And War for a
moment was no more
Il
terreno ancora odorava di ferro – del sangue e delle
lame – e le nuvole di polvere che si levavano dal suolo
celavano alle torri di
Priamo il teatro della battaglia, col loro velo d’impalpabile
e fumosa
distruzione. La Discordia[1] banchettava tra
cadaveri massacrati e armature
scalfite da lance e spade, mentre flebili rantoli di vita soffiavano
sulle
labbra di coloro che oscillavano nel limbo tra il mondo dei mortali e
il regno
di Ade. Il sorriso di Eris si affilò, nel notare un giovane
troiano condividere
lo stesso lembo di terra con un soldato nemico; Atropo[2] aveva
reciso indifferentemente i fili di Teucri[3] ed
Achei, quel giorno.
«Sorella, i nostri servigi non sono più richiesti,
per
oggi. Ritiriamoci». La voce cupa del Distruttore[4]
la distolse
dalla contemplazione di pelle dilaniata e corpi lacerati, per
costringerla a
sollevare il capo.
«Sembrerebbe che anche senza l’aiuto del Pelide
superbo[5]
i favoriti di Atena[6] siano riusciti a
spuntarla», commentò vaga,
ancora accucciata accanto alla salma di un mortale, mentre con
l’indice della
mano destra saggiava la curiosa consistenza del liquido rosso che gli
scorreva
sulle guance; se lo portò sulla bocca, quel sangue che non
poteva essere suo, e
ne testò il sapore, godendo dell’acredine che le
bagnò la lingua.
Ares non parve farci caso; le sue labbra erano contratte
in una smorfia di furia, mentre volgeva lo sguardo
all’indirizzo della rocca di
Pergamo. Tra le pietre erose dall’umidità,
intercettò l’espressione di
frustrazione che si andava designando sul volto di Apollo[7],
specchio
accurato della sua, del resto, dopo la rovinosa sconfitta sul campo.
«La tua consorte non ne sarà contenta[8],
immagino», lo stuzzicò ancora la perfida gemella,
sollevandosi in piedi e
accomodandosi il peplo, che tornò a fasciarla come il
più insaziabile degli
amanti. Fece un passo nella direzione dell’Enialio[9],
da cui ora la
separavano solo pochi piedi, portandolo così a scostare gli
occhi dalla fredda pietra
per intrecciarli nei propri; in quella fusione di nero e più
nero si
persero entrambi, per qualche istante, prima che Ares sciogliesse la
congiunzione nefasta.
«Non è la mia consorte, lo sai bene»,
rispose poi, dopo aver
liberato il capo dal peso dell’elmo che gli opprimeva la
fronte e la nuca; ingenuo,
se pensava che la sua mente potesse sbarazzarsi con altrettanta
felicità delle
accuse della sorella.
A conferma di quella supposizione giunse, implacabile, la
voce di Eris: «Lo è ai miei occhi»,
ribatté infatti quella, seccata, gonfiando
il piumaggio che le ornava la schiena; il frullio delle ali
sollevò granelli di
sabbia che le si incastrarono tra i capelli e tra le ciglia e Ares si
trovò a
soffermarsi più del dovuto sul gioco di riflessi di quei
dettagli dorati sul
suo manto corvino.
«Non comportarti da sciocca», riprese, mentre
allentava
anche la stringa dello scudo in bronzo, «cerco solo la sua
compagnia di tanto
in tanto, niente di più».
«Mi chiedo se Efesto la penserebbe allo stesso
modo»,
obiettò Eris, inarcando un sopracciglio, e il cuore di Ares
si strinse, nel
vederla tanto bella nella sua crudele intransigenza.
«So che non lo faresti. Non a me»,
l’ammonì serio, e l’eco della
sua voce si disperse nel campo insieme al gracchiare dei corvi e al
fragore
dello scudo al contatto con il terreno. Gli occhi di Eris si
addolcirono appena,
mentre ancora vagavano sul viso di Ares, scurito dal sole e sporco
dello
scarlatto del sangue nemico e dell’ambrosia del proprio icore.
«Questo perché mi hai scelta come tua suora e
compagna[10],
e io sono troppo debole per rinunciare a te»,
mormorò quella con una punta di malinconia, al contempo
furente nel costatare quanto sciagurata fosse la sua
condizione – di amante relegata ad ombre più scure
di quelle che avvolgevano il
Tartaro.
«Detesterei l’idea di doverti condividere con
qualcun
altro», le parole lasciarono le labbra di Ares in un mormorio
indistinto di
suoni e sospiri, quasi che il loro significato nascondesse radici
troppo profonde
per essere rivelate.
«Non ti stanchi mai di mentire?», lo derise
l’altra, posando
finalmente la mano sul volto di lui. Ares chiuse gli occhi,
perché solo dietro
le palpebre poteva bearsi dell’immagine che quel contatto,
per nulla innocente,
gli rievocava; Eris che lasciava cadere la veste sul pavimento a
mosaico della
sua dimora in Tracia, Eris che gli guidava il polso sui seni e sul
ventre, Eris
che per lui e in lui si annullava.
E la Guerra s’interruppe per un istante[11];
i
gemelli forieri di morte s’erano sfiorati, e non esisteva,
nel mondo dei
mortali e in quello degli dèi, veleno più letale
delle loro pelli unite.
[1]
Celebre
appellativo di Eris.
[2] Parca
incaricata di tagliare il filo della vita.
[3] Altro nome
dei Troiani.
[4] Altro
appellativo di Ares.
[5] Uno degli
epiteti di Achille, che non prese parte alla battaglia narrata nel IV
libro
dell’Iliade.
[6] Atena parteggiava
per gli Achei e si adirò con Ares per aver scelto di
combattere per i Troiani.
[7] Sempre nella
battaglia presente nel IV libro, Apollo si trovava sulla rocca di
Pergamo, da
dove incitava l’esercito troiano, suo favorito.
[8] Afrodite parteggiava
per i Troiani e convinse Ares a schierarsi dalla sua parte.
[9] Altro
appellativo di Ares, letteralmente: Guerriero
[10] Citazione
rimaneggiata dal IV libro: “[…] e
del
crudele/ Marte suora e compagna la Contesa/ insaziabilmente furibonda”.
[11] Richiamo al
titolo, ovvero parte di un verso della poesia
“Darkness” di Byron.
Note
dell’Autrice:
il merito, emm la colpa di quanto avete
appena letto va a
questa personcina qui
che sa essere tanto persuasiva (ancora auguri ♥); avrei
voluto scrivere qualcosa di mille volte più
degno, ma dovrà accontentarsi, ecco. Per la caratterizzazione dei personaggi - in particolar
modo di Eris -, mi sono basata prevalentamente su Omero e sulla
teoria che la vuole sorella gemella di Ares, quindi figlia di Zeus ed
Era, nonché una della sue amanti. Preciso che
alcuni testi la vogliono sorella minore del Dio (per non parlare delle
altri varianti), ma mi sono rifatta qui a questa versione.