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Autore: Alexandra e Mac    27/05/2012    3 recensioni
La storia, quella con la “S” maiuscola, a volte riserva grandi sorprese. Fra le pieghe di un libro può capitare di trovare le cose più strane, o fra le sue righe captare qualcosa che non è detto esplicitamente ma che è volutamente lasciato intuire dall’autore o dall’autrice.
Sono specialmente le biografie del “grandi” quelle che riservano le maggiori meraviglie, e occorre un occhio attento per saper cogliere quello che, in superficie, non compare.
Questo racconto è nato così, cercando i messaggi nascosti che la Storia ha disseminato lungo il suo cammino e che alcuni più perspicaci hanno saputo cogliere e che hanno poi elaborato offrendoli al lettore.
Siamo certe che adesso anche voi cercherete fra il detto e il non detto di un volume quella zona grigia che vi spalancherà le porte di un altro mondo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XXI

La Festa di Natale




“L’Imperatrice ha stupito tutti con questo ballo” mormorò da dietro il ventaglio una dama ad un’altra che le rispose annuendo distratta troppo presa com’era ad ammirare le decorazioni che addobbavano il salone.

Le colonne erano percorse da mille fili di minuscole lampadine bianche che arrivavano ai capitelli e proseguivano sino al soffitto. Alla sommità delle colonne le lucine si intrecciavano a frasche di pino odorose decorate con fiocchi di raso rosso e dorato, gli stessi che si ritrovavano sul maestoso albero di Natale fatto arrivare appositamente dal Tirolo, dietro suggerimento di Lady Sarah.

Quest’ultimo era sontuosamente decorato, anche se con pochi barocchismi: forme di cristallo di Boemia pendevano dai suoi rami riflettendo la luce dei lampadari e componendola nei colori dell’arcobaleno, mentre i festoni disposti ad arte si intrecciavano ai suoi rami di un verde scuro ed intenso. Completava l’opera un puntale di cristallo adornato di pietre dure. Ai suoi piedi un enorme cesto di vimini colmo di regali di tutte le fogge e le dimensioni, e accanto un bellissimo presepe di ceramica di squisita fattura.

Le dame sfoggiavano le loro toilettes più eleganti e sontuose, alcune di esse, nel tentativo di apparire più giovani erano quasi ridicole, strizzate in busti allacciati così strettamente da impedire qualsiasi movimento, respiro compreso, imbellettate nel (vano) esperimento di fermare il tempo inesorabile e le rughe. Sembravano marionette incartapecorite, ma tutti i loro sforzi non potevano eguagliare la bellezza e soprattutto la giovinezza dell’Imperatrice cui volevano tanto somigliare.

Elisabetta fece il suo ingresso al braccio dell’Imperatore e scortata da una guardia d’onore, ufficialmente per festeggiare il suo genetliaco, ufficiosamente per garantirne l’incolumità. Era bellissima e radiosa nell’abito da sera bianco, il cui davanti era preziosamente ricamato con brillanti così fini da sembrare intessuti nella stoffa stessa. Per la prima volta da settimane sul suo viso era comparso il sorriso e quell’ombra scura che le velava lo sguardo era svanita.

Lady Sarah era al suo fianco, sebbene un poco discosta. Non l’aveva lasciata sola per un minuto, salvo il tempo di prepararsi per il ballo, ma durante quelle tre ore c’era stata la fedele Mathilda a vegliare sull’alveare di cameriere che aiutavano l’Imperatrice a vestirsi. Scrutava con occhi guardinghi la folla degli invitati per cercare fra di essi un atteggiamento, uno sguardo, un cenno sospetto.

Anche l’Imperatore era sul “chi va là” nonostante non avesse voluto prestare fede alle parole di Milady. Nondimeno aveva rinforzato il già di norma imponente servizio d’ordine: le voci su un attentato erano troppo pericolose per ignorarle del tutto. Tuttavia tutto appariva esattamente come era: una festa con ospiti illustri in onore del Natale e del genetliaco dell’Imperatrice che cadeva proprio quel giorno, il 24 Dicembre.

Man mano che il tempo passava nulla accadeva; Lady Sarah, pur stando sempre all’erta, cominciò a rilassarsi. Stava chiacchierando, comunque a poca distanza da Elisabetta, con la sorella di quest’ultima, Elena Turn und Taxis, quando notò con la coda dell’occhio l’alta figura del Conte Von Webb che fendeva la folla nella sua direzione.

Sul volto un sorriso laido.

Lady Sarah avrebbe voluto sganciarsi dalla conversazione, ma sarebbe stato un gesto di scortesia nei confronti della Principessa Turn und Taxis, per cui restò mentre il Conte bavarese si avvicinava sempre di più.

Mesdames” si inchinò, “desolato di dover interrompere la vostra conversazione ma avrei necessità di conferire con la Baronessa de Bellegarde” disse compitamente.

“Ma certo, Conte” replicò Elena allontanandosi verso la madre che si intratteneva più in là con la sorella, la Regina di Prussia.

“Cosa posso fare per voi?” chiese Lady Sarah.

“Gradirei sapere il perché di un tale dispiego di forze dell’ordine dentro e fuori dal palazzo” domandò con aria da inquisitore spagnolo il bavarese.

“Non sono la persona giusta cui domandarlo” rispose la dama, “è stato l’Imperatore a disporre in tal senso. Teme che qualcuno possa attentare alla vita dell’Imperatrice proprio stasera” terminò fissandolo negli occhi.

Il nobile non fece un plissé ma osservò piuttosto con fare allusivo: “Vi trovo diversa da qualche giorno fa…”.

Milady non seppe trattenere un moto di repulsione che fortunatamente il suo interlocutore non mostrò di notare.

“Siamo in pubblico” rispose con occhi che mandavano lampi e che Von Webb scambiò per una manifestazione di passione a stento repressa.

“Certo mia adorata. Spero di rivedervi presto, vorrei stasera stessa, ma è presente mia moglie.”

Lady Sarah stette al gioco sperando così di toglierselo di torno: “Ci vedremo quanto prima” e si allontanò.

Lontano, non visto, D’Harmòn aveva occhieggiato il breve scambio tra i due e la sensazione che qualcosa fosse accaduto fra di loro ne uscì rafforzata. Tuttavia reputò che non fosse il momento di recarsi da Milady, quindi preferì tenere sott’occhio un cameriere che si muoveva con fare circospetto. Già in un paio di occasioni aveva tentato di avvicinarsi alla sovrana e lui era stato sul punto di intervenire per fermarlo con discrezione, ma con fermezza. Però, quasi per un ripensamento, il cameriere aveva desistito. André aveva cercato fra la folla il Conte Von Webb, nel caso fosse intercorso un qualsiasi cenno fra i due, ma in entrambe le occasioni non l’aveva scorto: o non era presente oppure era altrove, lontano dal suo sguardo.

Stavano per cominciare i balli e l’orchestra stava accordando gli strumenti. Per il momento poteva stare tranquillo, l’Imperatore aveva prenotato l’intero carnet della consorte, ma al brindisi all’Imperatrice avrebbe nuovamente dovuto tenere gli occhi aperti.

Ora i suoi pensieri correvano in direzione di Lady Sarah: nonostante i suoi dubbi, smaniava di aver ancora fra le braccia il corpo morbido e profumato di Milady, e dopo che la coppia imperiale ebbe aperto le danze, non resistette un minuto di più. Non appena le dolci note di un valzer si sparsero per la sala, si diresse verso di lei, ma quale fu la sua delusione non appena la vide accettare l’invito del Maresciallo Radetzky.

Era innamorato di lei, ormai ne era certo, e avrebbe desiderato condurla via e portarla in Francia, a Chateau D’Igne, per farla conoscere ai suoi genitori e poi, dopo un consono periodo di fidanzamento, condurla all’altare e farla sua per sempre.

Se la Contessa Patricia Von Raab della casata dei D’Harmòn avesse potuto udire i pensieri del figlio, ne sarebbe stata oltremodo lieta. Da tempo, infatti, nelle sue lettere gli ricordava che il padre stava invecchiando e che non possedeva più l’energia della giovinezza e che era ora che lui, André, mettesse la testa a posto, trovasse una brava fanciulla di buona famiglia, nobile s’intendeva, e la sposasse.

Ebbene, madre” pensò, “ho finalmente trovato la donna giusta per me. Ma quanto è difficile conquistarne il cuore!

Non visto la osservava volteggiare leggera fra le braccia del Maresciallo come una nuvola rosa pallido e immaginava di sentirla muovere fra le sue di braccia. Morbida, profumata, desiderabile…

Il valzer terminò e Milady, dopo aver ringraziato il suo cavaliere, si diresse verso una delle salette adiacenti per sedere e riprendere un poco di fiato. Per tutta la durata del ballo si era sentita osservata come una cavia da laboratorio, ma non era riuscita a capire da dove provenisse, e soprattutto da chi provenisse, quello sguardo insistente. Poteva immaginarlo del resto… Von Webb era stato molto esplicito anche poco prima. Ma il suo cuore le diceva che non era il Conte bavarese ad osservarla, bensì due occhi chiari che non la lasciavano mai, anche nei suoi sogni.

André la vide andare verso la saletta e la raggiunse.

“Milady” esordì non appena arrivato appoggiandosi con nonchalance allo stipite della porta, “state facendo strage di cuori questa sera.”

“Voi mi adulate troppo, Conte” rispose facendosi aria con il ventaglio.

“Vi state divertendo? Con così tanti corteggiatori sarebbe impossibile non divertirsi…”

“Anche voi Conte siete stato attorniato da donne che non facevano altro che mangiarvi con gli occhi” replicò con aria birichina lei.

André non rispose, si staccò dallo stipite e si sedette accanto a lei.

“Quello che fate è altamente sconveniente.”

“E da quando in qua vi importa di ciò che è conveniente e di ciò che non lo è?” chiese maliziosamente lui.

“Da quando ho assunto questo incarico e mi sono calata nella parte della Baronessa de Bellegarde.”

“Però quando abbiamo cavalcato insieme…”

Lei lo interruppe imperiosa: “Scordate quella cavalcata Conte e ricordatevi della promessa che mi faceste”.

“Vi dissi anche che non potevo promettervi che non sarebbe accaduto nuovamente…”

A Lady Sarah mancò il fiato e non per colpa dell’odiato busto. Non aveva scordato quel bacio, anche se aveva fatto di tutto per riuscirvi, le mani di lui che affondavano nella sua capigliatura, il sapore delle labbra di André sulle sue e lo sconvolgimento dei sensi che tutto ciò le aveva causato. Da quel mattino, inconsciamente, aveva desiderato che lui la baciasse di nuovo, che la accarezzasse, ma la sua parte più razionale aveva soffocato il desiderio sul nascere.

Ora che poteva di nuovo specchiarsi in quegli occhi chiari, sentiva che qualcosa la stava trascinando via con forza impetuosa. Aveva paura di quel qualcosa perché sapeva che l’avrebbe portata alla rinuncia della sua libertà, nondimeno, al contempo, ne era attratta, forse perché non l’aveva mai assaporato, forse perché non aveva mai bevuto alla fonte dolce-amara dell’amore… l’aveva sempre rifiutato perché recava solo dolore e sventura. Ed invece eccolo arrivare alla carica con le sembianze di questo francese bello come Narciso. Ma Sarah non voleva arrendersi, non si sarebbe arresa, non prima di aver combattuto e di aver venduto cara la pelle e non prima di aver riabilitato il nome del padre e della sua famiglia.

“Siete così bella, Milady” stava dicendole in un sussurro il Conte D’Harmòn, “che qualunque uomo con un po’ di senno farebbe carte false per poter avere in regalo anche uno solo dei vostri sguardi.”

La guardava e in quello sguardo lei vi lesse una tale passione ed un sentimento così forte che le tremarono le gambe e si spaventò ancor di più. Provò l’irresistibile impulso di scappare via, ma qualcosa la trattenne.

“E voi siete un uomo di senno Conte?”

“No” rispose lui e la baciò.

Lady Sarah non ebbe il tempo di reagire. Un momento prima André era seduto accanto a lei ma a rispettosa distanza, ed ora la stava baciando. Chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla corrente e respirò il profumo di lui, assaporò le sue labbra che si schiudevano per lei e godette della sensazione della sua mano sul proprio collo.

Ma fu un attimo. Immediatamente la sua parte razionale prese nuovamente il sopravvento e Lady Sarah si staccò bruscamente.

“Come osate approfittare di me in questo modo!” esclamò offesa. Fece per alzare la mano e schiaffeggiarlo, ma lui le bloccò il polso con presa sicura e impedì che lo schiaffo giungesse a destinazione.

“Non mi approfitto di voi. E se l’ho fatto non mi sono spinto così in là come il Conte Von Webb” le disse mentre un’ombra cupa gli scuriva gli occhi che ora assomigliavano ad un oceano in tempesta.

Lady Sarah si alzò di scatto e fece per allontanarsi, ma André la trattenne ancora per il polso guantato di bianco, mentre una muta domanda prendeva forma nell’aria. Nel salone, intanto, l’orchestra aveva intonato una canzone di augurio per il genetliaco dell'Imperatrice e a breve ci sarebbe stato il brindisi. Doveva esserci.

“Lasciatemi, Conte” lo fulminò sibilando inviperita. “Qualunque cosa abbiate in animo di chiedermi non otterrà né risposta né soddisfazione” e con uno strattone si liberò della presa.

Lui la seguì e giunsero nel salone dei ricevimenti proprio nel momento in cui gli invitati stavano levando i calici per un brindisi in onore della sovrana che sorrideva loro felice, accanto all’Imperatore, dal palchetto eretto vicino all’albero. Infatti, dopo gli auguri, le Loro Maestà avrebbero personalmente consegnato i doni di Natale agli ospiti.

Lady Sarah e D’Harmòn presero al volo due flutes colme di champagne da un cameriere e si unirono al brindisi.

Lei sperava che quell’indagine si sarebbe risolta al più presto, non ne poteva più della Corte viennese, non ne poteva più del suo ridicolo protocollo, e soprattutto non ne poteva più del Conte D’Harmòn. Le aveva complicato l’esistenza, di per sé già non semplice, e desiderava soltanto andare il più lontano possibile da lui, tornare alla tranquillità del castello di Beaulieu e correre con il suo cavallo preferito per l’ampia campagna inglese fino a perdere la cognizione del tempo e dimenticare quel francese dagli occhi di mare.

Era tempo di porre termine a tutto.

André guardava di sottecchi la dama che gli aveva fatto perdere la testa. Riconosceva di aver sbagliato baciandola a quel modo: non era questo il modo in cui avrebbe avuto accesso al cuore di Lady Sarah, ma l’impulso era stato troppo forte. Voleva imprimere un segno su quelle labbra morbide e profumate di vaniglia, voleva impossessarsene anche se per un breve, ma intenso, momento. E poi la gelosia… aveva letto nelle profondità ambrate negli occhi di Milady che Von Webb aveva ottenuto molto di più di quello che lei aveva detto. Era stato un attimo, ma quell’ombra di disgusto che si era materializzata e poi era svanita in un amen, era stata un segnale chiaro ed inequivocabile. Ma come aveva potuto? Come aveva…

Un grido interruppe il filo dei suoi pensieri e vide che, poco distante dall’Imperatrice, uno degli invitati si accasciava a terra, colto da malore. Subito si fece largo tra la folla e in men che non si dica era giunto accanto ai sovrani, seguito a ruota da Lady Sarah con il terrore dipinto sul viso.

A terra l’uomo si contorceva negli spasmi del dolore, le mani rattrappite stringevano il petto e il viso era contratto in una smorfia orrorifica.

Elisabetta fissava con orrore la flute di champagne a terra spezzata a metà dello stelo e Lady Sarah, mentre André soccorreva il poveretto, seguì lo sguardo della sovrana ed impallidì.

Si chinò e raccolse da terra il calice di vetro e lo mostrò all’Imperatore dopo averlo odorato.

La folla degli invitati si era raccolta in un silenzio carico di aspettativa e di interrogativi. L’orchestra aveva cessato di suonare.

“Maestà” disse mentre l’uomo veniva portato via agonizzante su una barella dall’archiatra di Corte, “Maestà, questo bicchiere odora di mandorle amare e c’è il monogramma dell’Imperatrice…”

Un mormorio stupito si diffuse nella sala.

La madre e la sorella di Sissi le erano accanto atterrite, mentre questa si appoggiava al consorte per non accasciarsi.

“Qualcuno ha attentato alla vita dell’Imperatrice” disse D’Harmòn con voce chiara in modo che tutti i presenti lo potessero udire, “e voi conoscete il nome del responsabile, Maestà.”

Francesco Giuseppe, cui il sangue era defluito completamente dal viso, ma che non aveva perso la calma, ordinò che tutte le porte del salone fossero chiuse e che nessuno uscisse fino a nuovo ordine.

“Maestà” intervenne Lady Sarah, “il responsabile se ne è già andato, non serve a nulla trattenere i vostri ospiti. L’ho visto allontanarsi poco prima dell’incidente.”

Ed era vero, nella frazione di secondo che aveva preceduto il malore improvviso dell’ospite che aveva bevuto la coppa avvelenata al posto dell’Imperatrice, aveva potuto notare, seppure di sfuggita, il Conte Von Webb che, preso da una strana fretta,  usciva dal salone con la moglie sottobraccio e un servitore al fianco.

Le porte non vennero quindi chiuse e la folla degli invitati sciamò fuori.

Immediatamente l’Imperatore, mentre Sissi veniva accompagnata nelle sue stanze pallida e provata, ordinò che il Conte Von Webb fosse ricercato e condotto immediatamente alla sua presenza.

 

 

  
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