Terza Classificata
Alle tue dipendenze
di Sarabi
Grammatica: 7.4/10
La sintassi è perfetta, i legami tra i sintagmi sono logici e supportati da un’ottima punteggiatura. Anche la grammatica non ha chissà quali pecche, tolto un uso smodato della “d” eufonica – consiglio sempre di limitarlo solo nei casi in cui le vocali sono uguali, tranne in quelle accezioni di uso comune, entrate nella norma, come “ad esempio”.
Il problema di tale penalità sopraggiunge soprattutto dalla punteggiatura all’interno del discorso diretto. Sono consapevole che ci sono diversi metodi, ognuno adottato dalle differenti case editrici, ma nonostante io ne abbia controllati diversi, nessuno riconosce quello utilizzato da te. Quindi, io ti dirò quello che ho considerato errore.
1. I “verbi dicendi” vanno in minuscolo dopo il discorso diretto
2. In presenza di questi non va inserito il punto all’interno del discorso diretto
3. Quando la battuta è composta (discorso diretto – narrazione – discorso diretto) a seconda dei casi va messa o una virgola o un punto dopo la narrazione e prima del discorso diretto.
4. Stesso discorso per le battute che vengono introdotte dalla narrazione, come nel seguente caso:
Scuoti la testa “poi sarei il bastardo?”
Va messo il punto e il discorso si apre con la maiuscola.
5. Fai più attenzione in certi passaggi, calibrando bene il momento in cui portare a capo o quando usare le maiuscole, come in questo caso:
"Un giorno ti farai ammazzare."Le tue labbra si incurvano a metà tra un sorriso ed una smorfia “Ti mancherei molto, giusto?” lei risponde con una risata roca.
“Certo che mi mancheresti...” ti scopri felice a sentirglielo dire “altrimenti chi mi darebbe la roba?” aggiunge poi.
Il metodo corretto sarebbe portare a capo da “le tue labbra[…]” fino a “[…]giusto?”. “Lei risponde[…]” va messo a capo e in maiuscolo, e continua con il resto della battuta senza altri capoversi.
Detto questo, ti riporto gli errori riscontrati, meno quelli delle battute dei discorsi poiché li ho affrontati sopra e potrai ritrovarli facilmente da sola.
“Grazie, ma non mi sei utile.” Rispondi → -1.5 (Il punto e mezzo sottratto è generico, gli altri casi non li riporterò)
ad occuparsi → -0.5 (sottrazione generica per tutti i casi)
"Cosa ti è successo sta volta?" → -0.1 (stavolta)
"Ho provato a rifilare roba scadente alla persona sbagliata."le spieghi sbrigativo. → -0.1 (manca lo spazio dopo le virgolette.)
ed una smorfia
"Un giorno ti farai ammazzare."Le tue labbra → -0.1 (manca uno spazio dopo le virgolette)
ad evitarlo
sul pavimento di casa di Bob, o nel letto di qualche sconosciuta che avresti derubato all’alba → -0.2 (sono coordinate dirette, sorrette dallo stesso verbo, quindi togli la virgola)
ad essere
Cerchi di individuare un punto in cui la pelle e meno martoriata dai fori precedenti → -0.2 (è meno martoriata)
Stile: 8/10
Uso interessante quello della seconda persona, inusuale per testi simili. Di solito l’ho visto adoperato in flash o drabble o piccole scene di una narrazione più ampia, ma mai su delle one-shot e su tutta la narrazione. Personalmente ho giudicato il tuo un azzardo che, nel complesso, è ben riuscito, ma che non hai sfruttato fino in fondo. L’uso della seconda persona permette al narratore di parlare con il protagonista della vicenda, di criticarlo, incoraggiarlo, deriderlo, porgergli delle domande, far notare alcuni aspetti. Insomma ti dà la possibilità di far sentire “la voce dell’autore/narratore”. Questo aspetto non è stato sfruttato. Hai fatto della seconda persona narrante un uso limitato alla semplice visione, non dando alcun effetto particolare alla narrazione. In questo modo il testo mi è apparso molto rigido, conciso, privo di effetti di limatura. Se da un lato l’asetticità del tono ha messo a nudo lo squallore della vita dei due protagonisti, dall’altro lato non ha dato la profondità che mi aspettavo da un simile espediente, mostrando il tutto con occhio distante e bidimensionale, un po’ piatto.
Le frasi sono semplici, c’è una forte predilezione per periodi lineari e concetti chiari. La lettura risulta scorrevole ma priva di metafore o similitudini, con una base nitida e omogenea. Lo stile risulta coerente dall’inizio alla fine, la mancata ricerca di un elaborato più evocativo o suggestivo o introspettivo l’ho visto in linea con l’atmosfera e il contesto trattato. Hai caratterizzato quindi molto bene la coerenza tra stile e trama, non creando un contrasto ostico alla lettura.
Il lessico è ben adoperato e molto semplice, alla mano, in alcuni tratti usi termini più “rozzi” se così li vogliamo chiamare, o meglio dire adeguati a un linguaggio informale e malfamato come la zona in cui vivono i due protagonisti. Nel complesso lo stile è adatto al contesto, quindi ottimo lavoro.
Le descrizioni si limitano a tratti sommari, non scendono mai nei particolari, neanche quando devi raccontarne la vita dei protagonisti o il loro passato. Da questo punto di vista, la privazione di descrizioni ha reso lo spaccato di vita molto generico, come se l’intenzione principale fosse dar voce a una realtà che la maggior parte di noi ignora, volendole dare carattere attraverso un amore impossibili e debilitante, non curando la storia in sé.
Originalità e trama: 9/10
Una storia dallo sfondo tetro e orribile, che parla da sé e si spiega al lettore con semplicità, senza troppe spiegazioni.
Libri e film hanno aperto diversi squarci sulla malavita e l’amore e i sentimenti contrastanti che possono nascere in questi quartieri dell’ombra, ma l’originalità della tua piccola storia sta nel presentarceli nel loro degrado più infido, senza mezzi termini e senza offrirci un lieto fine che rincuori. Ciò che ho trovato originale è stata l’umanità fallace e vile di un finale che scema senza colpi di scena ma che proprio per questo ha saputo dare una visione profonda di quella realtà, che molti si limitano semplicemente a sfruttare per elevarla a grandi cose. Ciò che voglio dire è che tu non dai speranza senza nulla in cambio, come a dire: è una realtà e non ha sempre un lieto fine. C’è denuncia nella tua storia, e allo stesso tempo dei retroscena che rendono i personaggi meno “etichettabili” e più vicini al lettore.
La trama non ha grandi pretese d’intreccio, ma apre uno squarcio su una storia in media res, nel pieno del suo sviluppo e ce ne mostra una piccola parte, senza chiudere del tutto la porta. Anche questo effetto mi è piaciuto. Vediamo il protagonista scampare all’ennesima truffa, un cliché del suo lavoro, e tornare a casa dove per un attimo ha un incontro ravvicinato con il suo incubo peggiore: i clienti della sua coinquilina. Il battibecco tra i due mostra la monotonia di ciò che si ripete quasi sempre uguale a se stesso, dando l’idea della quotidianità e dell’impossibilità di risoluzione della vicenda. Lei lo seduce, lo convince; lui troppo debole e sempre più incline a cedere all’annullamento per cacciare quei sentimenti nati contro la sua volontà, si lascia andare a un gioco contraddittorio tra l’accontentarla e darle la dose mortale e la premura di assicurarsi che ogni cosa sia fatta per bene, quasi a scongiurare che quella sia davvero la dose mortale.
Entrambi i personaggi sono preda di un circolo vizioso, schifati dalla loro vita in diverso modo e l’affrontano insieme nella solitudine di una dose. L’incomprensione e la mancanza di una soluzione fanno sì che questa accoppiata resti comunque separata, dando perfettamente l’idea dell’interpretazione un po’ macabra della frase “si può essere soli anche in compagnia”. Ed è la solitudine la coprotagonista di questa trama lineare ma con i suoi profondi messaggi al lettore.
Titolo e impaginazione: 4.5/5
Manca il testo giustificato: -0.5
All’inizio il titolo non mi convinceva, stavo per dare un voto più basso. Però, ragionando e leggendo con accuratezza la trama, ho capito che fosse perfetto, che in realtà c’è una reciproca dipendenza tra i due: quella di lei, che viene mostrata con più semplicità, facile da capire (poi chissà cosa veramente le passa per la testa), perché lei ha bisogno della dose che lui le dà ed è pronta a vendersi, senza troppi pensieri a tormentarla e a renderle la vita un inferno; e quella di lui, più complessa e dai risvolti più angoscianti in un certo senso, alle dipendenze di lei. Lui l’ha seguita in quella casa, a fare combriccola insieme, a mettersi in “affari”; lui è prigioniero dei sentimenti che prova per lei; lui si lascia abbindolare dalla sua piccola dose di carezze e baci; ed è ancora lui che, a una sua richiesta, le dà la droga per farsi.
“Alle sue dipendenze” è il titolo perfetto per un rapporto che si stende su un letto di droga e malavita, ma che in realtà va ben oltre e prende la sua forza da un amore malato che ha avuto la sfortuna di nascere, e quasi con ogni probabilità morire, in una stanza da quattro soldi e una notte e via.
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
Ciò che mi piace dei tuoi personaggi è che non sono le classiche figure di drogati, spacciatori e prostitute che fanno da sfondo, in modo negativo, a una storia che guarda oltre i loro motivi; né sono i tipici personaggi che partono dal basso e scoprono di avere un futuro e una vita migliore ad attenderli, se solo lottassero. I tuoi personaggi sono soli, abbandonati da tutti, persino il mondo li ignora (nota come hai dipinto la loro vita quotidiana, con nulla di diverso dalle altre), ma è la loro caratterizzazione mentale a distinguerli. Loro hanno dei sentimenti e una vita che fa schifo con cui lottare, e sanno che perderanno.
Nadia è disillusa, non prova neanche a combattere la sua vita e il futuro che le si prospetta davanti. Anzi, scappa e si rifugia nella droga. La descrivi come una ragazza scaltra, che sa come essere “indipendente” dal giogo di uomini che vogliono sfruttarla, che sa come manipolare i giovani e prendere il controllo di tutto ciò che può, a partire da John. Mi è sembrato di intravvedere dell’affetto quasi materno, molto stucchevole all’inizio, nei suoi confronti, con quei picchi di villania e “alzata di spalle” di chi è abituato a vedere quelle cose ogni giorno e le commenta quasi con noia; e ho visto soprattutto come da questo comportamento passa a flirtare con il coinquilino tanto quanto basta per farla staccare, ottenere finalmente la sua pausa da quella maledetta vita. Nadia rimane un po’ sullo sfondo, di lei avrei tanto voluto che ne approfondissi i meccanismi, mentre ci mostri solo quello che vede John, non dandocene profondità come fai con lui. Il suo personaggio, in realtà, è molto lineare e non si discosta molto da alcuni cliché.
Quello che mi ha entusiasmato è il protagonista invece. John è complesso e mostra come sia difficile amare laddove la parola “amore” non ha alcun senso spirituale. Persino il suo amore è malato, quasi rifiutato e non voluto, più un desiderio morboso di provare qualcosa. John è stanco e viene mostrato come un personaggio essenzialmente debole, privo di forza di volontà, annegato nella sua vita e incapace di cambiarla, ma è sofferente proprio per questo, perché è un personaggio che mostra comunque una coscienza. Infatti la crescita, a contrario di ciò che si pensi, l’ha portato a creare una specie d’indolenza verso il suo lavoro. La stanchezza di vedere sempre i suoi clienti cercare la dose mortale l’ha sfibrato, tanto che i sensi di colpa si muovono, molto più adesso perché ha scoperto, in maniera malsana, l’illusione di avere qualcuno a cui badare e da cui tornare la notte. Quindi abbiamo un personaggio spaccato in due: da un lato vorrebbe smettere, vorrebbe avere una donna, un riscatto; ma dall’altra parte c’è l’incapacità di ottenere tutto ciò, lo sfinimento di chi è giunto al limite e si è già condannato a vivere nel dolore e nel rimpianto, nella solitudine di una vita di cui nessuno s’interessa.
Gradimento personale: 4/5
Mi ha sorpreso, lo ammetto. La storia all’inizio si presentava caotica e, letta la prima pagina, avevo pensato che fosse il figlio con la madre (flash mentali, non farci caso), proprio per il modo in cui lei lo rimprovera e gli cura la ferita; sembrava il solito figlio ribelle e la solita madre ubriaca e impossibilitata a crescerlo lungo la retta via. Una famiglia disastrata. Ma quella che mi hai dato tu da leggere non è una famiglia di sangue, ma una “famiglia” che si è scelta, lei ha scelto lui per uccidersi e lui ha scelto lei per macchiarsi l’anima, in un gioco perverso che mi ha colpito nel profondo. C’è squallore, viltà e molti sentimenti negativi che mi hanno ripugnato per la loro incapacità di essere sconfitti; eppure è stata l’umanità dei personaggi e la caratterizzazione che vi sta dietro ad avermi comunque convinto che la solitudine è un’arma che gioca a sfavore dei più deboli, e che unita a un contesto infelice genera una sconfitta dento prima che fuori. C’è spazio per lottare, ma il buio davanti annulla qualsiasi forza di rivalsa, annegandola nella droga.
Sei stata davvero molto brava. Ciò che mi è mancata è stata una trama più arricchita, che si concedesse più spazio per analizzare ancora un po’ i personaggi, magari Nadia, e che desse più spazio a uno sfondo che avrebbe dovuto prendere un po’ il sopravvento per creare quell’atmosfera vivida, uno sfondo che non fosse solo sfondo. In altre parole, mi piacerebbe che il tuo spaccato diventasse una storia completa, con un finale aperto certo, con dinamiche più definite da te e meno dall’idea generale della situazione.
Punteggio: 41.9/50 |