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Autore: shein    07/05/2012    3 recensioni
ecco un' altra storia di pretty cure che spero vi piacerà...è la mia prima fanfiction sulle pretty cure...
questa ff parla di una nuova avventura che metterà in gioco tutte le pretty cure, le max heart in particolare... dopo la partenza improvvisa delle loro mascotte Nagisa e Honoka si renderanno conto che la loro vita, tornata esattamente a come l'avevano lasciata era diventata troppo...normale...
Mepple, Mipple, Pollun e Lulun però ritornano per annunciare alle leggendarie guerriere una nuova sfida per salvare il giardino della luce e il giardino della luna, la cui regina è scomparsa durante un combattimento...
i nuovi nemici però si riveleranno molto più crudeli dei precedenti, pronti a colpire i lati più deboli delle leggendarie guerriere...
spero vi piacerà...buona lettura...xD
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Confessioni: Sono io cure black!
 
 Nagisa non parlava. Se ne stava lì ferma a volto basso mentre Shogo osservava ogni suo movimento.
Quando finalmente il ragazzo si decise a parlare suonò la campanella.
La bionda scattò come un fulmine.
- Scusa devo andare, o farò tardi. – disse mentre scappava da lì. Si diresse verso il cancello ma Shogo corse per raggiungerla. Le afferrò la mano e le disse:
- Non puoi scappare in eterno. Prima o poi dovrai dirmelo. Io l’ho capito ma ora lo voglio sentire da te! E non ti lascerò in pace fino a quando non avrò sentito una tua risposta che mi lasci convincere. Non importa cosa dirai, capirò la verità dalla tua voce e dal tuo sguardo. Non ha più senso mentire ormai. –
Nagisa si liberò della prese e ricominciò a correre con il volto rigato dalle lacrime.
- Ti aspetto davanti al campo di lacrosse davanti scuola, appena finite le lezioni. Ho un permesso per uscire prima. –
La cure nera ormai era lontana ma aveva sentito tutto e il calciatore lo sapeva.
 
Durante le lezioni Nagisa pensava a come scappare da quella trappola. Si sentiva male al solo pensiero che Shogo potesse aver scoperto la verità. Però aveva ragione… non sarebbe riuscita a scappare in eterno.
L’ora di matematica passava e la professoressa Oshima non aveva fatto altro che richiamare la bionda che proprio non riusciva a seguire la lezione per più di un minuto a partire da un rimprovero; tempo che, mano a mano, diminuì fino a diventare nullo.
 
Neanche il ragazzo riusciva a seguire la spiegazione della professoressa di inglese. Mentre la docente stava scrivendo alla lavagna il calciatore cacciò il telefonino dallo zaino e scrisse un messaggio.
 
Quando Nagisa sentì il telefono vibrare annunciando silenziosamente un messaggio, poté immaginare il mittente. Era proprio lui, il ragazzo che amava.
- Stai tranquilla, non lo dirò a nessuno… puoi fidarti di me! –
Nagisa rimise il cellulare in tasca e si accucciò sul banco.
Avrebbe davvero potuto fidarsi di lui?
 
Shogo era sempre più agitato, sentiva di non riuscire più a stare fermo e chiese alla professoressa il permesso di andare in bagno. Il ragazzo però si diresse verso le sezioni femminili. Per sua fortuna nei corridoi non c’era nessuno e arrivò davanti alla classe di Nagisa senza imprevisti. Bussò e corse per il corridoio in modo che nessuno della classe potesse vederlo. Quando la professoressa uscì fuori fu avvicinata dal giovane che le chiese silenziosamente di chiudere la porta, di avvicinarsi e le supplicò di chiedere all’eroina del giardino della luce di accompagnarla in palestra. Shogo si rendeva conto che un’insegnante non può assolutamente farlo ma decise ugualmente di rischiare. Per Nagisa ne valeva la pena.
Anche questa volta fu fortunato perché la ragazza davanti a lui non era una docente come tutte le altre.
- Beh, tanto se sta dentro non mi combinerebbe niente, oggi ha altro a cui pensare e non so perché qualcosa mi dice che quell’altro sei tu. Magari riesci a farlmela tornare sul pianeta Terra. – esclamò ragazza sorridendo.
- Grazie! – Shogo era felice. Stavolta non l’avrebbe fatta scappare finchè non le avesse detto la verità.
 
- Misumi, mi potresti accompagnarmi in palestra? –
- Certo, professoressa. – esclamò la bionda.
 
- Cosa è successo? – chiese puoi una volta uscite dalla classe.
- Quando arriveremo lo saprai… -
 
Le due ragazze entrarono in palestra e Nagisa non capì perché si trovavano lì.
- Bene, Nagisa; c’è qualcuno che vuole parlarti. – disse voltandosi e mostrandole di aver intenzione di andarsene.
- Chi? – chiese sempre più incuriosita la cure nera.
- ora lo scoprirai… tu aspetta qui, io intanto me ne vado. – esclamò infine facendo un occhiolino alla bionda e dirigendosi verso l‘uscita.
Quando la cure nera sentì il rumore della porta dietro di se non seppe cosa fare. Pochi secondi dopo sentì una voce a lei conosciuta.
- Ero sicuro del fatto che non ti saresti presentata all’uscita da scuola e che avresti fatto di tutto per evitarmi perciò ho chiesto di vederti. – esclamò Shogo che aspettava di vedere la reazione di Nagisa.
Queste parole e la voce che le pronunciava fecero prendere un colpo alla giocatrice di lacrosse che dapprima si voltò perché non credeva alle sue orecchie e dopo si diresse correndo versò l’uscita. Il calciatore però l’anticipò ed ebbe il tempo di piazzarsi davanti alla porta e chiuderla a chiave.
- Cosa vuoi da me? – chiese la bionda con finta freddezza.
- La verità. –
- Perché la vuoi sapere? Cosa cambierebbe? Ammettilo che non vedi l’ora di toglierti il dubbio per potertene andare nel caso in cui io fossi davvero cure black. Ammettilo che hai paura di me. – esclamò Nagisa a testa bassa.
-  Io non ho paura di te, ho paura per te! HO PAURA CHE FACCIANO DEL MALE A TE, NON A ME!! – esclamò il giovane alzando la voce in modo che Nagisa capisse al meglio.
La bionda tacque. Lo guardava incredula e non sapeva cosa dire. Aveva davvero pronunciato quelle parole, quelle che aveva aspettato tutta la vita e che per lei avevano un significato nascosto, ovvero:
 TI AMO PIÙ DI ME STESSO!
Una lacrima scese lungo il volto della ragazza ma Shogo gliela asciugò.
- Perché piangi? –
Nagisa non riusciva a parlare. Sentiva un groppo salirle in gola e guardava gli del ragazzo come fosse l’ultima volta.
- Hai ragione… sono io cure black… è per questo che ora ti chiedo di andar via. – disse con la voce rotta dal pianto.
Il ragazzo sbiancò.
- Perché? –
- Anche io ho paura. Ho paura che se dovessi restare al mio fianco,  ora che sai la mia vera identità, non esiterebbero a farti del male. Per favore, Fujimura, non complichiamo di più le cose. –
- Non ti fidi di me? –
- Non mi fido di loro… e del fatto che potrei non riuscire a proteggerti perché, anche se ti preoccupi qualunque cosa succeda, come faresti a salvarmi? –
- in qualunque modo, anche mettendo in gioco me stesso. –
- È esattamente quello che non voglio. Non tornerò indietro. Se mai dovesse finire questa storia, le cose fra noi cambierebbero, ma non mi perdonerei mai di vederti morire in un combattimento che ha il solo scopo di vedere sconfitte me e cure white. Non lo sopporterei. Ora che io stessa ti ho detto la mia vera identità, apri quella porta. Lo avevi promesso. –
Nagisa parlava con voce ferma e decisa anche se si capiva che la sua era una decisione sofferta. Shogo si arrese. Sapeva perfettamente che non sarebbe riuscito a convincerla, era troppo testarda quella ragazza.
A testa bassa le diede la chiave della palestra e la bionda uscì il prima possibile.
Corse a perdifiato verso il bagno delle donne, vi si chiuse dentro e ricominciò a piangere disperata. Non avrebbe avuto il coraggio di presentarsi in classe, forse neanche la forza, e restò lì fino al suono della campanella.

Neanche Shogo trovò il coraggio di entrare in classe: la professoressa lo avrebbe ucciso per essersi trattenuto nei bagni per tutto questo tempo e poi aveva ancora gli occhi rossi.
Mentre si allontanò dalla sua classe rovesciò sbadatamente il secchio per le pulizie e la professoressa si precipitò fuori per controllare.
Appena lo vide corse verso di lui con voce dispiaciuta gli disse:
- Mi dispiace… devi aver ricevuto quella brutta notizia mentre eri fuori, ecco perché ci hai messo tempo… -
Shogo non capì il perché di quelle parole.
- se vuoi ti faccio un permesso per andare all’ospedale e controllare come sta… -
A quelle parole Shogo impallidì nuovamente. Era successo di nuovo!
- Si, per favore, professoressa. – esclamò il calciatore estremamente preoccupato.
- Certo.  –
 
Il ragazzo correva a perdifiato verso l’ospedale, con un mazzo di viole in mano.
Entrò dentro la struttura e corse per una breve rampa di scale per poi continuare a correre fino alla fine del corridoio fino a che non arrivò ad una delle ultime porte. Bussò per gentilezza ma aprì prima di aspettare la risposta. Infatti lei dormiva, sembrava essere felice, ma sapeva che stava soffrendo.
Mentre il giovane poggiava le viole sul comodino, il rumore delle sirene della polizia che stava passando, svegliò la ragazza.
- Già qui? –
- Guarda che se non mi vuoi me ne vado. –
- no no, figurati anzi te lo chiedo per favore cuginetto. O chi mi viene a trovare? –
- Stai tranquilla, i tuoi entro domani saranno qui. –
- Tanto tra tre giorni se ne rivanno e non cambierà nulla. Tutto quello che hanno saputo fare è stato non farmi uscire di casa per evitare attacchi improvvisi, appioppandomi ad una badante, facendomi mancare una vita sociale, mentre loro girano il mondo.-
- non te la prendere. Quando starai meglio e potrai tornare a scuola tutto cambierà. –
- in realtà io non ci credo più… -
- sei davvero testarda! Cambiando argomento la mia professoressa mia ha dato un permesso per venire qui all’ospedale, quindi è grave, vero? –
- più del solito… comunque io ci sono abituata. – disse la giovane senza preoccupazione. – Kimata viene oggi pomeriggio? – chiese poi sperando in una risposta positiva.
- penso di si. – le rispose il calciatore accennando un sorriso che però durò poco.
- come mai quel broncio? – lo punse la ragazza.
- niente… - arrossì.
“Oggi non è proprio la mia giornata: mia cugina che ha un altro svenimento poco rassicurante, e la mia Nagisa che mi ha detto che non vuole più saperne di me e che inoltre è sempre in costante pericolo senza che io la possa aiutare in nessun modo. Invece devo fare qualcosa. Non resterò qui a guardare.”
 
 
Nagisa si stese sul letto.
Non aveva voglia di finire il progetto che le aveva assegnato la professoressa di storia, solo di piangere sapendo di aver ferito la persona che amava più al mondo. Per fortuna Honoka si era offerta si andare all’incontro con le altre pretty cure al suo posto perché non riusciva neanche ad alzarsi dal letto
- Allora Nagisa, hai finito il progetto? – chiese la signora Misumi a sua figlia.
- No. –
- Cosa stai aspettando? –
Nagisa controvoglia si alzò e frugò per un po’ di tempo dentro allo zaino fino a ricordare di averlo lasciato sotto il banco. Fu il panico.
La bionda guardò l’orologio: erano le sei e mezza, quel giorno la scuola avrebbe chiuso alle sette per via dei colloqui e malgrado stesse cominciando a fare buio, la ragazza non perse tempo.
 
Quando arrivò a scuola i professori erano andati tutti via e i bidelli erano in procinto di chiudere ma la giovane li fermò.
Mentre attraversava i corridoi la bionda notò due figure che si muovevano nella penombra. Un uomo strano di circa 35 anni con un serpente attorno al collo e un ragazzino… Kirya…
Nella nebbia cure black si sentì gli occhi del serpente addosso e ricominciò a correre in direzione della sua classe.
Quando Nagisa trovò il progetto inziò a piovere e a sentire una lamentela che sembrava canticchiata da un fantasma. La bionda incuriosita seguì quella triste melodia che l’attirava sempre di più.
Quando la cure nera arrivò nel luogo da dove provenivano quelle note malinconiche non credette ai suoi occhi. Con la testa appoggiata al vetro di una finestra, la bella professoressa Oshima piangeva e cantava quel bellissimo motivo che ricordava insieme ad un senso di disperazione. La ragazza sembrava non essersi accorta della bionda come fosse ipnotizzata e i suoi occhi completamente neri sembravano non riflettere la luce dei tuoni.
- Professoressa, ma cosa ha? Cosa le è successo, perché canta questa canzone? Sta bene? –
La giovane ebbe la sensazione di essere appena tornata sul pianeta Terra e la guardò confusa.
Alle domande della sua allieva aveva un’unica risposta.
- Non lo so… non lo so… - mentre le lacrime le rigavano il volto.
Poi fu buio.
  
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