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Autore: Alexandra e Mac    19/05/2012    3 recensioni
La storia, quella con la “S” maiuscola, a volte riserva grandi sorprese. Fra le pieghe di un libro può capitare di trovare le cose più strane, o fra le sue righe captare qualcosa che non è detto esplicitamente ma che è volutamente lasciato intuire dall’autore o dall’autrice.
Sono specialmente le biografie del “grandi” quelle che riservano le maggiori meraviglie, e occorre un occhio attento per saper cogliere quello che, in superficie, non compare.
Questo racconto è nato così, cercando i messaggi nascosti che la Storia ha disseminato lungo il suo cammino e che alcuni più perspicaci hanno saputo cogliere e che hanno poi elaborato offrendoli al lettore.
Siamo certe che adesso anche voi cercherete fra il detto e il non detto di un volume quella zona grigia che vi spalancherà le porte di un altro mondo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XVII

Scherzare col fuoco



Lady Sarah sapeva che il tempo scarseggiava. Il suo sesto senso le diceva che l’assassino avrebbe presto colpito, ed ora che aveva apertamente parlato dei suoi sospetti su Von Webb era giunto il momento di passare all’azione. Non poteva e non doveva attendere oltre, n’andava della vita della sua protetta; perciò aveva elaborato un piano che prevedeva quello che aveva temuto sin dall’inizio. Ma faceva parte del suo lavoro.

Tornò nel salotto dove si teneva il tè dell’Imperatrice, sperando che gli invitati, in particolar modo un invitato, non se ne fossero andati.

Fu fortunata.

Il piccolo ricevimento era ancora in pieno svolgimento, anzi Sua Maestà si era seduta al piano e stava suonando melodie tratte dal suo personale repertorio, mentre gli invitati erano impegnati chi nell’ascolto, chi in conversazioni mondane.

Lady Sarah fece il suo ingresso in maniera discreta, ma non abbastanza da impedire al Conte Von Webb di notarla ed esserle immediatamente accanto.

“Milady” la salutò.

“Conte, come vedete sono tornata” rispose lei sorridendogli seducente.

“Auspicavo un vostro ritorno. Da quando avete lasciato questo piccolo consesso è come se il sole avesse abbandonato il salotto.”

La dama si nascose dietro al ventaglio piumato: “Conte voi mi confondete”. Ma i suoi occhi lasciavano intendere tutt’altro.

Lui la condusse in un angolo appartato del salottino, quel tanto che bastava per essere al riparo da occhi ed orecchie indiscreti.

“Perché il Conte D’Harmòn vi ha sottratta alla mia compagnia?” domandò inquisitore.

“Voleva solo raccontarmi le ultime…” Lasciò in sospeso lei. Poi soggiunse: “Caro, caro Klaus, ma perché dobbiamo parlare di D’Harmòn? Ora sono qui, con voi, e non intendo abbandonare la vostra compagnia per nulla al mondo.”

“Milady, mia dolce Milady” le sussurrò il Conte bavarese prendendo le sue mani fra le proprie. “Voi mi avete rubato il cuore.”

Ora o mai più. Batti il ferro finché è caldo” si disse Lady Sarah.

“Anche voi Conte, sin dal nostro primo incontro. Dacché vi vidi non ho fatto altro che pensare a voi” disse con un filo di voce e dando al proprio tono un’inflessione passionale ma al tempo stesso timida, come di chi abbia paura a svelare completamente i sentimenti che esplodono in petto.

“Non dite una parola di più Milady” la tacitò l’uomo.

“Non avrei dovuto dirvi quelle cose Conte” disse affranta Lady Sarah. “Voi siete un uomo sposato e io ho scambiato le vostre parole d’amicizia per altro… perdonatemi” e finse di scappare via, ma lui la trattenne.

“Voglio vedervi da sola” affermò deciso il nobiluomo.

Lei sgranò gli occhi stupita, come di chi è incredulo davanti ad un repentino mutamento della sorte: “Dove mio caro? Dove?” chiese con apprensione, quasi non avesse fatto altro che sognare quel momento per tutto il tempo.

“Fra tre giorni vi convocherò nel mio studio” le disse il Conte.

“Tre giorni” sospirò la dama, “mi sembreranno un’eternità” e si allontanò da lui.


***



Erano quasi alla metà del diario, o almeno così supponeva l’Ammiraglio, eppure non vedeva segni di mutamento nei rapporti fra il Comandante e il Colonnello. Il dubbio s’insinuò in lui: che effettivamente quello che li univa fosse solo una semplice amicizia come avevano sempre detto loro?

Non poteva crederci, per il semplice motivo che, in cuor suo, era convinto che le cose stessero in ben altra maniera, a dispetto delle versioni fornite.

Volendo dare loro ad intendere che s’interessasse ai progressi della ricerca, fece in modo di capitare “per caso” in sala riunioni.

Alla vista del superiore, Harm e Mac scattarono sull’attenti.

“Riposo, Signori. Come procede il caso?” chiese scrutando ogni singolo battito di ciglia dei due.

“Molto bene, Signore” rispose Mac. “Abbiamo trovato alcuni appunti personali dell’Ammiraglio Blackbird nonché alcune lettere alla moglie, Mrs. Valerie Sanford Blackbird, dalle quali traspare un qualcosa circa la rocambolesca fuga di cui ci ha parlato nell’assegnarci l’incarico. Purtroppo ancora non abbiamo trovato il diario di bordo della ‘Medea’.”

Chegwidden annuì; poi, apparentemente saltando di palo in frasca, si rivolse ad Harm: “L’ho cercata alcune sere fa, Comandante, a casa sua. Volevo parlarle del caso Cresswell, il Tenente Roberts mi ha chiesto lumi quando lei era già andato via dallo JAG”.

“Io e il Colonnello ci siamo… aehm… riuniti per continuare il lavoro.”

“Spero che la vostra ‘riunione’ abbia dato i frutti sperati.”

Harm e Mac si scambiarono uno sguardo complice e anche questo non sfuggì all’occhio lungo dell’Ammiraglio.

“Sì, Signore. Abbiamo fatto dei passi in avanti” confermò Mac.

“Enormi passi in avanti” aggiunse con enfasi Harm.

“Ammiraglio, il Comandante esagera come suo solito. Enormi non è la parola più adatta. Direi piuttosto qualche progresso.”

“Smetterete mai di essere sempre in disaccordo su ogni cosa?” chiese Chegwidden leggermente divertito da quella schermaglia.

“Sì Signore.”

“No Signore”, risposero in coro il Comandante e il Colonnello.

AJ uscì dalla sala riunioni augurando ai due ufficiali di terminare in fretta il loro lavoro.

“Non posso continuare ancora per molto senza il vostro apporto, per cui sbrigatevi a mettere le cose a posto” osservò burbero come al solito.

Quando il superiore se ne fu andato, Harm e Mac si guardarono stupiti.

“Tu pensi che sappia del diario?” chiese Mac.

“No” negò con fermezza Harm. Ammettere il contrario sarebbe equivalso ad ammettere che Chegwidden di proposito aveva deciso di metterli davanti ai loro sentimenti utilizzando il diario come strumento. Non era possibile che sapesse così tanto su di loro!

E invece AJ sapeva, eccome se sapeva!

Ancora lo scopo non era stato raggiunto, ma sospettava che quell’innocuo quaderno rilegato in pelle avesse portato non poco scompiglio nei cuori del Colonnello e del Comandante. Le occhiate che si erano scambiati e l’insolita vicinanza fra loro parlavano da sé.

Non riteneva che si fossero già parlati, anzi dal loro generale atteggiamento era convinto che fossero ancora ben lontani dall’aver chiarito ogni cosa, ma riteneva che a poco a poco, il Destino, grazie anche al suo intervento, avrebbe ricondotto tutto sui giusti binari.

Dopo circa un’ora il religioso silenzio dell’austera sala riunioni fu rotto da un’esclamazione di gioia di Mac. Si alzò e corse fuori in direzione della kitchenette dove Harm si era recato cinque minuti prima per farsi un caffè con Sturgis.

Fortunatamente lo trovò solo.

“Harm!” esclamò giubilante. “Ho trovato qualcosa di molto interessante” e gli sventolò sotto il naso una mappa ingiallita e consunta dal tempo.

Lui l’afferrò e la lesse. Poi alzò gli occhi verso la collega: “Ma questa è…”

“E’ la rotta della ‘Medea’ da Marsiglia a Southampton e da Southampton a Boston, datata 1857” completò lei esultante.

“E se metti insieme questa mappa con le lettere inviate alla moglie…” aggiunse Mac.

“… abbiamo la prova concreta che la storia del Conte e di Milady è vera! Brava Mac!” si complimentò prendendola per la vita e quasi sollevandola da terra.

Istintivamente lei gli cinse il collo con le braccia e si ritrovarono così, con gli sguardi inchiodati e i volti pericolosamente vicini. Mac sentiva il cuore che batteva come un forsennato, udiva il rombo del sangue che urlava nelle vene, sentiva le tempie batterle, il tremito delle gambe e aveva una gran voglia di…

fare l’amore con lui”.

Il pensiero si formò nella mente prima che avesse il tempo di bloccarlo. Arrossì di colpo e si sciolse dall’abbraccio.

“Non ho compiuto questo gran miracolo” disse, cercando di darsi un contegno. “La mappa era nello scatolone numero 3. Avremmo finito col trovarla prima o poi. E inoltre non prova ancora nulla. Conferma solo che l’Ammiraglio Blackbird, tra la fine del 1856 e il 1857, si trovava in Europa.”

Harm era ancora un po’ trasecolato dalle emozioni provate meno di due minuti prima. Mac gli faceva un effetto devastante, gli bastava sfiorarla per desiderarla da impazzire. L’avrebbe voluta in quell’angusto locale, fra bricchi di caffè, tè, fiocchi di cereali, biscotti, zucchero e cibarie di vario genere. Ma si rendeva conto che i tempi non erano ancora maturi, prima di tutto doveva prendersi una piccola rivincita e poi… “Poi ti sorprenderò Sarah Mackenzie” si disse.

“E’ vero, dobbiamo ancora collegare l’Ammiraglio al conte e lady Sarah, ad ogni modo questa mappa è un grande passo avanti…” ammise Harm; poi si avvicinò e, sfiorandole il collo con un bacio invisibile, le sussurrò: “… e tu sei sempre il mio Marine preferito”. Quindi uscì, lasciandola con la sensazione che la terra le fosse d’improvviso mancata da sotto i piedi.

Mac si appoggiò al bancone dove erano messe in bell’ordine le tazze del caffè del personale dello JAG.

Le girava la testa.

Avrebbe voluto rincorrere Harm fuori dalla kitchenette, abbracciarlo e baciarlo davanti all’intero staff, e dirgli tutto.

Tutto?

Sì tutto” mormorò alla confezione di tè verde di Harriett.

Tuttavia non fece niente di tutto questo. Una volta di più la paura di essere rifiutata, nonostante il suo comportamento nelle sere precedenti avesse lasciato intendere il contrario, prese il sopravvento. Pertanto si limitò ad ingollare d’un sorso un bicchiere d’acqua fresca, a desiderare ardentemente un calmante e a tornare in sala riunioni con la mappa dell’Ammiraglio in mano.



***

Durante quei tre giorni Lady Sarah aveva fatto di tutto per non pensare a cosa l’aspettava una volta alla mercé del Conte. Si era buttata con entusiasmo nei preparativi per il ballo di Natale incaricandosi delle decorazioni del salone e dei regali destinati agli invitati. Avrebbe voluto prendere l’iniziativa e scegliere personalmente un piccolo dono da offrire al Conte D’Harmòn, ma poi aveva deciso che era meglio lasciare questo incombente all’Imperatrice, pertanto si era limitata a fornire solo dei suggerimenti sull’oggetto più adatto al nobiluomo francese.

André” sospirò guardandosi allo specchio. Attendeva da un momento all’altro la chiamata da parte di Von Webb e aveva sfruttato quel lasso di tempo per rendersi più bella e desiderabile che mai.

Indossava un abito davvero poco consono sia all’ora (era metà mattina) sia al decoro, acquistato in una boutique di Parigi all’inizio dell’anno. Una boutique alquanto particolare quella di Madame Gèròme… lisciò le pieghe dell’abito di velluto color blu notte dai riflessi quasi violacei e sistemò la scollatura a baldacchino che a malapena conteneva il seno abbondante.

Di solito non indossava gioielli, ma per l’occasione aveva fatto un’eccezione e si era cinta il collo con un collarino di velluto dello stesso colore del vestito dal quale pendeva un solo diamante a goccia. I capelli erano raccolti in un morbidissimo chignon e al Conte Von Webb sarebbe stato sufficiente sfilare il prezioso fermaglio di diamanti e zaffiri per godere delle chiome di Milady.

Quel pensiero le riportò alla mente la cavalcata con André di qualche giorno prima. Anche lui aveva affondato le mani nella sua folta capigliatura ma le sensazioni che aveva provato allora erano state molto diverse dai sentimenti di adesso…

Scacciò dalla mente il volto del francese, le causava troppa sofferenza e si aggiustò la biancheria intima di pizzi e di peccaminose sete francesi acquistati nella medesima boutique di Parigi da dove proveniva l’abito.

André” sussurrò come un bacio il nome del Conte, “spero mi possiate perdonare.”

Un discreto bussare alla porta l’avvisò che la convocazione era giunta. Raccolse lo scialle di pizzo di Burano ed uscì dalle proprie stanze.

Lavoro, lavoro, nient’altro che lavoro” continuava a ripetersi mentre seguiva il servitore dell’aiutante di campo dell’Imperatore. Ma mai come questa volta l’adempimento del proprio dovere le era pesato tanto.

Von Webb attendeva con impazienza l’arrivo di Lady Sarah nel suo studio privato, in un’ala del castello molto lontana dalla stanza che occupava di norma. Voleva essere ben certo che l’Imperatore non lo chiamasse nel bel mezzo di… Sorrise con aria da squalo mentre un fremito d’eccitazione lo pervadeva.

La porta si scostò di pochi centimetri e Lady Sarah, silenziosa come una pantera, fece il suo ingresso.

“Milady, siete una visione” si complimentò il Conte andandole incontro e abbracciandola in maniera che sarebbe stata giudicata sconveniente.

André perdonatemi” pensò un’ultima volta lei mentre sorrideva seducente al bavarese.

“Ho contato le ore e i minuti che ancora mi separavano da voi, Klaus” disse poi in un sussurro sfiorando con un bacio le labbra di lui.

Il Conte perse del tutto la testa e il controllo delle proprie azioni.

Strinse Lady Sarah in un abbraccio da togliere il fiato e la baciò con prepotenza conducendo entrambi verso una chaiselongue appositamente sistemata per l’occasione.

La prese subito, non la spogliò nemmeno tant’era la bramosia di possederla.

Lady Sarah lo lasciò fare. Sentiva le mani del Conte su di sé, dappertutto. Sentì che le slacciava con prepotenza i bottoni che chiudevano la scollatura dell’abito, quasi strappandoli dalle asole per l’impazienza di posare le labbra sui suoi seni. Sentì la sua mano trovare il profondo spacco celato dalle spesse pieghe della gonna e risalire fino alla pelle delle cosce non coperta dagli austeri mutandoni in uso presso le dame perbene. E poi lo sentì dentro di sé.

Era disgustata, schifata da quell’animale che le stava sopra e che faceva l’amore con lei senza il minimo rispetto per la sua persona, per i suoi sentimenti, per la sua intelligenza di donna, nondimeno finse di assecondarlo.

Quando tutto ebbe termine si rassettò l’abito e si mise a sedere, il viso arrossato e i capelli sciolti.

“Non vi credevo così appassionata e scandalosamente seducente Milady” osservò lui rimettendosi a posto la camicia e infilandosi la giacca della divisa.

“Forse perché non ho trovato mai l’uomo giusto con cui esserlo” ribatté civettuola e falsamente soddisfatta dell’amplesso.

Von Webb si sedette accanto e le offrì una coppa di champagne: “Brindiamo alla nostra nuova amicizia” disse lanciando un lungo sguardo provocatorio alla dama. “E’ francese, della mia riserva migliore, spero lo gradirà” concluse beffardamente.

“Non amo troppo le bevande francesi e giudico i francesi in generale un po’ troppo intriganti per i miei gusti” lo assecondò lei, bevendo dalla coppa dopo averla intrecciata con quella di lui.

In realtà il cuore di Lady Sarah sanguinava. Si sentiva come se avesse tradito qualcuno a lei molto caro. Ma chi?

Hai tradito te stessa e i tuoi sentimenti sull’altare del cinismo, Sarah Jane Montagu” le suggerì la voce della coscienza.

La ignorò e si dedicò al Conte.

Bevvero un secondo bicchiere e il nobiluomo si sciolse ancor di più, pur sapendo quale fosse la missione che aveva condotto Milady a Corte. Lei intuì questo suo stato d’animo e se n’approfittò.

Apparendo non ancora paga di quanto era accaduto fra di loro poco tempo addietro, si strusciò contro Von Webb: “Conte avete vinto la partita. Non credete che anche io abbia diritto al mio premio?” fece le fusa come una gatta in calore.

“Mia cara, l’avete avuto eccome il premio” ribatté lascivo.

“Intendevo un altro genere di premio” continuò Lady Sarah sporgendosi e mostrando ancora di più il décolleté.

Von Webb bevve ancora dello champagne. “Perché no?” si disse. Dopotutto lei aveva ragione, aveva vinto soffiandola da sotto il naso a quel bellimbusto cascamorto di un francese.

“Ebbene io so chi ha messo quel libro infamante sullo scrittoio di Sua Maestà” rivelò.

“E chi è stato?” domandò Lady Sarah accompagnando la richiesta con un movimento che scoprì una porzione di gamba dallo spacco della gonna.

Il Conte allungò la mano ma lei lo fermò decisa: “Adesso è il mio turno, Klaus” disse con un sorriso provocante che lasciava intendere altre delizie se lui si fosse confidato con lei.

“E’ stata la Duchessa Battyàny” ammise lui con voce roca.

“Come fate a saperlo?”

“L’ho vista che sottraeva quel libro dalla biblioteca, l’ho seguita e…”

“E?” lo incoraggiò lei scoprendo ancora di più la gamba.

“Ho notato che entrava furtiva nello studio privato dell’Imperatrice e posava il libro sullo scrittoio.”

“Perché pensate che l’abbia fatto?”

“L’Imperatore ha fatto fucilare il Duca Battyàny dopo i moti ungheresi del 1848 e la Duchessa è una donna vendicativa.”

“Perché non l’avete detto a Sua Maestà?”

“L’Imperatrice espresse il desiderio che non giungesse alcuna voce alle orecchie dell’augusto consorte.”

“Come potete essere a conoscenza di questo?” chiese stupita Lady Sarah. “Quella mattina l’Imperatrice si confidò con me sola.”.

“Mia adorata” le rispose Von Webb avvicinandosi, “sono molto potente a Corte, ho occhi e orecchie dappertutto, anche nei luoghi più segreti di questo Palazzo.”

“Ora li avete su di me, Klaus” rispose invitante Lady Sarah allungandosi nuovamente sulla chaiselongue.



  
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