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Autore: Nocturnia    03/11/2015    5 recensioni
"Un vizio è come un amore, non c'è niente che non gli si sacrifichi."
#1 - Ozwell E. Spencer.
#2 - Alex Wesker.
#3 - William Birkin.
#4 - Albert Wesker.
#5 - Excella Gionne.
#6 - Carla Radames.
#7 - Alexia Ashford.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Ozwell Spencer, William Birkin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Alexia Ashford Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker, Excella Gionne, Jill Valentine, Chris Redfield, Alexia Ashford, Carla Radames, Spencer e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


#7 - We excuse our sloth under the pretext of difficulty.



Nel sonno la realtà assume contorni sfumati, evanescenti.
Percepisci Alfred sorvegliare la tua teca, parlarti.
Il più delle volte dice cose senza senso, altre piange e basta.
È sempre stato il più debole, l'anello fragile della nobile famiglia Ashford.
Sospiri, galleggiando in quel liquido vischioso e freddo.
Le tue cellule stanno crescendo e tu con loro.

Ieratica.
Così ti hanno sempre definita.
Ti muovi delicatamente, piano, con una lentezza elegante, raffinata.
Ad alcuni dai su i nervi, puoi percepirlo dai loro sguardi, dai loro gesti.
Scrolli le spalle, controlli il virus mentre mastichi una barretta di cioccolata. (sei pur sempre una bambina di dieci anni, d'altronde)
"Signorina Ashford." ti chiamano "Ha bisogno di qualcosa?"
Il mondo, vorresti rispondere, ma sorridi e chiedi solo un'altra barretta al cacao.

Ti annoi.
Adesso dovresti avere quindici anni, forse sedici.
Il virus si sta adattando bene - lentamente, come tutte le cose che hai sempre fatto.
All'inizio ti aveva dato un po' fastidio questo suo introdursi nelle cellule e slabbrarle, aprirle e arrotolarcisi dentro come un serpente, ma poi la sensazione si era mutata in un leggero solletico qua e là, nulla che non fossi in grado di gestire.
Le porte blindate si aprono, Alfred le attraversa vestito di tutto punto.
Comincia a parlarti di quanto si senta solo, dei vecchi momenti passati insieme e di quello che farete quando ti risveglierai.
Vorresti sorridere, e lo fai, a modo tuo.
Il virus si addormenta cullato dalla sua voce.

Le formiche sono organismi interessanti.
La regina drizza le antenne, le sposta prima a destra, poi a sinistra.
Le altre formiche eseguono i suoi ordini, proni alla sua autorità: mai una domanda, mai un'incertezza.
Totale e assoluta resa.
Sorridi; adesso sai cosa vuoi diventare da grande.

Irritazione.
Dovresti avere venticinque anni, se la memoria non t'inganna.
L'adattamento è quasi completato, ma stai diventando impaziente e la teca sembra soffocarti.
Alfred ha indossato il tuo vestito viola e ne sta adesso lisciando i fianchi, imitando la tua voce.
"Mi manchi." inizia "Quando potrò liberarti?
Una lacrima è tutto quello che ti concedi.

Creati. Manipolati. Inventati.
Rileggi i risultati dei test, ci lasci scorrere la penna sopra.
Ancora non lo sai, ma la storia dell'Umbrella è piena di cuccioli come voi: allevati, ibridati, incrociati per essere quello che sono.
Per diventare l'avanguardia di un mondo diverso, migliore.
Per aprire la strada a decrepiti Crono e vetusti Urano.
"Quindi Alexander non è nostro... padre?" domanda Alfred, aggrappandosi all'orlo della tua gonna.
"No."
Un singhiozzo, il naso che comincia a colargli.
"Allora cosa siamo?"
Non chi: cosa. Come un oggetto, un esperimento qualsiasi.
Stringi le labbra, accartocci i risultati.
"Siamo Ashford." replichi, alzando lo sguardo "Siamo il futuro."
Alfred annuisce e ti stringe più forte la mano.

Qualcosa è cambiato.
Qualcosa sta cambiando.
Il tuo risveglio fa un male cane.

Avete ucciso Urano.
L'avete evirato, mutilato, gettato nel fondo dell'abisso da lui stesso creato.
A questo si riduce tutta la storia - la vita: figli che uccidono i padri.
Figli che cercano un posto in un mondo che li rifiuta, figli che schiacciano quel mondo sotto la suola delle loro scarpe (piccole e lucide) e lo fanno loro, modificandone il cuore stesso.
Figli non voluti, figli dimenticati.  
L'Umbrella è, alla resa dei conti, solo una grande epopea di bugiardi e bambini disperati.

"Alfred." mormori, ed è un sussurro che si perde nel silenzio del laboratorio.
È bello tuo fratello, uno specchio in cui puoi rifletterti senza paura.
Intrecci le tue dita alle sue, intoni una canzone che nessuno dei due aveva più avuto occasione d'ascoltare.
"Sono venuti a prenderti."
"Lo so."
"Non gliel'ho permesso." aggiunge, orgoglioso.
"So anche questo."
Gli accarezzi la fronte, scostandogli i capelli dagli occhi.
Stringi al petto quello stesso bambino che avevi salutato una notte di quindici anni prima, cullando ciò che rimane della tua famiglia: della tua anima.
"Il virus..."
"Si è perfettamente legato al mio DNA." ti affretti a dire "Sono quella che dovevo essere, Alfred."
Un sorriso, sangue e malinconia.
"Mi dispiace, Alexia."
Il tuo futuro muore con l'ultimo respiro di Alfred.

"Tornerai?"
"Sì."
"Quando?"
"Appena il virus si sarà legato correttamente alle mie cellule."
Alfred si fissa la punta delle scarpe, incerto.
"E io?"
Colleghi la flebo, controlli il respiratore.
"Tu sarai con me."
Alza lo sguardo, si morde il labbro inferiore.
"Nulla potrà dividerci."
Annuisce, accetta le tue rassicurazioni.
"E quando rinascerò prenderai il posto che ti meriti al mio fianco."
Il liquido comincia a riempire la teca, gelido sulle cosce, vischioso sulla pelle.
"Mi terrai al sicuro, Alfred?"
Dita leggere a sfiorare un vetro sottile come le vostre certezze.
"Sempre, Alexia. Sempre."
Chiudi gli occhi, aspetti l'inevitabile.
Il tempo perde ogni consistenza.

Le avevate strappato le ali; una per una.
Senza pensieri, senza vergogna.
L'avevate guardata soffrire, dimenarsi per una libertà che non avrebbe mai più riacquistato.
L'avevate tormentata per il puro gusto di farlo; perché la sofferenza era il metro con il quale misuravate il vostro potere.
Non sai perché questo ricordo ti sia tornato in mente proprio ora, il corpo di tuo fratello tra le braccia e la tua fine degna ascesa a pochi passi.
Ti ci balocchi per un po', lasciandolo rimbalzare sulle pareti della memoria - del cuore.

Una libellula. Era solo una misera, patetica, libellula.

A volte i desideri dei bambini sanno essere profeti spietati.




Note dell'autrice; la citazione iniziale, "We excuse our sloth under the pretext of difficulty", è di Quintiliano.
   
 
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