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Autore: adamantina    25/03/2012    1 recensioni
Sono passati tre anni da quando Vanessa, Damien, Lily, Charlotte, Blake, Arthur e Jonathan si sono separati con l’intenzione di tornare alla loro vita normale. Ma cosa significa normale per chi è dotato di poteri che potrebbero cambiare il mondo? Blake non si è arreso e continua a lottare. Ma anche chi ha da tempo rinunciato a combattere per un mondo più giusto dovrà tornare in campo quando le persone a lui più care saranno minacciate …
«Non puoi biasimarci per averne voluto restare fuori, Blake. Quello che tu stai facendo è fingere di essere ancora al Queen Victoria’s, e ti rifiuti di andare avanti con la tua vita. […]»
«Stavo cercando di impedire un omicidio!»
«Sei un idealista» taglio corto, incrociando le braccia. «Ammettilo, lo sei sempre stato. E credo che il tuo vero scopo sia riportare Lily sulla retta via. Ammettilo, ancora ci speri […].»
Genere: Dark, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Queen Victoria's College'
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Lo so, lo so... sono passati più di due mesi, non ho scuse! Ma la mia ispirazione è veramente ai minimi storici! Ecco il capitolo, comunque, spero di farmi perdonare!

 

~EGOISTIC~

 

[Vanessa]

 

Gli schieramenti che si sono formati sono evidenti immediatamente.

«Dobbiamo accettare» dice per primo Blake, deciso. «Soldi a parte, è semplicemente … patriottico. Si tratta di terroristi.»

«Il perfetto ragazzo americano» commenta acida Charlotte, incrociando le braccia. «Orgoglioso della sua nazione al punto di morire per la Patria. Sai, sarebbe più commovente se il Presidente non ti avesse umiliato sulla pubblica televisione.»

«Quello era il vecchio Presidente» taglia corto Blake.

«Mai sentito parlare di teoria della circolazione delle élite?» domanda retorica Charlotte, ben sapendo che nessuno di noi ha idea di cosa stia parlando. «È una teoria sociologica. Dice che chiunque sia al potere persegue solo i propri interessi, perché non fa più parte del popolo da cui proviene e non ha quindi alcun vantaggio nel difenderlo.» I nostri sguardi devono sembrarle ancora piuttosto vuoti, perché specifica «Insomma, i politici sono tutti uguali. Nessuno vuole altro che il potere e il vantaggio personale.»

«Come ti sentiresti se i terroristi colpissero l’America e tu non avessi fatto nulla per impedirlo?»

«Continuerei a sentirmi una vittima del nostro governo razzista che non ci considera parte della specie umana» replica lei, facendo sfoggio della sua notevole abilità retorica e argomentativa.

«Lasciamo da parte patriottismo, razzismo e sociologia» sbuffo io, intervenendo per la prima volta. «Stiamo parlando di una cifra da capogiro, Charlie. Si tratta di milioni. Forse tu, con il tuo stipendio da medico migliore del mondo, puoi permetterti di rifiutarlo, ma io no.»

«Si tratta di vendere se stessi al miglior offerente, allora, Ness? Se i terroristi ti offrissero un milione in più, è loro che andresti a supportare?» chiede Charlotte, guardandomi negli occhi con schiettezza.

«Tu non capisci» dico lentamente. «Casomai lo avessi dimenticato, io aspetto una bambina. E manca poco più di un mese. Cosa farò quando nascerà? La manterrò con il mio lauto stipendio da cameriera di un bar sulla spiaggia in California, nel mio appartamento di due stanze a venti minuti da ogni forma di vita civile? O forse dovrei tornare dai miei genitori promettendo di darla in adozione, perché “una brava ragazza non resta incinta prima del matrimonio, e se lo fa non deve darlo a vedere”

Charlotte stringe gli occhi.

«La prima soluzione sarebbe sempre più dignitosa che non vendersi come una» deglutisce nel cogliere la mia occhiata omicida e cambia la conclusione, «merce

Blake mi mette una mano sulla spalla.

«Noi restiamo, Charlotte. Nessuno ti obbliga a fare lo stesso.»

«Anche io resto» dice Lily a sorpresa, e intercetto fulmineamente lo sguardo che si scambia con Blake. Non reagisco, ingoiando il mio disappunto.

«Io sono d’accordo con Charlotte» dice l’ultima persona da cui ci si aspetterebbe che queste parole vengano pronunciate, ovverosia Arthur, guadagnandosi una notevole serie di occhiate incredule. «Non me ne frega niente di questa storia. Voglio restarne fuori, e non voglio aiutare un governo che mi ha trattato come un animale, o peggio.»

«Io sono con Arthur» dice tranquillamente Damien, mettendo le mani in tasca. Le sue parole sono come uno schiaffo in pieno viso.

«Damien» mormoro soltanto.

Lui mi guarda.

«Mi dispiace, Ness, ma ho già avuto abbastanza problemi in questi mesi. Non voglio rischiare la vita un’altra volta.»

Non posso fare altro che prendere atto della sua scelta con un cenno del capo, anche se il mio cuore scricchiola per il pensiero di doverlo lasciare ancora dopo aver quasi rischiato di perderlo.

Mi volto verso Jonathan, l’ultimo che è rimasto.

«Resto anch’io» dice, evitando lo sguardo ferito di Charlotte. «Ho bisogno di quei soldi per l’università, e non voglio più dipendere dai miei genitori, specialmente dopo … dopo quello che è successo a Jack.»

Nessuno osa replicare. Guardandoci negli occhi, capiamo che è giunto di nuovo il momento di separarsi. Non lo vogliamo veramente, ma è inevitabile. Gli interessi e gli ideali sono diversi e sembra impossibile conciliarli.

I saluti sono quasi impersonali. Vedo lo sguardo malinconico che Charlotte lancia a Jonathan prima di uscire, e io stringo la mano di Damien sentendolo già chilometri lontano.

All’improvviso mi sembra che faccia un po’ più freddo.

 

Renshaw sembra piuttosto deluso di aver ottenuto solo la partecipazione di noi quattro, ma dura solo per un istante. Quello successivo sta già sorridendo.

«Venite» ci invita. «Vi condurrò nei vostri appartamenti e vi farò conoscere la vostra compagna.»

Questo ci incuriosisce, e il Presidente ci spiega che ha già reclutato una mutante prima di noi, che è qua da qualche giorno ed è ansiosa di conoscerci.

La prima emozione che provo guardandola è gelosia. Perché, diamine, è davvero bella. Non è una bellezza comune, ma particolare, e vedo immediatamente gli occhi di Blake e di Jon illuminarsi loro malgrado.

I suoi capelli sono scuri e lisci, lunghi fino alle spalle, e gli occhi ambrati e intensi. Il fisico, naturalmente, è perfetto –snello al punto giusto, con le curve ben sistemate.

Non penso di avere nulla da invidiarle –la mia autostima ha sempre brillato- ma in questo preciso momento, con un pancione di otto mesi sulla considerevole altezza di un metro e sessanta, mi sento un ippopotamo. La bambina mi dà un calcio e lo considero come una punizione per questo pensiero, perciò metto da parte la ritrosia e mi sforzo di sorridere.

«Piacere di conoscerti, sono Vanessa» dico tendendo la mano.

Lei mi squadra con un’espressione vagamente di sufficienza, quindi china appena il capo e mi stringe la mano.

«Sono Julie» si presenta.

«Lily.»

«Jonathan.»

«Blake.»

Julie guarda Blake con un grado di interesse decisamente superiore a quello che la decenza consentirebbe, perciò gli stringo il braccio con fare vergognosamente possessivo –e lei dirotta abilmente lo sguardo su Jonathan.

«Perché siete qui?» domanda.

«Per i soldi» replica tranquillamente Jonathan, nello stesso momento in cui Blake risponde:

«Per aiutare il Presidente.»

Lo sguardo di Julie lancia un lampo divertito.

«Apprezzo l’onestà» dice a Jon. «Ma non dirlo davanti a mio padre.»

«Tuo padre?» chiedo distrattamente.

«Non lo sapevate? Mio padre è Leonard Renshaw. Il Presidente

«Oh.»

Lei sorride, in un lampo di orgoglio arrogante.

 

Non cominciamo veramente il nostro lavoro per due lunghi giorni. Poi, una mattina, Julia viene a chiamarci e ci fa cenno di seguirla.

«Il laboratorio è al piano di sotto» spiega. «Ultimamente siamo riusciti ad infiltrare un agente della CIA nelle schiere dei terroristi, le immagini più recenti sono appena arrivate, credo. Io non le ho ancora viste. Carson –è questo il suo nome- si collega ogni due o tre giorni, quando gli è possibile, al server e ci trasmette informazioni.»

Raggiungiamo una porta metallica che Julie apre con l’impronta del dito indice e che conduce in un laboratorio che ricorda vagamente quello di Vahel al Queen Victoria’s, solo che è almeno venti volte più grande. Ogni cosa è fatta d’acciaio o di vetro, e l’effetto del riflesso dei neon è strabiliante. Sembra di entrare direttamente in un film di fantascienza.

«Wow» mormora Jonathan.

Ci sono almeno tre piani sotto al nostro, tutti visibili grazie al pavimento di vetro perfettamente lucido. Tutto intorno e sotto di noi, decine di uomini e donne in camice bianco sono affaccendati in varie occupazioni intorno a macchinari dall’aria costosissima e complicata.

«Benvenuti!»

Una voce acuta richiama la nostra attenzione: proviene da una donna sulla quarantina, alta e slanciata, con un camice bianco su un tailleur, tacchi alti e capelli biondi legati in una crocchia.

«Sono la dottoressa Marjorie Brennan» si presenta.

Ripetiamo i nostri nomi in fretta, prima che la donna ci dica di seguirla verso un grande monitor che occupa un’intera parete del laboratorio, sul quale si susseguono brevi spezzoni di video e fotografie sfocate di un posto buio.

«Ci sono appena arrivati i file del nostro infiltrato nel Falco. Per ora niente di sorprendente. Voglio dire, abbiamo latitudine e longitudine, finalmente –il microchip non aveva trovato segnale prima- e alcuni tecnici stanno verificandone l’attendibilità.»

«Un momento, chi sono quelli?» dice Blake in tono allarmato.

Seguo il suo sguardo e resto paralizzata.

Sullo schermo sono apparse figure inconfondibili: Charlotte, Arthur e Damien.

 

«Cosa diavolo ci fanno nel covo dei terroristi?» sbotto.

«Non ne ho idea» mormora la dottoressa Brennan. «Ma sembra che siano prigionieri.»

«Hanno le mani legate» ringhia Blake. «Complimenti per l’arguzia.»

Non ci sono video, solo alcune immagini in bianco e nero di uomini armati che li spintonano, e anche del luogo dove li tengono, una stanza piccola e senza finestre.

«Se ne sono andati di qui meno di tre giorni fa» dico, tentando di imitare il freddo raziocinio di Charlotte. «Non possono essere troppo lontani.»

«Quelle immagini risalgono a stanotte» aggiunge inutilmente un tecnico, battendo furiosamente sui tasti del computer.

«Avete detto di avere latitudine e longitudine» scatta Jonathan.

«Indicano una zona poco oltre il confine, in Canada» replica lo stesso tecnico. «Ma devono ancora essere verificate.»

«Non c’è tempo» sbotto, senza riuscire a trattenermi. «Vorranno ottenere informazioni, o forse sfruttare i loro poteri … dobbiamo intervenire subito!»

«Signorina Evans» mi trattiene la dottoressa, con calma gelida, «Questa è una decisione che va ponderata con molta cautela. Osserveremo lo svolgersi degli eventi tramite il nostro infiltrato … »

«Almeno questo infiltrato potrà aiutarli?» la interrompo seccamente.

Lei mi guarda con stupore.

«Certo che no, c’è il rischio di far saltare la sua copertura.»

«Quindi avete semplicemente intenzione … di lasciarli lì e vedere cosa succede?» chiedo, giusto per accertarmi di non aver frainteso.

«Se avessero accettato la nostra offerta, a quest’ora sarebbero qui al sicuro.»

Non riesco a credere alle mie orecchie.

«Non mi importa ciò che dite» replica chiaramente Blake «Io ho intenzione di andare a cercarli.»

«Temo che questo non sia possibile.»

Bastano queste parole.

Ormai mi pare evidente che è il nostro destino.

La nostra libertà è condannata ad essere distrutta: siamo stati prima prigionieri delle nostre famiglie, che si vergognavano di noi, poi di Hermann, poi di Vahel, poi di Brown, e adesso del Presidente.

A questo punto, mi chiedo se siamo mai stati liberi e soprattutto se lo saremo mai. Se le cose continueranno così, temo che la risposta sia negativa.

Stringo istintivamente le mani sulla pancia.

Non è questo che voglio per me, né tantomeno per la mia bambina.

Per la nostra bambina, penso, guardando Blake che difende con la sua solita, irruenta passione la nostra causa.

Non è che improvvisamente io abbia smesso di avere paura per quanto riguarda diventare madre. Anzi. Più le settimane passano, più tutto diventa reale, tanto quanto lo sono i frequenti calci che sento nella mia pancia. Vorrei che questo fosse un periodo lieto e perfetto, ma sono costretta a viverlo in ansia, in fuga da tutto e da tutti.

Non posso mettere a rischio la vita della bambina, non se c’è un’alternativa.

Per questo motivo, quando Blake, questa stessa sera, al riparo da occhi e orecchi indiscreti, ci propone di scappare per andare a recuperare Charlotte, Arthur e Damien, sono costretta a rispondere di no.

Anche se Damien è il mio migliore amico, e desidero solo che sia al sicuro, specialmente dopo tutto quello che ha passato; anche se ho imparato a tollerare Arthur, consapevole del fatto che Dam lo ama da morire; anche se Charlotte è la mia amica più cara e le voglio un bene dell’anima.

Mia figlia si staglia al di sopra di tutto questo. È su un altro livello, semplicemente, e non posso fare nient’altro per mettere in pericolo la sua vita.

Dopotutto, manca solo un mese al termine della gravidanza.

«Ness, sei sicura?» insiste Jon per l’ennesima volta, nervoso.

«Non posso venire, Jon. Semplicemente non posso

«Ma se andiamo noi» obietta Blake, un tono vagamente disperato nella voce, «Se la prenderanno con te per averci fatti scappare.»

«Vuoi che non vada nessuno di noi, Vanessa?» dice bruscamente Lily. Al mio silenzio, ride con malignità. «Ma certo, mi sembra giusto. Salvaguardiamo i tuoi interessi lasciando che Charlie, Art e Dam muoiano per mano di terroristi spietati.»

«Tu volevi lasciarci morire per mano di Noah Brown!» mi difendo.

«Mi pare che siate ancora tutti qui, grazie al fatto che ho cambiato idea.»

«Dì pure che Vahel ha cambiato idea.»

«Non stiamo parlando di me, adesso» taglia corto Lily.

«Non metterò in pericolo la vita di mia figlia.»

«Sei un’ipocrita» dice a bassa voce. «Per non rischiare preferisci lasciarli perdere. Riesci ad immaginarteli, Ness? Prigionieri, probabilmente torturati per scoprire i piani del Presidente e di Vahel, senza nulla da mangiare o da bere. Li vedremo morire lentamente attraverso i video dell’infiltrato, e tu saprai sempre che è tutta colpa tua

Ascolto le sue accuse rabbiose in silenzio, sentendo le lacrime affiorarmi agli occhi.

«Basta così, Lily» dice con fermezza Blake, ma lei lo ignora completamente.

«Ti odieranno tutti, lo sai?» prosegue lei sottilmente, un sorriso crudele sul volto. «Charlotte e Arthur, perché sanno che potrebbero essere salvati. Damien, che non capirà come hai potuto abbandonare il tuo cosiddetto migliore amico

«Lily … » insiste Blake, minaccioso.

«Jonathan ti odierà, perché è innamorato di Charlotte, naturalmente. Io ti odio già, questa non è una novità. Ma persino Blake, persino il tuo grande amore per una notte ti odierà, perché lui non vorrebbe altro che correre da loro e tu e il tuo bambino lo trattenete-»

Non resisto più: la mia mano scatta a schiaffeggiare Lily in pieno volto.

«Non osare» sibilo. «Non osare dirmi queste cose.»

La vedo sussultare, stupita, quindi stringere gli occhi.

«Non ho intenzione di accettarlo ancora» ringhia. «Sai cosa sei, piccola innocente? Sei solo una grandissima puttana

E poi mi scaglia contro una vampata di fuoco. La schivo per un pelo e divento invisibile d’istinto.

«Lily! Vanessa! Smettetela subito!» urla Blake.

«Sei tu ad esserlo, Lily» ribatto, furiosa, spostandomi perché non individui da dove proviene la mia voce. «Sei fottutamente gelosa perché hai sempre voluto che Blake finisse con te, ma sai cosa? Non sei stata altro che qualche bella scopata!»

Non è da me questo linguaggio. Sono un tipo calmo e ragionevole, di solito, ma Lily tira fuori il peggio di me.

La risata acuta di Lily riecheggia per tutta la stanza.

«Oh, tesoro, non te ne rendi conto? Sei stata tu ad essere solo una bella scopata –e sul bella avrei ancora da criticare! Quando è venuto a letto con te-»

«Lily, no!» sbotta Blake.

«Stava pensando a me, Vanessa. A me. Si sentiva dannatamente in colpa per avermi lasciata andare e aveva bisogno di facile conforto, e chi meglio di te, che gli sbavavi dietro da anni? Era talmente sconvolto che non si è neanche reso conto del rischio … magari pensava che avessi fatto qualcosa tu, ma eri troppo innamorata per essere lucida, giusto?»

Le sue parole colpiscono un punto dentro di me che è troppo vulnerabile. Ricompaio e la guardo.

«Sei solo un’illusa» mormoro, ma non ci credo neanche io.

Mi volto verso Blake, che sembra cristallizzato, accanto ad un Jonathan che, imbarazzato, finge di non ascoltare.

«Blake?» dico piano.

«Naturalmente no» dice lui, ma la sua voce suona così incerta e falsa che la mia gola si chiude.

«Non ci credo» sussurro. «Non ci credo, tu … »

Vorrei trovare una frase d’effetto per segnalare la mia uscita di scena spettacolare, ma riesco solo a fargli notare le lacrime che mi scivolano sulle guance prima di girarmi e andarmene lentamente.

 

   
 
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