Il
volo della civetta bianca
Capitolo 2
La decisioni
un po’ sbagliate
La
professoressa parlava... ma Rachele non l’ascoltava. Parlava
di storia... o
geografia? Poco le importava.
All’improvviso sentì un grido
silenzioso. Fu silenzioso
perché fu l’unica a sentirlo. Si alzò
di scatto e in un attimo si ritrovò all’entrata
della palestra. Da lì vedeva una civetta bianca svolazzare
intorno alla finestra
cha stava sopra gli spalti. Corse verso la civetta. Quella si
fermò. Si
guardarono negli occhi per un secondo che parve un secolo. Quei grandi
occhi
dorati si bruciarono davanti agli occhi di Rachele, neanche il tempo di
soffiare sulle ceneri che trovò ai suoi piedi, di nuovo, il
corpo senza vita di
Daria.
<<
Rachele
svegliati! >> i richiami della madre nelle sue orecchie. Oggi doveva ritornare a
scuola...
La ragazza
aprì gli occhi. La stanza ancora buia. Si guardò
intorno e con riluttanza si alzò
dal letto. Aprì le persiane e le si mozzò il
respiro. La camera di Rachele aveva
una bella vista sulla città. A destra vedeva la biblioteca
della scuola e a
sinistra c’erano una serie di palazzi tinti di verde, al
centro c’era la
scuola. Ed eccola lì una civetta bianca che appollaiata sul
tetto la guardava .
Rachele ricordò il sogno, e la civetta volò via
lasciando Rachele con le sue
paure e l’ansia di dover andare a scuola.
Mezz’ora
dopo Rachele era già pronta. Si guardò nello
specchio del bagno per un ultimo
controllo e le venne da piangere.
Cosa le
stava succedendo? In meno di un mese aveva perso la sua migliore amica
e adesso
stava perdendo anche la testa? Cosa significava quella civetta? Se Daria fosse stata
vicino a lei le avrebbe
detto di stare calma e di non pensare ai piccoli dettagli. Ed
è quello che
fece. A scuola rimase in silenzio per tutta la giornata, rimase in
bagno per
tutto l’intervallo, a guardare i ragazzi che si divertivano e
chiacchieravano
dalla finestra, invidiava quelle anime così spensierate
più di qualsiasi altra
cosa in quel momento, avrebbe voluto essere insieme a Daria li in
mezzo.
Sorrise ripensando ai bei momenti che aveva passato con lei neanche un
mese fa. Una
civetta bianca, forse la stessa di quella
mattina, era nascosta tra i rami di un albero e guardava Rachele, e
appena la
ragazza se ne accorse scappò via, lasciandola nuovamente con
tristi e amari
pensieri.
***
Quella
notte... lo stesso sogno. Rachele si svegliò madida di
sudore. Si portò le mani
sul viso. Guardò l’orologio: le quattro in punto.
Scivolò
via
dal letto per immergersi nell’acqua. Andò in bagno
e fece una lunghissima
doccia. Le piaceva fare la doccia la mattina prestissimo, le piaceva la
sensazione di pensare al giorno prima ancora che cominciasse.
Ma Rachele
quella mattina fece la doccia solo per sfogarsi.
I gocciolii
dell’acqua si mischiavano con le sue lacrime. Non aveva mai
pianto dalla morte
di Daria. Mai. Tutta al più urlava. Urlava su come sarebbe
stata la sua vita
senza di lei. Poi basta. Dopo il giorno
della morte di Daria rimase in silenzio a vedere la sua vita che
scorreva
veloce senza di lei. Le
era diventato
tutto indifferente, senza la sua migliore amica non era più
niente. La verità
era quella, ed altrettanto inutile piangersi addosso.
Finita la
doccia si guardò direttamente allo specchio. Gli occhi
arrossati per le lacrime
la demoralizzarono ancora di più. Tutti
quei particolari del suo corpo che le piacevano molto le parvero
insignificanti
di fronte a quegli occhi rossi. I capelli castano chiaro che ricadevano
in onde
perfette sulle spalle, gli occhi color nocciola ereditati dalla madre,
il naso
piccolo a patatina, il viso privi do qualsiasi impurità.
Sembrava perfetta, ma
quelle lacrime appena versate la fecero sentire anche la persona
più debole
della Terra.
Tra lei e
Daria era lei quella forte, e sicuramente la sua amica non avrebbe
voluto
vederla così.
“Devo
farcela” pensò. << Devo farcela per
te. Daria >> fu il suo
sussurro.
Dopo essersi
vestita alzò le persiane sperando che la civetta fosse
lì ad osservarla.
La
civetta non c’era.
***
Non ce la
faceva ad affrontare un’ ora di educazione fisica. La
professoressa li lasciavi
liberi di fare quello che volevano il martedì, ed era per
quello che non ce la
faceva. Come avrebbe potuto camminare su quei gradoni sapendo che
furono
l’ultimo suolo su cui camminò Daria?
Nonostante
la paura ci andò lo stesso. Oltrepassò la porta
della palestra con gli occhi
bassi e quando li alzò lei era li.
La civetta
bianca era dall’altro lato della finestra, era lontana ma si
vedeva benissimo.
Incurante delle parole della professoressa e dei richiami dei compagni
salì i gradoni
velocemente, era quasi arrivata alla civetta. Un
ultimo gradone e... non vide più nulla.
Senza sapere
come si ritrovò a terra ai gradoni, con il viso per terra.
Il sangue che le
colava dal naso, la caviglia probabilmente slogata e il la pancia che
le doleva
da morire.
Prima di
chiudere gli occhi vide la civetta volare via lontana lasciandola,
ancora una
volta, sola con i suoi dolori.
***
<<
Tieni
la testa alzata mi raccomando >> le raccomandò
l’infermiera della scuola
mentre la riaccompagnava in classe.
Arrivata alla
sua classe, la 3° G, chiuse gli occhi ed entrò con
riluttanza. C’era la
professoressa di italiano in quell’ora, per donare ai sui
alunni un “
interessantissima” lezione sul perché studiare
filosofia fosse così importante.
Appena Rachele entrò in classe alla prof. si illuminarono
gli occhi. Aveva
sempre avuto un debole per Rachele e per l’alunna era lo
stesso, sembrava che
le due si capissero al volo, condividevano la stessa filosofia di vita
e da
meno di un mese anche lo stesso dolore. La
professoressa Iazzetta aveva perso il
marito da meno di un anno e Rachele le era stata acconto
finché poté.
<<
Come
ti senti? >> chiese la professoressa.
<<
Meglio...non
so cosa mi è preso >> rispose Rachele.
La
professoressa le sorrise e poi continuò a spiegare tante
cose che a Rachele non
interessavano in quel momento.
***
Sua madre
l’aspettava fuori scuola, la macchina gialla si notava tra le
altre come una
pecora nera.
Sua
madre si chiamava Veronica. Occhi castani,
capelli nero corvino e fisico robusto. Si vedeva che era molto
preoccupata per
la sua condizione, per questo Rachele le sorrise appena la vide. Quel
sorriso,
così lontano e falso, almeno in parte rassicurò
Veronica.
Quando
entrò
in macchina Rachele si aspettava di essere travolta da una raffica di
domande,
invece no. Sua madre accese il motore in silenzio e in silenzio
guidò per
qualche minuto, finché la figlia non si accorse che la
strada che stavano
percorrendo non era quella di casa e le chiese dove fossero dirette.
<<
A
casa di Massimo >> disse neutra Veronica.
L’idea
che
fosse uno scherzo attraversò per un secondo la desta di
Rachele, avrebbe voluto
credere in quell’idea. Ma, come l’idea che Daria
stesse solo dormendo,
purtroppo non era uno scherzo. Sua madre sapeva che i due ragazzi non
andavano
molto d’accordo, ma purtroppo non sapeva che lei lo odiava,
per questo evitò di
fare scenate e si limitò a sussurrarle balbettando
<< P- perché ? >>
<<
La
madre di Massimo, Angela, è molto... molto preoccupata per
lui >>
“E
quindi?
Cosa c’entro io?” le venne da chiedere, ma
ovviamente non lo fece.
<<
Mi
ha chiesto di ... parlargli un po’ >>
continuò Veronica.
Quel
“parlargli un po’” non era affatto un
buon segno. La madre di Rachele era una
psicologa, aveva un posto fisso al liceo Classico di una
città a pochi minuti
da casa. I suoi “pazienti” erano sempre adolescenti
con crisi
adolescenziali come
la perdita di un
amore, i capelli troppo fragili, o una media scolastica troppo bassa.
Rachele
sapeva che quando una madre voleva far parlare il figlio con la sua non
era una
bella cosa, lei sapeva che uno psicologo non doveva affatto essere
visto come
una figura negativo in quella situazione, ma per un adolescente che
aveva
appena perso una persona cara uno psicologo non era la persona migliore
per
affrontare il lutto.
<<
Quindi
adesso gli farai una seduta? >>
<<
No >>
Rachele alzò un sopracciglio. Veronica la guardò
e le spiegò la sua idea:
<< Non credo che in questo momento voglia vedere uno
psicologo. Credo che
tutta al più avrebbe bisogno di un amico. >>
Rachele non
capiva.
<<
O meglio
un’amica >> continuò Veronica dando
il via alla tachicardia di Rachele.
La ragazza
spalancò
gli occhi attonita dalla notizia. Non voleva passare del tempo con lui.
Non
voleva fargli da psicologa. Ma soprattutto non voleva essere amica di
quell’idiota.
<<
In
che senso? >> chiese la ragazza ancora incredula della
notizia.
<<
Ha
perso la sua fidanzata Rachele! Ha bisogno di sfogarsi con qualcuno. Ha
bisogno
di parlarne! >> urlò piano <<
Come fai ad essere così insensibile
nei suoi confronti? >>
<<
Non
sono insensibile mamma! >> negò Rachele
<< E’ che non capisco cosa
c’entro io in questa situazione >>
continuò la ragazza guardando con aria
disinvolta fuori dal finestrino.
Veronica la
guardò sconcertata. La persona accanto a lei non sembrava
sua figlia in quel momento
per il ragionamento appena fatto.
<<
Perché
tu ci sei dentro! Cazzo, hai perso anche tu Daria o no?!
>> gridò
Veronica. Vedendo che Rachele si era spaventata dal suo tono
abbassò un po’ la
voce. << No... per te è come se non se ne
fosse andata, non è così? >>
<<
No...
non è così >> rispose lei con la
voce incrinata. Aveva un nodo alla gola
e la voglia di piangere. Ma non lo fece, ricacciò indietro
le lacrime e si fece
il più forte possibile per non piangere davanti alla madre.
Odiava versar
lacrime davanti a chi amava, per questo pianse in bagno.
Veronica non
si accorse della tristezza della figlia per questo continuò
a tempestarla di
domande << E allora
com’è?
Spiegami! >>
Un
singhiozzo scappò involontario dalla bocca di Rachele.
Veronica
capì che non era un argomento facile, ma era decisa a non
cambiare discorso.
<<
Lo
so che per te è difficile aprirti con me. E lo comprendo
benissimo. Anche se la
nonne fosse stata psicologa io non le avrei parlato professionalmente.
Ma
Rachele... guardami >>
Rachele
tolse gli occhi dalla strada e volto gli occhi verso quelli della madre
che li
aspettavano irrequieti come una madre che aspetta la figlia da una
serata in
discoteca.
<<
Anche
tu hai un... grande bisogno di parlarne >>
Rachele
tornò a guardare la strada. Sua madre sospirò e
fece lo stesso. La figlia ci
pensò un secondo, in fondo quello era il momento giusto per
dire tutto. Forse
era meglio svuotare il rospo.
<<
Di
cosa dovrei parlare mamma? >> La voce si stava
incrinando. << Del
fatto che ho visto il cadavere di Daria? Del fatto che non sopporto
Massimo? >>
La voce era sempre più incrinata. << Devo
parlarti del fatto che vedo una
civetta bianca tutte le notti e che mi mette una paura tremenda? O devo
parlare
semplicemente di Daria? >> la forza di trattenere le
lacrime l’abbandonò.
<< Devo parlare di quanto mi manca... ? di quanto la mia
vita sia vuota
senza di lei? >>
Ecco.
Era
scoppiata a piangere.
Veronica
accostò la macchina vicino al marciapiede e
l’abbracciò. Tentava di dirle
qualche parola di conforto mentre piangeva, ma Rachele sentiva soltanto
il
suono delle sue lacrime e dei suoi singhiozzi.
<<
Hai
tantissime cose di cui dovresti parlare >> Quelle parole
così dolci si
intrufolarono nelle orecchie della ragazza che si scostò
dalle braccia della
madre per guardarla
Veronica le
sorrise dicendo : << Ma non sono io la persona con cui
devi parlare >>
Rachele
sorrise Si asciugò velocemente le lacrime con un fazzoletto
che aveva in tasca
e disse alla madre di partire.
Andavano
verso quella che Veronica credeva fosse l’unica speranza per
salvare la figlia.
Lo
spazio della civetta xD
Salve!
Ho voluto mettere questo piccolo spazietto per dirvi
alcune cosette:
1.
Grazie
per le
recensioni, le ho apprezzate tanto, stavo quasi mandando un fascio di
fiori per
ogni recensione!
2.
Da
questo capitolo
inizierete un po’ a capire perché ho messo questo
titolo
3.
Avete
per caso
qualche foto o immagine presa da internet di una bella civetta completamente
bianca? Vorrei mettere una foto del genere
all’inizio di ogni capitolo, ma
non riesco a trovare niente che mi piaccia.
4.
Se
volete
contattarmi mi chiamo Maria Anna Perotta su face book, non ho twitter,
contattatemi per qualsiasi cosa, però prima mandatemi un
messaggio per farmi
capire chi siete.
5.
Dato
che credo nella forza dei numeri che ritengo fortunati
4,7,11, e 25 volevo mettere il
capitolo ieri ma non ce l’ho fatta per via dei compiti,
quindi fate finta che
sia il 25.... scherzo xD
6.
Sono
troppo punti eh? Comunque penso di metter il terzo
capitolo verso aprile, perché devo ancora scrivere molto.
Forse se siete
fortunati lo metto l’11 Aprile, che è il giorno
del mio compleanno.
7.
Sono
arrivata a sette punti perché il sette porta fortuna,
quindi Ciaooooo e lasciate una recensione se volete.