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Autore: Miss Fayriteil    06/06/2012    1 recensioni
Jane potrebbe essere una donna come tante, con una bella e numerosa famiglia, ma in realtà nel suo passato si nasconde un doloroso segreto...
Questa storia l'ho scritta un po' di tempo fa... spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9.
 
 
Rimase da loro per tutto il periodo, che per lei fu uno dei più felici di tutta la sua vita. Ad un certo punto, all’inizio della seconda metà di luglio, ci furono anche il secondo compleanno di Nicholas ed il primo di Claudia. Fecero una festa unica per entrambi i bambini, che fu davvero molto divertente. Per la prima volta dopo molto tempo, Jane si sentiva veramente al sicuro. Ron la accompagnava dappertutto con la sua automobile, anche quando doveva andare in ospedale per le varie visite di controllo. Un giorno di quelli, mentre erano in macchina sulla via di casa, Jane gli disse: «Sai, Ron, devi ritenerti fortunato, rispetto ai padri degli altri miei tre figli».
  «Ah, sì?» le chiese lui, senza togliere gli occhi, mascherati dagli scuri occhiali da sole, di dosso dalla strada. «E perché mai?»
  «Perché tu sarai l’unico a veder nascere tuo figlio e a poterlo conoscere. Gli altri non hanno potuto, Number One perché gliel’ho impedito io, è una storia molto lunga e complicata, e gli altri due neanche perché me ne sono andata da casa loro, non appena ho scoperto di essere in attesa».
  «Wow», commentò Ron, con aria pensierosa. «Allora è un grande onore, davvero». Anche quel giorno, come succedeva sempre, quando arrivarono a casa, Ellen aveva chiesto a Jane se aveva saputo se il bambino era maschio o femmina. Jane aveva risposto, come tutte le volte, di no, perché riteneva di non averne bisogno. Infatti, sospettava già che fosse una bambina.
  Dai Brooks, Jane si sentiva bene, era tranquilla e per la prima volta aveva trovato una famiglia veramente normale, senza genitori ipocriti o quindicenni pazzi. Quando Jane aveva annunciato loro di essere rimasta incinta di Ron, Ellen aveva semplicemente scosso la testa e con un sorriso ironico, aveva detto: «Cosa vi avevo detto, ragazzi? Non avete voluto darmi ascolto, tanto peggio per voi. Non importa, Jane, non ti preoccupare affatto. Ovviamente sei la benvenuta per tutto il tempo che vuoi e se t’interessa un consiglio spassionato da parte di qualcuno che se ne intende, rimani qui almeno fino a dopo che è nato il bambino. Sarebbe meglio sia per te che per lui, sareste molto più riposati. Poi, se senti di preferire così, puoi decidere di rimanere anche per più tempo».
  Insomma, la trattavano giustamente e un giorno Ben Brooks la aiutò anche a ricordarsi il nome della via dove abitavano i suoi genitori, partendo dal nome di suo padre, Anthony Thaisis. Fece una lunga ricerca su Internet, ma alla fine lo trovò e diede a Jane un biglietto con scritto sopra l’indirizzo. La ragazza si vergognò di se stessa per essersene dimenticata, ma Ben le disse: «Non fartene una colpa. Ne hai passate davvero tante in tutti questi anni. Hai avuto troppi traumi in poco tempo, è abbastanza comprensibile. Avevi ben altro per la testa, immagino. Puoi fidarti di ciò che ti dico, ho avuto diversi pazienti che avevano dei casi molto simili al tuo».
  Per Jane fu come rinascere un’altra volta, come cominciare una vita del tutto nuova, una vita che era finita con il rapimento. Sentiva che poteva aver trovato sicuramente una nuova famiglia, ma non avrebbe mai, neanche osato pensare di abbandonare la sua. Passarono diversi mesi, in cui la vita di Jane e dei suoi figli si stabilizzò sempre di più. Jane scoprì anche che Ron compiva ventisei anni in ottobre, così decise di organizzargli una festa a sorpresa, invitando alcuni amici del ragazzo e che ora conosceva bene anche lei. Non avrebbe più voluto andarsene, ma d’altra parte era perfettamente consapevole di non poter restare lì in eterno.
  Una sera di novembre disse ad Ellen: «So quello che mi avete detto, a proposito di restare qui. In questo momento io mi trovo in una posizione molto difficile, perché naturalmente rimarrei qui più che volentieri anche per una decina d’anni, ma allo stesso tempo ho paura di disturbare e di crearvi qualche fastidio, perché dopotutto io ho invaso casa vostra con i miei tre figli, che tra poco saranno quattro».
  «Non pensarci neanche per un momento, Jane» rispose Ellen, in tono deciso. «Tu non disturbi per niente. Veramente, sei la benvenuta qui per tutto il tempo che desideri, non angosciarti senza motivo. Non hai assolutamente invaso casa nostra. Noi adoriamo i tuoi figli e adoriamo anche te».
  Ma nonostante tutto, Jane sapeva che entro qualche mese se ne sarebbe andata.
  La Vigilia di Natale, verso le dieci di mattina, i tre Brooks più Jane erano in cucina a fare colazione tutti insieme. Ad un certo punto si sentì suonare il campanello ed Ellen andò ad aprire. Dopo un istante di silenzio la donna strillò: «Wendy! Tesoro, non ci posso credere, che bello vederti! Ma che cosa ci fai qui?»
  Ellen rientrò in cucina,seguita da una ragazza dai capelli biondi e ricci, che assomigliava molto ad Ellen. La donna esclamò, rivolta al marito e al figlio: «Guardate chi è venuta a trovarci!» Ron si alzò immediatamente da tavola e corse ad abbracciare la ragazza. Il ragazzo esclamò:«Wendy, oh mio Dio, quanto sono felice di vederti! Mi sei mancata tantissimo». Jane per un terribile istante, credette che quella fosse la ragazza di Ron e si sentì incredibilmente fuori posto. Insomma, lei era un’estranea che oltre tutto aspettava un figlio da lui. Ma no, così non funzionava. La ragazza assomigliava ad Ellen e la donna non l’aveva accolta come la fidanzata del figlio, ma… come una figlia.
  Ben notò la sua reazione e la rassicurò: «Jane, non preoccuparti. Quella ragazza è nostra figlia, sorella gemella di Ron. Non è la sua fidanzata, se era questo a preoccuparti». Jane rispose, cercando di suonare disinvolta: «Ma io non ho mai pensato che quella fosse la sua fidanzata». Ben la fissò con le sopracciglia inarcate e lei ammise: «D’accordo, si hai ragione, l’ho pensato. Ma poi ho anche pensato che potesse essere una figlia. E perché non l’ho mai vista prima d’ora?»
  «Vedi» rispose Ben, «lei studia in un’università ad Adelaide, quindi non viene molto spesso a casa. Sono contento, però, che abbia deciso di festeggiare il Natale con noi». A quel punto Ron ed Ellen si sedettero di nuovo a tavola e la ragazza li imitò. In quel momento si accorse di Jane ed incuriosita le chiese: «E tu chi sei?»
  «Oh, hai ragione!» esclamò Ellen, come ricordandosi solo in quel momento che anche Jane era lì. «Gwendolyn, questa è Jane, una ragazza che stiamo ospitando. Vive con noi da qualche tempo. Jane, lei è mia figlia Gwendolyn».
  Terminata la colazione, Gwendolyn andò nella sua stanza, che Jane aveva sempre visto vuota e chiese a Jane di seguirla. Si chiusero in camera e la ragazza chiese subito a Jane: «Ti prego, fammi un favore, okay? Non chiamarmi mai Gwendolyn, finché sono qui. Odio quel nome con tutta me stessa. E nemmeno Wendy. Quello è il soprannome che mi danno solo i miei. Chiamami Gwen».
  «D’accordo» rispose Jane. Poi la ragazza volle spiegare a Gwen la sua situazione. Così aggiunse: «Senti, volevo spiegarti un paio di cose. Come vedi sono incinta, è difficile non notarlo. Sono incinta di tuo fratello, ma non si può dire che stiamo insieme. È stato un incidente e così i tuoi hanno deciso di ospitarmi finché non nascerà la bambina. Per spiegarti il casino in cui sono dentro ti dirò che ho altri tre figli. Il più grande ha due anni e mezzo, la seconda uno e mezzo e il terzo quasi sette mesi». Gwen la fissò per un po’, poi commentò: «Wow. Accidenti. Ma aspetta, tu sei quella ragazza che nel ’97…»
  «è stata rapita? Sì sono io. Il mio primo figlio l’ho avuto dal mio rapitore e gli altri due da altri due uomini. È una storia complicata, lo so». Jane era contenta che fosse arrivata Gwen. Era da molto tempo, da quando era stata rapita, che non aveva contatti con ragazze della sua età. Le era mancato avere un’amica.
   Quell’anno Jane si godette davvero il Natale, per la prima volta dopo molto tempo. Finalmente non lo trascorse nella sudicia sala da pranzo dell’albergo dove aveva dovuto passare troppe notti negli ultimi anni, a mangiare porridge andato a male e tacchino bruciacchiato e poteva anche permettersi di vedere la casa addobbata.
  Anche nel periodo in cui aveva vissuto da Number One, non aveva potuto festeggiare adeguatamente il Natale. Nel vocabolario del suo ex-marito, quella parola non esisteva o, almeno, non come la intendeva la gente comune. Per lui Natale significava, generalmente, andare a procurarsi dei regali, senza però chiedere il permesso ai proprietari. Invece, quel 25 dicembre, lei e i due gemelli andarono in spiaggia, mentre i signori Brooks decisero che sarebbero rimasti in casa a tenere d’occhio i suoi bambini.
  Si divertirono veramente molto quel giorno; si erano portati da mangiare in quantità industriale e per tutto il pomeriggio, giocarono a beach-volley e a calcio sulla spiaggia e nuotarono a lungo nell’oceano, in particolare Ron.
  Jane guardò Gwen. «Sai» le disse, mentre erano entrambe sdraiate ad abbronzarsi, «era da un sacco di tempo che non mi sentivo così».
  «Così, come?» le chiese mormorando l’amica, girandosi pigramente a guardarla con l’occhio sinistro mezzo aperto.
  «Libera» le rispose Jane, posandosi una mano sul ventre. «Libera da tutte le preoccupazioni e tutti i problemi, come una qualsiasi ragazza della mia età». Nonostante tutto, però, si rese conto di non essere più una normale ragazza di venticinque anni, dopotutto ormai era una mamma, e fu ben felice di tornare a casa, più tardi, e riabbracciare i suoi tre rampolli.
  Per la festa, quella sera, invitarono diversi parenti, alcuni dei quali ormai anche Jane conosceva, anche se solo di vista. Lei, quando li vide tutti lì riuniti intorno al tavolo, cominciò a sentirsi davvero a disagio, in fondo restava ancora un’estranea, ma gli altri le impedirono categoricamente di separarsi da loro e, per convincerla a restare, le mostrarono anche dei regali per lei ed i bambini. Allora la ragazza, per non essere da meno, annunciò di avere anche lei dei regali per i gemelli ed i genitori, oltre che per i suoi figli. Fu in ogni caso una festa piacevole e Jane non ebbe molte altre occasioni per sentirsi in imbarazzo.
  Gwen ripartì alcuni giorni dopo Capodanno, dicendo a Jane, al momento dei saluti: «Spero con tutto il cuore di rivederti ancora qui al mio ritorno, verso Pasqua». L’altra l’abbracciò e le rispose: «Vedremo, Gwen. Vedremo. Tutto è possibile».
  Un paio di mesi dopo, verso la metà di marzo, venne al mondo Karen. Il nome lo scelse insieme a Ron. Non fu del tutto sorpresa quando seppe che era una bambina. Come disse anche ai medici, aveva come l’impressione che, se per caso avesse avuto altri figli, cosa di cui dubitava seriamente, si sarebbero sempre alternati, prima un maschio e poi una femmina. Quando tornò dall’ospedale, un paio di giorni più tardi, le sembrò ragionevole andarsene, in fondo era rimasta in quella casa per più di nove mesi, ma aveva fatto i suoi conti senza la padrona di casa.
  Ellen, infatti, le disse: «Che t’importa a questo punto, Jane? Rimani qui fino al compleanno di David. Ormai tre mesi in più cosa cambiano? Giorno più giorno meno. Arrotonda e completa un anno, ci scommetto che tu non aspettavi altro da circa tre anni» E Jane, suo malgrado, ma senza rimpianti, accettò.
 
Passarono i giorni e le settimane e la ragazza non sapeva perché, ma si sentiva sempre più a disagio, nel rimanere là così a lungo e, allo stesso tempo, non se la sentiva di andarsene ed affrontare di nuovo la strada. Quei tre mesi li trascorse combattuta tra queste due sensazioni. Per Pasqua, aspettavano anche la visita di Gwen, che però disse di non poter venire. Jane ne fu molto delusa, ma ripromise a se stessa che, prima di partire, avrebbe fatto di tutto per rivedere ancora l’amica.
  Jane non sapeva proprio cosa fare. Doveva ammettere di essere stata molto felice lì, per la prima volta dopo tre anni, aveva avuto un tetto sopra la testa per tutto un anno: non aveva dovuto sopportare il caldo torrido di gennaio, o il clima rigido di luglio e agosto. D’altra parte, in quei mesi, le pareva di aver rubato tempo e denaro alla famiglia Brooks, e questo fatto non le piaceva per niente.
  Jane compiva gli anni nel mese di maggio, quindi Ron pensò bene di ricambiare il favore della festa a sorpresa, per il suo compleanno. Jane non era quel tipo di persona che si commuove facilmente, ma quel giorno le fu veramente difficile non mettersi a piangere per la gioia e l’emozione.
  L’arrivo di giugno, infine, la trovò divisa tra il sollievo e la preoccupazione. Organizzò una festa di compleanno per David e, ricordandosi che non vedeva Gwen da gennaio, nonostante fosse dovuta tornare per Pasqua, ebbe la splendida idea di invitare anche lei, mantenendo così fede alla promessa che si era fatta.
Le due amiche furono molto felici di rivedersi e Jane trovò sempre più difficile l’idea di andarsene. Ma ormai l’aveva deciso e così, circa una settimana più tardi, partì. Si separò in lacrime da tutta la famiglia, era molto triste di lasciarli, ma quando voltò le spalle alla casa, si rese conto di quello che stava succedendo: stava per tornare a casa, entro poche settimane avrebbe rivisto i suoi genitori e suo fratello, dopo quattro anni da quando era stata rapita. A questo pensiero, inaspettatamente sorrise e s’incamminò, tenendo d’occhio di tanto in tanto la mappa di Sidney che le aveva consegnato Ben Brooks. “Sto per tornare a casa”, pensò. “Non riesco ancora a crederci, torno a casa mia”.
  Dopo questo episodio, per un altro mese completo, riprese la stessa vita di alcuni anni prima, solo che ora era ancora più difficile perché aveva quattro bambini al seguito, mentre prima non ne aveva mai avuti più di due.
  Dopo alcune ore che camminava, Jane si trovò davanti ad un edificio, per lei, terribilmente familiare: era l’albergo nel quale, per così tante notti si era trovata costretta a rinchiudere se stessa e i suoi piccoli. Ormai stava per calare la sera, perciò Jane decise che avrebbe affittato una stanza lì, per l’ultima volta in vita sua. Quando la vide entrare, il padrone, dietro il banco della reception, le disse, sorridendo: «Ah, salve, signorina Thaisis! È passato un bel po’ di tempo, dall’ultima volta che l’abbiamo vista da queste parti! La tribù si è allargata, vedo».
  Lei gli aveva risposto, una punta di gelo nella voce: «È vero, sono stata lontana tanto tempo da qui. Mi sono successe un sacco di cose in questo periodo, molte più di quante lei possa immaginare». Detto questo aveva afferrato la chiave, gli aveva voltato le spalle ed era sparita di sopra. La ragazza non era per niente fiera della propria reazione, ma in sua difesa, c’è da dire che quell’uomo non le era mai stato particolarmente simpatico. Trovava che avesse un non so che di viscido e finto.
  La stanza, dopo di quella che aveva avuto a casa Brooks, le parve estremamente umida e scura e il letto piccolo e scomodo. I bambini dormirono, David insieme a lei nell’unico letto della stanza, mentre Nicholas e Claudia si sistemarono in un altro lettino provvisorio e, per quanto riguarda Karen, lei rimase nella sua carrozzina. Jane pensò che la sua piccolina, in fondo, era la più comoda di tutti. Dormì pochissimo e molto male, e il mattino dopo, lasciate le chiavi alla reception se ne andò in tutta fretta, decisa a mettere quanta più distanza possibile tra lei e l’albergo.
  In quel momento camminava e pensava al fatto che era vero, quello che le aveva detto il padrone dell’hotel, era stata in giro tre anni, che in ogni caso non sono pochi, ma per tutto quel che le era successo, sembrava che ne fossero passati almeno dieci. Era immersa nei propri pensieri e quando Nicholas, che trotterellava qualche passo avanti a lei, la chiamò, sembrò risvegliarsi.
  «Mamma?» disse il bambino, con la sua vocina.
  «Mmmm?» rispose lei, con aria distratta.
  «Dove andiamo?» le chiese ancora lui.
  «Non ne ho idea, tesoro. In teoria nella casa dove abitavo prima, ma non so se ne sarò in grado». A quelle parole, sentì la manina di Claudia muoversi nella sua e lei gliela strinse più forte. Karen dormiva in una carrozzina, che le avevano regalato Ellen e Ben Brooks per Natale e Nicholas vi camminava accanto. David un po’ camminava e un po’ stava in piedi sul carrellino posto dietro di essa e Claudia, infine, camminava dandole la mano.
 
Durante quelle settimane, dormirono in posti ogni volta diversi perché ormai Jane aveva deciso di farla finita con il vecchio albergo e poi, con suo gran sollievo evidentemente, erano abbastanza lontani da lì. Comunque non è che i nuovi alberghi in cui andavano a dormire, brillassero per pulizia e servizi. Anzi, erano tutti piuttosto squallidi, anche se non allo stesso livello dell’altro, dove Jane aveva dovuto abituarsi a dormire per forza. Anche la cucina non era delle migliori, ma in fondo Jane pensava che quello fosse l’ultimo dei suoi problemi.
  I soldi scarseggiavano sempre e Jane era costretta ad economizzare su tutto. Anche per prendere dei vestiti nuovi, ricorreva al già citato metodo dei cassoni alla discarica. C’è da dire, però, che la ragazza prendeva lì gli abiti, anche perché la scelta era pressoché infinita, quanto a modelli e taglie. Inoltre lo stato dei vestiti era generalmente molto buono e neanche poi così di rado erano addirittura in condizioni eccellenti. Nella lavanderia dell’albergo li metteva in lavatrice, poi li stirava velocemente, così erano subito pronti da indossare. Oltretutto, Jane in questo modo educava i suoi figli al risparmio ed anche ad accontentarsi di ciò che avevano. Non si può dire che i suoi bambini fossero viziati, questo di sicuro. Anche perché riuscire a viziare allo stesso modo quattro bambini, sarebbe stata un’impresa da record.
 
 
  
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