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Autore: Melanto    04/04/2012    8 recensioni
[Spartacus: Vengeance]
«Qual è il tuo nome?»
Come sempre, il bambino non aveva risposto ma si era preparato a essere colpito ancora. Stranamente, lo schiaffo non era arrivato, ma sul volto del dominus si era aperto un sorriso feroce.
«Sei orgoglioso. Sei testardo» aveva ghignato. «Sei uno sciocco. E io so come trattare gli sciocchi come te; i cani che si ribellano al padrone e che non obbediscono ai suoi comandi possono restare solo in un posto.»
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nasir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo un nome'
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Solo un nome

 

- PARTE II -

Il cliente dell’Ellenico non sarebbe stato il suo nuovo padrone o, come li sentiva spesso chiamare dagli altri schiavi, dominus.
Nasir lo capì quando, una volta arrivati alla villa dell’uomo, questi non gli rivolse mai la parola. Venne semplicemente affidato a delle giovani affinché venisse lavato e pettinato. Qualcuna gli aveva sorriso, parlandogli con gentilezza, ma la lingua dei romani continuava a rimanergli ostica in certi passaggi. Gli avevano detto che avrebbe dovuto fare il bravo e che sarebbe stato donato, ma il senso di quest’ultima affermazione gli sfuggì.
Il viaggio era ripreso il giorno successivo, assieme all’uomo, ai suoi soldati e alcuni schiavi. Lui era stato chiuso in un carro, da solo, in compagnia di anfore piene di vino.
Il giorno del suo undicesimo compleanno l’aveva passato così, tra cocci di argilla e suono di zoccoli.
Infine, la marcia si era conclusa e quando era stato fatto scendere e aveva potuto guardarsi attorno, aveva scorso solo immense campagne alle sue spalle, lì, dove il portone d’ingresso veniva lentamente richiuso. L’aveva capito anche dalla strana quiete che non si stavano dirigendo in una qualche città e la cosa l’aveva messo in allarme: come avrebbe fatto suo fratello a trovarlo se fosse stato troppo lontano dai centri abitati? Era in quest’ultimi che sarebbe andato a cercarlo, non di certo in posti sperduti tra boschi e campi.
Quando arrivarono a destinazione c’era il tramonto nel cielo terso di quel luogo chiamato Capua.
Mentre gli schiavi scaricavano attentamente le anfore sotto lo sbraitare continuo del mercante, lui venne lasciato ad attendere più in disparte. Una schiava dai capelli chiari gli era accanto per accertarsi che non provasse a fuggire, ma lui non sapeva nemmeno per dove avrebbe potuto. Non conosceva quei luoghi, non sapeva quanto lontani fossero dal mare né in che direzione si trovasse la Siria. Aveva perso totalmente il senso dell’orientamento e ovunque spostasse lo sguardo non vedeva che strade senza uscita. E mura.
Gli schiavi con il vino varcarono le porte della villa subito dopo il dominus, mentre lui venne fatto entrare per ultimo, seguito solo da un paio di guardie – le altre si sarebbero accampate all’esterno.
«Flavius!»
«Manius!»
Alla voce del mercante seguì quella, altrettanto gaudente ma di tonalità più profonda e autoritaria, di un secondo uomo. Nasir non riuscì a scorgerlo, la visuale era coperta dagli schiavi che restavano in piedi davanti a lui, ma da come si erano salutati, dedusse che tra i due romani vi era una sorta di amicizia.
«Infine sei arrivato.»
Flaccus si passò della stoffa sulla fronte, per asciugarsi il sudore. «Per grazia degli Dei, più ci avviciniamo a Roma e più le strade sono sicure. Certo che fa caldo anche qui! E io che credevo di trovare un minimo di refrigerio» rise. «In Sicilia rischio ogni giorno di ricongiungermi ai miei avi prima del tempo.»
Victor batté una mano sulla spalla del mercante, pronto per guidarlo dove avrebbero potuto mettersi comodi e discorrere di tempi andati, presenti e futuri, con una coppa di buon vino e della frutta rinfrescante. «Allora lascia che ti offra dell’acqua più che benedetta in momenti come questi. Kaeso.» Lo schiavo personale del dominus si avvicinò con un bicchiere e seguito da un’altra giovane. Solerte versò il liquido e lo porse al mercante, con un leggero inchino, tenendo poi la brocca in attesa di ricevere ulteriori ordini.
«Ah! Della freschissima acqua non si rifiuta mai, nemmeno per tutto il vino del mondo.» Flaccus ne bevve un lungo sorso, pur senza smettere di guardare con attenzione lo schiavo che l’aveva servito. Accennò un mezzo sorriso. «Noto con piacere che ti circondi sempre di oggetti di rara bellezza, Flavius.»
«Vivrei male la mia ricchezza se non sapessi come spenderla» rise il dominus. Le dita scivolarono voluttuosamente lungo il braccio del giovane che rimase immobile, quasi fosse di pietra.
«Buono a sapersi, almeno son sicuro che gradirai il dono che ti ho portato.»
‘Dono’. Quando Nasir sentì quella parola si irrigidì all’improvviso. Ancora nascosto dietro gli altri servitori seppe che il momento in cui avrebbe conosciuto il proprio destino era ormai prossimo.
Lui doveva essere ‘donato’. ‘Dono’, ‘donato’: erano parole simili, dovevano avere per forza un collegamento tra loro e, indirettamente, anche con lui. Strinse labbra e pugni e quel gesto non passò inosservato alla schiava che restava ferma al suo fianco e che gli toccò la spalla con decisione.
Nasir le rivolse uno sguardo a metà tra il supplichevole e il furente ma tutto quello che ricevette in cambio fu severità e monito. Anche se la donna non gli aveva detto nulla, i suoi occhi gli avevano appena ordinato: ‘non provare a fare niente o saranno guai. Per me e per te’.
Nasir ingoiò la rabbia.
«Dell’ottimo vino di Sicilia! Manius! Tu ingrossi felicemente le mie cantine!» stava dicendo nel frattempo il dominus, con entusiasmo.
«Con tutti i favori che ti devo, è il minimo.»
«Vuol dire che brinderemo con questo per suggellare ulteriormente la nostra amicizia!»
Ma Flaccus non aveva ancora terminato. Con un largo sorriso, sollevò l’indice per avere la completa attenzione del suo interlocutore.
«E proprio perché conosco i tuoi gusti, Flavius, lascia che ti offra qualcosa di speciale.» Gli bastò battere le mani una sola volta le mani e una serva comparve da dietro gli altri, preceduta da un bambino.
Fu in quel momento che Nasir vide per la prima volta il volto del dominus di quella villa.
Un uomo alto, magro. Non di certo flaccido come Flaccus né tantomeno unto di oli profumati come l’Ellenico. Capelli corti e neri, viso dai tratti marcati e naso importante. Orecchie dai grandi lobi e occhi piccoli, che brillarono di una luce sinistra che non gli piacque, tanto che la sua stessa schiena gli sussurrò la paura con un lungo brivido.
Lo vide sorridere e sulle sue labbra il piacere fu tanto genuino quanto cupido.
«Siria?» chiese estatico Victor e Flaccus si limitò a un cenno del capo e un altrettanto compiaciuto sorriso. Il dominus tornò a guardare Nasir. «Oh, sì. Conosci davvero i miei gusti.» Si avvicinò, gli prese il mento tra le mani e lo sollevò per osservarlo meglio. «Che sguardo aggressivo!» ridacchiò divertito.
«Mi hanno detto che era quello col temperamento più indomito. Ti divertirai a tenerlo al guinzaglio.»
«Sai bene che sono un ottimo addestratore e che ho dei metodi molto convincenti a riguardo, Manius.»
A Nasir sfuggivano buona parte delle parole e spostava le iridi dall’uno all’altro. Il panico iniziò a salire lungo le gambe e nel ventre quando il dominus gli carezzò le guance e poi i capelli.
«Pelle morbida e crini lucidi.» Si girò verso il mercante. «Un dono molto più che gradito. E dimmi, ha già un nome?»
«Dare il nome al proprio cucciolo è metà del piacere dell’averne uno, e poi conosco le tue regole a riguardo.»
«Un amico attento è un amico fidato e prezioso.» Victor lo disse in tono solenne prima di volgere ancora lo sguardo al suo nuovo schiavo.
In quell’istante, Nasir comprese che il viaggio era finito, che la meta ultima sarebbe stata quella villa e che suo fratello avrebbe dovuto cercarlo nelle campagne, così lontano dallo sguardo di chi avrebbe potuto dargli informazioni, e quando il dominus esordì con quel: «Ti chiamerai…», comprese anche che, oltre alla libertà, volevano portarsi via anche il suo nome. E questo non poteva accettarlo, non poteva accettarlo in nessun modo.
«Nasir!» esclamò, con foga, interrompendo Victor che rimase palesemente sorpreso da tanta irruenza e mancanza di rispetto. «Shimmee Nasir eeleh(1)
Il dominus fissò i suoi occhi scuri e lucenti, ardenti di fiamme che sembravano incontrollabili ma che lui sarebbe riuscito a soffocare. Scambiò un’occhiata con Flaccus, altrettanto perplesso, e poi scoppiarono a ridere entrambi, pienamente divertiti dai modi ribelli di quello che per loro non era niente di più che un animale.
Nasir avvertì il tentativo delle lacrime di accecarlo e fargli chinare il capo, piegarlo, ma resistette con tutta la forza che aveva, spostando lo sguardo dall’uno all’altro fino a che Victor non tornò a prendergli il viso e questa volta la sua stretta si fece ferma come una tenaglia.
«In questa casa vige la regola che gli uomini abbiano tutti nomi romani» spiegò; gli occhi fissi nei suoi sorridevano di minacce inespresse. Nemmeno si premurò che capisse appieno quelle parole. «E il tuo sarà…Tiberius.»
Flaccus levò il bicchiere vuoto, approvando la scelta; anche lui si rivolse al bambino e il sorriso gli deformò ancora di più il volto gonfio e molle. «Da oggi in poi il tuo dominus sarà il nobile Flavius Horatius Victor e tu lo servirai in tutto quello che vorrà. Hai capito?»
Ma l’unica cosa che Nasir aveva davvero compreso era che non voleva dire addio al proprio nome e non vi avrebbe rinunciato. Mai.

Venne rinchiuso nella piccola prigione sotterranea della villa non appena Flaccus ripartì alla volta di Napoli, dove avrebbe dovuto condurre degli affari prima di tornare in Sicilia.
Il livido al lato della bocca era ormai scomparso, anche se sottopelle gli faceva ancora un po’ male.
Fin dalla prima sera che era stato portato lì, il dominus gli aveva fatto visita rivolgendogli una sola domanda: «Qual è il tuo nome?», cui lui non aveva mai risposto, ma si era ostinato a guardarlo con rabbia e rancore.
Al primo rifiuto gli era stato negato il cibo. Ai successivi gli era stata tolta l’acqua e, complici il caldo e il suo fisico che era ancora troppo piccolo per sopportare simili privazioni, più volte aveva perso conoscenza.
Il dominus aveva, allora, cambiato tattica. Gli aveva ridato cibo e acqua, ma a ogni silenzio per quella solita domanda aveva preso a colpirlo. Al ventre, al volto, alle gambe. E lui aveva urlato per il dolore, ma non aveva ceduto.
Di continuo aveva sentito gli sguardi degli altri schiavi puntati su di sé e sembravano dirgli di smetterla di resistere e di cedere alle volontà del padrone. Non gli parlavano direttamente poiché il dominus glielo aveva proibito; anche quello faceva parte della punizione: il totale isolamento.
L’ennesima sera, Victor era entrato nella stanza minuscola dove dormiva da solo su un paio di coperte ripiegate direttamente sul pavimento. Dall’alto l’aveva guardato con durezza, ma anche con l’aria di chi aveva trovato la soluzione finale per riuscire ad ammansirlo.
Nasir non gli aveva concesso alcuna soddisfazione di vedere il timore nelle proprie iridi, nonostante dentro si sentisse schiacciare.
«Qual è il tuo nome?»
Come sempre, il bambino non aveva risposto ma si era preparato a essere colpito ancora. Stranamente, lo schiaffo non era arrivato, ma sul volto del dominus si era aperto un sorriso feroce.
«Sei orgoglioso. Sei testardo» aveva ghignato. «Sei uno sciocco. E io so come trattare gli sciocchi come te; i cani che si ribellano al padrone e che non obbediscono ai suoi comandi possono restare solo in un posto.»
Subito dopo un legionario era entrato nella stanza e lo aveva afferrato con forza, portandolo via. L’aveva trascinato nonostante avesse cercato di liberarsi e, insieme, si erano inoltrati in luoghi nascosti nelle profondità della villa. Scale, corridoi privi di luce e uscite, celle e proprio in una di queste restava rinchiuso.
Da quel momento aveva smesso di contare i giorni e, per quel che ne sapeva, potevano esserne passati uno, come quattro o non essere trascorse che poche ore. Non gli importava.
Nasir restava stretto nell’angolo più nascosto di quella cella priva anche di un misero foro per far passare l’aria. L’odore dei suoi stessi escrementi era divenuto l’unico respirabile e aveva lo stomaco così chiuso che non gli dava più neppure la nausea.
D’un tratto, dei passi gli fecero capire che stava arrivando qualcuno. Nell’oscurità rischiarata solo da alcune fiaccole poste lungo le pareti dei corridoi che si snodavano tra le celle, vide una luce farsi più vicina.
Il soldato romano fu il primo a comparire e infilò la torcia nel supporto. Dietro di lui, spuntò la figura del giovane che era continuamente accanto al dominus.
Nasir vi aveva sempre riconosciuto dei movimenti eleganti e attenti, misurati e, stranamente, non ostili, ma rassicuranti. Quasi familiari.
Kaeso.
Il dominus lo chiamava così, ma non era sicuro fosse il suo vero nome. Gli era sembrato avesse la pelle troppo scura, più simile alla propria che a quella dei romani.
Kaeso si fermò davanti alla cella chiusa, cercando il suo sguardo attraverso le sbarre e puntando su di lui gli occhi scuri assieme a un’espressione che non era minacciosa, ma nemmeno cordiale.
«Quanto ancora vorrai restar rinchiuso in questo posto?» Gli disse, parlava la lingua dei romani. «È umido, freddo.» Si guardò attorno e poi tornò a fissarlo. «Buio.»
Lui non rispose, ma si strinse ancora un po’ contro il muro, tenendo le ginocchia al petto.
Kaeso fece cenno al soldato affinché aprisse la cella. «Lasciateci, per favore» chiese subito dopo e a Nasir sembrò incredibile che il soldato gli obbedisse. Quell’uomo non era il dominus e portava un collare quindi era uno schiavo - aveva imparato a riconoscerli da quel misero oggetto che da troppo tempo aveva preso a stringere anche la sua gola -, eppure il legionario aveva accolto la sua richiesta senza replicare.
Il giovane entrò con passo lento, le dita scivolarono sul ferro delle sbarre. Adagio fece vagare lo sguardo fino a trovare una specie di supporto su cui sedersi – due pezzi di legno lurido. Appoggiò gli avambracci sulle ginocchia e tornò a fissarlo.
Aveva dei tratti non troppo marcati sull’ovale lungo e sottile, naso dritto e guance rasate di fresco. I capelli nerissimi, perfettamente tirati e legati dietro la testa, erano avvolti su loro stessi; non si capiva quanto effettivamente fossero lunghi.
«Orgoglio e testardaggine sono due qualità vincenti» riprese a parlare. «Ma non per uno schiavo. Imparalo prima che sia troppo tardi.»
Nasir deglutì spostando lo sguardo altrove. Mormorò nella lingua dei suoi genitori. «Non sono uno schiavo…»
«Dunque comprendi. L’avevo sospettato.»
Il bambino volse svelto lo sguardo in direzione di Kaeso nel riconoscere quelle parole familiari lontane da quelle romane.
Da quanto tempo non sentiva qualcuno parlare in siriano a parte sé stesso?
Kaeso gli stava sorridendo, divertito per aver ottenuto finalmente la sua attenzione.
«Tu sei-»
«I nostri occhi hanno visto lo stesso cielo prima di qualsiasi altro, sì.»
Per la prima volta, da che era stato portato via dal villaggio, Nasir si concesse di sorridere. Quel filo sottile che ancora lo univa alla propria casa, ora lontana, era tornato a intrecciarsi alle sue dita.
«Come ti chiami?!» chiese, preso dalla foga di non essere più solo e sperduto.
«Kaeso.»
«Il tuo vero nome!»
La calma negli occhi scuri dell’altro non cambiò. «E’ questo. Come il tuo è Tiberius.»
«Io sono Nasir!»
«Tu eri.» Kaeso piegò leggermente il capo di lato, spegnendo con due semplici parole le fiamme del suo orgoglio. «Nasir è morto nel momento in cui sei stato catturato, e con lui è morta la sua libertà. C’è Tiberius, ora, e anche lui rischia di morire se non ti sbrighi ad accettarlo. E quando anche lui smetterà di vivere, non ci sarà più nessuno a ricordarsi chi eri né chi sei. Il tuo nome sarà polvere assieme alle ossa.»
Nasir digrignò i denti, mostrando tutta la forza del suo spirito selvatico, tanto che lo stesso Kaeso ne rimase sinceramente colpito. Così piccolo e così ribelle; se voleva sperare di fargli vedere l’alba del suo prossimo anno – o anche solo quella della settimana seguente – avrebbe dovuto dare fondo a tutto ciò che aveva imparato in quegli anni di servigi presso il dominus.
«Mio fratello non si dimenticherà di me! Lui verrà a prendermi! Anzi, starà già arrivando e-»
«Verrà? E come? Come attraverserà il mare? E come saprà che il suo piccolo fratello è stato venduto proprio a un mercante delle terre al di là della Siria? I bambini hanno la capacità di somigliare troppo gli uni agli altri. Capelli neri, pelle e occhi scuri. Speri davvero che lui possa trovarti? Allora sei più sciocco di quanto pensassi.»
Nasir incassò il rimprovero, mordendosi il labbro. Tutti i suoi dubbi tornarono a galla assieme alle parole di Kaeso, che non si lasciò impietosire e affondò il colpo.
«E qualora provasse a cercarti, qualora provasse a essere troppo insistente e fastidioso, qualora provasse a sfidare i romani, questi lo catturerebbero. Anche lui diverrebbe uno schiavo, come te. È questo che vuoi? Che finisca in catene, che gli venga strappato il proprio nome e che venga ucciso per i capricci di un dominus? Rispondimi.»
Ma Nasir rimase muto, le labbra piegate verso il basso.
No che non lo voleva! Ma che avrebbe dovuto fare, allora? Rassegnarsi all’idea di non essere più sé stesso né libero? Di non avere più una propria identità, ma vivere in quella che il padrone avrebbe scelto a suo piacere?
Aggrottò le sopracciglia, ingoiando il sapore amaro della risposta a quelle domande.
«Se fossi al tuo posto, pregherei affinché mio fratello non venga mai a cercarmi e preferirei saperlo morto, che nelle mani dei romani.»
«Tu li servi!» Nasir lo ringhiò. Gli occhi neri e ardenti come carboni di nuovo piantati in quelli dello schiavo personale del dominus che rimasero impassibili.
«Non ho avuto scelta.»
«C’è sempre una scelta!»
Kaeso tornò a sorridere. Le dita corsero a toccargli il mento per sollevare leggermente il suo viso sporco. «Forse. Ma da morto non avrai più la possibilità di scegliere alcunché.» Con la stessa delicatezza lo lasciò andare. «Anche se ti viene chiesto di dimenticare il tuo vero nome, nessuno può strappartelo dalla mente, così come non possono spegnere quel fuoco che brucia nei tuoi occhi e nel tuo cuore. Tutto quello che dovrai fare è tenerli sopiti e fingere che stiano dormendo. E sopravvivere. Ma per sopravvivere in questo mondo ci sono solo tre cose che puoi fare: guardare, imparare, obbedire. E forse, un giorno, potrai reclamare quel nome che ti è stato tolto, assieme al fuoco che l’accompagna.» Adagio si alzò, dirigendosi all’ingresso della cella. La sua lingua tornò a sciogliere parole romane che già da tempo avevano perso il suono sconosciuto alle orecchie di Nasir, ma non per questo facevano meno male. «Ma se morirai, anche la speranza ti seguirà e nella cenere non ci saranno più né fuochi né nomi. Né le lacrime di un fratello a piangere per te.»
Il legionario comparve all’improvviso assieme al tintinnare della bardatura, come se non se ne fosse mai andato davvero, ma si fosse solo allontanato di qualche passo. Attese che Kaeso uscisse e poi richiuse la porta, tornando a imprigionarlo, da solo, in quella che era già una specie di tomba.
Nasir strinse ancora più forte le ginocchia al petto, ascoltando il rumore dei loro passi che si allontanavano definitivamente fino a che il dominus non avesse deciso di porgergli di nuovo la fatidica domanda.
Qual è il tuo nome?
Le lacrime scivolarono prima nella gola e poi lungo le guance mentre nascondeva il viso.
Qual è il tuo nome?
Se lo ripeté a bassa voce, mentre piangeva, per non dimenticarlo mai.
«Nasir… il mio nome è Nasir…»

Lo vennero a prendere un paio giorni dopo e forse le due schiave rimasero stupite di trovarlo ancora vivo, ma era ridotto talmente male che faticava addirittura a reggersi in piedi.
Sui loro volti, a Nasir parve di scorgere uno sguardo affranto, come se soffrissero con lui.
Non vedeva un pasto decente da così tanto da averne addirittura dimenticato il sapore, e la luce del sole sembrava solo un ricordo lontano e sbiadito, per non parlare di una bella boccata d’aria. Emergere dai sotterranei gli portò tutto quello che aveva dimenticato come uno schiaffo in pieno viso.
Odori di cibo appena preparato, colori e forme pienamente illuminate e aria. Tantissima aria limpida con cui riempirsi i polmoni. Tutto quello lo travolse tanto da farlo cadere sulle proprie ginocchia.
La schiava più giovane accorse per aiutarlo a rialzarsi e il bambino lasciò che il suo tocco gentile gli scivolasse addosso e lo sollevasse. Venne guidato fino a una stanza dove c’erano delle brocche e un bacile. Lo lavarono, gli carezzarono i capelli e li sistemarono affinché fossero presentabili, lo vestirono con cura e continuarono a sorridergli, sempre. I loro gesti e il loro calore potevano essere paragonati a quelli di una madre, ma lui non ricordava più nemmeno che faccia avesse la sua. Nella vita che aveva preceduto la cattura c’era sempre stato solo suo fratello e nessun altro. La sua famiglia era lui, ma ora non aveva più nessuno se non sé stesso.
Kaeso comparve sulla soglia quando fu pronto e Nasir poté guardarlo meglio alla luce del giorno.
Sì, il colore della loro pelle era così simile e anche i capelli e gli occhi. Avrebbe dovuto capirlo subito che era siriano, ma la paura e la disperazione non gli avevano fatto prestare attenzione a nient’altro che alla propria rabbia.
I capelli erano ancora tirati indietro, ma una lunga ciocca era stata lasciata libera di scivolare seguendo il contorno del viso. Non aveva alcun ornamento eccetto il collare e un orecchino a forma di corno. Il corpo era sottile; le linee dei muscoli scivolavano leggere dal petto al ventre. Dava l’idea di flessuosità.
Lo schiavo lo guardò con attenzione, valutando il lavoro fatto dalle due donne e poi annuì, in segno di approvazione. Nei suoi occhi, Nasir non lesse nient’altro che la stessa calma del loro ultimo incontro e si ritrovò ad abbassare i propri, sentendosi un po’ in soggezione, come quando faceva qualcosa di sbagliato e aspettava che il rimprovero di suo fratello gli piovesse sul capo. Ma Kaeso non gli rivolse alcuna parola e quando si volse, Nasir capì che doveva seguirlo.
Camminarono attraverso i portici della villa in totale silenzio e il bambino sollevò lo sguardo solo una volta, carpendo quella lunga coda di cavallo corvina che oscillava, liscissima come seta, lungo la schiena nuda.
Capelli neri, lisci, lunghi.
Nasir toccò i propri in un gesto istintivo e poi ripensò alle parole che il mercante Flaccus aveva detto al dominus: qualcosa che aveva a che fare con i suoi gusti.
Kaeso entrò per primo nello studio del padrone che restava seduto dietro uno spesso tavolo, coperto da pergamene.
«Dominus» fu tutto ciò che disse per annunciare la loro presenza, poi si portò alle spalle dell’uomo, lasciandolo da solo al centro della stanza.
Victor si alzò lentamente e le vesti frusciarono.
Quell’uomo non gli era mai piaciuto. Nasir ne aveva provato una strana avversione fin dalla prima volta che l’aveva visto; un po’ come era capitato quando aveva incontrato l’Ellenico, solo che Victor non era avvolto da profumi nauseanti e le sue labbra assumevano delle pieghe diversamente sinistre.
«Sei un cagnolino davvero molto testardo, lo sai?» iniziò, portandosi davanti a lui. «Ma ti stai rivelando un grazioso passatempo in queste tediose giornate. Forse non dovrei sprecare un briciolo del mio interesse nell’ammansire un randagio come te eppure, nonostante tutto, sei ancora vivo.» Gli sollevò il mento affinché i loro sguardi si incontrassero. «E la bellezza del tuo musetto non è stata minimamente scalfita.» Lo scrutò attentamente. «Quanti anni hai?»
Nasir lanciò uno sguardo fugace a Kaeso, che annuì impercettibilmente.
«Khadisaar» masticò nella sua lingua madre e subito lo schiavo personale di Victor si premurò di tradurre.
«Undici.»
«Undici…» ripeté l'uomo, annuendo adagio. «Sarebbe un vero peccato perdere un regalo tanto grazioso. E che impara in fretta, vedo» aggiunse, riferendosi alla sua capacità di comprensione. «Ciò non toglie che la mia pazienza non sia altrettanto generosa come la tua fortuna e se dovessi rispondere male alla mia domanda ancora una volta, tornerai nel buco dal quale sei stato tirato fuori. E potrei anche dimenticarmi della tua esistenza, lasciandoti marcire lì sotto fino a che non diventerai polvere.»
Polvere.
Nessun nome.
Nessuno che lo ricordasse.
Nessuna speranza.
Nasir spostò ancora lo sguardo in direzione di Kaeso, ritto e immobile quasi fosse una statua.
«Così, te lo chiederò ancora e bada che le mie orecchie sentano il giusto suono: qual è il tuo nome?»
Nasir deglutì, gli occhi fermi sull’altro schiavo che, di nuovo, accennò impercettibilmente col capo. Nelle orecchie, le sue parole tornarono a sussurrarsi zittendo tutte le altre.

«Anche se ti viene chiesto di dimenticare il tuo vero nome, nessuno può strappartelo dalla mente, così come non possono spegnere quel fuoco che brucia nei tuoi occhi e nel tuo cuore. Tutto quello che dovrai fare è tenerli sopiti e fingere che stiano dormendo. E sopravvivere.»

Sopravvivere.
Guardare.
Imparare.
Obbedire.
E sperare di poter tornare a reclamare il proprio nome.
Il fuoco bruciò ancora, un'ultima vampa, quando volse le iridi per incrociare quelle di Victor, che aspettavano, e non avrebbe accettato alcuna risposta diversa da quella che avrebbe voluto sentire.
Deglutì. Il fuoco si spense piano, fino a divenire una brace silenziosa che rendeva caldi gli occhi neri, ma non più aggressivi.
Parlò e per la prima volta la sua lingua si fuse a quella dei romani, anche se in maniera incerta. «Sono…Tiberius, dominus
Un largo e sinistro sorriso di trionfo distese le labbra di Victor.
Finalmente le sue dita gli lasciarono il viso e lui fu libero di abbassare lo sguardo, vergognandosi di sé stesso come non mai.
«Hai sentito, Kaeso? Sono sempre stato un ottimo addestratore, dopotutto.» Con passo deciso, il dominus tornò a prender posto nella sedia dietro il grande tavolo, per dedicarsi nuovamente alle proprie incombenze. «Lo affido alle tue cure. Mi raccomando, mi aspetto che gli insegni tutto quello che sai.» Sottolineando quel ‘tutto’ con particolare attenzione.
«Sì, dominus» rispose il giovane.
Nasir era rimasto immobile e a capo chino, ormai rassegnato a compiere passi che non avrebbe più potuto scegliere, quando una mano si poggiò sulla sua testa.
«Andiamo.»
Nel momento in cui sollevò lo sguardo, lucido di lacrime, trovò il primo sorriso veramente sincero da che era stato portato via dalla Siria. E in quel sorriso c’era sollievo, rassegnazione, comprensione e anche speranza.
Nasir gli strinse la mano e si lasciòi guidare fuori dalla stanza.
Mentre camminavano nei corridoi interni, passando attorno alle vasche per la raccolta delle acque piovane, Kaeso gli parlò di quello che avrebbe e non avrebbe dovuto fare, gli spiegò come avrebbe dovuto rispondere e cosa avrebbe dovuto, invece, imparare a tenere per sé. Ma Nasir non gli stava seriamente prestando ascolto, per quello avrebbe avuto tutto il tempo, in seguito. Si soffermò invece sul tono e sul sorriso d’affetto che gli stava rivolgendo.
In Siria aveva lasciato ogni cosa: la sua identità, la sua libertà e la sua famiglia, ma se era vero che aveva detto addio a un fratello, forse poteva affermare di averne trovato un altro che gli avrebbe insegnato come sopravvivere nella terra dei romani fino a che non fosse giunto il momento di riprendersi ciò che aveva perduto.

 


[1]: "Shimmee Nasir eeleh" / "Il mio nome è Nasir"





Fine

 

Ciarle randomiche: X3 visto che io sono un culo e mi comporto come tale anche quando so a priori che non dovrei impelagarmi in determinate situazioni, ho deciso che "Solo un nome" avrà un paio di seguiti (brevi come questo) e quindi diventerà una 'serie' che racconterà un po' la vita di Nasir fino ad arrivare agli eventi attuali.
*-* e nella prossima storia avremo Chadara! T_T io le volevo bene, mi faceva tenerezza. Se Mira non l'avesse trattata in maniera così dura, magari anche lei sarebbe riuscita a trovare un posto nel mondo. T^T

XD come avrete notato, qui è comparsa la famosa frase che richiama "Blood and Sand". Mi ero dimenticata che era nella seconda parte e non nella prima. #shameisawayoflife

Per inciso e amor di cronaca, i nomi completi dei due dominus sono:
- Flavius Horatius Victor: come avrete letto, perché esplicitato nella storia stessa (HORATIUS! X3 Mi è stato ispirato da Horatio Caine di CSI-Miami XDDDD Quell'uomo è la fonte suprema di LOL, soprattutto quando non fa una cippa per tutta la puntata e poi arriva gli ultimi tre minuti a prendersi il merito di tutto. XD Un uomo, un genio).
- Manius Arminius Flaccus: XD ho pescato nomi a caso tra nomen-prenomen-cognomen romani; quelli che mi suonavano meglio. XDDD
Sempre così, per ciarlare: Kaeso ha cambiato nome almeno altre due volte prima di trovare quello definitivo. XD Povero figliolo. E il suo orecchino... quello a corno... vi dice niente? (*.* sono un link! Cliccami!)

*_* ok, e con questo è tutto. Ci tenevo a ringraziare davvero tutti coloro che hanno letto e commentato la prima parte e che leggeranno/commenteranno questa seconda. Siete state davvero meravigliose e calorose, grazie. Grazie mille. T^T
Mi metto già al lavoro per la storia seguente. :3

   
 
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