Capitolo 3
Che
fino a quando sarai con me
Da ogni cosa ti proteggerò
E non permetterò mai, a niente e nessuno
Di portarti lontano da me
Jacob
Era
la prima volta che Bella passava la notte a casa mia.
Aveva dormito più di una volta sul mio letto nei mesi
precedenti, ma mai di
notte e mai insieme a me, ed era strano vegliare sul suo sonno quando
fuori
dalla finestra si vedeva soltanto la luce delle stelle. Beh, io vedevo
qualcosina di più, ma era bello pensare in termini solo
umani, qualche volta.
Il sonno di Bella era agitato, ogni tanto mormorava qualcosa
senza senso, urlava qualcosa, poi stringeva forte la mia mano
– come se sapesse
che poteva trovarla lì nella sua – e si
tranquillizzava.
Era bello sapere che aveva così tanta fiducia in me. Sorrisi
nel buio e cercai una posizione che mi permettesse di stare comodo
senza
lasciare la sua mano. Ero felice e allo stesso tempo preoccupato,
perché sapevo
– avevo origliato le conversazioni di Charlie con mio padre
– che Bella aveva
avuto gli incubi per tutto il tempo in cui il succhiasangue era stato
via, ma
pensavo e speravo che se ne fossero andati con il suo ritorno.
All’ennesima stretta della sua mano nella mia, decisi che
non potevo sopportare che fosse così agitata. Specialmente
perché immaginavo
che fosse per via della lite che aveva avuto con la zanzara formato
gigante
qualche ora prima. La sollevai tra le mie braccia e mi sedetti sul
letto,
cercando di sdraiarmi in una posizione comoda per entrambi. La trovai
sdraiandomi a pancia in su, con lei stretta al fianco. Tremò
per qualche
istante, poi mi strinse un braccio attorno al torace e si
tranquillizzò.
L’indomani mattina mi avrebbe dovuto raccontare cosa aveva
sognato. L’avrei protetta anche dai suoi incubi, se fosse
stato possibile. La
amavo così tanto.
Un momento. La amavo?
Il mio stesso pensiero mi tolse il
respiro. Sapevo che mi piaceva molto più di quanto dovesse
piacermi un’amica,
che eravamo anime affini e che volevo proteggerla da tutto e da tutti,
nei
limiti del possibile, permettendole comunque di vivere. E, ok, ero
consapevole
di provare dei sentimenti forti per lei, ma non avevo mai usato il
verbo
“amare”. Era una prima volta assoluta.
Sorrisi di nuovo.
«Jake» mugolò Bella nel sonno, tanto che
temetti di averla
svegliata. Forse mi stava sognando. Il solo pensiero mi
riempì di gioia. Sì, la
amavo davvero. E forse erano mesi che cercavo di confessarle quello che
provavo
senza avere il coraggio di dirlo a me stesso per primo.
Avevo iniziato ad amarla quando sistemavamo le moto o forse
l’amavo già da prima? Ripensai al suo viso
sorridente e sporco di grasso per
motori e a quanto mi era sembrato bello che lei sorridesse per me. No,
con
molta probabilità l’amavo già da prima.
Forse da quel giorno alle pozze, in cui
aveva fatto la civetta con me e io c’ero cascato con tutte le
scarpe. Ma lei
aveva un’aria così innocente… e tenera.
Forse era quel suo aspetto così fragile a spingermi verso di
lei. No. Non a spingermi. Ad avermi spinto. Quando l’avevo
conosciuta meglio mi
era stato chiaro che lei di fragile aveva solo l’aspetto.
Bella era una tosta.
Una che combatteva le sue battaglie. Una che aveva retto alla scoperta
che
vampiri e licantropi non erano solo bestie mitologiche o dei libri
horror senza
dare di matto. Una che quando amava non aveva paura di darsi
completamente,
anche se sapeva di rischiare grosso. Una che se le si imponeva di non
fare
qualcosa, la faceva quasi per dispetto. Ecco, forse questo potevo
classificarlo
nei difetti, ma potevo farci qualcosa se di lei amavo anche quelli?
La strinsi più forte. Non volevo che se ne andasse. Non
quando sapevo perfettamente che più tempo passava con le
sanguisughe, maggiori
sarebbero state le probabilità di perderla. Ero terrorizzato
da quello che mi
aveva detto quando la sanguisuga era tornata. “Non sono
affari tuoi”, mi
aveva
urlato. Eppure erano
affari miei se il pensiero che lei diventasse una di loro,
che non avrei mai più visto i suoi splendidi occhi marroni,
così caldi, e che
non l’avrei più potuta stringere come la stavo
stringendo mi uccideva.
Il cuore perse un battito. Perdere il suo sorriso dolce, il
suo calore, il suo scarso equilibrio e la sua eterna paura di
inciampare era
una cosa che non avrei potuto sopportare. Sarei morto con il suo ultimo
battito, se una cosa del genere fosse successa. E Sam non doveva
venirmi a
rompere con la storia che una cosa del genere poteva accadere solo se
perdevi
il tuo imprinting, perché erano balle e pure belle grosse.
Se mi avesse tirato
fuori una storia del genere gliel’avrei ficcata
nel… dicendogli che se davvero
credeva a quello che diceva non aveva mai amato nessuno per davvero.
Sam e il suo strafottutissimo onnipresente discorsetto
sull’imprinting – quello che mi aveva fatto quasi
perdere Bells già una volta –
mi portarono alla mente un altro problema che avrei dovuto affrontare
se avessi
detto a Bella che l’amavo. Se? Quando
avrei detto a Bella che l’amavo. Perché
non avevo altra possibilità. Dovevo
dirglielo. E dovevo
farle capire che anche
lei mi amava. In fondo l’aveva detto lei che le ero mancato,
che aveva paura di
avermi perso e che aveva litigato con il ghiacciolo per poter venire da
me. E
poi, facendo due conti, lui non poteva dire di amarla e impedirle di
vedere i
suoi amici!
Com’era quella frase che avevo letto sul diario di Eloise?
La tipa strana di primo che seguiva dappertutto me e Paul? Era tipo
“Se ami
qualcuno lascialo andare. Se ritorna ti ama, se non ritorna non ti ha
mai
amato”. E mi resi conto che Bella quella frase da
cioccolatini doveva averla
scritta a caratteri cubitali in ogni angolo di casa – forse
era il caso di
andare a fare un’ispezione – o magari che il
simpaticone le aveva regalato
l’unico cioccolatino della scatola con quella frase quando
era tornato,
altrimenti non si spiegava perché Bells fosse precipitata
dritta nelle spire di
quel rettile.
Ehi,
il paragone è calzante! Devo segnarmelo e dirlo a Embry
e Quil.
Sbadigliai, con ancora quell’idea ridicola in testa e mi
resi conto che tutto quel pensare mi aveva stancato tantissimo.
Decisamente non
era roba per me. Non perché mi ritenessi uno stupido, anzi.
Neanche un genio,
intendiamoci, ero decisamente nella media. Solo che stare seduto a
rimuginare
sul da farsi non era da me. Io ero uno che agiva. E
l’indomani avrei agito.
L’idea
che Jake non avesse mai confessato neanche a se
stesso di amare Bella mi era sembrata tenera da inserire. In fondo ha
sedici
anni e in New Moon non fa mai chiarezza sui suoi sentimenti,
benché Bella li
abbia abbastanza intuiti – ehi, allora non è
stupida come ce la fanno sembrare!
Comunque, i discorsi di Jake in New Moon sono piuttosto
vagheggianti, perciò ho deciso di farlo chiarire per bene
con se stesso, prima
di mandarlo a combattere al fronte… ehm… farlo
dichiarare a Bella.
Sam
e l’onnipresente discorsetto sull’imprinting
è una cosa
IC che più IC non si può. Per Sam “la
risposto alla domanda fondamentale sulla
vita, l’universo e tutto quanto” (Cit. Guida
Galattica per gli Autostoppisti)
pare non essere “42” (cit. stesso romanzo), ma
l’imprinting.
- L’imprinting giustifica il poter andare da una ragazza e
dirle “ehi, tu, bambola. Non so neanche come ti chiami, ma
pare che io e te
siamo destinati a stare insieme” senza che quella ti prenda a
sberle;
- L’imprinting giustifica che lui cornifichi Leah con la
cugina
e che lei debba accettare e sottostare a tutto ciò.
L’ultima parte è un po’ più veloce del resto ed anche slegata in tono e dinamica. È una cosa fatta apposta, perché mi pareva inverosimile che un ragazzo di sedici anni parlasse di cose sdolcinate ininterrottamente per due capitoli. E poi l’ironia è uno dei tratti distintivi di Jake.