Recensioni per
Fairytales Don't Exist
di innerain
Piu` vado avanti con la storia e piu` vengo travolta dalle emozioni.. Leggendo questo capitolo ho avuto i brividi, davvero. |
Sto amando questa storia (e` un po' presto per dirlo, ma vabbe`) |
Buon giorno! Eccomi pronta a recensire un altro capitolo con il mio immancabile ritardo fisiologico e patologico, per il quale ti chiedo scusa. |
Bè...devo dire che il primo capitolo mi ha moooolto incuriosita!!! Scrivi veramente bene...non vedo l'ora di proseguire la lettura =)....Kiss Kramisha |
Buongiorno super Capa, grande Guitarist, insuperabile frontwomen (e sì, se te lo stai chiedendo, questa è una captatio benevolentiae bella e buona), finalmente libera da esami e con una valigia che mi osserva minacciosa in attesa di essere completata, recensisco! |
Ciao donna :D |
Come prima cosa ci tenevo a farti sapere che sì, hai ragione. Hai perfettamente ragione, e io sono totalmente d’accordo con te. Ti direi che, in fin dei conti, non è importante il numero di recensioni che si ricevono per capitolo, perché tanto non sono veramente indicative, perché non è assolutamente vero che una storia con un numero spropositato di commenti sia una bella storia o che una storia con pochi commenti non sia abbastanza bella o interessante. Sono cose vere, in fin dei conti. Le poche recensioni non dovrebbero essere un problema, perché chi scrive non lo fa –o almeno non dovrebbe farlo- in funzione dei commenti che può ricevere... però hai ragione, perché dal momento che decidi di pubblicare una storia lo fai non solo per “regalare” qualcosa agli altri, ma anche, magari, per capire cosa gli altri ne pensano, cosa pensano delle tue idee, del modo che hai di farle arrivare a chi legge, del modo che hai di scrivere, e dal momento che a quanto pare tutti “prendono” ciò che offri senza minimamente ricambiare, almeno per farti sapere se quello che leggono piace o no, hai perfettamente ragione ad arrabbiarti. Io te lo dico lo stesso: non vale la pena arrabbiarsi, perché al di la delle recensioni la tua storia merita, e molto, e lo sai… però ciò non toglie che tu abbia ragione XD |
Eccomi pronta a recensire un altro meraviglioso capitolo, ma prima è necessaria una premessa. Ora passiamo alla recensione del diciassettesimo capitolo (sottolineo diciassettesimo). Title: A Bullet and a Prayer. Già il titolo mi piace. Suppongo che tu in questo momento stia alzando un sopracciglio con fare scettico, pensando a me come “la solita esagerata fanatica”, forse lo sono, però i titoli sono importanti e sono parte integrante di una storia. Un racconto senza un buon titolo non ispira, facciamo qualche esempio: io non avrei mai letto “La solitudine dei numeri primi” se, con la coda dell'occhio, in libreria non avessi colto di sfuggita questo titolo, il fatto che poi si sia rivelato uno degli ultimi libri peggiori che abbia mai letto è un aspetto secondario (ora mi arriveranno sicuramente strali da tutti i fans del libro). Facciamo altri esempi, se la “Metamorfosi” di Kafka si fosse chiamata “Lo scarafaggio umano” probabilmente avrebbe avuto meno successo (anche se si sa, i capolavori vengono sempre a galla -?-) oppure riesci a immaginare cosa sarebbe successo se “Uno, nessuno, centomila” si fosse chiamato “Vitangelo Moscarda e la scoperta del naso storto” ? Va bene, la smetto di cercare di fare la simpatica, tutto questo sproloquio (poi mi chiedo come mai ci metto così tanto a scrivere le tue recensioni) per dire che ci vuole un certo talento per i titoli e io penso che tu ce l'abbia. Ora tu potresti dirmi: “Chissene frega, in primo luogo di quello che pensi tu su i miei titoli e in secondo luogo della considerazione in generale, dopotutto una storia senza un titolo sopravvive, un titolo senza una storia non va da nessuna parte”, avresti anche ragione, però visto che tu riesci a scrivere egregiamente sia l'uno (il titolo) che l'altro (la storia) mi sembrava corretto dartene atto. Ora che ci penso forse i titoli in inglese hanno anche tutta un'altra efficacia... (Audience: Fermatela!!!). Ok, mi fermo e passo oltre, accidenti quanto sono logorroica oggi. Erin allungò una mano per cercare il calore della sua fedele tazza verde pistacchio, senza tuttavia rimanerne appagata; inutile dirlo, la tazza giaceva abbandonata accanto al piccolo, malmesso portatile, il caffè da lungo tempo raffreddatosi. Ecco questa tua frase avvalora la mia teoria secondo cui le tazze vicino al computer si raffreddano più velocemente. D'accordo, lo ammetto, questa teoria non ha il benché minimo supporto della fisica, al limite quello della psicologia. Uno si distrae, scrive, naviga, sente una canzone e ecco lì che il caffè è gelato, ma non freddo, proprio gelato. Tu, senza pensare, avvicini la tazza alle labbra, pregustando il caldo piacere della tua bevanda preferita, senza indugio ne trai una sorsata il terribile connubio di due parole che dovrebbero stare lontane come 'caffè' e 'freddo' si realizza sulle tue papille gustative. E' tanto disgustoso che il primo istinto è quello di sputarlo, ma volendo evitare di fare i fanghi al tuo incolpevole computer, lo mandi giù e un brivido di freddo ti percorre la schiena... e dire che ti eri fatta il caffè per scaldarti! La situazione peggiora se la tazza calda, come nel caso di Erin, deve rappresentare un conforto emotivo in un momento di stress e nervosismo, come sostituto del peluche super morbidoso che ormai sei troppo grande per abbracciare. Erin sospirò; forse una gitarella fino all'isolato successivo per stanare dei viveri al supermercato era diventata necessaria. Io lo sostengo da sempre e per sempre, quando non riesci a scrivere, a studiare o a fare qualsiasi attività che richieda alla tua materia grigia uno sforzo superiore a quello di vegetare guardando la tv, la soluzione sia mangiare. E' una questione fisica, il nostro povero cervello necessita di zuccheri, perciò, perché non accontentarlo? Senza contare che mangiare sfoga lo stress, appaga e risolleva l'umore. Attenzione: leggere attentamente il foglio illustrativo, può creare un'elevata dipendenza. Quell'articolo la stava facendo penare già da qualche ora, e lei non aveva altro desiderio che fare a pugni con il cuscino prima di crollare addormentata fino al giorno dell'apocalisse. Ora crederai che io sia completamente pazza, però il concetto di apocalisse mi ricorda profondamente Billie. Potresti obbiettare facendomi notare che, in effetti, stiamo parlando di Erin. Lo so, è vero, ma questa frase è una di quelle che avrebbe potuto strappare un sorriso a Billie, esattamente come “This is East Jesus fucking nowhere, ti spiacerebbe andare all'inferno?” e perciò nella mia mente contorta rappresenta una sorta di punto di contatto tra le loro due personalità. Rilesse mentalmente la prima frase che aveva scritto. “Pugnalata alle spalle per il neo-eletto Gary Bakers”. Si frustò mentalmente per essersi lasciata trascinare dalla propria rabbia e dai propri sentimenti. Va bene la satira, va bene la pungente ironia e il velato antagonismo, ma apertamente urlare il proprio odio ai quattro venti nei confronti di Bakers era forse un po' troppo. Sospirò di nuovo. Forse non era al corrotto politico che era indirizzato l'articolo, e tantomeno la “pugnalata”. Più che umano lasciarsi trasportare dai sentimenti quando si dovrebbe mantenere una rigorosa obbiettività critica. E' la classica azione più facile a dirsi che a farsi. Nessuno di noi può biasimare la povera Erin, in una manciata di ore ha incontrato Billie ed è stata tradita dalla sua migliore amica, direi che il minimo che possa fare sia lasciarsi andare a qualche commento velenoso contro il malcapitato di turno, nel nostro caso Bakers. Mi piace che tu abbia inserito questo particolare quotidiano, lo definisco così perchè è qualcosa che tutti abbiamo provato, rende la storia più vicina ad ognuno di noi, più reale. La ferita era fresca e lei non poteva fare a meno di stuzzicarla, ripensando con rabbia all'accaduto e meditando possibili litigate e rappacificazioni improbabili. Lo faccio sempre anch'io. M'immagino conversazioni, cose da dire, riappacificazioni, come dici tu, davvero improbabili.Quando sei tu il regista si questi filmini sembra tutto facile, poi improvvisamente arriva la realtà e non dici mai le cose che hai pianificato. Non appena fu in strada, chiuse gli occhi e inspirò profondamente, grata di quell'aria appena fredda che le pungeva i muscoli indolenziti dalla quasi totale immobilità delle ultime ore. Ripensò brevemente all'accaduto di quella stessa mattina; Billie (chiamarlo così sembrò improvvisamente una libertà troppo grande da prendersi, pur avendolo sempre fatto prima di averlo conosciuto di persona) che si presentava sotto casa sua, i caffé bollenti, la pioggia, la canzone. Scosse la testa. Troppi pensieri, congetture e ricordi per poterli affrontare con nervosa lucidità. Decise di rimandare l'analisi dello strano fenomeno “Billie” alla mattina successiva, davanti al dovuto caffé mattutino. E' una faccenda strana, a me non piace il freddo, però l'aria che ti punge i muscoli in qualche modo ti risveglia e ti fa essere più presente a te stessa. Immagino che per Erin sembri passata un'eternità, succede sempre così quando accadono cose troppo fuori dalla tua portata, cose assurde, impensabili. Comprensibilissima la necessità di rimandare il pensiero di qualcosa di così grande almeno alla mattina successiva. Osservò il barista, un omone pelato dalla pelle innaturalmente nivea e costellata di efelidi […] “Ree, my little Carrot! E' tanto che non ti vedo.. Come stai?” […] Aemonn annuì, come se avesse improvvisamente capito tutto. […] “L'“Oblivion”, tesoro. E' ciò che ci vuole per te, dato che mi pare che tu non sia in vena di sputar fuori ciò che ti pizzica. Comunque, il vecchio Aemonn è sempre qui, nel caso volessi rendermi partecipe di qualche gossip.” […] per poi osservarlo accarezzarsi la lunga barba color carota mentre ascoltava l'ordinazione di tre ragazzi poco più in là, un altro tic che si portava appresso probabilmente da quando aveva orgogliosamente cominciato a crescere la folta barba di cui andava tanto fiero. Adoro la descrizione di questo barista *_* è tenero da matti, è affettuoso, ma non eccessivamente paterno, attento, ma non apprensivo, discreto e non invadente. Chi non vorrebbe avere un barista del genere a gestire un pub irlandese sotto casa, capace, come se non bastasse, di preparare cocktail buonissimi? “My little Carrot”... sento di volergli già bene! Anche l'idea di quest'omone pelato che si accarezza la barba, sovrappensiero, come un tic, mentre ascolta un'altra ordinazione, mi è piaciuta davvero tanto. Erin accarezzava il bordo del bicchiere con aria assorta, piacevolmente intorpidita grazie all'alcol che le circolava in corpo, tuttavia ancora sobria, abbastanza da scuotere la testa infastidita e dolorante ogni qualvolta la sua mente errante sfiorasse il doloroso ricordo dell'accaduto. La capacità tipicamente irlandese di reggere l'alcol non era sempre comoda, soprattutto quando si avevano una migliore amica da avere in odio e una giornata (forse non tutta) da dimenticare. Mi piace il fatto che Erin regga bene l'alcool, s'inserisce perfettamente nel personaggio. Che cavolo Erin, direi proprio che non è tutta da dimenticare, insomma se Billie Joe Armstrong fosse venuto sotto casa mia con due caffè (di Starbucks) per farmi leggere una sua canzone, probabilmente ci avrei pensato due volte prima di dimenticare quella giornata! Ma solo per i caffè di Starbucks, intendiamoci. Tutto sommato però è giusto che Erin non sia andata in visibilio per questo. Innanzitutto lei può prenderselo quando vuole il caffè di Starbucks e poi, probabilmente, è troppo stranita per farlo e, so che sembra folle dirlo, ma ha cose più importanti a cui pensare. Oltretutto l'argomento Billie-Alice è strettamente collegato perciò non si può pensare all'uno senza l'altro, bella fregatura. “Pronto?” Voce stanca, seccata. La mano nella tasca dei pantaloni, il piede ciondolante a calciare via qualche sassolino d'asfalto. “Erin? Sei tu, tesoro?” Una voce distintamente femminile dall'accento irlandese, calorosa e apprensiva, si poteva quasi percepire un sorriso nella voce stessa. [...] “La nostra Allie ci ha detto di averti aiutata tanto, non è vero? Siete sempre inseparabili, eh, come eravate da piccoline...” Erin rimase in silenzio; strinse i pugni, chiudendo gli occhi e inconsciamente trattenendo il fiato. Contò i battiti, lenti, regolari, nel tentativo di arginare l'ondata il veleno che le si insinuava nel corpo. Respirò profondamente. “.. Io.. Io devo andare, Abigail. Scusami, ma devo proprio andare. Ci risentiamo a Natale, eh? Come sempre. Ciao.” La telefonata. Ormai si è capito che Erin ha (ha avuto?) qualche piccolo problema in famiglia. Ha adottato i genitori di Alice come suoi e loro, probabilmente, hanno fatto altrettanto. Questo rende la situazione dannatamente più complicata. Quando ti affezioni a delle persone, considerandole come genitori, non è facile dire loro che la tua migliore amica, nonché loro figlia, è, quantomeno, una bugiarda. Prima di tutto perché spesso, per i genitori, le amicizie, sembrano cristallizzate all'infanzia, per cui non riescono neppure a immaginare che i rapporti possano cambiare, evolversi, che possa esserci un litigio. Il secondo motivo è che non potranno fare a meno di dare comunque ragione a loro figlia, per quanto ti amino, per quanto ti considerino una figlia adottiva, per quanto ti vogliano bene, non potranno mai “abbandonare” da sola dalla parte del torto la loro creatura, la difenderanno sempre, la scuseranno nel migliore dei casi, nel peggiore accuseranno te di essere un'ingrata, un'approfittatrice della loro generosità, una viziata, qualcuno che non appena può giudica e critica. Erin si dev'essere resa conto di tutto questo perché all'improvviso non sembra riuscire più a continuare la telefonata, come se si sentisse soffocare nel vedere con chiarezza tutto ciò che può perdere. “Che cosa vuoi?” Non credette di aver mai parlato con tanta freddezza, con tanto veleno nelle parole. Occhi duri e carichi d'odio in occhi disperati ed eloquenti, quasi domandassero mille cose, mille scuse. [...] Alice si bloccò; boccheggiava, con gli occhi sbarrati, incredula, negli occhi il dispiacere, la disperazione. Abbassò il viso, socchiudendo gli occhi. Mormorò un “mi dispiace”, mordendosi il labbro per trattenere le lacrime, prima di scappare via, fuori dal pub. Povera Alice. Si lo so, forse non è il commento giusto da fare, ma a me fa tenerezza. Hai ragione, ha terribilmente tradito la fiducia di un'amica, della sua migliore amica ed è una delle cose peggiori che si possano fare. Erin ha tutte le ragioni del mondo per essere furiosa con lei. Però, cosa vuoi che ti dica? Mi fa tenerezza. Ha sbagliato e ne sta pagando le conseguenze. So anche che Erin adesso è troppo arrabbiata per stare ad ascoltarla, troppo scossa, troppo ferita. Quindi è giusto così, sì, d'accordo...bando ai sentimentalismi (*faccia da dura, non troppo convinta*). Era forse il momento giusto di porre fine a tutto quell'infinito dolore, che, ormai era evidente, non era la sola a dover sopportare? Non voleva lasciar andare tutto così, come se fosse stata una litigata stupida, di quelle che alla fine non si sanno neanche per quale motivo siano cominciate. Non riusciva a dimenticare quell'immagine dell'amica che la guardava, senza riuscire ad articolare parole, mentre lei si rendeva conto di ciò che le stava di fronte. Non riusciva a lasciar andare la nuova, dolorosa consapevolezza che ormai non avrebbe avuto più nessuno di cui fidarsi ciecamente, neanche più Alice. Non riusciva ad accettare che la propria migliore amica le avesse intenzionalmente mentito, nascosto la verità, tradita.. Non riusciva a ritrovare la fiducia e la speranza di far ritornare tutto come prima. Per il commento vedi sopra. No, scherzo però sì, il succo della questione è lo stesso. Erin è troppo arrabbiata, ferita, si sente incredibilmente tradita e ha perso la fiducia. Quando perdi la fiducia in una persona è davvero difficile, forse impossibile tornare indietro. Certo, puoi proseguire l'amicizia, puoi perdonare, ma mai fino in fondo, mai senza riserve, almeno inconsce. Puoi cominciare un nuovo rapporto, superando la delusione con l'affetto che provi, ma non è mai la stessa cosa. Intendiamoci non che, dopo una perdita di fiducia, due persone non possano più avere un rapporto sincero, semplicemente è un rapporto nuovo, sicuramente diverso. La guardò qualche altro momento, lo sguardo buio e infinitamente triste, prima di avviarsi lungo Telegraph Ave., verso casa. Anche stanotte non avrebbe dormito. Una bellissima conclusione dalla quale traspare il fatto che, comunque, a Erin importa eccome di Alice.
Per concludere posso dire che questo capitolo mi è piaciuto molto (ma va), soprattutto perché entra un po' di più nella psicologia di Erin... Morale della favola...Non vedo l'ora di leggere il prossimo capitolo!! |
Dopo un tempo infinito, non mi scuserò mai abbastanza per questo, ecco (finalmente) il mio commento. Allora, che dire? Il capitolo precedente ci aveva lasciati con il fiato sospeso, Erin tradita dalla sua migliore amica, Billie che le va a parlare come se potesse permettersi di essere "fastidiosamente chiunque" e Erin che, come se non bastasse, gli risponde pure male. Un quadretto quanto meno insolito. Cosa c'è di bello nella tua storia è che non ci si annoia mai.
"O Romeo, Romeo, wherefore art thou Romeo?" Un grugnito. Il letto cigolò sotto il peso che si spostava. Una serie di colpi. Secchi, deboli. "We are once again reminded that America can do whatever-" Altri colpi. Altri grugniti. Imprecazioni. Do you mind?! Vibrazione improvvisa, e la vecchia tivvù della vecchia signora del piano di sopra e la vecchia signora del piano di sopra improvvisamente non sembrarono più così fastidiosi. Erin socchiuse un occhio, dopo aver girato appena la testa. Storse il naso per la luce del display del cellulare, che le ferì gli occhi ancora assonnati. "Lice", sapeva che vi avrebbe letto. Il telefono vibrava allegramente nella sua mano esattamente come aveva fatto le altre ventisette volte nell'ultima ora. E, come le altre ventisette volte, Erin sbuffò e lasciò cadere il piccolo aggeggio sul materasso. Nascose il cellulare sotto al cuscino, tuffandovi il viso nell'attesa che quella dannatissima vibrazione finisse. Sospirò. "Try the new Big N' Tasty! With extra salad-" Grugnito crescente in esasperazione. Vibrazione.
Eccoci immersi in una classica situazione che tutti, almeno una volta nella vita, -purtroppo- abbiamo sperimentato. Cosa c'è di peggio che cercare di dormire, avendone peraltro disperatamente bisogno, mentre la tv della vicina sorda ci penetra nelle orecchie ad un volume indecente, come un martello pneumatico? Tra parentesi come ti sia venuto in mente di spaziare da Shakespeare alla pubblicità del "New Big N' Tasty" lo sai solo tu, geniale. Fatto sta che effettivamente le variazioni sul tema "il destino sta cercando di impedirmi di dormire" sono infinite: il rubinetto che gocciola, il ticchettio dell'orologio, i lavori in corso nella strada sotto la tua finestra, la vicina che passa il folletto, lava i piatti e litiga col marito contemporaneamente (solo lei sa come…), ma l'istinto di ringhiare il tuo malcontento al prossimo è sempre lo stesso, se aggiungiamo poi le ventisette chiamate senza risposta di un'amica con la quale non hai nessuna intenzione di parlare, l'irritante, imperterrita, allegra vibrazione del telefono che continua a squillare, ignorando il tuo umor nero e la tua tentazione di metterlo a tacere lanciandolo contro un muro, bè non potremmo certo biasimare Erin per la reazione spazientita, irritata e scorbutica.
«This is East Jesus fucking Nowhere! Ti spiacerebbe andare all'inferno?»
Questo è il miglior modo che io abbia mai sentito di mandare a quel paese qualcuno. Dico davvero! Non so, sarà il riferimento alla canzone, sarà l'americano. Sarà il tono scorbutico seguito dall'apparente gentilezza del "ti spiacerebbe", sarà che "andare all'inferno" mi sa di Christian e Gloria. Non lo so, ma è assolutamente perfetto.
Una breve risata dall'altro capo della linea. Maschile. Erin sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Ops. Interlocutore sbagliato. Il fatto più esilarante dell'intera vicenda, è come Erin, fan sfegatata, non faccia altro che insultare, in un modo o nell'altro, il suo frontman prediletto. Credo che Billie le abbia voluto parlare anche per questo, è stato incuriosito dal suo modo di fare anomalo, di sicuro più sgarbato di quelli che è abituato a ricevere, dalla maniera in cui è stata ferita e dalla sua reazione al "tradimento", tema comune e caro ad entrambi.
<<I'd love to, ma mi seccherebbe buttare tutto questo caffé.. Ah, e ho anche quella canzone che mi avevi chiesto ieri. .. Anzi, non è neanche tanto male.>>
Perfetta anche la risposta di lui, molto "Billesca" a mio avviso…"I'd love to", bellissimo! Povera Erin, riesco a stento ad immaginare l'infarto che debba essere sentirsi dire una cosa del genere per telefono da lui, appena sveglia. Farebbe andare in iperventilazione chiunque!
«Dimmi che non sei quello in piedi qui sotto.. Vicino all'insegna del cinese.» Breve silenzio. «Allora, che fai.. Scendi o no?» Oh.
Oh. Billie mi sta aspettando sotto casa mia. Vuole che scenda. Sta aspettando proprio me. Già, Erin, "Oh." Qui è bello il contrasto tra l'insicurezza di lei e quella di lui. Quella di lei è immediatamente comprensibile per ovvi motivi, insomma ha anche il diritto di accettarsi se è proprio quella voce che conosce così bene a parlarle al telefono e se è proprio Billie Joe Armstrong quello che la attende sotto casa sua, in un angolo quanto mai squallido e banale, davanti al quale è passata ogni giorno e dove mai avrebbe immaginato di vedere proprio lui, ad aspettarla per giunta. Ma l'insicurezza di Billie è ancora più bella, perché meno ovvia in un certo senso, trapela a stento da quelle poche sillabe. "Allora che fai…Scendi o no?" O no. Sembra che Billie senta come possibile un eventuale rifiuto, quasi che in qualche modo lo tema, quasi come se avesse timore di sentirsi rifilare un "no" secco da quella ragazza che, d'altra parte, non aveva certo esitato a trattarlo come chiunque altro. Sembra anche che sia incerto, insicuro di quello che ha fatto, sembra che abbia paura di sbagliare ancora, di fare qualcosa che non va, forse ha paura di ferire una ragazza in quel momento già così provata, forse non vuole invadere con la sua presenza una vita già messa alla dura prova dal tradimento di un'amica. E' molto umana l'indecisione, il nervosismo che sembra provare all'idea di poter essere lasciato lì, con due caffè in mano.
«Arrivo.» Risposta secca, con una traccia di ansia.
Con una traccia d'ansia, ma solo una traccia eh, beata lei! Scherzi a parte, è "giusta" anche questa risposta, senza fronzoli, senza altre domande, senza neanche risposte.
Non credette di essersi mai sbrigata tanto in vita sua. Sette minuti dopo usciva dal portone biancastro del palazzo sistemandosi gli occhiali sul naso, al contempo mentalmente domandandosi se avesse chiuso la porta di casa e come avesse fatto a scendere le scale senza gli occhiali e di corsa senza schiantarsi e- Cosa cazzo ci facesse Billie Joe Armstrong davanti al suo portone di casa con due caffè e un sacchetto con ciò che pareva essere un brownie in mano.
A parte il fatto che mi immagino troppo bene Erin che corre come una pazza per la casa, prendendo vestiti alla rinfusa, cacciando il suo gatto dalla sua borsa (e credimi, per esperienza, è un'impresa non da poco!), lavandosi i denti mentre si infila le scarpe, uscendo di casa senza gli occhiali messi, con mille ansie e domande, tra cui: cosa cazzo ci faccia Billie Joe Armstrong davanti a casa sua. Un interrogativo più che legittimo. Immagino cos'abbia provato ad uscire di casa e vederselo lì, mingherlino sotto quella giacca di pelle nera, gli occhi chiari increspati in un sorriso appena accennato e, come se non bastasse, a completare questa visione, un caffè e dei brownies.
Dovette rimanere imbambolata per almeno dieci secondi; il suo viso era contratto in una lieve smorfia, qualcosa a metà tra l'addormentato, l'incredulo e l'infastidito, ma quest'ultimo per colpa del sole semi-nascosto dalle nuvole che le feriva gli occhi.
E' bellissima questa descrizione, rende benissimo l'idea. Insomma chiunque avrebbe detto "con un sorriso a 32 denti" o "raggiante in volto". Invece no. E' giusto che l'incredulità prevalga, quel sentimento sospeso tra realtà e finzione che ti lascia in bilico, come quando sei sull'orlo di un sogno e avverti, in un angolo recondito la tua mente che si risveglia, che reclama la tua coscienza all'adesione a una realtà ancora impastata di sonno. Quell'incredulità che ti impedisce di aprire gli occhi sulla verità anche se la stai guardando. Non è esattamente semplice passare dal sonno al sogno ad occhi aperti e convincersi di non star sognando.
"Coffee?" Billie le allungò uno dei due bicchieri; sorrise appena, divertito dall'impaccio e dall'espressione della ragazza.
Mi fa troppo ridere l'idea di Billie che ti porge un bicchiere dicendo: "Coffee?", non lo so, mi sembra di vedere il suo sorriso impertinente, quasi come se stesse cercando di nascondere il divertimento nel vedere l'espressione confusa di Erin nel tentativo di non offenderla. Quel sorriso da presa in giro tipico di Billie insomma.
Erin grugnì, buttando giù per la gola rasposa una sorsata del liquido bollente, per poi allontanarne il contenitore e osservarne con naso arricciato la nota marca verdastra stampata sul cartoncino anti-ustione-dita-consumatori
Staaaaarbucks! :( Come mi manca. Sniff.
".. Perché mi hai portato il caffé?" Cristo, Erin. Di tutte, le domande che potevi fargli.. Sai com'è, perché si trovi qui, perché proprio ora, come ha fatto a sapere dove abitassi, dove abbia pescato il mio numero.. No, eh? Niente.
Effettivamente! Però è giusto così, non si può avere la lucidità necessaria per fare certe domande in simili situazioni…Mi piace come Erin si maledica per la banalità di ciò che pensa di aver detto, io lo faccio sempre. E' una strana sensazione, sentirsi sfuggire delle parole di bocca, sentirle fiacche, inadeguate, fuori posto e desiderare di averne pronunciate altre, ma è una sensazione più che comune.
Billie rise appena. "Tré non ama svegliarsi prima delle due di pomeriggio senza quattro o cinque caffé.. Volevo ringraziarti per il favore che hai reso alla nazione ieri. - Erin sorrise appena; Billie si schiarì la voce, facendo poi spallucce. - E comunque volevo darti almeno un motivo per non uccidermi selvaggiamente per averti svegliato".
In effetti secondo me ha rischiato grosso XD
Lui sorseggiando il suo con una mano in tasca, avanzando con quel suo strano incedere che ricordava i tempi di Dookie, in cui non riusciva a mettere un piede davanti all'altro senza che sembrasse che si stesse perdendo i piedi, come se li facesse rimbalzare troppo in là per la gamba e il resto del corpo. Come se non avesse proprio voglia di camminare.
Ecco io ti invidio profondamente per queste descrizioni stupende che riesci a fare…E' così preciso il modo in cui hai saputo descrivere l'andatura buffa e malinconica al tempo stesso che aveva in quegli anni. Mi ricorda precisamente l'andatura che Billie ha nel video di When I Come Around.
"Stupide marionette di una salvezza che si sono costruiti da soli, ecco cosa sono." Aria uscita dal naso, brevemente, con evidente disapprovazione. Uno sguardo di lato, subito tirato via; eppure non c'era solo disdegno in quegl'occhi.. "Vuoi spiegarmi allora perché vivi in un quartiere di ferventi protestanti?" La domanda non era solo curiosità; affronto, forse? ".. Per masochismo." Rise aridamente Erin, tra sé e sé, mentre finiva il suo caffé per buttarlo in un cestino lungo la strada. "Mio fratello e mio padre hanno avuto sempre rapporti migliori con dio che con me."
Mi piace tanto come lo dice, in qualche modo spiega il rifiuto complicato che ha della religione, dell'idea di Dio, è molto più difficile non credere se hai accanto qualcuno che lo fa con tanta dedizione. E' buffo, in un certo senso, ne parla come se Dio fosse un amico di famiglia con cui lei non si trova tanto bene, un parente con il quale non si può evitare di relazionarsi, ma con cui allo stesso tempo senti di avere un rapporto difficile.
cominciarono a venire giù grosse gocce d'acqua.
Ah, la pioggia. La nostra storia infinita.
Billie si sfilò il chiodo in pelle, porgendolo ad Erin, che non aveva nulla con cui coprirsi. Erin lo guardò con un'espressione indecifrabile, un misto di ammirazione, confusione, gratitudine e orgoglio, prima di accettare la giacca e riprendere la corsa.
Mi immagino fin troppo ben quell'espressione.
Lasciandosi cadere su uno dei sedili in plastica, Billie sospirò, chiudendo gli occhi. Riaprendoli qualche attimo dopo, si ritrovò davanti la mano di Erin che gli rendeva la giacca, con un'espressione in viso piuttosto eloquente; i capelli erano zuppi, come anche il viso e gli altri vestiti. Sorrideva appena. "Grazie comunque." disse, tentando di rimanere impassibile. Dopo averla guardata qualche secondo, Billie scoppiò a ridere. Erin alzò gli occhi al cielo.
Mi piace questa sequenza di azioni, Erin che cerca, che spera che Billie non scoppi a ridere vedendola fradicia e lui che si lascia andare ad una bella risata. Stupendo.
Il foglietto sembrava cedesse sotto alle sue dita che tremavano appena; schiuse la carta appesantita, respirò. Lesse.
Pare quasi che sia la verità rivelata a celarsi tra le pieghe di quella carta umida. La verità più importante, quella che qualcuno vede guardandoti dentro.
Ora non starò a citare tutta la parte riguardante la canzone perché sarebbe eccessivamente lungo e io ti ho promesso almeno un commento per quando saresti tornata a casa. Inoltre poi ho constatato, la mancanza di parole tra noi non è un problema comunicativo poi così rilevante.
E' semplicemente delicatissimo e stupendo il richiamo che fai alle favole, che danno il titolo all'intera fan fiction. Favole, in un certo senso le canzoni lo sono, ti trasportano in un'altra realtà, ti fanno percepire un mondo altro, completamente avulso da quello a cui siamo abituati. E' una dimensione a sè stante dove la musica scalanca un universo intero e le parole gli danno voce, un cosmo che alla lunga, per quanto vasto e sconfinato ritrovi dentro te stesso, rannicchiato nelle tue pieghe, annidato nelle tue piaghe, nascosto tra memorie del passato e speranze sl futuro.
Non c'era nessuna storia, nessuna fiaba che finisse, nella sua memoria. E lei aveva imparato che ogni cosa, ogni cosa vera, aveva una fine. Le fiabe, quelle.. Non finivano. Quelle erano solo finzione.
Il dubbio, il terribile dubbio, che le favole restino tali, che nella realtà non ci sia spazio per i lieto fine, che nessun "vissero felici e contenti" sia davvero pensabile.
Alzò lo sguardo dal foglio, appena indirizzandolo verso l'uomo che sedeva accanto a lei. Il suo era uno sguardo illegibile, cupo e lontano; non era il presente, né la realtà ad avere stretta in pugno la sua mente. Era lontano.
Bellissima la descrizione di questo sguardo. Non assente, ma lontano, distante, meglio irraggiungibile. Inafferrabile come i suoi ricordi e i suoi pensieri.
Chi aveva perso? Cosa lo aveva spinto a brancolare nel buio? Eppure c'era un tale amore in quelle parole, in quel primo verso, una tale dipendenza da una persona.. I respiri diventavano più forzati, gli occhi rileggevano quelle due righe come fossero un mantra. Perdevo me stesso quando non ti trovavo.. E ora non so neanche più dove cercarti. Ti ho perso, ho perso me stesso. Così apparentemente chiaro, così crudo.
Quell'immediatezza tipica delle canzoni di Billie, quella di cui parlavamo, quel suo mettersi a nudo, mostrarti con una semplicità disarmante intimi scorci della sua anima. Definire, in questo caso, con chiarezza la perdita. Perdita di una persona, certo, ma allo stesso tempo perdita di una meta, di un luogo dove andare, dove cercare ciò che si è perso, la perdita di una direzione quindi la perdita di se stessi e del proprio baricentro, una conseguenza inevitabile.
Guardò Billie, con uno sguardo pieno di tensione, di perplesso dispiacere; non sapeva bene per cosa dovesse dispiacersi, era semplicemente quel peso terribile che gravava su quelle stesse parole, era stata quella frustata così netta di realtà, ad averla resa quasi dolorosamente sensibile.. A cosa, non lo sapeva ancora bene.
Quella sensazione, a noi ben nota, del dispiacersi da spettatrici esterne certo, ma non solo, è un dispiacersi dato dalla consapevolezza di avere una comprensione di quel dolore perché quelle parole così personali eppure così universali, parlano anche per te, danno voce alla tua d'interiorità, diventano di chiunque e di nessuno.
Qualche secondo ancora, e Billie si girò, guardandola prima negli occhi; quasi inespressivi, i suoi, in genere sempre così accesi di quel verde pieno di tutta l'anima.
Quest'espressione non avrebbe potuto essere più azzeccata, perfetta e calzante.
Si alzò, passando velocemente le mani sui pantaloni, come a volerli ripulire, come se volesse ripulirsi le mani della conversazione appena avuta. Dimenticarla, forse, annoverarla negli scaffali del passato e cercare di dimenticarla, o di farla passare inosservata alla sua stessa coscienza.
Immagino alla perfezione questo gesto. Come se avesse voluto scrollarsi via di dosso qualcosa, spazzare via occhiate indiscrete, una specie di modo per richiudersi nel guscio dopo aver aperto così tanto la propria anima.
Erin rimase seduta a guardarlo mentre si sistemava, mentre si infilava il chiodo di pelle ancora lucido di pioggia, improvvisamente troppo grande per le sue spalle piccole e stanche. Rimase seduta a domandarsi se fosse il suo posto, quello, di vedere tutta l'umanità del proprio eroe, del proprio idolo, tutta l'umanità, tutta la debolezza più miserabilmente umana, tutta insieme.
E' questa la fregatura di Billie: è umano e non fa niente per nasconderlo; non cerca di mostrarsi forte, perfetto, senza macchia. Confessa le sue debolezze, i suoi bisogni, i suoi tormenti. Sembra diventare ancora più piccolo e mingherlino Billie quando fa così, quando ti nasconde i suoi occhi chiari nell'ombra o quando in quel verde riesci a leggere quanto sinceramente si stia confessando a te, quanto sia difficoltoso ammettere determinate cose, quanto direttamente ti mostri improvvisamente ciò che prova o ha provato.
quell'ombra che si faceva strada tra i sedili della tribuna, con l'alone della propria pioggia interiore su ogni centimetro di sé.
Quanto è stupenda questa frase.
Prima di scendere l'ultimo scalino, si girò, rivolgendole un sincero, piccolissimo sorriso; gli occhi si accesero appena. "Se mai dovessi ritrovare quella forza che ti ha spinto a combattere le favole degli altri.. Vorrei esserci." I'd like to feel what it's like.
Mi sembra di vederlo Billie che si gira, con gli occhi che brillano appena, accesi da qualcosa e dire: " […] vorrei esserci", sembra sottintendere: "ho bisogno della tua forza per tornare a combattere", sembra gridare 'non ti arrendere', sembra un invito alla resistenza contro il tradimento subito dalla ragazza che funziona come propulsore della reazione di Billie al tradimento da lui subito.
So che spesso mi ripeto, ma credo che questo capitolo sia ormai ufficialmente eletto a mio preferito. Forse. E' davvero difficile scegliere, le emozioni che mi trasmetti e la tua bravura mi lasciano sempre senza fiato, un po' frastornata, come se leggendo questa storia entrassi nel mio personalissimo mondo di favole, quelle favole che ti consolano e sollevano, quelle favole che ti trascinano in una sospensione trasognata della realtà. |
Completamente diverso dal primo capitolo, anche questo capitolo ha dello straordinario. L'ho letto tutto d'un fiato, e pian piano l'immagine di Erin, così normale eppure così speciale, ha iniziato a formarsi nella mia mente. |
"Adrienne, ci credi, ora? Ci credi ancora, alle favole?" |
:'( |
Oh, che bel capitolo!Quante emozioni racchiuse dentro poche righe. |
Questo capitolo è semplicemente stupendo!Non ci sono parole per descriverlo. In più punti è stato un'emozione unica, mi sembrava di essere davvero sotto quel palco. E poi, il modo in cui descrivevi mi ha fatto pensare, mi ha fatto sognare ancora una volta il lontano giorno quando io sarò sotto quel palco che odio e amo tanto allo stesso tempo. |
Ciao :) |