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Autore: driu    10/04/2012    14 recensioni
-SOSPESA-
A quanto pare, non sono stata un abominio solo per i miei genitori, ma anche per le persone che mi circondavano. Mi guardavano tutti spesso e volentieri con diffidenza e timore, come se al posto delle braccia avessi avuto dei tentacoli. Ma per favore. Ero molto peggio.
Ero diversa.
Diversa da tutte quelle specie di veline con cui mi trovavo ad avere a che fare.
Diversa da tutte quelle persone superficiali e ipocrite che entravano nella mia vita.
Diversa nel sognare.
Diversa nel vedere il mondo.
Diversa, purtroppo, da tutto ciò che la mia generazione richiedeva e richiede tutt’ora per essere accettata nella comunità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AAH!

Linciatemi, mi sono scordata di dirvi (anzi imporvi) una cosa essenziale!

Se non l’avete già fatto, fiondatevi su questa storia: La ragazza di King's Cross.

Davvero, vi perdereste moltissimo se non lo faceste.

È una ff stupenda e se siete (come me) in cerca di storie un po’ diverse, non potete assolutamente lasciarla nel dimenticatoio -mh, sembra una televendita su EFP o.ò-.

E colgo anche l’occasione per ringraziare la sua splendida e carinissima autrice che mi diletta con recensioni jksduferuibfjdk èé. <3

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Pov. Axel

“Zayn, apri!”

Il moro mi guardò scocciato (forse per la centesima volta da quando aveva messo piede nell’appartamento, cioè una mezzoretta) e si avviò pigramente alla porta.

Mi dava sui nervi il modo in cui fulminava con lo sguardo sia me che Liam ogni qualvolta ci rivolgevamo anche solo la parola; insomma, lo sapevo di piacergli, ma non ero certo una di quelle ragazze che danno troppo peso alla cosa. E comunque pensavo di essere abbastanza responsabilizzata ed indipendente per fare quello che mi pareva.

Appena spalancò l’uscio, due figure abbastanza sconvolte e con un sorriso ebete stampato in volto ci si presentarono davanti: Louis e Grace.

Il moro stette alcuni secondi in piedi davanti a loro senza accennare a spostarsi; la situazione mi incuriosii, così mi sporsi un poco dalla cucina (nella quale stavo preparando dei tramezzini) e mi misi ad osservare la scena, senza comunque far accorgere della mia presenza agli altri.

Lentamente, Zayn alzò l’indice e lo puntò contro la coppia, sibilando:

 

“Voi avete fatto sesso..”

 

I due seguitarono a guardarlo come degli allocchi, senza togliersi di dosso sia quello sguardo poco furbo sia senza sciogliere l’abbraccio in cui si avvolgevano reciprocamente.

Ancora più convinto, il ragazzo si sciolse in un sorriso trionfante e, girandosi con uno scatto, portò le mani a megafono attorno alla bocca e urlò più forte, in modo tale che tutti quelli nella casa (vale a dire io e Liam) potessero sentire il suo annuncio:

 

“Questi due hanno fatto sesso da non più di venti minuti!”

 

Quelli, come risvegliatisi da una sorta di trance, diventarono bordeaux nel giro di pochi secondi e corsero a tappargli la bocca, sia buttandoglisi addosso, sia aggrappandosi alla sua schiena.

Il moro cominciò a ridere, mentre barcollava verso il divano con i due ragazzi ancora appiccicati a se. La scena mi provocò un moto di tenerezza, che manifestai attraverso una risata sincera, seguita da Liam, che mi si era affiancato poco prima anche lui incuriosito dalla situazione.

Al suono della mia voce, Grace si girò di scatto e, dopo avermi vista, mi corse incontro, tirandomi tre pugni abbastanza forti sul braccio destro.

Io mi ritrassi, massaggiandomi il punto colpito e guardandola confusa.

 

“Il primo era per avermi abbandonata come un cane alla discoteca” dichiarò stizzita, alzando un dito per contare i motivi di quel gesto “Il secondo per avermi fatto prendere un accidenti quando sei stata male e l’ultimo è per non esserti fatta sentire mezza volta”.

 

Mi guardò truce, mentre io assumevo una finta aria colpevole, per poi alzare gli occhi al cielo. Dopo poco, però, il suo sguardo si addolcì e annunciò:

 

“Ma questo, questo è perché mi sei mancata e sono felice di vederti!”

 

Detto questo mi si aggrappò addosso, avvolgendomi le spalle nelle sue braccia esili e affondando il viso nel mio incavo del collo. Guardai con occhi sbarrati gli altri, che nel frattempo avevano finito di fare i bambini e ci guardavano mimando con le labbra un “Oooh”, come per prenderci in giro.

 

“Ehi ehi ehi! Ragazzina scollati immediatamente!”

 

Dissi con convinzione, mentre tentavo di liberarmi da quell’abbraccio assolutamente indesiderato. Lei fece come gli avevo ordinato e mi fece la linguaccia, sussurrandomi un “antipatica” e avviandosi poi verso la cucina per prendere un finocchio appoggiato sul bancone. Il suo viaggio però fu interrotto da un paio di altre braccia che la tirarono a se e permisero alla persona padrona di esse di depositarle un bacio leggero sulla guancia e sussurrarle all’orecchio a bassa voce –forse con l’intento di non far sentire nulla a nessuno di noi, ma fallendo- un:


“Ti amo, tanto tanto tanto..”

 

Sia io che Liam imitammo la scenetta dei ragazzi di poco prima, sospirando un “Oooh” un po’ più forte, abbracciandoci teatralmente e asciugandoci reciprocamente delle lacrime immaginarie, facendo ridere la coppia. Notai che Zayn aveva uno sguardo afflitto e triste, e in quel momento mi venne voglia di tirargli la scodella dell’insalata dietro.

Alla fine mi limitai a ritornare in cucina, esattamente nel momento in cui il campanello suonò nuovamente.

 

“Zayn..”

“..Vai ad aprire. Si ho afferrato.”

 

Concluse il moro, girando il pomello della porta ed aprendola.

Nei momenti che seguirono si assistette allo sguardo confuso di Zayn e a quello terrorizzato di Niall che guardava il ragazzo indietreggiando.

 

“Niall tranquillo. Non ti faranno niente, entra pure.”

 

Gli andai incontro io, appoggiandogli una mano sulla schiena e permettendogli così di entrare.

 

“Axel, che cazzo ci fa questo qui?”

 

Ringhiò Zayn, mentre Louis e Grace entravano in soggiorno, avvinghiati e confusi, e Liam si sporgeva dalla cucina, come caduto dal pero.

 

“Questo” Indicai con un braccio il ragazzo che era dietro di me, pronto ad un’azione di fuga “è il fidanzato del tuo migliore amico ed anche un mio amico, quindi se la cosa non ti sta bene, quella è la porta, Zayn.”

 

Risposi con un tono pericolosamente basso e pericolosamente tranquillo, guardandolo insistentemente.

 

Lui mi osservò con odio, andando a grandi passi sul divano e buttandocisi sopra.

Perché doveva fare così? Perché non tentava di aprire quella sua mente così esageratamente chiusa ed usciva dal suo piccolo ed insignificante mondo? Ah si, perché era un cavolo di bambino viziato ed egocentrico.

Eppure, dopotutto, ero sicura che si potesse fargli capire tutti i suoi sbagli. E io, come sempre, mi sarei cimentata in questa impresa apparentemente impossibile.

 

“Vai pure di là, Niall. Adesso ti raggiunge Liam. Per favore, non andartene. È importante che ci sia anche tu ora.”

 

Lui mi guardò titubante per qualche secondo, poi sospirò e mi sorrise mestamente, alzando gli occhi e guardandosi intorno.

 

“No, non c’è Harry.”

 

Dissi semplicemente, voltandomi e ricominciando a preparare l’insalata. Lo sentii balbettare qualcosa come giustificazione, ma io lo liquidai con un gesto della mano e con un “Và di là”. Finalmente il biondo fece come gli avevo detto e lasciò la stanza, passando velocemente davanti a Zayn e andandosi a sedere su una sedia in sala, lontano da tutti.

Louis e Grace mi guardarono ed io, annuendo con il capo, li incitai ad andare dal ragazzo. Loro si alzarono e gli si avvicinarono, sedendosi a loro volta su delle sedie lì vicino e cominciando a parlargli.

 

“Ma allora è vero.”

 

Guardai Liam che, intento a sbucciare una carota, sorrise dicendomi ciò, senza alzare gli occhi dal suo lavoro.

 

“Cosa è vero?”

“Che sei una paladina della giustizia!”

 

Dopo avergli affibbiato una forte gomitata nella spalla e averlo cacciato dalla cucina, mi concessi un sorriso, pensando che, in fondo, potevo essere vista così dagli altri.

Io, io una paladina della giustizia?! Questa era bella.

 

“E così.. tu e Liam eh?”

 

Sbuffai sonoramente e chiusi gli occhi, fermando il lavoro che le mie mani stavano svolgendo su una patata.

 

“Zayn, mi spieghi che vuoi? Ti rendi conto di come ti comporti?”

 

Dissi arrabbiata, voltandomi repentinamente verso il ragazzo che, appoggiato allo stipite della porta, lontano da tutti, aggrottò la fronte e poi la rilassò, forse avendo capito il significato delle mie parole.

 

“Non mi hai risposto.”

“E non intendo farlo.”

 

Si massaggiò un tempia, inspirando profondamente. Si stava arrabbiando? Oh, si salvi chi può.

Ma per piacere. 

 

“Perché?”

 

Disse, e non capii se fosse una domanda o un principio di frase che si aspettava completassi. E così feci.

 

“Perché finiresti per rompermi ancora più di quello che già fai l’anima.”

 

Rimase immobile, con gli occhi chiusi ed il respiro pesante, che gli faceva alzare ritmicamente il petto ampio.

 

“È un si?”

 

Sussurrò dopo alcuni minuti.

 

“Vuoi che sia un si?”

 

Risposi io, sorridendo e finalmente abbandonando il tubero che avevo torturato fino a quel momento, per poi girarmi verso di lui ed appoggiarmi al piano cottura della cucina, attendendo una risposta che non tardò ad arrivare, accompagnata da uno sbuffo irritato e un’alzata repentina delle palpebre.

 

“No.”

“Perché?”

 

Imitai il tono con cui aveva pronunciato lui stesso quella singola parola poco prima.

Dio, quanto mi stavo divertendo.

Si passò una mano tra i capelli, frustrato, per poi lasciarla cadere pesantemente lungo il fianco e alzarla subito dopo insieme all’altra come gesto di esasperazione, emettendo un verso gutturale.

 

“Perché secondo te?!”

 

Mi sbraitò contro sottovoce.

Sorridendo, mi voltai, mi sciacquai le mani e raccolsi le verdure in un recipiente, tutto in totale silenzio, per poi avviarmi verso la sala e, solo in quel momento, gli dissi con tono divertito e fintamente ingenuo, sempre camminando:

 

“Ah, non ne ho idea.”

 

E, senza che riuscii controllarmi, scoppiai a ridere quando sentii provenire dalla cucina un “Dio” sbiascicato seguito da un rumore di pentole che venivamo sbattute per terra.

 

 

Pov.  Niall

 

Stupido, stupido Horan!

Prima andavo lì, a casa di quella strana ragazza che mi aveva invitato, con un senso di leggerezza nel sapere che il riccio non sarebbe stato presente, mentre l’attimo dopo lo cercavo come un claustrofobico cerca l’aria.

Eppure mi aveva avvertito, lei.

Cercai di giustificare il mio stato d’animo così irrequieto constatando che, dopotutto, ero in un mini appartamentino con le persone che fino alla settimana prima mi infilavano la testa nei cassonetti della spazzatura.

No, la verità era che Harry mi mancava davvero, e non c’era niente o nessuno che influiva su tutto ciò.

Sognavo ad occhi aperti, mentre Louis e quella che avevo capito essere la sua nuova-mini-ragazza, che il mio Curly Boy spalancasse l’uscio di casa, con una bottiglia di champagne contornata da un voluminoso fiocco dorato in mano, mentre esclamava, sorridendo festoso provocando le sue fossette che mi avevano attratto sin dal primo momento, una frase come “Ehi, non avrete cominciato senza di me, vero?”.

Sogna Niall, sognare non costa niente.

E così, per quella che mi parve un’infinità, tra gli irritanti sguardi civettuoli che gli sposini si scambiavano (credevo di essere finito in un romanzo rosa, per intenderci), le loro personalità logorroiche e, cosa più importante, la preoccupazione costante verso il pakistano che, pur non avendomi degnato di un solo sguardo mezza volta, riusciva ad infondermi puro e vero terrore, trascorsero una ventina di minuti, prima che Axel ci portasse, seguita da un Liam tutto sorridente, la cena tanto attesa.

Chiacchierarono del più e del meno (loro), qualche volta le due ragazze cercarono di coinvolgermi in qualche discorso, aiutate talvota da Liam e Louis, ricevendo dalla mia parte solo insoddisfacenti “Uhm”, “Interessante”, “Si”, “No” e altre risposte di questo genere.

 

“Okay, direi che qui abbiamo finito. Che ne dite di trasferirci sul balcone?”

 

Domandò Axel, alzandosi in piedi svogliatamente.

Louis assunse uno sguardo shockato e “Hai addirittura un balcone?!”, esclamò, portandosi una mano alla bocca.

La ragazza assottigliò gli occhi e sussurrò, in un misto tra il divertito e il finto minaccioso:


“Esilarante. Grace, tienimelo lontano se vuoi copularci ancora.”

 

Scoppiammo tutti a ridere (si, anche io), tutti tranne il ragazzo tirato in questione, che guardò la fidanzata terrorizzato. Questa a sua volta si rese conto dopo delle parole della ragazza ed arrossì in modo fulmineo, nascondendosi nel petto accogliente del ragazzo, che prese ad accarezzarle la schiena amorevolmente guardandole sorridente la nuca.

Dio mio.

Erano davvero tutte così le persone innamorate?

Eravamo così io ed Harry?

Scossi la testa, arrabbiato con me stesso per non riuscire a staccarmi da quel pensiero costante e fastidioso.

Comunque, dopo questo breve sketch, ci alzammo per dare una mano a sparecchiare.

Proprio mentre svoltavo un angolo per portare una pila di piatti in cucina, mi scontrai con Zayn, che a sua volta aveva tra le mani tovaglioli e posate.

 

“Scusami..”

 

Sussurrai abbassando lo sguardo, come in segno di sottomissione, e superandolo velocemente, desideroso di non sentirmi uno schifo anche grazie a lui, come se non bastasse di suo la mia scarsa autostima.

Quando però, subito dopo un sospiro pesante, il ragazzo mi afferrò per un polso trattenendomi, mi sentii gelare il sangue nelle vene.

Mi riportò nel punto in cui mi ero trovato durante lo ‘scontro’ e mi osservò di sottecchi, sospirando per una seconda volta.

Che voleva fare? Tirarmi un pugno così, con tutti presenti? La serata non poteva finire in modo più adeguato alla giornata penosa appena trascorsa.

Mi appiattii al muro ed attesi che facesse qualcosa, qualsiasi cosa, per poi essere libero di andar via.

Tutto ciò che mi ero immaginato, però, non successe, e l’ultima cosa che mi aspettavo era sentirlo pronunciare, a voce sommessa e colpevole, ciò che mai avrei creduto sentir uscire dalle labbra di Zayn Jawaad Malik:

 

“Niall.. senti, scusami tu. Io non lo so perché mi comporto così, soprattutto dopo che ho scoperto.. si insomma.. tu ed Harry.”

 

Si bloccò un attimo e si fece passare una mano sulla faccia, mentre io me ne stavo ancora spiaccicato al muro sporco, questa volta però con la bocca spalancata dalla sorpresa.

 

“Mi… mi dispiace, volevo dirti solo questo. Mi piacerebbe conoscerti meglio, scoprire chi sei e riportare indietro Harry.. sono sicuro che manca tanto a te quanto a me.”

 

E dopo tutte queste belle parole, ecco che arrivò l’esplosione: uno Zayn fragile, uno Zayn stanco, uno Zayn che, nonostante fosse stato sempre visto da tutti come il ragazzo figo e strafottente, aveva solo bisogno di riavere il suo migliore amico al suo fianco, esattamente come io avevo bisogno di sentire la Sua mano nella mia, la Sua risata nell’aria e la Sua voce nelle orecchie, di qualsiasi intonazione fosse.

Dopotutto, io e Malik non eravamo poi così diversi.

 

“O..okay Zayn. Dammi solo il tempo di metabolizzare il tutto.”

 

Dissi corrucciando la fronte e facendolo così ridere.

Almeno a qualcosa ero servito, alla fine.

 

“Andiamo di là, prima che Axel ci venga a prendere per i capelli.”

 

Sospirò nuovamente, invitandomi a precederlo, mentre ci avviavamo verso il balcone, dove già tutti si erano sistemati per terra con una coperta e chiacchieravano tra loro.

Solo in quel momento, mi resi conto del tono che il moro aveva usato nel pronunciare il nome della ragazza, e non solo pochi secondi prima..

Il rimbombo del pendolo che segnava la mezzanotte mi fece ridestare dai miei pensieri e raggiunsi gli altri sorridendo: dopotutto, quella serata si stava rivelando più interessante del previsto.

 

 

Pov. Zayn

 

Che diavolo avevo appena detto?

Mi ero appena scusato con Niall Horan? E mi ero sentito bene nel farlo?!

Mi stava succedendo qualcosa, poco ma sicuro.

Comunque, in tutto quel casino che era la mia testa, di una cosa ero assolutamente certo: odiavo profondamente ogni minimo contatto che Liam e Axel prendevano tra di loro, ogni qualvolta che si ‘accorgevano’ dell’esistenza dell’altro. Insomma, stavano insieme, okay –il breve dialogo che avevo avuto poco prima con la ragazza me lo aveva praticamente confermato-, ma io non riuscivo comunque a passare sopra alla cosa e a non continuare a darmi dell’imbecille per non aver fatto qualcosa io prima per conquistarla.

Conquistare Axel…

Bella questa.

 

“Ragazzi, direi che ci siamo svagati abbastanza, ora vorrei iniziare con le cose serie, se non vi dispiace.”

 

Tutti ci voltammo verso di lei, che se ne stava appoggiata al muretto del balcone e giocherellava con la Marlboro che aveva tra le dita.

Ah, era una festa ‘apposta’ questa? Mi ero perso qualcosa, ma sicuramente, conoscendo la mia storica disattenzione, me lo aveva accennato. Sicuramente.

 

“Io so tante cose di voi, e quello che non so lo riesco ad intuire.”

 

Ci guardò tutti, uno per uno, mentre pronunciava questa frase, e  in quel momento mi ritrovai a constatare quanto quella ragazza fosse fuori dal normale.

 

“Vedete, ieri io e Liam…”

 

Si bloccò un attimo per prendersi il tempo di accendersi la sigaretta e, potrei giurarlo tutt’ora, il suo sguardo guizzò su di me per un tempo brevissimo, proprio nel momento in cui facevo una smorfia indefinita.

 

“Dicevo, io e Liam abbiamo parlato un po’, e mi sono resa conto che in effetti voi, di me, sapete poco e niente. Per me è abbastanza difficile raccontare ciò che è la mia storia, ma ve lo devo, davvero.”

 

Ci sorrise, forse per la prima volta ci sorrise, a tutti.

Da Louis e Grace (che ormai erano diventati un unico essere, stando perennemente appiccicati), che le sorrisero incoraggianti, a Liam, il quale la guardò complice, in un certo senso, al piccolo ed indifeso Niall, che sembrava curioso e dubbioso allo stesso tempo, per finire con… me. Non so quale fosse la mia espressione in quel momento, fatto sta che Axel mi osservò a lungo, per poi distogliere lo sguardo che si era fatto malinconico, oserei dire.

 

“Insomma, bando ai fronzoli, io sono Axel, e questa è la mia storia.”

 

Sussurrò, già sollevata dal peso che stava per scaricare.

 

 

 

 

Quando la bambina nacque, ai genitori fu detto, forse da rituale, forse no, “Questa è la vostra speciale creatura.”

Speciale.

Ci avevano creduto, loro, come ogni genitore avrebbe fatto.

Ma ci avevano creduto nel modo sbagliato, perché lei era speciale, ma non come loro avrebbero voluto.

Cresceva sana e tranquilla, dedita alle costruzioni con i cubetti di legno e all’osservare attentamente e affascinata le ruspe che lavoravano instancabili le macerie, la terra, l’asfalto, immaginandoseli come giganteschi mostri di metallo.

Si beava dei gesti semplici, non dei grandi regali; odiava quando le maestre di asilo gridavano contro i bambini, seppur lei non stesse particolarmente a cuore a nessuno di loro.

Odiava la folla, la ressa, la gente schiamazzante.

Odiava andare al mercato per questo motivo, e odiava gli spazi deserti per la causa opposta.

Osservava.

Lei, semplicemente, osservava e apprendeva dai gesti quotidiani di chi la circondava.

Crebbe così fino ai dodici anni, senza amici e senza problemi, esattamente come la bambina sola ed isolata che amava essere, quella che si intrufolava di nascosto dalle uscite di emergenza dei cinema per gustarsi quei piccoli momenti di pace, quella che, nonostante le preoccupazioni che i genitori già iniziavano a manifestare riguardo i suoi atteggiamenti ‘sbagliati’, viveva felicemente la sua esistenza.

Poi, i tredici anni.

Non le bastava più ciò che aveva.

La sua testa le giocava brutti scherzi, evidenziando di nero ciò che gli altri semplicemente vedevano in positivo e colorando le cose che disgustavano la gente comune.

Il carattere cominciava a mutare da sé: mentre prima era tollerante a certi fattori, ora si sentiva in dovere di reagire.

D’improvviso, Axel, quella Axel, emerse, spingeva arrogante per uccidere la piccola bambina innocente.

Tutto ciò provocava pianti incontrollati e talvolta improvvisi alla piccola creatura, nella quale cercavano di coesistere senza successo due entità opposte: la bambina e Axel.

E poi, come una tempesta, come un segnale, arrivò il circo in città.

I genitori decisero di portarla ad assistere a quello spettacolo che incantava tutti i bambini del mondo, la portarono, stupidamente, in quel luogo dove Axel ebbe finalmente il sopravvento.

Barriti, belati, muggiti, nitriti, miagolii, ruggiti… tutto ai suoi occhi suonava come una richiesta d’aiuto, come un urlo disperato.

Guardava atterrita gli animali che la osservavano a loro volta, non riuscendo a capire il motivo di quella insensata schiavitù, mentre i genitori battevano le mani per incitare il lavoro degli ammaestratori.

Quella notte, mentre la casa dormiva e le stelle sorridevano alla luna, mentre il suo letto giaceva silenzioso nella sua stanza, privo di padrone per quella sera, la bambina apriva il primo lucchetto della gabbia delle zebre, inconscia del fatto che ad ogni scatto di serratura si stava rinchiudendo lei stessa chissà dove, mentre l’Axel in lei prendeva il sopravvento, destinato a farla scomparire completamente con il tempo.

E quella notte, la sua vita cambiò, con l’arrivo di lui.

“Che stai facendo?”, una voce, una singola, tenebrosa voce nell’oscurità le fece gelare il sangue nelle vene.

Si girò, pronta a fuggire, quando una mano le coprì la bocca e l’altra la afferrava per il braccio, trascinandola via da quello che per lei era una prigione.

Cosa le avrebbe fatto?

Aveva paura, una dannatissima paura… di essere trascinata indietro nuovamente, quando ancora ignorava tutto ciò che ora il suo cervello stava elaborando.

Si fermò solo un quarto d’ora dopo, giunto in un vasto campo senza nome e senza età, infinito ai suoi giovani occhi.

“Perché stavi aprendo quelle gabbie, ragazzina?”

Provò nuovamente, riformulando la frase e incrociando le braccia al petto, conscio del fatto che anche volendo, la bambina non sarebbe potuta scappare tanto lontano.

Questa, a sua volta, deglutì rumorosamente e si strinse a sé, inginocchiandosi per terra e puntando i suoi grandi e umidi occhi marroni in quelli verdi e bui dell’uomo, impaurita ma, nello stesso tempo, con un senso di sicurezza e pace mai provati.

“N…non mi piace vederli in trappola. Nessuno dovrebbe esserlo.”

Sbiascicò, con una tenue voce bambinesca.

Lui corrugò la fronte e stette ad osservarla a lungo, prima di rilassarsi e sedersi a sua volta di fronte a quella minuta creatura, incrociando le gambe e poggiando una mano sul suo braccio.

“Neanche a me piace.”, soffiò, stupefatto di quanto la sua mentalità e quella di una semplice creaturina coincidessero.

Si osservarono per quello che parve un tempo infinito, mentre il vento soffiava e le stelle brillavano più che mai.

Non si conoscevano, non si erano mai visti, eppure sapevano per certo una cosa: si appartenevano, da sempre e per sempre, le loro anime erano nate per intrecciarsi.

Il ragazzo vide quel meraviglioso esserino tremare leggermente a causa del clima gelido e stringersi ancora di più su se stessa, abbassando lo sguardo e cominciando a tirare su con il naso.

Senza pensarci due volte, si trascinò di fianco a lei e la avvolse dentro alla sua giacca, realizzando solo in quel momento quanto lui fosse colossale in confronto al piccolo corpo della bambina.

“Come ti chiami?”

Risentire la sua voce procurò ad Axel una strana e sconosciuta stretta al cuore, cuore che aveva cominciato a battere forsennatamente da quando il Suo odore le era entrato nelle narici e il Suo braccio le aveva avvolto le spalle.

Alzò di poco lo sguardo, attenta a non farsi vedere, e scrutò il volto del ragazzo: gli occhi, spaventosamente verdi, erano socchiusi mentre scrutavano il cielo, i capelli, biondi cenere con delle sfumature castane, erano corti ma non tanto da non permettere al vento di alzarli in più direzioni, la bocca era leggermente dischiusa e contornata da una rada barba forse sfuggita al rasoio o forse graziata, per quel giorno, dalla pigrizia del padrone.

Era uno degli esseri più belli che avesse mai visto in tredici anni di vita.

“Axel..”, sussurrò quasi, facendosi comunque sentire dal giovane, il quale annuì e non aggiunse altro. Decise allora lei di farsi più intraprendente, cercando di intavolare una conversazione avrebbe aiutato entrambi a capire più cose dell’altro.

“Ho.. ho tredici anni. Tu?”

Il ragazzo sorrise al vento e finalmente portò lo sguardo negli occhi della ragazzina, decidendo di risponderle nel modo più soddisfacente possibile.

“Ho ventidue anni..”, fece già una pausa, stupefatto dai numerosi sentimenti che passavano sulla faccia di Axel e che lui riusciva a cogliere: emozione, paura, attrazione. Sorrise nuovamente, facendola arrossire e facendole spostare lo sguardo altrove. Le prese il viso e lo voltò nuovamente verso di sé, assottigliando lo sguardo e poi rilassandolo.

“Mi piace il tuo viso, non nasconderlo per favore.”, disse ciò come fosse una profonda confidenza, insicuro ma anche convinto al tempo stesso del significato delle sue parole.

Axel sostenne lo sguardo finchè lui non riprese a parlare, subito dopo che ebbe sospirato e chiuso gli occhi.

“..Ho ventidue anni, mi chiamo Galen e sto congelando.”

Detto ciò si alzò in piedi, trascinando la bambina con se e cominciò a riaccompagnarla a casa, in silenzio, dopo il consenso di lei.

Sapevano entrambi di aver trovato uno una sorella e l’altra un fratello, e questo si manifestò nei mesi successivi: non facevano nulla che non implicasse la presenza dell’altro, vivevano dei loro sorrisi e silenzi in compagnia, si accompagnavano nei piccoli furti e nelle esperienze di tutti i giorni, odiavano insieme ed amavano insieme.

Galen le fece conoscere il sapore della vita, quella dura, quella quasi impossibile, l’unica libera, priva di costrizioni, il vivere alla giornata e secondo i propri ideali, anche quelli che andavano contro tutto e tutti, che venivano trascurati e talvolta dimenticati dai più, come la concezione di libertà di pensiero, la libertà delle azioni, il rispetto verso gli altri e verso se stessi, l’uguaglianza tra persone considerate diverse.

Axel gli mostrò i piccoli gesti, piacevoli nella loro enorme semplicità, gli insegnò la tolleranza e la disponibilità verso il prossimo, in una fusione di buone azioni e cattive, che favorivano chi era bisognoso di soccorso.

Le giornate si bruciavano come l’erba nelle cartine, si dissolvevano come il fumo nell’aria, e si guadagnavano, insieme, come i soldi derivanti dalla droga.

Era ormai questo il suo mondo, quello di una ragazzina prossima ai quattordici anni, ancora senza nessun amico ma con qualcuno che nessuno avrebbe mai trovato: un compagno di vita, di quelli veri, concreti, reali.

Ma non tutto è destinato a durare: questo detto Axel lo imparò e l’avrebbe ancora imparato più volte sulla sua pelle.

Era una giornata limpida, simile a quella in cui si erano incontrati, praticamente un anno prima.

Ma no, questa volta le stelle non accompagnavano una felicità inesistente nel nostro tempo, bensì dei gemiti strazianti che fuoriuscivano dal corpo sfigurato dai troppo mali e dalle troppe siringhe che il ragazzo si era inferto.

Il motivo non fu mai chiarito, neanche ad Axel, la quale guardava sulla soglia della porta, in silenzio, quel fratello che mai aveva visto in quelle condizioni.

Cominciò anche lei a piangere.

Pianse per il dolore che lo affligeva, pur non conoscendolo.

Pianse per tutte quelle volte che non avevano mai pianto insieme.

Pianse per un amore che non poteva emergere.

Ma emerse, solo per quella notte, emerse.

Sotto un tetto ormai decadente, sotto ragnatele e polvere, sotto il peso di una vita forse iniziata e vissuta nel modo sbagliato, ma comunque vissuta, Axel e Galen fecero l’amore.

All’esterno le lacrime imperavano, lei troppo giovane per capire, lui troppo libero per comprendere lo sbaglio inesistente, in un vortice di voci indefinite, quelle provenienti dal corpo dolorante della ragazzina, con le ossa troppo strette per non allargarsi e il seno troppo infertile per non aumentare, segno dell’adolescenza alle porte (o forse già iniziata), quelle provenienti dal corpo eccessivamente vissuto dell’angelo nero.

All’interno, quella notte si conserva ancora adesso, sebbene gli eventi li abbiano divisi, nell’anima indelebile ed indistruttibile di entrambi, la notte in cui amarono forse veramente in tutta la loro vita, un amore sbagliato e giustissimo, sporco e limpido come gli occhi appena schiusi di un bambino di due ore di vita.

Quella stessa notte, le loro strade si separarono.

Camminavano verso la casa di Axel, in silenzio, lei stringendosi a se, esattamente come quella sera, la loro sera, lui camminando pensieroso, con una mano in tasca, l’altra stesa sul fianco e una Marlboro tra le labbra.

Axel non seppe e ancora adesso se lo chiede cosa successe nei momenti successivi, quando Galen la avvolse tra le sue confortanti braccia, fermandosi di colpo, e i battiti del suo cuore accelerarono irrimediabilmente.

Degli uomini cominciarono ad avvicinarsi alle due figure strette tra loro, parlando e talvolta urlando frasi infernali, dolorose non per suono ma per significato nelle sue piccole orecchie.

Successe tutto troppo velocemente.

Lei si trovava per terra, forse col cuore fermo, forse appena udibile, lui le stava affianco, pallido come la luna e bellissimo tra le numerose screziature rosse che cominciavano a formarsi.

“Vivi sempre, Axel. Giorno per giorno, non lasciare mai che qualcuno ti ostacoli.”

Sussurrò sorridendole, conscio del fuggi fuggi che si creava intorno a loro ma non particolarmente interessato.

Allungò una mano, tremante, e le asciugò una lacrima che silenziosa marchiava il volto di quella che per lui sarebbe per sempre rimasta la sua bambina intenta ad aprire la gabbia delle zebre.

Axel lo chiamò, forse lo chiama ancora adesso, scuotendo piano il corpo ormai vuoto del ragazzo.

Osservò ancora i suoi occhi verdi, ora simili a delle biglie di vetro, e si accorse con stupore di essere arrivata tardi, di non avergli insegnato l’insegnabile, di non averlo portato a sognare veramente, lei, una ragazzina di quattordici anni.

Quel tuono, quel rimbombo nel cielo nero proveniente dalla pistola nemica, è ancora nei pensieri della ragazza, sempre, vive di quel ricordo, assordante e assurdo insieme.

Venne trascinata di peso dalla polizia, mentre suo fratello veniva coperto da un telo bianco, spaventoso.

Per sei mesi fu coinvolta in indagini in qualità i testimone, il mondo attorno a lei girava, ogni tanto si fermava per donarle compassione, e poi ripartiva.

Lei intanto invecchiava, ogni minuto un anno di più, mentre Axel e Galen coesistevano dentro la sua anima, come non erano mai riusciti a farlo Axel e la bambina.

Ben presto si estraniò dal mondo circostante, intenta a ritrovare il suo paradiso, la sua dimensione, mentre gli altri cominciavano a vederla sotto una cattiva luce, con odio quasi.

Ma lei cercava il suo Galen, lo cercava pur sapendo che mai lo avrebbe ritrovato, ma bisognosa di avere qualcosa in cui credere.

Si ritrovò così sulle spalle diciassette anni e un’adolescenza morta.

Per suoi genitori (che poi genitori non erano più) la figlia era ancora dispersa nei meandri della città, intenta a giocare con quel ragazzo che le aveva donato e distrutto la vita.

Ormai non badavano più alle siringhe e alle canne che trovavano per casa, perché non aveva senso discutere con un corpo di cristallo.

Arrivò poi la rissa.

Il poliziotto stava manganellando un ragazzino nero, chissà sporco di  quale colpa inesistente, e il pugno di Axel sul naso dell’uomo non tardò ad arrivare.

Passò tre mesi nel carcere minorile, tra conoscenze e nemici.

Poi, chissà come, si ritrovò su un aereo, in una giornata fredda e piovosa, con il Suo viso vivido più che mai nella memoria e quel rimbombo sempre presente.

 

 

 

 

 

 

 

Ciao gente!

Ebbene no, ancora morta non sono, ma sono sulla buona strada (scuola, genitori, problemi esistenziali, One Direction mezzi nudi… cose così).

Questo capitolo è stato allucinante, non potete capire. Per tipo tre settimane mi metteo davanti alla pagina vuota di word, la riempivo e la svuotavo di nuovo.

Un bordello, insomma :D

Ma ecco qui, finally!

Dunque, io sono una pippa a raccontare avvenimenti importanti facendo parlare il personaggio, quindi ci ficco la terza persona e risolvo così (per chi mi stesse uccidendo virtualmente per aver reso implicito il rapportuccio tra il nostro Louis e la nostra Grace… arriverà anche lui, don’t worry!), quindi spero sia stata chiara la descrizione dell’infanzia di Axel: lei intanto la sta raccontando agli altri.

Non so che altro dire.

Ah, si! Non perdete le sperane per i Zaxel… già da prossimo capitolo… bhe… BASTA SPOILER!

Spero vi piaccia e vi ringrazio per le cose carinissime che mi dite sempre: VI AMO, come Niall ama il cibo, come Harry venera la pussy (èé), come Liam odia i cucchiai… okey, questo esempio non centrava… credo.

Ccciaoo!

Andrea xx

Ps. Faccio una cosa squallidissima: mi auto pubblicizzo!

 Titanium

Nb. Il collasso imminente…

 

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