PROLOGO
Nuvole nere
cominciavano ad addensarsi su quella che rischiava di essere l’ultimo campo di
battaglia dell’ultima resistenza.
Un giovane uomo, con il capo cinto
da una corona e rinchiuso in un’armatura d’argento, osservava dall’alto del crinale
l’esercito nemico che, di secondo in secondo, diventava sempre più grande,
inarrestabile. Aveva capelli neri abbastanza lunghi, ricadenti leggermente
all’indietro, un accenno di barba a contornargli il viso e grandi occhi blu
pieni di amarezza e ardore nello stesso tempo, come di chi è consapevole che
quello sarebbe stato, molto probabilmente, il suo ultimo giorno di vita.
Le poche migliaia di uomini che
aveva con sé erano dei disperati, uomini e donne che avevano già perso tutto a
parte la vita, e che a breve non avrebbero avuto più neppure quella. I più
grandi, i compagni di tante battaglie del giovane uomo, se n’erano già andati,
travolti dalla piaga che aveva devastato la loro terra, e che ormai, salvo un
vero miracolo, non poteva più essere fermata.
Un vento freddo e leggero, che
tagliava la pelle e screpolava le labbra, si sollevò d’un tratto, quasi un
presagio di morte.
Il giovane uomo prese da dentro
l’armatura un pendente d’oro che portava al collo, aprendolo ed osservandone a
lungo il contenuto, per poi abbozzare un leggero sorriso. Lo stava ancora
osservando quando un essere deforme ed inguardabile, con il corpo interamente
coperto da bende sfilaccianti e incrostate di sangue, gli si avvicinò; malgrado
le sue forme orribili, indossava un pregevole, per quanto disastrato, abito da
soldato, con tanto di mantello, ed in
testa aveva ancora qualche capello arancio fuoco, ma la maggior parte del capo,
soprattutto sulla destra, era completamente bruciata, e coperta solo da una
leggera peluria.
Ciò nonostante, anche i suoi occhi,
che apparivano a stento tra le bende, trasudavano orgoglio e determinazione, lo
sguardo di qualcuno che non aspetta altro che di morire, ma che si riserva di
farlo solo dopo aver portato con sé quanti più nemici possibili.
«I nostri uomini sono pronti, vostra
maestà.» disse con una gracchiante e roca voce di donna.
Il giovane uomo chiuse rapidamente
il ciondolo, rinfilandolo nell’armatura e riacquistando lo stesso sguardo di
poco prima.
«E l’aviazione?»
«È in arrivo. Cinque navi.»
«Immagino ci dovremo accontentare.
Prepararsi alla battaglia.»
«Sì, maestà».
Un soldato venne a portare un
bell’unicorno bianco sporco, il giovane uomo vi salì e si diresse a passo lento
verso i suoi uomini, che attendevano dietro il crinale. Nei loro sguardi
c’erano amarezza e sconforto, alcuni piangevano, altri pregavano, altri
sembravano sul punto di usare le proprie spade per aprirsi la gola, così da
evitare inutili sofferenze in battaglia.
«Uomini!» disse il giovane uomo «In
questi due anni mi avete servito fedelmente e con valore! Comunque vada, voglio
che sappiate che è stato per me un onore, avervi comandato e accompagnato in
battaglia così tante volte!
Lo so che avete paura, e che pensate
sia inutile trovarci qui! Ma per ogni secondo che guadagneremo, per ogni nemico
che abbatteremo, sarà una possibilità di salvezza in più per coloro che, alle
nostre spalle, stanno preparando l’ultima difesa! E se questa sarà davvero la
nostra ultima battaglia, ebbene io dico, portiamone con noi il più possibile!».
I soldati, rincuorati ed infervorati
dalle parole del giovane uomo, alzarono le armi gridando a squarciagola, poi
corsero ognuno al proprio posto formando i ranghi e preparandosi alla battaglia
con rinnovato vigore.
Alle prime luci dell’alba, quando il
sole aveva già iniziato a comparire all’orizzonte, i due eserciti erano fermi
l’uno di fronte all’altro sulle due sponde della bassa vallata che sarebbe
stata il campo di battaglia.
La differenza di forze era più che
evidente; l’esercito avversario doveva essere composto come minimo da centomila
uomini, armati di cannoni, fucili, stregoni e velieri, mentre il giovane uomo
ne aveva ai propri ordini poco più di trentamila, male equipaggiati e stanchi.
I soldati nemici, poi, erano
spaventosi; sembravano un esercito di fantasmi, rinchiusi a tal punto nelle
loro armature scure che non una parte del corpo era visibile. Stesso dicasi per
gli stregoni, avvolti in lunghe tonache nere con i cappucci tirati e il viso
coperto da dei baveri.
Il giovane uomo fece un cenno, e
furono sparate le prime bordate; i nemici non fecero alcun tentativo di
evitarle, restando immobili e fermi come migliaia di statue, anche quando le
navi, finalmente sopraggiunte presero a volare sopra di loro bombardandoli con
tutto quello che avevano.
Poi, improvvisa, la risposta. Dopo
aver perso almeno mille elementi senza reagire l’esercito nemico di colpo
sembrò destarsi, i cannoni tuonarono, gli stregoni si svegliarono e i galeoni
presero ad ingaggiare la flotta avversaria con rapidità ed efficienza,
impedendo qualsiasi tentativo di supportare le unità di terra.
A quel punto, il giovane uomo
sguainò la spada, ed al suo comando gli uomini si lanciarono giù dalla collina,
imitati dai nemici, producendo un urto che si tradusse in un frastuono
assordante di spade, scudi e lance.
I soldati nemici combattevano come
tante macchine, senza lasciar trasparire stanchezza né emozioni; colpivano con
fredda e spietata precisione, uccidendo rapidamente un nemico per poi
concentrarsi subito su di un altro.
La battaglia fu tremenda, e durò
diversi, interminabili minuti.
In sella al suo unicorno, il giovane
uomo si batteva come un leone, mulinando la spada nell’aria e trafiggendo
chiunque gli si avvicinasse; poi, d’improvviso, un nemico riuscì ad afferrargli
il mantello, tirandolo giù da cavallo, ma rialzatosi velocemente quello
continuò a battersi con più foga di prima.
Venne ferito più volte, in varie
parti del corpo, ed in breve si ritrovò coperto di fango e sangue, non solo
suo.
L’essere bendato combatteva al suo
fianco, con una foga ed una furia incontrollabili; era stato trafitto e ferito
gravemente più e più volte, ma nonostante ciò continuava a battersi, fino a
che, sopraffatto da dieci nemici che lo infilzarono contemporaneamente, venne
travolto, urlando imprecazioni e maledizioni con la sua voce gracchiante e
spaventosa.
Il giovane uomo nel mentre aveva
ormai esaurito tutte le sue forze, cadendo in ginocchio e sorreggendosi sulla
spada. Ansimava, stringeva i denti per il dolore, e si aspettava di essere
finito da un momento all’altro.
Invece, di colpo, i nemici si
fermarono, allontanandosi dal giovane uomo, ormai rimasto il solo del suo
esercito ancora in vita, fino a formare attorno a lui un vasto piazzale. Dopo
poco si aprirono ulteriormente, lasciando che un altro giovane, questa volta
poco più di un ragazzo, raggiungesse il giovane uomo; era bellissimo, capelli
bianchi leggermente scompigliati, pelle candida e bel portamento, ma occhi
rosato che facevano gelare il sangue, da freddi che erano.
Il giovane uomo alzò lo sguardo,
incrociando quello del ragazzo, che sorrise malevolo.
«È passato un po’ di tempo,
altezza».
Vedendolo, il giovane uomo digrignò
i denti, e sforzandosi con tutto sé stesso riuscì infine a rimettersi in piedi,
alzando la spada in segno di sfida; il giovane sorrise in modo ancor più
evidente, poi a sua volta mise mano alla spada, gettandosi il mantello alle
spalle.
I due si scrutarono silenziosamente
a lungo, mentre il vento si faceva sempre più forte, poi il giovane uomo scattò
in avanti urlando con tutta la sua voce; il ragazzo lo attese, e tra i due
scoppiò un violento duello, che i soldati tutto attorno si limitarono ad
osservare senza voler apparentemente intervenire.
Anche il ragazzo si rivelò essere
uno spadaccino di talento, capace di resistere agli assalti del giovane uomo
senza particolari difficoltà e limitandosi a stare sulla difensiva; ma, forse,
non aveva fatto i conti con la furia ceca del suo nemico, che approfittando di
un istante favorevole prima lo sgambettò, facendogli perdere l’equilibrio,
quindi lo gettò a terra, buttandosi immediatamente sopra di lui e puntandogli
la spada alla gola.
Ancora una volta, i soldati tutto
attorno restarono immobili a guardare, senza cercare di fare nulla per salvare
il loro comandante. Questi, nonostante avesse la morte ad un tiro di sguardo,
continuava a sorridere, mentre al contrario il giovane uomo sembrava esitare;
ansimava per la fatica, e le sue mani tremavano, ed il tremore raggiungeva
anche la punta della spada, sospesa a pochi centimetri dal collo candido del
ragazzo.
«Cosa c’è? Non hai il coraggio di
farlo?»
«Hai idea…»
ringhiò il giovane uomo sgranando gli occhi «Hai idea di quanti siano morti a
causa tua?»
«E allora che stai aspettando? Colpisci».
Ma il giovane uomo continuò ad
esitare, nonostante avesse abbassato leggermente la punta della spada, che
ormai sfiorava la pelle del ragazzo.
«Io… io ti
uccido…»
«E allora fallo.» disse il ragazzo,
che poi distorse il suo bel viso in una terrificante espressione «Papà».
Quella parola rimbombò come un tuono
nelle orecchie del giovane uomo, che restò paralizzato. Il tempo di un istante,
e subito dopo aver sentito una fitta improvvisa si ritrovò con la spada del
giovane piantata nell’addome.
Il giovane uomo sgranò gli occhi,
mentre fiotti di sangue gli sgorgavano dalla bocca e dalla ferita, e come il
ragazzo ritrasse la spada tutto si fece improvvisamente nero.
NOTA DELL’AUTORE
Salve a tutti!^_^
Questa è la mia prima fanfic su Zero No Tsukaima, un
anime che ho conosciuto da poco ma del quale mi sono immediatamente innamorato.
Vorrei però fare una precisazione.
Questa fanfic
che (spero) leggerete, è una animezzazione, per così
dire, di un romanzo che sto scrivendo. Avevo iniziato a scriverlo già da
qualche tempo, e un bel giorno ho deciso di riadattarlo per farlo combaciare
con i personaggi e la storia dell’anime.
Se non avete ancora finito di vedere
la serie, mi raccomando, attenti agli spoiler!
Io vi ho avveriti!^_^
Grazie a tutti quelli che leggeranno
e (spero) commenteranno!
A presto!^_^
Carlos Olivera