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Autore: Eryca    07/04/2012    7 recensioni
Avevo 17 anni quando un ciclone improvviso fece il suo ingresso nella mia vita, e mi stravolse ogni piano e ogni certezza.
Avevo 17 anni quando finalmente capii che c’era un’alternativa.
Avevo 17 anni quando mi resi conto che potevo scegliere.

~
Per Amy Murray la vita significa fare ciò che è giusto. Ma qualcuno di molto particolare arriverà, e metterà in discussione tutte le sue tesi, facendole capire il vero significato della vita.
~
Attenzione: Questa non è la solita storiella d'amore, non fermatevi a questa presentazione.
***
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parental Advisory: The static age 

 


# Capitolo Quattordicesimo


The son of rage and love

 

 

 

 

-Aaaaaaaaaaah!-

 

Doveva essere un sogno.

Si, probabilmente stavo proprio sognando, perché non era possibile che una persona umana riuscisse ad emettere un urlo in una tonalità così alta.

E poi chi diavolo si sarebbe messo ad urlare in quella mattinata in cui io e Billie eravamo reduci da…

Oh, Santo Ippolito.

Io e Billie eravamo reduci da una nottata di sesso.

Quello mi sconvolse ancora di più rispetto al grido strozzato che avevo appena sentito; forse stavo solo andando fuori di testa e mi stavo immaginando Billie-Joe con la testa tra le mie gambe, intento a risvegliare in me quel piacere nascosto. Eppure ero quasi certa che quelli fossero vividissimi ricordi.

Ok, ok. Calma Amy. Mente locale.

Come prima cosa dovevo cercare di capire in che situazione mi trovavo, poi il resto sarebbe venuto da sé. Non era così che i protagonisti di una commedia facevano quando si ritrovavano in quelle circostanze?

Certo, ma io non ero la bella Julia Roberts in Pretty Woman e quel malcapitato di Armstrong non assomigliava neanche lontanamente a Richard.

Aprii gli occhi cercando di prendere coscienza dello spazio che mi circondava e, soprattutto, cercando di capire da dove proveniva quell’urlo scioccato.

Mi resi conto di essere stesa sulla squallida brandina del sottoscala, con le coperte raggruppate sul mio corpo a coprirmi quasi per intera, a parte una gamba che era sfuggita alle grinfie di quel serpente di cotone.

La seconda cosa che arrivò limpida alla mia mente era il fatto che non indossavo alcun indumento: ero nuda; ma la cosa non avrebbe dovuta sconvolgermi più di tanto, in fondo avevo appena fatto l’amore con Billie.

Avevo davvero perso la mia verginità con un elemento come Billie-Joe Armstrong?
La risposta me la donò la macchiolina di sangue che si era formata sul copriletto, segno evidente che per me era stata la prima volta e che Billie aveva violato la mia intimità.

Chiusi gli occhi mentre il ricordo delle nostre gambe che si intrecciavano, i corpi che si univano in un unico punto, fondendosi come se fossero stati una sola cosa riaffiorava.

Era stato qualcosa di indescrivibile.

Probabilmente non esisteva un aggettivo umano per poter dire a parole ciò che avevo provato quella notte magica, ma di certo si avvicinava di più al soprannaturale che a quel mondo terreno.

Come potevo cercare di non ripensare a tutti gli sguardi che c’erano stati tra di noi? Le mani che si intrecciavano, la pelle contro la pelle, i suoi capelli sul mio viso, le sue labbra sul mio collo.

Le sue braccia attorno al mio bacino.

Un brivido mi percorse tutta la schiena, terminando proprio al centro del mio petto, dove stava il cuore che batteva all’impazzata, incapace di rilassarsi.

Ma un nuovo suono di voci indistinte mi convinsero una volta per tutte a riaffiorare da quello stato di semi-coscienza e  iniziare quella fatidica giornata.

Dapprima non riuscii a distinguere bene le figure che mi stavano dinanzi, ma dopo alcuni minuti i miei occhi si abituarono alla luce e misero a fuoco le immagini del mondo; mi trovavo, come pensavo, nel piccolo scantinato che era la Sala Prove dei Green Day, che sembrava esattamente uguale all’ultima volta in cui l’avevo vista.

Mi pareva che tutto il mondo fosse cambiato, quando invece ero solo io quella che era stata sottoposta al trattamento?

-Oh, Signore santissimo. È sveglia.-

Finalmente riuscii a capire a chi apparteneva la fastidiosissima voce che mi aveva svegliata dal mio sonno beato con un odioso grido; la donna che avevo dinanzi portava una vecchia gonna nera, un paio di scarpette a punta con un accenno di tacco e una camicetta a fiori blu. Il gusto nel vestire non era di certo il suo punto di forza, si poteva intuire subito.

Aveva un viso che mi ricordava stranamente qualcuno di conosciuto, e i capelli raccolti in una crocchia erano di un castano abbastanza scuro; ma ciò che più colpiva di quella signora erano i suoi occhi stanchi, che sembravano chiedere pietà ai dolori che la vita aveva loro riserbato.

Una fitta mi colpì allo stomaco, facendomi intendere che quella non sarebbe stata una bella giornata.

Da dietro un angolo spuntò finalmente Armstrong, che indossava solo un vecchio paio di jeans, mentre il torace era nudo; non mi ricordavo che si fosse alzato dal letto e infilato i pantaloni, sicuramente non l’avevo sentito.

Il primo impulso fu quello di corrergli incontro e abbracciarlo, per poi riempirlo di baci seducenti e riportarlo lentamente al letto, dove avremmo ripreso il discorso che avevamo lasciato in sospeso la notte appena trascorsa. Poi mi resi conto che non eravamo soli nella stanza, che ero coperta solo da un sottile lenzuolo in cotone– tutti avrebbero potuto vedere la mia intimità se avessi fatto un movimento sbagliato –  e che probabilmente per Billie la nostra era stata solo una delle tante notti prive di significato in compagnia di una donna.

Il mondo sembrò spiattellarmi in faccia tutta la sua realtà, con un sorrisetto canzonatorio.

Buongiorno, Amy.

Gli occhi di Armstrong incontrarono i miei, catturandomi con il loro verde smeraldo: quella mattina sembrava un po’ più opaco del solito, come il cielo quando è coperto da un sottile strato di nubi. Sicuramente c’era qualcosa che non andava, e avevo il presentimento che quell’anziana signora fosse la causa della tempesta negli occhi del mio coinquilino.

-Amy, questa è mia madre.-  Il fiato mi si mozzò in gola in un solo istante e mi ritrovai a sgranare gli occhi come unabambina piccola che ha appena sognato l’uomo nero.

Me ne stavo davvero nuda su quella dannata brandina, di fronte alla madre di Armstrong, la quale aveva sicuramente capito che io e Billie eravamo stati a letto insieme?

Ma come diavolo avevo fatto a ridurmi così tanto in basso? Tutte quelle sensazioni di libertà che avevo provato da quando avevo lasciato casa mi sembravano d’un tratto sciocche sensazioni adolescenziali, che mi avevano portata fino a quello: avevo toccato il fondo.

Non potevo continuare a vivere in quel modo, dovevo davvero fermarmi per qualche secondo e chiedermi che cosa avrei voluto fare dalla mia vita. Di certo vivere come avevo sempre fatto prima di incontrare Billie non era ciò che volevo, ormai ero consapevole di chi ero, ma non avevo neanche alcuna intenzione di trascorrere la mia esistenza in quei sobborghi, facendomi scopare da Armstrong e rendendomi una sgualdrina agli occhi di un adulto.

Quella non ero io e Billie non se n’era reso conto; mi aveva fraintesa  e non mi aveva compresa, non quella volta.

Mi portai il lenzuolo ancora più sopra ai seni, cercando di stringerlo come se fosse il mio unico appiglio alla salvezza, ed ebbi almeno la decenza di arrossire, sentendomi in completo imbarazzo.

La madre di Armstrong mi guardò con un’espressione di disgusto, che mi fece sentire ancora più insignificante e sudicia, per poi rivolgere lo sguardo a suo figlio, che sembrava aver indossato la sua tanto amata maschera di strafottenza.

-Ero rimasta al fatto che nessuna delle tue puttanelle si fermasse a dormire qui. Mi hai sempre detto che non vuoi che nessuna di loro invada il tuo territorio. Hai cambiato regole, bambino mio?-

Non riuscii a stare troppo male per l’implicito insulto che mamma Armstrong mi aveva appena riservato, perché rimasi sconvolta dal tono in cui pronuncio le parole “bambino mio”: sembrava quasi volerglielo sputare in faccia, come se odiasse il fatto che Billie fosse suo figlio.

Si sentiva l'astio che quella donna provava per la vita sregolata del mio coinquilino, concentrato in quelle due parole che avrebbero dovuto essere le più affettuose che una madre potesse rivolgere al proprio figlio. Ma mi stavo rendendo conto che tra i due correva sangue amaro e che probabilmente quella era una delle ragioni per cui Billie si era creato uno scudo di protezione da ogni affetto.

Ecco perché detestava i legami di sangue e qualsiasi cosa che avesse a che fare con loro.

Ecco dove stava uno dei tanti punti deboli che il ragazzo si ostinava a nascondere al mondo, per evitare di rimanere nuovamente ferito.

Armstrong sfoderò un sorriso divertito, che celava un’amarezza indescrivibile, ma che ormai avevo imparato a leggere nei suo grandi occhi verdi.

Tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette e se ne accese una, sputando in faccia a sua madre il fumo, come evidente segno di sfida; sembrava volerle dire “Non mi fai paura, mamma”.

-Lei- disse indicandomi, cosa che mi fece trasalire, conscia del fatto che stavo entrando a far parte della discussione –Si chiama Amy e non è una delle mie puttanelle. È la mia coinquilina.-

Sapevo che non avrei dovuto essere felice di quelle parole, perché non erano nulla di speciale, aveva solo portato a galla i fatti: ero la sua coinquilina. Non aveva di certo fatto una dichiarazione d’amore o detto che ero la sua ragazza, il suo unico amore o chissà cos’altro.

Aveva solo detto che ero la sua coinquilina. Nulla di strano.

Allora perché il mio cuore sembrava fare le capriole  per la gioia?
Stupida ragazzetta. Ecco cos’ero: una stupida ragazzetta con gli ormoni in subbuglio.

Billie sembrò d’un tratto ricordarsi che ero senza vestiti, ed ebbe la decenza di passarmi le mutande e il reggiseno, cosa che mi fece avvampare, rendendomi conto che sua madre stava assistendo a tutta la scena.

Hai fatto proprio centro, Amy. Un grande applauso per la tua furbizia, davvero.

Infilarmi la biancheria intima senza scoprirmi fu un’impresa ardua, ma alla fine ce la feci e passai allo stadio successivo: indossare t-shirt e jeans nello stesso modo. Quando ebbi finito e fui di nuovo vestita, mi sentii decisamente più a mio agio; strano l’effetto che della stoffa è in grado di fare all’animo umano.

-Da quando hai una coinquilina?- sussurrò convoce da serpe la donna.

-Da quando hai la faccia tosta di presentarti qui?- ringhiò finalmente Armstrong, abbandonando la finta calma che aveva cercato di mantenere fino a quel momento. Dio, avevo il brutto presagio che sarebbe scoppiata una grossa lite familiare.

La donna sospirò amaramente, come se si fosse resa conto fin dall’inizio che la situazione sarebbe degenerata e sarebbero arrivati a prendersi per i capelli.

Ora, il viso di Billie non aveva nulla di dolce e calmo, sembrava una maschera di cattiveria, rancore e odio.

C’erano troppe cose che io non sapevo, e sicuramente non potevo capire perché Billie e sua madre erano carichi di tutta quella rabbia, che sembrava non poter più rimanere chiusa dentro di loro.

-Perché sei venuta qui? Per deridermi? Per umiliarmi? Per farmi sentire ancora una volta misero e insignificante? Sei venuta forse per rinfacciarmi per l’ennesima volta la morte di papà? Per farmi di nuovo subire le tue lamentele o per farmi sentire in colpa per avervi abbandonati?- la sua voce era piena di ira e sembrava incline al pianto, ma sapevo che non si sarebbe mai abbandonato alle lacrime –Eh? È per questo che sei venuta? Che cazzo vuoi ancora da me?-

La donna si coprì il viso con le mani e si lasciò andare ai singhiozzi.

Billie aveva appena detto che la donna gli aveva sempre rinfacciato la morte di suo padre, non era di certo una cosa di cui la donna poteva andare fiera.

Non sapevo nulla di quella storia –non sapevo nulla di Armstrong- ma non anche se fosse stato responsabile, in parte, di ciò di cui lei lo accusava, ero certa che non era stato intenzionale; e sua madre non aveva alcun motivo per far star male suo figlio in quell’orrido modo.

C’erano parecchie cose che dovevo ancora scoprire riguardo al ragazzo ma ora, mentre lo vedevo fissare con disprezzo sua madre, mi resi conto che doveva aver sofferto come un disperato nella sua vita, e che per questo era diventato così schivo, così diffidente nei confronti dell’amore.

Ecco perché era diventato Armstrong, seppellendo il Billie che c’era in lui.

-Smettila di piangere!- sbottò il ragazzo togliendole con rabbia le mani dal volto, che le ricaddero lungo i fianchi, accompagnati da singhiozzi di paura.

-Non voglio vedere più le tue lacrime finte, piene di giochi subdoli e inganni. Lasciami stare. Esci dalla mia vita una volta per tutte. Ma non lo capisci che ti odio?-

Billie sembrava sul punto di cedere, lo vedevo dalla sua gambe che non smettevano di tremare, dalle sue labbra che non la smettevano di contorcersi in smorfie di dolore, nei suoi occhi colmi di tanto dolore quanto mai ne avevo visto a nessuno.

In quel momento mi fece così tanta tenerezza che avrei voluto stringerlo e sussurrargli che sarebbe andato tutto bene, che la vita non era così brutta come credeva; ma come potevo dire una cosa del genere ad una persona che aveva sempre e solo sofferto?

Era normale che avesse perso le speranze, che non gliene importasse più niente di condurre un’esistenza degna di quel nome, perché sapeva che gli avrebbe riservato solo dolore e tristezza.

Ora mi resi conto che Billie credeva di non essere degno di una vita felice, credeva di essere una persona sporca e sudicia, che non meritava di ridere ed essere amato.

Come potevo aver sempre e solo pensato al mio dolore, essermi sempre e solo lamentata di mio padre, della mia situazione e non rendermi conto che Armstrong viveva in una disperazione silenziosa?

Come potevo essere stata così egoista da non capire che la persona che mi stava a fianco ogni giorno era sommersa da una montagna di merda?

Mi sentii d’un tratto immensamente stupida, infantile, immatura, come una bambina capricciosa che piange per aver perso il suo pupazzo, ma non vede che ci sono altri ragazzini che di pupazzi non ne hanno mai posseduti, ma hanno solo aspirato ad averne.

-Sei solo un demonio, Billie!- urlò improvvisamente la madre, come fosse posseduta –Sei sempre stato un bambino cattivo, degenere. Sei un verme, non ti vedi? Non ti rendi conto di quanto fai schifo? Hai fatto morire tuo padre!- schiamazzò per poi cominciare a prendere a pugni il petto di Billie, come se volesse cercare di distruggerlo, di ucciderlo.

Rimasi sconvolta dall’odio che fuoriusciva dagli occhi della madre di Billie; quella donna pensava davvero che suo figlio fosse cattivo e che non meritasse di vivere.

D’un tratto mi svegliai da quello stato di coma e mi alzai dal letto, in direzione della madre di Billie, che continuava a tempestarlo di pugni, senza che il ragazzo opponesse alcuna resistenza.

Mi scagliai sulla donna e le presi le mani, per poi trascinarla lontano dal mio coinquilino, lontano dalla debolezza che il ragazzo stava facendo uscire.

Quando fu abbastanza distante da lui, la misi con le spalle alla porta e tirai fuori tutta la determinazione che era racchiusa dentro di me. Dovevo farcela per Billie.

Glielo dovevo.

-Se ne vada.- dissi con la voce ferma. –Se ne vada subito. Esca fuori dalla vita di Billie, lo lasci stare. La smetta di rimproverarlo, di riempirgli la testa con le sue folli idee. Lasci che suo figlio viva una vita serena, come si meriterebbe. Se ne vada e non torni più.-

Mi stupii di quanto fossi riuscita ad apparire forte e decisa, come se fossi del tutto consapevole di ciò che stessi facendo e conoscessi alla perfezione la storia del passato di Armstrong. Non era così, ma l’importante era che quella donna uscisse dal nostro scantinato e dalla vita del mio coinquilino, che sembrava corroso dalle parole della madre.

Gli occhi della signora si posarono sui miei e potei vedere quanto fossero inespressivi, assolutamente vuoti. Quella donna era priva di sentimenti, era semplicemente una persona schifosa e cattiva che aveva sempre e solo fatto del male a Billie e avrebbe continuato a fargliene, se qualcuno non l’avesse fermata.

Ed era ora che qualcuno le facesse capire che doveva andarsene per sempre.

-Ha capito si o no? Cosa ci fa ancora qui dentro? Se ne vada! Nessuno la vuole qui!- urlai ora, piena di rabbia nei confronti di quella persona spregevole.

Mi guardò ancora una volta, come se non capisse come una ragazzina di diciassette anni potesse sbatterla fuori di casa e allontanarla una volta per tutte da suo figlio. Avrei voluto prenderla  a schiaffi e farle subire un po’ del male che aveva sempre dovuto sopportare suo figlio, ma sapevo che non sarebbe servito a nulla.

Quindi la osservai, mentre apriva con forza il portone uscendo senza guardarsi indietro due volte.

Rimasi un attimo in piedi di fronte alla porta, cercando di assimilare il fatto che quella tremenda donna se n’era davvero andata, e che ora avevo un attimo di pace per riprendermi.

Ma poi mi voltai e trovai Billie in piedi, con gli occhi sbarrati fissi nel vuoto, tipici di chi ha appena subito un trauma difficile da superare. Ma il suo era solo stato riportato a galla, quello shock c’era sempre stato e sarebbe sempre rimasto dentro di lui, come le ferite cicatrizzate.

Solo che ora era ancora aperta.

Mi misi di fronte a lui, senza che sembrasse dare segno di avermi vista o comunque, che gliene importasse qualcosa della mia presenza; così appoggiai delicatamente una mano sulla sua guancia e lo vidi sussultare, come se gli avessi appena tirato uno schiaffo.

Puntò gli occhi su di me, ma non si tolse dal contatto, anzi, posò la sua mano sopra la mia, intrecciandola.

Non dissi nulla perché non c’era nulla da dire, le nostre mani unite stavano già parlando per noi e io non avrei mai potuto eguagliare quel conforto con delle parole, quindi tacqui.

Tacqui proprio come aveva fatto Billie quando ne avevo bisogno io.

Ora era il mio turno, toccava a me stargli accanto e fargli capire che su di me poteva contare.

Non so per quanto tempo rimanemmo così, ma mi ricordo che quello fu uno dei momenti in cui io e Armstrong fummo più vicini e in cui condividemmo tutte le sue nostre sfortune, i nostri guai, i nostri dolori.

Ora, ripensandoci, posso essere sicura che quello fu uno degli istanti in cui Billie abbandonò le sua barriere e mi concesse di vedere un po’ dentro di lui, senza poi pentirsene.

Quello fu uno degli attimi in cui il silenzio parlò ed espresse tutto l’amore che si era creato tra noi due.

 

 

 

 

******

 

 

 

Angolo Snap:

 

Lo splendido banner che vedete ad inizio capitolo è stato creato appositamente per Parental Advisory: The static age, dalla grandiosa Aniasolary, che è anche una qualificatissima scrittrice. Un grazie di cuore.

Mi scuso per il ritardo del capitolo, che è davvero abbastanza, ma ho avuto dei problemi con questa parte di storia, perché non riuscivo a descriverla come avrei voluto; avevo scritto già diverse pagine su Word, ma poi una mattina mi sono alzata e mi sono resa conto che facevano schifo e, con l’ispirazione, ho cancellato tutto il lavoro per scrivere ciò che sentivo dentro.

Questo capitolo è pieno di emozioni e giuro di averlo vissuto mentre lo scrivevo, mi sono emozionata e commossa mentre toccavo i tasti del computer, perché mi sembrava di essere dentro la storia.

È stato uno dei capitoli in cui mi sono sentita più coinvolta, mi sono immedesimata nei personaggi e le mie dita pigiavano i tasti da sole. L’ho scritto in una mattina sola, tutto d’un fiato perché non riuscivo a fermarmi.

È davvero uno step importante per questo racconto, quindi spero che nel testo si riescano a leggere tutte le sensazioni che ho provato e che provano Billie ed Amy.

 

Un abbraccio,

Snap-

 

   
 
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