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Autore: Daisy Pearl    27/05/2012    11 recensioni
Avete mai pensato che possa essere la cattiva la protagonista di una storia?
Marguerite non è nè santa nè dolce. Tutt'altro.
Lei sà giocare ad un gioco particolare, un gioco di sguardi ed è abituata a vincere.
Ma cosa potrebbe accadere se un paio di begli occhi verdi dovessero batterla per la prima volta in questo strano gioco?
Bè leggete e scopritelo!
Attenti agli sguardi!
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
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CAP 18


Ragionai. Avevo sì una coscienza, ma essa non mi impediva di agognare il potere. Sapevo che dentro di me ne scorreva un po’, probabilmente non era lo stesso che possedeva Alan, o lo stesso che voleva eliminare Dave, ma era pur sempre potere. E più scorreva dentro di me più mi inebriava i sensi, come una sorta di droga di cui si agogna sempre la dose successiva. Insomma. Se Dave avesse annullato i poteri di Alan e, nel contempo,Alan avesse annullato i poteri di Dave, io sarei rimasta l’unica a possedere una qualche capacità. Certo rimanevano Rob e i bambini, ma avrei comodamente potuto prendere il posto di Alan.
Sarei stata la leader, anche se non sapevo bene di cosa, ma diciamo che l’idea di essere io l’unica ad avere potere mi piaceva.
“E sentiamo …” iniziò Dave sforzandosi di incontrare i miei occhi, come se la cosa gli richiedesse una fatica infinita “… dove me lo faresti incontrare?”
Sorrisi. Dave era decisamente troppo precipitoso.
“Ma che te lo dico a fare? Tanto tu non hai fiducia in me!” sorrisi.
“Infatti!” constatò lui.
“Diccelo!” mi pregò suo zio “Non abbiamo in mano niente Mar, sei la nostra unica speranza!”
Ma cosa pensava? Di farmi sciogliere come gelato al sole? Di impietosirmi? Avrei contrattato.
“Solo a delle condizioni …” esordii.
“TU VIENI IN CASA MIA A DETTAR LEGGE?” sbraitò improvvisamente fuori di sé Dave.
“No, non legge, si tratta di un contratto. Io ti do una cosa, tu in cambio me ne assicuri un'altra!” risposi con calma e semplicità.
“Non scenderò mai a patti con te!” sbottò orgoglioso “Sei una persona meschina, continui ad essere così anche dopo aver incontrato il mio sguardo perché questa è la tua vera e pura natura!”
“Può darsi!” feci spallucce “Ma senza patto io non vi aiuterò!”
“Dave, ti prego!” gli disse lo zio mettendogli entrambe le mani sulle spalle. Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui.
“Almeno ascolta cosa ti propone!” continuò.
Dave si limitò a concentrare il suo sguardo su di me senza aprir bocca. Lo presi come un invito a continuare.
“Vi darò un nome, un luogo, un giorno e un viso!” dissi con semplicità.
“In cambio chiedo che, qualsiasi cosa accada, ovvero sia essa un successo o un insuccesso, io non ho niente a che fare con questa storia. Noi non ci siamo mai incontrati, chiaro?” prima di tutto dovevo tutelarmi.
“Tutto qui?” domandò scettico Dave.
“Tutto qui!” confermai, contenta e soddisfatta per averlo stupito.
“E io mi dovrei fidare di lei?” disse indicandomi con scetticismo e rivolgendosi allo zio.
“Abbiamo un’alternativa?” rispose lui.
“Avete un’alternativa?” ribadii io divertita. Dave mi fulminò nuovamente con lo sguardo.
“E se fosse una trappola? Il tuo capo potrebbe sconfiggermi senza nemmeno muore un muscolo per venirmi a cercare perché tu mi porteresti direttamente da lui”.
“Non eri così sicuro di vincere?” domandai con il sorriso sempre più grande.
“Sì, ma …”
“Ma non ti fidi di me!” conclusi per lui. “Dave vestiti elegante e procurati un biglietto per il ballo annuale dei medici, perché quest’anno sei stato gentilmente invitato!”
Mi guardò come se fossi pazza.
“Cosa?”
“Svegliati Dave! Ti ho appena detto il luogo!” sorrisi soddisfatta del suo stupore.
“Abbiamo a che fare con un medico?” mi domandò sempre più sorpreso.
Annuì.
“Sabato sera!” continuai “Per quanto riguarda il nome …”
“Lo so già!” mi interruppe il ragazzo “Me l’ha detto tua madre, è Alan Black!”
Annuì nuovamente. Ormai non mi potevo più tirare indietro. Lo zio di Dave mi guardò come se avesse avuto un’illuminazione.
“Che lavoro hai detto che fa?” mi chiese. Ma che razza di domanda era?
“Il medico!” ribadii.
“Ma di preciso?”
“Lo psichiatra!” risposi. L’uomo rimase pensieroso.
“Fantastico, farà i suoi esperimenti sulla povera gente instabile!” disse disgustato Dave. Bingo. E bravo Dave, c’era arrivato.
“Non conosco nessun Alan Black che faccia lo psichiatra!” continuò lo zio ignorando le parole del nipote.
“E perché dovrebbe conoscerlo?” domandai senza capire il significato della sua affermazione.
“Perché anche io sono un medico e non conosco nessuno con quel nome che faccia quella professione!”
“Motivo in più per non fidarci!” sbottò Dave ancora poco convinto.
“Quindi anche lei ha il biglietto, vero?” domandai all’uomo ignorando quel ragazzo dagli occhi incredibilmente verdi.
“Sì, e non dovrebbe essere un grosso problema farlo avere anche a Dave!” rispose.
“Bene!” esultai.
“Bene!” mi imitò Dave storpiando fino all’inverosimile la mia voce. Sembrava proprio un bimbo dispettoso.
“E per quanto riguarda il volto?” mi domandò suo zio, che ormai non stava più nella pelle.
“Ve lo indicherò alla festa, ci sarò anche io!” sorrisi.
“Fantastico!” disse senza entusiasmo Dave.
“Però ho un’altra condizione!” aggiunsi.
“E ti pareva …” sbuffò Dave.
Mi alzai in piedi e mi avvicinai alla sua sedia sotto il suo sguardo stupito. Gli tesi la mano.
“Voglio una tregua!” asserii sicura.
“Tregua?” posò lo sguardo prima sulla mia mano e poi sui miei occhi.
“Sì, proviamo, non dico a essere amici, ma almeno a rispettarci!” confermai.
“E perché?” chiese perplesso, come se dietro tale richiesta ci fosse qualcos’altro.
“Perché Alan non è stupido. Tutto deve essere perfetto! Io e te dovremo far finta di non conoscerci, ma se tu ogni volta che ti sono vicina ti irrigidisci e inizia a sputare fuoco sarà difficile che creda realmente che io e te non ci siamo mai visti prima!” spiegai con semplicità.
“Non fa una piega!” constatò lo zio.
“Dovremo impegnarci in questi giorni che ci separano dal ballo a rispettarci così non ti verrà da contrarre la mascella in questo modo quando sei con me!” lo indicai divertita.
Lui mi riservò un altro sguardo pieno d’odio e poi tornò a fissare la mia mano.
“Tregua!” disse stringendola.
Sorrisi. Doveva essere tutto perfetto.
“Questo vuol dire che verrai?” chiesi speranzosa.
“Sì! Ma se solo mi viene il sospetto che sia una trappola mi occuperò personalmente di renderti la vita impossibile!” mi minacciò.
“Come se tu non lo stessi già facendo!” ridacchiai.
“Bene! Signore, è stato davvero un piacere conoscerla!” dissi tendendo la mano allo zio di Dave.
“Piacere mio!” rispose stringendo la mia mano sottile nella sua.
“Dave!” lo salutai con un cenno del capo e mi diressi verso l’uscita.
“Mar!” sentii la voce di quel fastidioso ragazzo richiamarmi e mi voltai in attesa di sapere cosa volesse dirmi.
“Nel caso non si tratti di una trappola … bè grazie!” sembrò quasi che avesse inghiottito una buona dose d’orgoglio per dire quelle poche parole. Sorrisi all’idea di avergli fatto piegare un po’ la testa e solo in quel momento realizzai di quanto lui si trovasse in alto mare nella sua ‘missione’. Almeno finchè non ero arrivata io. Solo quello l’aveva spinto ad ingoiare l’orgoglio, una grande riconoscenza.
“Prego!” urlai ormai nel vialetto.
Sorrisi felice. Marguerite Jones si stava rimettendo in carreggiata e i due esseri che detenevo il potere stavano per annientarsi a vicenda. L’unica vincitrice sarei stata io.


Quella settimana era stata breve, dopotutto già da metà di essa le lezioni erano terminate. Così me ne ero tornata a villaLux senza più vedere né Dave né suo zio da quel fatidico pomeriggio. La cosa non mi preoccupava più di tanto, dopotutto non è che mi importasse della loro vita, quello che contava era che avessero i mezzi per affrontare e battere il grande Alan Black. Fremevo solo all’idea. Quello che per me era sempre stato una specie di mito, un invincibile dio si stava tramutando in un essere come tutti gli altri, un essere comune, mentre io avrei preso il suo posto. Non mi sembrava vero e infatti stentavo a crederci, cercavo in tal modo di non illudermi e di tenere i piedi per terra, ma non mi veniva facile.
Trascorsi i pochi giorni che mi separavano dal ballo con uno spirito allegro, ma, la disfatta di Alan con la conseguente realizzazione del mio sogno di essere più forte di lui, non era l’unica cosa che mi faceva sorridere.
Pensare che anche il misero Dave avrebbe perso le sue facoltà mi esaltava, insomma potevo considerala una specie di vendetta indiretta.
Sarei stata l’unica in assoluto e il solo pensiero di ciò mi faceva sentire potente, come se il mondo si trovasse nelle mie mani e io lo osservassi dall’alto, come farebbe un sovrano.
Così avevo passato tutto il tempo per le strade uscendo e entrando senza posa dai negozi alla ricerca dell’abito adatto, avevo trascorso le serate nel solito modo, ovvero andando in discoteca e rimorchiando un paio di bei ragazzi, il tutto riuscendo a depistare Rob e infine i corridoi di villa lux si riempivano della mia voce perché avevo preso l’abitudine di cantare a squarcia gola le ultime canzoni. Per i miei coinquilini la situazione doveva essere insopportabile tanto è vero che Rob mi aveva minacciata di morte un paio di volte, mentre Alan era rimasto indifferente. Ma cosa ci potevo fare io se ero così felice? Non mi importava niente di infastidire gli altri, quando mi andava di fare una cosa la facevo e basta.
Il pomeriggio prima del ballo arrivò in un batter d’occhio in quel clima così gioioso e così mi ritrovai in camera mia con solo un asciugamano intorno al corpo mentre frugavo nell’armadio per estrarre il mio vestito.
“Mmm Mar, vieni così alla festa?” disse una voce bassa e sensuale alle mie spalle.
“Ti piacerebbe eh?” sorrisi.
“Sì dai!” rispose con finta noncuranza.
“Tanto lo so che lo desidereresti da morire!” mi voltai con sguardo sicuro e per poco non mi venne un colpo.
Rob era splendidamente fasciato da uno smoking blu scuro, sotto la giacca portava una camicia bianca come la neve. Il colore del completo si intonava perfettamente con le sue iridi azzurro cielo e i capelli color del fieno erano leggermente tirati in su grazie all’utilizzo sapiente della lacca.
Ma non mi venne un colpo per la sua innegabile bellezza, dopotutto non era una novità che Rob fosse bello, ma il problema era che lui non doveva essere vestito in quel modo perché solo io e Alan dovevamo andare alla festa. O almeno così credevo.
“Cos’è quello?” chiesi incerta indicando il suo abito.
“Uno smoking!” rispose con sicurezza.
“So cos’è!” ribattei leggermente irata “Ma perché lo indossi?”
“Ah! Non lo sai?” chiese assumendo un’espressione quantomeno compiaciuta.
Non aspettò la mia risposta e continuò “ Alan, giusto sta mattina, mi ha chiesto di venire … ha detto che per caso aveva un biglietto in più!” il suo sorriso quadruplicò, sapeva che per qualche ragione mi stava facendo un torto e questo lo rendeva felice.
“Cosa?” ero incredula. La presenza di Rob cambiava tutto. Non era difficile prevedere che mi sarebbe stato alle calcagna per tutto il tempo e la cosa mi infastidiva non poco, infatti non avrei potuto tranquillamente parlare con Dave, quantomeno per indicargli chi fosse Alan. Senza contare che Rob conosceva il viso di Dave e che sospettava di lui perché si era sentito strano quando aveva incontrato il suo sguardo. Accidenti, di male in peggio.
Avrei voluto prendere quella faccia da schiaffi che si ritrovava il biondino, illuminata da quel disgustoso sorriso soddisfatto e spaccarla contro un muro. Perché doveva sempre rovinare ogni mio piano?
“Hai capito bene!” confermò avvicinandosi a me.
“E’ uno scherzo vero?” sperai con tutto il cuore che fosse così.
“Perché? Ti dà così tanto fastidio la presenza di un bell’uomo come me?” ormai eravamo vicinissimi.
Risi.
“Bello?”
“Lo so che sono bello, Mar, è inutile che fai finta di niente!” era strafottente e sicuro di sé.
Mi morsi il labbro inferiore.
“Mai bello quanto lo sono io!” risposi utilizzando la mia voce sensuale.
“Non vale fare il paragone tra maschio e femmina, i canoni di bellezza sono del tutto differenti!” constatò con serietà.
“A sì?” sorridendo lasciai cadere al suolo l’asciugamano e in tal modo rivelai tutte le mie curve a Rob. Egli spalancò la bocca dalla quale cercò di far uscire una qualche parola, ma il risultato somigliò molto ad un grugnito animale.
“Che ti prende?” domanda retorica e sarcastica, la mia.
Lui provò a deglutire, ma a quanto pare gli risultava difficile, però era obbligato a farlo altrimenti la bava avrebbe raggiunto i suoi piedi. Esaminò ogni singolo centimetro del mio corpo con un’attenzione degna di un detective e con lo sguardo adorante che possiede una donna di fronte ad un diamante.
Sospirò e chiuse gli occhi.
“E tu pretendi …” iniziò a fatica “ … che dopo che ho visto tutto ciò io non ti tocchi?”
“Forse non pretendo nulla di tutto ciò!” sussurrai sensuale.
Lui continuò a mantenere serrate le palpebre, come se la visone del mio corpo nudo potesse corrodergli gli occhi. Probabilmente aveva maggior paura di non potersi concentrare.
“Stai dicendo che vuoi essere toccata?” lo chiese con voce un po’ incerta, dopotutto sapeva che ero solita mandarlo in bianco. Era più forte di me, mi divertivo così tanto!
“Forse!” sogghignai avvicinandomi e lasciandogli un lieve bacio sull’angolo della sua bocca. I suoi occhi azzurri si spalancarono e si persero nei miei, dopo di che le sue labbra si tuffarono affamate sulle mie, baciandole con passione.
Rimasi immobile cercando di non ricambiare il bacio, anche se dovevo ammettere che era piuttosto difficile perché ci sapeva fare parecchio bene.
Si scostò da me con sguardo interrogativo e io non potei fare a mano di scoppiare a ridere. Davvero aveva creduto che quella volta non l’avrei mandato in bianco? Che sciocco, mi divertivo troppo per non farlo!
“Dobbiamo prepararci!” dissi con semplicità allontanandomi e tornando ad immergermi nell’armadio.
“Questa me la paghi!” sentii sogghignare mentre usciva dalla mia camera chiudendosi la porta alle spalle.
Con rinnovato buonumore estrassi l’abito blu notte che avevo acquistato e in un batter d’occhio lo indossai. Mi ammirai nello specchio girando su me stessa e compiacendomi per quello che vedevano i miei occhi.
L’abito mi giungeva fino ai piedi, ma era fatto di una stoffa talmente tanto sottile da renderlo quasi trasparente, senza contare che un ampio spacco partiva dalla parte superiore di una coscia fino a raggiungere il suolo, rivelando così ad ogni passo le mie gambe nude.
Ero elegante e sexy senza essere volgare, ero la combinazione perfetta per una serata che doveva essere ancora più perfetta. In quel momento ero sicura che ce l’avrei fatta, che nonostante la presenza di Rob, la ‘missione’ sarebbe stata portata a termine, dopotutto Rob non sapeva che io conoscevo di vista Dave quindi avrei potuto dare a quest’ultimo tutte le indicazioni senza insospettire il biondo.
Sorrisi al mio riflesso e mi chinai per indossare le scarpe argentate dal tacco stratosferico.
Mi voltai per ammirare il retro e vidi che buona parte della schiena restava scoperta, quel tocco insieme alla scollatura mi avrebbe resa una calamita per gli occhi degli uomini.
Completai l’opera d’arte chiamata Mar con un trucco leggero e optai per lasciare i capelli sciolti lungo e le spalle, dopo di che indossai un lungo cappotto e mi precipitai fuori dalla stanza.
Giunsi all’ingresso dove Rob già attendeva. Quest’ultimo mi rivolse un occhiata che doveva sembrare minacciosa, ma risultò piuttosto languida, probabilmente ancora mi immaginava nuda. Sorrisi al pensiero, quanto erano volubili gli uomini!
Alan in quel momento scese le scale in tutta la sua maestosità, per l’occasione indossava un semplicissimo smoking nero abbinato ad una camicia nera, colore che si intonava alla perfezione con quell’abisso che erano i suoi occhi. Quella sera le sue iridi sembravano ancora più fatali dal momento che nessun paio di occhiali li celava.
“Agatha!” chiamò a gran voce.
La donna giunse a rallentatore dove ci trovavamo e Alan non potè fare a meno di sbuffare rumorosamente.
“E’ arrivata la macchina?” chiese senza gentilezza né grazia.
“Sissignore!” rispose meccanicamente lei.
“Bene!” l’uomo si diresse verso la porta e io lo seguì.
Mentre camminavamo per il lungo viale che attraversava il giardino per giungere ai cancelli mi affiancai a lui.
“E’ proprio necessaria la presenza di Robert?” tentai con una punta di dissenso.
“Sì!” rispose schietto.
“Sì!” ribadì sogghignando Rob che ormai ci aveva raggiunti.
Gli sorrisi cercando di celare il mio nervosismo.
“Bene!” ribattei.
Sorrisi compiaciuta quando vidi la bellissima ed elegante limousine nera che ci attendeva all’uscita di villalux con i motori accesi. Quando Alan faceva le cose, caspita se le faceva bene! come si poteva non ammirare un uomo così?
L’autista ci attendeva all’esterno della vettura e, non appena ci vide, aprì la portiera riservata ai passeggeri e io, naturalmente, fui la prima a salire.
Durante il breve viaggio rimanemmo in silenzio, un silenzio rotto soltanto da Rob che sorseggiava lo champagne sotto lo sguardo di disapprovazione di Alan. Chissà perché, ma avevo la sensazione che non fosse tanto contento della sua presenza, soprattutto perchè, da come lo guardava, sembrava che lo reputasse indegno, ma d’altra parte vi era in Alan una sorta di cupa rassegnazione a portarselo con sé.
Mah, quello era l’uomo più incomprensibile del pianeta, infatti i suoi sentimenti, sempre ammesso che ne possedesse, erano ermeticamente chiusi all’interno di non so quale suo organo. Era impossibile che essi sfuggissero al suo controllo, in altre parole!
Quando arrivammo l’autista scese per aprirci la portiera ed io finalmente uscii nell’aria frizzantina della sera. Il mio sguardo si illuminò di fronte a quella vista spettacolare. Dinnanzi a me sorgeva e si stagliava verso il cielo nero un’enorme villa, o per meglio dire, reggia, preceduta da un giardino illuminato da migliaia di lucine. Sembrava che tutte le luminarie che abbelliscono le città nel periodo natalizio fossero tutte concentrate in quelle poche decine di metri cubi. File e file di persone elegantemente vestite giungevano e la musica proveniente dall’edificio e il vociare di tutti quei medici faceva da sottofondo ad ogni movimento.
L’atmosfera era quasi fiabesca, sembrava il gran ballo al quale aveva partecipato cenerentola. Non che io fossi affascinata da tale storia, la prospettiva dell’amore istantaneo e romantico mi disgustava, ma ero affascinata dallo sfarzo che non era altro che una dimostrazione e esaltazione del potere.
Anche Alan viveva nello sfarzo e presto anche io.
Sorrisi seguendo il mio mentore lungo il viale che portava all’entrata della lussuosa villa.
Sul portone un uomo in uniforme rossa ci chiese chi fossimo.
“Alan Black e i suoi assistenti Robert Swish e Marguerite Jones!” sorrise Alan al portiere.
Quest’ultimo sfogliò rapidamente una serie di fogli che aveva in mano e alla fine alzò lo sguardo sorridendo.
“Prego entrate pure e buona serata!”. Alan gli fece un cenno cortese e io, passandogli avanti gli feci l’occhiolino. Vidi il portiere arrossire e seguire il mio percorso finchè non gli fu più impossibile vedermi, solo allora ridacchiai comprendoni le labbra con il palmo della mano.
“Smettila Mar!” mi guardò glaciale Alan. Incredibile, in lui non vi era nemmeno l’ombra dell’uomo che era stato circa 10 secondi prima, ovvero quello gentile ed educato che si era rivolto con cortesia all’autista ed al portiere. Era davvero un attore dal talento immenso, era impossibile che non ne rimanessi affascinata e ammirata.
“Sissignore!” scherzai facendogli il saluto militare. Alan mi ignorò e iniziò ad immergersi nella folla che angustiava lo stretto corridoio che si apriva all’entrata.
Lo seguii e finalmente entrai nella sala più grande che avessi mai visto. Essa era interamente illuminata e sfarzosa, circolare ai cui lati si stagliavano due rampe di scale marmoree che seguivano l’andamento delle pareti rotondeggianti della stanza. Verrebbe da pensare che per la sua forma si trattasse di una stanza esigua, invece era l’esatto contrario, nemmeno il gran numero di persone che l’affollava riusciva a farla sembrare piccola.
Alan proseguì verso la rampa di scale sulla destra, al centro della quale vi era un soffice tappeto rosso che percorreva le scale in tutta la loro lunghezza. Il piano di sopra era più esiguo, ma non in maniera eccessiva. Da esso era possibile osservare la sala sottostante perché era come se si trattasse di un enorme balconata. Sembrava di essere sugli spalti alti di un teatro. A quell’altezza potei notare da vicino lo sfarzoso lampadario di cristallo che troneggiava sulla stanza e non potei fare a meno che rimanerne abbagliata, mentre i riflessi che provenivano da esso andavano ad infrangersi sui volti dei presenti. Era uno spettacolo!
“Lì c’è il buffet!” ci informò Alan indicandoci i chilometrici tavoli che si trovavano nel lato interno della balconata.
“Prima vi devo far conoscere qualche persona, confido nel vostro buon senso che vi porterà sicuramente a comportarvi come persone civili e ben educate, senz’ombra di doti particolari, dopo di che potete mangiare e godervi la festa, cercate di conoscere il maggior numero di persone possibili e non mettetevi in mostra, siate normali!” ordinò repentino.
Annuimmo. Non approvavo affatto che Alan mi potesse ordinare con una tale noncuranza cosa dovessi o non dovessi fare, insomma avevo una testa e potevo decidere anche da sola!
Sorrisi amara di fronte alla consapevolezza che era Alan, da sempre, a decidere cosa gli altri dovessero pensare, a partire da me e da Rob, i prima ai quali aveva inculcato il suo credo.
Un cameriere passò accanto a noi con un vassoio ricco di bicchieri che dovevano sicuramente essere di cristallo, contenenti qualcosa che somigliava molto allo champagne. Rob se ne rese conto immediatamente e allungò la mano per afferrarne uno e Alan lo fulminò con lo sguardo.
“Quando avete e SE avete un bicchiere in mano …” iniziò quest’ultimo afferrando il bicchiere che Rob stava già portando alle sue labbra “ … deve essere sempre pieno, altrimenti gli altri potrebbero credere che siete degli ubriaconi o qualcosa del genere, ricordate che l’impressione è tutto!” detto questo, nel tono più glaciale possibile e senza staccare i suoi neri baratri dalle pupille azzurre di Rob, ingoiò d’un fiato tutto il contenuto del bicchiere. Rob spalancò la bocca stupito mentre io invece ridacchiavo.
Si vedeva che il biondo non era alla mia altezza, era centomila volte più stupido.
Alan sbuffò e ci fece cenno di seguirlo. Egli puntò verso un uomo decisamente sovrappeso e quasi completamente calvo che si stava letteralmente avventando sul buffet.
“Dottor Minski!” lo salutò cordialmente. L’uomo grasso alzò lo sguardo e, non appena capì chi era il suo interlocutore, si affrettò a pulirsi la mano con la quale doveva aver appena preso qualcosa usando come tovagliolo improvvisato il suo stesso vestito. Non riuscii a trattenere una smorfia, alzai lo sguardo in direzione di Alan, sicura che anche lui doveva aver provato un minimo di ribrezzo ma, con mio stupore, egli era impassibile, anzi guardava il dottore come se stesse facendo la cosa più naturale al mondo.
Era davvero il migliore attore in circolazione, la mi ammirazione era talmente tanta che sentii il mio petto quasi gonfiarsi di orgoglio per essere stata istruita e cresciuta da un uomo del suo calibro. Mi spaventai un attimo per quella nuova e inaspettata sensazione di orgoglio provata non nei miei confronti, ma in quelli di qualcun altro, era così nuovo per me.
“Dottor Black! Che piacere poterla rivedere di persona!” rispose il signor Minski con un forte accento russo porgendogli la mano appena ‘pulita’.
Alan gliela afferrò e gliela strinse con vigore.
“Loro sono i miei assistenti: la signorina Jones …” e fui costretta a tendergli la mano che goffamente strinse “… e il signor Swish!” ci presentò Alan.
“Addirittura due assistenti! Credevo che lei fosse un tipo solitario, Mr Black!”
“So capire anche quando ne ho bisogno, però!” rispose Alan con semplicità.
L’uomo sorrise.
“E siete laureati?” si rivolse a noi.
Accidenti, cosa dovevo fare? Mentire o meno? Cercai gli occhi di Alan sperando che essi mi potessero fornire una risposta, ma quest’ultimi erano impassibili, dovevamo cavarcela da soli.
“Studiamo!” sorrisi.
“Oh! Siete ancora studenti!” constatò un po’ sorpreso il dottor Minski.
“Ma che studenti, signore!” ribattei, potevo anche essere una studentessa, ma ero in grado di costringerlo a fargli ballare la macarena se solo avessi voluto.
“Interessante, come mai questa scelta, dottor Black?”
“Menti giovani e fresche servono per questo lavoro, menti che ancora possono essere modellate!” rispose Alan.
Mi bloccai al suono di tali parole. Ecco cosa aveva fatto a noi quell’uomo che ci aveva cresciuti. Ci aveva prelevati dalle nostre famiglie quando ancora eravamo dei bambini, piccole creature che possedevano una mente malleabile come il pongo. Egli ci ha modellati esattamente come farebbe uno scultore con delle statue, ma a quale scopo? Era la prima volta in assoluto che me lo domandavo. Mi era sempre sembrato logico e naturale possedere quella vita e quelle ideologie, ma in quel preciso istante nulla appariva più scontato. Perché Alan aveva deciso di modellarci? Eravamo pur sempre una limitazione, un peso alla sua libertà, eppure eravamo lì. Perché?
Persa nei miei pensieri non mi resi conto che mi era stata posta una domanda.
“Mi scusi?” chiesi.
Alan mi fulminò con lo sguardo come per ammonirmi a non distrarmi più in quel modo, rabbrividii di fronte a quegli occhi neri come la pece.
“Non importa!” mi liquidò semplicemente il russo. Che razza di faccia tosta. Ma chi si credeva di essere quel tipo? Si atteggiava ad essere superiore solo perché possedeva una laurea e qualche migliaio di chili in più di me. Strinsi i pugni consapevole che non avrei potuto fare niente.
“Dottor Minski, ho trovato particolarmente interessanti i suoi ultimi studi sulla mante umana, solo che mi chiedevo se non potesse spiegarmi meglio alcuni passaggi.”
Il dottore si illuminò e iniziò a blaterare di psiche, Io, Superio utilizzando altri termini a me incomprensibili. Rimasi a fianco di Alan e Rob per tutta la durata di quel noioso soliloquio.
Iniziai a mordermi le labbra guardandomi attorno e mi accorsi, con la coda dell’occhio, che il russo mi lanciava occhiate veloci nella speranza che io non me ne accorgessi, in queste fugaci occhiate prestava attenzione elle mie spalle scoperte e alla mia scollatura. Alzai gli occhi al cielo: possibile che al mondo non esistesse nemmeno un uomo serio accidenti? Erano tutti persi a correre dietro alle scollature e alle gambe di noi donne. Per fortuna! Questo rappresentava un nostro punto di forza, in particolare, un MIO punto di forza.
Mentre di nuovo mi lanciava un’occhiata languida fui abile nell’incrociare i suoi occhi. Egli si bloccò e parve incapace di distogliere lo sguardo dal mio sorrisi perché smise pure di parlare.
Gli feci l’occhiolino e poi distolsi lo sguardo lasciandolo libero. Sorrisi soddisfatta, ma nel farlo mi voltai verso Alan che mi rivolgeva uno sguardo omicida. Piccoli brividi mi percorsero la schiena fino a raggiungere l’attaccatura dei capelli, era come se sentissi realmente del freddo.
Non mi aveva mai guardata con tale odio e io non riuscivo a sostenere le sue pupille, ma non ero nemmeno abbastanza vigliacca da scostare lo sguardo.
Fu lui a voltarsi e a tornare a rivolgere la sua attenzione al dottore. Sospirai come se un enorme peso mi fosse stato tolto di dosso.
Passammo l’ora successiva a conoscere persone su persone, tutti medici importanti, Alan non mi rivolse più né uno sguardo e né una parola.
“Abbiamo finito!” ci informò atono e, sia io che Rob, tirammo un sospiro di sollievo.
“Divertitevi!”
Rob sorrise e si fiondò sul buffet mentre io scesi le scale, dovevo cercare Dave. Con la coda dell’occhio vidi Alan che si affacciava alla balconata e si metteva a fissare le persone che ballavano o chiacchieravano nella stanza. Il vociare era piacevole e non fastidioso e la musica era dolce, non eccessivamente alta né bassa. Era l’atmosfera ideale per rilassarsi, eppure Alan era terribilmente teso. Lo capivo da come i muscoli degli avambracci, leggermente visibili a causa del fatto che poggiandoli alla balaustra della balconata la giacca si era un po’ tirata su in corrispondenza delle maniche, erano leggermente tesi, così come notavo che stringeva la mascella. Chissà cosa gli passava per la testa.
Ad un certo punto vidi che assumeva un’espressione mutevole e particolare. All’inizio aveva sbarrato gli occhi come se fosse stato sorpreso, poi aveva stretto il pugno e nei suoi occhi l’odio era divampato e, infine, un sorriso freddo e crudele si era dipinto sul suo volto. Rabbrividii al solo vederlo da lontano. Forse era più terrorizzante quell’espressione rispetto allo sguardo glaciale che mi aveva rivolto qualche decina di minuti prima. Distolsi lo sguardo e ripresi al mia discesa.
Giunta al piano terra notai che il numero di persone presenti in sala era notevolmente aumentato. Ancora non si soffocava solo grazie alle austere dimensioni della stanza. Feci un paio di passi quando mi sentii posare dolcemente una mano sulla spalla.
Mi voltai con un’espressione di stupore dipinta sul volto e incontrai un paio di splendidi occhi verdi.
Cercai di dire qualcosa di tagliente riferito magari al fatto che non si era fatto vivo prima o che stava malissimo conciato in quel modo, ma stranamente la mia mente era a corto di insulti, era invece riempita dall’immagine di un bellissimo ragazzo che portava con grazia e perfezione degna di un dio greco uno smoking nero, con abbinata una camicia bianca ed una cravatta nera anch’essa.
Forse smisi di respirare. Dire che il suo fascino era triplicato con addosso quel vestito elegante sarebbe stato un eufemismo. Deglutii mentre gli ormoni iniziavano ad andare in circolo.
Mi maledii odiando che in quel momento io lo trovassi dannatamente attraente e così cercai di ignorare l’istinto che mi diceva di cercare disperatamente l’angolo più buio per appartarci. Dannazione, quello che avevo davanti era Dave Sullivan, il ragazzo che avevo maggiormente odiato in tutta la mia vita. Era stato quasi la causa della mia rovina, ma per fortuna io ero stata più forte.
Così ci ritrovammo lì, l’uno dinnanzi all’altra alla distanza di un passo. Ci fronteggiavamo senza dirci una parola, solo fissandoci negli occhi. Nero e verde. Un mix terribilmente imperfetto.
Lui mosse una mano verso il mio braccio che era disteso lungo il mio fianco, mi afferrò la mano e la prese con dolcezza tra il pollice e il palmo poi, senza staccare quegli occhi ipnotici dai miei, la avvicinò alla sua bocca, il tutto con estrema lentezza. Trattenni il respiro affascinata dalla grazia dei suoi gesti. Egli posò il naso sul dorso della mia mano dopo di che la lasciò andare senza mai abbandonare le mie iridi.
L’interruzione di quel contatto favorì la mia ripresa di coscienza, fortunatamente, così mi riappropriai quasi con gelosia del mio arto portandomelo al petto, come se avessi dovuto difenderlo da chissà quale pericolo.
“Ma non si dovrebbe baciare la mano alle signorine?” constatai sfoggiando il mio solito ghigno e marcando col tono della voce la parola ‘baciare’.
“No!” rispose con semplicità lanciandosi un’occhiata attorno “E’ maleducazione! Bisogna fingere di baciarla, già il solo avvicinare il viso alla mano rappresenta una forma di rispetto, baciarla sarebbe da villani, insomma cosa faresti se uno comelui ti baciasse la mano?” così dicendo indicò un uomo leggermente gobbo e scheletrico. Disgustoso.
Arricciai il naso.
“Ok, Mr galateo, messaggio ricevuto!”
Egli sorrise soddisfatto, poi mi offrii la mano. Feci saettare lo sguardo dal suo arto in attesa al suo viso e viceversa. Poi feci una smorfia intuendo quello che voleva chiedermi.
“Io non ballo questi lenti!” esclamai schifata. In realtà non si trattava di veri e propri lenti, insomma non c’era musica classica, ma nemmeno musica di discoteca.
“E il signor Black non si insospettirà a vedere che la sua Mar parla con uno sconosciuto, così senza nemmeno ballarci?”
Il suo discorso non faceva una piega, più cose scontate facevamo, più saremmo passati inosservati. Con tale consapevolezza alzai gli occhi al cielo e sbuffai dopo di che gli porsi la mano.
“Vedo che a volte sei in grado di usare il buon senso anche tu!” constatò lui con un tono leggermente tagliente.
Mi tirò leggermente con la mano sulla quale era posata la mia verso di sé, così in men che non si dica mi ritrovai con le sue dita che mi sforavano il fianco.
“Io uso SEMPRE il buonsenso!” ribattei acida.
“Non mi è sembrato!” constatò con semplicità.
In attimo ci ritrovammo immersi nella folla di persone che volteggiavano accanto a noi. Posai quasi con ribrezzo la mano sulla schiena di Dave, almeno per dare l’illusione che stessimo realmente ballando.
Il mio tocco era lieve, quasi gli sfioravo unicamente la camicia senza osare poggiare del tutto il mio arto al suo corpo.
“Questo perché sei uno sciocco!” fu la mia risposta.
Lui fece un mezzo sorriso e alzò gli occhi al cielo con un misto di divertimento e rassegnazione, dopo di che cercò il mio polso poggiato sulla sua schiena, lo prese tra le dita e con convinzione costrinse il mio palmo ad aderire completamente al suo corpo. Sospirai infastidita.
“Non mordo mica!” mi sorrise.
“Non ne dubitavo!” sbottai.
“Ti faccio talmente tanto ribrezzo da non voler nemmeno poggiare la tua manina da principessina …” nel dire ciò adotto una vocetta stridula a irreale nel vano tentativo di simulare la mia “… sulla mia schiena? Insomma Mar, avevamo detto tregua! E io ci sto provando, insomma sto ballando con al donna più stronza e odiosa del pianeta, potresti fare uno sforzo anche tu, no?”.
Lo fulminai con lo sguardo cercando di reprimere la voglia che avevo di tirargli una ginocchiata nelle parti basse. Simulai un sorriso.
“Attento a quello che dici, Davuccio, il nostro accordo potrebbe saltare e tu …” il mio sorriso divenne un ghigno “… potresti finire in mano al leone per un’isolita e del tutto inspiegabile …” continuai sarcastica “… circostanza!”
Egli digrignò i denti e mi lanciò uno dei suoi soliti sguardi colmi d’ira repressa.
“Sei una stronza!” sbottò.
“Lo so, grazie!” ghignai.
“Dov’è tuo zio?” gli chiesi. Tra i due, indubbiamente, preferivo la compagnia del più anziano.
“E’ andato via!” ribattè mentre staccò la mano dal mio fianco per farmi fare un giro.
“Andato via?” domandai sorpresa quando ritornai tra le sue braccia.
Lui si limitò ad annuire.
“Come sarebbe a dire che se n’è andato via?” ero incredula e non comprendevo le ragioni per le quali aveva compiuto tale gesto.
Lui mi guardò come se fossi scema prima di rispondermi con noncuranza.
“Sarebbe a dire che è entrato, si è guardato in giro, ha salutato un paio di colleghi e se n’è andato!”
Alzai un sopracciglio.
“E perché?”
Lui sorrise.
“Ma come sei curiosa!” mi canzonò.
“Se ti dà fastidio dirmelo puoi anche cucirti la boccaccia!” ribattei.
“La verità è che non lo so perché. Probabilmente si era dimenticato di fare qualcosa, aveva una tale fretta!” riflettè ad alta voce.
“Mah, sarà …” che uomo strano, degno del nipote che aveva.
“LUI dov’è?” domandò Dave facendosi improvvisamente molto più serio. Sentii i suoi muscoli divenire più rigidi segno che era agitato per l’imminente incontro, anche se faceva di tutto per non farmelo notare.
L’ultima volta che l’avevo visto era sulla balconata, ma poteva benissimo aver cambiato posizione.
“Fammi fare il casquè!” gli ordinai repentina.
“Perché?” domandò disorientato dalla mia richiesta.
“Fallo e basta!”
Sospirò e mi fece piegare all’indietro sulla schiena. Così mi ritrovai a fissare il soffitto e in particolare a vedere tutte le persone affacciate alla balconata. Cercai rapidamente la figura in nero di Alan. Lo individuai mentre chiacchierava amabilmente con un paio di signori di mezz’età. Proprio in quel momento Dave mi fece riprendere la mia posizione eretta guardandomi con un grosso punto interrogativo stampato in faccia.
“Ti vergogni se ti faccio fare io il casquè?” gli domandai. Lui mi guardò come se fossi totalmente pazza.
“Ci sei o ci fai?” fu la sua stupida domanda. Alzai gli occhi al cielo sbuffando per lamentarmi della sua limitata perspicacia.
“Alan è sulla balconata, a ore undici dalla tua posizione!” mi limitai a informarlo.
“A ore undici? Ma mi hai preso per una specie di agente? Cosa vuol dire ‘a ore undici’?”
Mi spazientii.
“Che è quasi alle tue spalle!” era ovvio dopotutto.
“Non ti voltare!” lo bloccai mentre lui, involontariamente stava portando lo sguardo alle sue spalle.
“Lo faccio venire giù io!” mi offrii, dopotutto non rischiavo nulla nel fargli scendere delle scale per portarlo da Dave.
Quest’ultimo fece un profondo respiro come se questo potesse essergli utile per calmarsi. Si vedeva lontano un miglio che era teso, anzi, tesissimo. Avrei voluto dirgli qualcosa per dargli coraggio, soprattutto perché se l’avesse incontrato in quello stato Alan si sarebbe accorto immediatamente che qualcosa non andava. Il problema è che ero negata per le frasi di incoraggiamento, completamente.
“Mi presterebbe la dama?” una voce fin troppo conosciuta giunse alle mie spalle. Mi voltai e incontrai il sorriso luminoso di Rob. Dannazione, chissà perché arrivava sempre nei momenti meno opportuni. Cercai di non fulminarlo con lo sguardo, soprattutto per non fargli capire che io e Dave stavamo parlando di una cosa importante, ma gli istinti omicida più vari si erano impossessati di me.
Dave fu colto alla sprovvista e guardò con curiosità Rob, probabilmente domandandosi chi fosse.
“Certo!” rispose poi con gentilezza lasciando andare la mia mano e lanciandomi uno sguardo d’intesa.
Mi voltai controvoglia verso Rob che immediatamente mi afferrò e mi face volteggiare.
“Che vuoi?” non potei fare a meno di aggredirlo, dopotutto quella serata era terribilmente importante anche per me.
“Ma come, Mar! Io ti salvo e tu mi ripaghi trattandomi male?” si finse offeso quando in realtà si vedeva che era terribilmente divertito.
“Mi salvi?” finsi di non capire di cosa parlasse, ma in realtà avevo perfettamente compreso. L’aveva riconosciuto.
“Sai chi è quello?” mi chiese assumendo un’aria da sapientone.
“Il ragazzo più carino della festa?” tentai.
“E’ il ragazzo con il quale ho visto Emily!” esclamò soddisfatto di fornirmi una preziosissima informazione. “E allora?” finsi disinteresse.
“E’ il ragazzo con lo sguardo strano!”sottolineò l’ultima parola col tono della voce.
Sbarrai gli occhi fingendo meraviglia.
“Secondo me non è pericoloso!” dissi poi con convinzione.
“E cosa te lo fa credere?” Rob era scettico.
“Forse il fatto che è da mezz’ora che ballo con lui e ancora non ho subito mutamenti di alcun genere?” gli risposi come se fosse ovvio.
Lui si avvicinò con uno sguardo famelico.
“Provamelo!” sussurrò a due centimetri dalle mie labbra.
Sorrisi, che sciocco. Incontrai i suoi occhi celesti e mi focalizzai su di lui.
Allontanati!’ gli ordinai. Immediatamente si allontanò da me con lo stupore sul volto. Sapevo che gli dava fastidio essere costretto a obbedire ai miei ordini così sorrisi ancora di più.
“Convinto ora?” domandai soddisfatta. Lui annuì imbronciato per ciò che avevo appena fatto.
“Comunque vado a chiamare Alan così almeno gli dà un’occhiata lui, vediamo che ne pensa!” proposi.
“Ok!” concordò lui ancora un po’ infastidito. Mi liberai delle sue braccia e mi allontanai.
“Vai già?” mi sorrise malizioso come ad invitarmi a rimanere ancora un po’ con lui.
Ghignai. “Devo salutarlo, dopo che tu e Alan avrete finito di esaminarlo non voglio che mi mandi in bianco!” mi inventai.
“La solita!” rise Rob. Mi diressi così verso Dave.
“Chi era quello?” mi aggredii quest’ultimo non appena fui a portata d’orecchio.
“Nessuno!” risposi repentina.
“Era il tuo ragazzo?” sbottò circondando il mio braccio con al sua mano, costringendomi a guardarlo, dal momento che stavo perlustrando la balconata per accertarmi che Alan fosse ancora lì.
“Aahahahaha!” risi divertita “Non potrei mai avere un SOLO ragazzo, che noia!” ghignai.
Mi rivolse un’espressione di puro disgusto, ma nonostante il suo viso fosse storpiato in quel modo mi ritrovai a pensare a quanto fossero belli i suoi tratti. Se non si fosse trattato di Dave Sullivan probabilmente lo avrei davvero reputato il ragazzo più carino della festa. La sua identità cambiava tutto.
Mi sarebbe piaciuto sfilargli quella cravatta così ben ordinata e lanciarla lontano, per poi proseguire sbottonando uno ad uno i bottoni di quella camicia, che mi separavano, malefici, dal suo petto perfetto. Ma l’odio che provavo per lui mi portava a provare una punta di ribrezzo per tali istinti primordiali.
“Chi è?” ripetè sempre più serio e aumentando sempre di più la presa sul mio braccio.
Mi liberai della sua stretta con poca grazia.
“Nessuno!” ribadii “Vado a cercare Alan!” aggiunsi lanciandogli uno sguardo di puro odio e sparendo tra la folla.
Il numero di persone era talmente aumentato da rendermi difficile raggiungere la rampa di scale che portava ala balconata, fu così che mi ci vollero diversi minuti. Mentre salivo guardai distrattamente la sala sotto di me quando un particolare attirò la mia attenzione.
Due ragazzi, uno dai capelli ribelli e neri come la pece e l’altro biondo, chiacchieravano, apparentemente in tono amichevole.
Dannazione. Dave non doveva sapere che ce n’erano altri come me, lui pensava che con Caren e me aveva esaurito le persone da mutare, non sapeva dell’esistenza di Rob, né doveva saperla. Primo tra tutti perché in tal modo avevo un vantaggio su di lui se nel caso avesse voluto mettermi i bastoni tra le ruote quando sarei stata l’unica in possesso del potere e, in secondo luogo, perché Rob sospettava di lui. Questa loro conversazione poteva far fallire il piano e conferire ad Alan la possibilità di difendersi. Dannati Rob e Dave.
Invertii il mio senso di marcia dirigendomi verso i due ragazzi. Ero decisamente infuriata, ma cercai di calmarmi prima di giungere dove erano loro.
“Dave !” lo chiamai fingendo gentilezza. Rob si illuminò e, purtroppo, capii solo un istante troppo tardi del perché aveva assunto quell’espressione. Inconsciamente gli avevo fornito il nome di colui di cui ancora lui sospettava. Mi maledissi e mi morsi la lingua.
“Vieni con me?” lo guardai languidamente e nel parlare usai la voce più sensuale che fossi in grado di fare.
Dave mi guardò senza comprendere la motivazione per la quale avevo usato quel tono. A volte mi stupivo della stupidità di quel ragazzo.
Annuì impercettibilmente, non sapendo bene così altro dire e si limitò a lanciarmi uno sguardo pieno di interrogativi.
“Alan?” domandò Rob.
“Arriva dopo!” mi inventai trascinando Dave con me. Rob mi lanciò un’occhiata sospettosa e io gli feci l’occhiolino per fargli credere che l’unico interesse che avessi nei confronti di Dave fosse quello di portarmelo nel bagno più vicino. E anche per fargli capire che ero tranquilla e che lui non rappresentava alcun pericolo. Rob aveva lo sguardo carico di disapprovazione.
“Che diavolo avevi intenzione di fare Dave?” lo aggredii non appena raggiungemmo un angolo abbastanza buio sotto la scalinata.
“Che diavolo cercavi di fare tu! Perché non mi hai detto che era anche lui ‘della famiglia’?” il suo tono era accusatorio e irato.
“Era necessario? E poi da cosa l’hai capito?” mi riscaldai a mia volta.
“Gli occhi non mi possono mentire!” rispose con semplicità.
Accidenti, mi ero dimenticata che lui era esattamente come Alan.
“Hai usato i tuoi poteri per cambiarlo?” domandai in certa se voler davvero avere una risposta.
“Stavo per farlo, ma poi sei arrivata tu e hai rovinato tutto!” il suo tono era tagliente.
“COSA?” ero a dir poco incredula “Rob, quel ragazzo, sospetta di te da quando per sbaglio ha incrociato il tuo sguardo la settimana scorsa! Ha capito che c’era qualcosa in te da cui si doveva mettere in guardia e, sicuramente prima gli hai dato la conferma! Cazzo! Ho cercato di convincerlo che tu non eri pericoloso, che non eri quello che lui credeva e tu hai rovinato tutto così!”
Strinsi i pugni maledicendo Dave e la sua stupidità.
“Forse per colpa tua Alan non ti guarderà negli occhi e non potremo portare a termine io per il quale siamo qua! Senza contare che potrebbero sospettare della mia complicità!” lo fulminai con lo sguardo.
Vidi che era seriamente dispiaciuto e sorpreso per non essersi accorto del guaio in cui si andava a cacciare semplicemente rivolgendo la parola a Rob.
“Se tu mi avessi detto che quel ragazzo era come te, non avrei compiuto un tale errore!” cercò di difendersi.
“Perfetto, adesso è colpa mia!” sbottai innervosendomi ancora di più.
Sbuffai e mi appoggiai al muro guardando oltre la spalla di Dave. Fu in quel momento che vidi Rob fissarci con interesse, come se avesse voluto captare tutte le cose che ci stavamo dicendo. Fortunatamente era abbastanza lontano per poter sentire, ma il suo sguardo incuriosito e indagatore non mi convinceva affatto.
“Dannazione!” imprecai.
“Cosa?” chiese quasi con disperazione Dave. Per colpa sua, il piano poteva saltare del tutto, un piano che prima era perfetto lui l’aveva reso un vero buco nell’acqua. Dopotutto si capiva che non era scaltro e calcolatore come me, Rob e Alan, non era all’altezza eppure mi aveva battuta. Quello sì che era un mistero.
“Rob ci sta guardando!”
C’era un’unica soluzione possibile per dare ancora una chances al nostro piano, ovvero dovevo continuare a fargli credere che Dave non era pericoloso per noi che io non avevo alcuna preoccupazione. Non sapevo a quanto sarebbe servito il mio tentativo di fronte agli occhi sospettosi di Rob, che per una volta in vita sua aveva fatto centro, ma tentar non nuoce, dicono.
Così catturai lo sguardo di Dave. Nero e verde. La combinazione peggiore che potesse esistere.
“Baciami!” gli ordinai.
Lui sbarrò lo sguardo sorpreso e alzò un sopracciglio incredulo.
Cosa?”.





Sì, lo so che è lunghissimo, ma se lo avessi stpato prima non avrebbe avuto molto senso e non sono nemmeno dovuta arrivare dove dovevo...
allora per il prossimo capitolo dovrete tenere a mente Alan che si arrabbia con Mar qundo lei fa l'occhiolino al russo e dovete riprendere le cose che vi avevo detto di ricordare alla fine del CAP 16 ...
saranno fondamentali!
Bene detto ciò ho bisgno di rivolgermi direttamente a voi lettori ... ho bisogno di sapere se questa storia vi piace o meno, ne ho bisogno perchè sò che è strana e vorei tanto che qualcuno mi desse delle dritte anche su come migliorarla! quindi vi chiedo d recensire e, se non vi va, di mandarmi un messaggio in privato!
Devo ringraziare quelle persone che non mi abbandonano mai!! grazie davvero!

a presto, spero di poter postare per la prossima domenica!
Daisy

Il vestito di Mar:

   
 
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