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Autore: Buildingalife    15/04/2012    2 recensioni
Aspira, espira, fumo che vola via.
Solo quello?
Silenzio.
Piede mosso, vaso rotto.
Mondo crollato addosso.
Ma la ragazza non ricorda.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiedo scusa per aver pubblicato così tardi per vari motivi, spero vi piaccia il capitolo e anche la storia in generale, buona lettura!

Due mattine dopo mi risvegliai nel letto di un ospedale.
“Di nuovo.” Pensai.
Era tutto decisamente troppo bianco.
Accanto a me c’era un tavolino sul quale vi era poggiato un vassoio: insalata senza un minimo di condimento, e una mela ammaccata.
Che schifo.
Sulla parete dietro di me c’era un quadro:  “L’urlo” di Edvard Munch.
Inquietante.
Per quanto poteva essere forte il messaggio di quel quadro, e per quanto potesse essere interessante, non valeva come qualcosa di rassicurante per un ospedale.
Che puzza.
C’era un odore di vecchio, e per quanto possa sembrare banale, anche di malato.
“Cosa ci faccio qua?” pensai ancora.
Sul comodino vi era una campanella che potevo suonare se mi servisse qualcosa.
Mi ricordava troppo l’Inconscio per usarla.
Ma la usai lo stesso.
La feci squillare, ma non arrivava nessuno.
Ripetei il procedimento per circa cinque volte, e qualcuno si degnò di venirmi ad aiutare.
Entrò un’infermiera.
“Hai bisogno di qualcosa?” disse con un’aria un po’ stanca.
Mi faceva un po’ pena quando pensavo all’odore che doveva subire ogni giorno.
“Perché sono qua?”
“Lo chiedi a me?”
Non le risposi, mantenemmo il silenzio per qualche minuto, finchè lei non lo interruppe: “Aspetta, tu sei la ragazza dell’incidente senza memoria?”
Che tatto e che sensibilità.
“Si, grazie per averlo specificato.”
“Chiedo perdono….” disse un po’ vergognata.
Silenzio, di nuovo.
L’infermiera si affacciò dietro alla porta per dare un’occhiata nel corridoio.
“Oh, ma guarda un po’, un visitatore! Ti lascio con il tuo parente o chiunque sia…” e scappò, noncurante dell’orario di visita che in quel momento sarebbe dovuto essere proibito.
Entrò mia madre.
“Ciao.” mi disse.
“Ciao…Perché sono qui?”
“Sei svenuta. Mentre stavi con Leo.” disse irritata.
“Che cos’è tutta questa rabbia?”
Esitò per un po’.
“Devi stare attenta, Giorgia. Non voglio vederti con Leo. Ti ha fatto del male una volta, ora casualmente stai con lui e rifinisci in ospedale. Quel ragazzo dovrebbe andare all’inferno.” Disse con asprezza.
Non riuscivo a capacitarmi di quelle parole.
Mia madre diceva questo?
“Disse la donna che mi mentì.”
Mi guardò storto, facendo finta di non rendersi conto cosa intendevo.
Poco dopo capì che parlavo di tutta quella storia di Davide.
“Beh io…”
“No, lascia stare.”
Se ne andò senza proferire parola.
Quella donna era strana.
L’infermiera di prima tornò.
“Sei libera. Tua madre ha firmato all’entrata il consenso per la tua uscita, cerca di riprenderti.” disse tentando di fare un occhiolino che però non le veniva.
Presi le mie cose e  puntai subito verso l’uscita.

Non potevo continuare a stare in quella casa.
Mia madre o non c’era mai, oppure contestava tutto ciò che dicevo o facevo quando c’era.
Avevo associato lei e il colore del suo nome alla gentilezza.
Sarei stata da Leo per un po’.
Mi fece uno squillo e scesi, sapendo che lui stava sotto ad aspettarmi in macchina.
Continuava ad esitare prima di abbracciarmi, non sapeva se poteva farlo o no.
Neanche io lo sapevo, quindi rimandai il momento.
Quando arrivammo spense la macchina e salimmo nel suo appartamento.
“Beh…questo sarà il tuo letto” disse conducendomi nella sua stanza “io userò il divano.”
“Ma…” stavo per precisare che il letto era a due piazze, ma mi resi conto che non era il caso.
“Niente, grazie mille.”  mi limitai a dire.

Eravamo rimasti in silenzio per un po’, finché lui non lo spezzò.
“Hai fatto colazione?”
“No.”
“Bene, neanche io, ti va se vado a prendere dei cornetti al bar qua sotto?”
Feci un cenno di consenso con la testa.
“Semplice, crema o cioccolato? Da bere vuoi qualcosa di particolare? Qua ho tè, latte, caffè…”
“Stai tranquillo, mi va benissimo un po’ di latte. Comunque il cornetto al cioccolato.”
Accennando un sorrisetto disse: “Come sempre…”
Quindi prese il portafoglio e scese giù.
Mentre lo aspettavo andai nella sua stanza, che avrei utilizzato io.
Tastai la coperta, e mi ci avvicinai col naso.
Sapeva di lui.
Sapeva meravigliosamente di lui.
Continuavo a chiedermi perché il destino avesse voluto farmi dimenticare tutto.
L’unica cosa che riuscivo a capire era che a Leo, volevo un bene enorme.
Sentii uno scatto nella serratura della porta, era tornato a quanto pare.
“Ecco i cornetti!” disse esultando come un bambino.
Ci sedemmo sul tavolino della cucina.
“Latte freddo o caldo?”
“Freddo.”
Mi portò il bicchiere e si sedette davanti a me.
Iniziammo a mangiare, e io divorai il mio cornetto.
Mi guardò ed iniziò a ridere: “Sei tutta sporca!”
Mi porse un tovagliolo con cui pulirmi il viso.
Dopo aver mangiato andammo a vedere la tv sul divano, in salotto.
Girammo minimo una ventina di canali, e non c’era niente di interessante.
Mentre cercava attentamente qualche programma decente, io lo osservavo.
Dio se volevo avvicinarmi a lui di più, e magari baciarlo. Sì, baciarlo.
Non capivo cosa mi passava per la testa.
Avevo voglia di avvicinarmi, ma dovevo controllarmi.
Com’è che si baciava?
Non riuscivo a ricordarlo, ma pensavo sarebbe dovuto venire naturale.
Il controllo che speravo di mantenere non c’era più ormai.
Mi avvicinai a lui, gli presi il mento in modo da farlo girare verso di me e avvicinai le mie labbra lentamente sulle sue.
Esitò per un po’, ma poi non aspettò per far si che la sua lingua si facesse spazio nella mia bocca, trovando la mia e giocandoci.
Sembrava quasi si rincorressero.
Non sapevo più dov’ero, e non mi importava.
Non percepivo i rumori della tv, ma non era importante.
Niente importava.
Percepivo solo lui, e le sue braccia attorno a me.
   
 
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