PROLOGUE
Nel
salone della Tana c'era un orologio dalle lancette sbeccate.
Da quando
non partecipava più alle ronde, ogni sera Harry vi si sedeva davanti, con una
tazza di caffè in una mano e una piuma nell'altra, e il ticchettio che scandiva
le sillabe scarabocchiate sulla carta da lettere.
«Non
riapriranno Hogwarts» esclamò Ginny,
entrando nella stanza. «Il Ministero l'ha chiusa definitivamente».
Harry
sollevò appena il capo. «Era prevedibile».
«Questa è
la prova che Weber c'entra qualcosa coi Dissennatori!
Magari è lui stesso a controllarli!»
«Di certo
non fa niente per respingerli» rimbrottò Harry, riprendendo a scrivere.
«Sì, ma,
Harry! Sta facendo passare per una cosa buona la chiusura di Hogwarts. Dice che i ragazzi saranno più sicuri a casa, con
le loro famiglie a proteggerli!»
«Dice
anche di mettere a disposizione delle squadre di Auror
per tenere sotto controllo la situazione, ma in realtà non si è ancora visto
nessuno. Gli unici a fare qualcosa siamo noi».
Quando
alzò lo sguardo, Ginny lo stava fissando – gli occhi
leggermente sgranati, le labbra dischiuse, screziate dai capelli rossi. Da
quant'era che non le diceva di amarla?
«Noi non
possiamo più andare avanti così, Harry» mormorò lei, scuotendo il capo. «Siamo
gli unici a fare qualcosa, sì, però non so se riesumare l'Ordine della Fenice
sia stata una buona idea...»
La sedia
slittò indietro, cigolando, e Harry si issò in piedi. «Non pensi mai a quante
persone sarebbero morte in questi anni senza l'Ordine?» ringhiò, battendo i
pugni sul tavolo.
«E tu non
pensi mai ai tuoi figli? Non pensi mai ai tuoi nipoti? Sono solo ragazzi,
maledizione!»
«Sono
ragazzi in gamba».
Lo
dovevano essere, perché nessuno di loro era ancora morto.
«Anche
Fred era un ragazzo in gamba» soffiò Ginny, strofinandosi
gli occhi con la manica del maglione. «Ma questo non l'ha salvato».
Harry si
lasciò cadere sulla poltrona, il petto improvvisamente scosso da rauchi colpi
di tosse. Ginny rimase immobile, ritta in piedi, nel
lato opposto della stanza. Non gli chiese che cosa avesse, non gli chiese se
fosse uno dei suoi soliti attacchi: era fredda, come congelata accanto alla
tromba delle scale. Non si accorse neanche che suo marito, insieme alla saliva,
sputava sangue.
«Gin...»
rantolò, coprendosi la bocca con un fazzoletto.
«Più ci
teniamo lontano da questa storia, meglio sarà per tutti» lo interruppe lei,
storcendo le labbra tanto da scoprire i denti. «Basta fare gli eroi, Harry,
basta. Il nostro tempo è passato, ora non stiamo più giocando con le nostre
vite, ma con quelle dei nostri figli... con la sua: la Profezia era
chiara.» Poi si allungò verso l'appendiabiti per afferrare il giubbotto.
«Dove
vai?» domandò lui, sforzandosi di modulare la voce. «Dopo il Coprifuoco non
bis...»
«Manca il
latte» sillabò Ginny, cacciando le braccia nelle
maniche rattoppate della giacca. «Secondo te con cosa dovrebbero fare colazione
i ragazzi?»
«Non
essere sciocca. Non puoi...»
«Io mi
Smaterializzerò all'angolo del supermercato, ci entrerò, comprerò due cartoni
di latte parzialmente scremato e tornerò indietro. Tutto qua: né più, né
meno».
Nel
momento stesso in cui sbatté la porta dietro di sé, la lancetta col suo nome si
spostò da “a casa” a “in pericolo”.