AAH!
Linciatemi,
mi sono scordata
di dirvi (anzi imporvi) una cosa essenziale!
Se non l’avete già fatto, fiondatevi su questa storia: La ragazza di King's Cross.
Davvero,
vi perdereste moltissimo se non lo faceste.
È una ff
stupenda e se siete (come me) in cerca di storie un po’
diverse,
non potete assolutamente lasciarla nel dimenticatoio -mh, sembra una
televendita su EFP o.ò-.
E colgo anche
l’occasione per ringraziare la sua splendida e carinissima
autrice che mi diletta con recensioni jksduferuibfjdk
èé. <3
Pov.
Axel
“Zayn,
apri!”
Il
moro mi guardò scocciato (forse per la centesima volta da
quando aveva messo
piede nell’appartamento, cioè una mezzoretta) e si
avviò pigramente alla porta.
Mi
dava sui nervi il modo in cui fulminava con lo sguardo sia me che Liam
ogni
qualvolta ci rivolgevamo anche solo la parola; insomma, lo sapevo di
piacergli,
ma non ero certo una di quelle ragazze che danno troppo peso alla cosa.
E
comunque pensavo di essere abbastanza responsabilizzata ed indipendente
per
fare quello che mi pareva.
Appena
spalancò l’uscio, due figure abbastanza sconvolte
e con un sorriso ebete
stampato in volto ci si presentarono davanti: Louis e Grace.
Il
moro stette alcuni secondi in piedi davanti a loro senza accennare a
spostarsi;
la situazione mi incuriosii, così mi sporsi un poco dalla
cucina (nella quale
stavo preparando dei tramezzini) e mi misi ad osservare la scena, senza
comunque far accorgere della mia presenza agli altri.
Lentamente,
Zayn alzò l’indice e lo puntò contro la
coppia, sibilando:
“Voi
avete fatto
sesso..”
I
due seguitarono a guardarlo come degli allocchi, senza togliersi di
dosso sia
quello sguardo poco furbo sia senza sciogliere l’abbraccio in
cui si
avvolgevano reciprocamente.
Ancora
più convinto, il ragazzo si sciolse in un sorriso trionfante
e, girandosi con
uno scatto, portò le mani a megafono attorno alla bocca e
urlò più forte, in
modo tale che tutti quelli nella casa (vale a dire io e Liam) potessero
sentire
il suo annuncio:
“Questi
due hanno
fatto sesso da non più di venti minuti!”
Quelli,
come risvegliatisi da una sorta di trance, diventarono bordeaux nel
giro di
pochi secondi e corsero a tappargli la bocca, sia buttandoglisi
addosso, sia
aggrappandosi alla sua schiena.
Il
moro cominciò a ridere, mentre barcollava verso il divano
con i due ragazzi
ancora appiccicati a se. La scena mi provocò un moto di
tenerezza, che
manifestai attraverso una risata sincera, seguita da Liam, che mi si
era
affiancato poco prima anche lui incuriosito dalla situazione.
Al
suono della mia voce, Grace si girò di scatto e, dopo avermi
vista, mi corse
incontro, tirandomi tre pugni abbastanza forti sul braccio destro.
Io
mi ritrassi, massaggiandomi il punto colpito e guardandola confusa.
“Il
primo era per
avermi abbandonata come un cane alla
discoteca”
dichiarò stizzita, alzando un dito per contare i motivi di
quel gesto “Il secondo per avermi
fatto prendere un
accidenti quando sei stata male e l’ultimo è per
non esserti fatta sentire
mezza volta”.
Mi
guardò truce, mentre io assumevo una finta aria colpevole,
per poi alzare gli
occhi al cielo. Dopo poco, però, il suo sguardo si
addolcì e annunciò:
“Ma
questo, questo
è perché mi sei mancata e sono felice di
vederti!”
Detto
questo mi si aggrappò addosso, avvolgendomi le spalle nelle
sue braccia esili e
affondando il viso nel mio incavo del collo. Guardai con occhi sbarrati
gli
altri, che nel frattempo avevano finito di fare i bambini e ci
guardavano
mimando con le labbra un “Oooh”, come per prenderci
in giro.
“Ehi
ehi ehi!
Ragazzina scollati immediatamente!”
Dissi
con convinzione, mentre tentavo di liberarmi da
quell’abbraccio assolutamente
indesiderato. Lei fece come gli avevo ordinato e mi fece la linguaccia,
sussurrandomi un “antipatica” e avviandosi poi
verso la cucina per prendere un
finocchio appoggiato sul bancone. Il suo viaggio però fu
interrotto da un paio
di altre braccia che la tirarono a se e permisero alla persona padrona
di esse
di depositarle un bacio leggero sulla guancia e sussurrarle
all’orecchio a
bassa voce –forse con l’intento di non far sentire
nulla a nessuno di noi, ma
fallendo- un:
“Ti amo, tanto tanto
tanto..”
Sia
io che Liam imitammo la scenetta dei ragazzi di poco prima, sospirando
un
“Oooh” un po’ più forte,
abbracciandoci teatralmente e asciugandoci
reciprocamente delle lacrime immaginarie, facendo ridere la coppia.
Notai che
Zayn aveva uno sguardo afflitto e triste, e in quel momento mi venne
voglia di
tirargli la scodella dell’insalata dietro.
Alla
fine mi limitai a ritornare in cucina, esattamente nel momento in cui
il
campanello suonò nuovamente.
“Zayn..”
“..Vai
ad aprire.
Si ho afferrato.”
Concluse
il moro, girando il pomello della porta ed aprendola.
Nei
momenti che seguirono si assistette allo sguardo confuso di Zayn e a
quello
terrorizzato di Niall che guardava il ragazzo indietreggiando.
“Niall
tranquillo.
Non ti faranno niente, entra pure.”
Gli
andai incontro io, appoggiandogli una mano sulla schiena e
permettendogli così
di entrare.
“Axel,
che cazzo ci
fa questo qui?”
Ringhiò
Zayn, mentre Louis e Grace entravano in soggiorno, avvinghiati e
confusi, e
Liam si sporgeva dalla cucina, come caduto dal pero.
“Questo”
Indicai con un
braccio il ragazzo che era dietro di me, pronto ad un’azione
di fuga “è il fidanzato
del tuo migliore amico ed
anche un mio amico, quindi se la cosa non ti sta bene, quella
è la porta,
Zayn.”
Risposi
con un tono pericolosamente basso e pericolosamente tranquillo,
guardandolo
insistentemente.
Lui
mi osservò con odio, andando a grandi passi sul divano e
buttandocisi sopra.
Perché
doveva fare così? Perché non tentava di aprire
quella sua mente così
esageratamente chiusa ed usciva dal suo piccolo ed insignificante
mondo? Ah si,
perché era un cavolo di bambino viziato ed egocentrico.
Eppure,
dopotutto, ero sicura che si potesse fargli capire tutti i suoi sbagli.
E io,
come sempre, mi sarei cimentata in questa impresa apparentemente
impossibile.
“Vai
pure di là,
Niall. Adesso ti raggiunge Liam. Per favore, non andartene.
È importante che ci
sia anche tu ora.”
Lui
mi guardò titubante per qualche secondo, poi
sospirò e mi sorrise mestamente,
alzando gli occhi e guardandosi intorno.
“No,
non c’è
Harry.”
Dissi
semplicemente, voltandomi e ricominciando a preparare
l’insalata. Lo sentii
balbettare qualcosa come giustificazione, ma io lo liquidai con un
gesto della
mano e con un “Và di là”.
Finalmente il biondo fece come gli avevo detto e
lasciò la stanza, passando velocemente davanti a Zayn e
andandosi a sedere su
una sedia in sala, lontano da tutti.
Louis
e Grace mi guardarono ed io, annuendo con il capo, li incitai ad andare
dal
ragazzo. Loro si alzarono e gli si avvicinarono, sedendosi a loro volta
su delle
sedie lì vicino e cominciando a parlargli.
“Ma
allora è vero.”
Guardai
Liam che, intento a sbucciare una carota, sorrise dicendomi
ciò, senza alzare
gli occhi dal suo lavoro.
“Cosa
è vero?”
“Che
sei una
paladina della giustizia!”
Dopo
avergli affibbiato una forte gomitata nella spalla e averlo cacciato
dalla
cucina, mi concessi un sorriso, pensando che, in fondo, potevo essere
vista
così dagli altri.
Io,
io una paladina della giustizia?! Questa era bella.
“E
così.. tu e Liam
eh?”
Sbuffai
sonoramente e chiusi gli occhi, fermando il lavoro che le mie mani
stavano
svolgendo su una patata.
“Zayn,
mi spieghi
che vuoi? Ti rendi conto di come ti comporti?”
Dissi
arrabbiata, voltandomi repentinamente verso il ragazzo che, appoggiato
allo
stipite della porta, lontano da tutti, aggrottò la fronte e
poi la rilassò,
forse avendo capito il significato delle mie parole.
“Non
mi hai
risposto.”
“E
non intendo
farlo.”
Si
massaggiò un tempia, inspirando profondamente. Si stava
arrabbiando? Oh, si
salvi chi può.
Ma
per piacere.
“Perché?”
Disse,
e non capii se fosse una domanda o un principio di frase che si
aspettava
completassi. E così feci.
“Perché
finiresti
per rompermi ancora più di quello che già fai
l’anima.”
Rimase
immobile, con gli occhi chiusi ed il respiro pesante, che gli faceva
alzare
ritmicamente il petto ampio.
“È
un si?”
Sussurrò
dopo alcuni minuti.
“Vuoi
che sia un
si?”
Risposi
io, sorridendo e finalmente abbandonando il tubero che avevo torturato
fino a
quel momento, per poi girarmi verso di lui ed appoggiarmi al piano
cottura
della cucina, attendendo una risposta che non tardò ad
arrivare, accompagnata
da uno sbuffo irritato e un’alzata repentina delle palpebre.
“No.”
“Perché?”
Imitai
il tono con cui aveva pronunciato lui stesso quella singola parola poco
prima.
Dio,
quanto mi stavo divertendo.
Si
passò una mano tra i capelli, frustrato, per poi lasciarla
cadere pesantemente
lungo il fianco e alzarla subito dopo insieme all’altra come
gesto di
esasperazione, emettendo un verso gutturale.
“Perché
secondo te?!”
Mi
sbraitò contro sottovoce.
Sorridendo,
mi voltai, mi sciacquai le mani e raccolsi le verdure in un recipiente,
tutto
in totale silenzio, per poi avviarmi verso la sala e, solo in quel
momento, gli
dissi con tono divertito e fintamente ingenuo, sempre camminando:
“Ah,
non ne ho
idea.”
E,
senza che riuscii controllarmi, scoppiai a ridere quando sentii
provenire dalla
cucina un “Dio” sbiascicato seguito da un rumore di
pentole che venivamo
sbattute per terra.
Pov.
Niall
Stupido,
stupido Horan!
Prima
andavo lì, a casa di quella strana ragazza che mi aveva
invitato, con un senso
di leggerezza nel sapere che il riccio non sarebbe stato presente,
mentre
l’attimo dopo lo cercavo come un claustrofobico cerca
l’aria.
Eppure
mi aveva avvertito, lei.
Cercai
di giustificare il mio stato d’animo così
irrequieto constatando che,
dopotutto, ero in un mini appartamentino con le persone che fino alla
settimana
prima mi infilavano la testa nei cassonetti della spazzatura.
No,
la verità era che Harry mi mancava davvero, e non
c’era niente o nessuno che
influiva su tutto ciò.
Sognavo
ad occhi aperti, mentre Louis e quella che avevo capito essere la sua
nuova-mini-ragazza, che il mio Curly Boy spalancasse l’uscio
di casa, con una
bottiglia di champagne contornata da un voluminoso fiocco dorato in
mano,
mentre esclamava, sorridendo festoso provocando le sue fossette che mi
avevano
attratto sin dal primo momento, una frase come “Ehi, non
avrete cominciato
senza di me, vero?”.
Sogna
Niall, sognare non costa niente.
E
così, per quella che mi parve
un’infinità, tra gli irritanti sguardi civettuoli
che gli sposini si scambiavano (credevo di essere finito in un romanzo
rosa,
per intenderci), le loro personalità logorroiche e, cosa
più importante, la
preoccupazione costante verso il pakistano che, pur non avendomi
degnato di un
solo sguardo mezza volta, riusciva ad infondermi puro e vero terrore,
trascorsero una ventina di minuti, prima che Axel ci portasse, seguita
da un
Liam tutto sorridente, la cena tanto attesa.
Chiacchierarono
del più e del meno (loro), qualche volta le due ragazze
cercarono di
coinvolgermi in qualche discorso, aiutate talvota da Liam e Louis,
ricevendo
dalla mia parte solo insoddisfacenti “Uhm”,
“Interessante”, “Si”,
“No” e altre
risposte di questo genere.
“Okay,
direi che
qui abbiamo finito. Che ne dite di trasferirci sul balcone?”
Domandò
Axel, alzandosi in piedi svogliatamente.
Louis
assunse uno sguardo shockato e “Hai addirittura un
balcone?!”, esclamò,
portandosi una mano alla bocca.
La
ragazza assottigliò gli occhi e sussurrò, in un
misto tra il divertito e il
finto minaccioso:
“Esilarante. Grace, tienimelo
lontano se
vuoi copularci ancora.”
Scoppiammo
tutti a ridere (si, anche io), tutti tranne il ragazzo tirato in
questione, che
guardò la fidanzata terrorizzato. Questa a sua volta si rese
conto dopo delle
parole della ragazza ed arrossì in modo fulmineo,
nascondendosi nel petto
accogliente del ragazzo, che prese ad accarezzarle la schiena
amorevolmente
guardandole sorridente la nuca.
Dio
mio.
Erano
davvero tutte così le persone innamorate?
Eravamo
così io ed Harry?
Scossi
la testa, arrabbiato con me stesso per non riuscire a staccarmi da quel
pensiero costante e fastidioso.
Comunque,
dopo questo breve sketch, ci alzammo per dare una mano a sparecchiare.
Proprio
mentre svoltavo un angolo per portare una pila di piatti in cucina, mi
scontrai
con Zayn, che a sua volta aveva tra le mani tovaglioli e posate.
“Scusami..”
Sussurrai
abbassando lo sguardo, come in segno di sottomissione, e superandolo
velocemente, desideroso di non sentirmi uno schifo anche grazie a lui,
come se
non bastasse di suo la mia scarsa autostima.
Quando
però, subito dopo un sospiro pesante, il ragazzo mi
afferrò per un polso
trattenendomi, mi sentii gelare il sangue nelle vene.
Mi
riportò nel punto in cui mi ero trovato durante lo
‘scontro’ e mi osservò di
sottecchi, sospirando per una seconda volta.
Che
voleva fare? Tirarmi un pugno così, con tutti presenti? La
serata non poteva
finire in modo più adeguato alla giornata penosa appena
trascorsa.
Mi
appiattii al muro ed attesi che facesse qualcosa, qualsiasi cosa, per
poi
essere libero di andar via.
Tutto
ciò che mi ero immaginato, però, non successe, e
l’ultima cosa che mi aspettavo
era sentirlo pronunciare, a voce sommessa e colpevole, ciò
che mai avrei
creduto sentir uscire dalle labbra di Zayn Jawaad Malik:
“Niall..
senti, scusami
tu. Io non lo so perché mi comporto così,
soprattutto dopo che ho scoperto.. si
insomma.. tu ed Harry.”
Si
bloccò un attimo e si fece passare una mano sulla faccia,
mentre io me ne stavo
ancora spiaccicato al muro sporco, questa volta però con la
bocca spalancata
dalla sorpresa.
“Mi…
mi dispiace,
volevo dirti solo questo. Mi piacerebbe conoscerti meglio, scoprire chi
sei e
riportare indietro Harry.. sono sicuro che manca tanto a te quanto a
me.”
E
dopo tutte queste belle parole, ecco che arrivò
l’esplosione: uno Zayn fragile,
uno Zayn stanco, uno Zayn che, nonostante fosse stato sempre visto da
tutti
come il ragazzo figo e strafottente, aveva solo bisogno di riavere il
suo
migliore amico al suo fianco, esattamente come io avevo bisogno di
sentire la Sua
mano nella mia, la Sua risata nell’aria e la Sua voce nelle
orecchie, di
qualsiasi intonazione fosse.
Dopotutto,
io e Malik non eravamo poi così diversi.
“O..okay
Zayn.
Dammi solo il tempo di metabolizzare il tutto.”
Dissi
corrucciando la fronte e facendolo così ridere.
Almeno
a qualcosa ero servito, alla fine.
“Andiamo
di là,
prima che Axel ci venga a prendere per i capelli.”
Sospirò
nuovamente, invitandomi a precederlo, mentre ci avviavamo verso il
balcone,
dove già tutti si erano sistemati per terra con una coperta
e chiacchieravano
tra loro.
Solo
in quel momento, mi resi conto del tono che il moro aveva usato nel
pronunciare
il nome della ragazza, e non solo pochi secondi prima..
Il
rimbombo del pendolo che segnava la mezzanotte mi fece ridestare dai
miei
pensieri e raggiunsi gli altri sorridendo: dopotutto, quella serata si
stava
rivelando più interessante del previsto.
Pov.
Zayn
Che
diavolo avevo appena detto?
Mi
ero appena scusato con Niall Horan? E mi ero sentito bene nel farlo?!
Mi
stava succedendo qualcosa, poco ma sicuro.
Comunque,
in tutto quel casino che era la mia testa, di una cosa ero
assolutamente certo:
odiavo profondamente ogni minimo contatto che Liam e Axel prendevano
tra di
loro, ogni qualvolta che si ‘accorgevano’
dell’esistenza dell’altro. Insomma,
stavano insieme, okay –il breve dialogo che avevo avuto poco
prima con la
ragazza me lo aveva praticamente confermato-, ma io non riuscivo
comunque a
passare sopra alla cosa e a non continuare a darmi
dell’imbecille per non aver fatto
qualcosa io prima per conquistarla.
Conquistare
Axel…
Bella
questa.
“Ragazzi,
direi che
ci siamo svagati abbastanza, ora vorrei iniziare con le cose serie, se
non vi
dispiace.”
Tutti
ci voltammo verso di lei, che se ne stava appoggiata al muretto del
balcone e
giocherellava con la Marlboro che aveva tra le dita.
Ah,
era una festa ‘apposta’ questa? Mi ero perso
qualcosa, ma sicuramente,
conoscendo la mia storica disattenzione, me lo aveva accennato.
Sicuramente.
“Io
so tante cose
di voi, e quello che non so lo riesco ad intuire.”
Ci
guardò tutti, uno per uno, mentre pronunciava questa frase, e in quel momento mi
ritrovai a constatare
quanto quella ragazza fosse fuori dal normale.
“Vedete,
ieri io e
Liam…”
Si
bloccò un attimo per prendersi il tempo di accendersi la
sigaretta e, potrei
giurarlo tutt’ora, il suo sguardo guizzò su di me
per un tempo brevissimo,
proprio nel momento in cui facevo una smorfia indefinita.
“Dicevo,
io e Liam abbiamo parlato un po’, e mi sono resa conto che in
effetti voi, di
me, sapete poco e niente. Per me è abbastanza difficile
raccontare ciò che è la
mia storia, ma ve lo devo, davvero.”
Ci
sorrise, forse per la prima volta ci sorrise, a tutti.
Da
Louis e Grace (che ormai erano diventati un unico essere, stando
perennemente
appiccicati), che le sorrisero incoraggianti, a Liam, il quale la
guardò
complice, in un certo senso, al piccolo ed indifeso Niall, che sembrava
curioso
e dubbioso allo stesso tempo, per finire con… me. Non so
quale fosse la mia
espressione in quel momento, fatto sta che Axel mi osservò a
lungo, per poi
distogliere lo sguardo che si era fatto malinconico, oserei dire.
“Insomma,
bando ai
fronzoli, io sono Axel, e questa è la mia storia.”
Sussurrò,
già sollevata dal peso che stava per scaricare.
Quando
la bambina
nacque, ai genitori fu detto, forse da rituale, forse no,
“Questa è la vostra
speciale creatura.”
Speciale.
Ci
avevano creduto,
loro, come ogni genitore avrebbe fatto.
Ma
ci avevano creduto
nel modo sbagliato, perché lei era speciale, ma non come
loro avrebbero voluto.
Cresceva
sana e
tranquilla, dedita alle costruzioni con i cubetti di legno e
all’osservare
attentamente e affascinata le ruspe che lavoravano instancabili le
macerie, la
terra, l’asfalto, immaginandoseli come giganteschi mostri di
metallo.
Si
beava dei gesti
semplici, non dei grandi regali; odiava quando le maestre di asilo
gridavano
contro i bambini, seppur lei non stesse particolarmente a cuore a
nessuno di
loro.
Odiava
la folla, la
ressa, la gente schiamazzante.
Odiava
andare al mercato
per questo motivo, e odiava gli spazi deserti per la causa opposta.
Osservava.
Lei,
semplicemente,
osservava e apprendeva dai gesti quotidiani di chi la circondava.
Crebbe
così fino ai
dodici anni, senza amici e senza problemi, esattamente come la bambina
sola ed
isolata che amava essere, quella che si intrufolava di nascosto dalle
uscite di
emergenza dei cinema per gustarsi quei piccoli momenti di pace, quella
che, nonostante
le preoccupazioni che i genitori già iniziavano a
manifestare riguardo i suoi
atteggiamenti ‘sbagliati’, viveva felicemente la
sua esistenza.
Poi,
i tredici anni.
Non
le bastava più ciò
che aveva.
La
sua testa le giocava
brutti scherzi, evidenziando di nero ciò che gli altri
semplicemente vedevano
in positivo e colorando le cose che disgustavano la gente comune.
Il
carattere cominciava
a mutare da sé: mentre prima era tollerante a certi fattori,
ora si sentiva in
dovere di reagire.
D’improvviso,
Axel,
quella Axel, emerse, spingeva arrogante per uccidere la piccola bambina
innocente.
Tutto
ciò provocava
pianti incontrollati e talvolta improvvisi alla piccola creatura, nella
quale
cercavano di coesistere senza successo due entità opposte:
la bambina e Axel.
E
poi, come una
tempesta, come un segnale, arrivò il circo in
città.
I
genitori decisero di
portarla ad assistere a quello spettacolo che incantava tutti i bambini
del
mondo, la portarono, stupidamente, in quel luogo dove Axel ebbe
finalmente il
sopravvento.
Barriti,
belati,
muggiti, nitriti, miagolii, ruggiti… tutto ai suoi occhi
suonava come una
richiesta d’aiuto, come un urlo disperato.
Guardava
atterrita gli
animali che la osservavano a loro volta, non riuscendo a capire il
motivo di
quella insensata schiavitù, mentre i genitori battevano le
mani per incitare il
lavoro degli ammaestratori.
Quella
notte, mentre la
casa dormiva e le stelle sorridevano alla luna, mentre il suo letto
giaceva
silenzioso nella sua stanza, privo di padrone per quella sera, la
bambina
apriva il primo lucchetto della gabbia delle zebre, inconscia del fatto
che ad
ogni scatto di serratura si stava rinchiudendo lei stessa
chissà dove, mentre
l’Axel in lei prendeva il sopravvento, destinato a farla
scomparire
completamente con il tempo.
E
quella notte, la sua
vita cambiò, con l’arrivo di lui.
“Che
stai facendo?”, una
voce, una singola, tenebrosa voce nell’oscurità le
fece gelare il sangue nelle
vene.
Si
girò, pronta a
fuggire, quando una mano le coprì la bocca e
l’altra la afferrava per il
braccio, trascinandola via da quello che per lei era una prigione.
Cosa
le avrebbe fatto?
Aveva
paura, una
dannatissima paura… di essere trascinata indietro
nuovamente, quando ancora
ignorava tutto ciò che ora il suo cervello stava elaborando.
Si
fermò solo un quarto
d’ora dopo, giunto in un vasto campo senza nome e senza
età, infinito ai suoi
giovani occhi.
“Perché
stavi aprendo
quelle gabbie, ragazzina?”
Provò
nuovamente,
riformulando la frase e incrociando le braccia al petto, conscio del
fatto che
anche volendo, la bambina non sarebbe potuta scappare tanto lontano.
Questa,
a sua volta,
deglutì rumorosamente e si strinse a sé,
inginocchiandosi per terra e puntando
i suoi grandi e umidi occhi marroni in quelli verdi e bui
dell’uomo, impaurita
ma, nello stesso tempo, con un senso di sicurezza e pace mai provati.
“N…non
mi piace vederli
in trappola. Nessuno dovrebbe esserlo.”
Sbiascicò,
con una tenue
voce bambinesca.
Lui
corrugò la fronte e
stette ad osservarla a lungo, prima di rilassarsi e sedersi a sua volta
di
fronte a quella minuta creatura, incrociando le gambe e poggiando una
mano sul
suo braccio.
“Neanche
a me piace.”,
soffiò, stupefatto di quanto la sua mentalità e
quella di una semplice
creaturina coincidessero.
Si
osservarono per quello
che parve un tempo infinito, mentre il vento soffiava e le stelle
brillavano
più che mai.
Non
si conoscevano, non
si erano mai visti, eppure sapevano per certo una cosa: si
appartenevano, da
sempre e per sempre, le loro anime erano nate per intrecciarsi.
Il
ragazzo vide quel
meraviglioso esserino tremare leggermente a causa del clima gelido e
stringersi
ancora di più su se stessa, abbassando lo sguardo e
cominciando a tirare su con
il naso.
Senza
pensarci due
volte, si trascinò di fianco a lei e la avvolse dentro alla
sua giacca,
realizzando solo in quel momento quanto lui fosse colossale in
confronto al
piccolo corpo della bambina.
“Come
ti chiami?”
Risentire
la sua voce procurò
ad Axel una strana e sconosciuta stretta al cuore, cuore che aveva
cominciato a
battere forsennatamente da quando il Suo odore le era entrato nelle
narici e il
Suo braccio le aveva avvolto le spalle.
Alzò
di poco lo sguardo,
attenta a non farsi vedere, e scrutò il volto del ragazzo:
gli occhi,
spaventosamente verdi, erano socchiusi mentre scrutavano il cielo, i
capelli,
biondi cenere con delle sfumature castane, erano corti ma non tanto da
non
permettere al vento di alzarli in più direzioni, la bocca
era leggermente
dischiusa e contornata da una rada barba forse sfuggita al rasoio o
forse
graziata, per quel giorno, dalla pigrizia del padrone.
Era
uno degli esseri più
belli che avesse mai visto in tredici anni di vita.
“Axel..”,
sussurrò
quasi, facendosi comunque sentire dal giovane, il quale
annuì e non aggiunse
altro. Decise allora lei di farsi più intraprendente,
cercando di intavolare
una conversazione avrebbe aiutato entrambi a capire più cose
dell’altro.
“Ho..
ho tredici anni.
Tu?”
Il
ragazzo sorrise al
vento e finalmente portò lo sguardo negli occhi della
ragazzina, decidendo di
risponderle nel modo più soddisfacente possibile.
“Ho
ventidue anni..”,
fece già una pausa, stupefatto dai numerosi sentimenti che
passavano sulla
faccia di Axel e che lui riusciva a cogliere: emozione, paura,
attrazione.
Sorrise nuovamente, facendola arrossire e facendole spostare lo sguardo
altrove. Le prese il viso e lo voltò nuovamente verso di
sé, assottigliando lo
sguardo e poi rilassandolo.
“Mi
piace il tuo viso,
non nasconderlo per favore.”, disse ciò come fosse
una profonda confidenza,
insicuro ma anche convinto al tempo stesso del significato delle sue
parole.
Axel
sostenne lo sguardo
finchè lui non riprese a parlare, subito dopo che ebbe
sospirato e chiuso gli
occhi.
“..Ho
ventidue anni, mi
chiamo Galen e sto congelando.”
Detto
ciò si alzò in
piedi, trascinando la bambina con se e cominciò a
riaccompagnarla a casa, in
silenzio, dopo il consenso di lei.
Sapevano
entrambi di
aver trovato uno una sorella e l’altra un fratello, e questo
si manifestò nei
mesi successivi: non facevano nulla che non implicasse la presenza
dell’altro,
vivevano dei loro sorrisi e silenzi in compagnia, si accompagnavano nei
piccoli
furti e nelle esperienze di tutti i giorni, odiavano insieme ed amavano
insieme.
Galen
le fece conoscere
il sapore della vita, quella dura, quella quasi impossibile,
l’unica libera,
priva di costrizioni, il vivere alla giornata e secondo i propri
ideali, anche
quelli che andavano contro tutto e tutti, che venivano trascurati e
talvolta
dimenticati dai più, come la concezione di
libertà di pensiero, la libertà
delle azioni, il rispetto verso gli altri e verso se stessi,
l’uguaglianza tra
persone considerate diverse.
Axel
gli mostrò i
piccoli gesti, piacevoli nella loro enorme semplicità, gli
insegnò la
tolleranza e la disponibilità verso il prossimo, in una
fusione di buone azioni
e cattive, che favorivano chi era bisognoso di soccorso.
Le
giornate si
bruciavano come l’erba nelle cartine, si dissolvevano come il
fumo nell’aria, e
si guadagnavano, insieme, come i soldi derivanti dalla droga.
Era
ormai questo il suo
mondo, quello di una ragazzina prossima ai quattordici anni, ancora
senza
nessun amico ma con qualcuno che nessuno avrebbe mai trovato: un
compagno di
vita, di quelli veri, concreti, reali.
Ma
non tutto è destinato
a durare: questo detto Axel lo imparò e l’avrebbe
ancora imparato più volte
sulla sua pelle.
Era
una giornata
limpida, simile a quella in cui si erano incontrati, praticamente un
anno
prima.
Ma
no, questa volta le
stelle non accompagnavano una felicità inesistente nel
nostro tempo, bensì dei
gemiti strazianti che fuoriuscivano dal corpo sfigurato dai troppo mali
e dalle
troppe siringhe che il ragazzo si era inferto.
Il
motivo non fu mai
chiarito, neanche ad Axel, la quale guardava sulla soglia della porta,
in
silenzio, quel fratello che mai aveva visto in quelle condizioni.
Cominciò
anche lei a
piangere.
Pianse
per il dolore che
lo affligeva, pur non conoscendolo.
Pianse
per tutte quelle
volte che non avevano mai pianto insieme.
Pianse
per un amore che
non poteva emergere.
Ma
emerse, solo per
quella notte, emerse.
Sotto
un tetto ormai
decadente, sotto ragnatele e polvere, sotto il peso di una vita forse
iniziata
e vissuta nel modo sbagliato, ma comunque vissuta, Axel e Galen fecero
l’amore.
All’esterno
le lacrime
imperavano, lei troppo giovane per capire, lui troppo libero per
comprendere lo
sbaglio inesistente, in un vortice di voci indefinite, quelle
provenienti dal
corpo dolorante della ragazzina, con le ossa troppo strette per non
allargarsi
e il seno troppo infertile per non aumentare, segno
dell’adolescenza alle porte
(o forse già iniziata), quelle provenienti dal corpo
eccessivamente vissuto
dell’angelo nero.
All’interno,
quella
notte si conserva ancora adesso, sebbene gli eventi li abbiano divisi,
nell’anima indelebile ed indistruttibile di entrambi, la
notte in cui amarono
forse veramente in tutta la loro vita, un amore sbagliato e
giustissimo, sporco
e limpido come gli occhi appena schiusi di un bambino di due ore di
vita.
Quella
stessa notte, le
loro strade si separarono.
Camminavano
verso la
casa di Axel, in silenzio, lei stringendosi a se, esattamente come
quella sera,
la loro sera, lui camminando pensieroso, con una mano in tasca,
l’altra stesa
sul fianco e una Marlboro tra le labbra.
Axel
non seppe e ancora
adesso se lo chiede cosa successe nei momenti successivi, quando Galen
la avvolse
tra le sue confortanti braccia, fermandosi di colpo, e i battiti del
suo cuore accelerarono
irrimediabilmente.
Degli
uomini
cominciarono ad avvicinarsi alle due figure strette tra loro, parlando
e talvolta
urlando frasi infernali, dolorose non per suono ma per significato
nelle sue
piccole orecchie.
Successe
tutto troppo
velocemente.
Lei
si trovava per
terra, forse col cuore fermo, forse appena udibile, lui le stava
affianco,
pallido come la luna e bellissimo tra le numerose screziature rosse che
cominciavano a formarsi.
“Vivi
sempre, Axel. Giorno
per giorno, non lasciare mai che qualcuno ti ostacoli.”
Sussurrò
sorridendole,
conscio del fuggi fuggi che si creava intorno a loro ma non
particolarmente
interessato.
Allungò
una mano,
tremante, e le asciugò una lacrima che silenziosa marchiava
il volto di quella
che per lui sarebbe per sempre rimasta la sua bambina intenta ad aprire
la
gabbia delle zebre.
Axel
lo chiamò, forse lo
chiama ancora adesso, scuotendo piano il corpo ormai vuoto del ragazzo.
Osservò
ancora i suoi
occhi verdi, ora simili a delle biglie di vetro, e si accorse con
stupore di
essere arrivata tardi, di non avergli insegnato
l’insegnabile, di non averlo
portato a sognare veramente, lei, una ragazzina di quattordici anni.
Quel
tuono, quel
rimbombo nel cielo nero proveniente dalla pistola nemica, è
ancora nei pensieri
della ragazza, sempre, vive di quel ricordo, assordante e assurdo
insieme.
Venne
trascinata di peso
dalla polizia, mentre suo fratello veniva coperto da un telo bianco,
spaventoso.
Per
sei mesi fu
coinvolta in indagini in qualità i testimone, il mondo
attorno a lei girava,
ogni tanto si fermava per donarle compassione, e poi ripartiva.
Lei
intanto invecchiava,
ogni minuto un anno di più, mentre Axel e Galen coesistevano
dentro la sua
anima, come non erano mai riusciti a farlo Axel e la bambina.
Ben
presto si estraniò
dal mondo circostante, intenta a ritrovare il suo paradiso, la sua
dimensione,
mentre gli altri cominciavano a vederla sotto una cattiva luce, con
odio quasi.
Ma
lei cercava il suo
Galen, lo cercava pur sapendo che mai lo avrebbe ritrovato, ma
bisognosa di
avere qualcosa in cui credere.
Si
ritrovò così sulle
spalle diciassette anni e un’adolescenza morta.
Per
suoi genitori (che poi
genitori non erano più) la figlia era ancora dispersa nei
meandri della città,
intenta a giocare con quel ragazzo che le aveva donato e distrutto la
vita.
Ormai
non badavano più
alle siringhe e alle canne che trovavano per casa, perché
non aveva senso
discutere con un corpo di cristallo.
Arrivò
poi la rissa.
Il
poliziotto stava
manganellando un ragazzino nero, chissà sporco di quale colpa inesistente, e
il pugno di Axel
sul naso dell’uomo non tardò ad arrivare.
Passò
tre mesi nel
carcere minorile, tra conoscenze e nemici.
Poi,
chissà come, si
ritrovò su un aereo, in una giornata fredda e piovosa, con
il Suo viso vivido
più che mai nella memoria e quel rimbombo sempre presente.
Ciao
gente!
Ebbene
no, ancora morta
non sono, ma sono sulla buona strada (scuola, genitori, problemi
esistenziali,
One Direction mezzi nudi… cose così).
Questo
capitolo è stato
allucinante, non potete capire. Per tipo tre settimane mi metteo
davanti alla
pagina vuota di word, la riempivo e la svuotavo di nuovo.
Un
bordello, insomma :D
Ma
ecco qui, finally!
Dunque,
io sono una
pippa a raccontare avvenimenti importanti facendo parlare il
personaggio,
quindi ci ficco la terza persona e risolvo così (per chi mi
stesse uccidendo
virtualmente per aver reso implicito il rapportuccio tra il nostro
Louis e la
nostra Grace… arriverà anche lui, don’t
worry!), quindi spero sia stata chiara
la descrizione dell’infanzia di Axel: lei intanto la sta
raccontando agli
altri.
Non
so che altro dire.
Ah,
si! Non perdete le
sperane per i Zaxel… già da prossimo
capitolo… bhe… BASTA SPOILER!
Spero
vi piaccia e vi
ringrazio per le cose carinissime che mi dite sempre: VI
AMO, come Niall ama il cibo, come Harry venera la pussy
(èé),
come Liam odia i cucchiai… okey, questo esempio non
centrava… credo.
Ccciaoo!
Andrea
xx
Ps.
Faccio una cosa
squallidissima: mi auto pubblicizzo!
Nb.
Il collasso
imminente…