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Autore: AngelsVoice_    25/03/2012    1 recensioni
«Non ti sto chiedendo di tenermi con te: so di non esserti d'aiuto, so di non essere rilevante nella tua vita come quelle percentuali, quei dati, quel computer e la tua ossessione per lo zucchero. Me ne andrò. Voglio soltanto sentirmelo dire da te, L.»
«Tu mi hai aiutato molto, lo sai.»
«Devo andarmene?»
«Sì. Però resta ancora un po' quì. Sta per piovere, vero? Tu le senti, le campane?»
«Ogni volta che le sento, succede sempre qualcosa di brutto. Vorrei non avessero sempre ragione.»
«Nemmeno io, ma temo che anche stavolta si ritroveranno ad avere ragione. E' davvero triste.»
Alcune gocce di pioggia irrompono nel silenzio, trascinano quelle parole che muoiono sulla punta della lingua prima d'essere pronunciate.
Non sto piangendo, è la pioggia.
Ma forse mi sbaglio.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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1.

Capitolo uno.

 

Sguardi.

 

Non ho mai sofferto d’allucinazioni.
Sebbene la mia immaginazione tremendamente e facilmente stuzzicabile mi portasse spesso a perdermi nel mondo che io stessa mi creavo- innescato quasi come un meccanismo di autodifesa- la cosa non s’era mai estesa oltre la mia mente, oltre quel sottile e volubile confine fra fisico e metafisico, mai oltre il mio potente subconscio: era tutto nella mia testa.

Non aveva mai intaccato il mondo esterno, quello vero, per quanto potesse esserlo davvero.
Quando si è come me, quando si è perso tutto, riesci a dubitare perfino d’esistere.

Ma allora come potevo essere tanto sicura che quella figura leggermente ingobbita che avevo scorto per pochi attimi accanto al portone d’ingresso una settimana fa non fosse soltanto immaginazione?
Non poteva esserlo: mi conosco troppo bene.
Una ciocca di capelli corvini e ribelli, e due occhi neri, assorti e lontani, imperscrutabili.
Sogno, forse? Soggezione? Impossibile.
No, Miharu non ha mai sofferto d’allucinazioni.

 


C’è tanto da osservare qui: tanti volti, tanti lineamenti da studiare, tanti gesti da decifrare, personalità mutevoli, magnetiche, inusuali.
C’è così tanto da osservare che per un attimo forse potrei lasciare il mio, di mondo, e far parte di quello reale.

Il bambino dai capelli color platino è rannicchiato come sempre nel suo angolo, a comporre e scomporre ripetutamente un puzzle. I suoi movimenti misurati e mai esitanti denotano un’abilità fuori dal comune: mi da le spalle, eppure posso immaginare con chiarezza lo sguardo nei suoi grandi occhi vagare preciso sul pavimento, ad afferrare i piccoli pezzi e incastrarli immediatamente con gli altri, senza mai sbagliare.
«Puoi venire a giocare anche tu, se vuoi. Vedo che stai sempre lì da sola» sussurra improvvisamente il bambino, senza staccare gli occhi dalla sua attività «anch’io sono solo, ora che non c’è lui
«Chi è lui? Watari?»
In effetti, è da un po’ che non lo vedo: al suo posto c’è un tale di nome Roger, che ne fa praticamente le veci, e ha pressappoco la stessa eleganza misteriosa che dovrebbe metterti a disagio, e invece non fa che incrementare la tua stima e fiducia. Paradossale, vero?
Il bambino non risponde ma gira verso di me il piccolo viso pallido, allunga una mano in segno d’invito: solo ora mi accorgo di quanto sia giovane, a dispetto della sua calma, di quella freddezza tanto inusuale, di quello sguardo serio sul viso infantile. E’ così giovane, ma non puoi fare a meno di sentirti insignificante, accanto a lui.
Mi limito ad avvicinarmi ed osservarlo in silenzio, mentre incastra l’ultimo pezzo, solleva la composizione e la lascia nuovamente schiantarsi a terra e disfarsi, per poi ricominciare.
«Tutto sta nell’osservare bene ogni singolo pezzo» mormora, quasi fra sé e sé, iniziando stavolta a comporre da alcuni pezzi disegnati, a formare una L maiuscola, in nero «è sempre così. Se si osserva molto attentamente, si può dare risposta a tante domande.» conclude, prestandomi sempre meno attenzione (o almeno, così appare), concentrato in un modo quasi maniacale.
Ferma il veloce scorrere delle dita sul pavimento e mi rivolge un’occhiata d’attesa, attorcigliandosi attorno al dito una ciocca chiara.
«Prova tu.»

Incastro alcuni pezzi in poco tempo,- complice la fortuna, probabilmente- sotto lo sguardo indagatore del bambino: l’orologio ticchetta nel silenzio, scandisce i respiri, i gesti, quel muto scambio di sguardi, fa da colonna sonora a quella inattesa compagnia reciproca.
«Ti chiami Miharu, vero?» dice, mentre inserisco l’ultimo tassello. Ora che ci penso, è così strano questo puzzle: è completamente bianco.
«Come sai il mio nome?»
«Ho sentito Watari parlare con Roger di te.»

Breve, conciso: mai m’era capitato di dover parlare così poco con una persona. Per me è una bella sensazione.

«Non vuoi sapere qual è il mio nome?» mi chiede, riprendendo a giocare con quella ciocca di capelli.
«Chi sono io per pretendere una cosa del genere? Spetta a te decidere se dirmelo o no: d’altronde, sapere il nome l’uno dell’altro è già l’inizio di una conoscenza; la conoscenza al cinquanta per cento diventa amicizia, e bisogna analizzare sinceramente se ne valga la pena o meno, no?»
«Mi infastidisce, avere troppa gente intorno» esordisce senza mezzi termini, spostando il suo interesse su un pupazzetto che infila sul dito «tuttavia, tu sei silenziosa, e quando parli non dici mai cose stupide. La tua presenza non è fastidiosa, Miharu, e questo è un pregio.»

Sentirmi dire ciò da un bambino che sembra avere poco più di dieci anni non è propriamente usuale, ma c’è da dire che basta un giorno qui per capire che non c’è e non ci sarà mai nulla di ordinario, a partire dalla mente di molti di quelle incredibili e geniali creature (fra le quali io non c’entro assolutamente nulla, a pensarci bene).
Tuttavia, sembra un complimento, per quanto bizzarro.

«Grazie.»
Il mio serio interlocutore riprende i suoi giochi: è così interessante osservarlo, non servono le parole.
«Mi chiamo Near» sussurra atono, quasi per caso «quindi ora io so il tuo nome, e tu il mio.»
«Vorresti essere mio amico, dunque?»
«Suppongo di sì» riflette per un attimo, come se ci stesse davvero pensando su «tu saresti mia amica?»
«A me piace il tuo silenzio. E anche i puzzle. Quindi sì, direi di sì.»
Il rumore della porta d’ingresso che viene aperta risuona nell’atrio vuoto: riconosco la voce calma di Watari rivolgersi ad una seconda persona: la voce di quest’ultima ha una cadenza regolare, mai alterata, lenta e ipnotica.
La ascolto affievolirsi pian piano, lasciando che la mia mente prenda di nuovo il controllo di tutto, indifferente.

Per quanto mi sforzi non riesco a starci molto, nel mondo reale.

«Stamattina eseguirete un piccolo test» esordisce Roger, facendo risuonare la sua voce fra le pareti dell'aula «non è nulla di diverso dal solito, né particolarmente difficile, non preoccupatevi: tuttavia,  i risultati saranno determinanti per l'esito della nostra, della vostra missione. Confido nel fatto che ognuno di voi agogni al massimo e s'impegni ben oltre le sue possibilità» conclude, riservandoci un sorriso d'incoraggiamento e dando uno sguardo all'orologio accanto alla porta nera «avete venti minuti a partire da adesso: buona fortuna.»
Chino gli occhi sulla decina di fogli depositati ordinatamente sul mio banco, sfogliandoli e dando un'occhiata sommaria alle domande.
Come immaginavo, sono per lo più quesiti che richiedono discrete capacità di logica e deduzione: mi ricordano qualcosa che ho già fatto, come succede spesso, ma non so perché.

Questo è il terzo test in una sola settimana. Mi chiedo cosa se ne facciano, di tutti quei risultati: forse hanno a che fare con quel lui che nomina spesso Near, quel lui che tutti sembrano conoscere tranne la sottoscritta.
Oh beh, le cose sono più interessanti, se avvolte da un certo alone di mistero.
Barro la casella di una risposta della prima domanda, seguita dalla seconda, dalla terza, e dalla quarta.

Ho l’impressione che questa persona sia davvero molto importante: tutto sembra ruotare attorno a lui, ogni parola, ogni avvenimento. Mi chiedo se sia possibile che una figura tanto astratta sia presente in maniera così palpabile, così concreta.

 Il mistero è affascinante, sì: ma quando la curiosità prende il sopravvento, diventa piuttosto fastidioso.












Writer's space:
Primo capitolo, prime 'conoscenze', mettiamola così.
Personalmente, credo di aver rispettato abbastanza fedelmente il carattere e gli atteggiamenti di Near e le situazioni possibili all'interno della Wammy's House.

Uhm, questo è tutto. Se avete già drizzato le orecchie alle parole
capelli corvini  e ribelli e occhi neri, sappiate che ci avete visto giusto, lol.
Recensioni, critiche e consigli sono sempre ben accetti.


Angelsv.

 
   
 
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