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Autore: lemonade    19/11/2006    4 recensioni
Avrebbe potuto sembrare un angioletto, il classico ragazzino per bene che abita in fondo alla strada, nella casa bianca col giardino, a chiunque non lo conosceva.
Chi invece avesse letto la sua fedina penale, senza mai averlo incontrato, avrebbe potuto definirlo senza indugio un maniaco sociopatico recidivo e potenzialmente pericoloso.
La verità però, come spesso accade, stava nel mezzo.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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shay

La stanza grigia degli interrogatori gli era ormai più familiare della casa dov’era cresciuto.

Aveva quasi la certezza che Manera, il vecchio tenente baffuto che lo scrutava in silenzio con un aria di rimprovero dall’altra parte del tavolo, provasse dell’affetto per lui. Inutile dire che il sentimento era totalmente ricambiato dopo anni a giocare a guardia e ladri… ma adesso lo spasso stava per finire: il traguardo dei diciotto anni, che l’avrebbero reso maggiorenne e responsabile delle proprie azione, si avvicinava sempre di più.

Shay se ne stava lì, seduto con le gambe larghe ai lati della sedia, quasi sdraiato a fissare di rimando quel ispanico dalla faccia segnata da una ragnatela di rughe, che magari lo credeva anche un naziskin o una specie di razzista per via dei pallidi capelli ossigenati e di quella carnagione lattea, e aspettava di godersi l’ennesima ramanzina.

 

< Sono dieci anni che fai avanti e indietro dal commissariato, Stevens! > cominciò finalmente il poliziotto, con la voce rauca a causa di quella brutta abitudine che lo spingeva ad urlare ogni volta. Anche adesso.

Lo fissò furioso con quei suoi occhietti neri ed ardenti, stringendo i pugni fino a sbiancarsi le nocche grosse e rovinate da anni di lavoro. Le occhiaie si erano gonfiate e scurite negli ultimi mesi, i folti baffi ed i capelli neri andavano ingrigendosi… stava invecchiando troppo in fretta.

Shay si limitò a stare zitto, nessuna emozione gli deformava il volto ancora infantile, nessuna paura nei suoi chiari occhi nocciola, nessun sorriso spavaldo sulle labbra appena carnose. Avrebbe potuto sembrare un angioletto, il classico ragazzino per bene che abita in fondo alla strada, nella casa bianca col giardino, a chiunque non lo conosceva.

Chi invece avesse letto la sua fedina penale, senza mai averlo incontrato, avrebbe potuto definirlo senza indugio un maniaco sociopatico recidivo e potenzialmente pericoloso.

La verità però, come spesso accade, stava nel mezzo.

 

< Ti stanno addosso, lo sa? – inveì ancora il vecchio, battendo una mano sul tavolo di freddo metallo con il solo scopo di scuoterlo – Stanno solo aspettando il tuo compleanno per arrestarti e processarti come un adulto! >

< Non ho paura. > disse piano. Se il tenente perdeva velocemente le staffe e si ritrovava a sbraitare contro chiunque, Shay aveva invece il dono innato di non alzare mai la voce, silenzioso e schivo come il suo soprannome lasciava ad intendere.

< Dovresti invece! – ringhiò l’altro esasperato, afferrandolo per il colletto della maglietta e costringendolo ad alzarsi in piedi per fissarlo negli occhi, nonostante ci fosse l’ostacolo del tavolo fra loro. – Lo sai cosa fanno ai bei bambini come te, in prigione? >

Un angolo della bocca del ragazzo si alzò leggermente a quella blanda minaccia. Certo che lo sapeva, solo non gl’importava… l’agente sembrava essere più preoccupato di lui. < Non sarebbe la prima volta. > sibilò per sconvolgerlo ancora di più.

 

Manera lo lasciò andare accasciandosi sulla sedia ma Shay non si sedette di nuovo, osservandolo dall’alto.

L’uomo non era un ingenuo, dopo anni in polizia ne aveva viste di oscenità, ma quel ragazzino era il suo unico rimpianto. Non era mai riuscito a farlo rigare dritto, a redimerlo… a salvarlo.

Tutte le volte che qualche pattuglia lo pizzicava con le mani nel sacco, lo portavano in centrale e, senza curarsi troppo delle procedure, lo affidavano al vecchio tenente, il quale cominciava il suo rosario d’imprecazioni appena vedeva comparire la sua testa bionda ed il suo visino appuntito.

Le ramanzine in cui si lanciava erano apprezzate da tutti i colleghi, che ascoltavano in religioso silenzio le lavate di capo che il piccolo delinquente subiva. Talvolta si divertivano anche ad osservare da dietro lo specchio il collo di Manera che si gonfiava per la rabbia, la vena sulla tempia che pulsava impazzita, i denti stretti all’inverosimile davanti alla calma apatica del ragazzo, impassibile anche davanti agli schizzi di saliva che lo colpivano in faccia durante le sfuriate.

Quei due erano la leggenda del distretto.

 

La prima volta che il vecchio aveva incontrato Liam, perché questo era il suo vero nome, lui era solo un bambino di sette anni, biondo e magrolino, un po’ troppo tranquillo per la sua età.

Faceva il corriere della coca per qualche banda giovanile, ma il suo era stato l’unico arresto della squadra narcotici quel giorno. Speravano almeno di farlo parlare, ma quel dannato moccioso aveva la bocca cucita peggio di un mafioso di Chinatown, così l’avevano affidato a Manera, che i bambini li sapeva terrorizzare per bene dato che ne aveva cresciuti cinque.

Aveva urlato e sbraitato, ma il piccolo neanche aveva pianto. Non aveva nemmeno voluto dirgli come si chiamava.

Era stato suo padre a venirlo a cercare in centrale solo la sera ed, una volta appreso che era stato arrestato per spaccio, era andato letteralmente fuori di testa.

Nel vedere Liam la prima cosa che aveva fatto era stata colpirlo così violentemente da mandarlo a sbattere contro il muro, rompendogli il labbro inferiore e lasciandolo piuttosto stordito. Due agenti erano stati subito addosso all’uomo che non sembrava per nulla intenzionato a “fargliela passare liscia”, mentre il tenente si era precipitato sul corpicino del piccolo.

< Uff… me l’ha rotto… - aveva constato il biondino facendo riferimento  alla cuffia del suo walkman che gli pendeva senza vita dal collo. Non sembrava troppo sorpreso da quel colpo e non accennava a difendersi o lamentarsi, si era semplicemente pulito il sangue che gli colava sul mento con la manica della felpa, prima di affermare tristemente – Ora dovrò comprarne un altro. >

 

Da allora Liam Stevens, detto Shay, era diventato un assiduo frequentatore del commissariato ed i suoi crimini erano peggiorati con l’aumentare dell’età, ma nessuno aveva più riproposto di chiamare i suoi genitori.

I modi bruschi del poliziotto non gli facevano paura dato quello che era abituato a subire in casa e per strada, ma d’altra parte Manera non aveva mai neanche pensato di fare del su quel ragazzo già così provato.

Era il stato il peggior caso di rabbia adolescenziale che avesse mai visto, aveva cominciato presto e non accennava a smettere. Un lento suicidio che si perpetuava nel tempo… distruzione dopo distruzione.

 

< Liam… - aveva detto stancamente l’agente, massaggiandosi la fronte ed abbassando il tono in maniera confidenziale – Perché ti comporti così? Perché vuoi farti del male a tutti i costi? Cosa ottieni? >

Shay l’aveva guardato dall’alto, ancora in piedi con i palmi aperti appoggiati sul freddo piano del tavolo, poi aveva fatto un sospiro che somigliava quasi ad una risata ed era tornato a sedersi.

< Perché mi comporto così… allora vediamo… - aveva ripetuto, appoggiando il mento sulla mano e fingendo di riflettere – è il modo più veloce per fare soldi ed ottenere rispetto? >

L’uomo scosse la testa, compatendolo, ma il ragazzo continuò < Perché voglio farmi del male… Perché se sono io a cercarmela so cosa mi aspetta ed, ammettiamolo, è abbastanza divertente! - sorrise. - Cosa ottengo? Beh… questa risposta dovrebbe saperla. >

Manera sentiva quasi gli occhi bruciare tanto gli dispiaceva per quel teppistello, < è tutta colpa mia… > ammise in un sussurro.

< No, capo! Non sia così severo con sé stesso…! – lo consolò blando Shay, stringendosi nelle spalle con un ghignetto – Se non ci fosse lei io mi comporterei nello stesso modo… ok, diciamo che farei più resistenza all’arresto e che magari al suono delle sirene tenterei almeno la fuga…! >

< Ho fallito. > disse ancora il tenente.

Il ragazzo sbuffò annoiato e chiese, come a titolo informativo, < Sta ammettendo la sconfitta? >.

L’uomo alzò gli occhi su di lui, fissandolo con risentimento, < Credi che tutto questo sia un gioco? Eh? Credi che io mi diverta ad urlarti contro? – sbraitò di nuovo sbattendo le mani sul tavolo e facendo vibrare il piano metallico. Shay non riuscì a reprimere un sorrisetto, felice che lo scontro fosse ricominciato, quella volta gli era toccato addirittura provocarlo! – Liam, questa è la tua vita! >

< Bella merda… > commentò sarcastico il giovane.

< è del tuo futuro che stiamo parlando! > continuò il vecchio, ricominciando a sputargli addosso parole e saliva.

Il biondino si ripulì una guancia, fingendosi scocciato da quei discorsi moralisti, e fu il suo turno di scuotere la testa. Quale futuro se neanche aveva un presente?

L’unica persona che si interessava a lui era quella con cui stava litigando ora.

< Mira. > ordinò parlando la lingua madre dell’altro senza mai alzare la voce oltre il semplice tono colloquiale. Si alzò la manica della maglietta oltre il gomito, mostrando una serie di piccole punture che gli sforacchiavano la pelle candida.

Manera gli afferrò il braccio magro, eppure stranamente duro e muscoloso, osservando quello scempio.

< Eroina. – disse Shay, studiando le sue reazioni – Mi faccio da quando avevo dodici anni. >

 

Fu un attimo. In seguito si chiese come era successo e da dove era arrivato quel manrovescio che gli aveva fatto voltare la testa.

Si massaggiò la guancia tornando a guardare il vecchio che ancora gli stringeva il polso, chiedendosi se a quello schiaffo ne sarebbero seguiti altri.

< Ho cinque figli, Liam, di cui tre maschi e, pur essendo un genitore piuttosto all’antica, sono state pochissime le volte in cui ho dovuto alzare le mani su di loro. – Parlava con una lenta furia, le parole si accavallavano le une alle altre senza fretta, il tono sempre un po’ alto anche se non stava più urlando – In questi anni ho fatto il possibile per non considerarti alla stregua di un figlio, ma non ci sono riuscito. Per quanto tu sia una testa di cazzo che ci gode a mettersi nei guai, non ci sono riuscito… >

Shay sbatté le palpebre più volte, stupito dalla portata di quella confessione, mentre l’altro lo lasciava andare e si alzava avvicinandosi allo specchio e dandogli le spalle.

< Non è mai stata pietà o compassione la mia, se è questo che pensi. Io ci vedevo davvero qualcosa in te, anche se devo essermi sbagliato. – fece un sospiro triste, prima di concludere. – Mi hai molto deluso, Liam. >

Quelle parole fecero più male di un pugno nello stomaco, di un colpo di pistola che brucia la carne.

Shay boccheggiò come se gli mancasse l’aria, una sensazione di panico gli si diffuse in corpo obbligandolo a deglutire più volte per cercare di mantenere la calma.

Manera si avvicinò alla porta della stanza e l’aprì. Dalle scrivanie qualche testa si girò ad osservarli.

< Vattene, Shay. > gli disse lapidario, chiamandolo per la prima volta con quel nomignolo di strada.

Il ragazzo non si mosse. La bocca semiaperta per la sorpresa, lo sguardo attonito e fisso sul volto dell’uomo.

< Ti ho detto di andartene! > tuonò ancora, facendolo sobbalzare mentre avvertiva uno strano pizzicore agli occhi.

 

Una sentimento fastidioso che non provava più da quando era piccolo, che aveva quasi dimenticato: il gelo dell’abbandono.

Il tenente Manera lo stava cacciando dalla sua stanza interrogatori.

 

Shay si alzò sulle gambe stranamente malferme e, sfilando davanti allo sguardo tradito del poliziotto, si sentì debole come non mai.

Oltrepassò il vecchio e gli uffici da cui gli agenti lo scrutavano incuriositi, uscì dalla centrale e scese le sale dell’ingresso, maledicendosi per aver tirato troppo la corda.

Non lo avrebbe perdonato, non stavolta.

 

***

 

Carlos José Manera parcheggiò la sua utilitaria davanti a casa e scese portandosi un po’ di cartelle con le pratiche da smaltire. Ci avrebbe dato un occhiata in serata sperando di portarsi avanti col lavoro.

Aveva colpito Liam quel giorno, l’aveva cacciato… sì, aveva dichiarato la sconfitta, proprio come gli aveva suggerito il ragazzo.

Ed ora si sentiva maledettamente in colpa: se a quel poco di buono fosse successo qualcosa sarebbe stata colpa sua e non se lo sarebbe mai perdonato…

Perché era ancora un figlio nella sua ottica distorta… gli voleva bene.

 

Lo scatto di un accendino e la luce gialla della piccola fiamma che danzava illuminando un viso troppo dolce ed appuntito per essere definito adulto. La brace della sigaretta che gli brillava fra le dita mentre si avvicinava a lui.

< Liam… > disse sorpreso il tenente, vedendo il giovane criminale che lo aspettava davanti alla sua porta.

< Una volta ad undici anni ti ho seguito mentre tornavi dal lavoro. – spiegò, interrompendosi per soffiare il fumo – Ho tirato un mattone a quella finestra lì, fracassando il vetro. > disse indicando la finestra illuminata della cucina, dalla quale provenivano voci allegre.

L’uomo annuì, < Stavamo cenando. – confermò serio, prima di continuare in tono più dimesso – Per quello che è successo oggi… > Ma fu interrotto.

< Non sei tu quello che si deve scusare… lo so. – disse Shay aspirando l’aria tra i denti, come se fosse doloroso, e sfregandosi gli occhi con il pollice ed l’anulare, la sigaretta ancora in mano – Io… Beh… Non sono bravo quanto te con i discorsi… >.

Sospirò.

< Liam… > cercò d’intervenire il vecchio.

< No, non mi scuserò se è quello che credi…. – Rise – Sarebbe troppo poco nel mio stile, non trovi? >

Manera annuì mestamente.

< Sono venuto solo per ringraziarti, è stato bello sentirle su da uno come te in tutti questi anni. – sorrise, ma gli occhi erano tristi e brillavano un po’ troppo alla luce dei lampioni – Sei stato davvero la cosa che più si avvicinava ad un padre per me… >

Si toccò involontariamente la guancia ed il poliziotto ripensò al loro primo incontro, a come le aveva prese.

< Mi dispiace per lo schiaffo, io… > cercò di scusarsi.

< Ehi! Non mi hai fatto male! – scherzò il ragazzo, portandosi le mani alzate in avanti come per assolverlo – Era davvero una sberla da papà… in senso buono dico! >

Abbassò gli occhi.

< Un po’ te la sei cercata con quella storia della droga… > si giustificò l’altro.

Shay annuì sospirando e quando rialzò la testa, Manera si accorse che stava piangendo.

< Non mandarmi via…! > supplicò in un sussurro.

< Liam! - esclamò sbalordito l’uomo, avvicinandosi istintivamente per poi fermarsi a qualche passo dal ragazzo. - Non posso certo bandirti dalle centrali di polizia dello stato! > Lo rassicurò ben sapendo però che avrebbe potuto rifiutarsi di avere a che fare con lui.

< Lo sai cosa intendo… - rispose Shay, tirandosi la manica fin sul polso per asciugarsi le lacrime con dei gesti veloci e bruschi. – Io ho bisogno di te! >

< Perché? – chiese il vecchio, la voce leggermente più dura, quasi accusatoria – Perché ti fa sentire importante sentire le mie paternali? Perché ti diverti a farmi urlare? Io non ho più intenzione di guardarti mentre fai a pezzi te stesso. > Concluse, sentendo la rabbia montare e dandogli le spalle per entrare in casa, ma il ragazzo gli afferrò una spalla.

< Ti prego…! > piagnucolò, la dignità ormai gettata alle ortiche.

Il tenente si voltò a guardarlo e sospirò vedendo che piangeva < Ad una condizione. >

< Qualunque. > disse sicuro, sentendosi sollevato. Non aveva paura di ciò che poteva chiedergli, l’avrebbe fatto.

 

Manera sorrise vittorioso, ma il tono rimase serio < Smetti immediatamente di drogarti e comincia a comportarti come si deve, altrimenti hai chiuso. >

< C-cosa? – balbettò basito Shay, prima di aggiungere confuso – Ma io… come? >

< Le condizioni sono queste. Prendere o lasciare. > ribadì il poliziotto, irremovibile sulle sue posizioni.

< Io… - si studiò le scarpe cercando di racimolare gli ultimi brandelli di coraggio – Per favore, - alzò finalmente gli occhi nocciola, ancora umidi di pianto, fissandoli in quelli scuri dell’uomo – Aiutami. >

Manera sorrise sotto i folti baffoni, sinceramente commosso dalla piega che aveva preso quella giornata. Allungò una mano accarezzandogli la guancia ed asciugandogli qualche lacrima con il pollice tozzo e ruvido, poi lasciò scivolare il braccio sulle sua spalle, spingendolo in avanti nel vialetto e stingendolo un po’ in un misto di orgoglio e paterno affetto.

Stordito da tutto quel calore, Shay biascicò ancora < Ma?... Cosa? >.

L’uomo continuò a guidarlo verso la porta di casa con un sorriso, < Vieni dentro, la piccola Anamaria ha fatto le impanadas… vedrai ti piaceranno: sono la sua specialità! >

 

Liam Stevens mantenne la promessa e non tirò mai più mattoni a quella finestra, dato che la maggior parte delle volte si ritrovò ad essere dall’altra parte del vetro. Le impanadas erano davvero buone ed Anamaria dimostrò di avere molte qualità oltre ad essere una brava cuoca.

Carlos e sua moglia Lucia trattarono sempre Shay come un figlio, anche se il signor Manera ebbe qualche esitazione nel concedergli la mano della sua bambina.

Il giovane delinquente studiò scienza forense e psicologia criminale, diventando uno dei più giovani e dotati profiler che l’F.B.I. avesse mai avuto.

 

 

 

***

NdA: Una piccola OneShot originale che avevo voglia di scrivere e che mi ha lasciato abbastanza soddisfatta che se il finale fa molto "e vissero tutti felici e contenti"... stavo quasi pensando di piazzarci la nascita di un marmocchietto! XD

Shay, oltre che essere una storpiatura di "shy" che significa appunto timido, è un nome celtico che deve avere a che fare con gli uccelli (???) ma che io ho scelto semplicemente perchè mi piaceva come suona.

 

Grazie per aver letto, lasciatemi un commento se vi va. ^__^

*baci* Lem

  
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