Capitolo XX
Novità
Mac non fece
in tempo a varcare la soglia del bullpen che
Jennifer le venne incontro.
“C’è una
telefonata per lei, Signora” le disse.
“Chi è?”
“Il Signor
Webb” rispose il Sottufficiale.
Mac se ne
stupì. Cosa poteva volere Clay? Si erano
lasciati, meglio lei l’aveva lasciato, un paio di settimane prima,
forse tre, e
da allora non aveva più avuto sue notizie.
“La prendo
nel mio ufficio, Jennifer.” Socchiuse la porta
della propria stanza e, con un sospiro, si sedette nella comoda
poltrona.
Sollevò il ricevitore e premette il tasto della linea.
“Ciao Sarah”
la salutò la profonda voce di Clay.
“Ciao Clay.”
“Come stai?”
Perché un
brivido le percorreva la schiena?
“Bene, dove
sei?”
“A
Washington. Sono tornato ieri dal Bahrein.”
Mac tacque,
non sapeva che dire.
“Perché mi
hai chiamata?” domandò alla fine.
“Perché mi
mancava il suono della tua voce e mi manchi tu,
Sarah” le rispose quasi sussurrando.
“Clay…” stava
per cominciare Mac, ma lui la interruppe.
“Sarah io ti
amo. Ho sbagliato lo so, ti ho mentito e ti
ho fatta soffrire, ma per favore concedimi una seconda chance. Ho
riflettuto e
ho compreso. Sei tu la donna che
fa per
me. Con te sto bene, mi sento un altro. Vediamoci, ti prego. Stasera. A
cena.
Ti porto fuori così resisterò all’impulso di baciarti e di tenerti
stretta a
me.”
Maledizione!
Perché le parole giuste erano pronunciate
dall’uomo sbagliato?!
Mac fu lì lì
per rifiutare, poi ci ripensò. Dopotutto
l’aveva lasciato senza neanche una spiegazione, ne aveva pur diritto.
“Va bene”
concesse.
“Passo a
prenderti alle
“Certo, e
dove altro dovrei abitare?” esclamò sinceramente
stupita Mac.
“Non lo so, a
North of Union Station per esempio.”
Stava per
replicare seccata ma lui la prevenne una seconda
volta: “Lascia stare, era una battuta idiota. Ci vediamo stasera. Ti
amo
Sarah.”
“Ciao Clay, a
stasera.”
Posò il
telefono e si accorse che le tremavano le mani.
Dopo Harm ci si metteva anche Webb a complicarle la vita!
Un colpo di
tosse l’avvertì che nella stanza c’era
un’altra persona. Alzò il capo e vide Harm.
“Da quanto tempo è
qui?” si chiese preoccupata, ma non ebbe il coraggio di
domandarlo a lui.
Preferì optare per un “Dimmi”.
“Ti stavo
aspettando in sala riunioni, ma visto che non
arrivavi sono tornato a cercarti. Tutto bene?”
“Sì sì”
liquidò lei. Si alzò e tornarono in sala riunioni.
“Stasera
facciamo da me o da te?” chiese Harm dopo un
certo tempo.
Mac non alzò
nemmeno gli occhi dalle lettere
dell’Ammiraglio Blackbird alla Marina e gli rispose: “Stasera non
posso”.
Non voleva
che lui le leggesse la verità negli occhi e
pertanto continuò a tenere il capo basso.
“Capisco” si
limitò a dire Harm.
Sapeva che
Mac aveva un appuntamento con Webb. Era
arrivato appena in tempo per udire quel “Ciao
Clay, a stasera” e aveva dedotto una sola cosa: era tornato
alla carica con
Sarah, la sua Sarah.
Ma lei non
l’aveva lasciato? Non gli aveva forse detto che
non stavano più insieme? E allora perché concedergli un appuntamento?
Cosa
avevano ancora da dirsi?
Sarebbe
voluto uscire da lì, andare ad Alexandria e fare
due chiacchiere con lui, alla sua maniera.
“Sei geloso, Rabb”
udì il suo subconscio malignare. “Sei
geloso marcio, ma non le domandi nulla. Geloso e stupido.”
Tacitò la voce
prendendo l’ultimo scatolone e posandolo pesantemente sul tavolo, che
tremò.
Mac alzò
finalmente lo sguardo su di lui e ciò che vide
non le piacque per nulla.
L’espressione
che si era disegnata sul viso di Harm era
quella di un temporale in arrivo: mascella contratta, fronte
aggrottata, occhi
cupi e quella piega della bocca che gli veniva ogni volta che era
arrabbiato.
Molto arrabbiato.
“Tutto bene?”
chiese circospetta.
“Sì” rispose
brusco lui aprendo il coperchio dello
scatolone.
***
Nonostante
si fosse ripromessa di non vederlo
più e neppure parlargli, soprattutto dopo quanto era successo la sera
prima,
con le informazioni appena ricevute non poteva farne a meno. Era suo
dovere.
Non
c’era tempo di organizzare un incontro con
il Conte seguendo le regole del cerimoniale di Corte, quindi, non
appena la
Duchessa Battyàny l’ebbe lasciata, Lady Sarah s’infagottò in un pesante
cappotto ed uscì. Non sapeva con certezza dove cercare André, ma pensò
di
rivolgersi al suo valletto Robert, che a quell’ora doveva trovarsi
nelle
scuderie.
Attraversò
con passo deciso il dedalo di
corridoi del palazzo sino a giungere all’esterno nella corte dove erano
situate
le stalle. Individuò subito la figura paffuta di Robert e attraversò il
piazzale di buon passo, sfidando, con le scarpe di seta, la gelida
coltre di
neve e ghiaccio e i fiocchi che avevano ripreso a scendere da un cielo
color
grigio perla.
“Robert”
richiamò l’attenzione del valletto.
Questi
si voltò e un’espressione di stupore si
dipinse sul viso nel riconoscere la dama che gli veniva incontro in
quel freddo
polare: “Madame!” esclamò stupito. “Ma che ci fate… pardonnez
moi” si scusò immediatamente dopo, resosi conto della
propria sfrontatezza.
“Robert,
dove posso trovare il Conte?” chiese
lei ignorando la manchevolezza. “Ho urgenza di parlargli.”
“In
biblioteca” le rispose, “a quest’ora si
reca sempre lì.”
“Grazie”
e sparì così com’era venuta.
Mancava
solo una settimana al gran ballo di
Natale e Lady Sarah era ormai convinta che Von Webb avrebbe cercato di
attentare alla vita di Elisabetta proprio in quell’occasione, anche se
non
sapeva come. Il Conte e l’Imperatore dovevano esserne informati, ma,
nell’impossibilità di raggiungere per le vie spicce il secondo, si era
risolta
a parlare con il primo.
Quasi
fece di corsa il percorso che portava
dalle stalle alla biblioteca principale dello Schonbrunn e giunta
davanti alla
pesante doppia porta laccata trasse un profondo respiro, si tolse il
pastrano
che appoggiò distrattamente su una sedia lì accanto, e aprì l’uscio.
La
scena che si parò davanti agli occhi non se
la sarebbe mai aspettata: il Conte D’Harmòn e l’Imperatore erano seduti
l’uno
di fronte all’altro bevendo uno sherry davanti al camino che
scoppiettava
allegro. Stavano chiacchierando come due vecchi amici.
Si
profuse in un inchino alla vista del sovrano
mormorando: “Vi devo le mie scuse Maestà, non sapevo foste qui”.
Il
monarca si avvicinò e la fece rialzare: “Non
dovete scusarvi Milady, anche io non sapevo che sarei stato qui fino a
poco fa”
le disse sorridendole amichevolmente e guardando D’Harmòn.
Lady
Sarah si rialzò e spostò lo sguardo prima
sull’uno e poi sull’altro dei gentiluomini con aria interrogativa.
Si
fece avanti André che le spiegò il motivo
della presenza dell’Imperatore: “Ho chiesto a Sua Maestà una mezzora
del suo
preziosissimo tempo per discutere di alcune partite di vino che devono
giungere
qui a Vienna dalle tenute di famiglia” spiegò.
“Cercavate
il Conte, Milady?” chiese Francesco
Giuseppe.
“Sì,
Maestà” rispose la dama, “ma visto che
siete presenti entrambi posso raccontare anche alla Maestà Vostra ciò
che ho
appena appreso.”
Narrò
delle sue scoperte di quel mattino,
sottacendo il nome della Duchessa Battyàny e del suo incontro con Von
Webb.
“Ne
siete certa?” domandò alla fine
l’Imperatore.
“Sì
Maestà, sono convinta che il vostro
aiutante di campo stia tentando di assassinare l’Imperatrice per lavare
l’offesa fattagli tanti anni fa dalla sua famiglia d’origine.”
“Come
potete avere tali informazioni così
dettagliate?” tentò di nuovo di sapere D’Harmòn.
Lady
Sarah si sentì a disagio sotto quello
sguardo indagatore: “Ho fatto le mie ricerche e ho svolto il compito
assegnatomi da Sua Maestà” rispose mantenendosi sul vago.
Francesco
Giuseppe si avvicinò alla finestra,
immerso nei suoi pensieri. Non poteva credere a ciò che aveva appena
udito.
Lady Sarah doveva essersi sbagliata! Il Conte Von Webb gli era stato
accanto
sin dal giorno della sua ascesa al trono degli Asburgo ed era stato
lui, Franz
Joseph, a volerlo al suo fianco come suo braccio destro, quale
ricompensa per
la fedeltà dimostratagli anche nei momenti più critici. E durante tutto
quel
tempo mai aveva avuto modo di sospettare che il suo aiutante di campo,
la
persona della quale si fidava più di tutti dopo sua moglie e sua madre,
stesse
tramando alle sue spalle per colpirlo nei suoi affetti più cari.
Sempre
guardando fuori dalla finestra il
paesaggio innevato l’Imperatore disse: “Milady, trovo molto difficile
credere
alle vostre parole. Non ritengo il Conte Von Webb capace di simili
bassezze. Mi
è sempre stato fedele e devoto e sono certo che non attenterebbe alla
vita
dell’Imperatrice”.
Lady
Sarah fece per replicare, ma il sovrano la
tacitò: “Portatemi delle prove certe che non si basino su pettegolezzi
di Corte
e vi crederò”.
“Che
intendete fare Maestà?” domandò il Conte
D’Harmòn.
“Nulla
per ora, non finché non avrò in mano
qualcosa di più concreto.”
Posò
il Napoleon ancora mezzo pieno su un basso
tavolino di mogano ed uscì dalla stanza senza dire altro.
Rimasti
soli, André cominciò a tempestare di
domande Lady Sarah; mentre lo faceva si diceva che stava agendo solo ed
esclusivamente per ottenere maggiori dettagli, solo per l’indagine e
non per
gelosia, non per costringerla ad ammettere di essersi concessa a Von
Webb, ma
sapeva in cuor suo di mentire a se stesso: anche se si era ripromesso
di fare
il possibile per togliersela dalla mente e dal cuore, ogni volta che la
vedeva
si rendeva conto che non ci sarebbe mai riuscito.
Lei
non rispose o se lo fece le sue furono risposte
che contenevano solo riferimenti a quanto dettole dalla Duchessa
Battyàny.
“Mi
credete Conte? Almeno voi?”
“Certo
che sì. Eravamo entrambi concordi nel
ritenere che Von Webb fosse la mente di questo complotto. Ma non
comprendo la
vostra ritrosia nel nominare la Duchessa al cospetto dell’Imperatore.”
“Le
ho fatto una promessa: non l’avrei nominata
per evitarle l’ira di Von Webb e mantenere al sicuro la figlia Emma che
vive a
Buda.”
“Capisco.”
“Dobbiamo
fare qualcosa, Conte. Sono ormai del
tutto sicura che al ballo accadrà qualcosa di terribile
all’Imperatrice.”
“Sorveglieremo
il più strettamente possibile
Sua Maestà e ordinerò a Robert di essere l’ombra di Von Webb. Io mi
mischierò
alla folla degli invitati per individuare qualche eventuale complice e
voi…”
“Mi
vedrete al fianco di Sua Maestà per tutta
la serata.”
“Ah”
sussurrò lui. Si rese conto che per un
attimo, nella follia del suo amore per lei, aveva sperato di poterla
stringere
ancora fra le braccia per condurla in un lento e romantico valzer… ma
le sue parole
avevano troncato sul nascere questo desiderio.
“Dobbiamo
dimostrare all’Imperatore che tutto
ciò che gli ho rivelato è vero. Ne va della vita dell’Imperatrice e
della
stabilità dell’Impero” disse Lady Sarah completamente presa dalla sua
missione.
Lui,
invece, non riusciva a concentrarsi solo
sul loro incarico. Continuava a pensare a lei, nonostante la sofferenza
che
stava provando all’idea che lei fosse stata tra le braccia di un altro
uomo.
Continuava a domandarsi com’era possibile che avesse scordato il loro
bacio…
La
dama fece per lasciare la biblioteca.
“Dove
andate?” le chiese il Conte.
“A
cambiarmi d’abito. È quasi ora di pranzo e
l’Imperatrice ha deciso che oggi vuole pranzare con me sola per
discutere degli
ultimi dettagli” rispose.
“Milady,
è la verità ciò che mi avete detto in
presenza dell’Imperatore? Avete davvero condotto solo delle indagini
interrogando il personale della Duchessa e del Conte?” chiese con uno
sguardo
che non lasciava scampo.
Lei
si adirò: “Conte, come osate mettere ancora
in dubbio la mia parola?” esclamò stizzita. André le leggeva dentro
come un
libro aperto e si conoscevano da nemmeno tre mesi! Percepiva il
sospetto nella
sua domanda e l’altra domanda, quella nascosta che vi si celava sotto.
“Non
ho fatto nulla di più di quello che
richiedesse il dovere e l’adempimento del mio incarico e nulla di meno
di
quanto richiestomi” replicò e uscì.
Una
volta fuori corse nelle sue stanze: voleva
mettere quanta più distanza possibile tra lei e quello sguardo che le
scavava
l’anima. C’era mancato poco che gli raccontasse tutto.
Si
spogliò e buttò l’abito a terra con stizza.
Odiava
André François D’Harmòn. Ma lo amava
anche, ancorché non fosse disposta ad ammetterlo con chicchessia.