Recensioni di Alichino_

Queste sono le ultime cinque recensioni che l'utente ha lasciato nella sezione nell'ambito del programma recensioni.


Recensione alla storia Scelta - 03/10/14, ore 22:26
Capitolo 1: Scelta
(Giudizio espresso in occasione del "Contest Fanfiction: Fato, Destino & Libero Arbitrio" sul Secret Whispers GDR.)

Taglio intimista e concentrato sul racconto in prima persona, dallo sguardo fragile e incerto (non in quanto a sentimenti, però) di Aristeo. È dalla sua voce, accorata e talvolta pedante – come coloro che credono, ciechi, nella forza sovrastante dell’amore e sanno specchiarsi in essa (e per contro annaspano nel dolore scatenato dalla tempesta delle conseguenze amorose) – che il lettore apprende un racconto amaro e ‘antico’. Nill si basa su un’idea che di per sé non grida alla novità (quella degli amanti separati, in lotta titanica contro le ingerenze del destino); tuttavia, sa mostrarla sotto una nuova luce, sfruttando lo spazio a sua disposizione con una pistola di Cechov, capace di arrivare dritta al cuore.
Lo stile risente delle ripetizioni, di formule fisse, di un ritmo dilatato sino alla stasi. Quest’ultimo svia l’attenzione e mostra il groppo in gola del protagonista, creatura nuda e precaria che ha avuto l’ardire di amare il dio della guerra. Il paradosso rimanda alla letteratura greca, a quella contraddizione insita, come rovescio della medaglia, nella vita; la morte. La consapevolezza della fine giunge tristemente, con un’ineluttabilità che appesantisce le parole cariche di rammarico e di amore (anche egoista) di Aristeo. Pur percependo e temendo il dolore dell’altro non sa venire meno alla passione e al legame intessuto.
L’approccio è carico di descrizioni, che tendono a colmare il racconto con una disposizione barocca di termini, figure e rimandi, sebbene lo stile rimanga semplice e pulito. Si avverte quindi una sensazione di pienezza, che corrisponde metaforicamente all’angoscia e poi all’equilibrio interiore finale di Aristeo, nel compromesso a cui arriva, non senza gustare un sapore acre.
La separazione, l’impotenza e la volontà di prevaricare entrambe sono nitide e definite. Tendono e ledono persino il dialogo della coppia, stabilendo la lontananza e il disperato bisogno di appartenersi; la paura è dunque un fantoccio da scacciare e distruggere. La caratterizzazione esplora e abbozza le ambiguità di entrambi; se Ares è volitivo, spesso rude e infuocato, tali sfumature riflettono pure i limiti – che persino un dio ha nei confronti delle Parche. Dal tono aggressivo nasce e sgorga la sua insicurezza di non potere nulla; e l’addio è il preludio di un nuovo, predatorio, tentativo di ricongiungimento. Aristeo, che è ponte di mediazione e ristoro per la divinità, sa a sua volta infrangere l’immobilità, l’eterea essenza della sua figura e rendersi, involontariamente, motivo di dissidio interiore per se stesso e il partner.
La parte finale si appiattisce in un cliché; nonostante conservi una propria personalità, grazie alla scelta del lessico per ritrarre l’efebo, appare meno incisiva e sensibile del resto.
Recensione alla storia Laudate Hominem - 19/09/14, ore 18:28
Capitolo 1: Laudate Hominem
La fiction presenta un abuso di espressioni in calce e di avverbi di modo; l’accostamento di quest’ultimi a parole, che esplicano di per sé il significato stesso dei termini accessori in –mente, crea un inutile effetto di ridondanza, fastidioso e in grado di distrarre nel corso della lettura. La soppressione o l’aggiramento di formule come ‘così perfettamente’, a seguito di un aggettivo con identica radice, renderebbero più scorrevole e pulito il testo.
L’utilizzo degli aggettivi qualificativi ha una funzione introduttiva che sporca il punto di vista esterno della narrazione, in quanto chi scrive giudica ciò che dipinge, non lasciando al lettore l’opportunità di crearsi un’idea propria, diversa o in contrasto con quella narrata nella fanfiction. Il filtro è in tal modo falsato e di precaria attendibilità, poiché guida in un’unica direzione le vicende.
Le domande retoriche rivolte al lettore non ampliano il bagaglio di riflessione sui temi scottanti dell’ambiguità e del pregiudizio della morale; gli angeli inquadrati e traviati dalla loro stessa dottrina, poiché esseri a immagine, quindi riflesso fallibile di una forza superiore, non appaiono in grado di instillare lo stesso dubbio in chi osserva. La loro condizione diventa quindi un dato di fatto, non un’eventualità che conduce lo spettatore a porsi quesiti.
Lo stereotipo dell’angelo caduto (corrotto dall’amore per un demone dal viso d’angelo) è comune materiale di traduzione letteraria e fumettistica, nello specifico in racconti omoerotici. La storia non manca di suggestione, ma risulta debole e fumosa.
Il ritmo è costruito a fatica, soprattutto per via della frammentazione del contenuto. L’autrice si muove per punti, più secondo una scaletta che attraverso un disegno coeso e ciò continua ad essere sintomo di una finalità didascalica – introduttiva, attraverso cui si arriva al quadro completo della situazione di angeli e demoni, non per gradi vissuti, ma raccontati. Lo show don’t tell non si concretizza se non nella parte finale del componimento; anche qui l’azione intrusiva della voce narrante destabilizza la naturalezza dell’incontro dei due personaggi e tramuta un’idea affascinante (per quanto inflazionata e non nuova) in un ‘saggio’.
Recensione alla storia Goodnight, puppy. - 19/09/14, ore 17:36
Capitolo 1: Goodnight, puppy.
Valutazione espressa per il Contest 'Vuoi essere il mio cucciolo?'
Pienezza emotiva, stile colorato e dovizioso d particolari. La scioltezza nel fraseggio aiuta di molto la lettura e la fluidità degli eventi narrati, anche con la complessità temporale presente, elaborata e gestita a dovere. Alle volte la forma può apparire ridondante o l’abuso eccessivo di incidentali e di ripetizioni ad effetto lasciano cadere la genuinità dell’insieme. Si corre quindi il rischio di relegare il tutto a un mero esercizio di stile, piuttosto che a un racconto partecipato e dal coinvolgimento soddisfacente. Diverse sono le imprecisioni sintattiche, di entità minima, ma che una rilettura più attenta riuscirebbe a smussare del tutto; quanto alle descrizioni, invece, c’è la tendenza a dilungarsi in elenchi, piuttosto che in un’impalcatura discorsiva e compatta. Il taglio psicologico dei personaggi si struttura molto a partire dalle loro azioni, dai dialoghi concreti e dosati, che sanno in qualche modo dare eco nella mente del lettore, duplicando il loro significato, e permettendo di affezionarsi alle figure introdotte.
Recensione alla storia Jamie lo spaventa Demoni - 19/09/14, ore 17:29
Capitolo 1: Jamie lo spaventa Demoni
Valutazione espressa nel Contest Tre cuori e un pannolino
Il ritorno a casa di Milo è curiosamente un incubo per lui; trova difatti un moccioso paffuto ad attenderlo, che si è appropriato e ha utilizzato indebitamente i suoi giocattoli... Quello che si prospettava come un bollente appuntamento di sano sesso, diventa un lungo (e faticoso) giorno da baby-sitter, in compagnia di un Neal nelle vesti di “madre” nazista. La comicità della situazione è esasperata dal carattere caustico di Milo, che non accenna ad avere remora neanche in presenza di un bambino “indifeso”; mentre, d’altra parte, Neal mostra con piglio deciso – e utensili del caso – il suo carattere altruista e denso di principi in netta opposizione al cinismo del suo partner, bacchettandolo e rivolgendo tutte le proprie attenzioni (o quasi) al piccolo fagotto ambulante. Il motivo della presenza del poppante è fornito con tempistiche ben congegnate, che evitano un risvolto anticlimatico degli eventi e smorzano la sensazione di déjà-vu, puntando su una psicologia abbozzata – fornita in sordina – e sul dinamismo dell’intreccio. Perfettamente in linea con le idee base delle schede e con la natura dei personaggi, Velvet tesse un racconto leggero, dallo stile asciutto e battuto da una profonda contrapposizione caratteriale della coppia, che rende tridimensionali i personaggi e ne esalta le peculiarità individuali, con esiti spassosi e colmi di brio. Acido, inflessibile e ricattatore provetto, Milo domina la scena assieme a Jamie, che rappresenta la sua nemesi birichina in formato mini. La decisione stilistica, di rendere il delinquente biondo ignaro della presenza di uno sgradito ospite, crea un effetto sorpresa in crescendo, soprattutto per le inaspettate e quantomeno dubbie doti di “papà” di Milo (per una volta nelle vesti di vittima), il quale non perde affatto l’occasione di palesare tutto il proprio disappunto concernente l’invasione del piccolo dittatore piagnucolone. La coerenza del personaggio, introdotto in una circostanza a lui remota, è calzante, in quanto egli non abdica a sé stesso, ai propri modi di fare e risulta credibile nel ruolo dell’irresponsabile – despota e capriccioso quanto il bebè – catapultato in un ruolo che non vorrebbe mai ricalcare e che non sarebbe adatto al suo stile di vita. Da questo punto di vista, tuttavia, Jamie appare come un terzo incomodo, che non aggiunge né toglie molto al rapporto della sgangherata coppia di “genitori improvvisati”. Anzi, il bambino anticipa e pone in maggiore luce le dinamiche già prestabilite in questo duo, che si muove per antipodi e stridenti dicotomie, allentando o tendendo la corda del compromesso. L’utilizzo di una narrazione in sottrazione – con dettagli incisivi, ma mai troppo ridondanti – sa incentrare il testo complessivo sui gesti, sugli atteggiamenti dei protagonisti, fornendo un ritratto pulito della loro routine e veloci pennellate sul rapporto preesistente fra di essi. Diversi sono gli errori ortografici o le leggerezze sintattiche, che potevano essere evitati con l’utilizzo di un beta-reader o attraverso più revisioni dello scritto. La recidività dei refusi lascia presupporre che non siano frutto di mera distrazione, come pure il mancato rispetto di diverse norme di formattazione. In definitiva, a dispetto di alcune ingenuità e di un abuso di frasi minime o di proposizioni a costruzione inversa, la fiction possiede una gestione solida e controllata.
Recensione alla storia Il Santuario - 19/09/14, ore 17:26
Capitolo 1: Il Santuario
Valutazione del Contest Fetish e Ossessioni
Puntando sul personaggio di Ashlar, Lle opta per il pigmalionismo come fetish portante della sua fiction; l’oggetto è perciò fulcro attivo dell’erotismo e innesco del soddisfacimento sessuale, nel suo essere immobile, percepibile e ‘idolo’ di un culto a esso consacrato.
L’introduzione è prettamente contemplativa, con l’intento del protagonista di crogiolarsi e perdersi in maniera dionisiaca nel piacere dello sguardo, in una sorta di rivisitazione panica dell’adesione al circostante (per quanto in questo caso si tratti di trofei artificiali e non della ‘natura’ in sé, ma di una statua che fornisce la rappresentazione della stessa, un tramite, quindi).
Nel momento in cui la donna in terracotta è svelata dallo sguardo del collezionista, l’approccio feticista diventa attivo e determina l’amplesso, una necessità impellente che è scandita in maniera ritmica nell’arco narrativo, in un crescendo passionale.
Ashlar è ritratto in una fase avanzata della propria patologia: finito il rapporto, terminano anche l’escalation e il mordente esercitato dalla Venere. Il distacco avviene con una cesura netta, un'estraneità che l'uomo non aveva preventivato e che giunge improvvisa, per quanto prevedibile e 'attesa' dal lettore; appagare il desiderio equivale a una stasi mortifera, all'annientamento della ricerca, che Ashlar non può concedersi. L’ultimo sguardo è figurativamente lontano, perché osservare l’oggetto non permette di trarre piacere e ciò, paradossalmente, intensifica la mania doverosa di vagare e scovare l'ebbrezza in altro, acuendo il comportamento deviato e la sua recidività.
I tesori accumulati svestono la parvenza erotica e tornano a decretare invece la padronanza e la capacità di possesso del protagonista, l'ampio spettro dei suoi interessi e dell'opulenza di cui si circonda, come ne amplificano il ‘vuoto’ e il senso di inafferrabile insoddisfazione.
Da questo punto di vista Lle riesce a seguire il vademecum psicologico del feticista (anziché ricrearne lo spessore, mette a nudo la sensorialità) e ne dà uno spaccato credibile nella finzione narrativa, utilizzando un registro stilistico che emula quello sadiano e si rifà ad atmosfere filo-ottocentesche, per quanto riguarda l’enfasi dell’io narrante. La voce, che riporta direttamente gli eventi è difatti ricca, talvolta pedante nella ripetizione dei termini ed esagerata nelle espressioni ricorrenti, ma altrettanto partecipe e sentita, organizzata nello scheletro della trama.