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Autore: Shadeyes    13/04/2012    2 recensioni
Fiction molto dura, ambientata durante le vicende di Eclipse e, in seguito, di Breaking Dawn. Non si tratta della solita storia sdolcinata, piena di amore e problemi di coppia. No, questa storia vuole ritrarre qualcosa di doloroso, di cupo e drammatico. Qualcosa di immutabile. Qualcosa che la Meyer ha giusto accennato e qualcosa di cui molti di noi si sono dimenticati.
Ci sarà passione, delusione, gelosia, rabbia e malinconia. Ci saranno lacrime, ferite, ricordi dolorosi, tradimenti.
E ci sarà lei, l’innocenza e la morte. La piccola, dolce, spietata Meredith.
Certe cose sono fatte per andare e venire, il tempo è fatto per essere passato, presente e futuro, altrimenti nulla avrebbe più davvero senso. Ma la verità è che il cambiamento era un privilegio che ci era negato e vivere iniziava a perdere di significato.
Ecco perché ci trovavamo sul tetto di un palazzo, quella notte. Stavamo dando un senso a ciò che eravamo.

Questa fanfiction si preoccupa di sensibilizzare il lettore, in maniera metaforica, sugli aspetti di una rara malattia psicosomatica: l’infantilismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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Mi raccomando, leggete le note finali ^^
Ma prima il capitolo v.v
Bacio <3






Infantility









11. Merry and Winnie







C’erano stati dei momenti in cui avevo cercato la solitudine, in cui avevo desiderato me stessa come unica compagnia.
A volte fa bene alienarsi dal resto del mondo, semplicemente per riflettere, per ritrovare un po’ di pace interiore.
Quella che stavo vivendo, però, era una solitudine diversa. Involontaria.
Caleb se n’era andato già da qualche giorno e nessuno ancora aveva avuto sue notizie. Solo Alice poteva rassicurarmi un poco; ogni tanto lo monitorava con le sue visioni, ma niente di più.
Stava bene, questo era tutto ciò che sapevo. Avrebbe dovuto bastarmi, ma non era così.
Mi mancava, mio padre, mi mancava terribilmente. Senza di lui mi sentivo persa, come una vera bambina in mezzo al bosco.
Avevo sempre creduto di essere il lupo cattivo della situazione, ma ora più che mai mi sentivo solo una timida Cappuccetto Rosso, così fragile e ingenua, pronta per essere mangiata.
Pessima analogia, visto i miei recenti scontri.
Carlisle si era finalmente deciso a parlarmi della tribù di nativi americani che viveva nella riserva a poche miglia da Forks.
I Quileute – così si chiamavano – erano una specie a metà tra il leggendario licantropo e il potenziale mutaforma.
Licantropi non erano di certo; i Volturi li avevano sterminati anni addietro. I mutaforma erano semplicemente diversi.
Il caro dottore mi aveva spiegato che ciò che alimentava il loro potere – e quindi, la loro trasformazione – non era né l’influenza della luna né il talento innato, bensì la nostra minacciosa presenza nel loro territorio, quella dei vampiri.
In ogni caso, l’inimicizia naturale era la stessa dei lupi mannari.
A parole sottili, Carlisle mi aveva sostanzialmente detto che il peloso rossiccio dal quale mi aveva salvato avrebbe potuto uccidermi. Io non la pensavo allo stesso modo, ma erano solo punti di vista.

«Io non capisco. Perché vi ostinate a vivere qui, sapendo che il buon vicino ha tanta voglia di farvi fuori?».
Lui rise, senza mai perdere lo sguardo amabile.

«Questa è casa nostra», mi aveva risposto, come se questo spiegasse tutto. Invece, continuavo a non capire.
Non mi ero mai sentita legata ad un luogo, e non avevo mai nemmeno vissuto abbastanza a lungo nello stesso posto per potermici affezionare.
Caleb era la mia casa; dove andava lui andavo anch’io… ed era l’unica cosa di cui avevo bisogno. L’unica che era venuta a mancarmi, oltretutto.
Scrollai la testa.
Comunque, ciò che permetteva ai Cullen di coesistere con i lupi di La Push era nientemeno un patto di non belligeranza stretto decenni fa con la stessa tribù. Insomma, niente morsi e niente violazione di territori, questo è quanto. A me avrebbe già fatto incazzare una condizione del genere, ma quella era casa Cullen e dovevo rispettare le loro regole, per quanto scomode mi potevano stare.
Beh, se ognuno avrebbe pensato agli affari suoi, non avrei avuto alcun problema. Speravo fosse così.
«Meredith…».
Speranza vana, naturalmente.
La mia testa prese a pulsare fastidiosamente, tanto che la vista mi s’incrociò per un istante.
«Posso sedermi?».
Annuii soltanto, ma non gli feci spazio, così fu costretto a sedersi sul ramo accanto.
In quei giorni avevo messo piede in casa Cullen davvero poche volte. Passavo i giorni e le notti tra un albero e l’altro, lassù, dove il vento poteva accarezzarmi la pelle e scuotermi i capelli, e dove il silenzio mi aiutava a pensare, a vincere la mia tristezza.
«Che vuoi?», domandai scorbutica. La sua sola presenza m’irritava.
«Esme mi ha chiesto di parlarti. Pensa che abbiamo iniziato con il piede sbagliato e, nonostante tutto, lo penso anch’io».
Lo guardai. La sua era un’espressione sincera, piena di speranze, ma non troppo.
«Vuole che facciamo amicizia?».
«In un certo senso, sì. Le dispiace per quello che è successo», rispose.
«Per cosa è dispiaciuta? Per il fatto che mio padre mi abbia abbandonato qui a causa vostra o perché ci siamo odiati dal primo momento che ci siamo visti?».
Fui sprezzante in ciò che dissi. Non avevo alcuna intenzione di diventare amica di Edward, né di farmi benvolere da quella famiglia. Non avevo bisogno di nessuno in assenza di Caleb. Non ero una bambina.
«Per entrambe le cose. Lei ti vuole bene, Meredith. Esme è fatta così. Ti vuole bene anche se il tuo comportamento è così diffidente nei nostri confronti», disse.
«Anche tu sei diffidente nei miei», ribattei, aggrottando la fronte.
Lui abbassò lo sguardo, amareggiato.
«Tu non approvi la mia relazione con Bella. Non che questo m’importi, ma ne sono spaventato, questo sì».
«Non farò del male alla tua umana, Edward…», m’interruppi, colta da un giramento di testa. Mai sentito di vampiri con malesseri del genere. Che vergogna! «E ti sarei grata se la smettessi di cercare di entrare nella mia mente. Non puoi capire quanto faccia male…».
«Non ho alcun controllo sul mio potere, a differenza degli altri», rivelò rammaricato. «Forse è meglio che me ne vada…».
«No!», esclamai, posandogli una mano sul braccio nudo. Il contatto diretto mi fece quasi scivolare dal ramo, ma Edward mi sostenne prontamente, incrementando ancora di più l’effetto che aveva su di me. «Lasciami!», ordinai, e nel momento in cui lo fece mi addossai al tronco massiccio, l’unico appiglio che avevo trovato.
«Se non me ne vado, starai peggio», constatò.
«Torna sul tuo ramo e leggi le menti di qualcun altro. Se mi stai abbastanza lontano, non avrò problemi».
Fece come gli avevo detto e pian piano la pressione nella testa tornò ad essere soltanto un fastidioso ronzio.
«Fino a pochi minuti fa non volevi nemmeno sentirmi nominare, e adesso vuoi che rimanga. Perché?», chiese.
La sua era un’acuta riflessione, ma non ero certa di saper dare una risposta soddisfacente.
«Non lo so. La tua presenza mi distrae abbastanza da non permettermi di pensare a Caleb. Forse è per questo motivo che non voglio rimanere di nuovo sola».
«Mi stai dicendo che ti faccio stare bene?», insinuò ridendo.
Grugnii. «Sto dicendo che preferisco la rabbia alla tristezza, e in questo momento sono molto arrabbiata».
La sua espressione tornò seria all’istante. «Non è una bella cosa».
«Per me lo è».
«La rabbia fa perdere il controllo, e tu a maggior ragione dovresti evitare che ciò accada», mi intimò.
«Ti ho già detto che non farò del male alla tua umana, né tantomeno ad altre persone. Sono vegetariana anch’io, ti ricordo».
Edward era estremamente noioso con le sue tante, troppe preoccupazioni. Era peggio di una mamma eccessivamente apprensiva.
Povera Bella. Segregata in una torre del castello dall’amata Bestia perché ha troppa paura di perderla.
Che amore sincero!
E meno male che il detto recita “se ami qualcuno, lascialo libero”!
«Ma sei anche una bambina immortale», replicò lui.
«I bambini immortali di cui hai sentito parlare erano davvero dei bambini ingenui e incoscienti. Io non sono una bambina, anche se ne ho l’aspetto. La mia mente si è sviluppata lo stesso… in gran parte, almeno. Sono esattamente come te, con il tuo controllo e le tue debolezze, a differenza che io sono fisicamente più forte», gli spiegai.
Edward mi guardò in silenzio, valutando se credermi o meno.
Il ronzio abbandonò la mia testa per lasciare di nuovo il posto alle pulsazioni dolorose, ma non abbastanza da farmi star male come prima. Si stava trattenendo, cosa che mi fece piacere.
Era inutile torturarmi se comunque non poteva sfondare le mie naturali barriere protettive.
Ad un certo punto scoppiò a ridere, così, senza motivo.
«Sei una delle poche creature a questo mondo di cui vorrei davvero conoscere i pensieri, ed è ironico che tu sia anche l’unica, a parte Bella, di cui la mente mi è totalmente oscura e silenziosa».
«Felice di sentirtelo dire», commentai.
«Io voglio crederti, Meredith, davvero… ma Bella è troppo importante per me, non voglio che le accada qualcosa a causa della mia imprudenza. Spero che tu capisca».
«Sì, lo capisco. Nemmeno io voglio che le succeda qualcosa per colpa tua. Io e Caleb abbiamo sempre lottato per questa causa. Non mi interessa la tua fiducia, non ne ho bisogno. Voglio solo essere lasciata in pace».
Il mio sguardo non poteva essere frainteso.
Edward annuì senza ribattere. Aveva capito.
«Mi dispiace che siate rimasti coinvolti in questa storia. La mia famiglia vi è grata per l’aiuto che ci state dando. Davvero, non vi ricambieremo mai abbastanza», fu tutto ciò che riuscì a dire.
«Non c’è di che», risposi, senza il minimo accenno di sorriso.
Lui invece incurvò le labbra, mesto. «Sei sempre così poco affabile?».
«Sempre».
«Non ti viene voglia di ridere un po’, ogni tanto?», domandò.
«Se vivessi soltanto la metà di quello che ho passato io, niente a questo mondo sarebbe capace di farti tornare il sorriso», sentenziai.
Sentii il bisogno di porre fine a quella discussione; stava diventando troppo personale.
Saltai giù dal ramo e lasciai che la forza si gravità facesse il resto, atterrando in piedi su una distesa di foglie morbide e umidicce. Anche Edward fece lo stesso, e qualche attimo dopo era di nuovo di fronte a me.
«Forse ti conveniva rimanere sull’albero», disse a metà tra il divertito e il serio.
«Perché dici così?», gli chiesi, confusa.
«Merry!».
Merry?
Mi voltai e vidi Emmett venirci incontro tutto sorridente.
«L’hai convinta a scendere, finalmente!», esclamò rivolto al fratello. «E tu», m’indicò, «mi devi un incontro».
«Non credo sia dell’umore, Emmett», mi difese Edward.
Ehi! Da quando avevo bisogno di essere difesa?
«Tutte scuse!», rispose il fratello.
«Quali scuse? Sono sempre dell’umore per un po’ di esercizio», affermai.
Emmett mi guardò e rise beffardo. «Sarà un piacere batterti, Merry!».
«Nei tuoi sogni», gli risposi.
Non c’era alcun tono maligno nel nostro battibecco. Si stava scherzando allegramente.
Ero davvero allegra! Pensavo che sotto sotto fosse quello il potere di Emmett: portare il buonumore.
Era forse l’unico della famiglia Cullen che mi piaceva davvero perché sapeva farsi gli affari suoi… e perché sapeva consolare senza darlo a vedere. Lo adoravo, davvero, ma nemmeno questo sarebbe mai risultato palese agli occhi degli altri.
«Questa non me la voglio perdere», commentò Edward.
«Chiama pure il resto del pubblico, Cullen. Voglio esibirmi una volta soltanto», gli dissi. Non se lo fece ripetere due volte.
«Non sarai troppo sicura di te, Merry?», mi chiese Emmett, nel frattempo.
«Potrei farti la stessa domanda», ribattei. «Perché mi chiami così?».
«Non ti piace? Meredith è troppo lungo!».
«Ma è il mio nome», precisai. «Io non ho storpiato il tuo, non vedo perché tu debba farlo col mio».
«Merry è bello, secondo me. Ti rispecchia molto. Jasper, non è bello Merry?», chiese al vampiro biondo che arrivò in quel momento assieme a Alice e Rosalie. Oh, c’era anche Esme. L’unico che mancava era Carlisle; doveva essere al lavoro. Sembrava davvero una perfetta famigliola umana…
«È molto divertente, sì!».
«A me piace molto», commentò Alice.
Emmett tornò a guardarmi con l’aria soddisfatta. «Visto? È un successo!».
«D’accordo, allora io inizierò a chiamarti Winnie», gli dissi, incrociando le braccia.
«Perché Winnie?».
«Come l’orsacchiotto della Disney, no? Un po’ ci assomigli, anche».
«E tu come fai a conoscerlo? Guardi i cartoni animati, piccola Merry?», mi prese in giro.
«No, semplicemente lo stampano su tutti i vestiti della mia taglia», lo informai. «E non ti azzardare a ridere».
Fortunatamente, in quel momento avevo indosso solo un paio di jeans neri e una maglietta rosa acceso della Pantera Rosa. Un paio di giorni prima Esme era tornata a casa con tre borse piene di vestiti per bambini; tutta roba per me.
Se me l’avesse detto prima, le avrei chiesto se poteva orientarsi più sul reparto maschile, e invece… amen. Ma la Pantera Rosa non era male, in fondo. Avevo indossato di peggio.
«Basta chiacchiere. Troviamo un masso decente e battiamoci!», esclamò.
Io alzai un sopracciglio. «Perché ci serve un masso?».
«Per evitare di spaccare il tavolo antico di Esme in casa. Il nostro braccio di ferro è molto cruento», spiegò.
Vidi Esme irrigidirsi un poco dietro di lui. «Guai a voi», disse soltanto.
«Braccio di ferro?», domandai perplessa. «Cos’è?».
«Come, non lo sai?», si stupì Emmett. «È un gioco di forza. Ognuno deve spingere sul braccio dell’altro per piegarlo. Chi ci riesce, vince».
«Ma così è troppo facile!», mi lamentai. «Non c’è nemmeno gusto».
Tutti si guardarono.
Evidentemente, Edward aveva letto nella mente di Emmett, così si accinse a spiegargli. «Credo che Meredith abbia in mente tutt’altro».
Emmett fissò me, poi lui. «Io non mi batto con una ragazza!».
«Paura?», lo stuzzicai.
Tornò con lo sguardo su di me. «Assolutamente no».
«Allora che stiamo aspettando?».
Chiesi a Edward di allontanarsi quel tanto che bastava da affievolire il ronzio nella testa, poi concentrai tutta la mia attenzione su Winnie ed assunsi la posizione da combattimento, quello vero.
Lui fece altrettanto con un sorriso troppo sicuro di sé in volto.
A distanza di sicurezza, Jasper abbracciava un fianco di Alice, ma era divorato dalla curiosità. Tutti erano impazienti di scoprire di cosa era capace un vero bambino immortale, e adesso ne avevano l’occasione.
Per loro fortuna, quello era solo uno scherzo, però. Ci sarei andata molto leggera.
«Non fatevi male, ragazzi», fu la raccomandazione di Esme.
Così, iniziammo.



«Ancora!», esclamò Emmett, furente, dopo l’ennesimo knock-out da parte mia.
«Non ne hai ancora avuto a sufficienza?», domandai ridendo.
Winnie si rimise in posizione da combattimento, ma non lo imitai questa volta. Ero davvero stufa.
«Ancora!», ordinò quasi.
«Emmett, basta, dai. State combattendo da più di un’ora…». Esme tentò di farlo desistere, ma lui non si mosse né distolse lo sguardo da me.
«Non permetto ad una bambina di strapazzarmi come una bambola! Non esiste!», ringhiò.
«Guarda che l’ho già fatto», infierii. Beh, se non altro mi stavo divertendo.
«Esme ha ragione, adesso basta. Calmati, Emmett», s’intromise Edward, avvicinandosi.
«Non è ancora finita, stammi lontano!», gli urlò contro lui.
Vedendo che il loro fratello stava diventando ingestibile, anche Jasper si avvicinò. Emmett si ammansì all’istante. Un caso? Non credo proprio.
«È stato un bello spettacolo», commentò il biondino. «Un giorno di questi vorrei provarci anch’io», mi sorrise.
«Volentieri», risposi.
Winnie mi guardò e sorrise a sua volta. «Sei un piccolo mostro, lo sai? Ma non finisce qui».
«Naturalmente», assentii.
Mentre la famiglia Cullen stava tornando verso casa, mi accorsi di avere un’espressione allegra in volto. Ed era sincera.
La malinconia che avevo dentro c’era ancora, ma si era affievolita e non faceva più male come prima.
Forse era stato l’esercizio fisico a darmi una svegliata, o semplicemente l’affetto di quella famiglia che per un attimo mi aveva abbracciato, dapprima spaventandomi e poi… non lo sapevo con certezza. Ora stavo bene, ed era una strana sensazione.
«Vieni con noi, Merry?», mi chiese Alice con la sua solita voce squillante.
Tentennai un secondo, poi, semplicemente, risposi: «Sì». E mi avviai con loro. 







Divisore Infantility








Allora, prima che me lo dimentichi, il knock-out è nientemeno che la forma non contratta di K.O., il fuori combattimento, insomma. ^^

Poi... ho una grandissima sorpresa per voi, carissime lettrici ** So di essermi fatta aspettare due mesi dall'ultimo aggiornamento, ma c'è un buon motivo xD
Per chi ancora non l'avesse scoperto, ho pubblicato il primo capitolo della storia originale di Infantility ** Sì, perché la Meredith che vedete qui è in realtà il personaggio di un'altra mia storia (tutta nella mia testa, ma mai scritta fino a qualche settimana fa xD)... quindi, insomma, questa fanfiction è un po' una cross-over, ma fa niente xD
Se volete conoscere la vera Meredith e la sua vera storia (molto, ma mooooolto più tragica e cruenta xD E a rating rosso già dal prologo, scusatemi v.v), andate a questo link e, beh... vi auguro una buona lettura e spero che vi piaccia ^^ Ci sono anche i due trailer ** Uno non mi bastava, ovviamente v.v

Per quanto riguarda questo capitolo, allora... diciamo che è mezzo di transizione e mezzo importante xD Cioè, dai... è una trama molto complessa, inutile negarlo. Non avete idea di quanto sia difficile intrecciare nuovi personaggi alla storia della Meyer, sul serio xD
Insomma, questo capitolo mi serviva. E naturalmente spero che sia stato di vostro gradimento ^^
Il prossimo, vi ricordo, sarà un capitolo dal passato e (credo) sarà uno dei più angoscianti (parlo solo di quelli del passato, eh v.v Di quelli del presente... uhhh, ce ne saranno tanti di angoscianti! xD). Spero anche di riuscire a scriverlo abbastanza in fretta perché, di solito, il passato di Meredith è talmente angst che mi esce dalle dita come niente xD

Intanto, ragazze, la maturità si avvicina spaventosamente e non ho più un briciolo di voglia di studiare q.q Pessima cosa, direi. Non vedo l'ora che arrivi giugno, seriamente!

Vi mando un enorme bacione <3 Spero abbiate passato una buona Pasqua ^^ Raccontatemi, eh v.v


Al prossimo aggiornamento!


Hilary

---------------------dendo.
Grugnii. «Sto dicendDisposition: form-data; name="uid" 63997
   
 
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