Capitolo XXI
La Festa di Natale
“L’Imperatrice
ha stupito tutti con questo
ballo” mormorò da dietro il ventaglio una dama ad un’altra che le
rispose
annuendo distratta troppo presa com’era ad ammirare le decorazioni che
addobbavano il salone.
Le
colonne erano percorse da mille fili di
minuscole lampadine bianche che arrivavano ai capitelli e proseguivano
sino al
soffitto. Alla sommità delle colonne le lucine si intrecciavano a
frasche di
pino odorose decorate con fiocchi di raso rosso e dorato, gli stessi
che si
ritrovavano sul maestoso albero di Natale fatto arrivare appositamente
dal
Tirolo, dietro suggerimento di Lady Sarah.
Quest’ultimo
era sontuosamente decorato, anche
se con pochi barocchismi: forme di cristallo di Boemia pendevano dai
suoi rami
riflettendo la luce dei lampadari e componendola nei colori
dell’arcobaleno,
mentre i festoni disposti ad arte si intrecciavano ai suoi rami di un
verde
scuro ed intenso. Completava l’opera un puntale di cristallo adornato
di pietre
dure. Ai suoi piedi un enorme cesto di vimini colmo di regali di tutte
le fogge
e le dimensioni, e accanto un bellissimo presepe di ceramica di
squisita
fattura.
Le
dame sfoggiavano le loro toilettes
più
eleganti e sontuose, alcune di esse, nel tentativo di apparire più
giovani erano
quasi ridicole, strizzate in busti allacciati così strettamente da
impedire
qualsiasi movimento, respiro compreso, imbellettate nel (vano)
esperimento di
fermare il tempo inesorabile e le rughe. Sembravano marionette
incartapecorite,
ma tutti i loro sforzi non potevano eguagliare la bellezza e
soprattutto la
giovinezza dell’Imperatrice cui volevano tanto somigliare.
Elisabetta
fece il suo ingresso al braccio
dell’Imperatore e scortata da una guardia d’onore, ufficialmente per
festeggiare il suo genetliaco, ufficiosamente per garantirne
l’incolumità. Era
bellissima e radiosa nell’abito da sera bianco, il cui davanti era
preziosamente ricamato con brillanti così fini da sembrare intessuti
nella
stoffa stessa. Per la prima volta da settimane sul suo viso era
comparso il
sorriso e quell’ombra scura che le velava lo sguardo era svanita.
Lady
Sarah era al suo fianco, sebbene un poco
discosta. Non l’aveva lasciata sola per un minuto, salvo il tempo di
prepararsi
per il ballo, ma durante quelle tre ore c’era stata la fedele Mathilda
a
vegliare sull’alveare di cameriere che aiutavano l’Imperatrice a
vestirsi.
Scrutava con occhi guardinghi la folla degli invitati per cercare fra
di essi
un atteggiamento, uno sguardo, un cenno sospetto.
Anche
l’Imperatore era sul “chi
va là”
nonostante non avesse voluto prestare fede alle parole di Milady.
Nondimeno
aveva rinforzato il già di norma imponente servizio d’ordine: le voci
su un
attentato erano troppo pericolose per ignorarle del tutto. Tuttavia
tutto
appariva esattamente come era: una festa con ospiti illustri in onore
del
Natale e del genetliaco dell’Imperatrice che cadeva proprio quel
giorno, il 24
Dicembre.
Man
mano che il tempo passava nulla accadeva;
Lady Sarah, pur stando sempre all’erta, cominciò a rilassarsi. Stava
chiacchierando,
comunque a poca distanza da Elisabetta, con la sorella di quest’ultima,
Elena
Turn und Taxis, quando notò con la coda dell’occhio l’alta figura del
Conte Von
Webb che fendeva la folla nella sua direzione.
Sul
volto un sorriso laido.
Lady
Sarah avrebbe voluto sganciarsi dalla
conversazione, ma sarebbe stato un gesto di scortesia nei confronti
della
Principessa Turn und Taxis, per cui restò mentre il Conte bavarese si
avvicinava sempre di più.
“Mesdames” si
inchinò, “desolato di dover
interrompere la vostra conversazione ma avrei necessità di conferire
con la
Baronessa de Bellegarde” disse compitamente.
“Ma
certo, Conte” replicò Elena allontanandosi
verso la madre che si intratteneva più in là con la sorella, la Regina
di
Prussia.
“Cosa
posso fare per voi?” chiese Lady Sarah.
“Gradirei
sapere il perché di un tale dispiego
di forze dell’ordine dentro e fuori dal palazzo” domandò con aria da
inquisitore spagnolo il bavarese.
“Non
sono la persona giusta cui domandarlo”
rispose la dama, “è stato l’Imperatore a disporre in tal senso. Teme
che
qualcuno possa attentare alla vita dell’Imperatrice proprio stasera”
terminò
fissandolo negli occhi.
Il
nobile non fece un plissé
ma osservò
piuttosto con fare allusivo: “Vi trovo diversa da qualche giorno fa…”.
Milady
non seppe trattenere un moto di
repulsione che fortunatamente il suo interlocutore non mostrò di notare.
“Siamo
in pubblico” rispose con occhi che
mandavano lampi e che Von Webb scambiò per una manifestazione di
passione a
stento repressa.
“Certo
mia adorata. Spero di rivedervi presto,
vorrei stasera stessa, ma è presente mia moglie.”
Lady
Sarah stette al gioco sperando così di
toglierselo di torno: “Ci vedremo quanto prima” e si allontanò.
Lontano,
non visto, D’Harmòn aveva occhieggiato
il breve scambio tra i due e la sensazione che qualcosa fosse accaduto
fra di
loro ne uscì rafforzata. Tuttavia reputò che non fosse il momento di
recarsi da
Milady, quindi preferì tenere sott’occhio un cameriere che si muoveva
con fare
circospetto. Già in un paio di occasioni aveva tentato di avvicinarsi
alla
sovrana e lui era stato sul punto di intervenire per fermarlo con
discrezione,
ma con fermezza. Però, quasi per un ripensamento, il cameriere aveva
desistito.
André aveva cercato fra la folla il Conte Von Webb, nel caso fosse
intercorso
un qualsiasi cenno fra i due, ma in entrambe le occasioni non l’aveva
scorto: o
non era presente oppure era altrove, lontano dal suo sguardo.
Stavano
per cominciare i balli e l’orchestra
stava accordando gli strumenti. Per il momento poteva stare tranquillo,
l’Imperatore aveva prenotato l’intero carnet della
consorte, ma al brindisi
all’Imperatrice avrebbe nuovamente dovuto tenere gli occhi aperti.
Ora
i suoi pensieri correvano in direzione di
Lady Sarah: nonostante i suoi dubbi, smaniava di aver ancora fra le
braccia il
corpo morbido e profumato di Milady, e dopo che la coppia imperiale
ebbe aperto
le danze, non resistette un minuto di più. Non appena le dolci note di
un
valzer si sparsero per la sala, si diresse verso di lei, ma quale fu la
sua
delusione non appena la vide accettare l’invito del Maresciallo
Radetzky.
Era
innamorato di lei, ormai ne era certo, e
avrebbe desiderato condurla via e portarla in Francia, a Chateau
D’Igne, per
farla conoscere ai suoi genitori e poi, dopo un consono periodo di
fidanzamento, condurla all’altare e farla sua per sempre.
Se
la Contessa Patricia Von Raab della casata
dei D’Harmòn avesse potuto udire i pensieri del figlio, ne sarebbe
stata
oltremodo lieta. Da tempo, infatti, nelle sue lettere gli ricordava che
il
padre stava invecchiando e che non possedeva più l’energia della
giovinezza e
che era ora che lui, André, mettesse la testa a posto, trovasse una
brava
fanciulla di buona famiglia, nobile s’intendeva, e la sposasse.
“Ebbene, madre”
pensò, “ho finalmente
trovato
la donna giusta per me. Ma quanto è difficile conquistarne il cuore!”
Non
visto la osservava volteggiare leggera fra
le braccia del Maresciallo come una nuvola rosa pallido e immaginava di
sentirla muovere fra le sue di braccia. Morbida, profumata,
desiderabile…
Il
valzer terminò e Milady, dopo aver
ringraziato il suo cavaliere, si diresse verso una delle salette
adiacenti per
sedere e riprendere un poco di fiato. Per tutta la durata del ballo si
era
sentita osservata come una cavia da laboratorio, ma non era riuscita a
capire
da dove provenisse, e soprattutto da chi provenisse, quello sguardo
insistente.
Poteva immaginarlo del resto… Von Webb era stato molto esplicito anche
poco
prima. Ma il suo cuore le diceva che non era il Conte bavarese ad
osservarla,
bensì due occhi chiari che non la lasciavano mai, anche nei suoi sogni.
André
la vide andare verso la saletta e la
raggiunse.
“Milady”
esordì non appena arrivato
appoggiandosi con nonchalance
allo stipite della porta, “state facendo strage
di cuori questa sera.”
“Voi
mi adulate troppo, Conte” rispose
facendosi aria con il ventaglio.
“Vi
state divertendo? Con così tanti
corteggiatori sarebbe impossibile non divertirsi…”
“Anche
voi Conte siete stato attorniato da
donne che non facevano altro che mangiarvi con gli occhi” replicò con
aria
birichina lei.
André
non rispose, si staccò dallo stipite e si
sedette accanto a lei.
“Quello
che fate è altamente sconveniente.”
“E
da quando in qua vi importa di ciò che è
conveniente e di ciò che non lo è?” chiese maliziosamente lui.
“Da
quando ho assunto questo incarico e mi sono
calata nella parte della Baronessa de Bellegarde.”
“Però
quando abbiamo cavalcato insieme…”
Lei
lo interruppe imperiosa: “Scordate quella
cavalcata Conte e ricordatevi della promessa che mi faceste”.
“Vi
dissi anche che non potevo promettervi che
non sarebbe accaduto nuovamente…”
A
Lady Sarah mancò il fiato e non per colpa
dell’odiato busto. Non aveva scordato quel bacio, anche se aveva fatto
di tutto
per riuscirvi, le mani di lui che affondavano nella sua capigliatura,
il sapore
delle labbra di André sulle sue e lo sconvolgimento dei sensi che tutto
ciò le
aveva causato. Da quel mattino, inconsciamente, aveva desiderato che
lui la
baciasse di nuovo, che la accarezzasse, ma la sua parte più razionale
aveva
soffocato il desiderio sul nascere.
Ora
che poteva di nuovo specchiarsi in quegli
occhi chiari, sentiva che qualcosa la stava trascinando via con forza
impetuosa. Aveva paura di quel qualcosa perché sapeva che l’avrebbe
portata alla
rinuncia della sua libertà, nondimeno, al contempo, ne era attratta,
forse
perché non l’aveva mai assaporato, forse perché non aveva mai bevuto
alla fonte
dolce-amara dell’amore… l’aveva sempre rifiutato perché recava solo
dolore e
sventura. Ed invece eccolo arrivare alla carica con le sembianze di
questo
francese bello come Narciso. Ma Sarah non voleva arrendersi, non si
sarebbe
arresa, non prima di aver combattuto e di aver venduto cara la pelle e
non
prima di aver riabilitato il nome del padre e della sua famiglia.
“Siete
così bella, Milady” stava dicendole in
un sussurro il Conte D’Harmòn, “che qualunque uomo con un po’ di senno
farebbe
carte false per poter avere in regalo anche uno solo dei vostri
sguardi.”
La
guardava e in quello sguardo lei vi lesse
una tale passione ed un sentimento così forte che le tremarono le gambe
e si
spaventò ancor di più. Provò l’irresistibile impulso di scappare via,
ma
qualcosa la trattenne.
“E
voi siete un uomo di senno Conte?”
“No”
rispose lui e la baciò.
Lady
Sarah non ebbe il tempo di reagire. Un
momento prima André era seduto accanto a lei ma a rispettosa distanza,
ed ora
la stava baciando. Chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla corrente e
respirò
il profumo di lui, assaporò le sue labbra che si schiudevano per lei e
godette
della sensazione della sua mano sul proprio collo.
Ma
fu un attimo. Immediatamente la sua parte
razionale prese nuovamente il sopravvento e Lady Sarah si staccò
bruscamente.
“Come
osate approfittare di me in questo modo!”
esclamò offesa. Fece per alzare la mano e schiaffeggiarlo, ma lui le
bloccò il
polso con presa sicura e impedì che lo schiaffo giungesse a
destinazione.
“Non
mi approfitto di voi. E se l’ho fatto non
mi sono spinto così in là come il Conte Von Webb” le disse mentre
un’ombra cupa
gli scuriva gli occhi che ora assomigliavano ad un oceano in tempesta.
Lady
Sarah si alzò di scatto e fece per
allontanarsi, ma André la trattenne ancora per il polso guantato di
bianco,
mentre una muta domanda prendeva forma nell’aria. Nel salone, intanto,
l’orchestra aveva intonato una canzone di augurio per il genetliaco
dell'Imperatrice e a breve ci sarebbe stato il brindisi. Doveva esserci.
“Lasciatemi,
Conte” lo fulminò sibilando
inviperita. “Qualunque cosa abbiate in animo di chiedermi non otterrà
né
risposta né soddisfazione” e con uno strattone si liberò della presa.
Lui
la seguì e giunsero nel salone dei
ricevimenti proprio nel momento in cui gli invitati stavano levando i
calici
per un brindisi in onore della sovrana che sorrideva loro felice,
accanto
all’Imperatore, dal palchetto eretto vicino all’albero. Infatti, dopo
gli
auguri, le Loro Maestà avrebbero personalmente consegnato i doni di
Natale agli
ospiti.
Lady
Sarah e D’Harmòn presero al volo due flutes
colme di champagne
da un cameriere e si unirono al brindisi.
Lei
sperava che quell’indagine si sarebbe
risolta al più presto, non ne poteva più della Corte viennese, non ne
poteva
più del suo ridicolo protocollo, e soprattutto non ne poteva più del
Conte
D’Harmòn. Le aveva complicato l’esistenza, di per sé già non semplice,
e
desiderava soltanto andare il più lontano possibile da lui, tornare
alla
tranquillità del castello di Beaulieu e correre con il suo cavallo
preferito
per l’ampia campagna inglese fino a perdere la cognizione del tempo e
dimenticare
quel francese dagli occhi di mare.
Era
tempo di porre termine a tutto.
André
guardava di sottecchi la dama che gli
aveva fatto perdere la testa. Riconosceva di aver sbagliato baciandola
a quel
modo: non era questo il modo in cui avrebbe avuto accesso al cuore di
Lady
Sarah, ma l’impulso era stato troppo forte. Voleva imprimere un segno
su quelle
labbra morbide e profumate di vaniglia, voleva impossessarsene anche se
per un
breve, ma intenso, momento. E poi la gelosia… aveva letto nelle
profondità
ambrate negli occhi di Milady che Von Webb aveva ottenuto molto di più
di
quello che lei aveva detto. Era stato un attimo, ma quell’ombra di
disgusto che
si era materializzata e poi era svanita in un amen, era stata un
segnale chiaro
ed inequivocabile. Ma come aveva potuto? Come aveva…
Un
grido interruppe il filo dei suoi pensieri e
vide che, poco distante dall’Imperatrice, uno degli invitati si
accasciava a
terra, colto da malore. Subito si fece largo tra la folla e in men che
non si
dica era giunto accanto ai sovrani, seguito a ruota da Lady Sarah con
il
terrore dipinto sul viso.
A
terra l’uomo si contorceva negli spasmi del
dolore, le mani rattrappite stringevano il petto e il viso era
contratto in una
smorfia orrorifica.
Elisabetta
fissava con orrore la flute
di
champagne a
terra spezzata a metà dello stelo e Lady Sarah, mentre André
soccorreva il poveretto, seguì lo sguardo della sovrana ed impallidì.
Si
chinò e raccolse da terra il calice di vetro
e lo mostrò all’Imperatore dopo averlo odorato.
La
folla degli invitati si era raccolta in un
silenzio carico di aspettativa e di interrogativi. L’orchestra aveva
cessato di
suonare.
“Maestà”
disse mentre l’uomo veniva portato via
agonizzante su una barella dall’archiatra di Corte, “Maestà, questo
bicchiere odora
di mandorle amare e c’è il monogramma dell’Imperatrice…”
Un
mormorio stupito si diffuse nella sala.
La
madre e la sorella di Sissi le erano accanto
atterrite, mentre questa si appoggiava al consorte per non accasciarsi.
“Qualcuno
ha attentato alla vita
dell’Imperatrice” disse D’Harmòn con voce chiara in modo che tutti i
presenti
lo potessero udire, “e voi conoscete il nome del responsabile, Maestà.”
Francesco
Giuseppe, cui il sangue era defluito
completamente dal viso, ma che non aveva perso la calma, ordinò che
tutte le
porte del salone fossero chiuse e che nessuno uscisse fino a nuovo
ordine.
“Maestà”
intervenne Lady Sarah, “il
responsabile se ne è già andato, non serve a nulla trattenere i vostri
ospiti.
L’ho visto allontanarsi poco prima dell’incidente.”
Ed
era vero, nella frazione di secondo che
aveva preceduto il malore improvviso dell’ospite che aveva bevuto la
coppa
avvelenata al posto dell’Imperatrice, aveva potuto notare, seppure di
sfuggita,
il Conte Von Webb che, preso da una strana fretta,
usciva dal salone con la moglie sottobraccio
e un servitore al fianco.
Le
porte non vennero quindi chiuse e la folla
degli invitati sciamò fuori.
Immediatamente
l’Imperatore, mentre Sissi
veniva accompagnata nelle sue stanze pallida e provata, ordinò che il
Conte Von
Webb fosse ricercato e condotto immediatamente alla sua presenza.