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Autore: Miss Fayriteil    04/04/2012    2 recensioni
Jane potrebbe essere una donna come tante, con una bella e numerosa famiglia, ma in realtà nel suo passato si nasconde un doloroso segreto...
Questa storia l'ho scritta un po' di tempo fa... spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.
 
 
I giorni passarono velocemente senza eventi degni di nota, ad eccezione di un corso accelerato di taglio e cucito, organizzato e diretto con passione dalla governante Charlotte e, come aveva promesso Number One, una settimana dopo l’arrivo di Jane, loro due si sposarono. Anche negli anni seguenti Jane si rese conto di ricordare pochissimo del giorno del suo matrimonio, quando invece, secondo tradizione, dovrebbe essere il più bello della propria vita.
  Jane aveva avuto la fortuna di non essere mai stata ad un funerale nella sua vita, nessuno dei suoi familiari era ancora passato a miglior vita, ma aveva il forte sospetto che il suo matrimonio fosse stato poco meno deprimente di una cerimonia funebre.
  Si erano spostati in una piccola città di provincia per celebrare il rito, che probabilmente non era nemmeno legittimo, e alla fine ritornarono subito a Sidney. Lì si svolse il pranzo che fu veramente breve e senza la benché minima traccia di festa. Non c’erano nemmeno degli ospiti, se si vuole escludere la banda di Number One al gran completo e la loro governante Charlotte, già citata prima e che aveva anche il compito di fare da cuoca. L’unica persona che forse si poteva considerare invitata era un’amica di Number One che lui, in un atto di immensa, quanto inaspettata generosità, aveva concesso a Jane come sua testimone di nozze.
  Fin dal giorno seguente la vita di Jane divenne, al contrario di come potrebbe sembrare ai più, molto noiosa. Infatti verrebbe soprattutto da pensare che, vivendo sotto lo stesso tetto di un gruppo di banditi per ventiquattro ore al giorno, la ragazza si sentisse costantemente in pericolo o magari anche solo coinvolta nelle loro disoneste faccende, quali che fossero.
  Per quanto riguarda, invece, il suo pensiero personale sulle numerose rapine della banda, Jane imparò molto in fretta a fare in modo di ignorare la dolorosa fitta di senso di colpa che le stringeva lo stomaco in una terribile morsa tutte le volte che ci pensava. In ogni caso, pensava, non avrebbe potuto fare assolutamente niente per fermarli. Neanche se le fosse stato in qualche modo possibile. Non si trattava di un totale, assoluto disinteresse, ma semplicemente di opportuno buonsenso.
  Trascorreva le sue giornate per lo più cercando programmi almeno interessanti alla TV, andando a zonzo nei dintorni o chiacchierando con la cuoca, cosa che, oltre ad essere un piacevole passatempo, le forniva moltissime informazioni utili su colui che, purtroppo, era appena diventato suo marito. Charlotte, lavorando per lui da venticinque anni, sapeva tutto quello che si può sapere riguardo ad una persona. Nel caso specifico di Number One riguardo ad un malvivente.
  Un giorno, verso la metà di settembre, all’incirca, Jane si trovava in cucina a chiacchierare con Charlotte mentre questa cucinava, come suo solito.
  La cuoca era una signora sui sessant’anni, furba e allegra. Aveva però la bizzarra abitudine di chiamare Jane “signora” e di darle del lei. A Jane questo dava un leggero fastidio, poiché lei aveva più o meno un terzo dell’età di Charlotte e non si sentiva assolutamente importante, ma, grazie ai suoi sforzi quotidiani, la donna stava ormai perdendo il vizio. Quella mattina, ad esempio, Jane era entrata in cucina, come ogni volta con i capelli fiammanti tutti in disordine, sbadigliando e trascinando i piedi. Quando aveva salutato la cuoca, si era sentita rispondere: «Buongiorno, signora… ehm, volevo dire, Jane. Ha dormito bene?»
  «Sì, Charlotte» era stata la risposta, leggermente esasperata, di Jane. «Ma non eravamo d’accordo che ci dessimo del tu?»
  «Già, hai ragione. Scusami, me n’ero dimenticata».
Quella mattina Charlotte decise di raccontarle la storia di Number One. Mise per un attimo da parte il suo lavoro, si sedette al tavolo di fronte a Jane e le disse: «Mi è venuto in mente che tu ormai vivi qui e, volente o nolente, devi accettarlo. Perciò ho pensato che sia giusto che tu sappia com’è iniziata la carriera di Number One. E poi, magari, questa storia potrebbe anche interessarti. Ad ogni modo, lui ha iniziato a farsi chiamare così dall’età di diciotto anni. Era fuggito da casa e si era trasferito a Melbourne. Lì ha iniziato a… come si può dire? A lavorare commettendo piccoli furti e qualche rapina occasionale.
  «Tutto questo ce lo ha raccontato due anni dopo, all’età di vent’anni, quando è ritornato qui a Sidney, anche se non ancora in questa casa, ma in un posto dall’altra parte della città. A questo punto ha iniziato il suo vero mestiere, quello di cui sei rimasta vittima anche tu. La banda era già al completo, allora, c’ero anch’io.
  «Oh, no, aspetta un attimo» aggiunse all’improvviso. «La banda non era ancora completa. Mancava Jack l’Araldo, la sua spia, che è il più giovane ed è arrivato soltanto quattro anni fa».
  Jane ascoltava rapita. Pendeva letteralmente dalle labbra di Charlotte e quando la donna s’interruppe, ripiombò bruscamente nella realtà. Ad un tratto, si rese conto che la bocca le pendeva aperta in un’espressione assolutamente idiota. Si affrettò quindi a richiuderla, ma poi la riaprì quasi subito, per dire: «Ma, non ha mai rivelato a nessuno il suo vero nome, mio marito?»
  Charlotte non rispose subito. Allora Jane la chiamò, esitante: «Ehm… Charlotte? Ci sei? Tutto bene?» La donna la fissava, infatti, da alcuni istanti, ma senza in realtà vederla. Sentendo la voce di Jane, parve uscire da una fantasticheria.
  «Scusa, ero soprapensiero. Comunque… no. Almeno, non mi sembra. Sì, l’ho conosciuto come Number One e tale è rimasto, per me, ma anche per tutti gli altri» disse. Jane annuì in silenzio, poi chiese ancora: «E… quando vi siete trasferiti qua? Mi hai detto che prima abitavate dall’altra parte della città».
  Charlotte si voltò lentamente verso di lei e rispose: «Sì, hai ragione, non siamo venuti subito qua. Ormai dovremmo esserci da circa dieci anni, in ogni caso. Be’, sì» proseguì, parlando più a se stessa che a Jane, «calcolando che Rick adesso ha otto anni e lui è stato l’unico dei ragazzi ad essere nato qui…»
  Jane non aveva nessuna idea di chi fosse questo Rick e moriva dalla voglia di saperne di più, ma per qualche ragione, sentiva che era meglio non chiedere. Aveva, infatti, la stranissima sensazione che presto, molto presto, l’avrebbe scoperto a sue spese. E non le sarebbe piaciuto per niente.
  Per farla breve, Charlotte sapeva qualsiasi cosa riguardo Number One: dal suo numero di scarpe al totale di rapimenti e rapine che aveva compiuto. Era una fonte inesauribile di informazioni.
  Trascorrendo in questo modo le giornate, il tempo passava senza che nessuno se ne accorgesse. Infatti, anche se sarebbe potuto sembrare strano, Jane era ormai in quella casa da quasi tre mesi. Per la verità, se non fosse stato per Number One, la vita in quella casupola, per Jane, non sarebbe stata neanche tanto male. Era stata piacevole fino ad alcuni giorni prima, quando Number One aveva iniziato a chiederle insistentemente che dormissero insieme, cosa che lei aveva sempre rifiutato. E che continuava imperterrita a rifiutare.
  Per la verità, Jane avrebbe dovuto dormire insieme a Number One. Il fatto è che in quella casa c’erano quattro stanze da letto. Escludendo la più grande dove dormivano i ragazzi della banda e la più piccola, per la cuoca Charlotte, ne restavano due. Nella prima dormiva solo Number One, ma lì, in teoria, avrebbe dovuto dormire anche Jane, mentre la seconda, che sempre secondo gli ingegnosi progetti di Number One sarebbe dovuta rimanere vuota, in realtà era occupata sua moglie. Lui non le aveva mai spiegato il motivo, però era anche vero che la ragazza non si era mai presa il disturbo di chiederglielo.
  Jane fu capace di non cedere alle infinite richieste del marito per più di due settimane, ma alla fine lui riuscì a costringerla, e per Jane non ci fu più via di scampo. L’unica nota positiva in tutta questa brutta faccenda fu che Jane ottenne di dividere la stanza con Number One per un mese, e un mese soltanto. Quando lei glielo chiese, lui rispose: «D’accordo, per me va bene. Tanto, per la fine del periodo dovrei avere in ogni caso quello che mi occorre». E con una risata cattiva se n’era andato, probabilmente per discutere con i ragazzi della banda gli ultimi dettagli del loro piano per il colpo di quella notte, alla Banca Centrale di Sidney.
  Jane, una volta rimasta sola, si vide confermato il sospetto che durante quelle quattro settimane in cui avrebbe dovuto dividere il letto con Number One, non le sarebbe successo niente di buono. E ricordando una delle prime frasi che lui le aveva detto la sera che si erano conosciuti, credeva anche di sapere di cosa si trattasse. Sperava solo che passassero in fretta e decise di ignorare il profondo senso di nausea che l’assalì all’improvviso. “È solo un mese” disse a se stessa. “Quattro misere settimane. Riuscirò a sopravvivere. Devo sopravvivere”. Con questa nuova determinazione la ragazza si alzò dal divano e tornò nella sua stanza.
 
  
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