Mi sarà molto difficile fare una recensione seria e ragionata di un racconto che non solo è stato scritto per me (awwwwwwww. Ma che tesoro adorabile sei? :*), ma che affronta anche alcuni dei temi a me cari, in un contesto ancora più caro, e con personaggi che ormai ho preso ad adorare in modo assoluto.
MA.
Dato che oltre che una becera fangirl sono anche una persona seria (?) ci proverò. *rumore di vento tra i cactus*
Il racconto, dunque: il primo di una serie che vede come protagonisti i gemelli terribili della mitologia greca - quell'Ares, Dio della guerra intesa come scontro brutale e sanguinoso, e la di lui sorella, che ne è il perfetto complemento, esperta, com'è, nell'instillare discordie e inimicizia tra gli uomini, il cui frutto poi il fratello può raccogliere, come una florida messe.
Scegli un momento particolare per rappresentarli, che è quello raccontato nel IV libro dell'Iliade, dopo una cruenta battaglia che vede vittoriosi i protetti di Atena, a discapito di coloro che invece battagliano in favore di Ilio.
E l'atmosfera che crei è perfetta, e riporta degnamente a quella della fonte originaria; non era facile, non lo era per nulla, ma tu ci sei riuscita benissimo, e già solo per questo ti va il mio plauso a scena aperta. Ti sei presa un bel rischio, e hai volato alto, ma il risultato ti ripaga degnamente, e ripaga i sensi del lettore, che si ritrova immerso in quel coacervo di corpi e sangue, di umanità nel senso più basso e carnale del termine; non c'è nulla di più terreno, infatti, del momento della morte e delle ferite mentre due immortali osservano la fragilità e la pochezza di quelle creature - e al contempo la loro bellezza.
Ma tornerò su questo tra poco: prima volevo soffermarmi su come la scena e l'ambientazione risultino vivide, grazie alle descrizioni e alla miriade di dettagli sensoriali che sei riuscita a inserire nel testo. Il lettore è catapultato sul campo di battaglia, e non c'è patina mitica, o poetica, che possa occultare l'odore di sangue e interiora disperse sul terreno; è una scena di grande realismo e immediatezza, e al contempo è resa elegante dal modo in cui viene osservata - tramite gli occhi divini, che fungono da filtro tra la cruda realtà e la loro percezione per forza di cose virata verso una dimensione altra. Si percepisce dunque l'odore ferroso del sangue, eppure al contempo si è trasportati negli occhi e nelle percezioni dei divini, in una commistione affascinate tra molto terreno e immensamente ultraterreno.
E con questo mi riallaccio al discorso di prima - che poi è anche il tema che forse amo di più, quando leggo l'epica mitologica - ovvero l'alterità inconciliabile tra uomini e Dei, mondo carnale e mondo iperuranio, che rimangono celati l'uno all'altro, tranne che in quei rari momento in cui le due dimensioni si toccano - come in un'attrazione irrefrenabile - e le conseguenze sono enormi.
Morte e pazzia - per gli uomini - attrazione e disgusto - per i divini.
Eris e Ares torreggiano sui cadaveri come le due creature superiori che sono - e passare dall'umanità straziata dei corpi ai loro occhi freddi e distaccati (come potrebbero esserlo quelli di un uomo che osserva un formicaio appena distrutto) è stato straniante e al contempo bellissimo. Pur nella freddezza di Eris, però, si intuisce anche l'attrazione verso una natura così differente dalla sua, perché anche un insetto può essere immensamente affascinante, proprio in virtù dell'immensa differenza che vi si percepisce. Ripeto, adoro questo tema - lo adoro nell'epica, come lo adoro nella fantascienza, quando affronta il rapporto tra creature e specie sommamente diverse; qua abbiamo uomini e Dei, là uomini e alieni, oppure uomini e androidi, per menzionarne alcuni, ma la sostanza non cambia - e l'ho ritrovato e affrontato in questo tuo racconto in modo mirabile.
Ares, per contro, sembra più distratto, più disinteressato nei confronti degli umani, rispetto alla sorella, e questo lo trovo azzeccato perché il Distruttore - per come lo percepisco io - ben poco si cura del fato e della natura di quelle creature, al di là del loro esistere per il solo scopo di placare la propria sete di sangue. Per lui non sono altro che uno strumento, mezzo e fine in se stessi; una volta terminato di raccogliere la messe, ogni attrattiva è finita.
L'unica cosa che sembra accendere un interesse, in Ares, finita la battaglia, è proprio la presenza della sorella - in cui sembra voler trovare complementarità e comunione, a ragione anche della disfatta appena subita. Lei sembra intuirlo, e forse anche schernirlo per questo attimo di frustrazione - con quell'accenno alla consorte clandestina in cui lui sembra trovare piacere - ma si intuisce anche un moto di tipo diverso, e il rimbrotto diviene quello di un'amante ferita e non quello di una sorella sarcastica che va a colpire là dove il livido brucia più forte.
Ho adorato questa dinamica - rivalità e attrazione - e non vedo l'ora di scoprire dove vorrai portarla, ma già percepisco che sarà una strada irta e complessa, che sono ansiosa di percorrere insieme a loro.
Concludo dicendoti che lo stile è quello cui ormai mi hai abituata, e che amo; qua è in un certo senso più aulico, rispetto agli altri pezzi che ho letto, e giustamente, dato tema e ambientazione; ma rimane sempre molto ben calibrato e non ha alcuna leziosità o artificio forzato, ed è una cosa che apprezzo tantissimo, come ben sai. Ho apprezzato anche l'uso del narratore esterno, che di solito mi lascia più fredda rispetto alla terza immedesimata in un solo personaggio. Questa tua scelta riecheggia gli stili antichi e, al contempo, permette di creare quella vaga distanza con i due Dei - che vengono osservato dall'esterno, solo con brevi incursioni nei loro moti e pensieri, e che contribuisce ad accentuare quel senso di alterità di cui ti parlavo prima.
Insomma, bravissima, non c'è molto altro da dire che questo - e grazie ancora per aver reso prezioso il mio compleanno. :* |