spero che il capitolo ti sia piaciuto. çoç
20#. Andrew of China *Si inchina* Chiedo venia per l'imperdonabile ritardo. L'avrò scritto almeno cinquanta volte, ma mi sento così dannatamente in colpa da doverlo ripetere.
Scusami, seriamente. ç.ç Spero che il capitolo - benché un po' sdolcinato - ti sia piaciuto. ç^ç Alla prossima, si spera. ^^''
21#. HimeChan XD Non dico nulla. ùoù Mi dirai tu nel commento, Hime-chan-chan! XD
Baci dalla piccola Rò. ùoù/




Ecco, i ringraziamenti sono finiti. *O* Vi adoro, siete tutti gentilissimi.
Per ricompensa - e perché temo che Susi mi picchierà -, vi lascio alle tre Flash Fic di quattro, spin-off di questa fic: sono un regalo per Susi, e spero le gradirete. Sono un po' malinconiche, a quanto dice Emiko. XD
La quarta la posterò nel prossimo capitolo, semmai. ùoù


1#. Osservare [484 Parole, Flash Fic]
 
“Izayoi! Izayoi, presto, vieni qui!”.
Era troppo preso. Troppo concentrato sulla figura innanzi a sé, per rendersi conto dei passi frettolosi della moglie, e della sua espressione preoccupata.
Era troppo curioso di osservare quel bambino – quel piccolo, piccolo monello – imbrattare un foglietto di carta un po’ spiegazzato. E rideva – , rideva –, perché l’espressione di suo figlio era dannatamente buffa.
“Allora?”.
Volse appena il capo, perplesso. “Allora cosa?”.
“Perché mi hai interpellata?”, domandò la donna spazientita, un mestolo nella mano destra e uno strofinaccio nella sinistra. Doveva cucinare, lei. Non perdere tempo in quel modo.
“Izayoi, guarda nostro figlio”. Lo youkai le sorrise, facendole cenno di avvicinarsi. “Osservalo e dimmi che sto sprecando istanti preziosi”.
Lei rise. “Oh, non l’ho mai detto. Però l’ho pensato, sì”, aggiunse, vagamente imbarazzata, sotto lo sguardo scettico del marito. La esasperava, quell’uomo.
Coccolava Inu-Yasha in modo quasi vergognoso, comprava oggetti inutili, si faceva inutili paranoie quando doveva parlare con l’ex moglie. Izayoi lo trovata irritante, in certi istanti.
Ma lo amava immensamente.
E i piccoli difetti scompaiono, quando c’è l’amore.
“Guardalo”, ripeté lui con tono accalorato. “Suvvia, Izayoi. Un attimino. Osservalo scrivere”.
Lei si lasciò cadere al suo fianco, passandosi una mano tra i capelli scuri e sistemandoli, fintamente concentrata.
Osservò con cura il volto concentrato del bambino – aveva le labbra serrate e lo sguardo torvo, come un adulto che non riesce a trovare la soluzione di un problema – e stringeva la stilografica – la stilografica del padre, quella che avevano nascosto in un cassetto per paura di romperla – tra le piccole dita. Il foglio davanti a lui, pian piano, diveniva sempre più scuro, e sorrise intenerita.
“Osi ancora ripetere che sono stupido, ad osservare il figlio?”, chiese lui divertito, guardandola con i suoi lucenti occhi d’ambra. La scrutava dentro, e Izayoi non poté fare a meno di arrossire, sentendosi improvvisamente stupida. “Sono stupido, sì o no?”.
Si abbassò, sfiorando con le labbra le orecchie appuntite dell’uomo – questi gemette sommessamente, mentre la manca della moglie gli carezzava la guancia. “Non sei stupido”, mormorò, imbarazzata. “Non lo sei mai stato”. Poi sorrise, dandogli un leggero bacio sulla fronte ed avvicinandosi al figlio, che, ora, li osservava perplesso. “Allora, Inu-chan? Vuoi fare lo scrittore, da grande?”.
L’hanyou sollevò la penna, osservandola – nervoso – qualche attimo. Alla fine, asserì blandamente con il capo. I capelli argentati volarono qua e là, creando strani giochi nell’aria della stanza, particolarmente afosa. Era agosto, cavolo, avrebbero dovuto aprire una finestra.
Invece no, perché Izayoi sosteneva che il ventovento?, che vento? – avrebbe potuto far ammalare il piccolo.
L’uomo sospirò, compiaciuto, osservando la moglie chinarsi accanto al figlio. “Lo scrittore, dici?”, chiese, avvicinandosi a sua volta. “Sai che non si guadagna granché bene, se non si diventa famoso?”.
Inu-Yasha sollevò le spalle. “La vita è fatta di alti e bassi, no?”, pronunciò con voce solenne, l’aria severa e la penna ancora stretta tra le piccole dita. Un moccioso saggio.
Izayoi rise, divertita.
Perché la vita è fatta di alti e bassi, sì.
 
2#. Credere [300 Parole, Flash Fic]
 
Quando Sesshomaru – Sesshomaru il suo fratellone, Sesshomaru quello che lo odiava, Sesshomaru che era un demone perfetto – l’aveva visto per la prima volta, non era stato granché piacevole.
Era figlio unico, lui.
Inu-Yasha era poco più di un neonato. Una palla coperta di capelli argentati, con una faccia olivastra sulla quale spiccavano due occhi d’ambra.
Aveva detto qualcosa a suo padre – qualcosa come è un mostriciattolo abominevole, degno figlio di una ningen puzzolente – e si era voltato verso sua madre, che lo osservava seccata. Poi aveva stretto i pugni e, a grandi passi, era uscito dalla stanza.
Si era seduto ai piedi di un albero brutto e rinsecchito che cresceva nel giardino, ed aveva afferrato un sassolino.
“Guarda che io ti voglio bene”.
Aveva alzato il capo, perplesso, e si era voltato verso suo padre. “Non mi interessa”, aveva ringhiato a denti stretti.
Lui non era un figlioletto geloso, no.
“Sicuro?”.
“Sì”.
Il padre aveva tirato su col naso, sedendosi al suo fianco. “Che te ne pare di Inu-Yasha?”.
“Mi pare di averlo già detto”, aveva borbottato Sesshomaru, inarcando un sopracciglio. “Si tratta di un hanyou, padre. Esseri inferiori come lui non dovrebbero esistere”.
“Tua madre, con te, sta facendo un buon lavoro, eh?”, aveva commentato scettico l’altro, scuotendo il capo. “Ma non è così. Non sono esseri inferiori”.
“Fino a poco fa, lo pensavate anche voi”.
“Forse sì, Sesshomaru. Ma tu non devi pensarlo: i bambini non dovrebbero giudicare a priori, lo sai”.
“Non sono un bambino: per causa del vostro divorzio, padre, io sono stato costretto a crescere. Oramai, ciò che dico non è più da bambino”.
L’uomo sospirò.
E sospirò ancora.
E ancora.
Bastava crederci, no?
Bastava illudersi che Sesshomaru sarebbe andato d’accordo con Inu-Yasha. Che si sarebbero voluti bene.
Ciò che gli restava era credere, no?
 
3#. Ridere [183 Parole, Flash Fic]
 
“Non ci voglio andare!”.
Izayoi sollevò il capo, sconfitta, e riprese a piegare la maglietta nera. “No?”, proferì con voce atona.
Inu-Yasha scosse il capo.
“L’asilo non è poi così male”.
“I miei compagni di classe sono odiosi, madre. Non ho intenzione di passare altro tempo con loro”. Ciò detto, incrociò le braccia sul petto – come un ometto – e si voltò, dandole le spalle. “Non ci andrò”, ripeté ancora in tono convinto.
La donna rise a bassa voce, avvicinandosi scettica al figlio: “Ne sei proprio sicuro?”, chiese, incapace di fermare la propria ilarità.
Inu-Yasha rispose con un gemito infastidito. “Non mi piace stare con loro”.
“Oh, Inu-Yasha. Dovresti essere felice, forse ti torturano perché ti trovano simpatico”.
Gli occhi si inumidirono.
“Simpatico, madre?”, biascicò appena.
“Beh, sì”.
“Ne siete certa?”.
Izayoi si morse il labbro inferiore, inginocchiandosi accanto a lui. “Ti trattano male?”, chiese, la voce resa roca dal terrore. “Sono cattivi, con te?”.
Inu-Yasha aveva un peso, sul cuore – uno di quei pesi che è difficile eliminare. Ma la mamma era triste, e lui voleva farla ridere. “No”, mormorò, fintamente convincente. “No”.
 





Eccoci alla fine! *O*
Grazie mille per il vostro sostegno, spero commenterete anche questa volta. ùoù Ci terrei, ecco. E scusate ancora.
Grazie a tutti, vi adoro. ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Regalini, psicosi, damn (?). ***


Allora, sì. Conoscete quella sensazione di apatia che vi intima di non fare niente?

Quell’esigenza – dolorosa – di chiudere la pagina di Word e mettervi a piangere, perché vi sentite non solo incapaci, ma anche inutili? Quando vi sdraiate e non riuscite a rialzarvi se non dopo ore?

Bene.

In questo periodo ho avuto problemi. Tanti, forse troppi: mi domando perché la sfiga debba ricordarsi che esisto così spesso… Ma va beh. Fa niente, sono fatti miei, a voi giustamente non interessa e mi considerate solo una demente che è riuscita a metterci mesi per aggiornate ‘sto schifo di fic.

Il capitolo è arrivato in ritardo? Sì? Mi dispiace. Seriamente, mi dispiace – e mi sento in colpa, Dio solo sa come mi sento in colpa! –, ma ho preferito tardare e scrivere qualcosa di pseudo decente – anche se poi così pseudo decente neppure è –, che postare un qualcosa che non mi convinceva affatto.

Avete atteso, non merito di essere perdonata – ormai, ritardare, per me, è divenuto quasi normale –, ma spero non smetterete di essere miei lettori per questo: grazie per la pazienza. <3

Non vi conosco, però, beh, vi voglio bene. Sul serio.

 

Ah, dimenticavo: InuYasha sfiorerà un OOC pazzesco, in questo capitolo. <.< O forse no – io credo di no, perché sinceramente l’epoca è diversa dalla Sengoku e l’InuYasha di questa storia ha particolari problemi mentali –, ma comunque potrebbe essere.  U_U Chiedo venia.

P.S. Il capitolo è ignobilmente breve, almeno rispetto al mio solito. Del resto, è un capitolo semiditransizione, e non potevo allungarlo più di così. ._."

The bothering life of a forced writer

 [1699 parole]

 

 

 

 

 

 

 

 

Ok. C’era una cosa – una, un’unica cosa in assoluto – che dovevo assolutamente fare.

Mi guardai intorno, sospettoso, bene attento a non ruzzolare a causa di un qualche oggetto lasciato nel corridoio. Dopo aver appurato che nessuno era in zona, sospirai, poi strinsi le mani intorno al pacchettino colorato e presi tre, tre respiri profondi.

La carta color rosa pastello scricchiolò tra le mie dita, e sobbalzai appena, muovendomi a stento tra le automobiline di Sota lasciate sul pavimento: quel bambino era Satana fatto persona. Non capivo come potesse essere così fastidioso, piccolo com’era, e non concepivo il suo adorare i giocattoli radiocomandati.

Che poi, sì. Se li avesse riordinati, avrei anche potuto apprezzare la sua passione: ma era tanti. Troppi.

Avrei dovuto penare parecchio, per riuscire ad evitarli tutti senza far rumore. 

Tra l’altro, il piano per fare la cosa che mi era necessario portare a termine era tanto semplice quanto banale. Dovevo raggiungere la camera di Kagome in sette secondi massimo, poggiare il pacco e andare via: veloce, facile e preciso. Nessuno doveva vedermi, neppure per sbaglio, o la mia reputazione – reputazione? – sarebbe andata in fumo. Ed era l’ultima cosa che volevo.

Sospirai ancora, poi poggiai la schiena contro la parete e mi morsi il labbro inferiore. Non ce la facevo, e l’odore di quella dannata diveniva ogni secondo più forte, cosa che non mi faceva poi molto piacere. Perché, in fin dei conti, se quella sottospecie di aroma aumentava, significava che Kagome era rientrata dallo shopping con le amiche e stava ritornando in camera. E, beh, se mi avesse visto con quel pacchetto in mano, la cosa sarebbe potuta risultare facilmente equivocabile.

Tergiversai per qualche secondo, giocherellando con un nastrino: più volte mi voltai ad osservare la porta della mia pseudo stanza, rimpiangendo di non essere rimasto chiuso lì dentro invece di acquistare quello sciocco regalo. E iniziavo a detestare cordialmente quello scemo Sota, che mi aveva avvisato di quella stupida ricorrenza chiamata compleanno.

Sbuffai: Kagome non avrebbe mai saputo di chi era quel dono.

E allora perché gliel’avevo comprato?

Non mi sarei fatto bello ai suoi occhi, né sarei stato ringraziato. Eppure, avevo speso una cifra di tutto rispetto per quella robaccia.

Bah.

“Ehi, InuYasha, che cavolo combini?”.

Ecco, sì. Era fatta.

Ringhiai sottovoce, maledicendomi per la mia codardia – e per la mia stupidità, dato che non mi ero neppure nascosto in camera, ma ero rimasto in corridoio – e maledicendo soprattutto Kagome, davanti a me, vestita – svestita? – con un abito dalla lunghezza a dir poco ridicola.

E poi bene. Benissimo.

Avevo anche iniziato a preoccuparmi per il suo abbigliamento troppo lascivo, e per il profumo alla fragola che era solita usare. E detestavo vederla truccata, per quanto superficialmente.

Ok, ero diventato ossessivo. E da internare.

Gemetti. “Niente, niente”. Improvvisamente, mi ricordai del pacco che stringevo tra le dita, e mi irrigidii, nascondendolo prontamente alla vista.

“Cos’hai tra le mani?”.

Scossi il capo. “Niente, ho detto che non sto facendo niente di strano”.

“Non ti ho chiesto quel che stai facendo”, biascicò, improvvisamente più attenta. Nei suoi occhi nocciola comparve un guizzo di malizia, e si avvicinò, inclinando il capo di lato. “Ti ho chiesto cosa stai nascondendo”.

Non si fece traviare dal mio sorriso ben più affettuoso del normale.

Non notò il sudore che mi imperlava il volto.

Non ricambiò nessuno dei miei gesti: si sollevò sulle punte, decisa a scavalcarmi e al vedere finalmente il motivo della mia agitazione. Inarcai un sopracciglio. “Cosa diavolo vuoi fare?”, ringhiai, mentre lei si spostava di lato – sentii via via la consistenza del pacchetto sparire dalle mie mani. E poi un tonfo: era rovinato al suolo, con la sua carta rosa che luccicava scioccamente, e lei lo osservava, sconvolta.

Bene.

Benissimo.

Non voleva un mio regalo, era palese – feci per abbassarmi, nel tentativo di mettere fine a quell’umiliazione, ma lei mi batté sul tempo, lasciandosi scivolare accanto al minuscolo scatolino, l’espressione ancora stralunata. Prese l’oggettino tra le dita, lo studiò con falsa attenzione.

“Kagome?”.

Scosse il capo.

Oh, bene, ora era anche offesa! Finsi di non notarlo, allungando una mano nella sua direzione: l’avrebbe presa, l’avrebbe stretta, si sarebbe fatta alzare, poi mi avrebbe dato un ceffone, chiesto di lasciarla in pace, perché aveva un ragazzo super figo – un ragazzo super figo di cui non mi aveva mai parlato – con cui non potevo assolutamente competere. Perfetto, rifiutato ancor prima di essermi dichiarato.

Che divertente.

“Kagome?”, la richiamai: aveva lo sguardo vacuo, e continuava a giocherellare distrattamente con il nastrino. Mi spiazzò, sollevando i suoi occhi – inespressivi – verso di me. Sembrava sul punto di piangere. “Kagome, ti aiuto”.

“No”, biascicò lei, la voce ridotta ad un sussurro. Scosse il capo, poi poggiò il pacco tra le mie mani e nascose il volto, singhiozzando amabilmente. “Su, vai”, rantolò.

“Dove dovrei andare?”.

“Al tuo appuntamento. Dove, sennò?”.

Inarcai un sopracciglio – cretina, cretina, cretina, cretina. “Certo che sei davvero stupida”, sussurrai a mia volta, sedendomi al suo fianco. “Che appuntamento dovrei avere? E con chi?”. Presi fiato, gettando lo scatolino di lato e guardandola, improvvisamente furioso. Già di normale non adoravo essere frainteso: ma che lei credesse una falsità… No, la cosa mi indispettiva oltremodo. “Sei una stupida”, ripetei.

Lei mi diede un pugno sulla spalla, irritata. “Una stupida? E perché, di grazia?”. Smise di singhiozzare, rizzando la schiena e ricambiando la mia occhiata infastidita. Sembrava una leonessa pronta alla lotta – istintivamente deglutii, spaventato dalla prospettiva di essere azzannato. “Spiegamelo! Voglio capire cosa mi fa apparire stupida!”.

“Ti stai piangendo addosso”.

“No”.

“Sì”, asserii, afferrandole una mano e stringendola con forza. “Stai facendo la ridicola”.

“E tu l’idiota!”.

“Non alzare la voce”, grugnii, mordendomi il labbro inferiore.

Kagome si divincolò, costringendomi a lasciarla andare. Poi mi diede l’ennesimo pugno, questa volta con più forza – gemetti. Non mi aveva fatto poi così male, ma era pur sempre fastidioso, essere malmenato dalla tipa che ti piace. “Non ho alzato la voce!”, rispose, alterata.

Inarcai un sopracciglio. “No?”, domandai scettico.

Ringhiò. “No. No. No. Insomma, InuYasha, smettila di porti al centro del mondo: ci sono molte persone più importanti di te, e dovresti, ecco, smetterla di fare il megalomane: io non sto urlando, sei tu che hai problemi di udito”.

Se non avesse nuovamente nascosto il capo tra le mani, probabilmente le avrei strillato contro qualche altra cattiveria e poi sarei scappato via. Però aveva nascosto il capo, e si era messa nuovamente a singhiozzare, e ora scalciava, nervosa, come a voler richiamare la mia attenzione. La sua gonna si era sollevata anche troppo, e mi scoprii a deglutire, osservando ammaliato la porzione di carne che si scorgeva.

Bene: ero ufficialmente entrato nel gruppo dei pervertiti. Se Miroku mi avesse visto, sarebbe stato fiero di me.

Sospirai, roteando gli occhi. “Ti prego, smettila di frignare.”, grugnii esasperato. Mi protesi verso di lei – forse volevo abbracciarla, o forse volevo semplicemente darle una pacca sulla spalla –, ma lei si retrasse ancora, gli occhi lucidi e l’aria di un gattino bagnato. Mi concessi l’ennesimo sospiro, prima di ricominciare a parlare: “Quel pacchetto è, uhm, è p-”.

Non mi interessa”.

“Sì che ti interessa, dannata! Non fai che osservarlo con la coda dell’occhio, ti ho visto, non credere ch’io sia cieco”. Inarcai un sopracciglio, infervorato.

In realtà, non l’avevo proprio vista, però lo sapevo. Insomma, non mi stava guardando in faccia. E non stava guardando la porta della mia camera, e neppure la finestra. Non stava guardando le automobiline di Sota, né la punta delle sue scarpe, né la sua gonna, né le sue dita perfettamente curate. Non guardava nulla di quello che mi era possibile osservare a mia volta – e dunque, dato che avevo precedentemente allontanato il pacchetto dalla mia visuale, doveva star guardando quel coso lì. Doveva essere interessata al regalo, e doveva essere interessata al regalo perché era una marmocchia gelosa e viziata.

“Ti interessa”, ripetei.

Lei continuò a scuotere il capo. “No!”, garantì, inarcando un sopracciglio. “Affatto. Figurarsi, perché dovrebbe interessarmi uno stupido regalo per la tua stupida ragazza?”.

“Non è per la mia stupida ragazza”, sospirai.

“Ah. Allora è una ragazza intelligente?”.

Per qualche secondo la osservai basito. Poi mi grattai il capo. Infine mi concessi di avvicinare il mio volto al suo, e di tenerle fermo il capo con le mani. “A quale cavolo di manga hai fregato ‘sta battutina penosa, razza di egocentrica viziata?”, le urlai contro. “No, perché sul serio, è una battuta così idiota da farmi piangere. Kagome, dannata, scolpisciti queste parole in testa, per favore: non ho una ragazza”. Presi fiato, mordendomi poi il labbro inferiore. “Non ho una ragazza, ok? E il regalo, per quanto possa apparirti strano, è per te”.

Non si concesse neppure di sbattere le palpebre o di sbarrare gli occhi, continuando a fissarmi tra il confuso e l’irritato.

Per te, anche se sei una stupida ragazzina viziata che non capisce nulla. Ti ho comprato uno stupidissimo regalo, e l’ho fatto perché sono stupido, e sono stupido perché ho una fottuta – sì, fottuta, f, o, t, t, u, t, a – voglia di baciarti. E adesso che l’ho detto mi sento anche più stupido”.

“…idiota”, sussurrò.

Poi le sue labbra raggiunsero la mia bocca.

 

*

 

Quando mi svegliai – non sapevo né come né quando mi ero addormentato, ma evidentemente era successo, perché avevo ogni singolo muscolo intorpidito e l’espressione sconvolta che solo dopo sei ore di sonno ero solito concedermi –, Kagome era raggomitolata al mio fianco, il pacchetto stretto in grembo e l’aria compiaciuta di una bambina a cui hanno appena regalato il più bel giocattolo di sempre – ma io non ero un giocattolo, e di certo non potevo definirmi il più bello di sempre.

Rabbrividendo per la mia stessa inettitudine e dolcezza, e chiedendomi il perché di tanta assurda galanteria, le diedi un bacio sulla fronte, indeciso se svegliarla o darle la buona notizia solo in seguito: dopo giorni e giorni di crisi, avevo finalmente voglia di scrivere. Di scrivere davvero, di continuare quel fottuto libero, di vincere. Volevo battere Naraku, e volevo batterlo perché Kagome voleva che lo battessi – e anche perché quel tipo godeva delle disavventure altrui, e io questo non lo accettavo granché.

Sorrisi, poi mi lasciai ricadere accanto al pc.






__________________

 

Dunque: solitamente, seppur pocopocopoco, i miei capitoli mi soddisfano. Questo no.

Mi è però stato detto che era gradevole ò.o, e mi sono fidata del giudizio altrui.

Per una ragione non meglio precisata, la mia cara ispirazione ha deciso di bussare alla mia porta, e quindi credo che il nuovo capitolo - ben più lungo e corposo, perché segnarà una svolta nella storia - arriverà a breve.

Inoltre, ci terrei ad avvisarvi: non so quanti capitoli ancora durerà, forse tre, forse quattro. Ho bisogno di sbrogliare i vari fili e dare una conclusione degna di questo nome, per ora ho già fatto fare un passo avanti ad Inu e Kagome. <3

Bon, anche se so che è difficile, spero che il capitolo cheinrealtàèabbastanzaditransizione vi sia piaciuto. ò.o Il prossimo sarà meglio, lo giuro! Anche perché dopo mesi di non-scrittura mi sono leggermente (???) arrugginita, e questo ha reso più difficoltosa la stesura.

Mi si perdoni il non salutare ad uno ad uno, ma posterei domani, se lo facessi. ._."

[Chiedo solo scusa a Bchan per aver aggiornato con così tanto in ritardo, ma, la prossima volta, la esorto a mandarmi una mail. XP Non bisognerebbe utilizzare lo spazio delle recensioni per richieste di questo genere, ecco. <3]
E, ecco, volevo ringraziare chi ha proposto BL per le Storie Scelte. Grazie, davvero. Siete stati gentilissimi. *Si inchina* Cercherò di non farvi più penare, in futuro. ç_ç E di fare capitoli molto più lunghi, perché 1699 sono pochissime.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Di peluche, fidanzatine isteriche e dichiarazioni imbarazzanti. ***


Diciamolo: mi ero ripromessa di aggiornare presto, invece ci ho messo mesi. E non voglio neppure contarli, ‘sti mesi, perché altrimenti mi viene l’ansia.
Non sono qui per dirvi né «perché» né «percome», sarò sincera, dato che tutti hanno una vita privata e che tutti, nessuno escluso, vivono pessimi istanti nel piccolo-e-non-sempre-confortevole ambiente casalingo.
Questa storia ha segnato una svolta nei miei ritardi: una volta una settimana senza pubblicare era per me un tempo enorme, ora sei mesi o giù di lì sono solo un battito di ciglia!
…sì, la sto buttando sul ridere. Compatitemi, l’ispirazione mi ha abbandonata definitivamente – AAA, cercasi ispirazione perduta, disposta a pagare oro per recuperarla! – e non mi sono divertita, stando lontana da questa fic. Anzi.
Ho trovato penoso il non riuscire a postare un capitolo in tempi umanamente accettabili, eppure ogni mio scritto non mi convinceva, ogni mia parola mi sembrava inadeguata, ogni mia idea troppo folle per risultare accettabile.
Il capitolo di Fairytale che ho pubblicato un mese fa è nato in un raro momento di ispirazione, l’inizio di questo capitolo pure. Credevo di essere finalmente tornata attiva: l’ennesimo problema a livello familiare mi ha nuovamente demolita, e così non sono riuscita a scrivere null’altro che Shot impubblicabili.
Come l’InuYasha di questo capitolo – sì, ormai vivo in simbiosi con questo personaggio sfigatissimo XD –, anch’io mi sono sentita molto stupida, non riuscendo ad andare avanti. Ma ci ho provato e, anche se i risultati non sono idilliaci, spero che l’elaborato vi strappi un sorriso.
A dopo-il-capitolo per i doverosi ringraziamenti! <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
The bothering life of a forced Writer.
[3050 parole circa, ricorrette rapidamente per non decidere di cestinarle. <3 Vero che sono geniale? Scrivo cavolate, yeah! XD
...quindi, perdonate eventuali errori di battitura e/o altro. Provvederò a correggerli il prima possibile. XD]

 
 
 
 
 
 
 
Di Peluche, fidanzatine isteriche e dichiarazioni imbarazzanti.
 
 
 
 
 
A Hime.
Perché se lo merita, stop. <3
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 

«Allora», ricapitolò, lasciandosi ricadere sulla sedia accanto a me, «ti è tornata la voglia di – InuYasha, sbaglio o quel sì-particella-affermativa è privo di accento? – scrivere. Almeno, così credevi».

Annuii. «Mi sono svegliato pensando di poter concludere il libro, ho scritto una decina di pagine e poi stop, niente, blocco», spiegai. La cosa mi aveva lasciato particolarmente insoddisfatto, ma evitai di fare la parte dello scrittore in crisi di nervi.

Kagome non avrebbe apprezzato, ne ero assolutamente certo.

«Mi sa che tuo padre ha fatto male, a puntare su di me».

«Mi sa di sì», concordò con una risata – i suoi occhi ebbero uno strano guizzo divertito, e rabbrividii per il terrore.

Perché quando Kagome mi lanciava simili occhiate, beh, significava solo una cosa: fa’ attenzione, sei nei guai. E la cosa, checché se ne possa dire, a me non piaceva. Non piaceva affatto.

«Su, su. Tesoro, facciamo un patto, ti va?».

«…che genere di patto?».

«Finché non ti decidi a portare avanti il tuo scritto», esordì, «non potrai, e con “non” intendo davvero “non”, né toccarmi né guardarmi né parlarmi. Mi trasferisco a casa di Sango, insomma».

Oh.

Oh, dannata donna del diavolo.

Cercai di schiarirmi la voce, ma mi resi improvvisamente conto di non esserne in grado. E lei ridacchiava, conscia della geniale idea appena partorita ed esternata al mondo.

E conscia di avermi appena mandato in paranoia.

«Sei una strega». Le lanciai un’occhiataccia, e lei la ricambiò indifferente. «Non pensi alla, uhm, privacy di quei due? Al fatto che magari gradirebbero stare un po’ insieme, soli e innamorati, e-».

Mi interruppe: «Guarda che così non mi fai cambiare idea, tutt’altro. Più insisti, più mi fai venir voglia di andarmene. E non credere che per me non sia una sofferenza, caro mio. Tutt’altro, ti assicuro che la cosa mi irrita parecchio».

E allora perché hai preso una decisione così drastica?, mi venne voglia di chiederle – tuttavia, preferii alzare gli occhi verso il cielo e attendere che finisse di illustrarmi il suo geniale piano, perché era meglio ascoltare e annuire che bestemmiare e scoppiare in lacrime.

Soprattutto perché il pianto non si addice agli uomini. Non a quelli che si sforzano di mantenere un contegno virile, almeno.

«Ci starò male, ma non mi va di essere una distrazione. Il tuo lavoro è troppo importante per essere mandato a puttane da una fidanzatina adolescente, capiscimi». Sorrise amabilmente. «Quindi, adesso chiamo Sango e le chiedo il permesso. Ti amo, lo sai, sì?».

Oh.

Mi aveva appena rovinato la vita. Di nuovo.

 

  -

 

Sota Higurashi era un demonio piccolo e con enormi, spaventosi occhi nocciola.

Quel genere di diavolo che si agita per la casa lasciando qua e là macchinine telecomandate e Gameboy-già-caricati-con-un-gioco-dei-pokèmon, oltre che una discreta quantità di caramelle mou e pupazzetti di Naruto e Sasuke.

Sota Higurashi era minuscolo, capace di infiltrarsi in qualsiasi spiraglio, mediamente curioso e, cosa più importante, incapace di mantenere seriamente un segreto, se non gli si offriva una ricca ricompensa.

«Ti compro», tentai, la voce che mi tremava leggermente per la rabbia, «tre manga e una rivista a tua scelta».

Il nanerottolo si grattò il mento, pensando – gli avevo già promesso un nuovo videogioco, tre pacchetti di gomme alla fragola, un giubbino, un paio di scarpe da tennis e, come se non fosse già abbastanza, un peluche.

Un peluche, dico. Un oggetto ingombrante e morbido che vendevano in un negozietto in centro, e che Sota aveva deciso di voler regalare a una tale Hitomi, sua compagna di classe e primo amore. La cosa sarebbe risultata schifosamente tenera, se quello obbligato a pagare non fossi stato io.

«Non so», disse. Negli occhi scorsi un lampo di compiacimento – sì, era proprio il fratello minore di Kagome – e un ghigno gli comparve sulle labbra. Mi afferrò un braccio di scatto. «Ehi, fratellone, farò quanto mi chiedi a una sola condizione!».

Deglutii, incapace di domandare quale fosse il suo arcano desiderio: mi limitai ad aggrottare un sopracciglio, sospirare e asserire col capo, lasciandogli intendere che sì, aveva vinto. Poteva farmi la sua schifosissima domanda del cavolo.

«Come ti sei dichiarato alla sorellona?».

Ora: conoscete quei manga di serie D dove il protagonista, imperturbabile, fissa il personaggio comprimario e gli racconta per filo e per segno le sue vicende sentimentali, senza tralasciare neppure il più piccolo particolare? Quelli dove il lettore strabuzza gli occhi, borbottando tra sé e sé qualche insulto vagamente offensivo all’indirizzo della mangaka?

Ecco. Io non feci così.

«Cosa», biascicai, ripetendo più volte la prima sillaba della parola, «intendi per “dichiarato”?».

«Dichiarato, voce del verbo dichiarare: affermare, esporre, dire qualcosa. In questo caso, prende il particolare significato di-».

Gli poggiai con ben poca delicatezza una mano sulla bocca, obbligandolo a tacere. Diavolo, ero già imbarazzato, non c’era bisogno di citare un intero passo del dizionario!

«D’accordo», concessi. «Ho capito».

Ma come spiegargli che quella tanto sospirata dichiarazione non era propriamente – insomma, come avrei potuto? Kagome le ripeteva ogni attimo, le due dannate parole, ma a me non riusciva affatto semplice, e quindi avevo tergiversato. E tergiversato ancora.

Ora, dopo tre giorni di separazione, ancora non avevo avuto il coraggio di afferrare il telefono e chiamarla.

Sospirai, affranto, ben conscio di essere un caso assolutamente disperato.

«Allora, fratellone?», mi incitò Sota, battendo le mani. Ecco, immaginai. Forse cercava ispirazione per dichiararsi alla tale Hitomi per cui spasimava. «Come hai fatto? Che le hai detto? Poi vi siete baciati?».

Contando che ci eravamo baciati già prima, nessuna delle tre. Mi ero pseudo dichiarato, d’accordo, ma non le avevo detto nulla di speciale, e comunque le mie parole potevano risultare facilmente fraintendibili. Non le avevo giurato amore eterno, alla fine. «Nulla», cercai di spiegare, «io-».

«Nulla?», ripeté. Aveva inarcato un sopracciglio, scettico, e gli occhietti nocciola luccicavano di puro stupore. «Non può non essere successo nulla. Sei innamorato di mia sorella, lo so».

Grazie, ironizzai, bella scoperta. Credevo di averlo notato anch’io.

Scossi il capo, trattenendo un moto di frustrazione e ansia – moto di frustrazione e ansia che mi suggeriva di prendere il piccolo Higurashi e recidergli la carotide. Era così basito, il pupo, che pensai mi avrebbe ucciso.

Invece scoppiò solo in una risata nervosa, una mano a nascondergli la bocca e gli occhi fissi sul mio viso. «Ma fratellone, non puoi essere serio, è ridicolo! Sei un adulto, tu».

«Essere adulti non significa necessariamente vantare una maturità superiore a quella di un bambino», specificai brusco, incrociando le braccia e guardandomi la punta delle scarpe. Una ciocca di capelli argentei mi scivolò sul volto, e fui costretta a sistemarla. «Renditi conto, dannato, che io…», annaspai, «che io… oh, insomma! La questione non deve interessarti, è un affare privato».

Sota inarcò un sopracciglio – per l’ennesima volta mi trovai a constatare che, benché notevolmente più basso e virile, il piccoletto era la copia sputata di sua sorella. Riusciva persino a farsi venire la stessa fossetta sulla guancia, quando ghignava compiaciuto. «Fratellone, ti ricordo il nostro patto».

Oh.

«Volevi», aggiunse, «che io portassi un bigliettino alla sorellona, mi sembra, e avevi richiesto che il lavoro venisse svolto entro oggi. O sbaglio?». Le sue labbra si piegarono in una smorfia nauseante, di quelle che un marmocchio non dovrebbe essere in grado di fare. Era spaventoso, Sota, spaventoso davvero. «Perché nel caso, vorrei che ogni mia richiesta venisse soddisfatta entro le tre, peluche compreso».

Annaspai, incapace di respirare con tranquillità: insomma, erano le dodici. Mancavano poche ore all’orario designato, e i negozi in centro erano chiusi, non avrei mai potuto acquistare il famigerato giocattolo.

…inoltre, simili ricatti erano ingiusti. Se non fosse stato l’unico mio alleato presente in casa Higurashi, mi sarei affidato a qualcuno di più intelligente. Il nonno-ammazza-demoni, per dire, o il micio obeso. Chiunque, chiunque ma non lui.

«Mi avevi concesso due settimane», gli ricordai, sentendomi insolitamente a disagio. Il bigliettino – era bianco, profumava di rosa, l’avevo accuratamente ripiegato – per Kagome soggiornava nella tasca destra del mio jeans: lo scoprii insolitamente pesante, un carico oneroso.

Sota mi afferrò il braccio destro e tirò con forza la manica. Oh, sì, lo fece davvero.

«Cosa vuoi, moccioso?».

«Voglio sapere tutto sulla tua dichiarazione, fratellone, anche se in realtà non hai mai detto a mia sorella che sei innamorato di lei», annunciò. «Se lo farai, ti concederò una proroga e andrò subito, proprio ora, adesso, in questo stesso istante da Sango, così da consegnare il foglietto spiegazzato!».

Mi sembrava di essermi spiegato, in verità: io non ero mai stato molto chiaro riguardo ai miei sentimenti, non con Kagome.

Le avevo detto di aver voglia di baciarla – la cosa ancora mi obbligava ad arrossire e farfugliare frasi senza senso compiuto – e ci eravamo addormentati abbracciati, sì, ma non avevamo fatto altro che ridacchiare imbarazzati. Quando mi sfiorava, poi, finivo col sentirmi immensamente stupido.

Insomma: tra i due, l’adulto ero io. Non avrei dovuto essere così sensibile.

Presi fiato, cercando le parole più adatte. «Io», esordii, «le ho comprato un regalo di compleanno. E quasi sono inciampato per colpa dei tuoi giocattoli».

«Eh?». Il moccioso si era evidentemente perso, ma feci finta di nulla ed espirai, soddisfatto di me. Ero riuscito a dir qualcosa, e l’avevo fatto senza risultare un completo deficiente. «Cosa c’entrano i miei giocattoli con la tua dichiarazione, InuYasha?».

«Zitto. Comunque, tua sorella era appena rientrata da un’uscita con le amiche, o almeno così credo: era stata via un paio d’ore e sembrava stanca».

Per l’ennesima volta, il bambino si sentì in dovere di guardarmi perplesso. «Neppure questo è granché importante», commentò impaziente, sbattendo le palpebre.

Però. Non avrei mai creduto che il piccolo Sota-demonio-Higurashi si interessasse davvero alla vita sentimentale di sua sorella: questo rafforzava la mia tesi secondo cui il nanerottolo era solo alla ricerca di uno spunto per dichiararsi alla tale Hitomi. Se l’avessi detto a Kagome, che il marmocchio voleva utilizzarci come modelli, probabilmente l’avrebbe massacrato, quel piccolo decerebrato.

Sospirai. «Lei aveva frainteso tutto. Era convinta che il regalo che avevo acquistato fosse per una mia ragazza segreta – sì, puoi ridere, se vuoi. È una cosa ridicola».

Sota mi prese in parola, scoppiando in una risata fragorosa e assai divertita. Immaginai che si stesse mentalmente appuntando di donare l’orsacchiotto di peluche a Hitomi solo dopo la dichiarazione. Altrimenti la bambinetta avrebbe – il contrario era matematicamente impossibile – preso fischi per fiaschi.

«La sorellona non è molto sveglia», asserì divertito, scuotendo il capo.

«Forse no», confermai. «Per farle comprendere che il regalo era per lei, mi sono dovuto umiliare parecchio».

Ops. Avevo catturato nuovamente l’attenzione del piccolo folle.

Mi guardò, le mani che nuovamente si chiudevano intorno al mio braccio destro e lo strattonavano con furia, e non smise di ripetere neppure per un istante: «Come?».

«Ho confessato di volerla baciare. Te lo assicuro, questo è umiliante. Parecchio, troppo umiliante».

Il bambino rise giulivo, io mi sentii nuovamente sprofondare.

Ecco, era fatta. La mia reputazione si era frantumata, e nessuno me l’avrebbe mai restituita.

Meglio emigrare e fuggire in qualche Stato sperduto, meglio.

«Allora?», mi scoprii a biascicare imbarazzato. Sarei potuto scappare anche in seguito: l’essenziale, in quel momento, era liberarmi dell’opprimente peso nascosto nella tasca destra dei jeans. Non avrei retto ancora, se Sota non si fosse deciso a consegnarlo. «Vai?».

Il piccoletto sorrise – sì, aveva decisamente lo stesso sorriso di sua sorella, non potei che pensarlo per la terza volta in dieci minuti – e annuì. «Certo, fratellone!».

Pregai con tutte le mie forze che non combinasse cazzate. La speranza è l’ultima a morire, no?

 

-

 

«Ti renderai conto anche tu di essere un completo idiota», commentò Kagome, piegandosi in due e cercando di recuperare il fiato perduto.

La signorina aveva deciso di farsi una corsetta sino a casa Higurashi, sì. E l’aveva deciso dopo aver ricevuto il mio bigliettino bianco e profumato, o almeno così credevo di aver capito.

Non era stata molto chiara, in verità: pronunciava parole sconnesse e si limitava a rapide occhiatacce.

«E stavolta sarei un idiota perché…?».

«Per via della tua letterina da “siamo studenti dell’asilo nido”», chiarì. «Tu e Sota siete due incoscienti!».

Sì, avevo indovinato. Che bello.

«Che bisogno c’era di scavalcare una recisione di metallo, quando avrebbe potuto tranquillamente citofonare? Ero in casa, avrei aperto, non c’era bisogno di essere così idioti!».

Forse aveva ragione, mi dissi con un sospiro, ma se l’avesse avvertita allora non ci sarebbe stato alcun effetto sorpresa, e io volevo che il bigliettino venisse nascosto senza-che-nessuno-lo-sapesse tra le coperte del letto di Kagome.

…okay, questo non era da me, non lo era proprio. Scossi il capo cercando di schiarirmi le idee. «Scusa», provai. «Non volevo che tuo fratello rischiasse danni semi-permanenti. Ma devo dirlo», aggiunsi, «se è caduto tra i rovi le colpa è sua. Aveva detto di essere un perfetto scalatore».

«E tu hai creduto alle parole di un bambino che passa le sue giornate davanti ai videogiochi?», pronunciò esasperata. Aveva le guance arrossate per colpa dello sforzo – o della rabbia, le possibilità erano molteplici – e i capelli completamente in disordine.

La trovai inaspettatamente carina. Che diavolo.

«InuYasha, non sei più un marmocchio, dovresti cominciare ad agire come un adulto degno di questo nome!».

Mi schiarii la voce, tossicchiando il minimo indispensabile per riuscire a pronunciare una frase che fosse quantomeno udibile. Non volevo essere considerato un deficiente, non quando metà della colpa era da attribuirsi al bambino che ora riposava – o almeno, credevo riposasse lì – in una camera della casa di Sango.

Era stato lui a dichiararsi capace, io non avevo alcuna colpa. Non mi piaceva che Kagome addossasse ogni responsabilità su di me.

Cercai di assumere l’espressione più seria consentitami dalla situazione. «Io sono un adulto degno di questo nome», dichiarai. «Tuo fratello è vivo e sta bene. Per la sua bravata verrà persino ricompensato, pensa un po’!».

Credo non le importasse tanto del premio che Sota avrebbe immeritatamente ricevuto, perché strinse i pugni e mi diede uno spintone, obbligandomi a indietreggiare. La cosa si ripeté per un paio di minuti, finché non cozzai con la schiena contro la parete, il suo respiro affannato che mi riscaldava il volto.

Si era alzata sulle punte, oh. E l’aveva fatto pur indossando delle scarpe col tacco.

«Sei», biascicò, «un incosciente. Potevi telefonarmi, o mandarmi una e-mail. Anche un sms, l’avrei gradito un mondo».

Socchiusi gli occhi, nervoso. Forse avrei dovuto spiegarmi, dirle che avevo sentito la sua mancanza e che desideravo tornasse. Che senza di lei la mia ispirazione era finita, morta, sepolta.

«Invece hai preferito far finta di nulla», sospirò. La sentii allontanarsi un po’, e d’impulso le afferrai un braccio: non volevo andasse via, non di nuovo. D’accordo, me l’ero meritato, avevo ancora un mese per finire il mio manoscritto e praticamente dovevo ancora terminare il terzo capitolo, ma che colpa ne avevo se Shinji e Mimi erano due psicotici?

«Non ho-».

«Sì, invece. Anziché mandare Sota, saresti potuto venire tu di persona», affermò sicura. «Te l’avevo vietato, ma desideravo tu venissi, idiota».

La mente femminile è assai complessa, commentai tra me e me. Se avessi osato andar da lei senza permesso, sono sicuro che mi avrebbe ucciso – d’altro canto, lei voleva che io infrangessi la promessa e osassi.

Un controsenso bello e buono.

La strinsi tra le mie braccia, riuscendo a calmarmi solo quando Kagome stessa smise di opporre resistenza e mi abbracciò a sua volta. «Ti avevo giurato che avrei finito il libro», spiegai. «Non volevo farti arrabbiare, così ho pensato di sfruttare un po’ Sota. In fin dei conti, lui voleva un regalo per Hitomi e io volevo mandare un biglietto a te, non c’era ragione per cui non mi aiutasse».

Lei ridacchiò. «Ah, ha trovato il coraggio di dichiararsi, allora».

«Già. Però prima mi ha fatto uno snervante interrogatorio».

Kagome alzò lo sguardo e mi fissò intensamente. Molto intensamente. Troppo intensamente.

Deglutii. «Cosa c’è?».

«Tu non sei la persona più adatta, quando si parla di dare consigli d’amore», spiegò serafica, inclinando il capo di lato e sospirando. «Trovi già difficile il dover provvedere a te stesso, figurarsi aiutare uno pseudo adolescente a coronare il suo sogno d’amore!».

Il problema è che non potevo darle torto. In ogni caso, nulla mi vietava di sentirmi offeso.

«Cosa ti fa credere che io non sappia aiutare il prossimo?», ringhiai.

Parve pensarci un po’ su. «Il fatto», mormorò, «che tu non ti sia ancora dichiarato? Sto aspettando, caro mio. Se desideri baciarmi, vuol dire che c’è qualcosa sotto, e se c’è qualcosa sotto tu devi dirmi-».

«Mi piaci».

Inarcai le sopracciglia – sì, entrambe – e la fissai. Arrossii. Mi sentii un idiota.

L’avevo detto davvero?

Lei sembrava perplessa quanto me. «Sei serio?», chiese, sbattendo freneticamente le palpebre. «Non stai scherzando?».

«Eri», balbettai, «stata tu a dire che se desideravo baciarti doveva obbligatoriamente esserci qualcosa sotto!».

«Sì, ma… oddio. Non ero preparata a questo. Credevo non sarei mai riuscita a strapparti quelle due parole, io… oh, dio. Non stai scherzando, vero?». Mi guardò, gli occhi sgranati e il labbro inferiore che tremava. No, aspetta, forse non era solo il labbro inferiore a tremare. Forse stava tremando tutta. «Di’ la verità».

«Sono serio». Forse stavo tremando anch’io, perché la mano che le poggiai sulla guancia destra non riusciva a sfiorarla come volevo. Forse avrei dovuto aggiungere una nuova dichiarazione, o magari dire qualcosa di intelligente.

Magari una battuta. Se avessi detto una cazzata, avrei certamente attenuato un po’ l’atmosfera seria che si era venuta a creare.

Non mi piaceva essere imbarazzato, mi faceva sentire dannatamente vulnerabile.

Feci per aprire la bocca, ma lei mi interruppe, ansante: «Ti amo».

Non che non me l’avesse già detto in precedenza, chiariamolo. Anzi, Kagome sembrava incredibilmente propensa a vomitarmi addosso quelle due paroline inutili – o almeno, io solitamente le trovavo inutili – e sorridere deliziata.

Ma in quel momento era diverso.

«Ti amo», ripeté, come se le costasse un grande sforzo essere sincera. Si morse il labbro inferiore. «Sono innamorata di te, InuYasha».

Fu la goccia che fece traboccare – metaforicamente – il vaso, quella.

La baciai, lei sbarrò appena gli occhi, poi ricambiò. Le carezzai il volto e Kagome mugolò in risposta, stringendosi ancor di più tra le mie braccia: era un micino sperduto, in quel momento, non la psicotica adolescente che tante volte mi aveva stressato per inezie varie.

Quando ci allontanammo, lei rise. «Ti amo».

«Idiota», le risposi. «Sei una scema».

Rise. Tanto lo aveva capito che il mio era un “ti amo” mancato.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Suvvia, almeno ho dato una svolta a ‘sta fic! ò_____o Cioè, guardate! Si è dichiarato persino il cane psicotico!
…e ho scritto più di tremila parole! Non credo di essermi mai dilungata tanto per BL, in passato!
 
Il dialogo tra Sota e InuYasha mi è servito per recuperare un po’ le fila del discorso, vorrei dirlo subito. Volevo che i lettori non fossero obbligati a rileggere il capitolo precedente per comprendere quanto stava avvenendo. <_____<”
Ringraziamo, va’. <3
 
La Nana: Massalve, e benvenuta tra i commentatori di questa stupidissima fan fiction! XD
Ti ringrazio sia per le seguite che i preferiti, comunque: fa sempre assai piacere essere apprezzati. ^*^
Spero vivamente che il capitolo sia stato quantomeno leggibile, e che non ti abbia fatta ricredere sul mio intero operato. XP
 
Ellena: Lo so, lo so, non aggiornavo da mesi, faccio mea culpa e mi prostro sui ceci. ._.” Ti assicuro che io desideravo continuare la storia, ma… ecco, seriamente, ho avuto problemi. Se potessi, passerei le mie intere giornate postando nuovi lavori! XD
Ti ringrazio sentitamente per il commento, e spero di rivederti ancora – ovviamente, mi auguro anche che il capitolo sia stato di tuo gusto. <3
 
kaggychan95: Tesoro, se tu ti disperi per un minimo ritardo, cosa devo dire io, che per secoli non ho toccato ‘sta fic? ò____o Ho battuto ogni record! Non credevo avrei tardato così tanto!
Boh. Sono proprio un caso clinico, io. .____.” Spero che il capitolo ti sia piaciuto. <3
 
pillo: Massalve anche a te! XD Bentornata sulla pagina dei, uhm, «Commentatori di BL»!
Dunque. Se l’altra volta mi ero sentita male per aver tardato un pochino, pensa ora, che non aggiornavo da più di sei mesi? XD Giuro, mi sento da far schifo. .____.”
Ti ringrazio sentitamente per i complimenti che mi fai: non li merito, proprio no. XD Sono una psicopatica, io! ò____o E InuYasha è regredito allo stato di marmocchio! Kagome è pazza, poi, ma questo lo sapevamo già. <3
Spero che il capitolo ti sia parso decente. U____U”
 
KaDe: Oh, son proprio secoli che non ci sentiamo, temo. <____<” *Coccola* Sono felice di sapere che il precedente capitolo t’era piaciuto.
Grazie del commento. <3
 
mikamey: Se il capitolo precedente non t’era parso troppo corto, questo allora ti lascerà di sasso. XD È due volte il precedente!
A parte gli scherzi, chiedo venia anche a te per il ritardo assurdo del mio aggiornamento. .____.”
Spero che il capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. XD Visto che adesso il nostro adorato idiota s’è persino dichiarato?
 
hachi92: Tesooooooro! *Saltella* Meow! *_____* Non mi dilungo perché tanto ti coccolerò a dovere su msn, ma sono felice di sapere che il capitolo t’era piaciuto e mi auguro che anche questo ti soddisfi almeno un po’. <3
Baci, Kiki-tesoro! <3
 
YuikoChan: *Occhi dolci* Se l’altra volta c’ho messo un «pochino tanto», ora cos’ho fatto? *___* Meow! Sono una cretina! *O*/ *Sclera*
A parte gli scherzi, se il capitolo precedente era in stile manga questo le batte proprio tutte, no? XD Credo sia un parto scleroso assurdo!
Grazie per il commento, tesoro! <3
 
Flockkitten: *Fischietta* Oh, ho finalmente aggiornato! ò____o Mi spiace assurdamente per il ritardo, davvero. Non prometto nulla, ma in futuro vorrei evitare assenze del genere.
Che dici: sono o non sono più stupidi dei capitoli precedenti? XD
 
Onigiri: Nio-chan, tesoro, visto quanto tempo c’ho messo? ç____ç Me si sente cattiva per aver aggiornato dopo secoli!
Spero che il capitolo – sempre se lo leggerai XD – ti sia piaciuto almeno un pochino. ç____ç A me continua a sembrare idiota!
 
HimeChanXD: U____U DonnaH, ti voglio tantissimo bene. Questo è quanto. <3 *Stritola*
 
ryanforever: *Sospira* InuYasha sperava di averla ritrovata, la voglia di scrivere, invece si è bloccato proprio come me. .________.” Siamo proprio in simbiosi, noi due.
Ti ringrazio sentitamente per il commento, sei stata gentilissima, e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. <3
 
 
Pardon per le risposte brevi e magari poco esaurienti ma, sapete com’è, quando io posto in realtà dovrei star facendo altro. XD In questo caso, dovrei studiare latino e greco ché domani mi interrogano. U____U”
Chiedo ancora scusa per il mostruoso ritardo, che spero non debba mai più ripetersi in futuro. E ah, grazie mille per i commenti: mi hanno spronata. In caso contrario, mi sa che avrei proprio mollato e stop. XD
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi auguro di leggere taaaanti vostri pareri. U___U Alla prossima, si spera! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Poche semplici regole: «Se la tua ragazza è una psicopatica, adattati a lei» ***


Probabilmente, se vi rivelassi che il capitolo è pronto da Ottobre – per questo lo odio, perché è vecchio e sconclusionato <_< –, probabilmente potreste uccidermi. Ma è così.

 

Dovevo postare questo capitolo il 29 gennaio, giorno del mio terzo compleanno su EFP. Tuttavia, in quei giorni non ebbi il pc, e quindi fui costretta a rimandare, benché parecchio depressa. ._.”
C’era stato anche il momento: «Lo posterò il giorno della fine di InuYasha!», ma quel sabato pomeriggio ho pianto così tanto che anche solo accendere il pc mi pareva utopia.

 

Poi la scuola ha cominciato ad opprimermi, perché sono all’ultimo anno di liceo e i professori stanno sclerando. Ho verifiche quasi quotidianamente ._., indi aggiornare mi è parso l’ultimo dei miei problemi.

 

Ringrazio Mary, aka Kagome96, che in più occasioni mi ha ricordato del capitolo, chiedendo di postarlo. Ruccha, che il capitolo l’ha letto a Novembre sul mio portfolio. <3 *Perché lei può(?)! X°°°D*

Ringrazio voi che leggete, ringrazio la mia ArthurA personale – Emi, kyah! –, ringrazio… ringrazio il mondo, LOL. X°D

 

A questa fic sono affezionata, ormai, e concluderla è per me motivo di dolore, lo ammetto.

Accludo all’ultimo capitolo un POV di Kagome piuttosto sconclusionato – beh, anche il resto non ha senso. o_ò In effetti, mi sa che nello scrivere questo mi son data al nonsense. X°D *Muore*

Buh. I ringraziamenti generali in fondo. <3 <3 <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

The bothering life of a forced writer

[Poche semplici regole: «Se la tua ragazza è una psicopatica, adattati a lei»]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Fu nel novembre 1678», lesse, lanciandomi un’occhiata perplessa, «che Mimi incontrò Shinji. Destino, forse». Si bloccò un attimo, teatrale, e poi riprese con voce incerta: «Tutto ciò che sperava – voleva – era di poter stare al suo fianco. Non ci sarebbe mai riuscita».

L’occhiata che mi rivolse fu tutt’altro che gratificante – sembrava sul punto di sgozzarmi, e la cosa mi confuse. Dopotutto, al momento desiderava unicamente che io terminassi il romanzo. E il romanzo era finito, sì.

Lontano dall’idea di base originaria, d’accordo, e forse anche un po’ cliché, ma l’avevo finito in tempo: avrebbero potuto stamparlo, venderlo e farci miliardi, o magari bruciarlo e far finta di nulla. Io avevo terminato il mio lavoro, cosa essenziale.

Non avrei più dovuto sopportare gli Higurashi, Kagome non avrebbe più avuto ragione di torturarmi e sarei potuto tornare nel mio appartamento, finalmente. Mi scappò un sospiro compiaciuto.

«Ehi?».

Sobbalzai, colto alla sprovvista – mi ero immaginato una faccia leggermente più grata di quella che mi stava regalando. «Non ti piace?», chiesi. «Ero convinto-».

«InuYasha, dov’è finita Mimi? La Mimi originale, dico, non questa sottospecie di bambinetta capricciosa in crisi ormonale».

Evitai di farle notare che la Mimi da lei tanto criticata le era stata totalmente modellata addosso – se avessi aperto bocca, mi avrebbe certamente assestato un calcio. E non lo desideravo, quel calcio, proprio no. Non al momento, almeno.

Così presi fiato, espirai un paio di volte, tossicchiai e, evitando di fissarla negli occhi, dissi: «Si è impiccata, insieme a Shinji e Eru. Sono tutti morti, Kagome, li ho uccisi io stesso. Sono tutti morti».

«InuYasha, Naraku ti maciullerà», mi fece notare. I suoi occhi ebbero uno strano guizzo – divertito, forse. In ogni caso, se avesse potuto mi avrebbe ucciso lei stessa, era ovvio. «Riscrivilo. No, anzi, prendi il romanzo precedente – perché ovviamente ce l’hai ancora, no? – e scrivi un finale che possa convincere i lettori, tanto ti mancavano pochi capitoli. E non mi interessa se obblighi Mimi a diventare una pornostar e Eru a fidanzarsi con l’ennesima donna sessualmente confusa, l’essenziale è che tu la smetta di fare l’idiota!».

Detto questo, strinse con forza i fogli su cui era stampato il mio lavoro e lanciò tutto nel cestino, borbottando una serie di imprecazioni che non credevo conoscesse.

«Kagome?», mormorai.

Mi lanciò un’occhiataccia. «Per essere sicura che tu non uccida mio fratello», grugnì, accigliata, «questa volta non mi trasferirò a casa di Sango, né mi chiuderò in camera e farò scena muta. Idiota», aggiunse. Non riuscivo a capire se si stesse rivolgendo a se stessa o se l’offesa fossa a me indirizzata, e comunque riprese a parlare troppo in fretta perché potessi rimuginarci su: «Da oggi in poi, caro il mio tesoro, vivrai in funzione di me».

Come se già non lo facessi, osservai mentalmente. Non che Kagome fosse il centro dei miei pensieri, eh! Potevo benissimo resistere una settimana o due, senza di lei.

O tre giorni. O almeno dodici ore. Più o meno.

In ogni caso, la sua presa di posizione mi irritò, ma evitai commenti che potessero costarmi la colonna vertebrale e ascoltai in silenzio il resto del suo piano geniale.

«Dormiremo insieme. E non fare quella faccia, non ho alcuna intenzione di fare sesso con te, al momento».

«Ah», annaspai, grattandomi imbarazzato la testa, «uhm. E comunque non ho fatto nessuna faccia particolare, dannata!».

Lei sorrise, compiaciuta, e incrociò le braccia sul ventre. «Hai trentotto ore per scrivere un finale soddisfacente», mi fece notare con una punta di sarcasmo.

A volte avrei voluto poter leggere nella sua mente. Così, tanto per. Giusto per comprendere se le sue manie sadiche erano dettate dal desiderio di eliminarmi o avevano una ragione intrinseca più forte e convincente.

Aprii la bocca per replicare – qualsiasi cosa, l’essenziale era non fare la figura dello sconfitto –, ma Kagome mi aveva già dato le spalle ed era corsa fuori dalla stanza, probabilmente ad avvisare suo padre che avrei consegnato in breve il romanzo. «Scema», la apostrofai, prima di lasciarmi cadere davanti al portatile.

A noi due.





La prima reazione che ebbi, quando Kagome mi allungò il fax, fu di chiuderle la porta in faccia e di correre via, il più lontano possibile. Di saltare in un pozzo, pregando che questo potesse rivelarsi un passaggio per un’altra epoca, e ricostruirmi una vita il più lontano possibile.

Tuttavia, non potevo fuggire. Sospirai.

«Posso entrare?», mi chiese, sorridendo divertita. Le cuffiette dell’iPod – che si era premurosamente tolta dalle orecchie e ondeggiavano sulle sue spalle – riempivano la stanza con un motivetto lento e seducente. Dovevo ricordarmi di chiederle il titolo della canzone, mh. Non era male, in fin dei conti.

«Uhm». Feci cenno d’assenso col capo e indietreggiai. «Ohi», borbottai a mo’ di saluto. «Come va?».

«Io sto bene». Scrollò le spalle, sistemandosi poi una ciocca di capelli che le era scivolata davanti agli occhi. «InuYasha, dovresti leggere qualcosa», aggiunse. Il fax era ancora stretto tra le sue dita, privo di macchie o tagli di sorta, e mi terrorizzava quasi quanto il foglietto che pochi giorni prima le avevo scritto. «Su. È arrivato il momento della verità, tesoro».

Allungai una mano con fare disinteressato, pregando che quella matta di Higurashi non notasse il mio imbarazzo – sarebbe stato ridicolo, e lei mi avrebbe preso in giro a vita –, quindi deglutii.

«Allora, stasera ti andrebbe di-».

«InuYasha, non fare l’idiota. Leggi».

Grattandomi il capo, chiusi gli occhi e presi il fax. «Com’è andata?».

«Leggi, ho detto».

Uh. Era una classifica, più o meno. Feci scorrere lo sguardo dal basso – dove compariva il titolo di un libro piuttosto scialbo – verso l’alto, il cuore che martellava ridicolmente e la risatina di Kagome – risatina cominciata nello stesso istante in cui avevo preso il foglio tra le dita, e che in un altro momento sarebbe stata un chiaro campanello d’allarme – che si faceva sempre più forte.

Scorsi le postazioni un paio di volte, prima di razionalizzare il tutto.

«Il titolo del mio libro non c’è», osservai con disappunto.

«Neppure quello di Naraku».

In effetti, il tanto decantato romanzo scandalistico non c’era, in quella classifica del cavolo. Però non comparivo neppure io, il che era inspiegabile – non che mi ritenessi ‘sto granché, come scrittore, ma il libro era stato pubblicizzato ampiamente. Almeno un’ultima posizione simbolica doveva essere mia.

«Kagome, questa», mormorai, la voce che mi tremava di rabbia e perplessità, «è la classifica della settimana scorsa, vero?».

Lei si limitò a sorridere angelicamente. «Credevo fosse divertente. Scusa», cantilenò – la vidi aprire la borsetta e tirare fuori un altro fax, pieno di ghirigori rossi e scritte multicolori. «Mio padre si è un po’ divertito a commentare i titoli», borbottò imbarazzata. «Ecco».

Le diedi il tempo di avvicinarsi al divano e sedersi, poi inspirai profondamente. Se fosse stato l’ennesimo scherzo di cattivo gusto, l’avrei lasciata su due piedi e mi sarei trasferito in Canada, sì. Almeno, andando in Canada mi sarei evitato una serie indicibile di seccature, e avrei avuto discrete possibilità di guadagno.

Sempre ammesso che la mia laurea fosse valida anche all’estero. Non me l’ero mai chiesto, in effetti. Uhm.

«Leggi?».

«Un attimo», grugnii.

Comunque avrei dovuto notarlo, che era la classifica della settimana precedente: il nonno di Kagome me l’aveva messa sotto gli occhi quasi tutti i giorni, intimandomi di posizionarmi al vertice o non mi avrebbe concesso – deglutii – la mano della sua adorata nipotina.

Mano che momentaneamente non avevo ancora chiesto, volendo essere precisi.

«InuYasha?».

«Sì. Ora leggo».

Chiusi gli occhi e fissai le parole.

Oh.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

{« Extra »}

 

 

 

 

 

Quando il proprio ragazzo è uno scrittore egocentrico e infantile, capita che si finisca col fare la figura della ragazzina viziata: è matematico, così com’è ovvio che lui verrà sempre, indiscutibilmente considerato un raccomandato – e lo sarà perché tuo padre è il proprietario della casa editrice per cui il tuo fidanzato scrive.

Fatto sta che, volente o nolente, InuYasha era il mio ragazzo, e per quanto le occhiate di biasimo o scherno potessero offenderlo, doveva fare del suo meglio per non darlo a vedere.

«Hai visto che faccia ha fatto Naraku?», sghignazzò ad un tratto, stravaccandosi sulla sua poltroncina. «Kami, non credeva che l’avrei battuto, quel bastardo».

Invece ci era riuscito, e alla grande: mi aveva costretta a buttar sangue, ma alla fine la mia costanza aveva vinto. Più o meno.

Sorrisi e gli feci cenno di tacere. «Ti renderai conto», sussurrai, «che fare casino qui, nel mezzo della sala, non è propriamente conveniente».

«Perché devono premiarmi?».

«Specie per questo, sì».

Era tornato cocciuto, arrogante e per nulla gentile, l’idiota – per un po’, sentii la mancanza dell’InuYasha goffo e imbranato che mi si era dichiarato, e che aveva passato settimane fissando con aria ebete il pc mentre io lo squadravo con odio. L’InuYasha che non rispondeva ad ogni mia frase con “Scema” e “Dannata”, ma tentava di elaborare qualche risposta più coerente e articolata.

Però mi piaceva. Per quanto baka, ero tremendamente innamorata di lui.

«Che sentimentale», piagnucolai. A un tratto mi resi conto di aver parlato a voce alta, e d’istinto mi coprii la bocca con una mano. «Sei… preparato?», mi decisi a chiedere, tanto per smorzare la tensione.

D’altro canto, InuYasha era rilassatissimo, e a stento si trattenne dall’inarcare un sopracciglio. «Ho il discorso in tasca», assicurò, sorridendo. «E nella manica ho un asso», aggiunse.

Avrei voluto chiedere spiegazioni, ma l’annunciatore si decise a urlare il nome di InuYasha, e fui costretta – mio malgrado – ad applaudire.

«Uno dei migliori scrittori della sua generazione!», pronunciò con tono enfatico. «Complimenti alla sua casa editrice per averlo scoperto. Venga qui, InuYasha, le consegneremo il suo premio».

«Tornerò subito», mi disse. Poi si alzò in piedi, salutò scioccamente la folla e salì sul palco, beccandosi una decina di pacche sulle spalle e più strette di mano. Immaginai che la cosa lo divertisse immensamente. «Salve».

Seguirono poi un po’ di sproloqui insensati – e il mio cervello, già duramente provato dal lavoro degli ultimi giorni, a stento seguì il filo del discorso. Carpii qualche battutina, ma non mi concentrai più di tanto.

Fu solo quando InuYasha tossicchiò e prese in mano il microfono che mi decisi a prestargli di nuovo attenzione. «Uhm. Sì, il libro mi ha obbligato», il presentatore rise, probabilmente pensando stesse scherzando, «a scriverlo Kagome Higurashi, la mia ragazza».

Arrossii.

«Higurashi come il padrone della casa editrice?», chiese un uomo in prima fila.

InuYasha ghignò. «Sì, esattamente. È sua figlia».

Il tipo in prima fila si voltò verso di me – qualcuno doveva avergli spiegato che ero io, la Kagome Higurashi in questione – e poi tornò a guardare InuYasha. «Oh, comprendo. E non è complicato, essere alle dipendenze della propria donna?».

Tasto dolente, tasto dolente.

InuYasha sembrava sul punto di azzannarlo – e l’avrebbe fatto, se non gli avessi lanciato un’occhiata tutt’altro che pacifica. «Idiota», sibilai tra me e me, «InuYasha, sei un idiota».

«Non è complicato, anzi, e immagino che dopo il matrimonio sarà anche più semplice».

Matrimonio.

«Perché, avete intenzione di sposarvi presto?», chiese il presentatore, interessato. Ora che gli aveva consegnato il premio, poteva anche permettersi quattro chiacchiere – o almeno così pensai, perché ero troppo concentrata sulla parola matrimonio per fare qualsiasi altra cosa.

«Certo che sì. Ah, volevo appunto – Kagome, ti va di sposarmi?».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In verità, di spin-off ne esistono altri due o tre – quello che ho postato col capitolo è il peggiore, temo, e il più vecchio, eppure penso fosse l’unico postabile senza dovermi dilungare in spiegazioni –, ma li posterò direttamente nel portfolio. X°D Se mai doveste aver voglia di leggerli, insomma, vi consiglio di passare di qui. Oltre a lavoretti di grafica e altre cose inutili(!), ci sono anche delle bozze di fan fic. <___<” *Fine pubblicità progresso(?)*

 

Ora spieghiamo un po’ il finale.

…uhm. Credo sia abbastanza chiaro. o____ò

Il vero finale, quello senza extra, semplicemente non finisce: InuYasha potrebbe aver vinto, certo, ma anche perso. Magari non è neppure nella classifica dei libri più venduti!

Poi, sì. Ovviamente, in quanto mio dipendente(???), soffre a sua volta di crisi d’ispirazione, e quindi per terminare il libro ha prima dovuto scrivere una cavolata random, giusto per non dimostrarsi succube di Kagome. *Rotola*

Lo spin-off è piuttosto chiaro: InuYasha ha battuto Naraku <3 e, per aver venduto un casino di copie, deve ricevere un premio. Non so se esistano premi simili, onestamente. X°°°D Diciamo che è l’ennesima licenza poetica che mi son concessa – del resto, questa fic è una licenza poetica. Mi sono concessa tante di quelle libertà…! *Rotola ancora*
In ogni caso, Kagome è andata con lui alla premiazione, e… e l’asso nella manica dell’idiota era proprio il: «Ti va di sposarmi?».

 

Ah. Lei lo prenderà a calci, prima di accettare. <3

…perché accetterà, statene pur certi. X°D

 

BL non è la mia fic più lunga, eppure le sono molto legata: la considero stupida, superficiale, migliorabile e quant’altro, ma al contempo le voglio bene, e sono felice di averla scritta.

La sola idea che qualcuno l’abbia apprezzato, questo piccolo parto della mia mente, riesce a rendermi gioiosa(!), e vorrei potervi abbracciare tutti, così da dimostrarvi il mio imperituro affetto. <3

 

Prima ho fatto dei ringraziamenti, ora ne faccio altri: ringrazio tutti i santi che hanno inserito me tra gli autori preferiti, in primis. Quando mi sono iscritta su EFP, il 29 gennaio di tre anni fa, pensavo che avrei scritto un po’, ricevuto qualche recensione e poi forse mollato il sito – invece voi mi avete seguito. Avete donato parte del vostro tempo a me, che quasi non lo merito.

Vi ringrazio, vi ringrazio dal profondo del cuore.

 

Grazie a quanti hanno inserito BL tra le seguite/preferite/ricordate, ma anche coloro che hanno inserito le altre mie fic nelle stesse liste: esattamente come quanti hanno inserito me, tra i preferiti, siete stati linfa vitale, e probabilmente non avrei mai terminato nessuno dei miei orrori (X°°°D) se non foste restati al mio fianco.

…sì, sentitevi in colpa. U____U Se scrivo, è solo per voi. *Rotola*

Mille grazie ai commentatori, perché sono speciali e riescono a rendermi gioiosa <3, e a chi su msn mi ha chiesto notizie della fan fic. Non lo dimenticherò mai, lo giuro.

 

Grazie a chi ha letto, a chi ha apprezzato. Anche a chi ha odiato, eh!, non si fan discriminazioni di nessun tipo. X°°°D

 

Mi sento un po’ stupida, a chiederlo, ma… dato che è l’ultimo capitolo, mi piacerebbe sentire le vostre voci. .////. Quantomeno per sapere se il finale l’avete trovato disgustoso o cosa. X°°°D Secondo me è estremamente stupido, ecco. *Annuisce*

 

Se dovessero esserci errori/refusi, nella fic, vedrò di correggerli al più presto: come già detto, il capitolo risale al… al 10/10/10 *LOL*, ma ciò non significa che io mi sia concessa di rileggerlo. X°°°D Anzi, l’ho evitato schifosamente. *Muore*
Anche lo spin-off risale allo stesso periodo, e anche lui non è stato né riguardato né riletto. L’avevo quasi dimenticato. O____O”

 

Insomma. Grazie. *Commossa*

Alla prossima – che si spera sarà presto, dato che ho il capitolo di Fairytale quasi pronto. X°D E stavo pure pensando di buttar giù una fic breve – un paio di capitoli al massimo – o qualcosa di simile, ammesso che lo vogliate. <3

 

Kisses. *Lancia caramelle mou*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=304030