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Autore: Alexandra e Mac    27/05/2012    3 recensioni
La storia, quella con la “S” maiuscola, a volte riserva grandi sorprese. Fra le pieghe di un libro può capitare di trovare le cose più strane, o fra le sue righe captare qualcosa che non è detto esplicitamente ma che è volutamente lasciato intuire dall’autore o dall’autrice.
Sono specialmente le biografie del “grandi” quelle che riservano le maggiori meraviglie, e occorre un occhio attento per saper cogliere quello che, in superficie, non compare.
Questo racconto è nato così, cercando i messaggi nascosti che la Storia ha disseminato lungo il suo cammino e che alcuni più perspicaci hanno saputo cogliere e che hanno poi elaborato offrendoli al lettore.
Siamo certe che adesso anche voi cercherete fra il detto e il non detto di un volume quella zona grigia che vi spalancherà le porte di un altro mondo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XX

Novità



Mac non fece in tempo a varcare la soglia del bullpen che Jennifer le venne incontro.

“C’è una telefonata per lei, Signora” le disse.

“Chi è?”

“Il Signor Webb” rispose il Sottufficiale.

Mac se ne stupì. Cosa poteva volere Clay? Si erano lasciati, meglio lei l’aveva lasciato, un paio di settimane prima, forse tre, e da allora non aveva più avuto sue notizie.

“La prendo nel mio ufficio, Jennifer.” Socchiuse la porta della propria stanza e, con un sospiro, si sedette nella comoda poltrona. Sollevò il ricevitore e premette il tasto della linea.

“Ciao Sarah” la salutò la profonda voce di Clay.

“Ciao Clay.”

“Come stai?”

Perché un brivido le percorreva la schiena?

“Bene, dove sei?”

“A Washington. Sono tornato ieri dal Bahrein.”

Mac tacque, non sapeva che dire.

“Perché mi hai chiamata?” domandò alla fine.

“Perché mi mancava il suono della tua voce e mi manchi tu, Sarah” le rispose quasi sussurrando.

“Clay…” stava per cominciare Mac, ma lui la interruppe.

“Sarah io ti amo. Ho sbagliato lo so, ti ho mentito e ti ho fatta soffrire, ma per favore concedimi una seconda chance. Ho riflettuto e ho compreso. Sei tu la donna  che fa per me. Con te sto bene, mi sento un altro. Vediamoci, ti prego. Stasera. A cena. Ti porto fuori così resisterò all’impulso di baciarti e di tenerti stretta a me.”

Maledizione! Perché le parole giuste erano pronunciate dall’uomo sbagliato?!

Mac fu lì lì per rifiutare, poi ci ripensò. Dopotutto l’aveva lasciato senza neanche una spiegazione, ne aveva pur diritto.

“Va bene” concesse.

“Passo a prenderti alle 20” Webb fece una pausa. “Abiti ancora a Georgetown, vero?” chiese con una nota di titubanza nella voce.

“Certo, e dove altro dovrei abitare?” esclamò sinceramente stupita Mac.

“Non lo so, a North of Union Station per esempio.”

Stava per replicare seccata ma lui la prevenne una seconda volta: “Lascia stare, era una battuta idiota. Ci vediamo stasera. Ti amo Sarah.”

“Ciao Clay, a stasera.”

Posò il telefono e si accorse che le tremavano le mani. Dopo Harm ci si metteva anche Webb a complicarle la vita!

Un colpo di tosse l’avvertì che nella stanza c’era un’altra persona. Alzò il capo e vide Harm.

Da quanto tempo è qui?” si chiese preoccupata, ma non ebbe il coraggio di domandarlo a lui. Preferì optare per un “Dimmi”.

“Ti stavo aspettando in sala riunioni, ma visto che non arrivavi sono tornato a cercarti. Tutto bene?”

“Sì sì” liquidò lei. Si alzò e tornarono in sala riunioni.

“Stasera facciamo da me o da te?” chiese Harm dopo un certo tempo.

Mac non alzò nemmeno gli occhi dalle lettere dell’Ammiraglio Blackbird alla Marina e gli rispose: “Stasera non posso”.

Non voleva che lui le leggesse la verità negli occhi e pertanto continuò a tenere il capo basso.

“Capisco” si limitò a dire Harm.

Sapeva che Mac aveva un appuntamento con Webb. Era arrivato appena in tempo per udire quel “Ciao Clay, a stasera” e aveva dedotto una sola cosa: era tornato alla carica con Sarah, la sua Sarah.

Ma lei non l’aveva lasciato? Non gli aveva forse detto che non stavano più insieme? E allora perché concedergli un appuntamento? Cosa avevano ancora da dirsi?

Sarebbe voluto uscire da lì, andare ad Alexandria e fare due chiacchiere con lui, alla sua maniera.

Sei geloso, Rabb” udì il suo subconscio malignare. “Sei geloso marcio, ma non le domandi nulla. Geloso e stupido.” Tacitò la voce prendendo l’ultimo scatolone e posandolo pesantemente sul tavolo, che tremò.

Mac alzò finalmente lo sguardo su di lui e ciò che vide non le piacque per nulla.

L’espressione che si era disegnata sul viso di Harm era quella di un temporale in arrivo: mascella contratta, fronte aggrottata, occhi cupi e quella piega della bocca che gli veniva ogni volta che era arrabbiato. Molto arrabbiato.

“Tutto bene?” chiese circospetta.

“Sì” rispose brusco lui aprendo il coperchio dello scatolone.

 


***



Nonostante si fosse ripromessa di non vederlo più e neppure parlargli, soprattutto dopo quanto era successo la sera prima, con le informazioni appena ricevute non poteva farne a meno. Era suo dovere.

Non c’era tempo di organizzare un incontro con il Conte seguendo le regole del cerimoniale di Corte, quindi, non appena la Duchessa Battyàny l’ebbe lasciata, Lady Sarah s’infagottò in un pesante cappotto ed uscì. Non sapeva con certezza dove cercare André, ma pensò di rivolgersi al suo valletto Robert, che a quell’ora doveva trovarsi nelle scuderie.

Attraversò con passo deciso il dedalo di corridoi del palazzo sino a giungere all’esterno nella corte dove erano situate le stalle. Individuò subito la figura paffuta di Robert e attraversò il piazzale di buon passo, sfidando, con le scarpe di seta, la gelida coltre di neve e ghiaccio e i fiocchi che avevano ripreso a scendere da un cielo color grigio perla.

“Robert” richiamò l’attenzione del valletto.

Questi si voltò e un’espressione di stupore si dipinse sul viso nel riconoscere la dama che gli veniva incontro in quel freddo polare: “Madame!” esclamò stupito. “Ma che ci fate… pardonnez moi” si scusò immediatamente dopo, resosi conto della propria sfrontatezza.

“Robert, dove posso trovare il Conte?” chiese lei ignorando la manchevolezza. “Ho urgenza di parlargli.”

“In biblioteca” le rispose, “a quest’ora si reca sempre lì.”

“Grazie” e sparì così com’era venuta.

Mancava solo una settimana al gran ballo di Natale e Lady Sarah era ormai convinta che Von Webb avrebbe cercato di attentare alla vita di Elisabetta proprio in quell’occasione, anche se non sapeva come. Il Conte e l’Imperatore dovevano esserne informati, ma, nell’impossibilità di raggiungere per le vie spicce il secondo, si era risolta a parlare con il primo.

Quasi fece di corsa il percorso che portava dalle stalle alla biblioteca principale dello Schonbrunn e giunta davanti alla pesante doppia porta laccata trasse un profondo respiro, si tolse il pastrano che appoggiò distrattamente su una sedia lì accanto, e aprì l’uscio.

La scena che si parò davanti agli occhi non se la sarebbe mai aspettata: il Conte D’Harmòn e l’Imperatore erano seduti l’uno di fronte all’altro bevendo uno sherry davanti al camino che scoppiettava allegro. Stavano chiacchierando come due vecchi amici.

Si profuse in un inchino alla vista del sovrano mormorando: “Vi devo le mie scuse Maestà, non sapevo foste qui”.

Il monarca si avvicinò e la fece rialzare: “Non dovete scusarvi Milady, anche io non sapevo che sarei stato qui fino a poco fa” le disse sorridendole amichevolmente e guardando D’Harmòn.

Lady Sarah si rialzò e spostò lo sguardo prima sull’uno e poi sull’altro dei gentiluomini con aria interrogativa.

Si fece avanti André che le spiegò il motivo della presenza dell’Imperatore: “Ho chiesto a Sua Maestà una mezzora del suo preziosissimo tempo per discutere di alcune partite di vino che devono giungere qui a Vienna dalle tenute di famiglia” spiegò.

“Cercavate il Conte, Milady?” chiese Francesco Giuseppe.

“Sì, Maestà” rispose la dama, “ma visto che siete presenti entrambi posso raccontare anche alla Maestà Vostra ciò che ho appena appreso.”

Narrò delle sue scoperte di quel mattino, sottacendo il nome della Duchessa Battyàny e del suo incontro con Von Webb.

“Ne siete certa?” domandò alla fine l’Imperatore.

“Sì Maestà, sono convinta che il vostro aiutante di campo stia tentando di assassinare l’Imperatrice per lavare l’offesa fattagli tanti anni fa dalla sua famiglia d’origine.”

“Come potete avere tali informazioni così dettagliate?” tentò di nuovo di sapere D’Harmòn.

Lady Sarah si sentì a disagio sotto quello sguardo indagatore: “Ho fatto le mie ricerche e ho svolto il compito assegnatomi da Sua Maestà” rispose mantenendosi sul vago.

Francesco Giuseppe si avvicinò alla finestra, immerso nei suoi pensieri. Non poteva credere a ciò che aveva appena udito. Lady Sarah doveva essersi sbagliata! Il Conte Von Webb gli era stato accanto sin dal giorno della sua ascesa al trono degli Asburgo ed era stato lui, Franz Joseph, a volerlo al suo fianco come suo braccio destro, quale ricompensa per la fedeltà dimostratagli anche nei momenti più critici. E durante tutto quel tempo mai aveva avuto modo di sospettare che il suo aiutante di campo, la persona della quale si fidava più di tutti dopo sua moglie e sua madre, stesse tramando alle sue spalle per colpirlo nei suoi affetti più cari.

Sempre guardando fuori dalla finestra il paesaggio innevato l’Imperatore disse: “Milady, trovo molto difficile credere alle vostre parole. Non ritengo il Conte Von Webb capace di simili bassezze. Mi è sempre stato fedele e devoto e sono certo che non attenterebbe alla vita dell’Imperatrice”.

Lady Sarah fece per replicare, ma il sovrano la tacitò: “Portatemi delle prove certe che non si basino su pettegolezzi di Corte e vi crederò”.

“Che intendete fare Maestà?” domandò il Conte D’Harmòn.

“Nulla per ora, non finché non avrò in mano qualcosa di più concreto.”

Posò il Napoleon ancora mezzo pieno su un basso tavolino di mogano ed uscì dalla stanza senza dire altro.

Rimasti soli, André cominciò a tempestare di domande Lady Sarah; mentre lo faceva si diceva che stava agendo solo ed esclusivamente per ottenere maggiori dettagli, solo per l’indagine e non per gelosia, non per costringerla ad ammettere di essersi concessa a Von Webb, ma sapeva in cuor suo di mentire a se stesso: anche se si era ripromesso di fare il possibile per togliersela dalla mente e dal cuore, ogni volta che la vedeva si rendeva conto che non ci sarebbe mai riuscito.

Lei non rispose o se lo fece le sue furono risposte che contenevano solo riferimenti a quanto dettole dalla Duchessa Battyàny.

“Mi credete Conte? Almeno voi?”

“Certo che sì. Eravamo entrambi concordi nel ritenere che Von Webb fosse la mente di questo complotto. Ma non comprendo la vostra ritrosia nel nominare la Duchessa al cospetto dell’Imperatore.”

“Le ho fatto una promessa: non l’avrei nominata per evitarle l’ira di Von Webb e mantenere al sicuro la figlia Emma che vive a Buda.”

“Capisco.”

“Dobbiamo fare qualcosa, Conte. Sono ormai del tutto sicura che al ballo accadrà qualcosa di terribile all’Imperatrice.”

“Sorveglieremo il più strettamente possibile Sua Maestà e ordinerò a Robert di essere l’ombra di Von Webb. Io mi mischierò alla folla degli invitati per individuare qualche eventuale complice e voi…”

“Mi vedrete al fianco di Sua Maestà per tutta la serata.”

“Ah” sussurrò lui. Si rese conto che per un attimo, nella follia del suo amore per lei, aveva sperato di poterla stringere ancora fra le braccia per condurla in un lento e romantico valzer… ma le sue parole avevano troncato sul nascere questo desiderio.

“Dobbiamo dimostrare all’Imperatore che tutto ciò che gli ho rivelato è vero. Ne va della vita dell’Imperatrice e della stabilità dell’Impero” disse Lady Sarah completamente presa dalla sua missione.

Lui, invece, non riusciva a concentrarsi solo sul loro incarico. Continuava a pensare a lei, nonostante la sofferenza che stava provando all’idea che lei fosse stata tra le braccia di un altro uomo. Continuava a domandarsi com’era possibile che avesse scordato il loro bacio…

La dama fece per lasciare la biblioteca.

“Dove andate?” le chiese il Conte.

“A cambiarmi d’abito. È quasi ora di pranzo e l’Imperatrice ha deciso che oggi vuole pranzare con me sola per discutere degli ultimi dettagli” rispose.

“Milady, è la verità ciò che mi avete detto in presenza dell’Imperatore? Avete davvero condotto solo delle indagini interrogando il personale della Duchessa e del Conte?” chiese con uno sguardo che non lasciava scampo.

Lei si adirò: “Conte, come osate mettere ancora in dubbio la mia parola?” esclamò stizzita. André le leggeva dentro come un libro aperto e si conoscevano da nemmeno tre mesi! Percepiva il sospetto nella sua domanda e l’altra domanda, quella nascosta che vi si celava sotto.

“Non ho fatto nulla di più di quello che richiedesse il dovere e l’adempimento del mio incarico e nulla di meno di quanto richiestomi” replicò e uscì.

Una volta fuori corse nelle sue stanze: voleva mettere quanta più distanza possibile tra lei e quello sguardo che le scavava l’anima. C’era mancato poco che gli raccontasse tutto.

Si spogliò e buttò l’abito a terra con stizza.

Odiava André François D’Harmòn. Ma lo amava anche, ancorché non fosse disposta ad ammetterlo con chicchessia.

 

 

  
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