Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: KikyoOsama    31/05/2012    0 recensioni
[Prima classificata al contest "Nagagutsu de kanpai da! Hetalia~" indetto da Phantom Lady sull'Axis Powers Hetalia Fan Forum]
Ispirata ad una frase apposta all'inizio di un video (per l'appunto "Warning! Our homes are in danger!"), è una raccolta che ho scritto molto tempo fa. Vi figurano personaggi e situazioni storiche diverse, basati sulle sensazioni dei personaggi sconfitti.Il mio punto di vista non coincide necessariamente con quello dei personaggi, OOC di alcune caratteristiche di Himaruya.
 
“Io credo che tu sia una vittima.”
Gli occhi cerulei di Germania divennero vitrei, in essi era visibile l’emozione di un grido trattenuto. L’altro cercò di incoraggiarlo con un sorriso e procedette.
“Come me, come Polonia, come Russia, come tutti gli altri. Tutto questo ti sembrerà incredibile: sì, ti odiavo profondamente durante la guerra e ci sono ancora molte cose che non potrò mai perdonarti, tuttavia… la guerra è finita."
[Accenni di: Russia\Prussia; America\Germania]
Genere: Dark, Guerra, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 2p!Hetalia, Allied Forces/Forze Alleate, Altri, Nuovo personaggio
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Grazie Viadyn Lady Daethedr per aver letto il capitolo precedente!
Premetto che non sono nazista, fascista, appartenente all’estrema destra e così via. Questo capitolo è il più vecchio della raccolta, oggi in televisione hanno rievocato nuovamente l’attacco di Pearl Harbour in un documentario e colgo l’occasione per pubblicarlo. Buona lettura e spero che vi piaccia!
 
+++
 
Da quel momento il mondo aveva cominciato a girare più velocemente, il suo cuore a battere più forte. Quel vortice aveva risucchiato e trascinato all’inferno ciascuno di loro, nell’abisso più nero e spinoso che avesse mai immaginato.
Francia era stremato, Inghilterra per quanto potesse soccombere non si sarebbe mai arreso, Cina aspettava l’occasione propizia per distruggere le proprie catene. Quanto ai suoi –amici? No- alleati, aveva inciso nel cuore con il sangue le date della loro morte: 1945, la recente dipartita di Germania, uno spirito guerriero, ambizioso e folle al suo pari; 1943, l’anno in cui aveva incominciato a morire Italia … nonostante l’ avesse tradito, non aveva potuto fare a meno di interessarsi delle sorti di quell’Italia ignorante e gretta che diffidava dei musi gialli e di compatire la lunga agonia di una nazione spaccata in due, due fratelli destinati ad ammazzarsi l’un l’altro in una sanguinosa guerra civile.
Non era ancora finita. Sapeva che, presto o tardi, Russia sarebbe venuto a prenderlo, emergendo spettrale dalle acque del mare che avevano in comune: immaginò che si sarebbe spartito i suoi vestiti –le sue terre- , le sue medaglie –le sue ricchezze- e la sua servitù –i popoli da lui sottomessi- con America, giocando a morra cinese sul suo cadavere. No, probabilmente America non avrebbe mai sopportato l’idea di condividere un simile bottino di guerra proprio con il suo più talentuoso e martoriato nemico-amico e si sarebbe dato da fare per precederlo sulla costa. Sfilò leggermente la sciabola dal fodero e li attese: li odiava, li odiava tutti. Non aveva alcuna voglia di rivedere i loro visi, né desiderava rievocare alla mente quelli dei defunti commilitoni. Erano sempre loro, sempre gli stessi, bravi soltanto a ferirsi a vicenda ma ogni volta in un modo diverso e più…crudele.
 
Lui, Giappone, era l’ultimo rimasto ancora in piedi.
Era rimasto esterrefatto nel ricevere al posto delle condizioni di resa quella spregevole missiva, quell’insulto ignobile, quella straordinaria insubordinazione: così aveva stretto nelle mani la dichiarazione di guerra fino a stracciarla e aveva dato animo e corpo nell’accettazione della sfida, con l’intenzione di insegnare agli Stati Uniti quanto temibile potesse essere la potenza di un Impero. Il suo Impero.
 
La guerra lo aveva disonorato: dipinto come un mostro, annunciato come un pericolo, aveva ottenuto a caro prezzo il rispetto e il timore che aveva a lungo desiderato dalle altre nazioni del globo. Si infilò i guanti per nascondere le cicatrici delle mani, marchiate indelebilmente dalle ferite procurategli da alleati e nemici. Italia gli aveva voltato le spalle per abbandonarsi ad un supplizio peggiore della sconfitta, Germania era stato brutalmente annientato in vendetta del sangue dei popoli che aveva versato: ma loro tre avevano un ideale e ci avevano creduto fino alla fine. Allo stesso modo lui, Giappone, avrebbe combattuto fino alla fine: per onorare i sacrifici affrontati sino ad allora da tutti e tre –arrendersi avrebbe significato vanificarli- , per imprimere un’impronta sublime al loro supremo ideale.
Sarebbe morto, Giappone.
 
“Sto morendo”
Lo aveva realizzato nel momento in cui aveva sentito cedere Germania. Italia gli aveva insegnato a ridere delle proprie disgrazie, sventure e sconfitte –Me ne frego!- ma lui non era ottimista, credulone e superficiale quanto il suo compagno: lui sarebbe andato incontro alla morte con tutta la sua serietà e la sua superiorità morale. Nobiltà d’animo? No, lui aveva venduto la sua anima. Non restavano che la vittoria o l’annichilimento, il tutto o il nulla.
Lui, Giappone, del resto proprio non sarebbe riuscito a vivere in un mondo che non avesse l’Impero e la memoria dei suoi defunti compagni come asse. 
  
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