Ero
solo, in piedi in
un prato di erba fresca e fissavo imbambolato come un cretino un mare
di un blu
talmente profondo da sembrare quasi nero. Ovviamente, sapevo di cosa si
trattava: da quando sono un bambino mio madre, in quanto ninfa del
mare, ogni
volta che mi doveva dire qualcosa mi appariva in sogno sempre in quello
stesso
luogo.
Quando
le notizie
erano buone, il mare era di un azzurro limpido quasi più dei
miei occhi ( si
beh, un po’ di vanità non fa mai male), mentre
quando le cose non andavano poi
così tanto bene diventava quasi nero, come in quel momento.
“Madre?”
chiamavo,
avanzando di qualche
passo verso le riva
ed ignorando la spiacevole sensazione che mi avvolgeva e lei,
splendida,
luminosa e nobile come sempre, si innalzava dalle acque scure per
fermarsi
proprio davanti a me, facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi mentre
il
sottile abito di seta bianca volteggiava per un’improvvisa
brezza.
“Ben
trovato, figlio.”
sussurrava con un sorriso dolce: “Ciò che ti
dirò ora non ti piacerà, ne sono
sicuro.”
Ecco.
Diretta come
sempre, ma questa volta il suo sguardo era estremamente comprensivo e
preoccupato, come se temesse che le brutte notizie di questa volta
sarebbero
state persino più brutte del solito per me.
“Non
fermarti, madre.
Parla con sincerità e tranquillità.”
sentivo quelle parole scivolare dalle mie
labbra con la solennità e la pacatezza che doveva dimostrare
un guerriero del
mio rango anche se in realtà la mia mente e il mio cuore, la
mia anima, stava
urlando a squarcia gola di scappare il prima possibile o di fare
qualunque
altra cosa pur di non continuare quel discorso. C’era
qualcosa che non andava.
Sentivo che quello sarebbe stato un duro colpo. Oh dei…
Il
viso di mia madre
si irrigidiva di colpo e la sua voce, prima dolce, diventava
improvvisamente
fredda e tagliente mentre sillabava quasi con cattiveria una sola
parola,
un
nome: “Patroclo.”
Il
mio piccolo
cuoricino da diciannovenne confuso perse un battito e giuro che sarei
anche
morire lì, così, se solo lei non avesse riprese
con tono talmente antiapatico
ed odioso da spingermi a stare attento: non era da mai madre, la dolce
Teti,
comportarsi così.
“Allontana
da te quel
ragazzo, subito, appena ti svegli. Dallo a tuo zio o lascia che il re di Smirne lo porti via,
non mi importa, ma
non tenerlo con te. E’ pericoloso, molto più di
quello che i suoi occhioni
grigi lasciano vedere, e ti distruggerà. Per questo
è qui, non c’è altra
spiegazione. E’ SUO figlio, Achille, quindi le sue parole non
sono altro che
menzogne. Può fingere quanto vuole o negare o dire che lui
è diverso… ma il
male è troppo radicato nella sua anima per poterlo ignorare:
ti sfrutterà,
fingendo di amarti fino a quando gli farai comodo, poi ti
tradirà spezzando il
tuo cuore, infangando la tua gloria e portandosi via le ricchezze di
Ftia,
questo fanno quelli come lui. Ti ha già mentito, Achille,
dicendo che non
conosce i suoi genitori: lo sa fin troppo bene di chi è
figlio, proprio come
conosce il destino che aleggia sulla sua testa, tragica fine in cui sta
egoisticamente
coinvolgendo anche te rimanendoti vicino. Chiedilo a lui, se non mi
credi!”
Prima
ancora di
trovare il tempo di rispondere, sempre se avessi ritrovato la
capacità di
parlare, il paesaggio intorno a me sfumò rapidamente e
l’ultima cosa che vedevo
in un nero troppo profondo fu il viso severo di mia madre che mi
spronava
ancora ad ubbidire alla sue parole. Poi, il nulla.
***
Mi
sveglia di colpo,
sudato e tremate come se avessi appena affrontato la battaglia
più terribile
della mia vita e solo dopo qualche istante di completo stordimento mi
resi
conto di due cose importanti: primo, stavo piangendo; secondo, ero solo.
Scattai
subito in piedi
scoprendo così di essere vestito e solo in quel momento le
cose cominciarono a
raggiungere il loro posto nella mia mente: dopo essere tornati dal
mercato dove
avevamo incontrato quel buon uomo del re di Smirne io e Patroclo ci
eravamo
addormentati e io avevo fatto quel brutto sogno. Era buio fuori, quindi
doveva
essere notte anche perché non sentivo nessuna voce. Dove
diavolo era finito
quel ragazzino irresponsabile? Dovevo assolutamente parlargli, almeno
per farmi
dire la verità e chiarire le parole di mia madre. Poi, cosa
avrei fatto? Lo
avrei cacciato? Ne avrei veramente avuto la forza? E soprattutto, quel
dolce
angioletto dagli occhi grigi se lo meritava? O forse mia madre aveva
esagerato?
Non potevo credere che lui mi avesse mentito… ma infondo, lo
conoscevo solo da
un giorno e non avevo esitato a cadere ai suo piedi…
Scuotendo
la testa per
allontanare tutte quelle domande mi affrettai verso la porta senza
neanche
sapere dove lo avrei cercato, quando lo sguardo mi cadde su un
foglietto
lasciato sul mio comodino e lo afferrai subito senza riflettere
tornando alla
finestra per poter leggere alle luce della luna: “ Achille,
nemmeno
immagini quanto mi costi questo gesto, ma non c’è
altro che io possa fare per
il bene di entrambi: io porto solo problemi e non voglio coinvolgerti
in una
storia che da troppo tempo cerca di opprimermi. Dove andrò,
ciò che farò ancora
mi è sconosciuto, ma non temere per me, sono uno che se la
cava… Così questo è
un addio. Non odiarmi per averti mentito, l’ho fatto
per… non so perché l’ho
fatto, ma d’ora in poi non sarò più un
tuo problema. Sono stati i due giorni
migliori della mia vita, non li scorderò mai,
così come terrò sempre te nel mio
cuore; grazie per tutto ciò che hai fatto. Grazie per
esserci stato. Con amore,
Patroclo.”
Neanche
a dirlo, calde
lacrime ricominciarono subito a rigarmi le guancie, che in quel momento
dovevano essere di un pallore spettrale; sfiorai con delicatezza le SUE
parole
e il messaggio sfumò: l’inchiostro era fresca, ma
proprio MOLTO fresco… non
poteva essere lontano, anzi, tenendo conto che era notte molto
probabilmente
non aveva ancora lasciato Ftia.
Mi
fiondai fuori dalla mia
stanza correndo come se da quello dipendesse la mia vita, cosa che da
un lato
era anche vera, e in meno di un secondo raggiunsi le scuderie: lui non
c’era.
Ma
certo che non c’era!
Non aveva un cavallo da prendere e non era un ladro. Oddio, non era un
ladro
vero?
“Dove
vorresti andare
tutto solo ragazzino?” Quella voce mi bloccò di
colpo: era il vecchio mercante
di pomodori che aveva avvicinato Patroclo e a cui lui aveva risposto in
modo
non troppo gentile.
“Spostati.”
Eccolo. Le
loro voci erano subito fuori le scuderie, vicino alle mura di Ftia. Che
fare?
Agire, ovviamente.
Prima
che il minimo di
buon senso che mi era rimasto potesse suggerirmi di fermarmi almeno due
secondi
a riflettere, mi fiondai alle mura e trovai il mercante che bloccava il
passaggio a Patroclo, che aveva di nuovo indossato i suoi
“vestiti”. Se non ci
avesse pensato l’uomo, sarebbe sicuramente morto di freddo.
“Sparisci.”
il tono della
mia voce sorprese me per primo per quanto fosse duro e pericoloso.
Il
mercante sbiancò
sussurrando il mio nome, ma non appena incrociò il mio
sguardo furioso svanì
manco fosse stato invisibile.
“Domani”
pensai: “Domani
lo caccio definitivamente da qui.”
Quindi
mi volsi verso
Patroclo che mi stava fissando con gli occhi spalancati e le labbra
tremanti.
“Volevi
andartene così?”
Non volevo fare l’antipatico con lui ma ero proprio
arrabbiato, soprattutto per
la strizza che mi aveva messo il sogno con messaggio finale.
“Io…”
tentò lui, ma
abbassò subito dopo lo sguardo non sapendo cosa dire.
A
quel punto, per un
motivo a me ancora sconosciuto, mi incazzai proprio per davvero e
scattai,
raggiungendolo con due soli passi, quindi lo afferrai violentemente per
un
braccio, lo trascinai fino alle scuderie e lo sbattei violentemente
contro la
parete nascosta dagli alberi; nessuno lì ci avrebbe visto.
“Nemmeno
riesci a
giustificarti!?” sibilai minaccioso stringendo maggiormente
il suo braccio e
torcendoglielo: “Mostra almeno di sapere ciò che
fai.”
Strinsi
ancora, pentendomi
subito dopo: lei sue ossa scricchiolarono in modo sinistro e terribile,
mentre
il bel ragazzo moro che avevo di fronte soffocò a stento un
grido, piegandosi
in avanti per il dolore; lo lasciai andare subito e lui cadde in
ginocchio
piangendo.
Cosa
cazzo stavo facendo?
Dopo tutto ciò che gli aveva detto sul fatto che lui era
importante, che
nessuno doveva permettersi di fargli del male, ero io il primo a
picchiarlo?
Quel
pensiero mi colpì e
rimasi senza fiato, come quando ero bambino e mio zio mi prendeva a
schiaffi: perché?
Perché lo avevo trattato così?
Perché
avevo avuto una
paura terribile di perderlo.
Mi
inginocchiai davanti a
lui ignorando il fatto che stavo piangendo ANCORA e lo abbracciai a
lungo
lasciando che piangesse in silenzio.
“Ti
prego, lasciami
andare.” sussurrò dopo
un’eternità Patroclo, allontanandosi quel che
bastava
per guardarmi in faccia: “Lo faccio anche per il tuo
bene…”
“No.”
risposi deciso e
senza più alcuna rabbia, solo comprensione: “No
piccolo: dimmi la verità.
Qualunque sia. E’ l’unica cosa che ti
chiedo.”
“Non
voglio coinvolgerti…”
“Sono
coinvolto dal
momento in cui le guardi di hanno portato davanti a mio zio.”
“La
verità può far male…”
“Non
la temo.”
Con
un sospiro e quattro
semplici parole iniziò il discorso che mi avrebbe cambiato
la vita. Che l’avrebbe
fatto esplodere.
“Sono
figlio di Ade.”
Ah,
cavolo!
Un
grazie a tutti quelli
che seguono questa ff e soprattutto a Sick/ Lylia Osaki che con le sue
recensioni riesce sempre a farmi sorridere. A presto!!!