Capitolo XXII
Nulla come previsto
“Sei
splendida!” esordì Clayton, non appena la vide.
“Grazie”
rispose lei.
Con la
consueta galanteria che lo contraddistingueva, le
aprì la portiera dell’auto, attese che si accomodasse, la richiuse e
raggiunse
il posto di guida. Prima di rimettere in moto tentò di baciarla, ma lei
lo
fermò decisa: non voleva dargli illusioni riguardo alla serata. Aveva
deciso di
rivederlo solo per chiarire i motivi della sua decisione, non per
riprendere
qualcosa tra loro.
Lui si ritirò
senza commentare, accogliendo con eleganza
il suo rifiuto, anche se dentro di sé cominciava a spazientirsi: era
convinto
che lei lo avesse lasciato a causa delle continue menzogne che le aveva
raccontato riguardo il suo lavoro e aveva deciso di riconquistarla,
promettendole, se necessario, la luna pur di riaverla di nuovo nel suo
letto.
Per quanto riguardava la sincerità che Mac tanto reclamava,
semplicemente
sarebbe dovuto stare più attento e crearsi finzioni più credibili e
meglio
confezionate.
Mise in moto
e si diresse verso il ristorante dove aveva
prenotato il tavolo migliore. Si trattava di un locale elegante, molto
alla
moda, ma sufficientemente tranquillo e romantico. Aveva in mente un
perfetto
piano di seduzione, al quale lei non avrebbe di certo resistito. Sarah
amava
essere al centro dell’attenzione di un uomo… non importava se il suo
cuore
continuava a struggersi per il Comandante Rabb: era sufficiente che un
uomo la
adulasse, la riempisse di mille attenzioni, quelle attenzioni che aveva
sempre
smaniato da Rabb, per averla. E lui, in quanto a galanteria, adulazione
e
attenzioni ad una donna era di certo superiore al suo rivale. Proprio
per
questo l’aveva già avuta. E l’avrebbe avuta di nuovo.
La cena si
svolse come da copione: il cibo era perfetto e
la conversazione altrettanto. Clayton Webb, astuto com’era sua natura,
evitò
argomenti pericolosi, parlando di tutto fuorché del loro rapporto e
Mac, poco
alla volta, si rilassò. Nonostante tutto apprezzava la compagnia di
Clayton e
il suo modo di fare tanto accattivante con le donne. Era un perfetto
cavaliere,
romantico e appassionato, quando voleva. E in quel momento sembrava
volerlo
molto.
Soltanto al
termine della serata, quando la riaccompagnò a
casa, lei si accorse che non avevano chiarito proprio nulla. Se ne rese
conto
quando lui tentò nuovamente di baciarla.
“No, Clay…”
“Perché no?
Siamo stati benissimo, questa sera, non trovi?
Ti prometto che le cose cambieranno, Sarah…”
E così
dicendo le aveva preso una mano, per portarsela
alle labbra, dimenticando per un attimo il bacio che voleva darle.
Quel gesto
sorprese Mac la quale, come catapultata in
un’altra dimensione temporale, s’immaginò André D’Harmòn che baciava la
mano a
Lady Sarah… presa da quella fantasia, permise a Webb di andare oltre al
semplice
baciamano. Infatti lui, vedendo che non rifiutava quel gesto, decise di
proseguire nel suo intento e le fece scivolare la mano dietro la nuca,
attirando a sé il suo volto. Posò la bocca sulla sua e s’impossessò
avidamente
delle sue labbra.
“Come il Conte…”
pensò Mac, mentre rispondeva al bacio
quasi senza rendersene conto.
Incoraggiato
dalla sua risposta, Clayton fece scivolare
l’altra mano sulla pelle scoperta della sua gamba e risalì lentamente…
Soddisfatto perché non lo aveva ancora fermato, la strinse più forte a
sé e le
sussurrò all’orecchio:
“Perché non
saliamo a casa tua?”
Fu quello il
suo errore: farle udire la propria voce.
Lei, infatti,
era presa dall’incanto del suo sogno. Era
tra le braccia di André D’Harmon, il “suo” André D’Harmon, il
bellissimo
Comandante che le leggeva le parole di un nobile di un secolo prima…
tutte le
parole appassionate che aveva sempre voluto sentirgli dire…
Quella voce
al suo orecchio non era la voce di Harm!
Si riscosse
brutalmente, come sotto una secchiata d’acqua
gelida, e si rese conto solo in quel momento di quello che realmente
stava
accadendo: era tra le braccia di Clayton Webb, dopo aver risposto ad un
suo
bacio, e con la sua mano che stava cercando di risalire verso le sue
parti più
intime…
“Fermati,
Clayton” disse finalmente decisa.
“Perché?”
domandò lui, travolto dal desiderio del suo
corpo, senza far cenno d’averla presa sul serio: credeva volesse
giocare un
po’, facendosi desiderare di più... era tipico delle donne come lei.
“Fermati ho
detto!”
Finalmente
lui si bloccò, di fronte al tono secco della
sua voce. La guardò sprezzante e divertito: “Che ti succede? Vuoi fare
la
preziosa?”
Lei lo
fulminò con lo sguardo, anche se doveva riconoscere
che era stata solo colpa sua. La sua reazione al bacio doveva avergli
fatto
credere che le cose tra loro potessero ricominciare.
“Mi spiace,
Clay. Mi spiace d’averti fatto credere il
contrario, ma sono uscita con te solo per dirti i motivi che mi hanno
spinta a
lasciarti.”
“E avevi
intenzione di dirmeli a letto? Visto come hai
risposto al mio bacio, cosa dovevo pensare? E poi…”
“Hai ragione,
scusami. E’ che…”
“Che cosa,
Sarah? Che non sono l’uomo che vorresti
baciare?”
“Smettila,
Clayton. Tu non capisci…”
“Oh, sì che
capisco. Capisco benissimo. Io ti amo, Sarah.
Ti amo e ti voglio. Ma tu continui a tenermi sulla corda, e solo perché
speri
sempre che Harmon Rabb ti voglia, vero?”
“Sei odioso,
ora.”
“Solo perché
dico la verità?” chiese cattivo. Poi,
accorgendosi che era la strada sbagliata, ritornò sui propri passi.
“Scusami…
scusami, Sarah. E’ che ho sofferto molto quando
mi hai detto che non volevi più vedermi… credevo che questa sera
potesse essere
un nuovo inizio, per noi. Dimentica le mie parole… non le penso
davvero…
dimentica tutto, tranne che ti amo. Che ti amo moltissimo…”
Lei si sentì
confusa e in colpa: in fondo quello che Clay le aveva detto era in
parte vero.
Lei voleva Harm. Lo aveva respinto, in Paraguay, e ora non sapeva come
fargli
capire che aveva cambiato idea, che avrebbe voluto provare ad avere una
storia
con lui. Lo aveva baciato, ma neanche quello sembrava averlo smosso più
di
tanto.
Lei lo
desiderava; desiderava un uomo…
Accidenti,
che confusione! Perché la sua vita doveva
essere sempre tanto complicata?
Eccolo lì un
uomo. Un uomo che la voleva…
Peccato che
lei desiderasse l’unico che non le avrebbe mai
detto le parole che avrebbe voluto sentirsi dire! Anche quando le aveva
fatto
capire di desiderarla, in quella camera d’albergo in Paraguay, non lo
aveva
fatto in maniera chiara e decisa, ma solo con allusioni e giri di
parole.
E lei lo
aveva rifiutato…
“E’ meglio
che vada” disse a Clayton Webb.
“No… fermati
ancora un poco. Parliamo… parliamo soltanto.
Ti prego, Sarah…”
“E’ inutile,
Clay. Non tornerò sulla mia decisione…” disse
mentre apriva la portiera e scendeva dall’auto.
Si chinò al
finestrino che lui aveva abbassato per
salutarlo e sentì che le diceva:
“Neppure io
abbandonerò la mia idea: ti amo e farò di
tutto per convincerti a tornare con me. Buonanotte, Sarah.”
Quindi se ne
andò, lasciandola sola sul marciapiede sotto
casa, più confusa che mai.
***
“Vi
consiglio, Conte, di abbandonare Vienna
assieme a Lady Sarah prima possibile” disse Francesco Giuseppe non
appena la
festa si fu conclusa.
Lady
Sarah aveva accompagnato nei suoi
appartamenti l’Imperatrice, lasciando soli il Conte D’Harmòn e
l’Imperatore.
Questi,
preoccupato per la sorte del Conte e di
Lady Sarah, stava spiegando a D’Harmòn i motivi per i quali, a suo
avviso,
avrebbe dovuto abbandonare Vienna assieme a Milady.
“Credete
davvero che sia necessario, Vostra
Maestà?” chiese André.
“Certamente,
Conte. E’ troppo pericoloso per
voi restare ancora a palazzo. Soprattutto per Milady… credo che si sia
spinta
troppo oltre con il Conte Von Webb per ottenere certe informazioni che
non
avrebbe avuto altrimenti… e voi lo sapete, André.”
Lo
sapeva, eccome se lo sapeva! Ma sentirlo
confermare dall’Imperatore stesso era come ricevere una nuova pugnalata
al
petto.
L’Imperatore
non poteva immaginare quanto le
sue parole gli stessero facendo del male… eppure aveva ragione: Lady
Sarah era
in pericolo. Anche se non si fosse concessa al Conte bavarese, di certo
lui
avrebbe interrogato la Battyàny e quella, pur di non mettere in
pericolo la
figlia, avrebbe detto qualunque cosa contro la Baronessa de Bellegarde.
Doveva
andarsene e portare con sé Lady Sarah. E
questo prima che l’Imperatore sguinzagliasse i suoi uomini alla ricerca
di Von
Webb, altrimenti sarebbe stato troppo tardi.
“D’accordo,
Vostra Maestà, farò come mi
chiedete” acconsentì il Conte.
“Mi
spiace privarmi della vostra compagnia e
del vostro aiuto, Conte D’Harmòn, lo sapete bene, ma la vostra vita e
quella di
Milady sono in serio pericolo… Non intendo permettere che possiate
correre
ulteriori rischi. Entrambi avete svolto egregiamente il compito
assegnatovi;
ora spetta alle mie guardie catturare quel maledetto traditore…”
aggiunse
Francesco Giuseppe.
“Grazie,
Vostra Maestà” rispose umilmente il
Conte D’Harmòn. Portava un grande rispetto per quell’uomo quasi suo
coetaneo,
cui il compito il destino gli aveva dato carico a volte pareva essere
più
grande di lui, eppure lo perseguiva con instancabile energia.
S’inchinò rispettosamente al cospetto del Sovrano del più grande impero europeo e se ne andò, lasciandolo solo ad affrontare l’ordine forse peggiore che avrebbe dovuto dare ai suoi uomini: catturare la persona che, a parte sua madre e la sua adorata moglie, gli era stata più vicina da quando era diventato Imperatore.
***
Guardava il
diario del conte e intanto la immaginava tra
le braccia di Webb.
Era andato a
casa, al termine dell’orario d’ufficio, ma si
era sentito come un animale in gabbia: continuava a vederla con Clayton
e non
aveva resistito. Si era rimesso la giacca dell’uniforme che non si era
neppure
tolto ed era tornato al Jag.
Voleva
tentare di lavorare un po’: avevano fatto grandi
passi avanti nella ricerca, soprattutto grazie al ritrovamento della
rotta
della Medea
risalente al viaggio del 1857. La mappa nautica confermava le
lettere ricevute dalla moglie di Blackbird datate fine novembre 1856 e
provenienti dall’Italia: dalle missive risultava che l’Ammiraglio
avesse
scortato un generale e la moglie a Roma, in vista del matrimonio della
loro
figlia con un nobile italiano.
Eppure la
rotta Marsiglia–Southampton–Southampton–Boston
da sola ancora non confermava che la Medea avesse trasportato Lady
Sarah e il
Conte D’Harmòn.
Fino a quel
momento, dalla lettura del diario, sapevano
solo che D’Harmon e Lady Sarah sospettavano Von Webb di essere colui
che voleva
uccidere l’Imperatrice Elisabetta d’Austria. L’unica altra cosa certa
della
quale erano a conoscenza era che il diario del conte si trovava a bordo
della
nave, altrimenti non si spiegava come fosse finito tra gli effetti
personali
dell’Ammiraglio Blackbird.
Ma come e
perché ci fosse finito era ancora tutto da
scoprire.
Aveva deciso
di portarsi avanti con il lavoro, ma aveva
trovato sul tavolo il diario del conte, che Mac aveva scordato in
ufficio,
certamente tutta presa dall’emozione per la serata con il suo amante.
Dannazione,
quanto la odiava quando lo faceva sentire
così!
Perché gli
aveva fatto credere di aver rotto con Webb
quando non era vero?
Eppure
sembrava sincera, quando glielo aveva detto.
E se fosse
stato Webb a convincerla ad uscire?
Già, ma lei
aveva accettato.
Oh,
accidenti…
Si stava
comportando esattamente come quell’idiota di un
francese, innamorato di una donna che non lo degnava di uno sguardo,
che lo
respingeva e al tempo stesso lo baciava, mentre si portava a letto un
altro…
Eppure
l’avrebbe voluta lì con lui, a continuare la
lettura di quello stupido diario, perché era certo che la chiave di
quella
vicenda fosse tutta lì, tra quelle pagine. Inoltre doveva ammettere che
era
curioso di sapere cos’era accaduto a lady Sarah e al conte.
Invece lei
era con Clayton...
La vide
ridere alle sue battute, la immaginò mentre
rispondeva con passione ai suoi baci e alle sue carezze e sentì il
doloroso
morso della gelosia.
No, si disse,
non era gelosia la sua. Solo rabbia. Rabbia
per come l’aveva di nuovo illuso…
Era davvero
stanco di quel tira e molla con lei…
Ma,
nonostante tutto, si rese conto che non riusciva a
fare a meno di Mac.
***
Uscì
furtiva dalla sua stanza con solo la
piccola borsa che aveva con sé al suo arrivo a Vienna poco più di tre
mesi
prima; il lungo e pesante mantello nero che aveva ripiegato al braccio
la
nascondeva alla vista, per destare meno sospetti nel caso avesse
incontrato
qualcuno: poteva sempre dire che non riusciva a prendere sonno e che
stava
andando a fare una cavalcata… Certo, sarebbe stata presa per pazza se
avesse
detto ad un servitore o a chiunque che stava per uscire a cavallo alle
quattro
del mattino, ma che importava? Era già stata vista recarsi alle
scuderie
all’alba, infagottata in abiti maschili… in quel momento era prima del
solito,
ma poteva addurre come scusa gli avvenimenti accaduti durante il
ricevimento di
Natale.
Ancora
più attenta del solito a non far rumore,
prese a scendere il grande scalone diretta all’appuntamento con André
D’Harmòn.
Il Conte l’aveva avvertita, non appena era uscita dagli appartamenti
dell’Imperatrice, che Sua Maestà Francesco Giuseppe aveva ordinato loro
di
abbandonare al più presto Vienna e l’Austria, per sfuggire a Von Webb
il quale
avrebbe di certo cercato di ucciderli non appena si fosse reso conto
che si
sospettava di lui come mandante dell’assassinio dell’Imperatrice
Elisabetta.
Andrè
D’Harmòn le aveva concesso non più di
un’ora per preparare le sue cose e raggiungerlo al limitare dei
giardini, dove
li attendeva una carrozza messa a disposizione da Sua Maestà, che li
avrebbe
condotti in Francia. Alla cattura di Von Webb ci avrebbero pensato le
guardie
dell’Imperatore.
Uscì
dal Palazzo e rabbrividì per il gelo della
notte. Pensò di fermarsi un attimo per indossare il pesante mantello
che
l’avrebbe riscaldata un po’, ma poi preferì evitare di perdere tempo:
prima
partivano, meglio sarebbe stato.
S’incamminò
rapidamente lungo il viale che
conduceva al grande cancello che delimitava la residenza degli Asburgo
ed era
arrivata circa a metà strada quando, all’improvviso, un’ombra le si
parò di
fronte, sbucando da dietro un cespuglio che costeggiava il viale.
Inizialmente
pensò che si trattasse del Conte D’Harmòn, che le era venuto incontro,
ma si
disse subito che se fosse stato lui non l’avrebbe colta così di
sorpresa. E poi
l’uomo incappucciato non era alto quanto André…
Anche
se il volto era ancora coperto alla sua
vista, quando sentì la lama di una spada che le premeva contro il
petto,
comprese immediatamente chi aveva di fronte e si rese conto che la sua
vita
sarebbe finita molto presto...
Non
provò paura all’idea che Von Webb l’avrebbe
uccisa: l’unico pensiero che le attraversò la mente fu che non avrebbe
più
rivisto gli occhi di André D’Harmòn.