La stanza grigia degli
interrogatori gli era ormai più familiare della casa dov’era
cresciuto.
Aveva quasi la certezza che
Manera, il vecchio tenente baffuto che lo scrutava in silenzio con un aria di
rimprovero dall’altra parte del tavolo, provasse dell’affetto per lui. Inutile
dire che il sentimento era totalmente ricambiato dopo anni a giocare a guardia e
ladri… ma adesso lo spasso stava per finire: il traguardo dei diciotto anni, che
l’avrebbero reso maggiorenne e responsabile delle proprie azione, si avvicinava
sempre di più.
Shay se ne stava lì, seduto con le
gambe larghe ai lati della sedia, quasi sdraiato a fissare di rimando quel
ispanico dalla faccia segnata da una ragnatela di rughe, che magari lo credeva
anche un naziskin o una specie di razzista per via dei pallidi capelli
ossigenati e di quella carnagione lattea, e aspettava di godersi l’ennesima
ramanzina.
< Sono dieci anni che fai
avanti e indietro dal commissariato, Stevens! > cominciò finalmente il
poliziotto, con la voce rauca a causa di quella brutta abitudine che lo spingeva
ad urlare ogni volta. Anche adesso.
Lo fissò furioso con quei suoi
occhietti neri ed ardenti, stringendo i pugni fino a sbiancarsi le nocche grosse
e rovinate da anni di lavoro. Le occhiaie si erano gonfiate e scurite negli
ultimi mesi, i folti baffi ed i capelli neri andavano ingrigendosi… stava
invecchiando troppo in fretta.
Shay si limitò a stare zitto,
nessuna emozione gli deformava il volto ancora infantile, nessuna paura nei suoi
chiari occhi nocciola, nessun sorriso spavaldo sulle labbra appena carnose.
Avrebbe potuto sembrare un angioletto, il classico ragazzino per bene che abita
in fondo alla strada, nella casa bianca col giardino, a chiunque non lo
conosceva.
Chi invece avesse letto la sua
fedina penale, senza mai averlo incontrato, avrebbe potuto definirlo senza
indugio un maniaco sociopatico recidivo e potenzialmente
pericoloso.
La verità però, come spesso
accade, stava nel mezzo.
< Ti stanno addosso, lo sa? –
inveì ancora il vecchio, battendo una mano sul tavolo di freddo metallo con il
solo scopo di scuoterlo – Stanno solo aspettando il tuo compleanno per
arrestarti e processarti come un adulto! >
< Non ho paura. > disse
piano. Se il tenente perdeva velocemente le staffe e si ritrovava a sbraitare
contro chiunque, Shay aveva invece il dono innato di non alzare mai la voce,
silenzioso e schivo come il suo soprannome lasciava ad intendere.
< Dovresti invece! – ringhiò
l’altro esasperato, afferrandolo per il colletto della maglietta e
costringendolo ad alzarsi in piedi per fissarlo negli occhi, nonostante ci fosse
l’ostacolo del tavolo fra loro. – Lo sai cosa fanno ai bei bambini come te, in
prigione? >
Un angolo della bocca del ragazzo
si alzò leggermente a quella blanda minaccia. Certo che lo sapeva, solo non
gl’importava… l’agente sembrava essere più preoccupato di lui. < Non sarebbe
la prima volta. > sibilò per sconvolgerlo ancora di più.
Manera lo lasciò andare
accasciandosi sulla sedia ma Shay non si sedette di nuovo, osservandolo
dall’alto.
L’uomo non era un ingenuo, dopo
anni in polizia ne aveva viste di oscenità, ma quel ragazzino era il suo unico
rimpianto. Non era mai riuscito a farlo rigare dritto, a redimerlo… a salvarlo.
Tutte le volte che qualche
pattuglia lo pizzicava con le mani nel sacco, lo portavano in centrale e, senza
curarsi troppo delle procedure, lo affidavano al vecchio tenente, il quale
cominciava il suo rosario d’imprecazioni appena vedeva comparire la sua testa
bionda ed il suo visino appuntito.
Le ramanzine in cui si lanciava
erano apprezzate da tutti i colleghi, che ascoltavano in religioso silenzio le
lavate di capo che il piccolo delinquente subiva. Talvolta si divertivano anche
ad osservare da dietro lo specchio il collo di Manera che si gonfiava per la
rabbia, la vena sulla tempia che pulsava impazzita, i denti stretti
all’inverosimile davanti alla calma apatica del ragazzo, impassibile anche
davanti agli schizzi di saliva che lo colpivano in faccia durante le
sfuriate.
Quei due erano la leggenda del
distretto.
La prima volta che il vecchio
aveva incontrato Liam, perché questo era il suo vero nome, lui era solo un
bambino di sette anni, biondo e magrolino, un po’ troppo tranquillo per la sua
età.
Faceva il corriere della coca per
qualche banda giovanile, ma il suo era stato l’unico arresto della squadra
narcotici quel giorno. Speravano almeno di farlo parlare, ma quel dannato
moccioso aveva la bocca cucita peggio di un mafioso di Chinatown, così l’avevano
affidato a Manera, che i bambini li sapeva terrorizzare per bene dato che ne
aveva cresciuti cinque.
Aveva urlato e sbraitato, ma il
piccolo neanche aveva pianto. Non aveva nemmeno voluto dirgli come si
chiamava.
Era stato suo padre a venirlo a
cercare in centrale solo la sera ed, una volta appreso che era stato arrestato
per spaccio, era andato letteralmente fuori di testa.
Nel vedere Liam la prima cosa che
aveva fatto era stata colpirlo così violentemente da mandarlo a sbattere contro
il muro, rompendogli il labbro inferiore e lasciandolo piuttosto stordito. Due
agenti erano stati subito addosso all’uomo che non sembrava per nulla
intenzionato a “fargliela passare liscia”, mentre il tenente si era precipitato
sul corpicino del piccolo.
< Uff… me l’ha rotto… - aveva
constato il biondino facendo riferimento alla cuffia del suo walkman che gli
pendeva senza vita dal collo. Non sembrava troppo sorpreso da quel colpo e non
accennava a difendersi o lamentarsi, si era semplicemente pulito il sangue che
gli colava sul mento con la manica della felpa, prima di affermare tristemente –
Ora dovrò comprarne un altro. >
Da allora Liam Stevens, detto
Shay, era diventato un assiduo frequentatore del commissariato ed i suoi crimini
erano peggiorati con l’aumentare dell’età, ma nessuno aveva più riproposto di
chiamare i suoi genitori.
I modi bruschi del poliziotto non
gli facevano paura dato quello che era abituato a subire in casa e per strada,
ma d’altra parte Manera non aveva mai neanche pensato di fare del su quel
ragazzo già così provato.
Era il stato il peggior caso di
rabbia adolescenziale che avesse mai visto, aveva cominciato presto e non
accennava a smettere. Un lento suicidio che si perpetuava nel tempo… distruzione
dopo distruzione.
< Liam… - aveva detto
stancamente l’agente, massaggiandosi la fronte ed abbassando il tono in maniera
confidenziale – Perché ti comporti così? Perché vuoi farti del male a tutti i
costi? Cosa ottieni? >
Shay l’aveva guardato dall’alto,
ancora in piedi con i palmi aperti appoggiati sul freddo piano del tavolo, poi
aveva fatto un sospiro che somigliava quasi ad una risata ed era tornato a
sedersi.
< Perché mi comporto così…
allora vediamo… - aveva ripetuto, appoggiando il mento sulla mano e fingendo di
riflettere – è il modo più veloce per fare soldi ed ottenere rispetto? >
L’uomo scosse la testa,
compatendolo, ma il ragazzo continuò < Perché voglio farmi del male… Perché
se sono io a cercarmela so cosa mi aspetta ed, ammettiamolo, è abbastanza
divertente! - sorrise. - Cosa ottengo? Beh… questa risposta dovrebbe saperla.
>
Manera sentiva quasi gli occhi
bruciare tanto gli dispiaceva per quel teppistello, < è tutta colpa mia… >
ammise in un sussurro.
< No, capo! Non sia così severo
con sé stesso…! – lo consolò blando Shay, stringendosi nelle spalle con un
ghignetto – Se non ci fosse lei io mi comporterei nello stesso modo… ok, diciamo
che farei più resistenza all’arresto e che magari al suono delle sirene tenterei
almeno la fuga…! >
< Ho fallito. > disse ancora
il tenente.
Il ragazzo sbuffò annoiato e
chiese, come a titolo informativo, < Sta ammettendo la sconfitta?
>.
L’uomo alzò gli occhi su di lui,
fissandolo con risentimento, < Credi che tutto questo sia un gioco? Eh? Credi
che io mi diverta ad urlarti contro? – sbraitò di nuovo sbattendo le mani sul
tavolo e facendo vibrare il piano metallico. Shay non riuscì a reprimere un
sorrisetto, felice che lo scontro fosse ricominciato, quella volta gli era
toccato addirittura provocarlo! – Liam, questa è la tua vita!
>
< Bella merda… > commentò
sarcastico il giovane.
< è del tuo futuro che stiamo
parlando! > continuò il vecchio, ricominciando a sputargli addosso parole e
saliva.
Il biondino si ripulì una guancia,
fingendosi scocciato da quei discorsi moralisti, e fu il suo turno di scuotere
la testa. Quale futuro se neanche aveva un presente?
L’unica persona che si interessava
a lui era quella con cui stava litigando ora.
< Mira. > ordinò parlando la lingua
madre dell’altro senza mai alzare la voce oltre il semplice tono colloquiale. Si
alzò la manica della maglietta oltre il gomito, mostrando una serie di piccole
punture che gli sforacchiavano la pelle candida.
Manera gli afferrò il braccio
magro, eppure stranamente duro e muscoloso, osservando quello scempio.
< Eroina. – disse Shay,
studiando le sue reazioni – Mi faccio da quando avevo dodici anni.
>
Fu un attimo. In seguito si chiese
come era successo e da dove era arrivato quel manrovescio che gli aveva fatto
voltare la testa.
Si massaggiò la guancia tornando a
guardare il vecchio che ancora gli stringeva il polso, chiedendosi se a quello
schiaffo ne sarebbero seguiti altri.
< Ho cinque figli, Liam, di cui
tre maschi e, pur essendo un genitore piuttosto all’antica, sono state
pochissime le volte in cui ho dovuto alzare le mani su di loro. – Parlava con
una lenta furia, le parole si accavallavano le une alle altre senza fretta, il
tono sempre un po’ alto anche se non stava più urlando – In questi anni ho fatto
il possibile per non considerarti alla stregua di un figlio, ma non ci sono
riuscito. Per quanto tu sia una testa di cazzo che ci gode a mettersi nei guai,
non ci sono riuscito… >
Shay sbatté le palpebre più volte,
stupito dalla portata di quella confessione, mentre l’altro lo lasciava andare e
si alzava avvicinandosi allo specchio e dandogli le
spalle.
< Non è mai stata pietà o
compassione la mia, se è questo che pensi. Io ci vedevo davvero qualcosa in te,
anche se devo essermi sbagliato. – fece un sospiro triste, prima di concludere.
– Mi hai molto deluso, Liam. >
Quelle parole fecero più male di
un pugno nello stomaco, di un colpo di pistola che brucia la carne.
Shay boccheggiò come se gli
mancasse l’aria, una sensazione di panico gli si diffuse in corpo obbligandolo a
deglutire più volte per cercare di mantenere la calma.
Manera si avvicinò alla porta
della stanza e l’aprì. Dalle scrivanie qualche testa si girò ad
osservarli.
< Vattene, Shay. > gli disse
lapidario, chiamandolo per la prima volta con quel nomignolo di
strada.
Il ragazzo non si mosse. La bocca
semiaperta per la sorpresa, lo sguardo attonito e fisso sul volto
dell’uomo.
< Ti ho detto di andartene!
> tuonò ancora, facendolo sobbalzare mentre avvertiva uno strano pizzicore
agli occhi.
Una sentimento fastidioso che non
provava più da quando era piccolo, che aveva quasi dimenticato: il gelo
dell’abbandono.
Il tenente Manera lo stava
cacciando dalla sua stanza
interrogatori.
Shay si alzò sulle gambe
stranamente malferme e, sfilando davanti allo sguardo tradito del poliziotto, si
sentì debole come non mai.
Oltrepassò il vecchio e gli uffici
da cui gli agenti lo scrutavano incuriositi, uscì dalla centrale e scese le sale
dell’ingresso, maledicendosi per aver tirato troppo la
corda.
Non lo avrebbe perdonato, non
stavolta.
***
Carlos José Manera parcheggiò la
sua utilitaria davanti a casa e scese portandosi un po’ di cartelle con le
pratiche da smaltire. Ci avrebbe dato un occhiata in serata sperando di portarsi
avanti col lavoro.
Aveva colpito Liam quel giorno,
l’aveva cacciato… sì, aveva dichiarato la sconfitta, proprio come gli aveva
suggerito il ragazzo.
Ed ora si sentiva maledettamente
in colpa: se a quel poco di buono fosse successo qualcosa sarebbe stata colpa
sua e non se lo sarebbe mai perdonato…
Perché era ancora un figlio nella
sua ottica distorta… gli voleva bene.
Lo scatto di un accendino e la
luce gialla della piccola fiamma che danzava illuminando un viso troppo dolce ed
appuntito per essere definito adulto. La brace della sigaretta che gli brillava
fra le dita mentre si avvicinava a lui.
< Liam… > disse sorpreso il
tenente, vedendo il giovane criminale che lo aspettava davanti alla sua
porta.
< Una volta ad undici anni ti
ho seguito mentre tornavi dal lavoro. – spiegò, interrompendosi per soffiare il
fumo – Ho tirato un mattone a quella finestra lì, fracassando il vetro. >
disse indicando la finestra illuminata della cucina, dalla quale provenivano
voci allegre.
L’uomo annuì, < Stavamo
cenando. – confermò serio, prima di continuare in tono più dimesso – Per quello
che è successo oggi… > Ma fu interrotto.
< Non sei tu quello che si deve
scusare… lo so. – disse Shay aspirando l’aria tra i denti, come se fosse
doloroso, e sfregandosi gli occhi con il pollice ed l’anulare, la sigaretta
ancora in mano – Io… Beh… Non sono bravo quanto te con i discorsi…
>.
Sospirò.
< Liam… > cercò
d’intervenire il vecchio.
< No, non mi scuserò se è
quello che credi…. – Rise – Sarebbe troppo poco nel mio stile, non trovi?
>
Manera annuì
mestamente.
< Sono venuto solo per
ringraziarti, è stato bello sentirle su da uno come te in tutti questi anni. –
sorrise, ma gli occhi erano tristi e brillavano un po’ troppo alla luce dei
lampioni – Sei stato davvero la cosa che più si avvicinava ad un padre per me…
>
Si toccò involontariamente la
guancia ed il poliziotto ripensò al loro primo incontro, a come le aveva
prese.
< Mi dispiace per lo schiaffo,
io… > cercò di scusarsi.
< Ehi! Non mi hai fatto male! –
scherzò il ragazzo, portandosi le mani alzate in avanti come per assolverlo –
Era davvero una sberla da papà… in senso buono dico! >
Abbassò gli
occhi.
< Un po’ te la sei cercata con
quella storia della droga… > si giustificò l’altro.
Shay annuì sospirando e quando
rialzò la testa, Manera si accorse che stava piangendo.
< Non mandarmi via…! >
supplicò in un sussurro.
< Liam! - esclamò sbalordito
l’uomo, avvicinandosi istintivamente per poi fermarsi a qualche passo dal
ragazzo. - Non posso certo bandirti dalle centrali di polizia dello stato! >
Lo rassicurò ben sapendo però che avrebbe potuto rifiutarsi di avere a che fare
con lui.
< Lo sai cosa intendo… -
rispose Shay, tirandosi la manica fin sul polso per asciugarsi le lacrime con
dei gesti veloci e bruschi. – Io ho bisogno di te! >
< Perché? – chiese il vecchio,
la voce leggermente più dura, quasi accusatoria – Perché ti fa sentire
importante sentire le mie paternali? Perché ti diverti a farmi urlare? Io non ho
più intenzione di guardarti mentre fai a pezzi te stesso. > Concluse,
sentendo la rabbia montare e dandogli le spalle per entrare in casa, ma il
ragazzo gli afferrò una spalla.
< Ti prego…! > piagnucolò,
la dignità ormai gettata alle ortiche.
Il tenente si voltò a guardarlo e
sospirò vedendo che piangeva < Ad una condizione. >
< Qualunque. > disse sicuro,
sentendosi sollevato. Non aveva paura di ciò che poteva chiedergli, l’avrebbe
fatto.
Manera sorrise vittorioso, ma il
tono rimase serio < Smetti immediatamente di drogarti e comincia a
comportarti come si deve, altrimenti hai chiuso. >
< C-cosa? – balbettò basito
Shay, prima di aggiungere confuso – Ma io… come? >
< Le condizioni sono queste.
Prendere o lasciare. > ribadì il poliziotto, irremovibile sulle sue
posizioni.
< Io… - si studiò le scarpe
cercando di racimolare gli ultimi brandelli di coraggio – Per favore, - alzò
finalmente gli occhi nocciola, ancora umidi di pianto, fissandoli in quelli
scuri dell’uomo – Aiutami. >
Manera sorrise sotto i folti
baffoni, sinceramente commosso dalla piega che aveva preso quella giornata.
Allungò una mano accarezzandogli la guancia ed asciugandogli qualche lacrima con
il pollice tozzo e ruvido, poi lasciò scivolare il braccio sulle sua spalle,
spingendolo in avanti nel vialetto e stingendolo un po’ in un misto di orgoglio
e paterno affetto.
Stordito da tutto quel calore,
Shay biascicò ancora < Ma?... Cosa? >.
L’uomo continuò a guidarlo verso
la porta di casa con un sorriso, < Vieni dentro, la piccola Anamaria ha fatto
le impanadas… vedrai ti piaceranno: sono la sua specialità!
>
Liam Stevens mantenne la promessa
e non tirò mai più mattoni a quella finestra, dato che la maggior parte delle
volte si ritrovò ad essere dall’altra parte del vetro. Le impanadas erano
davvero buone ed Anamaria dimostrò di avere molte qualità oltre ad essere una
brava cuoca.
Carlos e sua moglia Lucia
trattarono sempre Shay come un figlio, anche se il signor Manera ebbe qualche
esitazione nel concedergli la mano della sua bambina.
Il giovane delinquente studiò
scienza forense e psicologia criminale, diventando uno dei più giovani e dotati
profiler che l’F.B.I. avesse mai avuto.