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Autore: Roof_s    09/05/2012    1 recensioni
Genere: | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Piccoli e teneri (si fa per dire) - serie'
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Ecco la mia direzione
 
E tra nervosismo, litigi con le mie amiche e mia madre, pacificazioni immediate, altri litigi, questa volta con Harry, subito dopo baci, crisi di pianto dettate dalla disperazione, passarono i giorni finché non approdammo al faticoso martedì nove marzo, giorno prima del mio provino. Ma non fu il tanto atteso giorno del riposo, della pace e della quiete che avevo sperato.
Quando tornai a casa, alle sei di quel pomeriggio stranamente soleggiato, trovai ad attendermi, oltre che mia mamma, George.
Posai cartella e giubbotto sul divano, m’infilai le ciabatte e percorsi il tragitto salotto - cucina.
“Ehi, cos’è questo silenzio?” esclamai subito, adocchiandoli seduti uno di fronte all’altra al tavolo.
Mia mamma alzò gli occhi su di me, una strana miscela di tristezza e qualcos’altro difficilmente identificatile all’interno.
“Paige, dobbiamo parlare” annunciò col suo tono funereo.
Posai i palmi delle mani sulla superficie del mio tavolo spoglio, George seduto vicino a me, io in piedi. Mi sentii piccola piccola, davanti a quella strana atmosfera che alleggiava su mia mamma e il suo fidanzato.
“Ok, che c’è? Che cos’ho fatto, questa volta?” mi difesi prontamente.
Mia mamma scosse il capo. “Non sei tu. Si tratta di tua zia Mary.”
Il tono, l’espressione, gli occhi, la strana piega delle labbra mi fecero comprendere subito che c’era qualcosa che non andava per il verso giusto.
“Che cos’ha fatto?” indagai.
“L’altro giorno io l’ho trattata malissimo, perché pensavo che fosse tornata solo per i suoi secondi fini. Invece, ho scoperto stamattina che. . . le è stato diagnosticato un tumore al polmone destro.”
Le mie gambe minacciarono di assestarmi il colpo fatale, di farmi crollare come un castello di sabbia al vento. Non ci voleva. No, quella notizia non ci voleva proprio.
“Un tumore?” ripetei, il tono della voce bassissimo.
Mia mamma non mosse un muscolo, neppure George. Ma non c’era bisogno di ulteriori conferme o cenni di garanzia: era così, zia Mary era piombata qui dal nulla della sua vita lontana, soltanto per annunciarci della sua definitiva partenza, forse. Quella dalla quale non sarebbe mai più tornata.
Afferrai lo schienale della sedia più vicina a me.
Un tumore. Una zia che non vedevo da tanti anni, e che adesso stava mandando a quel paese la mia vita. Perché ero così sconvolta? In fondo non avevamo mai condiviso nulla, lei era sempre stata scostante. E io avevo imparato a diffidare delle sue parole, dei suoi gesti altezzosi. E ora. . . Ora lei era debole di fronte a una minaccia troppo potente.
“Le hanno detto che non è ancora avanzato, potrà operarsi” continuò mia mamma, e io vidi chiaramente le lacrime scorrere sul profilo delle sua guance.
Annuii, era ovvio. Se ci fossero state delle possibilità di salvezza, avrebbe dovuto afferrarle al volo.
“Dai, Lucy, ora calmati” intervenne George, alzandosi dal suo posto e raggiungendo mia mamma per abbracciarla.
Lei lo strinse a sé con vigore, soffocando il pianto nel suo petto.
Sì, mamma, calmiamoci tutte e due. Ce la farà, ne sono certa, ma restarono solo parole nella mia testa.
 
 
Mercoledì dieci marzo. Cerchiai quel giorno sul mio calendario, vicino alla testiera del letto. Chiusi il pennarello rosso, lo poggiai sul mio comodino, senza smettere di fissare il calendario. Era arrivato, finalmente. Da quel giorno si sarebbero decise le sorti del mio futuro. Ero visibilmente preoccupata, sia quando scesi per colazione, sia quando feci il mio ingresso nel cortile della Holmes Chapel Comprehensive School.
Harry m’individuò subito, mi raggiunse con una breve corsa e un bel sorriso smagliante addosso.
“Splendida ragazza! Guarda, oggi pure il sole ti rivolge i suoi omaggi!” esclamò, porgendomi all’istante un pacchettino infiocchettato e alzando il suo viso al cielo.
Non presi il pacchettino, fissai il mio fidanzato con espressione perplessa.
“Ciao, Harry” lo salutai. Gli avevo già raccontato della notizia di mia zia, e lui era rimasto tutta la sera a consolarmi, attaccati come due imbecilli alla cornetta.
“Tieni, questo è per te” insistette lui, quasi ficcandomi il pacchettino tra le mani.
Lo afferrai con incertezza. “Cos’è?”
“Non posso dirtelo, che razza di sorpresa sarebbe altrimenti? Su, apri!”
Obbedii, e nonostante l’umore sotto i piedi, dentro il mio cuore gioii del fatto che lui si prendesse così a cuore la mia felicità.
Nel pacchettino c’era un bel bracciale, probabilmente d’argento, con su appesi più ciondoli vari, di colori luminosi e sgargianti. Lo fissai per qualche istante, facendolo oscillare davanti ai miei occhi come un’ebete.
“Grazie. . . è splendido! Ma perché me l’hai regalato?” chiesi, stupita.
Harry mi diede un bacio sulla fronte. “E’ un portafortuna per il provino di oggi pomeriggio. Nonché un modo per esserti vicino durante la prova, anche se fisicamente sarò rinchiuso in quella scuola elementare!”
Mi lasciai scappare una risatina, commossa, intenerita, sollevata. Lo infilai subito al polso destro, osservandolo da varie angolazioni diverse.
“E’ davvero molto bello. Grazie, Harry” dissi, ora spostando gli occhi sui suoi.
Lui alzò le spalle, le riabbassò in fretta. “Di nulla, splendida ragazza.”
 
 
Ma nessun portafortuna, né alcuna frase romantica servì a togliermi di dosso l’ansia compulsiva che si era impadronita di me.
Viaggiare in tutta solitudine su quel treno, seduta contro quel rigido schienale che non mi dava alcun conforto, era stato il peggio. Poi, una volta scesa nella vasta stazione londinese, avevo intravisto il volto amichevole di mia sorella, e ogni paura rimase accantonata temporaneamente nel fondo della mia anima.
“Paige!” aveva esclamato, venendomi incontro e abbracciandomi stretta tra le sue braccia magre.
Rivederla dopo tutti quei weekend pieni di impegni – da parte di entrambe -, era stata una piacevole medicina al mio umore leggermente lunatico di quei giorni. Le avevo prontamente raccontato ogni piccolo avvenimento degli ultimi tempi, marcando soprattutto la mia indescrivibile contentezza nell’avere vicino Harry.
Avevamo passeggiato in centro Londra, io che zampettavo nervosa, ripetendomi la canzone tra me e me, mentre Eleanor sbuffava, divertita. Lei, come al solito, riponeva la più completa e totale fiducia in me e nelle mie capacità. Diceva che era praticamente certa della mia ammissione al programma.
El, al contrario di me, non sembrava esser stata colpita più di tanto dalla notizia di nostra zia Mary. Lei, infatti, non aveva mai sopportato la falsità e l’ipocrisia dei nostri parenti, e non riusciva, nemmeno sotto sforzi immani, a dispiacersi più di tanto per quella donna che aveva appena scoperto una notizia così sconvolgente.
E tra un discorso su nostra zia, uno su Harry e la sua dolcezza senza limiti, un altro su nostra mamma e su George, l’ora fatale arrivò, lasciandomi con un’unica compagna: l’agitazione. Io e mia sorella corremmo nel viale spazioso e gremito dove sapevamo trovarsi lo studio dei provini. Miranda mi aveva avvertita che si sarebbero tenuti tutti nel solito posto. Appena ebbi fatto il mio ingresso in quella che, fin dalla prima volta, mi era sembrata una sala d’attesa simile a quelle dei dentisti, ma più spaziosa e rumorosa, mi sentii a disagio. Non sapevo esattamente il motivo, eppure quella sensazione di distacco in quel luogo pieno di volti estranei mi mordeva, mi infastidiva, mi divorava viva, togliendomi il fiato e ogni forza o abilità con la quale competere.
“El, non posso farcela” mormorai a mia sorella, aggrappandomi al suo braccio come ad un salvagente.
Lei mi scrollò, lontana da lei. “Smettila, Paige. Io, la mamma, George, Harry, Jess, Nora e persino Thomas crediamo in te. Non voglio vederti fare questi ragionamenti, sei brava, passerai e diventerai famosa in tutto il Regno U
   
 
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