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Autore: Itsfree    20/05/2012    1 recensioni
Salve a tutti!
Questa storia non è assolutamente nuova anzi il prologo è stato scritto un anno fa ma non ho mai voluto postarla qui per due motivi:
1) non ero sicura del filone della storia (che ora ho cambiato riportandola qui)
2) non la ritenevo all'altezza delle aspettative di voi lettori (non che ora ne sia sicura).
Spero sia una storia "fuori dal comune" e come feci allora ribadisco che è interamente dedicata ad una persona davvero speciale nella mia vita alla quale ho rubato pure il nome per la protagonista della storia. Ci saranno sia persone famose sia "normali". Em em spero vi piacciano le storie abbastanza tristi.
PS: ogni capitolo, ad eccezione del prologo, avrà legato a sè un link della canzone che maggiormente lo rappresenta.
PS 2: non tratta dei Jonas Brothers di per sè, vedrete. A voi il prologo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

 
Mi addormentai davanti alla televisione accesa e verso le due e mezza di notte mi svegliai strofinandomi gli occhi. Guardai l'ora e decisi di andare in camera mia e mi buttai nel mio adorata lettone ad una piazza e mezzo. Odiavo dormire da sola,  odiavo sapermi sola di notte in casa. Di giorno mi piaceva che non ci fosse nessuno in giro a rompermi, ma non di notte, mi sentivo più piccola del dovuto al buio. Ma ormai le serate così erano diventate più frequenti soprattutto dopo questo nuovo amico. Ero sicura che mio padre non mi avrebbe mai lasciata a casa da sola, al contrario di mia madre che mi riteneva abbastanza matura e responsabile: mi lasciava persino i weekend da sola.
Quando succedeva invitavo o mia cugina e guardavamo un film e poi rimaneva a dormire da me, oppure le passavo in piedi a scrivere frasi senza senso che a volte potevano sembrare parte di una canzone. Mio padre mi aveva cresciuta attraverso la musica  e grazie a lui riuscii a maturare la mai passione. 
 
A volte mi pentivo di pensare così assiduamente a lui e a come la mia vita sarebbe migliore con lui, perchè io comunque avevo mia madre, che in tutti i suoi difetti, adoravo. C'erano sere in cui ci mettevamo io e lei davanti alla televisione a guardare per esempio “Pretty Little Liars” insieme ad una ciotola di pop corn e tanta coca cola, così tanta che prima di calmarmi passavano ore. Inoltre avevo anche messo il cognome materno: mia madre mi chiese di cambiarlo appena l'altro pezzo della nostra famiglia ci aveva voltato le spalle.
 
Ad un certo punto il mio BlackBerry prese a squillare in modo continuo facendo partire Calm Before The Storm a tutto volume,  il che non era proprio il massimo data l'ora: 4,25 am.
"Pronto?" Risposi confusa  e, più che per voglia di rispondere, per voglia di tornare a dormire.
" E' la signorina Rachel Cohen?" dall'altra parte della cornetta vi era uno sconosciuto e cercai di concentrarmi di più nonostante il sonno.
" Sì, cosa succede?" Cercai di incalzare in modo più veloce la conversazione 
" Non sono tenuto a dirle niente di preciso, ma sua madre è qui con noi in ambulanza, ha subito un grave incidente la porteremo all'ospedale GreenWitch" E staccò.
Subito i miei occhi si pietrificarono e mi portai immediatamente una mano alla fronte. Mi cambiai velocemente infilandomi un Jeans e una maglietta a caso, infilai le converse nere e mi lavai velocemente la faccia e i denti. Cosa aveva combinato sta volta mia madre? 
Per un istante mi immaginai di poter perdere pure lei, e già iniziai a sentire l'enorme peso di un mondo che ti cade addosso. Presi le chiavi di casa, il casco e il mio cellulare e corsi giu per otto piani di scale. Mi veniva da piangere, ma le trattenevo per essere lucida per  quando avrei dovuto guidare.
Presi la mia moto e dopo averla fatta scaldare un attimo, partii velocissima in direzione di quell'ospedale, era una buona mezz'ora da casa mia.
 
Di solito mi faceva stare bene sfrecciare con la mia moto, ma sta volta no: correvo, letteralmente correvo incontro a qualcosa che non avrei mai voluto raggiungere. Mentre le altre volte che ci salivo sopra, scappavo da quello che mi faceva male.
Ora ero io che ci andavo contro.
Stavo spingendo la mia moto ad alta velocità, non badando a quanto stessi andando.Alla fine arrivai in ospedale in meno di venti minuti. Parcheggiai e mi portai dietro il casco e le chiavi, entrambi nella mano sinistra e corsi dalla seretaria chiedendo immediatamente di mia madre.
"non possiamo dirle nulla, e neanche le infermiere" mi risposero in modo acido.
"cazz* sono sua figlia!" Sbottai arrabbiata e nervosa.
 
Dopo aver sentito le mie parole si portò la mano nei capelli e mi disse il piano in cui l'avevano portata.  Salii per le scale: l'ascensore mi avrebbe agitata e innervosita soltanto.Poi incontrai un'infermiera e chiesi della signora "Mary Joeanne Cohen", e ripetè la stessa scena di pochi minuti prima. Allora cercai di trattenermi e a detti stretti con voce roca e profonda inizia a tirar fuori delle parole scandendo ogni singola lettera
 
" Senta, io ho solo sedici anni e stavo dormendo nel mio letto tranquilla quando sono stata svegliata alle 4 e 25 dall'ospedale che mi ha chiamata dicendomi che mi amadre aveva avuto un incidente, ora sono venuta qui in moto e Dio solo sa come faccio ad essere ancora viva data la velocità con cui venivo. Quindi per favore mi porti da mia madre!"
 
L'infermiera allora comprese la mia agitazione e mi portò nella sala d'attesa ma nel corridorio incrociai la barella di mia madre ed iniziai a piangere sussurrando dei "No, No" continui e sommessi.
"Mamma" urlai istericamente dopo.
"Signorina si calmi, si tolga" mi avvicinai e le presi la mano e notai la parte destra del suo busto completamente devastato.
"Amore tranquilla, sta tranquilla" cercò di dirmi tra un fitta di dolore e l'altra. 
"mamma, mamma" sapevo dire solo questo seppur fossero parole uscite più sottoforma di singhiozzi.
"Signorina la lasci!"E mi lasciarono fuori dalla sala operatoria, io mi inginocchiai davanti alle porte che si chiudevano davanti a me.
"Mà.." sussurrai un' ultima volta.
 
L'infermiera di prima vide tutte la scena e si avvicinò facendomi alzare e, cingendomi le spalle, mi fece sedere.Una signora accanto a me intanto si era alzata per andare ad una macchinetta e tornò poco dopo porgendomi un caffè, ed io la ringraziai con uno sguardo distrutto ma riconosciente. Poi i miei occhi ritornarono vuoti, come se ormai fossero con mia madre.Lei era tutto quello che mi era rimasto, era l'unica persona importante e fissa che avevo avuto nella mia vita, era tutto per me.
Non poteva andarsene pure lei. I nonni, suoi genitori, ormai non li avevo più da anni, e non avevo altri parenti accanto.Come avrei fatto da sola? Forse era un pensiero molto egoista, ma non ero pronta a lasciarla andare via da me.
 
Passarono ore e ore in cui mi alzavo solo per andare in bagno a vomitare ed ogni volta mi sembrava di fare uscire un pezzo di me.Ogni volta sciaccuavo la bocca e prendevo un cicles, ma l'agitazione era sempre troppa, la pressione sempre più bassa e il mal di testa più forte.Non chiedevo mai nulla alle infermiere che passavano o ai dottori, se avessero avuto qualcosa da dirmi, di sicuro me ne sarei accorta.
 
Dopo cinque ore e mezza, un medico.
  
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