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Autore: Buck    05/06/2012    1 recensioni
Si tratta di una breve one-shot su Mirtilla Malcontenta. A dire la verità, è uno dei personaggi che meno ho apperezzato della saga, però mi piaceva l'idea che anche lei nascondesse un segreto. Credo che anche le comparse abbiano qualcosa da dire, sempre. Perciò, lascio parlare lei.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Mi chiamano Mirtilla Malcontenta. Sono un fantasma. Anzi, qui a Hoghwartz sono il fantasma. Sono il fantasma che infesta  i bagni della scuola e passa le sue giornate a piangere e lamentarsi.

Una volta ero una ragazza come tante: una ragazza che amava stare in compagnia, scherzare con le amiche. Una ragazza timida e non particolarmente bella, forse, con gli occhiali e le trecce, ma anche vivace e sorridente. Una ragazza che voleva vivere. Amavo questa scuola, la mia scuola, anche se non mi piaceva particolarmente studiare. E avevo dei sogni, come tutti, castelli in aria che sono scoppiati, come bolle di sapone toccate dal vento, molti anni fa.

Anomala, fino a quando sono stata uccisa da Lord Voldemort. In realtà sono stati due occhi gialli, grandi e densi, a gettarmi nel baratro, gli occhi di un basilisco, ma so che il mandante è lui, Voi-Sapete-Chi.

Da viva non ero nessuno, e da morta continuo a non essere nessuno. Eppure, a dispetto delle mie lacrime, non mi importa. In realtà non piangevo perché un ragazzo dispettoso e antipatico mi ha tirato le trecce, non piangevo perché mi insultavano in quanto Mezzosangue.

Io piangevo perché sapevo come sarebbero andate le cose, e nessuno è stato a sentirmi. Non mi hanno ascoltata le mie amiche, i miei genitori, nemmeno i professori.
I
o avevo visto: la notte prima di morire avevo sognato un mostro grande e pesante muoversi nel castello e la scuola spaccarsi a metà. Ma io non ero una Veggente, e non avevo doti particolari. Mi dissero che mi ero fatta suggestionare, comprensibilmente, dalle circostanze,  e mi rispedirono a dormire con un calmante.

Il giorno dopo, chiusa nei bagni a piangere, e a pregare di essere ascoltata, sono stata uccisa. Ricordo con estrema chiarezza quel momento: ho avvertito degli strani rumori provenire dal pavimento e i lavandini che si spaccavano in mille pezzi. Il risucchio dell’acqua ha un suono terribile per le mie orecchie. E poi la porta del bagno in cui mi ero rifugiata si è spalancata, da sola. Ho provato paura, rabbia, rassegnazione. Perché la gente non sa ascoltare?

Mi sono risvegliata come fantasma. Per me si sono versate lacrime, sprecate belle parole. Qualcuno forse ha provato rimorso, altri avranno gioito della mia dipartita. Questo però voglio che voi teniate bene a mente: io non sono tornata come fantasma perché avevo paura di morire.

Io sono tornata per ricordare a tutti del mio sogno, perché la mia fine fosse servita a qualcosa.

Eppure sono stata ignorata anche da morta, e da allora albergo in questo stesso bagno in cui è finita la mia vita da umana e incominciata quella nuova da fantasma. Per farmi notare non mi resta che piangere e allagare i bagni. Urlo e strepito e mi comporto da pazza. Allago il terzo piano ogni volta che posso. Anelo attenzione. Invano.   

E, mentre piango, aspetto. Aspetto che qualcuno mi chieda perché sono qui, e impari ad avere fiducia nelle persone, impari a credere ed ascoltare.

Quando questa guerra finirà, solo allora, io avrò pace.

Fino a quel momento, io resterò Mirtilla Malcontenta, lo spettro di una ragazza che anche da morta si ostina a sperare 

  
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