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Autore: FairyCleo    30/05/2012    2 recensioni
"Era tutto il giorno che l' intero enturage di servitori di re Uther e figlio faceva su e giù per il castello, lustrando persino i cardini delle porte delle segrete.
Camelot doveva prepararsi al meglio per accogliere in maniera egregia un ospite molto particolare".
Dal capitolo 5:
"Veloce come non mai, con il cuore che galoppava così forte da fargli quasi male, Artù era giunto davanti la porta della fredda cella dove era stato rinchiuso Merlino.
Il poveretto giaceva a terra, svenuto, rannicchiato su di un fianco, con le braccia incrociate sul petto, nascoste in parte dalle ginocchia ossute, e il viso affondato in esse.
Nonostante avesse rivolto la schiena verso il freddo muro di pietra, non era difficile immaginare in che condizioni fosse.
Sotto di lui, una pozza di liquido denso e scuro si stava allargando a vista d' occhio.
Se non fosse intervenuto all' istante, sarebbe morto dissanguato in quel posto infernale".
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Di amori, fiducia e incubi nella foresta


Merlino era riuscito a condurre Caspian fino alla sue stanze. Non riteneva possibile l’aver avuto la fortuna sfacciata di non essere andato incontro a contrattempi di alcun genere, ma non aveva tempo per gioirne. Doveva trovare un nascondiglio sicuro per il giovane principe, cercando di proteggerlo secondo se sue – seppur ridotte – possibilità.

Caspian gli era parso teso. Era evidente che, nonostante le parole del mago, trovarsi davanti ad uno scenario talmente desolante non fosse semplice per nessuno.
Quando si era ritrovato immerso nella più totale oscurità aveva smesso di respirare per un lasso di tempo lunghissimo, rimanendo immobile, quasi identico allo stato pietrificato in cui aveva vissuto per tutti quegli anni.
Era stato Merlino a spronarlo a muoversi, assicurandogli che tutto sarebbe andato per il meglio.

Con suo grande rammarico, il giovane mago aveva appurato che la porta della sua stanza era sprovvista di chiave, il che aumentava in maniera spropositata il pericolo di essere scoperti da una delle guardie o da uno dei seguaci di Miraz. E se questo qualcuno si chiamava Sopespian, le cose sarebbero state a dir poco disastrose.
Così, Merlino aveva trascinato il comò fino a posizionarlo davanti alla porta per sprangarla, cercando di non causare eccessivo rumore.
Lui e Caspian non erano al sicuro, ma sarebbero stati protetti quanto bastava per organizzare un piano di fuga.
L’usurpatore era impegnato con Clara e suo padre, e solo gli Dei sapevano quello che gli avrebbe fatto e quanto tempo ci sarebbe voluto.

“Dobbiamo escogitare qualcosa, vostra altezza. E dobbiamo sbrigarci. Potrebbero arrivare da un momento all’altro” – aveva detto Merlino, cominciando ad armeggiare con cassetti e ante dell’armadio.

Il principe, ancora stanco e debole, si era lasciato cadere sul letto, cominciando ad accarezzare con distrazione le morbide e vellutate coltri senza proferire parola.
Come poteva aver permesso che accadesse tutto quello? Come poteva aver accettato la proposta di Mikael di lasciarsi addormentare per avere salva la vita? Come poteva essere stato così egoista e così stolto?
Quella tremenda oscurità aveva inglobato la fiorente e gloriosa Telmar.
Il cuore nero di Miraz, unito alla magia potente e devastante del migliore amico che avesse mai avuto in vita sua avevano causato morte, tenebre e distruzione.
Suo padre non c’era più. Il suo popolo non c’era più. Del suo maestro Merlino non aveva saputo dirgli niente, e degli abitanti di Narnia, considerati gli artefici dell’omicidio del re, non c’era traccia alcuna.
Continuava a guardare Merlino. Sapeva che avrebbe dovuto essergli grato per averlo risvegliato dal suo lungo sonno, ma non riusciva a farlo completamente. Una parte di lui era arrabbiata con quel ragazzo che lo aveva riportato alla realtà. Cosa poteva fare lui, contro un uomo spietato e la magia di cui si serviva? Era solo un ragazzo. Di stirpe reale, certo, ma era pur sempre un ragazzo. E non aveva la più pallida idea di come agire.

Il suo cuore era stretto in una morsa dolorosissima.
E, per quanto il dolore verso il suo popolo fosse spropositato, ce n’era un altro che lo stava distruggendo attimo dopo attimo ad una velocità che non credeva possibile.
Mikael… Il suo Mikael era diventato un mostro, un’ombra spaventosa e sibilante al servizio dell’essere più spaventoso e crudele mai nato sulla faccia della terra.
Perché proprio lui? Perché proprio l’amico, il fratello, il compagno di mille avventure, l’unico che non l’avrebbe mai tradito, aveva fatto ciò che aveva fatto?
Caspian era convinto che il suo cuore fosse diventato di pietra, e questo perché l’aveva sentito emettere un rumore simile a quello della roccia che si infrange e inizia a sgretolarsi in centinaia di migliaia minuscoli frammenti polverosi.
A cosa gli serviva un cuore, se non aveva più l’opportunità di donarlo a qualcuno?

“Vostra maestà… Per favore, cercate di tirarvi su di morale. Ve ne prego”.

Il giovane mago si era avvicinato a lui, guardandolo con quei suoi grandi occhi color del mare.
Caspian era immensamente triste e preoccupato, e non occorrevano poteri magici per capirne il motivo. Sarebbe stato sconvolgente per chiunque risvegliarsi da un sonno talmente lungo e scoprire che niente era più come prima, e che della propria famiglia e dei propri cari non era rimasto niente, se non un maledetto traditore e l’animo corrotto di quello che era stato l’amico di una vita.
Ma non c’era il tempo per perdersi d’animo. Clara era convinta che il risveglio di Caspian fosse il segno dell’imminente cacciata dell’usurpatore, e non poteva ignorare le parole di una ragazza che sapeva molto più di lui, perché aveva vissuto, penato e sofferto durante gli anni di regno di Miraz.

“Caspian, vi prego, ascoltatemi” – e senza porsi molti scrupoli, si era seduto accanto a lui, lasciando cadere le mani in grembo. Non sapeva se fosse in grado o no di trovare le parole adatte, ma una cosa era certa: non gli avrebbe permesso per nessuna ragione al mondo di arrendersi.

“Il vostro dolore sembra insormontabile, lo so bene. Vostro padre non c’è più, il vostro popolo è alla rovina, e probabilmente avreste preferito non risvegliarvi mai più”.

A quell’ultima frase, Caspian aveva sollevato la testa di scatto, sorpreso, puntando gli occhi dritti in quelli di Merlino. Sembrava che il ragazzo gli avesse letto nel pensiero.

“Ma ci sono persone che hanno riposto in voi la loro più completa fiducia. Ci sono persone che hanno messo la loro vita nelle vostre mani. E due di queste persone sono ora al cospetto di Miraz perché hanno cercato di salvare la vita ad un uomo giusto e alla sua famiglia, e stanno per pagarne amare conseguenze”.

Era riuscito ad attirare l’attenzione del principe.

“Clara e Giona sono brave persone, Caspian, ma come sapete, Miraz è in grado di rompere tutto ciò che tocca. Non oso immaginare cosa abbia in mente di fare loro, ma so che se c’è qualcuno che può fermarlo, quello siete voi. Non so dirvi come farete, anzi, come faremo. Perché io vi ho risvegliato, ed io vi aiuterò sire. E lo farò fino alla morte”.

Merlino non avrebbe mai mentito. Mai. Non ad un ragazzo buono come Caspian, non ad una persona come lui.
Per quanto fosse spaventato e triste, il suo cuore era puro e forte, proprio come quello di Artù.
E, proprio perché quel ragazzo aveva quella sua stessa peculiarità, avrebbe fatto qualunque cosa per lui, a costo di sacrificare la propria vita. Miraz doveva essere fermato, e il tempo dei ripensamenti era cessato ormai da tempo.

“Le tue parole sono meravigliose, Merlino. Sono piene di speranza e di forza, ma continuo a credere che tu ti stia sbagliando. Su di me, e sul destino del mio popolo. Guardami! Sono solo, stanco e provato, privo di un esercito con cui combattere. Come posso pretendere di sconfiggere Miraz e la magia… e la magia di…” – non riusciva a dirlo. Non riusciva a pronunciare il suo nome senza che il suo cuore subisse una stretta lancinante - “Io non posso farlo”.

A quel punto, a Merlino era rimasta una sola carta da giocare.
Senza esitare, si era sollevato le maniche della splendida giacca nera che indossava, permettendo alle pesanti e logoranti polsiere di risplendere alla fioca luce delle candele.

“E questi? Cosa sono?” – aveva chiesto Caspian, curioso.
“Questi, mio principe, sono i segni della mia prigionia. Miraz mi ha portato qui con un intento preciso”.
Non aveva chiesto quale fosse. Interrompere la suspance creata da Merlino sarebbe stato un errore.
“Io non sono solo il servitore di Artù. Sono un mago, principe Caspian. E, stando a quello che alcuni dicono in giro, sono anche un mago piuttosto potente”.
“Un mago?” – ma cosa poteva volere Miraz da un altro mago? Aveva a sua disposizione Mikael, o quello che ne restava, e suo padre Giona!
“Sì, mio principe”.
Gli occhi di Merlino era diventati improvvisamente tristi e spenti. Miraz doveva avergli causato sofferenze inimmaginabili. Perché quell’uomo non faceva un favore a tutti e si ritirava in esilio ai confini del mondo?
“Che cosa vuole da te? Perché convocare un altro mago? Lui odia la magia! Guarda quello che ha fatto a Narnia e ai suoi abitanti!”.

Caspian era balzato in piedi, alzando la voce senza rendersene conto.

“Vi prego vostra altezza, non gridate! Potrebbero scoprirci!” – quella reazione avrebbe rischiato di farli finire in guai seri. Se anche Caspian fosse morto, per Telmar non ci sarebbe stato più alcun riscatto. E questo non doveva accadere. Merlino era convinto che ci fosse un motivo più che valido se era stato condotto lì contro la sua volontà, ed era certo che non si trattasse solo per via dell’assurda richiesta formulatagli dal mostro.
“Che importa, Merlino? Non possiamo difenderci! Ci troveranno, e mi uccideranno! Non c’è speranza per noi, siamo perduti!”.
“Adesso basta!” – e, per la prima volta in vita sua, Merlino aveva fatto ricorso a quella che aveva sempre evitato: alla violenza. Con decisione, aveva stampato una poderosa cinquina sulla guancia sbarbata del principe, che aveva sgranato gli occhi dalla sorpresa e dall’improvviso bruciore.
“Come… come… che cosa hai fatto?”.
“Adesso basta, statemi a sentire! Sono stato torturato, ho rischiato di morire, sono stato sul punto di essere violato un’infinità di volte, sono stato ingannato, imprigionato e rapito! E sapete perché? Perché Miraz aveva bisogno del mago più potente che avesse a disposizione per esaudire il suo desiderio!”.
Il giovane lo ascoltava in silenzio.
“Miraz mi ha portato qui perché vuole che lo trasformi in un essere immortale”.

A qualunque cosa. Avrebbe potuto pensare a qualunque cosa, ma non a quello.
Miraz, il fratello di suo padre, lo zio che lo aveva reso orfano, che aveva usurpato il suo trono, nutriva il malsano desiderio di ricevere la vita eterna. E, per soddisfare quella sua brama, aveva rapito un giovane rendendolo alle stregue di un giocattolo da usare e da rompere.
Dei, come poteva essere arrivato a tanto? Quanto immensa, sbagliata e immorale era la sua follia?

“Tu non l’hai fatto… Non è vero? Non hai reso quell’essere immortale, non è vero?”.

Il panico si era impossessato del principe. Come poteva sconfiggere Miraz se costui era diventato invulnerabile?
Guardava Merlino come se volesse entrargli nella mente e leggervi i più reconditi segreti.
Pregava gli Dei di non aver fatto sì che una simile sciagura fosse avvenuta.
In caso contrario, non ci sarebbe stata più speranza per nessuno.

Gli occhi di Merlino, quelle meravigliose iridi blu, riuscivano a stenti a trattenere le lacrime.

“Come potete pensare che vi parli di rivalsa se avessi acconsentito a trasformarlo in un mostro immortale? Mi credete così sciocco, principe Caspian?”.

E, a quelle parole, aveva compreso quanto grande fosse stato l’errore commesso, e quanto infondata fosse la paura appena provata. Si sentiva un verme. Merlino aveva già sofferto abbastanza, perché causargli ulteriore dolore?

“Ti chiedo perdono” – aveva sussurrato, allora, cercando di non farsi soffocare da quello sguardo – “Sono solo… un inetto… Ti chiedo perdono”.

Si era lasciato ricadere sul letto, accanto al ragazzo che lo aveva riportato alla vita.
La sua coscia era vicina a quella di Merlino, scossa da un irrefrenabile tremore. Continuava a tormentarsi le mani, il giovane mago. Caspian gli aveva chiesto perdono.

“Siete scosso mio principe. Scosso, stanco e privo di fiducia. Sono certo che avrei reagito come voi. Ma vi prego, fidatevi di me. Fidatevi di Clara, fidatevi di Giona. Ma, soprattutto, fidatevi di voi”.

*


Il sole era calato e, con esso, era scemata anche la forza che aveva permesso loro di cavalcare per tutte quelle ore di fila.
I cavalli, stremati, avevano bevuto litri e litri d’acqua, e due di loro erano crollati al suolo, compreso quello di lady Morgana che dormiva accanto alla sua padrona.
La dama, però, al contrario delle bestie e dei due uomini che erano in sua compagnia, non riusciva a lasciarsi raggiungere dal sonno. La mente continuava a vagare lungo mete sconosciute, mete che avevano come sfondo una cosa ben precisa. Una cosa verso cui si era sempre sentita attirata, ma a cui non aveva mai potuto prestare attenzione più di tanto, viste le restrizioni severissime a cui Uther aveva destinato l’intero popolo di Camelot.
Ma, dopo aver assistito alla dimostrazione inaspettata di Gaius, Morgana si era resa conto di quanto inutili esse fossero, e che la magia, quella magia che il re tanto odiava e che aveva bandito con tanto vigore dal suo regno, era in realtà viva e vicina più che mai.
Certo, il cerusico le aveva assicurato che sua maestà fosse a conoscenza del suo dono, e che esso venisse utilizzato solo in caso di particolari necessità, proprio come quella di catturare e rinchiudere il Mephit nella sua prigione, o di curare ferite inguaribili alle persone che più stavano a cuore al loro re, ma questo, si domandava Morgana, non era molto simile a quello che stava facendo Miraz? Perché secondo il cerusico – che in ogni caso aveva omesso la vera natura di Merlino – l’usurpatore non aveva debellato la magia, ma l’aveva imbrigliata, sottomettendo così uomini forti e valorosi, e decretando la fine di regni prosperi e vitali.
Cosa c’era di diverso in quello che aveva fatto e continuava a fare Uther? Il re di Camelot aveva proibito la magia e condannato a morte centinaia di persone innocenti durante la Grande Epurazione, ma continuava ad utilizzarla per la cura delle persone da lui amate. Non si trattava comunque di scopi personali? Quella stessa magia che aveva salvato Artù, per fare un esempio banale, o magari lei stessa, avrebbe potuto salvare la vita al figlio di un contadino, o alla madre povera e senza latte e al suo bambino di pochi giorni.
No. Per quanto sapesse che il cuore di Uther non era corrotto come quello di Miraz, non era davvero in grado di scorgere alcuna differenza.

L’aria del bosco era fredda e carica di umidità. Infreddolita, la giovane si era rannicchiata ancora di più nella coperta portata con sé, avvicinandosi maggiormente al fuoco che continuava ad ardere incurante della notte e dei suoi pensieri.
Forse, era un’ingrata. Anzi, lo era senza alcuna ombra di dubbio.
Non aveva mai nascosto il proprio astio nei confronti del suo patrigno: aveva sempre lottato a testa alta, a volte attirandosi contro la sua ira, ma non poteva togliere che se non fosse stato per Uther, non avrebbe avuto un posto dove andare. Non avrebbe avuto una casa, i vestiti, i gioielli che le piacevano tanto, non avrebbe avuto un’amica come Ginevra, e, soprattutto non avrebbe avuto un fratello come Artù. Perché per quanto lei cercasse di non fargli capire i suoi reali sentimenti, non poteva di certo negare di amarlo come solo una sorella può fare.

Silenziosa, aveva girato il capo quanto bastava perché potesse trovarsi in una posizione ideale per osservare il bel volto del principe ereditario di Camelot.
Nonostante il sonno avesse avuto il sopravvento su di lui, il suo viso non era affatto rilassato.
L’espressione corrucciata e le labbra fortemente serrate lasciavano intendere tutte le sue preoccupazioni.
Sapevano bene che il rischio era spropositatamente alto, e che c’era la seria possibilità di non fare più ritorno a Camelot. Ma mai, mai, e per nessuna ragione al mondo, Artù avrebbe lasciato Merlino alla mercé di quell’infame.
Il perché Miraz avesse rapito un giovane servo non era chiaro a nessuno, anche se Morgana era certa di aver intuito i timori di Artù.
Aveva notato come l’usurpatore guardasse il ragazzo, come lo sfiorasse, e gli occhi terrorizzati e le membra tremanti di Merlino erano stati una conferma più che palese a quello che nessuno avrebbe mai osato pensare.
Come si poteva arrivare a tanto? Come si poteva rapire un giovane, privarlo della libertà di scegliere chi amare, schiavizzarlo, renderlo un oggetto, una bambola da usare, rompere e gettare via a proprio piacimento?
Alla giovane era venuta la pelle d’oca al solo pensiero delle mani di Miraz che vagavano voraci sul corpo bianco e magro di un Merlino inerme, dolorante e completamente indifeso. E nutriva la ferma convinzione che quel pensiero continuasse a tormentare anche Artù, e che lo facesse costantemente, fino a farlo stare male.
Perché, per quanto lui cercasse di negarlo a se stesso e al suo cuore, per lei era evidente che Merlino fosse molto più che un semplice amico, per il futuro erede al trono di Camelot.
Era incredibile quanto strana potesse essere la vita, e quanto imprevedibile potesse essere l’amore.
Esso, per quanto molti difendessero il contrario a spada tratta, non ha davvero età, non ha davvero limiti, non ha davvero sesso, o razza o quant’altro si voglia insinuare.
E lei, in quanto donna, lo sapeva bene, perché più sensibile e più portata alla comprensione e all’abbandono totale verso quel sentimento per molti così ostico.
Poteva leggere negli occhi di Artù il dolore, l’apprensione e la mancanza, proprio come era stata in grado di individuare la nascita di quel dono e la sua crescita giorno dopo giorno.
Morgana era certa che Merlino nutrisse gli stessi sentimenti nei confronti di quel principe borioso e pasticcione che si era ritrovato a servire, e che, proprio come lui, non fosse ancora stato in grado di riconoscerli per ciò che erano. Quanto volte aveva rischiato la propria incolumità per preservare quella di Artù?
Ricordava con chiarezza l’episodio in cui aveva bevuto da quella coppa avvelenata, salvandogli così la vita a costo di perdere la propria.
Quella non era solo la testimonianza di un’estrema amicizia: quella era la prova più visibile dell’amore e della devozione che quel ragazzo nutriva nei suoi confronti.

Eppure, per quanto quel sentimento fosse nobile, Morgana sapeva bene che in pochi sarebbero stati in grado di comprenderlo e accettarlo.
Artù per primo faceva fatica ad ammetterlo con se stesso.
Il principe, per quanto fosse giovane e ancora troppo “impegnato” nell’arte del cacciare e in quella di giostrare, spesso parlava del momento in cui avrebbe avuto un erede che avrebbe assicurato la discendenza dei Pendragon. Era sin troppo evidente che un uomo, che una persona del suo stesso sesso, non avrebbe mai potuto permettersi di donargli un figlio. E i nobili, molti di loro porci schifosi senza il minimo scrupolo morale, non accettavano re con concubini e concubine. I nobili non accettavano dei bastardi per sovrani.
La mancata discendenza Pendragon avrebbe di certo portato a lotte intestine per la conquista del trono e, per un popolo, non c’era niente di più deleterio e logorante di un simile conflitto.
Gli amanti sarebbero stati destinati a rimanere come tali. Certo, avrebbero potuto incontrarsi in segreto, ma la lealtà di Merlino nei confronti della corona e la morale integerrima di Artù non gli avrebbero mai permesso loro di attuare simili sotterfugi.
Avrebbero continuato a starsi accanto, fingendo di amare persone scelte per loro da altri, finché il cuore di uno dei due non avrebbe ceduto, portandolo a cadere nell’oblio eterno. Perché, per quanto esso non fosse mai stato manifestato apertamente, il loro amore era troppo grande e forte per finire. Era uno di quegli amori che sarebbero durati per tutta la vita, nonostante, proprio essa li porrà l’uno così vicino all’altro senza permettergli, tuttavia, di raggiungersi mai.

*


Un rumore improvviso lo aveva destato dal suo sonno.
Il rumore di qualcuno che stava tentando in tutti i modi di aprire la porta della stanza.
Preso dal panico, Merlino si era sollevato di scatto dal suo morbido materasso, rendendosi conto, con suo sommo orrore, di essersi addormentato dopo il lungo discorso affrontato con il principe Caspian.
Quante veglie erano trascorse? Quante volte avevano provato ad aprire la porta senza alcun successo? E, soprattutto, chi era la persona che continuava a fare forza sulla maniglia?
Assalito dal panico, il ragazzo aveva posato una mano sulla bocca di Caspian, evitando di farlo urlare o sussultare dall’ irruenza del gesto, e aveva cominciato a scuoterlo con vigore, sperando che il principe si risvegliasse.
Per sua enorme fortuna, non aveva dovuto attendere molto, ed ecco che un Caspian dallo sguardo vigile e velato dal terrore aveva puntato il proprio viso su quello di Merlino, cercando di metterlo a fuoco.

“Ssshhh!” – aveva appena sussurrato il ragazzo, il cui volto era illuminato dal chiarore dei mozziconi di candela che resistevano al richiamo della morte, indicando con il dito la maniglia della porta.

Capendo immediatamente a quale pericolo si erano esposti, il principe era balzato in piedi e si era precipitato verso l’armadio, chiudendovisi all’interno.
Certo, se qualcuno avesse sospettato della sua presenza in quelle stanze, l’armadio sarebbe stato il primo posto in cui avrebbe cercato, ma non era stato capace di farsi venire in mente un’idea migliore, al momento. E poi, era certo che il fondo dell’armadio fosse in realtà una porta per uno dei tanti corridoio nascosti che attraversavano tutto il castello e che, con un po’ di fortuna, sarebbe stato in grado di trovare il modo per aprirla.

Dopo essersi assicurato che Caspian si trovasse al sicuro e che fosse ben nascosto, Merlino si era dato una rassettata ai vestiti, avvicinandosi poi alla porta e chiedendo con voce tremante chi vi fosse celato dietro.

“Signorino Merlino… Sono io… Margareth!”.

Margareth! La simpatica cameriera!
Era stato talmente scosso dagli eventi delle ultime ore da aver completamente rimosso il ricordo di una delle poche persone gentili che aveva conosciuto il quel luogo di dolore.
Eccitato dall’idea di rivederla, aveva spostato immediatamente il pesante mobile, aprendo la porta di scatto e gettandosi praticamente al collo della bassa e rotonda donna, rischiando quasi di farle cadere di mano il vassoio carico di leccornie.

“Signorino! Che cosa fate?” – aveva chiesto, visibilmente imbarazzata.
“Margareth cara! Non sai quanto sono contento di rivederti!” – aveva quasi le lacrime agli occhi dalla gioia. Era a dir poco assurdo, lo sapeva bene. Si trattava di una persona appena conosciuta, ma la sua aria materna e i suoi modi gentili e alla mano erano riusciti a fare breccia nel cuore del giovane, convinto in tutto e per tutto che la donna potesse in qualche modo aiutarlo.
“Sì… Anche io sono contenta di rivedervi, ma ora lasciatemi! Mi state soffocando!”.
“Certo! Scusami! Entra, prego!”.

E Merlino si era chiuso la porta alle spalle.

“Si può sapere perché vi eravate barricato qui dentro? E se fosse scoppiato all’improvviso un incendio, o se ci fosse stato un terremoto, come avreste sperato di salvarvi??”.
“Mi dispiace Margareth, ma ho avuto le mie buone ragioni” – aveva risposto, lasciando che un’espressione di puro orrore prendesse i posto del suo smagliante sorriso.
Il cambiamento di umore del giovane non era sfuggito alla donna, che prontamente aveva cominciato a rivolgergli una serie di domande piuttosto mirate.
“Sopespian, non è così?”.
Lo sgomento era sin troppo evidente sul bel volto del giovane mago.
“E voi come…”.
“Quel porco! Non vi ha toccato, vero? Dei, giuro che se vi ha toccato lo uccido con queste mani! Gli taglio il gingillo e glielo infilo su per il…”.
“MARGARETH!!!” – Il rossore si era propagato sulla pelle di Merlino, finendo per raggiungere anche le grandi e buffe orecchie.
“Oh, perdonatemi signorino! Ma quell’essere immondo è mille volte peggio di Miraz in persona! Per quanto il nostro re sia crudele e senza cuore, resta un signore sotto questo punto di vista. Mentre Sopespian… Oh, quello si fare-“.
“Per favore!!” – ma che le era preso??

La donna gli aveva lasciato un’occhiata furente, cominciando ad esaminarlo centimetro per centimetro.

“Vi fa male da qualche parte, signorino? Perdete sangue, forse. Dei, certo che perdete sangue. Vi prego, so che è imbarazzante e frustrante, ma lasciatemi controllare. Posso disinfettarvi e alleviarvi il dolore con delle erbe. Ma devo agire presto o…”.
“Non mi ha toccato, stai tranquilla” – era assurdo rassicurare gli altri quando era lui quello da rassicurare.
“Siete serio?”.
“Come la peste, mia cara. Sono stato scaltro, e sono riuscito a fuggire”.
“Dei, vi ringrazio! Dovrò ricordarmi di fare loro un’offerta. Non avrei sopportato che vi facessero del male!”.

Il ragazzo aveva intuito che quello fosse il momento adatto per cogliere la palla al balzo.

“Io credo di sapere che genere di offerta vogliano gli Dei”.
“Che intendete dire?”.
“Venite fuori, vi prego” – aveva detto allora Merlino, rivolgendosi in direzione dell’armadio.

La cameriera non riusciva a comprendere il significato delle parole di quel ragazzo. C’era forse qualcuno nella stanza con lui? Ma chi poteva mai nascondere? L’ansia si era impossessata di lei.
E, quando l’anta si era aperta e si era rivelata la slanciata e aggraziata figura di quel ragazzo, per un attimo aveva creduto di avere un mancamento.

“Ma… Ma… Non è… Non è possibile!” – aveva bisbigliato, sconvolta, lasciando cadere la tazza dalle mani.
“Sì, invece” – Merlino era calmo e sicuro di sé – “E’ il vostro principe”.
“Permettete che mi presenti, signora. Io sono Caspian X”.
La donna aveva creduto di morire di infarto.

*


Si era svegliata nel cuore della notte, di soprassalto, sudata e spaventata come mai prima di allora.
Le era capitato più volte di fare sogni orrendi, sogni pieni di dolore, ma mai nessuno era stato vivido e realistico come quello.
Era in grado di avvertire ancora la presenza della morte aleggiare nell’aria, e l’odore del sangue continuava a punzecchiarle le narici e a farle ardere la gola.
“Morgana! Morgana! Che cos’è successo?”.
Un Artù e un sir Leon preoccupatissimi l’avevano circondata con fare protettivo.
Il volto pallido e imperlato di sudore della ragazza era per loro motivo di grande preoccupazione e apprensione.
Che le era capitato di tanto tremendo da farla reagire in quel modo?

“Miraz…” – aveva balbettato, continuando a fissare il vuoto.
“Cosa?”.
“Miraz… Lui vuole… Lui vuole… Dei Artù! E’ un mostro! E’ un mostro terribile!” – e si era aggrappata alle spalle del fratello, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo, singhiozzando.

Sconvolto da quel gesto così inaspettato, il principe aveva rivolto a sir Leon uno sguardo carico di domande, cominciando, distrattamente, ad accarezzare la chioma lucente della dama.

“Shhh… Morgana, calmati… È stato solo un brutto sogno… Su…”.
“No! No Artù! Tu non capisci! Lui… Lui vuole fargli del male! Lui vuole il suo cuore!”.
“A chi, mia signora? A chi farà del male?” – aveva chiesto il cavaliere dalla lunga chioma riccioluta, non osando domandare a cosa si riferisse a proposito del citato cuore.
“A Caspian!” – e, un attimo dopo, era svenuta fra le braccia di Artù.

Continua…
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Un capitolo lunghissimo tutto per voi! ;)
Abbiamo parlato di tante, tanto cose! Spero che sia stato di vostro gradimento!
Morgana comincia ad avere le sue visioni in maniera sempre più chiara, e Merlino ha intuito che Margareth può essere l'unica in grado di aiutarli.
Arriveranno mai in tempo per salvare il mago e scongiurare la trasformazione di Miraz?
Appuntamento al prossimo capitolo! XD
Baci grandi!
Cleo

   
 
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