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Autore: Alexandra e Mac    01/06/2012    4 recensioni
La storia, quella con la “S” maiuscola, a volte riserva grandi sorprese. Fra le pieghe di un libro può capitare di trovare le cose più strane, o fra le sue righe captare qualcosa che non è detto esplicitamente ma che è volutamente lasciato intuire dall’autore o dall’autrice.
Sono specialmente le biografie del “grandi” quelle che riservano le maggiori meraviglie, e occorre un occhio attento per saper cogliere quello che, in superficie, non compare.
Questo racconto è nato così, cercando i messaggi nascosti che la Storia ha disseminato lungo il suo cammino e che alcuni più perspicaci hanno saputo cogliere e che hanno poi elaborato offrendoli al lettore.
Siamo certe che adesso anche voi cercherete fra il detto e il non detto di un volume quella zona grigia che vi spalancherà le porte di un altro mondo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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GdD - 2 - Un Diario

Capitolo XXII

Nulla come previsto



“Sei splendida!” esordì Clayton, non appena la vide.

“Grazie” rispose lei.

Con la consueta galanteria che lo contraddistingueva, le aprì la portiera dell’auto, attese che si accomodasse, la richiuse e raggiunse il posto di guida. Prima di rimettere in moto tentò di baciarla, ma lei lo fermò decisa: non voleva dargli illusioni riguardo alla serata. Aveva deciso di rivederlo solo per chiarire i motivi della sua decisione, non per riprendere qualcosa tra loro.

Lui si ritirò senza commentare, accogliendo con eleganza il suo rifiuto, anche se dentro di sé cominciava a spazientirsi: era convinto che lei lo avesse lasciato a causa delle continue menzogne che le aveva raccontato riguardo il suo lavoro e aveva deciso di riconquistarla, promettendole, se necessario, la luna pur di riaverla di nuovo nel suo letto. Per quanto riguardava la sincerità che Mac tanto reclamava, semplicemente sarebbe dovuto stare più attento e crearsi finzioni più credibili e meglio confezionate.

Mise in moto e si diresse verso il ristorante dove aveva prenotato il tavolo migliore. Si trattava di un locale elegante, molto alla moda, ma sufficientemente tranquillo e romantico. Aveva in mente un perfetto piano di seduzione, al quale lei non avrebbe di certo resistito. Sarah amava essere al centro dell’attenzione di un uomo… non importava se il suo cuore continuava a struggersi per il Comandante Rabb: era sufficiente che un uomo la adulasse, la riempisse di mille attenzioni, quelle attenzioni che aveva sempre smaniato da Rabb, per averla. E lui, in quanto a galanteria, adulazione e attenzioni ad una donna era di certo superiore al suo rivale. Proprio per questo l’aveva già avuta. E l’avrebbe avuta di nuovo.

La cena si svolse come da copione: il cibo era perfetto e la conversazione altrettanto. Clayton Webb, astuto com’era sua natura, evitò argomenti pericolosi, parlando di tutto fuorché del loro rapporto e Mac, poco alla volta, si rilassò. Nonostante tutto apprezzava la compagnia di Clayton e il suo modo di fare tanto accattivante con le donne. Era un perfetto cavaliere, romantico e appassionato, quando voleva. E in quel momento sembrava volerlo molto.

Soltanto al termine della serata, quando la riaccompagnò a casa, lei si accorse che non avevano chiarito proprio nulla. Se ne rese conto quando lui tentò nuovamente di baciarla.

“No, Clay…”

“Perché no? Siamo stati benissimo, questa sera, non trovi? Ti prometto che le cose cambieranno, Sarah…”

E così dicendo le aveva preso una mano, per portarsela alle labbra, dimenticando per un attimo il bacio che voleva darle.

Quel gesto sorprese Mac la quale, come catapultata in un’altra dimensione temporale, s’immaginò André D’Harmòn che baciava la mano a Lady Sarah… presa da quella fantasia, permise a Webb di andare oltre al semplice baciamano. Infatti lui, vedendo che non rifiutava quel gesto, decise di proseguire nel suo intento e le fece scivolare la mano dietro la nuca, attirando a sé il suo volto. Posò la bocca sulla sua e s’impossessò avidamente delle sue labbra.

Come il Conte…” pensò Mac, mentre rispondeva al bacio quasi senza rendersene conto.

Incoraggiato dalla sua risposta, Clayton fece scivolare l’altra mano sulla pelle scoperta della sua gamba e risalì lentamente… Soddisfatto perché non lo aveva ancora fermato, la strinse più forte a sé e le sussurrò all’orecchio:

“Perché non saliamo a casa tua?”

Fu quello il suo errore: farle udire la propria voce.

Lei, infatti, era presa dall’incanto del suo sogno. Era tra le braccia di André D’Harmon, il “suo” André D’Harmon, il bellissimo Comandante che le leggeva le parole di un nobile di un secolo prima… tutte le parole appassionate che aveva sempre voluto sentirgli dire…

Quella voce al suo orecchio non era la voce di Harm!

Si riscosse brutalmente, come sotto una secchiata d’acqua gelida, e si rese conto solo in quel momento di quello che realmente stava accadendo: era tra le braccia di Clayton Webb, dopo aver risposto ad un suo bacio, e con la sua mano che stava cercando di risalire verso le sue parti più intime…

“Fermati, Clayton” disse finalmente decisa.

“Perché?” domandò lui, travolto dal desiderio del suo corpo, senza far cenno d’averla presa sul serio: credeva volesse giocare un po’, facendosi desiderare di più... era tipico delle donne come lei.

“Fermati ho detto!”

Finalmente lui si bloccò, di fronte al tono secco della sua voce. La guardò sprezzante e divertito: “Che ti succede? Vuoi fare la preziosa?”

Lei lo fulminò con lo sguardo, anche se doveva riconoscere che era stata solo colpa sua. La sua reazione al bacio doveva avergli fatto credere che le cose tra loro potessero ricominciare.

“Mi spiace, Clay. Mi spiace d’averti fatto credere il contrario, ma sono uscita con te solo per dirti i motivi che mi hanno spinta a lasciarti.”

“E avevi intenzione di dirmeli a letto? Visto come hai risposto al mio bacio, cosa dovevo pensare? E poi…”

“Hai ragione, scusami. E’ che…”

“Che cosa, Sarah? Che non sono l’uomo che vorresti baciare?”

“Smettila, Clayton. Tu non capisci…”

“Oh, sì che capisco. Capisco benissimo. Io ti amo, Sarah. Ti amo e ti voglio. Ma tu continui a tenermi sulla corda, e solo perché speri sempre che Harmon Rabb ti voglia, vero?”

“Sei odioso, ora.”

“Solo perché dico la verità?” chiese cattivo. Poi, accorgendosi che era la strada sbagliata, ritornò sui propri passi.

“Scusami… scusami, Sarah. E’ che ho sofferto molto quando mi hai detto che non volevi più vedermi… credevo che questa sera potesse essere un nuovo inizio, per noi. Dimentica le mie parole… non le penso davvero… dimentica tutto, tranne che ti amo. Che ti amo moltissimo…”

Lei si sentì confusa e in colpa: in fondo quello che Clay le aveva detto era in parte vero. Lei voleva Harm. Lo aveva respinto, in Paraguay, e ora non sapeva come fargli capire che aveva cambiato idea, che avrebbe voluto provare ad avere una storia con lui. Lo aveva baciato, ma neanche quello sembrava averlo smosso più di tanto.

Lei lo desiderava; desiderava un uomo…

Accidenti, che confusione! Perché la sua vita doveva essere sempre tanto complicata?

Eccolo lì un uomo. Un uomo che la voleva…

Peccato che lei desiderasse l’unico che non le avrebbe mai detto le parole che avrebbe voluto sentirsi dire! Anche quando le aveva fatto capire di desiderarla, in quella camera d’albergo in Paraguay, non lo aveva fatto in maniera chiara e decisa, ma solo con allusioni e giri di parole.

E lei lo aveva rifiutato…

“E’ meglio che vada” disse a Clayton Webb.

“No… fermati ancora un poco. Parliamo… parliamo soltanto. Ti prego, Sarah…”

“E’ inutile, Clay. Non tornerò sulla mia decisione…” disse mentre apriva la portiera e scendeva dall’auto.

Si chinò al finestrino che lui aveva abbassato per salutarlo e sentì che le diceva:

“Neppure io abbandonerò la mia idea: ti amo e farò di tutto per convincerti a tornare con me. Buonanotte, Sarah.”

Quindi se ne andò, lasciandola sola sul marciapiede sotto casa, più confusa che mai.

 

 


***



“Vi consiglio, Conte, di abbandonare Vienna assieme a Lady Sarah prima possibile” disse Francesco Giuseppe non appena la festa si fu conclusa.

Lady Sarah aveva accompagnato nei suoi appartamenti l’Imperatrice, lasciando soli il Conte D’Harmòn e l’Imperatore.

Questi, preoccupato per la sorte del Conte e di Lady Sarah, stava spiegando a D’Harmòn i motivi per i quali, a suo avviso, avrebbe dovuto abbandonare Vienna assieme a Milady.

“Credete davvero che sia necessario, Vostra Maestà?” chiese André.

“Certamente, Conte. E’ troppo pericoloso per voi restare ancora a palazzo. Soprattutto per Milady… credo che si sia spinta troppo oltre con il Conte Von Webb per ottenere certe informazioni che non avrebbe avuto altrimenti… e voi lo sapete, André.”

Lo sapeva, eccome se lo sapeva! Ma sentirlo confermare dall’Imperatore stesso era come ricevere una nuova pugnalata al petto.

L’Imperatore non poteva immaginare quanto le sue parole gli stessero facendo del male… eppure aveva ragione: Lady Sarah era in pericolo. Anche se non si fosse concessa al Conte bavarese, di certo lui avrebbe interrogato la Battyàny e quella, pur di non mettere in pericolo la figlia, avrebbe detto qualunque cosa contro la Baronessa de Bellegarde.

Doveva andarsene e portare con sé Lady Sarah. E questo prima che l’Imperatore sguinzagliasse i suoi uomini alla ricerca di Von Webb, altrimenti sarebbe stato troppo tardi.

“D’accordo, Vostra Maestà, farò come mi chiedete” acconsentì il Conte.

“Mi spiace privarmi della vostra compagnia e del vostro aiuto, Conte D’Harmòn, lo sapete bene, ma la vostra vita e quella di Milady sono in serio pericolo… Non intendo permettere che possiate correre ulteriori rischi. Entrambi avete svolto egregiamente il compito assegnatovi; ora spetta alle mie guardie catturare quel maledetto traditore…” aggiunse Francesco Giuseppe.

“Grazie, Vostra Maestà” rispose umilmente il Conte D’Harmòn. Portava un grande rispetto per quell’uomo quasi suo coetaneo, cui il compito il destino gli aveva dato carico a volte pareva essere più grande di lui, eppure lo perseguiva con instancabile energia.

S’inchinò rispettosamente al cospetto del Sovrano del più grande impero europeo e se ne andò, lasciandolo solo ad affrontare l’ordine forse peggiore che avrebbe dovuto dare ai suoi uomini: catturare la persona che, a parte sua madre e la sua adorata moglie, gli era stata più vicina da quando era diventato Imperatore.

 

 


***



Guardava il diario del conte e intanto la immaginava tra le braccia di Webb.

Era andato a casa, al termine dell’orario d’ufficio, ma si era sentito come un animale in gabbia: continuava a vederla con Clayton e non aveva resistito. Si era rimesso la giacca dell’uniforme che non si era neppure tolto ed era tornato al Jag.

Voleva tentare di lavorare un po’: avevano fatto grandi passi avanti nella ricerca, soprattutto grazie al ritrovamento della rotta della Medea risalente al viaggio del 1857. La mappa nautica confermava le lettere ricevute dalla moglie di Blackbird datate fine novembre 1856 e provenienti dall’Italia: dalle missive risultava che l’Ammiraglio avesse scortato un generale e la moglie a Roma, in vista del matrimonio della loro figlia con un nobile italiano.

Eppure la rotta Marsiglia–Southampton–Southampton–Boston da sola ancora non confermava che la Medea avesse trasportato Lady Sarah e il Conte D’Harmòn.

Fino a quel momento, dalla lettura del diario, sapevano solo che D’Harmon e Lady Sarah sospettavano Von Webb di essere colui che voleva uccidere l’Imperatrice Elisabetta d’Austria. L’unica altra cosa certa della quale erano a conoscenza era che il diario del conte si trovava a bordo della nave, altrimenti non si spiegava come fosse finito tra gli effetti personali dell’Ammiraglio Blackbird.

Ma come e perché ci fosse finito era ancora tutto da scoprire.

Aveva deciso di portarsi avanti con il lavoro, ma aveva trovato sul tavolo il diario del conte, che Mac aveva scordato in ufficio, certamente tutta presa dall’emozione per la serata con il suo amante.

Dannazione, quanto la odiava quando lo faceva sentire così!

Perché gli aveva fatto credere di aver rotto con Webb quando non era vero?

Eppure sembrava sincera, quando glielo aveva detto.

E se fosse stato Webb a convincerla ad uscire?

Già, ma lei aveva accettato.

Oh, accidenti…

Si stava comportando esattamente come quell’idiota di un francese, innamorato di una donna che non lo degnava di uno sguardo, che lo respingeva e al tempo stesso lo baciava, mentre si portava a letto un altro…

Eppure l’avrebbe voluta lì con lui, a continuare la lettura di quello stupido diario, perché era certo che la chiave di quella vicenda fosse tutta lì, tra quelle pagine. Inoltre doveva ammettere che era curioso di sapere cos’era accaduto a lady Sarah e al conte.

Invece lei era con Clayton...

La vide ridere alle sue battute, la immaginò mentre rispondeva con passione ai suoi baci e alle sue carezze e sentì il doloroso morso della gelosia.

No, si disse, non era gelosia la sua. Solo rabbia. Rabbia per come l’aveva di nuovo illuso…

Era davvero stanco di quel tira e molla con lei…

Ma, nonostante tutto, si rese conto che non riusciva a fare a meno di Mac.

 

 

 

 


***



Uscì furtiva dalla sua stanza con solo la piccola borsa che aveva con sé al suo arrivo a Vienna poco più di tre mesi prima; il lungo e pesante mantello nero che aveva ripiegato al braccio la nascondeva alla vista, per destare meno sospetti nel caso avesse incontrato qualcuno: poteva sempre dire che non riusciva a prendere sonno e che stava andando a fare una cavalcata… Certo, sarebbe stata presa per pazza se avesse detto ad un servitore o a chiunque che stava per uscire a cavallo alle quattro del mattino, ma che importava? Era già stata vista recarsi alle scuderie all’alba, infagottata in abiti maschili… in quel momento era prima del solito, ma poteva addurre come scusa gli avvenimenti accaduti durante il ricevimento di Natale.

Ancora più attenta del solito a non far rumore, prese a scendere il grande scalone diretta all’appuntamento con André D’Harmòn. Il Conte l’aveva avvertita, non appena era uscita dagli appartamenti dell’Imperatrice, che Sua Maestà Francesco Giuseppe aveva ordinato loro di abbandonare al più presto Vienna e l’Austria, per sfuggire a Von Webb il quale avrebbe di certo cercato di ucciderli non appena si fosse reso conto che si sospettava di lui come mandante dell’assassinio dell’Imperatrice Elisabetta.

Andrè D’Harmòn le aveva concesso non più di un’ora per preparare le sue cose e raggiungerlo al limitare dei giardini, dove li attendeva una carrozza messa a disposizione da Sua Maestà, che li avrebbe condotti in Francia. Alla cattura di Von Webb ci avrebbero pensato le guardie dell’Imperatore.

Uscì dal Palazzo e rabbrividì per il gelo della notte. Pensò di fermarsi un attimo per indossare il pesante mantello che l’avrebbe riscaldata un po’, ma poi preferì evitare di perdere tempo: prima partivano, meglio sarebbe stato.

S’incamminò rapidamente lungo il viale che conduceva al grande cancello che delimitava la residenza degli Asburgo ed era arrivata circa a metà strada quando, all’improvviso, un’ombra le si parò di fronte, sbucando da dietro un cespuglio che costeggiava il viale. Inizialmente pensò che si trattasse del Conte D’Harmòn, che le era venuto incontro, ma si disse subito che se fosse stato lui non l’avrebbe colta così di sorpresa. E poi l’uomo incappucciato non era alto quanto André… 

Anche se il volto era ancora coperto alla sua vista, quando sentì la lama di una spada che le premeva contro il petto, comprese immediatamente chi aveva di fronte e si rese conto che la sua vita sarebbe finita molto presto...

Non provò paura all’idea che Von Webb l’avrebbe uccisa: l’unico pensiero che le attraversò la mente fu che non avrebbe più rivisto gli occhi di André D’Harmòn.

 

 

  
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