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Autore: adamantina    29/05/2012    1 recensioni
Sono passati tre anni da quando Vanessa, Damien, Lily, Charlotte, Blake, Arthur e Jonathan si sono separati con l’intenzione di tornare alla loro vita normale. Ma cosa significa normale per chi è dotato di poteri che potrebbero cambiare il mondo? Blake non si è arreso e continua a lottare. Ma anche chi ha da tempo rinunciato a combattere per un mondo più giusto dovrà tornare in campo quando le persone a lui più care saranno minacciate …
«Non puoi biasimarci per averne voluto restare fuori, Blake. Quello che tu stai facendo è fingere di essere ancora al Queen Victoria’s, e ti rifiuti di andare avanti con la tua vita. […]»
«Stavo cercando di impedire un omicidio!»
«Sei un idealista» taglio corto, incrociando le braccia. «Ammettilo, lo sei sempre stato. E credo che il tuo vero scopo sia riportare Lily sulla retta via. Ammettilo, ancora ci speri […].»
Genere: Dark, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Queen Victoria's College'
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~FRIENDS AGAIN~

 

[Lily]

 

Corro il più velocemente che posso, gli occhi fissi sulla sagoma davanti a me, seguendo i suoi passi.

Il buio è quasi totale, eccezion fatta per la torcia che Blake, di fronte a me, tiene in mano mentre corre.

Mi sento una via di mezzo tra James Bond e Arsenio Lupin.

Ho appena scavato un tunnel sotto alla Casa Bianca. Io, Lily Bennett, potrei essere accusata di atti terroristici.

Chi l'avrebbe mai detto?

Le mie orecchie sono tese per captare ogni movimento, ma non ne percepisco nessuno. Per forza. Il tunnel scende per quasi seicento metri nelle profondità della terra, prima di dirigersi verso il centro di Washington e immettersi nel sistema fognario. Si tratta di circa due chilometri di scavo, in totale, e ho impiegato tutta la notte a completarlo, sfruttando ogni singola goccia del mio potere, in un modo che non avevo mai sperimentato prima.

L'idea è stata di Blake, che mi ha aiutata a far saltare tutto ciò che intralciava la costruzione del cunicolo. Ora, potrei descrivere la lunga notte passata con lui spalla a spalla, ma sarebbe inutilmente imbarazzante e anche noioso, visto che si è rifiutato di rivolgermi la parola, se non quando era strettamente necessario.

In ogni caso, ora siamo qui, io, Blake e Jonathan, in fuga verso l'ignoto.

Il tunnel giunge bruscamente a termine e Blake si ferma.

«Devi solo far saltare la parete di destra» dico, ansimando leggermente. «Poi saremo nelle fogne.»

«Lo so» taglia corto Blake, freddo.

Vanessa, come previsto, è rimasta indietro, e lui non l'ha presa bene. Io, in realtà, sono contenta di non averla tra i piedi.

Blake crea una spaccatura nella parete del tunnel, quindi la allarga e ci permette di entrarvi. La attraversiamo e dall'odore capisco subito che siamo sulla strada giusta.

A volte fare la cosa giusta fa davvero schifo.

 

Quando usciamo dalle fogne è l'alba. Il sole sbuca timido all'orizzonte mentre risaliamo le scale e spuntiamo fuori da un tombino.

Siamo nella periferia di Washington.

«E ora? Dove lo troviamo un tassista che ci porti in giro quando puzziamo così?» domanda Jonathan storcendo il naso.

«Per mille dollari, vedrai che lo farà» replico io con calma, aspettando di scorgere un taxi.

Come previsto, alla vista dei soldi l'autista tace e ci porta fuori città.

Il pagamento anticipato del presidente ci tornerà decisamente utile. Abbiamo intenzione di prendere un aereo per raggiungere il Canada, per poi trovare il luogo dove Charlotte, Arthur e Damien sono tenuti prigionieri e liberarli. Come questo avverrà, non lo sappiamo ancora.

Un passo alla volta.

 

In aeroporto ho finalmente la possibilità di comprare dei vestiti nuovi e di darmi una lavata nei bagni, per quanto è possibile, pur bramando una doccia vera per scacciare definitivamente l'odore disgustoso che mi è rimasto appiccicato addosso.

Il primo aereo per il Canada partirà tra circa tre ore. Nascosta dietro ad una rivista in una delle sale d'attesa, osservo di sottecchi Blake che cammina in tondo. Non può chiamare Vanessa per timore che la sua telefonata venga rintracciata, ma so che muore dalla voglia di farlo.

Non capisco perché: lei lo detesta, lui non la ama, ma si sente responsabile.

Puah.

Mi rendo vagamente conto dei livelli preoccupanti che ha raggiunto il mio cinismo, ma non me ne do troppa pena. A chi importa?

«Ehi, va tutto bene?»

Alzo lo sguardo e incrocio quello di Jonathan, che mi si è appena seduto accanto.

«Sì, certo» dico casualmente. «George Clooney è di nuovo single. Cosa posso chiedere di meglio?»

«Non mi faccio fregare da te, sai?» ribatte Jon con tranquillità. «Si vede che stai male per tutta quella storia con Blake.»

«L'unica cosa di Blake che mi fa stare male è la sua stupidità» taglio corto. «Tu, piuttosto... sei preoccupato per Charlotte, vero?»

«Certo» ammette Jon. «Nonostante quello che ha fatto, spero non le succeda nulla di male.»

«È molto più di questo» lo correggo. «Sei ancora innamorato di lei. Non importa se ti ha tradito con Art, tu l'hai già perdonata. Solo che sei troppo orgoglioso per ammetterlo. E ora hai una paura folle che le facciano del male, per questo hai accettato di andartene dalla Casa Bianca. Se fosse stato solo per Art e Damien, saresti rimasto... per i soldi.»

Jonathan si irrigidisce leggermente.

«Sai, Lily» dice a voce bassa, «Forse, se ti comportassi meno da stronza e dimostrassi di avere un cuore, ogni tanto, ti avremmo già perdonata per quello che hai fatto.»

«Primo, non ho bisogno del vostro perdono, perchè non ho fatto niente di male. Se tornassi indietro lo rifarei. Secondo, darmi della stronza perchè dico la verità non è molto maturo.»

Jon scuote la testa e se ne va.

Rimango sola e abbasso di nuovo gli occhi sulla rivista.

Complimenti, Lily. Missione “terra bruciata” perfettamente riuscita.

 

Il volo per il Canada dura poco più di un'ora, che passo a dormire, tormentata da bambini rumorosi e dalla scomodità della posizione. Avremmo anche potuto prendere dei posti in prima classe, ma gli altri non ne hanno voluto sapere. Tirchi.

In ogni caso, siamo appena usciti dall'aeroporto di Ottawa e siamo diretti, in taxi, verso la campagna circostante.

Le indicazioni di latitudine e longitudine, purtoppo, non siamo riusciti a procurarcele, ma sappiamo che la zona dove si trovano Charlie, Art e Damien è grossomodo tra Ottawa e Toronto.

In ogni caso, quando ci troviamo soli nel bel mezzo dei campi, sotto un cielo nuvoloso che minaccia pioggia, ci rendiamo conto di non avere, effettivamente, la più pallida idea di cosa fare.

Non sappiamo se il rifugio sia facilmente visibile, se sia protetto, né tantomeno cosa faremo se mai lo troveremo.

«Faccio un giro di ricognizione» annuncia Jonathan, trasformandosi in una cornacchia e sollevandosi in volo, confondendosi ben presto con quelle vere.

Io e Blake restiamo soli e cala immediatamente un silenzio imbarazzante.

«Allora» esordisco, cercando di sembrare indifferente, «Come va?»

Blake mi guarda con un sopracciglio sollevato.

«Stai davvero cercando di fare conversazione?» domanda, scettico.

Io incrocio le braccia sul petto, mettendomi sulla difensiva.

«Sì.»

«D'accordo, allora. Se proprio vuoi saperlo, mi sento da schifo per aver lasciato Vanessa da sola alla Casa Bianca, e non so cosa farei se le succedesse qualcosa. In più, sono convinto che, se anche riuscissimo a trovare il covo dei terroristi, portare in salvo Arthur, Charlotte e Damien non sarà così facile. Non è neanche detto che siano ancora vivi, e, se lo sono, non sappiamo in che condizioni. E se i terroristi li uccidessero per il nostro tentativo di salvarli?»

Blake smette di parlare e io lo guardo per un momento, colta di sorpresa da quel fiume di parole che non mi aspettavo.

«Quando una persona ti chiede come va, Blake, si aspetta che tu risponda “bene”» dico.

Blake scuote la testa.

«Sei una stronza» mi comunica.

«Dimmi qualcosa che non so.»

«Posso farlo davvero, sai.»

«Cosa?»

«Dirti qualcosa che non sai.»

«Prego, allora.»

«Quello che non sai, Lily» dice lentamente, «È che io ti volevo bene sul serio. Sono convinto che abbiamo sbagliato ad abbandonarti, perchè già allora pensavo che, nonostante tutto, avremmo dovuto darti una seconda possibilità. Capita a tutti di sbagliare. Anche quando mi hai fatto saltare in aria nel bel mezzo del deserto... sì, ti ho detestata, non ho capito la tua scelta, ma alla fine ho sempre creduto che tu potessi tornare sulla retta via.»

«Ma poi hai cambiato idea» concludo.

«È qui che ti sbagli» dice con fermezza. «Io ci credo ancora.»

«Beh, non sembra. Non è che tu mi stia rendendo le cose facili.»

«Non capisci, Lily? Sei tu quella che complica le cose! Ti chiudi a riccio ogni volta che uno di noi cerca di avvicinarsi, non pensi neanche alla possibilità di scusarti, ti comporti come se ti sentissi superiore a tutti, litighi con Vanessa e metti in crisi il suo rapporto con me... Stai facendo tutto da sola! Se solo smettessi di comportarti come una ragazzina, ti accorgeresti che l'unica che ti ostacola sei tu!»

I miei occhi sono fissi in quelli di Blake. Questo discorso mi ha colta alla sprovvista.

«Eppure» dico alla fine, «Tu hai scelto Vanessa.»

«Lei aspetta il mio bambino, Lily. Ho delle responsabilità nei suoi confronti. Non so se la amo, ma ho il dovere di restarle accanto. Non potrei mai abbandonarla. Vorresti ancora stare con me se io lo facessi?»

Chiudo gli occhi.

Vorrei che le parole di Blake non avessero senso, vorrei trovarle stupide, ma la verità è che ha ragione.

Ha maledettamente ragione.

«Mi dispiace» soffio alla fine, e lo vedo sgranare gli occhi. «Mi dispiace, Blake. Per Vahel, per Vanessa, per tutto. Mi sono comportata nel modo sbagliato, e...»

«Li ho trovati!» mi interrompe qualcuno.

Mi volto per vedere Jon, di nuovo umano, in piedi dietro di me.

Faccio un respiro profondo.

«Dove sono?» domando.

«Poco oltre quella collina. Credo che il loro rifugio sia sottoterra, perchè ho visto solo degli uomini armati a guardia di una sottospecie di baracca -deve contenere un passaggio per raggiungere il resto del covo. Stai piangendo?»

«Cosa?» Mi porto una mano al volto e mi stupisco di trovarlo umido. «No, certo che no. Sono allergica al polline. Qual è il piano?»

«Il piano è semplice» afferma Blake con voce decisa. «Ci avviciniamo. Jon entra sottoforma di insetto, o qualcosa del genere, dà un'occhiata alla conformazione del rifugio e trova i ragazzi. Non riuscirai ad avvisarli, probabilmente, ma se troverai un'occasione di farlo, tanto meglio.» Jonathan annuisce. «Poi» prosegue Blake, «Esci, torni qui e decidiamo il da farsi. Probabilmente mi limiterò a far saltare in aria le guardie, o qualcosa del genere.»

Io e Jon ci diciamo d'accordo e iniziamo a spostarci in direzione del rifugio dei terroristi. Troviamo una macchia d'alberi distante circa duecento metri da esso e ci sistemiamo lì.

Jonathan diventa una formica e si allontana.

Appoggio la schiena ad un albero, tesa. Se dovessero scoprire Jon -e non è una possibilità così remota, visto che sanno dei nostri poteri- non oso immaginare cosa potrebbe succedere.

Io e Blake non parliamo, stavolta, e il silenzio è quasi assordante.

Poi, sento vibrare qualcosa.

Blake sussulta ed estrae il cellulare dalla tasca.

«È Vanessa» mormora.

«Pensavo le avessi detto di non chiamarci, perchè non potessimo essere rintracciati.»

«Infatti.»

Blake esita.

«Avanti, rispondi. Dev'essere importante.»

Blake annuisce e accetta la chiamata. Mi avvicino per ascoltare.

«Ness?»

«Blake! Oh, grazie a Dio. Ho scoperto una cosa...»

«Cosa? Di che si tratta?»

Il tono di Vanessa è frettoloso, quasi ansimante.

«Ho ascoltato di nascosto, non credo che lo sappiano... stanno progettando una cosa, un antidoto...»

Il telefono crepita e la voce di Vanessa giunge spezzata.

«Ness, non ti sento bene... Cosa hai detto?»

«Hanno trovato un antidoto! L'hanno somministrato oggi a Julie, pare che abbia funzionato.»

«Un antidoto a cosa?»

«Per i nostri poteri! Per farli scomparire del tutto!»

Io e Blake ci scambiamo uno sguardo sconcertato.

Questo cosa dovrebbe significare? Il presidente ha somministrato a sua figlia un antidoto e le ha tolto i suoi poteri? Perchè mai dovrebbe voler fare una cosa del genere? Perchè allora chiedere il nostro aiuto per debellare i terroristi? Perchè non somministrarcelo forzatamente?

La mia mente lavora velocemente per cercare una risposta, ma invano.

«Vanessa, tu dove sei?» chiede Blake con urgenza.

Segue un istante di silenzio.

«Sono nella mia camera» replica lei con un filo di voce. «C'è un'altra cosa. Blake... credo che mi si siano rotte le acque.»

Silenzio. Vedo Blake impallidire.

«Ness...» sussurra, cercando una soluzione.

Vista la sua espressione, decido di prendere in mano le redini della situazione. Strappo il telefono dalla mano di Blake.

«Vanessa, mi senti? Sono Lily. Resta calma, ok? Andrà tutto bene.»

«Lily? Ho paura. Cosa devo fare?»

Il suo tono terrorizzato mi convince definitivamente.

«Ascoltami bene, Ness. Adesso tu esci dalla tua camera, trovi qualcuno e ti fai portare in ospedale. Lì si prenderanno cura di te. Io prendo il prossimo aereo. Tra due, massimo tre ore sarò lì. Tieni il cellulare vicino, mi raccomando.»

«Io... due ore?»

«Sì. Stai tranquilla. Tra due ore sarò vicino a te. Tieni duro e vedrai che andrà tutto benissimo.»

«D'accordo.»

Chiudo la telefonata e mi volto verso Blake.

«Blake, porta in salvo i ragazzi.»

«No. No, Lily, resta tu qui. Io devo andare da Vanessa.»

«No. Ascoltami: c'è bisogno di te qui. Io sarei inutile, ma tu sei l'unico che può liberarsi delle guardie e aiutare Charlie, Dam e Arthur.»

«Ma...» obietta debolmente Blake, ma capisco che sa che ho ragione.

«Stai tranquillo. Mi prenderò cura di Vanessa come faresti tu, anzi, ancora di più. Non la lascerò un attimo e le dirò che tu arriverai presto. D'accordo?»

Blake esita ancora, quindi annuisce.

«Va bene. Mi raccomando» cede alla fine.

Gli faccio un cenno e mi alzo in piedi.

«Non ti preoccupare» dico, per poi avviarmi di corsa in direzione dell'aeroporto.

 

Impiego parecchio tempo ad arrivare all'aeroporto, anche di corsa, perchè non ci sono taxi a disposizione nel bel mezzo della campagna, ma riesco a trovarne uno quando sono ormai in vista della periferia.

Mi precipito alla biglietteria e benedico la mia fortuna nel trovare un posto per il prossimo volo, che partirà tra mezz'ora.

Faccio il check-in e tutti controlli di sicurezza a velocità supersonica, per poi ritrovarmi seduta in aereo, senza fiato, diretta a Washington.

L'ora abbondante di volo passa lentamente, ogni secondo sembra durare un secolo, ma alla fine atterriamo.

Mi precipito fuori e salgo su un taxi mentre chiamo Vanessa.

«Ness, dove sei?»

«In ospedale. Reparto maternità. Sto...» si interrompe e sento un gemito provenire dal cellulare.

«All'ospedale» dico all'autista, per poi rivolgermi di nuovo a Vanessa. «Stai bene? Tra pochi minuti sarò lì.»

«Sì, sì, era solo una contrazione. L'ostetrica dice che è ancora presto. Arriva in fretta, per favore.»

«Certo, stai tranquilla.»

Mentre il taxi procede a passo d'uomo nel traffico, penso con una lieve ansia che non so assolutamente nulla di come avvenga un parto, se non quello che ho visto in televisione. Non ho idea di come farò, ma voglio solo arrivare in tempo per dare a Vanessa una mano amica da stringere.

Quando mi rendo conto di cosa ho appena pensato, mi viene quasi da ridere. Solo poche ore fa la pensavo in modo totalmente opposto.

Adesso, grazie a Blake, credo di aver rimesso le cose nella giusta prospettiva. Io e Vanessa siamo sempre state amiche, ed è di un'amica che lei ha bisogno. Tutto il resto non ha importanza.

Il taxi si ferma di fronte all'ospedale. Pago e corro verso l'ingresso. Lancio un'occhiata al tabellone che indica la collocazione dei vari reparti e scopro che quello di maternità si trova al quinto piano.

Prendo l'ascensore. Tamburello le dita sulla mia gamba, nervosa, chiedendomi, tra l'altro, se il mio aspetto sia ancora umano dopo due voli e una gita nella campagna canadese.

Lo specchio dell'ascensore non mi è di grande conforto in questo senso.

Le porte dell'ascensore si aprono.

«Mi scusi, sto cercando una mia amica» dico ad un'infermiera. «Vanessa Evans.»

Lei mi indica una porta e la apro.

Vanessa è in piedi, sta camminando in tondo, indossa un camice da ospedale teso sul pancione e ha i capelli legati. Quello che stamattina doveva essere un filo di eyeliner le è colato sul viso con qualche lacrima, macchiandole il volto di nero.

«Lily» mormora, e, non appena mi avvicino, con mia grande sorpresa, mi abbraccia forte. Ricambio la stretta.

«Ehi» dico, «Va tutto bene?»

«Insomma» replica lei.

«Vieni, dai. Puoi sederti? Ti tolgo questo trucco orribile. Non vorrai avere la faccia tutta macchiata di nero quando farai la prima foto con la bimba! Me ne riterrei del tutto responsabile.»

A Vanessa sfugge una risata.

Mi dirigo in bagno, inumidisco un asciugamano e la raggiungo, per poi strofinarglielo con delicatezza sul volto, cancellando i segni del trucco.

La sua mano si posa sulla mia e la guardo con un'espressione interrogativa.

«Grazie, Lily» dice.

Io faccio un piccolo sorriso.

«È a questo che servono le amiche.».

   
 
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