La bellezza di Alexia e Alfred è nella loro complementareità che funge anche da ossimoro. Se la prima è rimasta bloccata, algida enfant prodige in un corpo fresco, ieratico e lontano dalla malattia e dal dolore, il secondo, suo malgrado più debole e vulnerabile, non riesce ad andare oltre la sofferenza patita e compie un percorso ascendente come erede e discendente come essere umano.
Alfred è obbligato a crescere nel fisico e ad affrontare un ruolo sociale, benché riparato dalla mondanità e dall'interazione, una farsa che lo spinge gradualmente in una spirale di follia in grado di recidere qualsivoglia interazione paritaria. Si tratta di un piccolo tiranno assuefatto alle vesti da indossare, al ruolo da impersonare, per sopperire alla mancanza di un legame simbiotico e asfissiante; un vincolo che gli donava tuttavia il senso della propria identità, l'interezza dell'essere e dell'agire. Logorato dagli anni trascorsi e in attesa che la regina esca dal bozzolo, senza più una guida e un appiglio, si sente alla deriva e lo dimostra in varie occasioni nella mutevolezza patologica dei suoi schemi comportamentali, nella necessità di emulare Alexia e di mantenere con lei un dialogo relegato alla propria mente. Con l'illusione di raggiungere il miraggio della complicità smarrita, che lo aveva formato durante l'infanzia e la prima adolescenza, si assiste a un'isterica agonia che scandisce il volgere dei giorni e assume le caratteristiche di una veglia di fronte alla teca di vetro, con la mano poggiata sulla superficie e la tensione psicologica ed erotica trattenuta sul materiale come effetto solido e ingombrante di una barriera fra i protagonisti. Persino l'impulso di sfiorare l'amata è lontano ed estraneo alla quotidianità del passato, un semplice ricordo che tarla l'oggi. Tragicamente Alfred è un Peter Pan che non può restare più bambino, immerso nel suo piccolo regno dove esercita un controllo incontrastato al di là di ogni morale, pur non essendo esente dalle critiche feroci dei suoi sottoposti, i quali ne intuiscono e ne osservano l'incompetenza e l'eccentricità. È un individuo malato che gioca e continua a recitare la parte del soldatino e del cavaliere per la sua bella dormiente, sottomesso a una bugia e a una promessa che hanno delle fondamenta irrealizzabili: le classiche favole che imbrigliano i più piccini per indurli a obbedire al fine di ottenere una ricompensa per gli sforzi compiuti. La speranza di un futuro assieme, dopo essere stato messo da parte, lo ripaga della pena di essere solo, succube com'è della volontà della gemella. Forse è la sua unica ragione di vita, quest'idea di collezionare anno dopo anno un'ossessione che muore infine, disattesa, fra le braccia dell'amata, priva di un'effettiva catarsi. È una logica del consumo, della brama che si logora e si estingue in una sconfitta. È destinato a cadere, a essere separato e incompleto, distinto e rotto, dopo aver condotto un'esistenza in cui agognava all'unità, alla simbiosi come estrema sintesi del sentimento amoroso.
Hai colto l'umanità di un personaggio estremamente vulnerabile, attribuendogli tratti infantili che sono peculiari delle sue reazioni. Trapela una creatura afflitta e provata, che viene tratteggiata con esaustività, sebbene non sia il punto focale del racconto. Alfred emerge con una prepotenza tipica dell'oppresso, dell'umiliato, a seguito di una lotta titanica che è condannato a perdere, perché è lui per primo a incarnare lo smarrimento di un adolescente lasciato a se stesso e vinto dagli eventi. Nonostante sia l'ombra di Alexia, sai definirlo, dargli dei contorni che attribuiscono del valore aggiunto e non rimangono una semplice riproposizione fedele alle differenti versioni del canon. L'uomo spezzato dalla sua passione, derubato del futuro, è il bambino negli ultimi istanti di vita, è il puro annullato dal sacrificio. La scena della sua morte risalta come una Pietà, con la donna che non è più soltanto agente dell'amore e idolo inarrivabile, ma anche madre, sorella, riflesso. È curioso notare come tutto si concluda in un reciproco raccogliersi l'uno con l'altra, che stabilisce la definitiva solitudine della Ashford. D'altronde, il cammino per il conseguimento del potere assoluto non è mai condivisibile.
Il punto di vista mostra specularmente due versioni di Alexia, che viaggiano sui binari di presente e passato. È una ragazza un po' bambina, con pretese tanto grandi da esserne una vittima in senso lato; ha dei progetti per se stessa, delle esigenze che muta in sfide alla sua portata. Ora che si è svegliata dovrebbe essere arrivata, sentirsi piena di aspettative, stringere il mondo nel proprio pugno e razionalmente lo sa, agisce secondo questa direttiva, ma la memoria le ricorda la propria “umanità”. La relatività del tempo, la sua percezione distorta è l'essenza emblematica dell'essere umano e del sentire che gli appartiene. Eppure Alexia si sgancia da tali prerogative e va incontro alla sua fine con l'amarezza di chi dovrebbe aver conquistato tutto, esser giunto alla massima fase di splendore e pagarne lo scotto.
Alexia è regina e cavia di se stessa, si rapporta al fratello con una cieca fiducia per tutti gli anni in cui è imprigionata in una stasi che la allontana dagli altri. In ambedue gli Ashford persiste un distacco disfunzionale che sovverte le regole collettive: dal tabù incestuoso al parricidio, dallo sprezzo per la debolezza umana al perfezionamento del virus per raggiungere la gloria.
Risvegliarsi, rinascere sotto una nuova luce non consente ad Alexia di dimenticare il passato: il raccordo con la libellula smembrata è specchio di un'infanzia che si è annichilita, ma che resta dentro di lei, nonostante non ci siano più tracce viventi, più testimoni che possano narrarla e riferirla in tutta la sua interezza. Resta soltanto ciò che ha imposto al proprio corpo, la ricerca scientifica che è mutata in carne e dolore, adattamento e impotenza di fronte agli anni che scorrevano inesorabili. Agli occhi del mondo Alexia Ashford è morta e la sua “coscienza” è negata nel decesso del fratello, che aveva condiviso il peso della scoperta sulle loro origini. Entrambi hanno affrontato questo smacco in maniera coerente alla propria personalità, ma non hanno scordato l'onta di sentirsi traditi e usati da un soggetto intellettualmente inferiore, come il padre che li aveva progettati. La loro ferita infantile è la base per il narcisismo, per il vuoto empatico che svilupperanno nel corso della loro “crescita”, che si traduce in una netta dicotomia. Laddove Alfred non desidera crescere per mantenere l'equilibrio e l'esistenza in due, Alexia vuole bruciare le tappe. Nessuno dei due è in grado di sottrarsi al prezzo del loro desiderio: il primo è costretto a gestire il patrimonio di famiglia, senza avere le abilità richieste per il ruolo; la seconda è oggetto di un sonno forzato, un contrappasso per sfiorare l'obiettivo del divino. Il tempo è nelle loro mani, ma non riescono a sottrarsi al lascito di Crono, neanche dopo averlo ucciso.
Presente e passato s'intrecciano nell'assenza protratta del futuro: c'è il tedio del genio, la sua inadeguatezza tra marionette ingannate e usate per i propri scopi; c'è l'orgoglio ferito che accentua il rancore per un padre non all'altezza, macchiatosi di tradimento. La diversità viene poi utilizzata come perno per affermare l'unicità della propria individualità, come trampolino di lancio per porsi scopi ultimi più complessi. Alfred sembra assumere un ruolo centrale nell'attutire questa fame di onnipotenza e nell'accondiscendere la sorella, anche a discapito dei suoi egoismi. La collaborazione frutta qualcosa che è vicino all'amore cortese, ma Alexia non è né angelo né fulcro ideologico della passione. La scatena, semmai, e intossica al proprio passaggio, in una nube che preannuncia e offusca una caduta ineluttabile. Non c'è prospettiva che si stagli sul percorso di Alexia: il suo status di essere mutato non schiude altro che guerre, il presagio di una rovina tanto più veloce del lento processo a cui si era sottoposta per innalzarsi sugli altri uomini. È un'ironia crudele, che si riscontra in quei pezzi di libellula, una retrospettiva sull'infanzia e sull'immediato.
La forma è pulita, la narrazione concisa e ritmata da pause ponderate: proposizioni anguste in tempi del racconto ben precisi, circoscritti e agili nei passaggi. Si possono osservare inserti brachiologici, che limano e sintetizzano la scena sino a renderla minimalista, ma non per questo superficiale. La pennellata è impressionista, dà un'idea d'insieme accesa e vivida, che si colora della disperazione e della frantumazione del sogno. In questo senso l'aggettivazione aderisce al suo ruolo, quello di palesare l'introspezione e intavolare i passaggi all'analessi per catapultare di nuovo in medias res. Il filo conduttore è la figura camaleontica di Alexia, che muta restando se stessa, ma donandosi al lettore sotto diversi profili, che vanno al di là dell'adulta o della minore.
Il periodare icastico definisce il ritmo e la rispondenza di questo con i contenuti e i concetti espressi: lo scavo interiore della protagonista è legato al vissuto personale e la spoglia allo sguardo del lettore: la bambina insegue l'adulta e questa, a sua volta, guarda ai trascorsi che non sono più, relegati ad attimi imperfetti e distraenti per la missione da compiere. Il taglio narrativo acquisisce familiriatà e rassomiglia ai referti recuperabili nel corso del videogame: l'impostazione è un omaggio personalissimo, che non si riduce a citazione o riproposizione pedissequa di eventi già conosciuti. Il focus ingrandisce e scorre l'azione, i pensieri.
Non credo di aver mai letto uno scorcio su questi due personaggi con una tale maturità – che la Capcom ha negato, nella mia opinione, in RE:DC, dissezionando la codipendenza tra i due e soprattutto il parallelo Redfield/Ashford.
Alla prossima e complimenti!
(ps: ho deciso di dividere la recensione unica di questa raccolta in più commenti dedicati al capitolo per una questione di comodità!) (Recensione modificata il 09/02/2016 - 10:52 pm)
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