Recensioni per
Enfant prodige
di Nocturnia

Questa storia ha ottenuto 27 recensioni.
Positive : 27
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior

“Fitti nel limo dicon: “Tristi fummo
ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,
portando dentro accidïoso fummo:

or ci attristiam ne la belletta negra”.
Quest’inno si gorgoglian ne la strozza,
ché dir nol posson con parola integra.”

(Dante, Inferno VII, vv. 121-126)

Accidia, l’ultimo dei vizi. Il meno grave, il meno mortale dei suoi compagni che trascinano le anime alla rovina; è pigra Accidia e lambisce i propri dannati, li tormenta per poi riconsegnarli indolente alla via che hanno perduto. Ma c’è chi ne fa una scelta di vita, chi viene riportato alla strada maestra ma ne rifiuta il sentiero tortuoso, troppo difficile, troppo faticoso da percorrere per chi da solo non ha né testimone da passare, né staffetta che lo possa sostituire. E’ gente che soccombe a una fatica mai sopportata, che osserva i pesciolini agitarsi nell’acquario, che osserva dall’acquario la gente che vive. Sono persone che si chiamano Alexia e fanno di cognome Ashford, che decidono di fare le regine rifuggendo i propri sudditi, che spariscono bambine e ritornano donne da umane a virus per governare ciò che loro appartiene: niente e una vita vissuta nemmeno a metà.

Consideriamo l’Accidia come l’avversione all’operare: sì, Alexia pecca di inettitudine nell’azione poiché vive la vita che le è stata concessa dietro a un vetro, conosce la criogenia e un sonno lungo quindici anni perché ciò che le è stato “concesso” non è ciò che “desidera”. E’ nata bambina intelligente perché qualcuno prima di lei l’ha voluto, perché qualcuno aveva visto in lei la possibilità di ricreare quella stessa Veronica che aveva reso grande la famiglia Ashford, decaduta per colpa delle masse ignoranti: con l’intelletto e un virus Alexia pianifica il golpe, con un fratello e una formica spezza le ali della libellula che diventerà.

Iracondi e Accidiosi sono simili: entrambi condividono una rabbia che li perseguita, entrambi condividono il terreno di caccia, entrambi condividono una pena: eppure i seguaci di Accidia hanno scelto di non esternare ciò che provano, si nascondono dietro algida e altera facciata mentre costruiscono coi mattoni della mente una vendetta e un regno che non avranno mai. E’ vero, sono tanti così alla Umbrella: chi Superbo, chi Iracondo, chi Invidioso -della stessa Accidia… una guerra tra poveri-, tutti che tirano l’acqua al mulino infetto di mugnai marci e paranoici. Nessuna sorpresa allora che ognuno abbia reagito a modo suo: Alexia ha scelto l’Accidia, ha scelto di chiudersi nel silenzio di una cella nascosta nei ghiacci per farsi sentire dopo quindici lunghi anni. A difesa della Bastiglia ha eretto il fratello, clone difettoso non richiesto -altra figurina doppia nell’album degli esperimenti fallaci della Umbrella-, perfetto soldatino pronto a tutto per difendere l’unica persona nel suo mondo: a sopportare la solitudine di Rockfort, ad accettare la schizofrenia pur di rivederla ed ascoltarne la melodiosa voce, a distruggere la sua casa, a volare in Antartide e morire pur di salvare la Regina dalle formiche rivoltose.

Gli anni passano, il virus accetta Alexia e le dona il suo potere, Alfred muore liberandola e assistendo alla sua rinascita: è la nuova regina che perde la più leale delle sue formiche per imporre la stretta sul formicaio, schiacciare il ribelle e tramutarlo nel suo -ennesimo- orribile esperimento. Un padre, l’assassino di suo fratello, non fa alcuna differenza: entrambi li hanno rovinati, condannati, ed entrambi hanno pagato.

E’ così che Alexia esce dalla teca per entrare definitivamente nella propria bara col fratello, con l’Accidia, con l’anello, un girocollo e un orecchino che marcano il punto in cui gorgogliano e sospirano i corpi, in cui alla Regina evoluta in libellula hanno strappato le ali e il futuro.

P.S.: termini con l'Accidia la rassegna dei sette peccati per sette personaggi di Resident Evil: con questa hai accompagnato il lettore in un viaggio accurato e profondo nella psiche di alcuni dei "belli e dannati" (e sottolineo solo alcuni) che più hanno lasciato il segno, o forse per la loro natura dovrei dire graffio, sul muro del pianto della saga.
Spencer è un Avaro, Alex brucia nell'Ira; Birkin svanisce nell'Invidia, Albert bolle nel brodo della Superbia; Excella è divorata dalla Lussuria, Carla riflessa nella Gola e Alexia immobile nell'Accidia.
Pennello alla mano e a ognuno il suo vezzo più o meno nascosto, hai saputo mettere a nudo il parassita che in tutti scava e svuota per condurli sempre allo stesso luogo per strade diverse, strade che in ogni caso hai percorso con la grazia di chi studia e seziona da tempo storia e dolori dei propri campioni. Enfant Prodige è una raccolta capace di tener compagnia per parecchio tempo e illustrare pregi e difetti di persone umane oltre la divinità, vinte oltre ogni vittoria, in tutti gli aspetti più crudeli e veritieri che si possano voler analizzare: ben fatto, mentre la storia prosegue è sempre bene mantenere l'insight su chi la storia, alla fine, l'ha fatta davvero.
(Recensione modificata il 31/12/2016 - 10:20 pm)

“E quelli: “Ei son tra l’anime più nere;
diverse colpe giù li grava al fondo:
se tanto scendi, là i potrai vedere.

Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:
più non ti dico e più non ti rispondo”.

(Dante, Inferno VI, vv. 85-90)

Il peccato di Gola per la donna che ha vissuto una volta due vite diverse, Carla Radames la facciata il cuore, Ada Wong il cuore la facciata; genio del virus che l’ha salvata e rimodellata, aspirante regina del caos oltre il tetto del mondo, ingorda oltre ogni limite di ciò che le era stato promesso e negato.

Ci sono due Carla Radames oppure due Ada Wong, è solo una questione di punti di vista. Sicuramente AdaCarla è in dubbio, non ha chiaro quale sia il peso maggiore sulla bilancia e verso chi -o cosa- pendano i piatti; il giudice è stato cattivo e imparziale e non ha guardato in faccia a nessuno al momento di infliggere la pena: lo ha fatto solo nel suo interesse, è stato un arbitro corrotto che ora gode dei frutti del suo duro lavoro, suo e di Carla, che ha subito per lui la metamorfosi nella bella farfalla esotica e perfetta. Eppure questa non è destinata a durare che il tempo di una notte, solo l’attimo di contagiare il mondo con la propria vendetta per poi morire nello sforzo. La larva invece è molto più longeva e ingorda, ha bisogno di tempo per crescere e svilupparsi, per trovare il luogo a lei più congeniale alla sopravvivenza nel tentativo di non morire prima del tempo: così Carla è sopravissuta, all’ombra dell’esotico riflesso di Ada, nutrita dalla Gola di ricordare la verità, dalla Gola di distruggere l’opera del suo aguzzino, dalla Gola di conquistare il mondo, dalla Gola di un virus sempre affamato.

Negli incontri di una storia che avanza, AdaCarla percepisce in controluce come finirà e come è già andata a finire, nutre una fame di conoscenza che la turba di giorno e piega di notte mentre un’Ada vince la battaglia e una Carla si ritira sconfitta, mentre mima la voce e i gesti di una donna della quale è stata obbligata a interpretare un’inquietante parodia. E’ per questo che Carla, o Ada, è smarrita nelle sue personalità, nelle sfaccettature che alterna con rimorso e senza paura perché una videocassetta confusa ha augurato buon compleanno alla Carla Ada sbagliata.
Per questo Ada Carla è una golosa: nella sua ordinata confusione si appropria di un’identità da sovrapporre all’altra della quale era proprietaria, per festeggiare due compleanni per la stessa persona, due nascite per la stessa vita. Simmons voleva l’amore di una donna che non lo amava e che ha scelto di clonare sullo stampo di una donna che l’amava ma che lui non voleva, ottenendo in cambio la copia perfetta in viso e nel corpo, spezzata per sempre in una personalità che non conosce e che pensa di amare.

Vuole, vuole, vuole, la storia di Carla ruota tutta intorno all’ingordigia e alla Gola, un peccato sì mortale ma non troppo, forse il veleno di un serpente di cui ancora ci si può mondare: per questo al momento della morte il feroce dualismo si placa, lascia pace e sollievo alla donna creata e uccisa dallo stesso uomo, Carla amante e Ada traditrice. Per questo Carla fallisce, proprio perché dietro Ada è ancora Carla. Ma alla fine l’antidoto non si rivela altro che l’ennesimo veleno, la morte uno stato di transizione verso la conquista del vero caos: Ada, clone avvinghiante; Carla, corpo affogato in fango putrescente.

“Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.”

(Dante, Inferno V, vv. 34-39)

Terzo al podio dei vizi, primo boia di colei che perde il senno per il corpo del reato: Excella è giovane, bella, disillusa, conoscitrice del mondo oltre i libri eppure così fragile, cieca, consapevole di come la lonza della quale si erge orgogliosa padrona la condurrà a una nera selva della quale entrerà per sempre a far parte.

Lussuria, nemica degli uomini, parte integrante di una donna che ad essa si affida per padroneggiare il destino. Era ricca, Excella, poteva avere tutto: fama, gloria, conoscenza, potere; un futuro luminoso per una regina in erba capace di esigere, ottenere e piegare. Ma tra tutte le Signore è Semiramide che ha scelto, donna ambiziosa, lussuriosa e crudele; una Semiramide tremendamente sbagliata a cui il vento ha chiuso gli occhi e aperto il cuore a un amante infido e ladro. Peccatrice carnale, ha davvero serrato gli occhi davanti a una bufera talmente nera e forte da accecarla definitivamente, che le ha permesso di percepire comunque la frana che di lì a poco l’avrebbe travolta e uccisa.

Una, due, tre volte e la regina aveva capito come lui non fosse il solito re ingordo e ostentatore; un uomo schivo, silenzioso, subdolo, di quelli capaci di strisciare attraverso organi e tessuti sotto la pelle, di lasciar esultare per una vittoria che strapperà pezzo per pezzo dopo aver lacerato le cellule nelle quali per così tanto tempo era dimorato per mutare, potenziare, distruggere. Un virus opportunista la cui presenza è fondamentale per la sopravvivenza di Excella, per far sì che la sua storia possa continuare e terminare come lo scriba ha deciso, vergato il papiro nato da canne sulla riva di un fiume che con troppa superbia l’incauta ragazzina ha deciso di attraversare.

Naviga bambina mia, sii convinta della tua sicurezza e della tua proprietà; non ascoltare le vecchie cariatidi sorreggere un trono ormai usurato che tu, Sua Regina, occuperai molto presto: la Tua visione e la Sua, combinate, rese realtà; una pietra filosofale che sceglierà attraverso il DNA chi procederà allo stadio successivo. Era così sicura delle sue possibilità, Excella, così sicura di poter padroneggiare il mostro per l’anatema concessole dalla Lussuria che ha perso completamente il senno, piegato alla passione; tanti sono stati i presagi prima della fine che la condannata non ha voluto vedere, che ha ignorato per sussurro all’orecchio di un uomo che di lei delle sue risorse aveva bisogno, diavolo punitore che attrae l’anima viva e la uccide, squarcia, punisce in vita e nella morte. Graffio dopo graffio, ferita dopo ferita, Excella ha visto scivolare via il suo regno di beni materiali finché nulla le è rimasto se non quella stessa anima che per Lussuria ha venduto senza troppo pensarci. Solo allora ha perso il controllo della lonza, libera della storia di Excella, solo allora ha tracciato il confine per se stessa tra la vita e la morte, scegliendone il lato sbagliato.
E’ a quel punto che il re si è rivelato per la sua natura, che Giove ha ritenuto l’esistenza dell’amante superflua e le ha donato la possibilità di mostrarsi davvero degna della Loro visione: così Excella è arsa, irrilevante tra quei sei miliardi di dannati che l’Uroboros si sarebbe accinto a marchiare, consumata da quella stessa bufera che si era annunciata prima con brevi sferzate e che poi si è tramutata nella frana che segna per sempre gli schiavi della Lussuria.

Ma non si lamenta Excella, non urla, non piange, non bestemmia quel dio che le ha concesso i piaceri della carne e un corpo che le ha lasciato assaporare vittoria, orgoglio, inganni, dolori. Non si pente e persiste nel peccato mortale, immobile nella bufera che continua a sferzarla, nessun rimpianto nell’inferno a cui essa stessa si è consegnata vogliosa negandosi ogni possibilità di pace o salvezza.
(Recensione modificata il 27/12/2016 - 10:41 pm)

“Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l'etati grosse!
[…]
Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.”

(Dante, Purgatorio XI, vv. 91-102)

Il peggiore dei vizi per il peggiore degli uomini, ultimo tra gli dei, intrappolato dalla terra; incauto il viandante che incappa nella peggiore delle lamie, l’ombra del suo stesso demonio che conduce strisciante alla voragine infernale: la Superbia.

Cammina e inchinati Albert, crolla sotto al peso della statua che avevi costruito a tua immagine e somiglianza, Atlante in vita divinatore della sua futura condizione. Prega il dio che volevi diventare di liberarti del peso a cui tu stesso hai scelto di legarti e non allentare mai la presa, per nessuna ragione, aggrappati disperato alla vita che hai calpestato con lo stivale del potere e i passi della Superbia poiché per te non è previsto alcuno sconto di pena; si sgretola la cornice poiché nemmeno la montagna ti vuole e il masso da sostenere è troppo pesante: per te, solo la voragine è stata scritta.

Sei vie per un solo destino: lui pensa di essere stato ingannato, si inganna, ma è la sua cecità che lo sta fuorviando, la morte solo la sincera liberatrice di un’anima in pena. Lui crede di essere Ade, concede a Persefone di tornare a Demetra ma non capisce come l’Inverno stia giungendo anche per il suo regno, troppo perso ad annoverare le sue glorie alla corte dei dannati, ogni vittoria uno scalino in più verso l’abisso.

Dicono che una guerriera abbia cercato di fermarlo, che abbia provato ad aprirgli gli occhi e sia insorta per ricacciare la Superbia nel suo antro, ma che non ci sia riuscita e abbia scelto invano il sacrificio. Dicono che lui le abbia voltato le spalle sicuro di sé e delle sue ragioni, sia giunto alle porte del nuovo regno pronto ad occuparne il trono, inciampando sull’ultimo gradino: si è sentito male, di un male che veniva da dentro e che non ha voluto ascoltare nell’incrollabile stupidità caparbietà di agire unicamente secondo il proprio volere, il volere di un dio. Sembra che non abbia voluto percepire il peso del macigno che di lì a poco avrebbe gravato sulle sue spalle, immolandosi Atlante prima del tempo e scrutando dall’alto, dietro lenti oscurate dal vizio, il suo vasto dominio, le anime che lo abitavano e che sarebbero cadute con lui per lui.

Ti sei venduto alla lamia per pochi spiccioli Albert, questa volta hai vergognosamente calcolato male i punti e ridicolmente perso la mano. Ma non ti preoccupare, non ci pensare: non è colpa tua, non è mai colpa del dio ma dei suoi sudditi traditori. E’ stata Excella, idiota incapace che sbaglia la dose del siero; è stata Jill, stupido manichino inutile e testardo che, ormai vinto, ancora tenta di ribellarsi; è stato Chris, sia dannato lui e la sua maledetta superiorità morale con la quale pensa di poterti sconfiggere; è stata Alex -coraggio Albert, non avere paura di ascoltarti, di dire che è stata tutta colpa di Alex-, miserabile puttana che ti sibila all’orecchio per detronizzarti, per farti strisciare come lei negli schifosi bassifondi del tuo meraviglioso Olimpo. E’ sempre colpa degli altri, solo il potere ciò che può chiamare a te altro potere ed elevarti al ruolo che ti spetta.

Dicono che alla fine sia morto, che la terra gli si sia sgretolata sotto i piedi e che il demone a cui aveva venduto l’anima sia venuto a esigere il tributo. Dicono che abbiano visto Lamia emergere dai cancelli dietro cui si celava per mangiarsi il suo bambino e che perfino Era questa volta abbia tremato, pentita di ciò che aveva creato. Dicono che il semidio sia davvero caduto, che il messia sia davvero giunto per liberarci e che abbia davvero seppellito i resti della vittima della lamia, per sempre; altri dicono che in fondo si trattasse solo di un uomo martoriato che voleva poter essere libero, ma che la sua umanità l’abbia tradito; altri ancora che fosse l’untore del nuovo mondo, un pazzo che si è meritato la sua dolorosa fine.

Ma la realtà è che solo Lamia lo conosce bene, solo a lei il bambino si era confidato e sempre a lei aveva chiesto di proteggerlo dagli occhi perfidi di un mondo ingrato: così lei aveva risposto benevola, materna, lo aveva preso tra le sue braccia e stritolato cullato nel suo abbraccio dolce e asfittico: Malato tra i malati, Superbo tra i superbi, Dannato tra i dannati.

(Recensione modificata il 25/12/2016 - 02:21 am)

Recensore Junior

“E come a li orbi non approda il sole,
così a l'ombre quivi, ond'io parlo ora,
luce del ciel di sé largir non vole;

ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
si fa però che queto non dimora.”

(Dante, Purgatorio XIII, vv. 65-70)

Il terzo dannato per il sesto peccato, smarrito nella cornice di un canto doloroso e affranto; un epilogo non richiesto il contenuto aggiunto di una storia guarnita fin dall’inizio dal gusto amaro dell’Invidia.
Succede di essere molto più sensibili all’amaro rispetto agli altri gusti perché questo è più spesso associato al nocivo, stricnina che spinge oltre il limite prestabilito l’ambizione e la volontà di eccellere, ossessione e iperstimolazione che lasciano soli ad affrontarne lo sfinimento -fisico e mentale- e a chiedersi -forse- se ne sia valsa davvero la pena; la perdita di qualsiasi inibizione per chi viene avvelenato dall’Invidia, per chi ad essa sacrifica qualsiasi cosa.

Povero William, unico giocatore di un monopoli di soli imprevisti, multe e prigioni. Il diabolico Parco della Vittoria ti ha costretto a ipotecare una casa dopo l’altra: salute, amici, una vita normale e perfino la tua famiglia, sacrificata per l’albedo fantasma di un progetto molto più grande di quanto tu potessi immaginare. Il riflesso dell’ambizione ha accecato il giovane scienziato, mentre l’Invidia ti ha intrecciato la sua tela di fil di ferro sugli occhi, dottore, amministratore del laboratorio al quinto piano, solo con la tua bambina sul ciglio dell’inferno. L’ago rovente ti ha pian piano privato della tua umanità, ferito nei punti più sensibili per spingerti sempre più in alto, sempre più giù, per dimostrare agli incapaci cosa davvero il Dr. Birkin sia in grado di fare, perché lui sia stato il più giovane scienziato dell’Umbrella Bianca, perché lui sia migliore di una stupida ragazzina sepolta nei ghiacci dell’Antartide. Per questo, Birkin, hai serrato gli occhi e chiuso il mondo al di fuori, condannando un’intera famiglia alla rovina.
Eppure prima della fine -di un nuovo, ributtante inizio- piangi e chiedi perdono William, mendichi l’amore di una figlia che non hai mai veramente considerato, che l’Invidia ti ha sussurrato di lasciare per prenderti cura di un’altra ben più oscura, un’insulsa provetta che ti ha dolcemente accompagnato nella morte, verso la morte. Sei grigio, Birkin, ti confondi con la montagna che ti ha schiacciato e alla quale ti appoggi sconfitto; cieco a tutto ciò che ti ha circondato in vita, ora paghi l’ammenda e macchi di lacrime le stesse palpebre che l’Invidia ti ha perfidamente suturato.

Nell’inferno che lo ha inglobato piange l’orgoglioso Dr. Birkin, perché brucia di una consapevolezza arrivata troppo tardi, sente ciò che non ha potuto vedere e rimpiange ciò che non ha mai vissuto: tuttavia sarà questo a garantirgli la salvezza, la possibilità di raggiungere almeno nella morte la pace che in vita l’Invidia non gli ha mai concesso. Cerca ancora di mantenerlo in vita, la sua demoniaca bambina, mentre precipitano insieme nel tunnel di fuoco, ma è proprio la consapevolezza a permettergli di accasciarsi in pace contro il fianco della montagna. Sconsiderato Ulisse, assetato di saggezza: hai voluto trascendere la conoscenza concessa agli uomini ma nel farlo hai dimenticato la virtù e abbracciato il peccato; ora il mare ti ha tradito, lasciandoti unicamente scorgere la montagna su cui saresti finito per morire -redimerti-, ucciso dalla tua stessa ragion di vita.

Così l’amicizia con il giovane Albert, l’amore di Annette, la benedizione di Sherry e l’ultimo incontro con un padre diventato mostro assumono tutte la consistenza delle ombre, figure veloci nella mente di un uomo che incontra il suo destino, anime sepolte negli anni passati nelle tombe bianche, schiavo di ricerche dell’ambizione intonacate sul muro marcescente dell’Invidia. Al suo crollo non rimarrà nulla: le mostruose macerie alle fiamme degli inferi; l’anima sfinita dell’uomo, libero del demone viola, a riaprire gli occhi e scalare la montagna che concederà al penitente la pace di una vita.
(Recensione modificata il 19/12/2016 - 03:54 pm)

“Corda non pinse mai da sé saetta
che sì corresse via per l’aere snella,
com’io vidi una nave piccioletta

venir per l’acqua verso noi in quella,
sotto ’l governo d’un sol galeoto,
che gridava: “Or se’ giunta, anima fella!”

(Dante, Inferno VIII, vv. 13-18)

Ira e Superbia, Guerra e Discordia, déi consumati amanti del peccato nel peccato, peste e fame del mondo. L’una che nasce dall’altra, Ira vomitata dalla perdita di Superbia, acido che corrode nelle viscere riempiendo ogni vuoto della sua aria venefica. Così un’altra anima risponde alla chiamata, baratta sentimento con ciò che riempie i giorni bui, confonde il buono con il duolo per trasfigurare il volto della viva con quello della morta: Ira ed Era, unite nella vita così come nella non-morte.

Salvatrice e traditrice, benefattrice e assassina: ombre opposte sulla stessa meridiana illuminata da un sole che non tarda a calare sotto le terre d’Africa; l’Uroboros miasma nero che ne inquina i cieli azzurri. Mai Alex fu così sospesa tra incudine e martello: il sentimento lascia il posto a qualcosa di sottile, leggero, strisciante; un gioco d’amore rabbioso nel fango dell’Ira in cui i peccatori mordono, graffiano, bramano, vogliosi di strisciare fuori dall’inferno che li ha reclamati eppure capaci di crogiolarsi in esso, di dimenticare la loro pena affondando ancor più nel fango.
Il profumo del mare, il calore della sabbia, un vuoto colmato dall’abbraccio di Superbia che scalda e stritola, illude e inganna, culla il morto e il neonato. Immorale Discordia, moglie e sorella, seminatrice del morbo della quale porta il nome; sfregiata e lacerata dallo stesso demone che chiama amante e fratello, ne sfrutta la sconfitta per affondare un’isola intera, la barca nel fango in cui essa stessa verrà gettata. Annaspa nella palude malsana e cerca una via di fuga, negatale in vita così come nella morte, per trovare il legno della salvezza nel gesto suicida, disperato e rabbioso contro sé e verso gli altri, per dimostrare che mai Stige fu più lurida, schifosa, viscida e vicina a conquistare il mondo.

Persi il cuore e la redenzione, nel vuoto dell’anima ribolle dolore accecato dall’odio, la consapevolezza di essere colpevole di aver chiuso gli occhi ed essersi piegata alla malevola Superbia che, perduto il simbolo del potere, scatena un’Ira senza più controllo, il quarto peccato mortale che richiama il traghettatore all’anima dannata.
(Recensione modificata il 31/12/2016 - 12:21 pm)

Recensore Junior
13/12/16, ore 16:46

"Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,
e disse: "Taci, maledetto lupo!
consuma dentro te con la tua rabbia.
[...]
Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,
tal cadde a terra la fiera crudele.”

(Dante, Inferno VII, vv. 7-15)

Il secondo dei peccati capitali, l’origine degli anni bui del terrorismo biologico. Scienza per una vita confortevole, il cui unico interesse è preservare la salute delle persone: niente è impossibile per la multinazionale che predica l’unità. Ma è dall’unità che origina il potere e il potere è la vita.
Così recita la morale dell’azienda, così si nasconde la verità dell’amministratore delegato che vuole portare il nuovo ordine nel mondo: Crono e Pluto, Tempo e Ricchezza consumati dall’avidità; Avarizia per imbalsamare ciò è che già stato perduto e sostenere un altare ormai crollato, deturpato da colui che doveva sorreggerlo. Schiacciato dal suo stesso masso colui che in vita si è lasciato sopraffare dalla magra lupa, ora rivede l’origine del suo inferno: bestie che latrano una storia già cominciata, dannati che sorridono allo scorrere degli ingranaggi, il messo infernale per annunciare il dio e mietere nuove anime; infine Raccoon City, vecchia e nuova Dite tomba dei miscredenti del nuovo regno.
L’Avarizia è ciò che dona all’Avaro costanza, le medicine ciò che lo inchiodano alla vita nonostante l’odiosa traditrice abbia voltato le spalle al suo benefattore, scegliendo il ghiaccio e l’inferno a fianco dell’amato imperatore. Il tempo è agli sgoccioli, la ricchezza effimera: l’Avarizia ha concesso e si è ripresa tutto, non ha lasciato nulla al suo servo più fedele se non l’ombra di sé a tenerlo attaccato alla vita.
Così il messo emerge dalle ombre, esige la conoscenza di ciò che gli spetta insieme alla vita di Crono e di Pluto: per quest'ultimo la maledetta fiera è stata la vita e lo strumento con cui ha condannato gli altri e consumato se stesso. L’Avarizia crudele affonda insieme al suo creato, l’albero spezzato e la vela calpestata dalla Superbia, portatrice del vessillo di imperatore del nuovo regno.

P.S.: molto interessante l’idea di ricollegare ad ogni antagonista di Resident Evil il suo vizio portante, ottimo lavoro (come sempre)!
(Recensione modificata il 13/12/2016 - 09:44 pm)

Nuovo recensore


La bellezza di Alexia e Alfred è nella loro complementareità che funge anche da ossimoro. Se la prima è rimasta bloccata, algida enfant prodige in un corpo fresco, ieratico e lontano dalla malattia e dal dolore, il secondo, suo malgrado più debole e vulnerabile, non riesce ad andare oltre la sofferenza patita e compie un percorso ascendente come erede e discendente come essere umano.
Alfred è obbligato a crescere nel fisico e ad affrontare un ruolo sociale, benché riparato dalla mondanità e dall'interazione, una farsa che lo spinge gradualmente in una spirale di follia in grado di recidere qualsivoglia interazione paritaria. Si tratta di un piccolo tiranno assuefatto alle vesti da indossare, al ruolo da impersonare, per sopperire alla mancanza di un legame simbiotico e asfissiante; un vincolo che gli donava tuttavia il senso della propria identità, l'interezza dell'essere e dell'agire. Logorato dagli anni trascorsi e in attesa che la regina esca dal bozzolo, senza più una guida e un appiglio, si sente alla deriva e lo dimostra in varie occasioni nella mutevolezza patologica dei suoi schemi comportamentali, nella necessità di emulare Alexia e di mantenere con lei un dialogo relegato alla propria mente. Con l'illusione di raggiungere il miraggio della complicità smarrita, che lo aveva formato durante l'infanzia e la prima adolescenza, si assiste a un'isterica agonia che scandisce il volgere dei giorni e assume le caratteristiche di una veglia di fronte alla teca di vetro, con la mano poggiata sulla superficie e la tensione psicologica ed erotica trattenuta sul materiale come effetto solido e ingombrante di una barriera fra i protagonisti. Persino l'impulso di sfiorare l'amata è lontano ed estraneo alla quotidianità del passato, un semplice ricordo che tarla l'oggi. Tragicamente Alfred è un Peter Pan che non può restare più bambino, immerso nel suo piccolo regno dove esercita un controllo incontrastato al di là di ogni morale, pur non essendo esente dalle critiche feroci dei suoi sottoposti, i quali ne intuiscono e ne osservano l'incompetenza e l'eccentricità. È un individuo malato che gioca e continua a recitare la parte del soldatino e del cavaliere per la sua bella dormiente, sottomesso a una bugia e a una promessa che hanno delle fondamenta irrealizzabili: le classiche favole che imbrigliano i più piccini per indurli a obbedire al fine di ottenere una ricompensa per gli sforzi compiuti. La speranza di un futuro assieme, dopo essere stato messo da parte, lo ripaga della pena di essere solo, succube com'è della volontà della gemella. Forse è la sua unica ragione di vita, quest'idea di collezionare anno dopo anno un'ossessione che muore infine, disattesa, fra le braccia dell'amata, priva di un'effettiva catarsi. È una logica del consumo, della brama che si logora e si estingue in una sconfitta. È destinato a cadere, a essere separato e incompleto, distinto e rotto, dopo aver condotto un'esistenza in cui agognava all'unità, alla simbiosi come estrema sintesi del sentimento amoroso.
Hai colto l'umanità di un personaggio estremamente vulnerabile, attribuendogli tratti infantili che sono peculiari delle sue reazioni. Trapela una creatura afflitta e provata, che viene tratteggiata con esaustività, sebbene non sia il punto focale del racconto. Alfred emerge con una prepotenza tipica dell'oppresso, dell'umiliato, a seguito di una lotta titanica che è condannato a perdere, perché è lui per primo a incarnare lo smarrimento di un adolescente lasciato a se stesso e vinto dagli eventi. Nonostante sia l'ombra di Alexia, sai definirlo, dargli dei contorni che attribuiscono del valore aggiunto e non rimangono una semplice riproposizione fedele alle differenti versioni del canon. L'uomo spezzato dalla sua passione, derubato del futuro, è il bambino negli ultimi istanti di vita, è il puro annullato dal sacrificio. La scena della sua morte risalta come una Pietà, con la donna che non è più soltanto agente dell'amore e idolo inarrivabile, ma anche madre, sorella, riflesso. È curioso notare come tutto si concluda in un reciproco raccogliersi l'uno con l'altra, che stabilisce la definitiva solitudine della Ashford. D'altronde, il cammino per il conseguimento del potere assoluto non è mai condivisibile.
Il punto di vista mostra specularmente due versioni di Alexia, che viaggiano sui binari di presente e passato. È una ragazza un po' bambina, con pretese tanto grandi da esserne una vittima in senso lato; ha dei progetti per se stessa, delle esigenze che muta in sfide alla sua portata. Ora che si è svegliata dovrebbe essere arrivata, sentirsi piena di aspettative, stringere il mondo nel proprio pugno e razionalmente lo sa, agisce secondo questa direttiva, ma la memoria le ricorda la propria “umanità”. La relatività del tempo, la sua percezione distorta è l'essenza emblematica dell'essere umano e del sentire che gli appartiene. Eppure Alexia si sgancia da tali prerogative e va incontro alla sua fine con l'amarezza di chi dovrebbe aver conquistato tutto, esser giunto alla massima fase di splendore e pagarne lo scotto.
Alexia è regina e cavia di se stessa, si rapporta al fratello con una cieca fiducia per tutti gli anni in cui è imprigionata in una stasi che la allontana dagli altri. In ambedue gli Ashford persiste un distacco disfunzionale che sovverte le regole collettive: dal tabù incestuoso al parricidio, dallo sprezzo per la debolezza umana al perfezionamento del virus per raggiungere la gloria.
Risvegliarsi, rinascere sotto una nuova luce non consente ad Alexia di dimenticare il passato: il raccordo con la libellula smembrata è specchio di un'infanzia che si è annichilita, ma che resta dentro di lei, nonostante non ci siano più tracce viventi, più testimoni che possano narrarla e riferirla in tutta la sua interezza. Resta soltanto ciò che ha imposto al proprio corpo, la ricerca scientifica che è mutata in carne e dolore, adattamento e impotenza di fronte agli anni che scorrevano inesorabili. Agli occhi del mondo Alexia Ashford è morta e la sua “coscienza” è negata nel decesso del fratello, che aveva condiviso il peso della scoperta sulle loro origini. Entrambi hanno affrontato questo smacco in maniera coerente alla propria personalità, ma non hanno scordato l'onta di sentirsi traditi e usati da un soggetto intellettualmente inferiore, come il padre che li aveva progettati. La loro ferita infantile è la base per il narcisismo, per il vuoto empatico che svilupperanno nel corso della loro “crescita”, che si traduce in una netta dicotomia. Laddove Alfred non desidera crescere per mantenere l'equilibrio e l'esistenza in due, Alexia vuole bruciare le tappe. Nessuno dei due è in grado di sottrarsi al prezzo del loro desiderio: il primo è costretto a gestire il patrimonio di famiglia, senza avere le abilità richieste per il ruolo; la seconda è oggetto di un sonno forzato, un contrappasso per sfiorare l'obiettivo del divino. Il tempo è nelle loro mani, ma non riescono a sottrarsi al lascito di Crono, neanche dopo averlo ucciso.
Presente e passato s'intrecciano nell'assenza protratta del futuro: c'è il tedio del genio, la sua inadeguatezza tra marionette ingannate e usate per i propri scopi; c'è l'orgoglio ferito che accentua il rancore per un padre non all'altezza, macchiatosi di tradimento. La diversità viene poi utilizzata come perno per affermare l'unicità della propria individualità, come trampolino di lancio per porsi scopi ultimi più complessi. Alfred sembra assumere un ruolo centrale nell'attutire questa fame di onnipotenza e nell'accondiscendere la sorella, anche a discapito dei suoi egoismi. La collaborazione frutta qualcosa che è vicino all'amore cortese, ma Alexia non è né angelo né fulcro ideologico della passione. La scatena, semmai, e intossica al proprio passaggio, in una nube che preannuncia e offusca una caduta ineluttabile. Non c'è prospettiva che si stagli sul percorso di Alexia: il suo status di essere mutato non schiude altro che guerre, il presagio di una rovina tanto più veloce del lento processo a cui si era sottoposta per innalzarsi sugli altri uomini. È un'ironia crudele, che si riscontra in quei pezzi di libellula, una retrospettiva sull'infanzia e sull'immediato.
La forma è pulita, la narrazione concisa e ritmata da pause ponderate: proposizioni anguste in tempi del racconto ben precisi, circoscritti e agili nei passaggi. Si possono osservare inserti brachiologici, che limano e sintetizzano la scena sino a renderla minimalista, ma non per questo superficiale. La pennellata è impressionista, dà un'idea d'insieme accesa e vivida, che si colora della disperazione e della frantumazione del sogno. In questo senso l'aggettivazione aderisce al suo ruolo, quello di palesare l'introspezione e intavolare i passaggi all'analessi per catapultare di nuovo in medias res. Il filo conduttore è la figura camaleontica di Alexia, che muta restando se stessa, ma donandosi al lettore sotto diversi profili, che vanno al di là dell'adulta o della minore.
Il periodare icastico definisce il ritmo e la rispondenza di questo con i contenuti e i concetti espressi: lo scavo interiore della protagonista è legato al vissuto personale e la spoglia allo sguardo del lettore: la bambina insegue l'adulta e questa, a sua volta, guarda ai trascorsi che non sono più, relegati ad attimi imperfetti e distraenti per la missione da compiere. Il taglio narrativo acquisisce familiriatà e rassomiglia ai referti recuperabili nel corso del videogame: l'impostazione è un omaggio personalissimo, che non si riduce a citazione o riproposizione pedissequa di eventi già conosciuti. Il focus ingrandisce e scorre l'azione, i pensieri.
Non credo di aver mai letto uno scorcio su questi due personaggi con una tale maturità – che la Capcom ha negato, nella mia opinione, in RE:DC, dissezionando la codipendenza tra i due e soprattutto il parallelo Redfield/Ashford.
Alla prossima e complimenti!

(ps: ho deciso di dividere la recensione unica di questa raccolta in più commenti dedicati al capitolo per una questione di comodità!)
(Recensione modificata il 09/02/2016 - 10:52 pm)

Recensore Junior

E si chiude con Alexia Ashford! Molto bella e toccante, in particolare l'affetto che Alfred prova per la sorella. In fondo erano dei "bambini" ma Alexia era diversa da Alfred, fino alla fine. Molto bello questo capitolo e molto intenso anche se breve, una bellissima conclusione che sta tra il malinconico, il triste ed il tragico. Bello davvero! Sei stata bravissima come sempre, aspetto le prossime storie. Ti abbraccio :*

*offre quintali di mignon di ogni gusto*

Recensore Veterano

Non riesco a non piangere.
"Nulla potrà dividerci"
Quando muore Alfred...io li shippo insieme così tanto!
Non riesce a non ricordarmi di quando mia sorella era ad un'uscita scout per tre giorni, avevamo appena litigato e già mi chiedevo quando tornasse.
Sei grande amica, penso che non smetterò mai di ripetertelo, vorrei avere il portale interdimensionale solo per entrare a Villa Ashford.
Alla prossima
Mattalara

Recensore Junior

Ciao Mia Carissima Nocturnia anche quest ultimo capitolo e stato magnifico spero ne farai altre cosi, sei sempre la migliore *offre una cena romantica con Albert Wesker*

Carla Radames...forse la storia più triste della saga di Resident Evil, dopo Annette Birkin ovviamente. Non è come Excella, lei sapeva a cosa andava incontro, anche se ciò che la porta alla distruzione è l'ingenuità dovuta alla sua giovane età. Carla no, era solo una studiosa innamorata di un folle. Simmons è un folle diverso a Wesker, non ha le sue manie di onnipotenza (nel senso di dominio del mondo), è un uomo ossessionato da ciò che non potrà avere mai e non lo accetta. Ed è questo che lo porta alla sua distruzione, portandosi dietro Carla, una donna che lo amava così com'era.
*offre caffè alla nocciola e una sedia per due chiacchiere*

Ciao mia Carissima Nocturnia, come sempre non mi deludi mai, Carla Radames è un personaggio che ho apprezzato molto in resident evil 6, continua cosi sei la migliore *abbraccia e offre una cena al ristorante*

Ciao Nocturnia, da quanti giorni.
Il capitolo è, in tutti i sensi, bellissimo.
Poetico, struggente e drammatico, non smetterò mai di commuovermi fino al pianto, pensando al dolore che, anche se personaggi di un videogioco, questi personaggi provano in alcuni momenti.
Come aiutanti di un grande male, i quali si pentono alla fine, quando sembra essere troppo tardi e delle volte lo è; altre volte invece tutti si risolve.
Lasciando però delle ferite nell'animo, che ne il tempo, ne la volontà potranno mai cancellare.
Le consapevolezze, i dubbi, i sogni e le speranze.
Saranno sempre con loro e bruceranno con loro, in una morte che è solo un altro inizio.
Aspetto con pazienza e gioia il prossimo capitolo, la tua amica
Mattalara.

Ciao Nocturnia! :)
Per un attimo mi sono sentita Carla, ed è stato terribilmente magnifico. *^*
Questa ff vola subito nelle mie preferite! Se potessi, le farei un quadro e la attaccherei nella mia camera istantaneamente ma, visto che ho poco spazio, finirà in qualche quaderno di scuola. ^^
C'è davvero tutto quello che è Carla, dall'inizio alla fine.
Amo Carla per la sua tragica storia d'amore, per la sua vita costruita su bugie, illusioni, sogni e per il suo rapporto con una persona che la usa, la sfrutta solo per compiacere se stesso.
Nella tua oneshot, c'erano tutti questi aspetti.
Ti faccio i miei complimenti, questo capitolo è davvero troppo troppo troppo bello!
*offre una fetta di torta al cioccolato*

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