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Autore: adamantina    17/04/2012    1 recensioni
Sono passati tre anni da quando Vanessa, Damien, Lily, Charlotte, Blake, Arthur e Jonathan si sono separati con l’intenzione di tornare alla loro vita normale. Ma cosa significa normale per chi è dotato di poteri che potrebbero cambiare il mondo? Blake non si è arreso e continua a lottare. Ma anche chi ha da tempo rinunciato a combattere per un mondo più giusto dovrà tornare in campo quando le persone a lui più care saranno minacciate …
«Non puoi biasimarci per averne voluto restare fuori, Blake. Quello che tu stai facendo è fingere di essere ancora al Queen Victoria’s, e ti rifiuti di andare avanti con la tua vita. […]»
«Stavo cercando di impedire un omicidio!»
«Sei un idealista» taglio corto, incrociando le braccia. «Ammettilo, lo sei sempre stato. E credo che il tuo vero scopo sia riportare Lily sulla retta via. Ammettilo, ancora ci speri […].»
Genere: Dark, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Queen Victoria's College'
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~BAD FEELING~

 

[Arthur]

 

A svegliarmi è la sensazione spiacevole dell’acqua gelida in faccia. Sussulto e spalanco gli occhi, faticando a ricordare dove mi trovi e cosa sia successo.

Sono in una stanza piccola e sporca, con le pareti in muratura coperte di muffa, in una temperatura gelida e umida. I miei polsi sono legati ad una catena attaccata sulla parete dietro di me.

Di fronte a me, un uomo alto e corpulento, con una folta barba scura, mi osserva cupamente.

Il mio primo istinto è quello di teletrasportarmi lontano, ma non succede nulla. Quindi mi torna la memoria, e ne capisco il motivo.

Mi guardo intorno.

«Dove sono i miei compagni?» chiedo immediatamente.

«Questo ora non è importante» replica l’uomo con un pesante accento straniero che non riesco a identificare. «Cosa facevate a Washington?»

Batto le palpebre.

«Siamo stati ricevuti dal Presidente» replico.

«Perché?»

La risposta lampeggia nella mia mente –perché è sulle tracce di un’organizzazione terroristica e vuole il nostro aiuto per debellarla- e mi rendo conto di chi sono le persone che ci hanno rapiti a pochi chilometri da Washington dopo aver sparato alle gomme della nostra auto.

Merda.

«Allora?» insiste l’uomo.

Capisco di non poter rispondere. Se questi sono i terroristi in questione, e ormai non ho dubbi che lo siano, non posso rivelare loro che l’FBI è alle loro costole. Soprattutto perché, come la mia mente realizza freneticamente, lavorerei contro i ragazzi che sono rimasti a Washington, e se i terroristi fossero preparati ad un’incursione anche loro potrebbero restare uccisi.

«Rispondimi!»

Non parlo; non posso farlo.

Ne va della vita di Vanessa, di Jonathan, di Blake e di Lily.

E, con tutte le probabilità, anche di quella del Presidente, se decidessero di attaccare la Casa Bianca.

«Va bene, hai deciso di non collaborare. Sai, lo speravo segretamente.»

Deglutisco a vuoto quando vedo l’uomo aprire la porta e tornare, poco dopo, con un oggetto in mano. Sembra una scatola di metallo lunga e stretta, e quando si avvicina capisco che è piena di tizzoni ardenti. Il che rende l’attizzatoio che spunta da essa molto poco invitante.

Il sorriso compiaciuto dell’uomo è l’ultima cosa che vedo prima di serrare gli occhi, un dolore infernale che mi colpisce mentre la sbarra metallica incandescente viene premuta sul mio petto.

 

Prima che mi sleghino i polsi e mi trascinino fuori di peso passa un lasso di tempo estremamente lungo, o almeno così pare.

Vengo gettato con poca cura sul pavimento di una cella dove –ringrazio il cielo per questo- sono seduti Damien e Charlotte.

«Oh, mio Dio» sento quest’ultima sussurrare.

«Art» esclama Damien, raggiungendomi subito. «Cosa ti hanno fatto?»

Vorrei riuscire a rispondere, ma la mia gola riarsa brucia per le urla che non sono riuscito a trattenere.

«Ti hanno dato del Pentothal?» chiede Damien, spaventato, mentre cerca di aiutarmi a girarmi sulla schiena, per evitare che le ferite doloranti tocchino il pavimento sporco. «Charlotte dubitava che loro sapessero della sua esistenza.»

Scuoto la testa.

«Art, dovresti essere invulnerabile» dice con voce strozzata, nel momento in cui vede le ustioni nella loro totalità.

«C’è … » comincio con voce roca, per poi tentare di schiarirmela.

Charlotte mi allunga dell’acqua in una bottiglia semipiena. Bevo, grato, quindi riprovo.

«C’è una cosa che non ti ho detto» sono costretto ad ammettere. «Dopo il prelievo … i poteri non sono tornati.»

«Avevi detto che riguardava solo il teletrasporto di altre persone!» sbotta Damien.

«Non volevo … farti preoccupare» mormoro, appoggiando la testa sul pavimento.

Questo lo raddolcisce un po’.

«Dobbiamo fare qualcosa» dice a Charlotte.

Lei annuisce.

«Dammi l’acqua. La muffa sul pavimento potrebbe far infettare le ferite. Tu prova a sollevarlo un po’.»

Damien mi sostiene e mi aiuta ad appoggiare la schiena al muro retrostante, anche se il dolore provocato dal movimento mi stordisce, rischiando di farmi svenire.

Charlotte strappa con decisione una striscia di tessuto dalla manica della sua camicia, quindi la imbeve nell’acqua.

«Lascia fare a me» dice Damien con decisione, prendendogliela di mano.

Lei non protesta.

Damien comincia a passare la stoffa bagnata sulle ferite e io mi costringo a soffocare il gemito di dolore che ne consegue.

«Mi dispiace» mormora. «Ho quasi finito.»

Charlotte decide di non bendare le ustioni, sostenendo che l’aria fredda perlomeno mi darà un po’ di sollievo.

Chiudo gli occhi e scivolo, finalmente, in un sonno tormentato.

 

«Tu lo sapevi, non è vero?»

«Sì, lo sapevo.»

«Perché non me l’hai detto?»

«Arthur non voleva. Pensavo che non fosse così importante.»

«Beh, lo era.»

«Se avessi saputo che non era invulnerabile sarebbe cambiato qualcosa? Ne dubito.»

«Pensavo che lo odiassi. Come mai improvvisamente lo difendi?»

«Non lo sto difendendo.»

Batto le palpebre e socchiudo gli occhi, ma Damien e Charlotte non se ne accorgono e continuano a discutere.

«Sì che lo stai facendo.»

«Perché è una sua scelta dirti o no ciò che vuole. Io, in quanto medico, ho il dovere di … »

«Oh, ti prego» sbotta Damien. «Dipende dal fatto che siete andati a letto insieme, vero?»

«Mi sembrava che l’avessi presa con troppa filosofia.»

«Non stiamo parlando di me.»

«Damien, è ovvio che quello che è successo ha cambiato le cose. Non puoi … avere quel genere di rapporto con una persona e poi … dire che è rimasto tutto come prima. Specialmente perché era la prima volta.»

«Questo cosa dovrebbe significare?» chiede lui a denti stretti.

«Nulla! Non significa nulla. Non sono innamorata di lui, non lo sono mai stata. Non c’è motivo perché tu sia geloso.»

«Io non sono geloso» replica lui in automatico. Charlotte solleva un sopracciglio, critica. «Senti, lascia perdere, d’accordo? Non volevo insinuare nulla. Ho detto una cosa stupida, lascia perdere.»

Si volta e vede che sono sveglio. L’espressione mortificata sul suo volto è quasi divertente.

«Art … » comincia.

«Non importa. Hai tutto il diritto di arrabbiarti.»

«Non sono arrabbiato. Te lo giuro.»

«Credo che abbiamo cose più importanti di cui parlare» taglia corto Charlotte. «Cosa volevano sapere?»

«Cosa voleva da noi il Presidente.»

«Glielo hai detto?»

«Naturalmente no. Temevo di mettere in pericolo i ragazzi.»

«È probabile che torneranno» dice Charlotte, decisa e tagliente. «È questa la linea comune? Non diciamo nulla?» Io e Damien confermiamo. «Non hanno paura a torturare, l’abbiamo già visto.»

«Non importa.»

«Non siate ingenui» scatta lei, nervosa. «Potete fare i coraggiosi finché volete, come due veri uomini, quando è di voi che si tratta. Questi uomini sono spietati, non solo continueranno ad oltranza, per prenderci per stanchezza: potrebbero anche-»

La porta si spalanca. Lo stesso uomo di prima entra, seguito da un altro uomo e da una donna, entrambi vestiti con abiti pesanti e con i volti semicoperti da sciarpe e cappelli mimetici, più qualche guardia armata.

Evidentemente già sapendo cosa devono fare, alcune di queste ultime raggiungono me e Charlotte e ci tirano in piedi, tenendoci fermi, mentre le altre prendono Damien e lo portano all’altro lato della cella.

Un orribile presentimento serpeggia nella mia mente e mi chiude la gola.

«Sapete già cosa vogliamo che ci diciate: ciò che il Presidente vuole da voi, e tutto ciò che vi ha detto riguardo a noi. Fermateci quando sarete pronti a parlare.»

E poi le guardie cominciano a colpire Damien.

«No» mormoro, capendo ciò che Charlotte intendeva dire poco fa.

Guardo gli uomini che si accaniscono su di lui, e tutto ciò che vorrei è urlare loro di fermarsi, dire loro tutto ciò che vogliono sapere.

Ma non posso farlo.

Strattono le braccia, tentando di liberarle dalla presa ferrea delle guardie, ma è del tutto inutile. Non posso fare altro che guardare impotente il mio ragazzo picchiato a sangue.

Sento Charlotte gemere e chiudere gli occhi, voltando la testa, in lacrime. Io incrocio lo sguardo di Damien e lo sostengo per tutto il tempo, resistendo alla tentazione di nascondermi per non sentire i suoi gemiti.

Dura almeno mezz’ora: poi se ne vanno tutti, promettendo di tornare presto.

Non appena sono libero, corro da Damien, sul pavimento in una pozza di sangue.

«Dam» lo chiamo, teso.

Lui batte le palpebre, confuso, quindi tenta di mettersi a sedere. Lo aiuto e, con il sostegno di Charlotte, lo esamino per tentare di limitare i danni.

Alla fine la diagnosi conta due costole rotte, una spalla lussata e molti lividi, ma nulla di davvero grave.

«È andata piuttosto bene» commenta lui, sollevato, pur stringendo i denti per il dolore.

«Peggiorerà» taglia corto Charlotte, cupa. «Hanno capito il metodo giusto per piegarci.»

«Cosa intendi?»

«Minacciare uno per far parlare gli altri» replico io al suo posto, passando con cautela della stoffa bagnata sulle abrasioni sul viso di Damien.

Nessuno aggiunge altro.

 

Mi sveglio nel mezzo della notte per una fitta dolorosa dovuta alle ustioni che ancora campeggiano su buona parte del mio corpo. Faccio una smorfia e mi metto a sedere, massaggiando con le dita la parte interessata, a livello delle costole. Brucia da morire.

Il mio sguardo scivola automaticamente su Damien, che dorme rannicchiato su se stesso sul pavimento. Quindi passa a Charlotte, che è immobile e mi dà la schiena –troppo ferma per essere addormentata.

«A cosa pensi?» le chiedo sottovoce.

Lei si irrigidisce, colta di sorpresa, quindi si volta lentamente.

Mi aspetto un “niente” come risposta, ma mi prende alla sprovvista.

«Penso che piegare una ragazza sia molto più facile che farlo con un ragazzo» replica in un sussurro, mettendosi a sedere.

La guardo con stupore.

«Di cosa stai parlando?»

Lei si stringe nelle spalle.

«Di quello che hanno tentato di farmi a Baltimora» replica. «Di quello che sarebbe successo se Jonathan non mi avesse soccorsa.»

«Non credo che arriverebbero a tanto» dico, incerto.

«Io credo che farebbero qualunque cosa, pur di avere le informazioni che cercano.»

La osservo con attenzione.

«Andrà tutto bene, Charlotte.»

Lei scuote la testa.

«Non verranno a salvarci stavolta, Art.»

«Che cosa?»

«Non li lasceranno venire. Quelli del governo, intendo. Probabilmente non gli diranno nemmeno che siamo stati catturati.»

«Lo scopriranno ed evaderanno. Non sarebbe la prima volta.»

«Non sono sicura che tutti lo vorranno fare.»

«Certo che lo faranno! Per salvarci la vita.»

Charlotte sospira.

«Ho davvero un bruttissimo presentimento. Non andrà a finire bene.»

«Siamo sopravvissuti a tante cose, Charlie. Passerà anche questa.»

«Siamo finiti in una situazione che non possiamo controllare. Ci sono troppi interessi in gioco. Siamo diventati delle pedine nelle mani dell’una e dell’altra fazione, più ancora di quanto non lo fossimo già prima. Unirsi al Presidente è stato uno sbaglio.»

«È stata una loro libera scelta. Noi non l’abbiamo fatta, eppure siamo qui lo stesso. Se fossimo andati tutti via, ora nessuno potrebbe aiutarci.»

Lei si sdraia di nuovo sul pavimento.

«Non andrà a finire bene» ripete, profetica.

Chiudo gli occhi e fingo di addormentarmi mentre il mio cervello corre.

Vorrei credere veramente che qualcuno ci verrà a salvare.

   
 
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