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Autore: Anouk92    17/04/2012    0 recensioni
"Così alla giovane età di diciassette anni scappai di casa e andai a rifugiarmi sulla collina di Monmatre. Non potrò mai dimenticare la sensazione di libertà provata dopo aver varcato il cancello di casa mia quella notte d’inverno. La neve era altissima ma io, riuscii ad uscire da quella villa e ad andare via.
Da quel momento in poi per nessuno sarei più stata Isabel, la figlia dei Louvet ma tutti mi avrebbero chiamata Fanny, la ballerina del Moulin Rouge. "
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Fanny
 
Avevo solo la vestaglia addosso, quella mattina così fredda di inverno a Mon-Matre. Ero tornata presto a casa e mi ero accoccolata nel mio letto tra le mie stupende bambine. Le lenzuola erano fresche e profumavano di pulito. Genevieve era stata felicissima di andare via più presto del solito. Non sono mai riuscita a capire come facesse a non dormire quasi mai! Era sempre sveglia! La mattina alle sei andava in panetteria a dare una mano, e poi si piazzava a Pigalle con un blocco di fogli in mano e dei carboncini, pronta a fare qualche ritratto con la speranza di venderlo. Infine tornava a casa sua alle otto di sera e alle nove era già a casa mia pronta a fare la badante alle mie figlie, mentre la notte la passava a fare la sartina a lume di candela per arrotondare. Genevieve era la mia migliore amica da quando ero a Mon-Matre, e faceva qualsiasi cosa le si chiedesse, se poteva. Non appena mi alzai dal letto, mi affacciai alla finestra della camera da letto e vidi che l’orologio della piazza segnava le nove e trenta. Era una nevosa domenica d’inverno e gli alberi spogli si vedevano benissimo dalla mia piccola dimora. Io entrai in cucina e mi diressi verso il sigaro che la sera prima avevo comprato dopo una settimana di duro lavoro. Lo accesi con un fiammifero. Il fumo ben presto assalì tutta la stanza e sembrava di stare in un treno a vapore.
I mie lunghi capelli ricci e disordinati si impregnarono dell’odore acre di quel sigaro. Il sapore era buono, e non era un fumo troppo aggressivo, anzi era caldo e dolce. C’era freddo in quella stanza. Ero seduta al tavolo di legno, quando vidi una delle mie figlie entrare. Notai una sagoma che si riconosceva in mezzo a tutto quel fumo. Vidi un manto di capelli lunghi e mossi biondicci, e una ragazzina esile e slanciata che mi veniva incontro, con indosso una camicia da notte bianca e lunga.
Rimasi immobile a guardare, quando sentii una vocina sottile che mi urlava contro: “Mamma, spegni questo sigaro! Sembri una ciminiera!”.
Mi svegliai dal mio stato di incoscienza e  vidi due occhioni blu scuro fissarmi e quasi rimproverarmi.
“Mamma, vuoi che te lo spenga io?”.
Le presi un braccio e risposi: “Non ti piace?”.
“No, è fastidioso! E fa un odore strano!”.
“Mi è costato parecchio!”.
“E’ brutto,mamma!”.
“Oh Sara!”.
Presi allora il piattino di porcellana che usavo per la cenere e spensi il  sigaro, schiacciandoglielo  contro. A poco a poco il fumo si placò, anche perché Sara aveva aperto la finestra.
“Non si mangia stamattina?”- mi chiese lei con gli occhi curiosi.
“Certo, ma qui non abbiamo niente- mi sistemai i capelli- credo che dovremmo andare a fare colazione fuori!”.
“Mi piace!”. 
Guardai Sarah con quel bellissimo sorriso stampato in faccia. Che gioia vederla felice!
“Devo svegliare Emilie e Cloe!”- urlò la mia piccola Sarah, felice.
Corse fino alla camera da letto, e cominciò ad urlare.
Cercai di fermarla il prima possibile, ma ero arrivata troppo tardi. Sentii un pianto prolungato e vidi la piccola Cloe con le lacrime agli occhi e la bocca spalancata.
Sarah mi guardò per un istante con aria innocente. La rimproverai con lo sguardo e la vidi abbassare gli occhi.
Emilie, appena sveglia mi disse: “Mamma,ti prego, falla stare zitta!”.
Presi in braccio Cloe,che non riusciva a fare a meno di piangere e la portai in cucina.
La cullai un pò, per farla calmare. Lei mi fissava con quegli occhioni tristi, poi a un tratto smise di piangere e mi chiese, impappinandosi un po’: “Mamma…fame?”.
Era un modo dolce per chiedermi se avevo intenzione di farla mangiare, così sorrisi e le risposi: “Si,tesoro! Fame!”.
La misi a terra e urlai alle altre due: “Sbrigatevi, sennò niente colazione!”.
Di solito, quando non avevo niente in casa per le bambine, andavamo a fare colazione da Matisse. Aveva degli ottimi croissante, ma aveva troppi clienti e il rischio era quello di trovarmi al tavolo accanto l’uomo della notte prima,o di due notti fa e così via. Gli uomini si ricordavano di me,ma io non mi ricordavo di loro. Per me era solo lavoro! Per loro io diventavo tutto, invece!
Quel mattino, per esempio, non appena arrivai al bar, Matisse mi salutò e io ricambia cortesemente, così mi incamminai per andare al bancone con le mie piccole al seguito. Ad un tratto, però, un uomo misi piazzò davanti. Poteva avere una cinquantina d’anni ed era abbastanza alto. Mi guardò,sorrise e disse: “Fanny!”.
Trasalii. Era sicuramente uno di qualche notte precedente.
“Buongiorno.”- risposi, cercando di evitare lo sguardo e continuando a camminare.
L’uomo mi afferrò il braccio, allora io mi sentii malissimo.
“Senta, non vi conosco. Lasciatemi stare!”.
“Non ti ricordi di me?”.
Improvvisamente un uomo alto si intromise e afferrando il braccio dell’altro uomo gli urlò: “Ehi, che modi sono questi con le signore? Lasciala in pace!”.
L’uomo andò via di corsa.
Io guardai il mio salvatore, cercando di capire chi potesse essere.
“State bene?”.
Annuii.
“Mi sembrate impaurita!”.
Non risposi.
Lui sorrise e mi porse la mano.
“Mi chiamo Clod Forièlle, sono nuovo da queste parti. Voi siete?”.
“Fa… - scossi il capo- Isabel! Vivo qui da un bel po’.”.
“Solo Isabel?”.
“Si, solo Isabel. – mi girai verso il mio tè, rimescolandolo col cucchiaino,dopo ripresi – Siete anche voi un’artista?”.
“Più o meno si. Ma sono ben retribuito. Lavorerò per il Moulin Rouge, come vignettista.”.
Mi fermai di botto.
“State bene?”.
Lo fissai qualche istante,dopo annuii, pallida in viso.
“Voi siete un’artista invece?”.
“Secondo voi mi basterebbe fare l’artista di strada per campare tre bambine?”.
Gli indicai le mie piccole, sedute ad un tavolino, con la loro colazione.
Scosse il capo, trattenendo la delusione sul suo volto.
“Non credo sia possibile!”.
“Infatti!- replicai io, sempre più impassibile- ovviamente faccio un altro lavoro!”.
“Oh, pensavo stesse per nominarmi vostro marito!”.
Io risi.
“Marito? Io gli uomini li faccio scappare! Però mi lasciano le figlie!”.
Lui si avvicinò al mio viso e quasi sussurrando mi chiese: “Dunque che lavoro fate?”.
Era veramente un bell’uomo. Capelli biondi, mossi e due occhi azzurri, penetranti. Sorriso beffardo e un accenno di baffi. Le labbra così sottili ormai sfioravano l’aria che era appena uscita dal mio naso.
“Ballo.”.
“A Mon-matre?”.
“E’ forse vietato?”.
Sentivo le farfalle nello stomaco. Non potevo dirgli chi ero veramente, non potevo deluderlo.
Avrei dovuto fare il gioco sporco con lui, come oramai facevo con tutti quanti.
Tutti avevano ascoltato almeno una delle mie menzogne.
Le mie figlie non sapevano che lavoro facessi in realtà, la gente che mi vedeva con le bambine credeva che facessi la cameriera in qualche posto e così via…
Ma con uno stipendio da cameriera sarei già morta di fame, e con me le mie piccole.
E poi Antoine, il mio capo, mi aveva particolarmente a cuore. Era forse perché avevo reso il Mouline Rouge ancora più incredibile di quanto in realtà non fosse già? O semplicemente perché sfruttarmi in tutti i sensi, gli piaceva e lo faceva sentire potente?
Mi venne un gran mal di testa.
Il bel tipo mi sorrise e, dopo aver sorseggiato il suo caffé, mi sussurrò all’orecchio: “Non è vietato. Ma vedere voi ballare, quello sarebbe stupendo!”.
“Perché?”.
“Perché sembrate un personaggio emblematico. Avete lo sguardo triste, eppure continuate a sorridere! Qualcosa vi turba?”.
Lo guardai un attimo e risposi, secca: “Si, voi!”.
Continuò a sorridere e pagò il suo caffè, poi si girò verso di me e mi disse: “Ci incontreremo in giro, mia cara Isabel. Ve lo prometto!”.
E detto questo uscì dal locale.
Il mio sguardo tornò alle mie bambine.
Belle come delle farfalle. Le mie farfalle. 
  
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