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Autore: Daisy Pearl    01/04/2012    13 recensioni
Avete mai pensato che possa essere la cattiva la protagonista di una storia?
Marguerite non è nè santa nè dolce. Tutt'altro.
Lei sà giocare ad un gioco particolare, un gioco di sguardi ed è abituata a vincere.
Ma cosa potrebbe accadere se un paio di begli occhi verdi dovessero batterla per la prima volta in questo strano gioco?
Bè leggete e scopritelo!
Attenti agli sguardi!
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
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Il primo paragrafo di questo mio nuovo capitolo contintiene una scena a raiting (si scrive così?) rosso, quindi chi non volesse leggerla può saltare al secondo paragrafo anche se non so se sarà chiaro quello che succederà.
La scena non è spintissima, ma nemmeno così casta, quindi a voi la scelta!! buona lettura :)
Daisy





GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 10

“Un parcheggio?” persino a me sembrava squallido.
Derek fece spallucce come se la cosa non gli importasse.
“Andiamo da qualche altra parte?” chiesi mentre il nervoso cominciava a salirmi.
“Hei Baby. Prendere o lasciare!” esclamò con strafottenza.
Baby? Mi aveva davvero chiamata in quel modo?
Ma che razza di persona è uno che chiama una ragazza BABY? O è uno che si sente esageratamente figo o un perfetto sfigato.
Avevo voglia di divertirmi e non mi andava di discutere con quell’emerito deficiente. Le cose si dovevano fare a modo mio. Punto.
Mi avvicinai alle sue labbra sogghignando. Non sapeva ancora con chi aveva a che fare.
Iniziai a sfiorarle e subito il suo respiro si fece infinitamente più corto. Si eccitava come niente quel ragazzo infatti non lo stavo neppure baciando!
“Andiamo?” ridomandai.
Lui ebbe quasi difficoltà a rispondermi.
“N-no piccola. Decido io!”.
Come potevo trattenere una delle risate migliori della mia vita? Ma dico, questo deficiente quanti neuroni aveva nel cervello? Due?
Voleva pure decidere lui. Assurdo!
Era ora di fargli vedere di cosa ero capace.
I miei occhi incontrarono i suoi azzurri.
Intrecciai il mio sguardo col suo. Non poteva più sfuggirmi. Era in trappola, e io, dentro di me, esultavo.
Amavo ciò che ero e quello che facevo.
Lui non riusciva più a staccare gli occhi dai miei. Era così soddisfacente. Meglio addirittura dell’orgasmo.
Sorrisi fatale.
Sù, andiamo nel tuo appartamento!’ fu il mio comando silenzioso.
Il suo sguardo per una frazione di secondo si fece vitreo, segno che il comando era passato. Poi gli occhi riassunsero la loro normale luminosità.
Senza una parola mise in moto la macchina. Sorrisi beffarda.
Le cose si facevano come decidevo io!
“Come mai hai cambiato idea?” il mio tono era derisorio. Per quel poco che lo conoscevo quel ragazzo mi stava antipatico. Capii come mai Caren si fosse trovata così bene con lui.
Però aveva un punto a sua vantaggio. Ovvero l’essere un gran figo! E di solito i fighi sono bravi a letto. Quindi andava più che bene.
“Io credo che saremmo più comodi nel mio appartamento!” rispose risoluto.
Che sciocco a credere di aver preso quella decisione autonomamente.
“Ottima scelta!” sussurrai compiaciuta dell’ottimo risultato. Come si suol dire, avevo fatto un lavoro pulito! Non avevo lasciato alcuna traccia.
“Cosa?”
“Niente!” ribattei con voce sensuale posando una mano sulla parte alta della sua coscia.
Lo sentii irrigidirsi. Una volta arrivati a destinazione sarebbe esploso e lì sì che sarebbero iniziati i giochi.
Sorrisi pregustando mentalmente quel fatidico momento.
Arrivammo poco dopo ad uno di quei soliti palazzi che popolavano il campus.
Quando giungemmo alla porta del suo appartamento ancora non c’eravamo nemmeno sfiorati. Possibile che dovessero capitare a me tutti i ragazzi privi di senso di iniziativa?
Non capivo proprio perché ancora non mi avesse nemmeno baciata. In quel posto la gente era strana.
Purtroppo capii la motivazione non appena entrammo.
La sua casa era splendida. Finemente arredata e fornita di qualsiasi tipo di oggetto.
Mi ci volle una gran forza di volontà per trattenere un urlo di stupore.
Ma lui percepì il mio silenzio e ne approfittò.
“Bella vero?” domandò orgoglioso.
Non risposi per non dargliela vinta. Ma a lui poco importava, probabilmente era solo una domanda retorica.
“Questo l’ho comprato a….” E così iniziò a raccontarmi la storia di tutti gli oggetti e dell’arredamento di quel posto.
Dove li aveva comprati, perché, quanto li aveva pagati e  via dicendo.
Io ero esterrefatta. Capii perché non voleva andare nel suo appartamento, dopotutto sapeva che avrebbe passato diversi minuti a compiacersi delle cose in suo possesso.
Il mio cervello si spense dopo circa due secondi da quando aveva iniziato quella noiosa litania, non facevo altro che pensare a come avrei potuto farlo tacere. Stavo vagliando le metodologie più cruente quando mi resi conto che se lo avessi ferito o ucciso (tentazione fortissima) non avrei avuto niente di quello che speravo, ovvero buono e sano sesso.
Allora mi balenò nella mente un altro modo per zittirlo, forse il più efficace.
Mi avvicinai ondeggiando a lui e gli gettai le braccia al collo.
Con passione mi dedicai alle sue labbra che, dopo un’infinitesima resistenza, iniziarono a ricambiare il bacio.
Esso divenne più intimo e profondo e i nostri respiri si fecero corti e affannati.
Le nostre lingue, avvinghiate, cercavano il possesso dell’altro quasi in maniera disperata.
Lui mi trascinò, senza staccarsi da me, in quella che doveva essere al camera da letto.
Ci buttammo a peso morto sul materasso esplorando i nostri corpi.
Le sue possenti mani mi accarezzarono i fianchi possessivamente e poi pian piano risalirono incendiando la mia pelle. Così facendo mi tolse la maglietta ed io rimasi solo con un succinto reggiseno rosso. Lui si leccò le labbra squadrandomi attentamente prima di tuffarsi tra i miei seni e prendere possesso di loro con la sua lingua.
I suoi gesti mi facevano impazzire, volevo di più. Il mio corpo fremeva per avere di più.
In un attimo ribaltai le posizioni, finii così, con un colpo di fianchi, sopra di lui e sorrisi gioiosa. Lui mi lanciò uno sguardo malizioso mentre io liberavo con assoluta lentezza il suo corpo dai vestiti ormai superflui. Passai con un dito sui contorni definiti dei suoi addominali, partendo dall’alto per giungere sempre più in basso. Poi sostituì il dito con le labbra e la lingua.
La sua tartaruga fremeva sotto di me, ma lui non si mosse. Sentivo contro le mie cosce la sua eccitazione, ma non mi bastava. Lo volevo allo stremo, così sarebbe stato più passionale.
Derek cercò di raggiungere con le mani i miei fianchi per riprendere il controllo, ma io ero pronta. Gli afferrai i polsi e glieli bloccai sopra la testa per poi chinarmi sulle sue labbra.
Dapprima le sfiorai leggermente, poi iniziai a leccare i loro contorni mentre il suo respiro si faceva sempre più corto. Ghignai. Ormai mancava poco a fargli raggiungere l’eccitazione massima, eccitazione che avrebbe completamente sfogato dentro di me.
Lascando una sci di baci, mi avviai verso un suo orecchio. Ne presi il lobo tra i denti e iniziai a succhiarlo leggermente. Ormai ansimava, ma non avevo ancora terminato.
Mi diressi in basso con le mani, sfiorando la sua mascolinità e, a palmo aperto, feci pressione su essa.
In un secondo si avvinghiò a me e iniziò a baciarmi con passione, mi ritrovai così sotto di lui, senza mutandine e senza sapere come fossi arrivata in quella posizione, ma poco importava.
Lui si dedicò con estrema cura al mio collo mordicchiandolo e leccandolo, poi scese sempre di più, fino a giungere nella mia parte più calda. Lì vi lasciò infiniti baci che mi fecero emettere numerosi gemiti di piacere. Con le labbra ci sapeva decisamente fare.
Non sembrava voler smettere, infatti continuò il suo lavoretto finchè non raggiunsi il massimo piacere.
Dopo di che si allontanò da me per togliersi i boxer e infilarsi il preservativo. Tutto ciò lo fece dandomi le spalle.
Poi finalmente entrò in me con una spinta quasi disperata.
Sospirai. Sapevo come ottenere ciò che volevo. Come potevo non essere fiera di me?
 
 
 
Dove accidenti erano finite le mie mutandine? Le stavo disperatamente cercando per la stanza sotto lo sguardo soddisfatto di Derek.
Era fastidioso come se ne stava comodamente sdraiato su quel letto con le gambe spalancate e la sua mascolinità moscia in bella vista. Nonostante lui fosse un bel ragazzo quella vista era orribile. E come se non bastasse continuava a fissarmi strafottente, come se lui fosse il figo e io la fortunata puttanella che si era portato a letto.
Numero uno: era lui ad essere stato fortunato.
Numero due: non era bravo a letto come lo era con la bocca, decisamente no.
Fatto sta che io cercavo le mutandine e lui mi guardava. E a me saliva il nervoso.
Così mi avvicinai al suo viso minacciosa.
“Hei!” iniziò quasi compiaciuto “Vuoi il bis baby?”.
“La prossima volta …” dissi scandendo bene ogni parola con un tono glaciale “… che mi chiami baby ti stacco gli attributi chiaro?”.
Lo vidi ridacchiare e mi salì la voglia di farlo davvero.
Avevo però modi migliori di vendicarmi, come usarlo o ferirlo. Il dolore dell’anima dura di più di quello del corpo.
Mantenni la calma e sogghignai incontrando i suoi occhi.
Cerca i miei vestiti!’. Sorrise.
“Ti aiuto io a cercare i vestiti!” esclamò alzandosi, finalmente, da quel cavolo di letto. Mi sedetti e lo osservai cercare per tutta la stanza.
“Eccole!” gridò entusiasta sventolando le mie mutandine per aria. Sorrisi compiaciuta. Me le diede e io mi rivestii in un batter d’occhio.
Lui aveva ripreso a squadrarmi da capo a piedi come fosse un maniaco.
“Forse tu non sai con chi sei andata a letto …” disse compiaciuto.
Lo guardai alzando un sopracciglio.
“Dovrei saperlo?” il mio era un tono di scherno.
“Io faccio il modello!” esclamò con gli occhi che gli brillavano di soddisfazione.
Il modello. Si spiegava almeno come mai avesse una tartaruga perfetta.
Probabilmente si aspettava che, dopo tale rivelazione, iniziassi ad urlare e a correre per la stanza come una di quelle classiche ragazzine di 12 anni. Ma io non ero così.
Colsi l’occasione.
“Buffo! Dicono che i modelli sappiano fare sesso, mentre questa è stata la volta peggiore della mia vita!” gli sorrisi fredda e soddisfatta.
Lui sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Sembrava ferito.
Avevo centrato il bersaglio alla perfezione. Come potevo non essere fiera di me?
Uscii ridendo dalla stanza. Dopotutto aveva avuto quello che si meritava.
Camminando verso casa riflettei. Quella sera avevo imparato qualcosa di fondamentale: mai farmi un ragazzo scelto da Caren, aveva dei pessimi gusti.
Ridacchiai di fronte a quel pensiero.
Entrai nell’appartamento e ancora una vota quella pazza dai capelli rossi si accanì su di me come una furia.
Ormai era diventato un vizio?
Come era possibile che ogni volta che tornassi lei fosse lì ad attendermi con gli occhi in fiamme e la rabbia in corpo?
“Dov’è Derek?”
Ma com’era possibile che fosse così monotona?
Dov’è Rob, dov’è Derek. Ma insomma! Ancora non era riuscita a capire di non essere in grado di tenersi un uomo? Che sfigata.
“Tranquilla. Non ti sei presa niente” sogghignai pregustando la sua reazione.
Si fece rossa in viso e il suo sguardo non faceva altro che lanciarmi silenziose maledizioni.
Che soddisfazione.
“Lo sapevo!” sbraitò “Lo sapevo che era con te!”.
Risi schernendola. Davvero pensava che avrei lasciato il divertimento solo per lei? Che stupida!
“Fidati! Non ti sei proprio persa niente! Era poco dotato e non molto bravo!”.
“Te lo sei pure portato a letto!” urlò di nuovo.
Mi portai le mani alle orecchie sperando di poter attutire quel fastidiosissimo suono che proveniva dalla sua bocca.
“La pianti sbraitare come una pazza psicopatica?” dissi infastidita.
Se possibile, la sua rabbia quadruplicò. La vidi digrignare i denti come un cane rabbioso. Poi fece dietro front e si chiuse in bagno.
Non potei fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata. Ma possibile che quella ragazza reagisse sempre nel medesimo modo? Era così prevedibile! Ed io ero così annoiata da quella sua prevedibilità.
Indossai il pigiama ancora sogghignante quando lei mi degnò nuovamente della sua presenza.
“Perché?” chiese semplicemente.
Nel suo tono non vi era più rabbia. Solo qualcosa di simile alla rassegnazione. Si stava rassegando alla mia evidente superiorità.
Come biasimarla?
Mi avvicinai fino a un palmo dal suo naso. Ghignai.
“Perché cosa?”. Volevo godermela la vittoria. E quale modo migliore c’era se non quello di umiliare colei che si era dichiarata sconfitta?
Lei sbuffò rassegnata. Sapeva che doveva rispondermi.
“Perché l’hai fatto? Tu puoi avere tutti gli uomini di questo mondo, perché non mi hai lasciato Derek? Almeno per una notte!”.
Il mio sorriso si estese oltre ogni limite. Ma davvero non lo capiva?
“Ho visto che ci tenevi …” i miei occhi incontrarono i suoi e, sebbene non stessi usando i trucchetti, la vidi rabbrividire.
“ … Insomma, eri così accecata dalla felicità di aver rimorchiato un tipo che non fosse Rob che hai fatto la scelta sbagliata, mia cara Caren. Hai deciso di mostrarmi la tua conquista come un trofeo, sperando che, almeno una volta, io avrei provato invidia nei tuoi confronti.
Ma hai fatto male, come al solito, i calcoli.
Io sono andata a letto con lui per due fondamentali ragioni: la prima è che mi annoiavo, la seconda è che amo vederti così. Amo vincere. Amo essere la migliore e poter ottenere ciò che voglio. Amo che gli atri non si mettano contro di me. Amo vederti arrabbiare perché questo mi diverte.
Vuoi sapere perché l’ho fatto? Per divertimento e per gioco, semplice!”.
Conclusi il mio monologo di fronte ad una Caren sempre più livida di rabbia.
“Sei proprio una stronza! Come fai? Non puoi accontentarti di vivere la tua vita senza rendere impossibile quella degli altri?”.
Ridacchiai.
“Potrei, ma non sarebbe divertente!”.
“Sei una bastarda!” concluse guardandomi con disprezzo.
Aveva ragione, io ero una bastarda. Ma ero tremendamente fiera di esserlo.
Lei invece era solo una fallita.
“E’ esattamente quello che dovresti essere anche tu! Solo che tu non sei come noi e me ne rendo conto sempre di più. Tu sei l‘anello debole! Lo sei sempre stata! Non so Alan che potenzialità abbia visto in te …” ero quasi schifata. Lei mi ascoltava in silenzio. La rabbia era di nuovo sfumata, ma non riuscivo a definire la sua espressione. Era delusa o triste?
“Tu dovresti essere come me e Rob! Incurante di tutto e di tutti, forte, spavalda, e nessuno dovrebbe essere in grado di metterti i piedi in testa, almeno non con facilità! Tu invece non sei così, ci provi, ma non ci riesci. Non sei nata per questa vita!”.
Un amaro sorriso si estese sul suo volto.
“Io sono come voi!” ribattè.  La guardai scettica.
“Ho solo meno potenza, meno forza. Non lo so perché, ma sono esattamente come voi!”.
Sembrava un vano tentativo di convincere sé stessa piuttosto che me.
“No Caren! Tu sei una DEBOLE! Una vergogna!” ripetei tagliente.
“NO!” urlò “Te lo proverò!”.
Risi.
“E’ proprio qui che sta il tuo problema. Tu non dovresti provare niente a nessuno. Non dovrebbero nemmeno sfiorarti le mie parole! Dovrebbero farti ridere, non farti soffrire. È questo che fa di te una DEBOLE!” enfatizzavo sempre di più quella parola.
Lei fece per aprire la bocca per ribattere, ma poi la richiuse senza far uscire alcun suono.
Non aveva più niente da dire. In silenzio raccolse la borsa e si diresse verso la porta.
“Pagherai tutto Mar! Dalla prima all’ultima tua azione puoi starne certa!”.
Ghignai.
“Uuuu tremo di paura!” era così divertente farsi beffe di lei!
Scosse la testa come rassegnata.
“Ti detesto!” esclamò con disprezzo.
Come se ciò potesse ferirmi.
“Lieta di sentirtelo dire!”.
Chiese con forza la porta dietro di sé.
 
 
 
La mattinata era a dir poco splendida. Il sole riscaldava il cielo, ma non la terra. Faceva molto freddo per essere l’inizio di ottobre. Mi strinsi nel mio cappotto nero dirigendomi verso il palazzo dove si tenevano le lezioni quando mi sentii placcare di lato.
Letteralmente.
Emily mi era praticamente saltata addosso nel tentativo di abbracciarmi, e ci mancò poco che io non cadessi a terra.
Ma che diavolo stava facendo? Cercai di allontanarla da me ma lei non mollava la presa.
Assunsi un’espressione quasi schifata.
“Dio Mar! Sono troppo felice!” esclamò ridacchiando.
Finalmente la allontanai da me e la guardai in faccia. Dire che era euforica era un eufemismo. Il sorriso le partiva da un orecchio per andare a terminare all’altro. Se non l’avessi visto con i miei occhi, non avrei mai creduto che un essere umano potesse estendere così tanto le proprie labbra.
Assunsi un’espressione interessata, ero o non ero la suaamicona?
“Rob?” al solo nominarlo i suoi occhi scintillarono. Annuì con foga.
Sorrisi a mia volta, come se fossi sinceramente felice per lei.
“Racconta!”. Non se lo fece ripetere due volte.
“Ieri sera mi ha portata in un ristorante stupendo, tutto decorato con candele profumate. E mi ha detto un sacco di paroline dolcissime, e…” divenne rossa come il sole al tramonto.
“E ..?” incalzai ostentando curiosità.
“Ha detto che crede di AMARMI …” imbarazzata abbassò lo sguardo.
Bleah! Mamma mia Rob com’era esagerato. Avrebbe potuto conquistare Emily anche senza usare questi mezzucci. Comunque così aveva accelerato solo le cose.
Bene.
Molto bene.
“Sai Mar …” continuò quasi sottovoce “… credo di AMARLO anche io!”.
Sorrisi radiosa. Questa volta il mio sorriso non aveva nulla di falso. Ma naturalmente non ero felice per lei, quanto piuttosto per ME!
Non potevo sperare in meglio. Tutto procedeva alla perfezione. Presto avrei potuto sperimentare l’automatizzazione su di lei.
Ero euforica, almeno tanto quanto lei.
Ma subito mi ricordai che dovevo recitare il ruolo della brava amica premurosa e feci sparire quel barlume di felicità dalle mie labbra.
“Emily …” iniziai, ma mi interruppe.
“So cosa vuoi dirmi!”. Alzai un sopracciglio scettica.
“Sei ancora preoccupata per me perché pensi che lui sia un donnaiolo e che mi abbandonerà alla prima occasione, ma non succederà. Te lo assicuro! Lui mi guarda in un modo …”.
“Mai fidarsi degli sguardi! Possono abbindolarti, stregarti e celare …” dissi.
Quanto c’era di vero in quelle parole!
“Lo sguardo non mente MAI!” asserì sicura.
Stava proprio in quest’ultima frase il nocciolo della condizione dei comuni esseri umani.
Essi erano convinti  che negli occhi si trovi sempre e solo la verità, ma chi meglio di me poteva sapere quanto essi possano trarre in inganno?
Questa convinzione spingeva loro in trappola. Trappola che scattava quanto per sbaglio uno di loro incontrava il NOSTRO sguardo.
Quelle riflessioni mi fecero sentire forte. Io avevo in mano un potere davvero enorme. Ed era fantastica tale consapevolezza.
Fummo interrotte da una voce di scherno.
“Ma guarda un po’ chi si vede. La zoccola e il topo con gli occhiali!”.
Mike, con mio enorme disappunto, aveva la stessa voce di qualche giorno prima e non sembrava portare segni evidenti della mi vendetta.
Gli sorrisi beffarda.
“Ma guarda un po’. La quasi donna!” sogghignai di fronte all’espressione arrabbiata che assunse.
“Sei proprio una zoccola!”. Caspita. Che coraggio! L’ultima volta che me lo aveva detto si era ritrovato un mio ginocchio tra le gambe, e la cosa non doveva essergli piaciuta più di tanto. Ripensai alla scena e sorrisi. Erano stati bei momenti.
Mi avvicinai letale, ma senza abbandonare la grazia.
“Dimmi Mike. Vuoi che ti faccia PIU’ male rispetto alla volta scorsa?”.
Sbarrò gli occhi per una frazione di secondo poi tornò a fissarmi negli occhi arrabbiato.
Povero Mike. Pessima, pessima scelta.
“Sei proprio una …” si interruppe. Ormai il suo sguardo era stato catturato dal mio. Irrimediabilmente. Non stavo usando trucchetti, ma solo la naturale magneticità dei miei occhi. Incutevano timore, oltre che ordini.
Sembrava che volesse sfuggire al mio controllo, ma gli era difficile. Assunse un’espressione turbata.
“Non ci infastidire più Mike, se ci tieni ai tuoi testicoli!” sussurrai piano per non farmi sentire da Emily.
Lui deglutì visibilmente spaventato da quella minaccia. Lo lasciai libero e schizzò via.
“Caaaaaaspita!” esclamò colpita Emily “Sei coraggiosa almeno quanto Rob!”.
Non ne potevo più nemmeno di sentir nominare Rob con quel tono innamorato.
Stavo per risponderle male quando mi ricordai della parte che dovevo interpretare.
Quella della brava ragazza.
A volte era dannatamente difficile fingere che mi importasse qualcosa degli altri. Io, per natura, pensavo solo a me stessa.
“Grazie Emily!” mi sforzai di sorriderle.
Ricambiò.
 
 
I due giorni seguenti trascorsero lentamente e per me furono particolarmente noiosi.
Non avevo proprio niente da fare. Nessuno da importunare o da far innervosire. Cercavo di non usare i trucchetti e aspettavo impazientemente che Rob facesse la prossima mossa con Emily.
A quanto pare il loro rapporto in quei giorni stava proseguendo in maniera idilliaca. Erano inseparabili e si guardavano con occhi colmi d’amore!
Puah! Erano disgustosi.
Eppure ogni volta che li incontravo dovevo fingere di essere enormemente felice per loro e dovevo impegnarmi per non vomitare.
L’idea di avere un obbiettivo mi permetteva di fare tutto ciò, ma mi stavo annoiando comunque.
Come se non bastasse Caren aveva preso ad evitarmi, se non altro aveva capito che era meglio non svegliare il can che dorme.
Così io passavo le mie serate in un locale scelto a caso, rimorchiavo, passavo una notte da sballo e il mattino dopo ero di nuovo costretta a fingere di essere quella che non ero.
Rimpiangevo di non essere a villa lux, dove potevo mostrare tranquillamente la mia vera natura, dove non dovevo nascondermi.
Finalmente giovedì mattina arrivò la svolta che tanto aspettavo.
Entrai in aula e come al solito Emily aveva già preso posto in prima fila. Mi avvicinai a lei e mi sedetti accanto.
Non la vedevo in volto perché la sua folta cascata di capelli la ricopriva completamente mentre era intenta a scribacchiare qualcosa sul suo quaderno.
Probabilmente di trattava di appunti. Sospirai di sollievo nel vedere che ancora Rob non era arrivato, almeno non mi sarei dovuta sorbire i loro sbaciucchiamenti di prima mattina.
“Buongiorno!” la salutai con finto entusiasmo.
La vidi sobbalzare e alzare o sguardo su di me.
“Dio Mar! mi hai fatto prendere un colpo …” disse portandosi una mano sul petto come per voler controllare se i suoi battiti erano tornati alla normalità dopo lo spavento.
Così facendo mi fece intravedere il foglio sul quale si stava accanendo fino a poco prima. Avrei preferito di gran lunga non posare i miei occhi su esso dove il nome di Robert troneggiava insieme ad uno svariato numero di cuoricini.
Poi, improvvisamente lei sorrise. Un sorriso radioso. Il sorriso che ha un bambino quando riceve un regalo a lungo desiderato.
“Mar!” quasi urlò.
“Sì sono qui, ti sento!” nel mio tono c’era un pizzico di disappunto.
“Oh Mar sono così felice!”.
“Ma davvero? Non l’avevo proprio notato!” ero decisamente sarcastica.
Lei, fortunatamente sembrò non prendersela più di tanto e continuò ad essere gioiosa.
“E non vuoi sapere perché?”.
Ero la sua quasi migliore amica, DOVEVA importarmi la motivazione della sua gioia.
Annuì. Almeno quel gesto non mi  richiedeva un grosso sforzo.
“Bè ieri Rob, mentre mi baciava, ha messo una mano sotto la mia maglietta.
All’inizio l’ho scostata, insomma io non sono quel genere di ragazza. Sai, temevo si sarebbe arrabbiato e invece è stato dolcissimo. Mi ha detto che se non ero pronta mi avrebbe aspettata.
Ma poi mi ha guardata con quegli splendidi occhi azzurro cielo che si ritrova. Oh Mar! Dovevi vederli.
Erano così pieni di amore! Allora mi sono domandata cosa ci fosse di sbagliato nel concedermi all’uomo che amo e da cui sono amata. E sono giunta ad una conclusione ovvero che non c’era niente di sbagliato!”.
Mentre raccontava aveva la testa su un altro pianeta. Era persa, persa nei ricordi, in quelle fugaci immagini che tanto amava. In quel film in cui Rob stava interpretando perfettamente la parte del protagonista.
Perché non era altro che ciò. Un film. Irreale e fittizio. La bellezza di un film stava nella bravura degli attori e del regista e Rob era capace si svolgere entrambi i ruoli egregiamente.
Non dico che fossi ammirata, io ero più brava, ma senz’ombra di dubbio ero rimasta colpita.
Emily riprese a parlare arrossendo sempre di più ad ogni lettera.
“Siamo andati in camera sua e lui ha iniziato a-a baciarmi d-dappertutto e in un attimo n-non avevo più i-i vestititi addosso …”.
Ok, stavo per vomitare.
“Puoi saltare i particolari?” dissi storcendo il naso.
Lei sorrise.
“Sì, scusa. Insomma Mar! Ho fatto sesso per la PRIMA volta in vita mia e con l’uomo che amo! Ti rendi conto?”.
Se non fosse stata seduta probabilmente si sarebbe messa a saltare per la gioia.
Era raggiante. E lo ero anche io. Non mi aspettavo un simile passo, ma ciò non poteva far altro che volgere a mio favore.
Questo avrebbe reso la loro inevitabile separazione più dolorosa, e lei si sarebbe ritrovata sola e distrutta con me al suo fianco a raccogliere i frammenti del suo fragile cuore spezzato. Si sarebbe fidata di un’unica persona, quella che l’aveva sempre messa in guardia, quella che l’aveva difesa, quella che le aveva dato consigli, quella che le era amica.
Si sarebbe fidata unicamente di ME.
Ero troppo felice. Le cose andavano sempre meglio grazie a un mix di fortuna e bravura.
Ero una grande stratega! Non mi rimaneva altro che parlare con Rob.
“Fantastico! Oddio! Sono così felice per te!” non mi fu nemmeno difficile fingere di essere euforica, infondo lo ero, anche se non per le ragioni che credeva lei.
“Non puoi immaginare quanto sia felice io! E’ stato come un sogno. Mi ha fatta sentire a mio agio e non mi ha fatta neppure male!” sospirò innamorata.
La guardai con un po’ di compassione. L’amore rendeva le persone così fragili, così ceche. Era come se ad ogni innamorato venissero poste delle grosse fette di salame di fronte agli occhi. Era questo che faceva soffrire.
Era un miliardo di volte meglio la mia vita rispetto alla sua.
“Vedo che sei felice, ma Emily …”. Lei  alzò gli occhi al cielo e sbuffò per l’ennesima.
“Lo SO Mar. LO SO ok? Sto attenta!”.
Sospirai come se fossi tremendamente preoccupata per lei.
In quel momento Rob fece la sua entrata trionfale. Si avvicinò alla sua finta anima gemella e le diede un tenerissimo bacio a fior di labbra. Lei gli gettò le braccia al collo felice.
La scena era davvero disgustosa. Fulminai Rob con lo sguardo mentre la abbracciava.
Lui ghignò soddisfatto della mia espressione. Bene! Si stava dirigendo dritto dritto nella mia rete.
La lezione incominciò e per la prima volta in vita sua Emily non stava scrivendo come un’ossessa. La vedevo fissare di sottecchi Rob e scambiarsi paroline dolci che per fortuna non sentivo, altrimenti non sarei proprio riuscita a resistere in quell’aula.
Mi sentì toccare il gomito che avevo poggiato sul banco e mi voltai per vedere chi fosse stato.
Emily sorridendomi radiosa mi passò un bigliettino.
 
‘ Da quando ti conosco la mia vita ha preso una piega inaspettatamente positiva. Mike ha smesso di rendermi la vita impossibile, ho conosciuto Rob e ho trovato un’amica, una vera amica! Ti voglio bene.
Emily.’
 
Quelle poche parole avrebbero potuto sciogliere anche il cuore più duro, ma probabilmente io non ero dotata di quell’organo perché non mi fecero tenerezza.
Riuscii solo a pensare a quanto fosse tremendamente ingenua e stupida a credere così cecamente a delle persone che conosceva da così poco tempo.
Ancora una volta mi complimentai con me stessa per l’ottima scelta che avevo fatto. Emily era proprio perfetta per il mio esperimento, era così tremendamente fragile.
 
‘Anche io ti voglio bene Emy!’
 
Scribacchiai.
La lezione finì piuttosto velocemente, soprattutto perché, pur di non guardare i due piccioncini lanciarsi sguardi da carie, ero stata attenta per tutto il tempo e per mia fortuna l’argomento trattato quel giorno mi aveva interessata particolarmente.
All’uscita dall’aula trattenni Robert per un braccio.
“Rob vieni?” domandò Emily vedendo che si era fermato.
“Devo parlarci un attimo!” riposi al posto suo “Ti dispiace?”.
Sorrise.
“Non certo che no! Ci vediamo a pranzo al solito posto!” esclamò alzandosi in punta dei piedi per lasciare un bacio a stampo sulle labbra di Rob.
“Conterò i minuti che separano il nostro prossimo incontro!” sussurrò lui con voce sommessa.
Lei ridacchiò e scomparve tra la folla.
Conterò i minuti che separano il nostro prossimo incontro!” lo scimmiottai imitando falsamente la sua voce.
“Da quando dici queste porcherie?” continuai.
“Da quando QUALCUNO ha dei piani e me li tiene nascosti!” disse ammiccando.
“Perché sono piani, vero piccola Mar? O è gelosia la tua?”.
Scoppiai a ridere. Adesso sì che era tornato ad essere il solito Rob, quello strafottente e narcisista.
“Ma non farmi ridere! Sei patetico!” ghignai.
“La tua amica è patetica! Come ha fatto a creder che la amo? Non la facevo così scema!”.
Alzai le spalle.
“E’ una ragazza semplice!”.
“La difendi pure?” alzò un sopracciglio per evidenziare il suo sbigottimento.
“E’ MIA amica!” ribattei trattenendo a stento una risata. Era talmente falso quello che avevo detto da trovarlo io stessa buffo.
Lui iniziò a piegarsi in due dalle risate.
“Ahahah vallo a raccontare a qualcun altro!”.
Lo presi per il colletto della maglietta e lo obbligai a incontrare i miei occhi magnetici. Si fece serio e rimase immobile,  in trappola, come sempre.
“Non ti deve interessare perché mi serve Emily ok? Solo non farla stare male!” lo fulminai con lo sguardo.
“Se no?” il suo tono era provocatorio, il suo sguardo euforico. Sapeva cosa doveva fare per infastidirmi. Avrebbe fatto esattamente quello che io volevo facesse.
Gli avevo fatto credere, abilmente, che non volevo che venisse fatto del male ad Emily, ma in realtà volevo l’esatto contrario. Rob l’avrebbe fatta soffrire solo perché credeva che in tal modo avrebbe fatto un dispetto a me, mentre invece mi faceva solo un’enorme favore.
Sorrisi compiaciuta della mia bravura.
“Se no … bè Rob …” mi avvicinai alle sue labbra con un ghigno “… lo vedrai!”.
Girai i tacchi e lo lasciai in quel corridoio con quella luce di gioia negli occhi.
 
 
 
Quel pomeriggio decisi di fare una cosa piuttosto insolita, ovvero aprire un libro.
Prima o poi sarebbe arrivato il momento di dare degli esami e non potevo farmi cogliere impreparata.
Presi il volume composto da più di seicento pagine ed iniziai a sfogliarlo.
Non avevo voglia, ma mi costrinsi ad iniziare a leggere.
Con mia enorme sorpresa rimasi molto presa dalla lettura tanto è vero che quasi feci un salto per aria quando qualcuno citofonò.
Guardai l’orologio maledicendo lo scocciatore di turno.
Le 21:13.
Accidenti. Erano le nove e non avevo nemmeno cenato. Mi alzai a malavoglia e mi diressi verso il citofono.
“Si?” dissi annoiata.
Dei singhiozzi raggiunsero il mio orecchio. Sorrisi. Bene.
“M-mar? S-sono Emily. T-ti prego, fam-mi salire!”.
Senza una parola le aprii il portone.
I giochi stavano per iniziare.


Ecco che anche

il decimo capitolo è andato!!

Devo dire che non mi convince per niente!

ho cercato di farmelo piacere, ma non ci sono affatto riuscita. mi sembra poco chairo e noioso, ho assolutamente bisogno di sapere cosa ne pensate voi!!

Intanto ringrazio calorosamente chi ha recensito gli scorsi capitoli!! mi avete riempito il cuore di gioia.
Ma anche chi ha messo la mia stoira tra le preferite, le ricordate e le seguite!

Sono infinitamente grata ad ognuno di voi!

Lasciatemi qualche recensione!! così almeno sò se questo capitolo vi ha fatto così schifo come ha fatto a me!

Al prossimo!!

Daisy.





 
   
 
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