Nick Autore: DazedAndConfused
Titolo Fanfiction: Thank you
for the lessons that I learned while John was sleeping
Fandom:
RPF Red Hot Chili Peppers
Canzone scelta: Doing All
Right
Pairing:
/
Rating: verde
Generi: introspettivo, slice of life, song-fic
Avvertimenti: one-shot,
missing moments
Eventuali note dell'autore: allego
il link del testo e della traduzione del brano che ho scelto (http://www.tydany.it/Queen/Testi/Doingalright.htm).
Il titolo della ff è un
verso tratto da Today,
una canzone dell’album The Empyrean di John Frusciante.
Ho scelto di descrivere le vicende alternandole tra 2008 e
1992, stacco temporale che si percepisce dai vari paragrafi distanziati.
L’ultimo paragrafo è ambientato ai giorni nostri,
com’è intuibile dal contesto.
Ho provato ad immaginare come sia andata: in base a quel che
Anthony ha raccontato nella sua autobiografia Scar Tissue, c’è da dire che la
prima rottura l’ho resa indubbiamente più dolce, mentre sulla
seconda non si sa molto, quindi ho dato carta bianca alla mia fantasia.
Adoro questi quattro uomini e vorrei essere riuscita a
renderli nella maniera più fedele possibile, tutto qua.
Thank you for the lessons
that I learned while John was sleeping
Yesterday my life was in
ruins
Now today I know what
I’m doing
Got a feeling I should be
doing all right
Doing all right
Il Sole in California brillava più che a New York,
dove invece sembrava un disco di plastica fredda buttato a caso nel cielo.
Erano secoli che non tornava lì, una capatina ci sarebbe stata a
pennello. Dopotutto, ora avrebbe avuto tempo a sufficienza per se stesso.
L’uomo continuò a fissare l’astro
arancione fin quando gli occhi gli lacrimarono, dopodiché tornò
con lo sguardo al proprio interlocutore.
-Johnny…-
Il diretto interessato arricciò un po’ il naso:
anche a quasi quarant’anni restava comunque Johnny, il ragazzetto dal
viso pulito e le vene un po’ meno linde, anche se ormai non schifava
più Greenie, il suo alter-ego.
Ci si era abituato… anche affezionato,
a dirla tutta.
Certo, certi cappellini e certi tagli di capelli che aveva
portato erano improponibili, ma erano pur sempre stati parte del suo essere.
Andava bene così.
-Non sarà come dieci anni fa, vero? Venire qui a
parlarti non servirà a farti tornare, giusto?-
L’uomo annuì e sospirò, tornando a
sbirciare una lingua di Sole per una manciata di secondi, voltandosi quasi
subito. L’altro lo stava a fissare con quei suoi occhi chiari, gli occhi
di un fratello, un padre, un amico.
-Ormai ho deciso, Flea. È la cosa migliore per tutti,
credimi.-
L’amico rise, mostrando quella sua fessura che ogni
volta trasmetteva a John un’allegria contagiosa, come se il Sole fosse
stato rinchiuso lì dentro.
L’aveva rubato lui il Sole di New York, ne era certo.
-Per te indubbiamente, ormai io e gli altri siamo da ospizio… Però ci servirebbe il bastone della
nostra vecchiaia, non credi?-
-Non ho alcun dubbio, ma non ne avete bisogno. Dei ragazzini
non hanno bisogno di un bastone per camminare, hanno già le gambe.-
-John, noi non siamo ragazzini…-
sospirò l’altro malinconico, tornando per un attimo con la mente
ai giorni trascorsi a compiere furtarelli in coppia con il degno compare Kiedis.
-L’età anagrafica non conta, conta quello che
senti tu. E se al mondo c’è una persona che ha il Sole dei
vent’anni dentro di sé, quello sei tu, così come Chad e
Anthony.-
-Tu c’hai battuto, John. Tu non hai il Sole dei
vent’anni con te… Tu lo hai e basta. L’hai
raggiunto e non te ne sei più separato, stai illuminando tutti quanti.-
Il chitarrista arrossì un po’, arricciando le
labbra. Appoggiò una mano alla tempia, lasciandola nascondere dai
riccioli bruni, mentre con l’altra strinse quella dell’amico per
infondergli forza.
Probabilmente era soltanto lui che ne necessitava un
po’, e la mano callosa di Flea parve donargliene una dose generosa.
Where will I be this time
tomorrow?
Chasing joy or drinking
in sorrow?
Anyway I should be doing
all right
Doing all right
Flea lo trovò seduto a gambe incrociate sul letto,
intento a sfogliare un libro di arte moderna, uno di quelli con le fotografie
patinate e gigantesche stampate esclusivamente su carta lucida.
-Ecco dove ti eri cacciato, mascalzone! Ti ho cercato
ovunque!- esultò, sedendoglisi accanto.
-Non mi sono mai mosso di qua.- gli rispose atono quello,
senza staccare gli occhi da Number 8 di
Pollock.
-Immaginavo, ormai sei un latitante!- lo canzonò
nuovamente l’amico, facendo sì che quello gli rivolgesse il primo
sguardo da quando era entrato lì dentro.
-Cannetta?-
Il ragazzo sorrise e, dopo aver riposto il volume sul
comodino, gli prese lo spinello dalle mani e fece un tiro, il fumo azzurrognolo
che gli scappava dalle labbra.
-Sei come il fumo, John…-
esordì il bassista, riprendendosi la canna e imitandolo.
L’amico lo fissò aggrottando la fronte, con
quella sua espressione perplessa che faceva sempre impazzire stuoli di
adolescenti in pieno bombardamento ormonale.
-Sappiamo che ci sei, ma sei impalpabile…
Non ti si può catturare, ci sfuggi sempre.-
-E tu sei come questa canna: corto e fai rincoglionire il
prossimo.-
Flea ci pensò su un attimo, valutando la
serietà di quell’affermazione, optando poi per una vigorosa spinta
che fece quasi franare John giù dal letto.
-Dicevo sul serio, Greenie.-
Il ragazzo arricciò le labbra disgustato e fu sul
punto di ribadire per l’ennesima volta quanto detestasse quel nomignolo,
quando si ricordò che tentare di contraddire Flea di per sé fosse
già una missione tosta, ma tentare di contraddire un Flea fatto sarebbe
stato impossibile persino per Chuck Norris.
-Vorremmo tutti imbottigliarti e tenerti sempre con noi, ma
non si può.-
-Non è vero. C’è gente che desidera
vedermi star male, Flea, gente che non sta aspettando altro che vedermi crepare
da un momento all’altro… Altro che
imbottigliarmi!- rise amaro lui, risiedendosi e portandosi le gambe al petto.
L’amico sapeva che quell’argomento non avrebbe
portato nulla di buono, così si limitò a passargli di nuovo lo
spinello e a salutarlo con un “ci si vede dopo, stammi bene” prima
di uscirsene dalla suite.
Il giovane stette a fissare il muro bianco per un po’,
finché gli occhi non gli bruciarono. Si alzò e aprì la
porta-finestra, muovendo qualche passo incerto verso il corrimano in ferro
battuto, mentre con la mano destra si avvicinava la canna alle labbra.
Il fumo azzurrognolo scivolò verso il cielo di
Berlino, e il ragazzo non poté far altro che invidiargli la
facilità con cui poteva volarsene via di lì.
Simply waiting for the
sign
Waiting here to find the
words to say
-Io me lo sentivo.-
Tutti si voltarono verso Anthony, che teneva il capo
stranamente chino. Lo sentirono sospirare pesantemente, in cerca del coraggio
per continuare quel discorso.
-Sapevo che prima o poi sarebbe successo di nuovo… Però non sapevo quando, ed è
questo che fa star male.-
-Tone…- cominciò Flea, ma John lo bloccò subito, intimandogli di
lasciarlo finire.
C’erano stati parecchi nodi al pettine che nel corso
degli anni erano riusciti a sciogliere, ma altri ancora erano rimasti in
sordina per un decennio e passa, e questo il chitarrista non lo poteva
sopportare.
In passato non aveva saputo far altro che scapparsene di qua
e di là come un fuggiasco, uno zingaro del mondo, ma con il tempo aveva
imparato che una delle cose più belle che siano mai state donate
all’uomo risieda proprio nella dignità e nel sapersi prendere le
proprie responsabilità. Tutto quello che desiderava in quel momento era
avere un dialogo con quelli che erano stati suoi compagni di vita per
più di vent’anni, desiderava soltanto un po’ di
comunicazione.
La comprensione e l’accettazione sarebbero venute da
sé, altrimenti si sarebbe accontentato anche di non averle.
-Tu hai sempre avuto quella scintilla negli occhi, quella fiamma… Nessuno è riuscito a spegnertela, mai.
Ed è questo che ti distingue dagli altri, da noi tutti, John: tu hai
deciso di uscire e ti sei concesso anche il lusso di tornare, e noi ti abbiamo
accolto. Con altri probabilmente non lo avremmo fatto, ma tu sei tu.-
-Non siete stati indulgenti. Non devi rimproverare te stesso
o gli altri, non siete stati deboli. Io vi mancavo, voi mi mancavate…
Ci siamo cercati, e trovati. Non ne ha colpa nessuno, semmai tutti ne abbiamo
il merito. Come ora non è colpa di nessuno se me ne voglio andare di
nuovo. Solo… voglio seguire le mie
inclinazioni, tutto qua.-
-Andartene? Credevo volessi solo una pausa.- intervenne
finalmente Chad, battendo distratto sul tavolino un 4/4 con le bacchette
d’acero.
-Pausa? Non esiste la parola “pausa” nel
vocabolario di John Frusciante, Chad…- rise
Flea, mentre Anthony si limitò ad abbozzare un sorriso.
-Solo intervalli, refrain e voli pindarici, giusto? Vero,
è nella sua natura.- si corresse il batterista, rivolgendo un sorriso
sincero al diretto interessato, che arrossì un po’.
-Sì, Chad, voglio andarmene. E…-
si fermò un attimo per soppesare le parole da pronunciare, quasi per
paura di far uscire dalle labbra quelle sbagliate -E non lo faccio con
cattiveria, credetemi. Solo che mi piace fare le cose con calma, potermi
mettere a cazzeggiare con la chitarra e comporre quando mi pare e piace, quando
mi sento di farlo, non quando lo vuole qualcuno che sta più in alto di me.-
Stettero un po’ in silenzio, fin quando Anthony si
alzò e abbandonò la stanza a grandi falcate. Chad sospirò
e John fece altrettanto, piuttosto intristito.
-Vedrai che gli passerà, dagli del tempo.- lo
rassicurò Flea, andandosene via con il batterista e lasciandolo solo con
i propri pensieri e la voglia di riuscire ad assemblare parole che avessero
finalmente un senso, parole che si sposassero alla perfezione con le proprie
aspettative e quelle del cantante.
Sitting waiting all this
time here
All the time you're away
Dopo aver steso l’ultima pennellata color indaco, il
ragazzo si allontanò dalla tela per poterla osservare meglio. Tutto
sommato era soddisfatto del risultato, ma sentiva che c’era ancora
qualcosa che mancava. Mancava qualcosa in quel groviglio di blu e arancio, in
quei rampicanti di tempere vinaccia e ocra che correvano lungo il perimetro del
dipinto, in quell’abbraccio spasmodico tra il nero e il giallo.
Sciacquò il pennello e lo ripose nella scatola di
legno, andando poi in cerca di una sigaretta. Si soffermò davanti alla
tela e lasciò che i pensieri vagassero in giro, quasi dimenticandosi
della cenere che gli stava sporcando le mani. Diede un paio di tiri rapidi e la
spense subito, probabilmente venendo finalmente a capo dell’inghippo.
Si lavò le mani e, dopo essersele asciugate, intinse
le dita nella tempera scarlatta che riluceva come sangue grondante.
Le appoggiò sulla tela e, beandosi del contatto con la
superficie ruvida, iniziò a tracciare delle linee ad occhi chiusi,
lasciandole libere di rincorrersi lungo tutto quello spazio.
S’interruppe solo quando sentì la porta aprirsi
di scatto, e la prima cosa che vide fu Anthony, la faccia stravolta e
l’aria di uno che sta per esplodere. Sospirò e si preparò
al peggio, abbandonando a malincuore il dipinto.
-Mi spieghi che cazzo stai facendo?-
-Credo che la risposta sia piuttosto ovvia, Anthony…-
-Intendo che cazzo ci fai qui!
Dovresti essere sul palco a provare con me e gli altri!-
Oh, le prove. si ricordò improvvisamente quello, fissando l’ormai
ex-amico con sguardo smarrito.
-Lo sapevo, te ne sei dimenticato! Sei allucinante, John… è pazzesco, io non ho più
parole.-
-Se non ne avessi più, non saresti di certo qui a
farmi il sermone, non credi?- lo rimbeccò l’altro piuttosto
scocciato, ripulendosi le mani con uno strofinaccio trovato per caso.
A quelle parole il cantante lo fissò stupefatto,
trattenendosi a stento dalla tentazione di mettergli le mani addosso.
-Fammi capire, pensi di essere nel giusto?-
-Sì, Anthony. In questo momento preferisco starmene
qui a dipingere che andare su uno stupido palco a strimpellare quattro cagate
in croce, se è questo quello che vuoi sapere.-
-Io… io non ho
parole. Le “quattro cagate in croce”, come le chiami tu,
significano molto per un sacco di gente! Non pensi ai fan, non pensi a loro
quando sali sul palco?-
John scrollò le spalle e riprese a fissare la tela, i
pensieri che già vagavano in giro per la mente in cerca di un giudizio
soddisfacente riguardo quel che aveva dipinto.
-Ah, no, giusto… Tu pensi
soltanto a queste minchiate! Dipingere, leggere Burroughs, fumare erba e bere
in quantità industriale… La vita
è questo, giusto.-
-La vita è anche
questo, Anthony- sbottò risentito il
chitarrista, tornando a piantargli gli occhi scuri nei suoi -Ma non vuol dire
che sia necessariamente come la vedi tu.-
-Dì quel cazzo che ti pare, ma io continuerò a
pensare che tu ti stia comportando da grandissimo stronzo…
Se non fosse per loro, non saremmo qui.- sospirò il cantante,
massaggiandosi le tempie.
-E chi l’ha chiesto di essere qui?-
Anthony lo guardò storto e gli rispose con un
“tutti noi, anche se non te lo ricordi”. Dopodiché uscì
dalla stanza.
Sitting waiting for the
sign
And anyway I got so far
-E così questo è un addio…-
-Un arrivederci, Chad. È un arrivederci.-
-Quindi questo significa che tornerai nel gruppo, prima o
poi?-
John gli sorrise intenerito, poggiandogli una mano sulla
spalla.
-Non penso proprio, ma nella vita non si può mai sapere…-
-Ho capito, mister Faccio Sempre Il Vago…
Passiamo ai saluti, prima che mi metta a piangere sul serio.-
E, detto quello, lo strinse a sé, affondando il volto
nei suoi ricci scuri. John si morse il labbro inferiore e ricambiò la
stretta.
Quel gigante buono gli sarebbe mancato da morire.
-John, fatti almeno dare un abbraccio…
Mi mancherai.-
Il batterista era appena venuto a sapere delle intenzioni che
il chitarrista, dall’alto dei suoi ventidue anni, aveva deciso di
inseguire.
Non lo capiva, probabilmente nessuno lo avrebbe fatto, ma lo
accettava. Lo accettava perché la sofferenza di John negli ultimi tempi
non era affatto passata inosservata, così come quel cumulo informe
d’infelicità e cupezza che lo circondava perennemente.
Lui rivoleva il vecchio John, quello che rideva in quel modo
sgangherato e assolutamente assurdo, quello che passava le giornate a sparare
cazzate in compagnia sua e degli altri, non quello che si rintanava come una
bestia nella propria stanza, lontano da tutto e da tutti.
Quello era il fantasma di John, e lui non lo voleva, non
più.
Ma in quell’ultimo abbraccio a Chad parve sul serio di
essere riuscito a vedere distintamente la vera essenza di John Frusciante, il
ventenne costretto a crescere troppo in fretta, il ragazzo che abbandonava la
propria famiglia per partirsene in un viaggio tutto suo che non ammetteva
ospiti o tappe improvvise, che non ammetteva i Red Hot Chili Peppers.
-Johnny…-
John si staccò da Chad, scostandosi qualche riccio
bagnato dagli occhi: alla fine il batterista non aveva resistito, lo aveva
inzuppato per bene.
-Amico mio…- si rivolse
quindi verso chi l’aveva chiamato, abbracciandolo -Grazie di tutto.-
-No, Johnny, sono io che devo ringraziare te: grazie per
esserci sempre stato, inconsapevolmente e non. Grazie di essere te stesso e di
avere ancora la voglia di lottare per poterlo essere.-
-Grazie a te per essere sempre
stato te stesso, Flea. Io me ne sono accorto dopo un po’ di tempo che
questa era la strada giusta, e tu c’eri già.-
-Greenie, praticamente
sei già là. Dammi un abbraccio e chiudiamola in fretta qui, su.- lo ammonì il bassista, stringendolo e
lasciandogli una carezza tra i capelli corti.
-Io non volevo, lo giuro… Non
volevo arrivare a questo punto…-
singhiozzò l’altro, lasciandosi abbracciare -Voglio tornare a
quattro anni fa, ai locali e a quelle due banconote in croce, Flea…-
-Lo vorrei anch’io, Johnny. Ma i quattro anni son
già passati, noi siamo qui e tu invece ormai non lo sei più.
Fatti la valigia e tornatene a casa, lì starai meglio.-
Il chitarrista alzò il volto e lo fissò con
quegli occhi scuri, degli occhi che erano contornati da vistose occhiaie ma che
racchiudevano ancora una flebile speranza.
-Starò meglio…
Sì, starò meglio.- annuì quindi, staccandosi
dall’amico e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
L’uomo rivolse uno sguardo alla figura che era rimasta
in silenzio dietro agli altri, attenta osservatrice di tutto.
-Anthony, io-
-No, John, per piacere…
Stavolta lascia parlare me.-
Il chitarrista smise di andargli incontro e, piuttosto
stupito, gli fece cenno di continuare.
-In questi ultimi vent’anni ne abbiamo passate di tutti
i tipi: ci sono stati momenti in cui non avrei voluto far altro che mettermi ad
urlare o piangere, altri in cui t'avrei spaccato la faccia molto
volentieri e altri ancora in cui avrei affrontato perfino il mondo intero pur
di poterti proteggere. Ma se c’è una cosa di cui sono sempre stato
certo, su cui non ho mai avuto alcun ripensamento, è questa: io ti
voglio bene. E non me ne frega un cazzo se per fartelo capire dovrò
attraversare un corridoio o gli interi Stati Uniti d’America,
perché è importante che tu lo sappia. Non pretenderò di
capirti, di capire cosa ci sia dietro questa tua decisione, e so che tu farai
lo stesso con me, quindi non mi resta altro da fare che farti sapere tutto questo e
sperare che le cose per te si mettano al meglio.-
Il più giovane tra i due lo abbracciò in
silenzio, ed Anthony si lasciò stringere più che volentieri.
-Ti voglio bene, Greenie. Ricordatelo.-
-Pian-piantala di chiamarmi così, coglione…-
borbottò l’altro piangendo e abbracciandolo con più forza.
Il cantante rise di cuore e fece altrettanto, sorridendo
quando l’orecchio destro captò un “anch’io te ne
voglio, Tone.”
La prova più difficile arrivava ora, e John lo seppe
nel momento esatto in cui si staccò dall’abbraccio rassicurante di
Flea per rivolgere un primo sguardo ad Anthony, che lo fissava a braccia
conserte.
Bastò quell’occhiata tagliente per far
caracollare il chitarrista verso il suolo, ormai così sottile e fragile
da potersi spezzare in qualsiasi istante.
-Devo andarmene, non posso più andare avanti
così, morirò se non uscirò da questo gruppo, me lo sento-
balbettò tremante, le sembianze di un animale braccato dal proprio
carnefice.
Il cantante sciolse subito la propria maschera
d’indifferenza e lo andò a soccorrere, aiutandolo a tirarsi su e
sorreggendolo nel momento in cui si accorse che non era in grado di farlo per
conto proprio.
-Sta’ calmo,
è tutto sotto controllo, non c’è nessun problema.-
-Non è vero, io sto facendo un casino, faccio schifo!-
strillò quello, agitando le mani per aria.
-Questo è vero.-
-Tony, non sei
d’aiuto!- lo rimproverò Flea, che però venne azzittito
quasi subito.
-Non lo saremmo nemmeno se gli dicessimo che va tutto che
è una meraviglia! Meglio sbattergli la realtà in faccia, cazzo.-
John abbassò lo sguardo, sentendosi incredibilmente
piccolo ed inutile. In quel momento avrebbe soltanto voluto che dal pavimento
sorgesse una voragine in grado d’inghiottirlo in fretta.
-Sei deciso?-
Il giovane si riscosse dalle proprie fantasie e guardò
Anthony, che a sua volta lo fissava in un misto di apprensione e diffidenza.
-Scusa?-
-Ti ho chiesto se sei deciso…
Se sei veramente deciso nel volerti comportare così.-
-Io… suppongo di
sì… sì, lo sono.-
-Grazie al cielo.- sorrise l’altro, e lo
abbracciò.
-Vi farò avere mie notizie al più presto, ve lo
prometto.-
-Me lo auguro per te, altrimenti sarò costretto a
venirti a trovare con una mazza da baseball.-
Il chitarrista ridacchiò e tirò un pugno
affettuoso sulla spalla del batterista, schivando per un pelo la manata che
quello gli voleva restituire.
I tre lo accompagnarono alla porta d’ingresso, dove lo
salutarono sorridendo.
-Finalmente libero, eh Frusciante? Facci sapere
com’è la situazione lì fuori…-
-Lo siamo tutti, Anthony. Lo siamo tutti.- e, dopo aver fatto
loro un cenno con la mano, se ne andò.
Lungo la strada nessuno lo fermò, forse perché
sull’uscio se ne stavano tre ombre a vegliare su di lui.
-Non distruggerti, John. Promettimi che non lo farai.-
-Promesso.-
Quelle furono le ultime parole tra i due, prima che il taxi
inghiottisse la figura del più giovane e la facesse scomparire
dall’orbita del loro circuito.
Anthony osservò il fumo della sigaretta che saliva
sempre più in su, mischiandosi alla scia dell’aereo che, in
quell’esatto istante, stava solcando il cielo roseo di Tokyo.
Sospirò.
Yesterday my life was in
ruins
Now today I've learned what
I'm doing
Anyway I should be doing
all right
Si accarezza pensoso la barba con una mano, mentre con
l’altra prova diverse frequenze dell’equalizzatore.
Ha le cuffie, non sente che la moglie lo sta chiamando. Se le
leva solo quando capisce che da quella melodia in quel momento non ne
caverà fuori nulla di buono.
-John, vieni qui un attimo!-
Raggiunge Nicole in soggiorno, sedendosi accanto a lei e
fissandola con sguardo interrogativo, gesto che le dà
l’autorizzazione per mostrargli tutto quanto.
-Guarda che foto è appena uscita…-
afferma ironica, spostando il lap-top dalle proprie ginocchia a quelle del
marito.
John dapprima non capisce, ma nel momento in cui vede lo
scatto tutto gli è finalmente più chiaro: Rock n’ Roll Hall Of
Fame.
Fissa il tavolo e i segnaposti e non può proprio fare
a meno di ridere di gusto, profondamente divertito da quell’insulsaggine.
-Se non altro hanno scelto una foto in cui sono venuto decentemente…- mormora, frugando nella tasca per
ripescare il cellulare che non usa quasi mai e che, stranamente, sta vibrando.
“Dici che valga
la pena di aspettarti, ritardatario?” recita il messaggio, e il mittente
è inequivocabile: Chad.
Il chitarrista pigia abbastanza velocemente sui tasti e si
ferma a rileggere il risultato.
“Aspettare non
serve. Sono già lì, in
ognuno di voi.”
Si morde il labbro inferiore e preme Invio.
Sorride.
Doing all right